Spazi antichi e futuri possibili: la geografia classica nelle Digital Humanities Introduzione1 In un famoso contributo apparso sul «Digital Humanities Quarterly»2 del 2009, Tom Elliott, uno dei principali esponenti 1 Ritenere di riassumere in queste poche pagine l’intero panorama della “geografia classica digitale” sarebbe, oltre che estremamente pretenzioso, an- che molto ingenuo. Ho scelto sulla base del mio solo, sindacabilissimo, giudi- zio personale, alcuni fra i progetti recenti a mio parere rappresentativi, allo scopo di dare un’idea generale della situazione in questo campo, indirizzata a una audience di classicisti di stampo più tradizionale. Necessariamente, questa selezione comporta parzialità, la cui responsabilità è interamente a mio cari- co. Il curatissimo sito Ancient World Online (AWOL) fornisce una panorami- ca certamente più ampia e completa di tutte le iniziative riguardanti la geo- grafia antica e moderna nella ricerca digitale: http://ancientworldonline. blogspot.de/2012/09/roundup-of-resources-on-ancient.html. Per il lettore vo- lenteroso che volesse approfondire le tematiche qui trattate tramite letture più generali, rimando a un piccolo glossario in corso di pubblicazione sui termini tecnici dell’Informatica Umanistica: https://github.com/ChiaraPalladino /TuftsDCC/wiki/DH-words-vademecum. 2 Una discussione sulle origini, la storia e le tendenze nelle cosiddette Di- gital Humanities va oltre lo spazio e gli scopi di questa discussione. Un in- quadramento di base è fornito dal datato, ma pur sempre solido, S. Schreib- man, R. Siemens, J. Unsworth, Companion to Digital Humanities, Blackwell, Oxford 2004. Si veda anche M. Dacos-P. Mounier, Humanités numériques. État «FuturoClassico» n. 4, 2018 pp. 149-177 ISSN: 2465-0951 © 2018 - Centro Interuniversitario di Ricerca di Studi sulla Tradizione http://ancientworldonline.blogspot.de/2012/09/roundup-of-resources-on-ancient.html http://ancientworldonline.blogspot.de/2012/09/roundup-of-resources-on-ancient.html https://github.com/ChiaraPalladino/TuftsDCC/wiki/DH-words-vademecum https://github.com/ChiaraPalladino/TuftsDCC/wiki/DH-words-vademecum Chiara Palladino 150 della “geografia classica digitale”, rifletteva su come sarebbe cambiato il panorama dei suoi studi nel 20173. Egli immaginava di avere a disposizione un immenso sistema di mappatura che in poche mosse potesse mostrargli le coordinate geografiche di tutti i suoi riferimenti bibliografici; di poter modellare automatica- mente su una mappa un itinerario di epoca romana, e di poterne esplorare specifiche sezioni, risalendo ai manoscritti che ne tramandavano il testo e alle rispettive edizioni; di visualizzare differenti opzioni di mappatura del viaggio descritto a seconda delle connessioni tracciate fra le varie aree localizzate; di effet- tuare, in pochi passaggi, analisi comparative, risalendo a passaggi simili in altre fonti, confrontando la sequenza e il reticolo dei luoghi e individuando dove si sovrapponevano, e in cosa consistevano le differenze, ad esempio, nella ortografia dei topo- nimi nei vari testimoni manoscritti; di estendere questa analisi alla espressione delle distanze, per analizzarne la coerenza inter- na, i riscontri con altre fonti, e così via. «Ci aspettiamo che, nel 2017, – scriveva – la rivoluzione geo-computazionale attualmente in atto, intersecatasi con le tendenze dell’informatica e della so- cietà, contribuisca a cambiare in modo significativo i modi di pensare e di diffondere la ricerca»4. Elliott però aggiungeva: «Per gli umanisti, i compiti della ricerca tradizionale resteranno largamente inalterati: la scoperta, l’organizzazione, l’analisi delle fonti primarie e secondarie con il des lieux et positionnement de la recherche française dans le contexte internatio- nal, OpenEditions: Institut Français, Marseilles 2014, e G. Bodard, S. Mahony, Digital Research in the Study of Classical Antiquity, Routledge, London 2016. Nel campo della filologia classica, segnalo il contributo recente di T. Koent- ges, Classical text and the digital revolution, «The Amphora Issue» XLIII, 2, 2015, pp. 31-46, con utile bibliografia. 3 T. Elliott-S. Gillies, Digital Geography and Classics, «Digital Humanities Quarterly» III, 1, 2009, http://digitalhumanities.org/dhq/vol/3/1/000031/000031. html. 4 «We envision a 2017 in which the geo-computing revolution, now un- derway, has intersected with other computational and societal trends to effect major changes in the way humanist scholars work, publish and teach» (ibid.). http://digitalhumanities.org/dhq/vol/3/1/000031/000031.html http://digitalhumanities.org/dhq/vol/3/1/000031/000031.html Spazi antichi e futuri possibili 151 fine ultimo di comunicare e disseminare i risultati e le informazioni, per l’utilità e l’educazione degli altri». Dunque, senza negare il necessario ampliamento degli orizzonti, determi- nato dall’indubbia sfida posta dalle nuove tecnologie, si continua a ribadire che il metodo di ricerca scientifica consiste, e conti- nuerà a consistere, in una serie di passaggi di ipotesi e verifica, solidamente fondati sulle evidenze fattuali, sempre praticati con la massima onestà intellettuale. «Quello che ci aspettiamo che cambi, – continuava Elliott – è l’entrata a regime di un metodo di lavoro molto più ampiamente collaborativo, dove una percen- tuale molto più alta del tempo di lavoro è spesa nell’analisi e nella comunicazione professionale, il tutto supportato da una rete di connessione pervasiva, e sempre attiva. Molto del lavoro solitario e tedioso di text mining5, ricerca bibliografica e organiz- zazione delle informazioni, saranno gestiti tramite strumenti computazionali, ma noi – corsivo mio – diverremo più responsa- 5 In linguaggio informatico, analisi meccanica (text mining o data mining), ossia un processo che consiste nel ricavare ed estrarre da un testo, o corpus di testi non strutturato, tipologie di informazioni espresse in modo più o meno sistematico, che le macchine possono essere programmate per riconoscere au- tomaticamente: ad esempio, l’identificazione di nomi propri classificati se- condo persone e luoghi, specifici costrutti sintattici, riferimenti bibliografici, glosse, termini in altre lingue, elementi di un determinato ambito lessicale (ad es. del gergo militare o della sfera del sentimento). Nella ricerca storica, il Na- tural Language Processing (NLP) è attualmente uno dei metodi di text mining più in voga: una semplice introduzione in M. Piotrowski, Natural Language Processing for Historical Texts, Morgan & Claypool, San Rafael 2012. Si veda anche A. Kao-S.R. Poteet, Natural Language Processing and Text Mining, Springer, London 2007. Doverosa, anche se scontata, è la precisazione che il text mining non esonera minimamente lo studioso del testo dall’analisi di quello che legge e dalla riflessione su di esso: anzi, il suo scopo è proprio quello di aumentare il tempo di lavoro preposto a tali operazioni creative, nel- le quali la macchina non è in grado di sostituirsi all’uomo, alleviando la fatica di quelle più meccaniche, come raccogliere e ricopiare a mano gli elementi di interesse. Ciò non esenta, né tantomeno elimina, la necessità della lettura ravvicinata, dell’interpretazione, e soprattutto del riscontro dei dati estratti dalla macchina con il contesto originale (in altre parole, i passaggi metodolo- gici essenziali di ogni ricerca seria). Chiara Palladino 152 bili della qualità e dell’efficacia del nostro lavoro per via di come diffondiamo i risultati delle nostre ricerche. […] L’informazione che potrà essere restituita dalle macchine sarà ricavata da un “pastiche globale” di archivi digitali e meccanismi di pubblica- zione, che copriranno virtualmente ogni nuova pubblicazione accademica, così come riproduzioni digitali di molta della produ- zione a stampa, grafica e audio oggi in circolazione»6. Questa interpretazione del futuro, in parte volutamente utopistica, nasceva dalle innovazioni di un decennio, il primo degli anni Duemila, in cui la geolocalizzazione e l’introduzione di avanzatissime tecniche di mappatura hanno effettivamente rivo- luzionato il nostro modo di interpretare e orientarci nello spazio intorno a noi. Elliott, quindi, riecheggiava l’impatto nelle Digital Humanities del cosiddetto spatial turn7, un movimento di pensie- ro iniziato fra la fine del 1800 e gli anni Sessanta, ma veramente unificato a livello intellettuale solamente negli anni Settanta, quando assunse le caratteristiche di una tendenza intellettuale 6 «For Humanists, general research tasks will remain largely unchanged: the discovery, organization and analysis of primary and secondary materials with the goal of communicating and disseminating results and information for the use and education of others. But we expect to see a more broadly col- laborative regime in which a far greater percentage of work time is spent in analysis and professional communication, all underpinned by a pervasive, al- ways-on network. Much of the tedious and solitary work of text mining, bib- liographic research and information management will be handled by compu- tational agents, but we will become more responsible for the quality and ef- fectiveness of that work, by virtue of how we publish our research results. [...] The information offered us in return will be drawn from a global pastiche of digital repositories and publication mechanisms, surfacing virtually all new academic publication, as well as digital proxies for much of the printed, graphic and audio works now for sale, in circulation or on exhibit in one or more first-world, brick-and-mortar bookstores, libraries or museums» (El- liott-Gillies, Digital Geography and Classics cit.). 7 La più completa rassegna sull’impatto dello “spatial turn” nelle discipline storico-artistiche è fornita da J. Guidi, Spatial Humanities. What is the Spatial Turn?, Scholar’s Lab-University of Virginia Library, http://spatial.scholarslab. org/spatial-turn/. Si veda anche B. Warf-S. Arias (ed. by), The Spatial Turn: Interdisciplinary Perspectives, Routledge, London 2014. http://spatial.scholarslab.org/spatial-turn/ http://spatial.scholarslab.org/spatial-turn/ Spazi antichi e futuri possibili 153 che in quegli anni riscopriva l’importanza dello spazio come entità utile a comprendere vari aspetti del mondo, le dinamiche di potere, quelle economiche, il simbolismo religioso, la territo- rialità. Alla base vi è l’idea che lo spazio non sia riconducibile alla semplice geografia naturale, ma che sia plasmato, prodotto dalla società8, come l’espressione di essa nei suoi vari aspetti. Il corol- lario di quest’affermazione è che, ovviamente, la descrizione dello spazio non sia rispondente a principi oggettivi9, ma sia piuttosto frammentata, complessa, composta di molteplici lin- guaggi e fattori. Questa “rivoluzione” ebbe un grande impatto sulla critica letteraria, e stimolò l’avvio di riflessioni teoriche importantissime basate sulle interpretazioni dello spazio e del tempo negli universi narrativi10. Ma un impatto ancora più gran- de fu registrato nelle tecnologie della navigazione: l’importanza determinante assunta dallo spazio nella società moderna contri- buì alla creazione, negli anni Sessanta, del Geographic Informa- tion System (GIS), e alla sua inevitabile estensione, negli anni Novanta, alla ricerca storica e archeologica. Questa innovazione fu, si potrebbe dire, il primo caso di com- mistione sistematica fra tecnologia e ricerca storica nell’era mo- derna. Il GIS non solo fornì risorse d’importanza capitale per il miglioramento delle tecniche di analisi e scoperta, ma contribuì ad introdurre inedite questioni di metodo: l’incontro-scontro fra discipline tecnologiche, caratterizzate dalla precisione e dalla 8 H. Lefebvre, La Production de l’espace, «L’Homme et la Société» 31-32, 1974, pp. 15-32. 9 Da cui la prolifica tendenza alla messa in discussione della cartografia come mezzo obiettivo di descrizione dello spazio: M. Monmonier, How to Lie with Maps, University Press, Chicago 2014; R. Kitchin-M. Dodge, Rethinking maps, «Progress in Human Geography» XXXI, 3, giugno 2007, pp. 331-344. 10 Tra cui vale almeno la pena di citare M.M. Bachtin, Estetica e romanzo, trad. it. Einaudi, Torino 2001; F. Moretti, Atlante del Romanzo Europeo: 1800- 1900, Einaudi, Torino 1997; D.J. Bodenhamer, J. Corrigan, T.M. Harris (ed. by), Deep Maps and Spatial Narratives, Indiana University Press, Bloomington 2015; B. Westphal, Geocriticism: Real and Fictional Spaces, Palgrave Macmillan, New York 2011. Chiara Palladino 154 certezza geometrica dei dati, e discipline storiche, basate per definizione su informazioni parziali e non strutturate, favorì un approccio critico, fortemente orientato all’individuazione e al superamento dei limiti attraverso un continuo miglioramento dei metodi di entrambe11. Sui possibili esiti e sulle ancora inesplorate potenzialità di questo processo tornerò in conclusione. Al tempo del contributo di Elliott, questa combinazione fra informatica, geografia e discipline storiche aveva già stabilito le tecnologie e i passaggi metodologici fondamentali per la mappa- tura su larga scala dei riferimenti geografici nelle fonti, tramite la loro estrazione e il loro inserimento in una rete di coordinate spaziali. Nei primi anni 2000, Google sperimentò la mappatura su larga scala di centinaia di migliaia di testi le cui scansioni erano liberamente consultabili nell’archivio Google Books: il risultato fu la presenza di sezioni, all’interno delle pagine di consulta- zione, in cui era possibile visualizzare la mappa ricavata non solo dai riferimenti geografici presenti nel testo, ma anche i cosiddetti metadati (edizione, luogo di stampa, origine dell’autore etc.). Adoperando gli stessi principi, anche se su scala inferiore, Perseus, il più grande archivio di testi antichi Open Source12, ha effettuato il parsing sul alcune traduzioni di grandi testi geografi- ci dell’antichità classica, mappando e indicizzando automatica- mente tutti i riferimenti a luoghi noti in essi contenuti. Come risultato di questo processo, testi come la Descrizione della Grecia di Pausania presentano un indice, ordinabile alfabeticamente o per frequenza, una mappa dei luoghi menzionati nel testo o in singole sezioni, il dataset di tutti i riferimenti completi di nome, coordinate geografiche e vari altri dati utili; l’utente ha inoltre la 11 F.J. Harvey, A Primer of GIS: Fundamental Geographic and Cartographic Concepts, Guilford Press, New York 2008; D.J. Bodenhamer, J. Corrigan, T.M. Harris, The Spatial Humanities: GIS and the Future of Humanities Scholarship, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis 2010. 12 G.R. Crane, Perseus Digital Library, 1992-. Consultato il 5/03/2018: http://www.perseus.tufts.edu/hopper/. http://www.perseus.tufts.edu/hopper/ Spazi antichi e futuri possibili 155 possibilità di attingere, cliccando sul testo o sugli indici analitici, alle voci di autorità bibliografiche presenti online, come dizio- nari, enciclopedie e atlanti. Ovviamente, questo processo non è affatto esente da errori e approssimazioni13. Le moderne tecnologie di Named Entity Recog- nition (cfr. infra) consentono un margine di accuratezza elevato solo lavorando sulle lingue moderne, e dunque sulle traduzioni. Effettuare un simile lavoro sulle lingue storiche (il greco e il latino, ma anche l’arabo classico o il sanscrito), implica ben altro sforzo; inoltre, sottoporre a mappatura riferimenti a luoghi anti- chi è concettualmente più problematico, a causa della parzialità delle informazioni in nostro possesso. Tornerò fra poco su questo argomento. La tecnologia di queste operazioni di mappatura, però, è basata su principi metodologici sostanzialmente generali, il cui perfezionamento dipende dalla frequenza e dalla scala delle loro applicazioni14. Tali principi si riassumono in tre passaggi fondamentali: identificazione, disambiguazione e catalogazione. 13 Lo faceva già notare Elliott a proposito della scarsa qualità dell’esito nel caso dei luoghi antichi, nell’esperimento di Google Books (Elliott-Gillies, Di- gital Geography and Classics cit.). A proposito dei limiti e delle ancora non sfruttate opportunità di organizzazione semantica e disambiguazione dei rife- rimenti geografici nei testi antichi si veda anche A. Babeu et al., Named Entity Identification and Cyberinfrastructure, «Research and Advanced Technology for Digital Libraries». Lecture Notes in Computer Science, presentato alla In- ternational Conference on Theory and Practice of Digital Libraries, Springer, Berlin-Heidelberg 2007, pp. 259-270. 14 Il Natural Language Processing applicato all’inglese moderno è giunto sostanzialmente allo stato dell’arte, essendo questa una lingua praticata oggi da milioni di parlanti, la lingua stessa dell’informatica e (dato non trascurabi- le) dell’economia, su cui la scala dei dati utilizzabili è composta da miliardi di testi; il caso del cinese moderno, per quanto meno noto in Occidente, è simile. Lingue più circoscritte nella loro applicabilità e meno adoperate, sono anche molto meno frequentemente sottoposte a processi analoghi. È il caso anche di alcune lingue moderne, come il farsi; alcune lingue antiche, tuttavia, si trova- no nella posizione di contribuire a un sostanziale miglioramento delle tecno- logie, essendo attestate su una scala potenzialmente amplissima e in corpora “chiusi”, dunque linguisticamente consolidati: si pensi alla sola Patrologia La- Chiara Palladino 156 I primi due passaggi fanno parte di un settore dei linguaggi di programmazione, e sono correlati l’uno all’altro: nell’insieme, essi prendono il nome di Named Entity Recognition and Classification15. L’identificazione, o recognition, consiste nel met- tere a punto un breve codice (o, più precisamente, script) che sot- topone il documento ad analisi sistematica (o parsing), al fine di ricercare le stringhe di testo contenenti specifiche categorie, ad es. luoghi, persone, organizzazioni, espressioni cronologiche, etc. Tali codici si basano spesso sull’esistenza di librerie preesistenti, atte a fornire alla macchina una lista indicativa dei nomi da riconoscere e disambiguare. Script più complessi possono arriva- re a combinare i passaggi più elementari, come l’estrazione di tutte le stringhe di testo inizianti per maiuscola, con funzioni aggiuntive, ad esempio la differenziazione delle maiuscole da punteggiatura da quelle dei nomi propri16. Il passaggio successivo all’identificazione è, ovviamente, la disambiguazione. Non basta identificare un toponimo, ad esem- pio Alessandria, così come non basta identificare un Alessandro come un nome di persona. Occorre poi associare quel nome a tina per il latino, o al caso emblematico dell’arabo classico, lingua con una spiccata vocazione alla scrittura e con testimonianze manoscritte, ancora oggi non del tutto censite, dell’ordine di milioni di esemplari. Tuttavia, l’interesse per l’analisi computazionale su queste lingue si è intensificato solo in tempi molto recenti: è, dunque, impossibile (si direbbe pretestuoso) pretendere che si raggiunga, in un decimo del tempo e con un centesimo delle risorse, lo stes- so livello di accuratezza. Come ogni altra disciplina, la tecnologia richiede tempi di maturazione per perfezionarsi. 15 Introduzione all’argomento in D. Nadeau-S. Sekine, A survey of named entity recognition and classification, «Linguisticae Investigationes» XXX, 1, 2007, pp. 3-26. 16 Un metodo particolarmente innovativo consiste nell’utilizzare l’inglese come “lingua ponte”, attraverso l’allineamento del testo originale con la sua traduzione. M. Berti, The Digital Fragmenta Historicorum Graecorum and the Ancient Greek-Latin Dynamic Lexicon, in F. Mambrini, M. Passarotti, C. Sporleder (ed. by), Proceedings of the Workshop on Corpus-Based Research in the Humanities (CRH), 10 December 2015 Warsaw, Poland, Institute of Com- puter Science-Polnish Academy of Sciences, Warszawa 2015, pp. 117-123. Spazi antichi e futuri possibili 157 una identità, in maniera tale che non venga confuso con altri. Tale processo deve avvenire abbinando il nome in questione a categorie identificative univoche, ad esempio (ma, si badi bene, non necessariamente) delle coordinate geografiche; per i nomi di persona ci si può servire delle tecniche tipiche della prosopogra- fia, come la data di nascita o di morte, le relazioni di parentela, l’origine geografica, e così via. In questo modo, sapremo che Alessandro è Alessandro detto Magno, re di Macedonia, figlio di Filippo, nato a Pella nel 356 a.C., e che Alessandria è Alessandria d’Egitto, collocata presso il Delta del Nilo, vicina all’insediamento di Pharos, alla latitudine 31.1982456667 e longitudine 29.9079146667, anche denominata al-Iskandarīya durante l’era Ottomana. La disambiguazione in ambito computazionale è anche il pri- mo passo della catalogazione, cui corrisponde l’assegnazione di un identificatore univoco, stabile, semanticamente senza partico- lare significato ma riconoscibile come tale dalle macchine. In ger- go, questo identificatore è detto URI (Uniform Resource Identi- fier), e ha l’aspetto di un indirizzo web a cui è associato un identificatore numerico unico. Naturalmente il primo problema della disambiguazione è che occorrono dei riferimenti canonici adeguati, dizionari o atlanti, che forniscano autorità per assegnare a quel nome una identifica- zione esatta17. Quando questo lavoro viene effettuato sul Web e non sulla carta, è essenziale che tali riferimenti siano puntual- mente riscontrabili online: questo comporta la necessità di rende- re gli atlanti a stampa utilizzabili nel contesto digitale. Pertanto, nel 2000 è stato reso per la prima volta accessibile online uno dei più moderni e aggiornati atlanti del mondo greco e romano, il 17 Non mi soffermerò sul tema vasto e complesso degli atlanti e dei data- base di orientamento archeologico, che sono stati progetti pionieri del settore e rappresentano tuttora uno standard elevatissimo a cui aspirare. È mio inte- resse, in questa sede, concentrarmi sugli aspetti ancora problematici dell’otte- nere la medesima precisione nel campo delle fonti primarie, in particolar mo- do testuali, sul mondo antico. Chiara Palladino 158 cosiddetto Barrington Atlas18: pubblicato anche a stampa nel set- tembre del 2000 da Richard Talbert e Thomas Elliott19, esso includeva la mappatura dei luoghi tramite moderni sistemi di geolocalizzatione20. I dati così raccolti costituiscono l’ossatura di un database online, che oggi, dopo varie fasi di espansione, rap- presenta la risorsa di riferimento più vasta e importante di tutti gli studi, digitali e non, sulla geografia del mondo antico. Si tratta del database collaborativo Pleiades, che ad oggi raccoglie circa 40.000 luoghi antichi e relative collocazioni21. Sul piano concettuale, il merito principale del progetto è stato quello di stabilire la necessità di ridefinire le nozioni-chiave di “luogo” e “spazio” nello studio del mondo antico e nell’era del GIS, aprendo la strada a riflessioni sull’ambiguità del concetto di coordinata geografica, per uno spazio dinamico e ambiguo come 18 Per quanto non l’intero contenuto del Barrington Atlas sia liberamente accessibile tramite Pleiades, è pur sempre apprezzabile che i dati essenziali di una costosa pubblicazione a stampa siano stati messi online e resi, non solo leggibili, ma fruibili senza il pagamento di ulteriori dazi. Si spera che, in futu- ro, tali dati possano essere arricchiti dai riferimenti incrociati a enciclopedie meno recenti, ma di enorme importanza per gli studi classici, come la Realen- cyclopädie der Altertumswissenschaft, la cui progressiva digitalizzazione in modalità Open Access è oggi in atto. Il fatto che lo sia su una piattaforma for- nita da Wikipedia, risorsa sulla quale i dotti nostrani storcono spesso il naso, non ne sminuisce in alcun modo l’importanza, semmai l’amplifica (https:// de.wikisource.org/wiki/Paulys_Realencyclop%C3%A4die_der_classischen_ Altertumswissenschaft). 19 R.J.A. Talbert-R.S. Bagnall, Barrington Atlas of the Greek and Roman World, University Press, Princeton 2000. 20 Il corpus dei dati del Barrington Atlas è oggi mantenuto e aggiornato dall’Ancient World Mapping Center dell’Università Chapel Hill del North Ca- rolina (http://awmc.unc.edu/), che li adopera per ulteriori applicazioni, come ad esempio il webservice Antiquity á la Carte (R. Horne, AWMC: Antiquity À-La- Carte, 2012-. Consultato il 10/02/2018: http://awmc.unc.edu/awmc/applications/ alacarte/), che consente di combinare diverse tipologie di informazioni geo- grafiche, come il reticolo di strade del periodo imperiale, gli acquedotti, i limi- ti provinciali, e naturalmente le coordinate delle principali aree urbane. 21 R. Bagnall et al., Pleiades: A Community-Built Gazetteer and Graph of Ancient Places, 2006-. Consultato il 2/02/2018: http://pleiades.stoa.org. https://de.wikisource.org/wiki/Paulys_Realencyclop%C3%A4die_der_classischen_Altertumswissenschaft https://de.wikisource.org/wiki/Paulys_Realencyclop%C3%A4die_der_classischen_Altertumswissenschaft https://de.wikisource.org/wiki/Paulys_Realencyclop%C3%A4die_der_classischen_Altertumswissenschaft http://awmc.unc.edu/ http://awmc.unc.edu/awmc/applications/alacarte/ http://awmc.unc.edu/awmc/applications/alacarte/ http://pleiades.stoa.org/ Spazi antichi e futuri possibili 159 quello antico, e a una nuova definizione del concetto di luogo sulla base di specifiche categorie culturali, più che cartografiche. Nello studio del mondo antico, infatti, non è raro che un luogo attestato non possa essere ricondotto a coordinate spaziali, e di certo non con la precisione richiesta dai sistemi moderni: questo, tuttavia, non lo rende meno importante. L’idea alla base di Pleiades è, quindi, quella di considerare un luogo non come un toponimo cui corrispondono coordinate oggettive, ma come una “entità culturale” a cui sono connesse una serie di caratteristiche, di cui le coordinate sono solo una, e non necessariamente la principale. Altre caratteristiche riconosciute sono la categoria del luogo in questione, la sua definizione politica, il suo periodo o periodi di attestazione, i suoi nomi attestati nel corso del tempo, le sue connessioni con altre entità spaziali o sociali (fiumi, mari, porti, vie, tribù, individui, popoli, edifici pubblici, siti archeolo- gici…). A queste caratteristiche strutturali si affiancano quelle più prettamente bibliografiche, come ad esempio i riferimenti a dizio- nari e atlanti, ovvero ad altre risorse, come i database epigrafici o i cataloghi museali e delle soprintendenze, ma anche le raccolte di immagini pubbliche, come Flickr.com. Il risultato è la possibi- lità, per l’utente, di accedere analiticamente a una enorme varietà di riferimenti aggiuntivi e in continua crescita, spesso con com- pleta libertà di utilizzo e pubblicazione dei dati di partenza22. 22 Pleiades è un database “collaborativo”: a parte i redattori principali e i responsabili del progetto, i suoi aggiornamenti e arricchimenti sono intera- mente dovuti al libero contributo di studiosi volontari e ricercatori, che con- tribuiscono a perfezionarne i riferimenti, a disambiguare e a correggere, non- ché ad aggiungere informazioni. Un recente esempio è l’aggiunta delle atte- stazioni in arabo di oltre 5000 toponimi presenti nel database, nell’ambito del progetto CALCS, cfr. V. Vitale, Pelagios-Cross-Cultural After-Life of Classical Sites (CALCS), 2016. Consultato il 5/03/2018: https://research.sas.ac.uk/search/ research-project/152/pelagios-cross-cultural-after-life-of-classical-sites-(calcs)/). Tale opportunità di partecipazione, semplice e diretta, e specificamente pensata per gli studiosi, elimina a monte la giustificazione autoassolutoria della pre- senza, inevitabile, di errori, e attribuisce invece a chi li individua la responsa- bilità (e il merito) di correggerli, nella speranza che un valente ricercatore sia meglio informato, ma altrettanto motivato, di un utente di Wikipedia. https://research.sas.ac.uk/search/research-project/152/pelagios-cross-cultural-after-life-of-classical-sites-(calcs)/ https://research.sas.ac.uk/search/research-project/152/pelagios-cross-cultural-after-life-of-classical-sites-(calcs)/ Chiara Palladino 160 Fig. 1. Una voce in Pleiades. Mentre Pleiades, nato come database generale del mondo antico, si avvia a una espansione oltre i confini della cosiddetta classicità, il Digital Atlas of the Roman Empire, ideato sempre nel 2000 da Johan Åhlfeldt dell’Università di Lund23, ha l’intento di raccogliere e, possibilmente, mappare, ogni aspetto della geogra- fia dell’Impero, inclusi i miliari romani, i database delle chiese copte e cristiane, gli anfiteatri, gli acquedotti e via dicendo, e ne fornisce una mappatura semanticamente categorizzata. Una men- zione merita anche il progetto Trismegistos dell’università di Leuven24, già autorità di riferimento nel campo della papirologia 23 J. Åhlfeldt, Digital Atlas of the Roman Empire (DARE), 2015-2017. Con- sultato il 10/02/2018: http://dare.ht.lu.se/. 24 M. Depauw et al., Trismegistos. Consultato il 10/02/2018: https://www. trismegistos.org/. Si veda anche M. Depauw-T. Gheldof, Trismegistos: An In- terdisciplinary Platform for Ancient World Texts and Related Information, in Ł. http://dare.ht.lu.se/ https://www.trismegistos.org/ https://www.trismegistos.org/ Spazi antichi e futuri possibili 161 e dell’epigrafia, che sta avviando una catalogazione analitica delle informazioni spaziali fornite dalle fonti primarie già raccolte nel database25. I testi più interessanti dal punto di vista dell’informazione geografica sono stati sottoposti a Named Entity Recognition, e le informazioni estratte verificate, catalogate e disambiguate manualmente, e ove possibile correlate ai riferi- menti già esistenti. Come risultato di questa operazione, è ora possibile ricavare dati molto completi circa i riferimenti geogra- fici relativi al Nord Africa in numerose delle fonti testuali conservate nel database, come ad esempio i Bicchieri di Vicarello o l’Itinerario Antonino. Esplorare lo spazio antico La catalogazione e mappatura del mondo antico è, ovvia- mente, il passaggio preliminare di ogni analisi più raffinata, e la sua pubblicazione nel contesto digitale ne consente, alla luce dei nuovi studi, un perfezionamento continuo e critico. Ma lo “spatial turn” ha stimolato anche approcci di ricerca volti alla esplorazione della geografia intesa come spazio dinamico e vissu- to, sfidando i concetti di rappresentazione cartografica “statica” insiti nei processi di geolocalizzazione: è il concetto stesso di mappatura che implica la necessità di varcare i confini delle modalità di rappresentazione di un singolo medium, per giungere a un passaggio “dal testo alla mappa” che consenta la valorizza- zione di tutte le informazioni, ossia non solo la rappresentazione piatta dei luoghi menzionati in una fonte, ma delle relazioni se- mantiche e dinamiche insite nella percezione dello spazio e nel- Bolikowski et al. (ed. by), Theory and Practice of Digital Libraries-TPDL 2013 Selected Workshops, Springer, Cham 2013, pp. 40-52. 25 L’iniziativa prende il nome di Trismegistos Places, consultabile a http://www.trismegistos.org/geo/. http://www.trismegistos.org/geo/ Chiara Palladino 162 l’orientamento nel paesaggio ivi descritti26, le loro implicazioni sociali e culturali, i loro mutamenti27. In anni recenti la discus- sione si è arricchita per via della maggiore enfasi posta sulla discrepanza concettuale fra la rappresentazione dello spazio nelle società premoderne, per definizione “non cartografiche”28, e i moderni metodi di mappatura, cui corrisponde una tecnica di navigazione – e quindi una percezione spaziale – molto diversa. Per questo motivo la “rappresentazione su mappa” non potrà che essere parziale, se intesa semplicemente nei limiti dei moderni standard del GIS. Uno dei primi esperimenti in questo senso è stato la digita- lizzazione della Tabula Peutingeriana realizzata, ancora una volta, da Talbert ed Elliott come corollario al Barrington Atlas29. La scansione dell’immagine, opportunamente segmentata, è stata associata a un insieme di legende, simboli e indicazioni di classi- ficazione sovrapponibili all’immagine stessa nell’interfaccia di lettura. Alla mappa, quindi, sono associate indicazioni semanti- che, che forniscono una classificazione analitica dei suoi diversi componenti geografici, storici e concettuali. Inoltre, ogni luogo indicato, con le caratteristiche che gli sono associate nella carta, è associato a un riferimento “moderno” nel Barrington Atlas; il risultato è la creazione di un database che non tiene conto soltan- 26 A proposito delle implicazioni concettuali del passaggio dal mezzo scrit- to al mezzo visuale, si veda almeno Ø. Eide, Media Boundaries and Conceptual Modelling, Palgrave Macmillan UK, London 2015. 27 E. Barker et al. (ed. by), New Worlds from Old Texts: Revisiting Ancient Space and Place, University Press, Oxford 2016. 28 Seppure superato in alcune parti, ancora oggi il testo di Pietro Janni è il riferimento principale per la questione della navigazione spaziale nelle società premoderne. P. Janni, La mappa e il periplo : cartografia antica e spazio odolo- gico, G. Bretschneider, Roma 1984. 29 T. Elliott, Constructing a Digital Edition for the Peutinger Map, in R.J.A. Talbert, R.W. Unger (ed. by), Cartography in antiquity and the Middle Ages. Fresh perspectives, new methods, Brill, Leiden-Boston 2008, pp. 99-110; R.J.A. Talbert, Rome’s World: The Peutinger Map Reconsidered, Cambridge University Press, Cambridge-New York 2010. Spazi antichi e futuri possibili 163 to dei riferimenti geografici contemporanei, ma ricava le infor- mazioni essenziali dalla semantica della mappa stessa. L’esigenza di comprendere il movimento nel mondo antico nei suoi aspetti dinamici è stata invece alla base del progetto Orbis, curato dall’Università di Stanford30. Orbis, la cui mappa di connettività si basa in gran parte su dati archeologici, offre una simulazione delle modalità di viaggio nell’Impero Romano nel II secolo della nostra era: tramite una interfaccia online, è possibile impostare una serie di condizioni, scelte fra i fattori che più noto- riamente determinano le modalità di viaggio nell’antichità (perio- do dell’anno, modalità del percorso, mezzo di trasporto etc.), e attraverso una combinazione di modelli di simulazione fornisce i costi, i tempi e le variabili del percorso scelto. Non si tratta di una ricostruzione basata su fonti primarie, bensì di un modello mate- matico e probabilistico, che necessita di un contesto di ricerca e domande investigative molto precise per essere efficace31. Un analogo tentativo di analisi dello spazio “dinamico” e vissuto, questa volta attraverso l’analisi delle fonti primarie, è stato compiuto nel 2014 con il progetto Hestia32. Esso consiste in una interfaccia integrata di lettura realizzata sulle Storie di Ero- doto, sia in greco che in inglese. La vista iniziale offre una pano- ramica, ingrandibile ed esplorabile, di tutti i luoghi menzionati dal testo e le relative statistiche di frequenza e densità. La visione analitica offre una serie di finestre affiancate, che consistono nel testo stesso, suddiviso per libro, capitolo e paragrafo secondo il sistema editoriale consueto, la mappa dei luoghi menzionati nel passaggio selezionato, una linea temporale che ne descrive la progressione narrativa, e un codice di colori che indica i luoghi 30 W. Scheidel et al., ORBIS: The Stanford Geospatial Network Model of the Roman World, 2014-. Consultato il 10/02/2018: http://orbis.stanford.edu/. 31 W. Scheidel, Orbis: The Stanford Geospatial Network Model of the Roman World, SSRN Scholarly Paper, Social Science Research Network, Rochester- NY 2015. 32 E. Barker et al., Hestia: Herodotus Encoded Space-Text-Imaging Archive, 2014. Consultato il 10/02/2018: http://hestia.open.ac.uk/. http://orbis.stanford.edu/ http://hestia.open.ac.uk/ Chiara Palladino 164 menzionati sulla base della frequenza. Cliccando su un luogo è possibile visualizzare tutti i passaggi delle Storie in cui esso compare, nonché visualizzare in una nuova finestra la mappa delle entità spaziali a cui quel particolare luogo è connesso nel corso della narrazione, e il numero di volte in cui si connette ad essi. Nel corso della ricerca analitica sul testo, inoltre, ci si è chiesti in che modo si potesse esplorare la concezione dello spazio di Erodoto attraverso mezzi di rappresentazione visuale: ci si è presto resi conto che rappresentare l’opera di Erodoto in termini cartografici non era sufficiente per comprenderne le implicazioni storiche e narrative. Vi era, in altri termini, un problema semantico che poneva la necessità di prescindere dalla rappresentazione cartesiana dello spazio. Si è scelto, dunque, di servirsi del principio della connettività, o network theory, parten- do dalla premessa metodologica secondo cui la rappresentazione dello spazio in forma linguistica ha la sua struttura portante nella creazione di relazioni semantiche fra entità33. Nel caso di Hestia, la network theory è stata applicata allo scopo di investigare la ricchezza del testo al di là della rappresentazione bidimensionale della mappa, e in parte proprio per svincolarsi dalle costrizioni imposte da essa. Attraverso tecniche di text mining, sono stati estratti dal testo tutti i riferimenti geografici, e quelli caratteriz- zati da co-occorrenza nella medesima porzione di testo (misurata secondo un principio di unità-paragrafo) sono stati messi in rela- zione fra loro sulla base di quattro criteri di tipo linguistico, ricavati essenzialmente dalla tipologia di forma verbale che 33 La network theory, fin dall’inizio caratterizzata da forti implicazioni spa- ziali, è stata introdotta nell’ambito della critica letteraria dal celebre saggio di Franco Moretti, Graphs, Maps, Trees: Abstract Models for Literary History (Ver- so, London-New York 2005). Moretti ha qui dimostrato l’importanza di legge- re un testo attraverso metodi di distant reading, per ricavarne informazioni spesso non visibili tramite la lettura progressiva: l’esito più importante del distant reading è, per l’appunto, l’estrazione di informazioni relative ai rap- porti macroscopici dei personaggi in un universo narrativo, che possono esse- re rappresentati attraverso varie forme di mappatura, non necessariamente cartografica. Spazi antichi e futuri possibili 165 compariva nella proposizione in cui si trovavano (posiziona- mento, movimento, dinamicità, trasformazione)34. Si è così generato non solo il reticolo di connessioni, che è possibile esaminare nell’interfaccia di lettura, ma anche un database di relazioni che può essere visualizzato indipendentemente dalla mappa, dove invece che al posizionamento geografico può essere data priorità ai vari indici di connettività, o anche alla frequenza. Fig. 2. Un’immagine dell’interfaccia di lettura di Hestia. C’è, però, un altro problema che occorre sottolineare. Tutto quello che è stato fatto con Hestia poteva essere prodotto con relativa esattezza soltanto sulla traduzione inglese. Ai tempi in cui il progetto si è sviluppato, non era pensabile compiere un’a- nalisi così raffinata su un testo in greco antico, per lo meno non 34 S. Bouzarovski-E. Barker, Between East and West: movements and trans- formations in Herodotean topology, in Barker et al. (ed. by), New worlds from Old Texts cit., pp. 155-180. Chiara Palladino 166 con i finanziamenti di un progetto di durata poco più che annua- le35. Questo ci porta a un altro tema fondamentale, ossia quello della creazione dei dati partendo dalle fonti primarie: in altre pa- role, la questione delle edizioni digitali. Leggere lo spazio antico Il supporto digitale offre, a livelli impensabili in precedenza, la possibilità di raccogliere, organizzare e rendere fruibili le più di- sparate categorie di informazione. Le informazioni spaziali fanno parte della tipologia di dato che può essere raccolto e rappresen- tato su questo supporto, lavorando direttamente sulla lingua di partenza: in altre parole, il supporto digitale può contribuire a creare nuove tipologie di edizioni dei testi antichi, in cui sia ade- guatamente valorizzato anche il dato spaziale. Nel campo dell’editoria digitale, i linguaggi di marcatura sono da tempo adoperati per identificare le informazioni di particolare interesse. L’esito di questa operazione è soprattutto la possibilità di indicizzare automaticamente quelle informazioni, con livelli di precisione e opportunità di analisi molto diversificati36. Questa modalità è stata scelta nel caso della marcatura dei sistemi di citazione nella edizione digitale dei Deipnosofisti di Ateneo, o Di- 35 Si confrontino i risultati ottenuti da Trismegistos Places con finanzia- menti, tempi e personale molto più generosi. Si sa che, in ambiente accademi- co, non è “elegante” parlare di risorse economiche: tuttavia proprio queste ri- sorse hanno consentito a Trismegistos di raggiungere risultati su una scala di complessità paragonabile a Hestia, ma lavorando sui testi rigorosamente in lingua originale. 36 Il linguaggio di marcatura per eccellenza, nel caso dei testi, è XML, o Extensible Markup Language (https://www.w3.org/XML/). Nei suoi sotto- schemi, esplicitamente creati per le edizioni di testi complessi, TEI ed EpiDoc (http://www.tei-c.org/, http://epidoc.sourceforge.net/), viene utilizzato come linguaggio standard per l’editoria e l’archiviazione di testi digitali, creati ex novo o frutto della trasposizione su supporto digitale di fonti già esistenti. https://www.w3.org/XML/ http://www.tei-c.org/ http://epidoc.sourceforge.net/ Spazi antichi e futuri possibili 167 gital Athenaeus37. Al testo, già disponibile nell’edizione di Georg Kaibel, è stata affiancata la versione digitale dell’Index Scripto- rum, nonché i Dialogi Personae curati da August Meineke e dallo stesso Kaibel, e il recentissimo Index of authors, texts and persons della nuova edizione di Douglas Olson: ogni luogo citato viene fornito con apposita concordanza fra il sistema di citazione di Kaibel e quello delle pagine di Casaubon, ancora oggi familiare a molti lettori. Il risultato è un unico grande indice, che raccoglie non solo le concordanze, ma classifica semanticamente ogni au- tore, consente di risalire al passaggio riferito, e connette analiti- camente tutte le informazioni ad esso pertinenti. Ma soprattutto, l’indice sfrutta in pieno le potenzialità del nuovo supporto digita- le, in quanto si estende al riconoscimento e all’analisi dei passag- gi del testo di Ateneo riconosciuti come citazioni di altri autori: tali passaggi sono stati appositamente marcati all’interno del testo stesso dei Deipnosofisti. Il risultato è non solo un indice pie- namente fruibile per le opportunità di ricerca più disparate, ma anche la possibilità di varie operazioni di distant reading, come ad esempio l’estrazione di tutte le citazioni di determinati nomi, ovvero categorie di autori, ovvero opere letterarie, suddivisi in base ai luoghi in cui compaiono attraverso tutta l’opera38. 37 M. Berti, Digital Athenaeus. A digital edition of the Deipnosophists of Athe- naeus of Naucratis. Consultato il 05/03/2018: http://www.digitalathenaeus.org. 38 M. Berti et al., Documenting Homeric Text-Reuse in the Deipnosophistae of Athenaeus of Naucratis, «Bulletin of the Institute of Classical Studies» LXIX, 2, 2016, pp. 121-139. http://www.digitalathenaeus.org/ Chiara Palladino 168 Fig. 3. Un esempio delle applicazioni degli indici digitali del Digital Athe- naeus: visualizzare tutte le citazioni a Omero come autore e la loro frequenza classificata per libro. Un piccolo progetto in confronto, ma focalizzato specifica- mente sulla geografia letteraria, è stato recentemente promosso dall’università di Zagreb, nell’ambito della raccolta e archivia- zione digitale dei testi latini di autori croati del Rinascimento, che prende il nome di CroALA (Croatiae Auctores Latini)39. Il progetto ha condotto alla realizzazione di un Index Locorum atto a raccogliere i riferimenti geografici secondo un sistema di classi- ficazione creato specificamente per la cosiddetta geografia lette- raria, che presenta aspetti problematici peculiari, che non neces- sariamente si prestano a una semplice classificazione univoca: com’è evidente, un luogo poetico può non essere necessaria- mente reale, ma nemmeno interamente fittizio; può essere la proiezione di un’entità reale nella letteratura e nell’immaginario 39 N. Jovanović et al., CroALa: Croatiae Auctores Latini, 2009-2014. Consul- tato il 05/03/2018: http://croala.ffzg.unizg.hr/. http://croala.ffzg.unizg.hr/ Spazi antichi e futuri possibili 169 (ad esempio, l’Olimpo), può aver cambiato denominazione, e persino coordinate, nel corso del tempo; inoltre, può essere reale ma non necessariamente appartenere alla geografia terrestre (si pensi alla Luna). La premessa metodologica del CroALA Index Locorum è stata quella di ridiscutere il principio stesso dell’“i- dentificatore univoco”, sulla base dell’essenziale considerazione che non sempre un nome riferito ad un luogo ne eredita le medesime caratteristiche. Il risultato, accessibile tramite l’archi- vio dell’Index Locorum40, sono varie categorie di indici tutti interconnessi fra loro, e che da ultimo rimandano al contesto originale, dove il sistema di classificazione adottato segue un articolato data model, e dove sono stati creati complessi identifi- catori, univoci ma estremamente flessibili e manipolabili, allo scopo di mettere in relazione le differenti entità con la realtà (concreta e “poetica”) a cui si riferiscono. Una maniera alternativa di raccogliere i dati spaziali dalla fonte primaria è la cosiddetta annotazione esterna (o stand-off annotation), che prescinde dai linguaggi di markup e viene effettuata spesso attraverso interfacce web di semplice utilizzo. Uno dei servizi oggi più utilizzati, nell’ambito dello studio delle fonti dell’antichità, è Recogito (http://recogito.pelagios.org/), uno strumento messo a punto nell’ambito di Pelagios41, un progetto mirante a creare una infrastruttura centrale per le risorse e le iniziative relative al concetto, largamente inteso, di “spazio” nel mondo premoderno, allo scopo di favorire l’interconnessione fra progetti di ricerca ed archivi attraverso gli standard dei Linked Open Data42. 40 N. Jovanović, Croala-Pelagios: CITE Semantic Annotations for Place Refer- ences in Croatian Latin Texts. XQuery, 2017. Consultato il 05/03/2018: https:// github.com/nevenjovanovic/croala-pelagios. 41 L. Isaksen et al., Pelagios Commons: Linking the Places of Our Past, 2015-. Consultato il 10/02/2018: http://commons.pelagios.org/. 42 I Linked Open Data sono la tecnologia più importante del cosiddetto Semantic Web (T. Berners-Lee, «Linked Data», 2006: https://www.w3.org/ DesignIssues/LinkedData.html). In sintesi, si tratta di una serie di standard e http://recogito.pelagios.org/ https://github.com/nevenjovanovic/croala-pelagios https://github.com/nevenjovanovic/croala-pelagios http://commons.pelagios.org/ https://www.w3.org/DesignIssues/LinkedData.html https://www.w3.org/DesignIssues/LinkedData.html Chiara Palladino 170 Allo scopo di integrare le informazioni provenienti da fonti secondarie, come atlanti e database online, con i dati provenienti dalle fonti primarie, Pelagios ha fornito agli utenti la possibilità di raccogliere ed esplorare tali informazioni in modo critico, allo stesso tempo contribuendo alla creazione di dati nuovi: Recogito è uno strumento di facile accesso, tramite il quale l’utente può creare un proprio profilo, caricare un testo o una mappa, deci- derne i criteri di condivisione e annotare stringhe di testo conte- nenti informazioni rilevanti, con particolare attenzione – ovvia- mente – ai riferimenti geografici. Nel caso dei toponimi, poi, è anche possibile effettuare operazioni di disambiguazione semi- automatica, attingendo ai database online come Pleiades o il Digital Atlas of the Roman Empire. Servendosi del principio dell’annotazione esterna, Recogito consente di lavorare direttamente sulla fonte, archiviando le annotazioni altrove, in maniera tale che esse siano immediata- mente disponibili sotto forma di dataset in vari linguaggi, senza dover passare attraverso l’estrazione dell’informazione marcata, come nel caso dei testi in XML. Inoltre, questo sistema permette di rendere direttamente accessibili, sotto forma di Linked Open Data, le informazioni create dall’utente: ciò implica non solo maggiore visibilità dell’informazione creata, ma anche un au- mento delle opportunità che quella informazione possa essere adoperata da altri, per la sua incorporazione in nuovi progetti di ricerca o archivi. di tecnologie cui attenersi per rendere il proprio contenuto online accessibile, utilizzabile e connettibile ad altri caratterizzati da un qualche tipo di affinità semantica. Da qualche anno a questa parte, molti database e archivi digitali hanno reso le proprie risorse compatibili con gli standard dei Linked Open Data, per incrementare le proprie potenzialità di accesso e di utilizzo, e per favorire sempre più una metodologia di ricerca trasversale, che trae indubbio beneficio dalla possibilità di accedere a contenuti diversificati attraverso l’utilizzo di un vocabolario semantico comune. Spazi antichi e futuri possibili 171 Fig. 4. Riquadro di annotazione in Recogito. Naturalmente, quello che la macchina non può dire all’utente è cosa o come annotare. La classificazione delle informazioni spa- ziali, specie nelle fonti testuali, è tutto tranne che immediata, e deve necessariamente rispondere a criteri metodologici ponde- rati: dunque, l’annotazione è stata scelta come criterio di raccolta delle informazioni proprio per la sua flessibilità di processo esplorativo. In generale, l’annotazione semantica, che consente di associare, all’interno di un ambiente Web, informazioni di vario tipo a un’entità rinvenuta in una fonte, può muoversi in due direzioni: la prima, facendo riferimento a una classificazione già esistente e complessa, preferibilmente sotto forma di ontologia43; 43 Il concetto di ontologia è un prestito della filosofia, dove la parola deno- ta lo “studio dell’essere”: in informatica esso è passato ad indicare le pratiche di rappresentazione della conoscenza in forme organizzate ed esprimibili in linguaggi comprensibili alle macchine, attraverso la definizione di una strut- Chiara Palladino 172 la seconda, creando da zero un sistema secondo criteri emersi dallo studio dalla fonte stessa, laddove le ontologie e gli atlanti a disposizione non rispondano alle esigenze del ricercatore (si pen- si, ad esempio, ad opere a metà fra la geografia naturale e quella fantastica, come ad esempio il Satyricon). Entrambe queste strade sono percorribili indipendentemente, e rispondono a intenti di- versi nel processo di analisi della fonte primaria, l’uno più generale e comparativo, in quanto focalizzato sulla classifi- cazione in relazione a un “vocabolario” semantico di riferimento, l’altro più concentrato sulla fonte e sulla particolare concezione spaziale del suo autore. L’annotazione si configura, quindi, come qualcosa di più che un semplice processo di classificazione, ma è un modo per arricchire un riferimento spaziale a un livello di approfondi- mento pressoché illimitato, ben oltre il semplice “place- tagging”44. tura formale composta di entità e relazioni fra di esse. Nel Semantic Web, le ontologie vengono adoperate per specificare vocabolari concettuali “stan- dard”, utili alla classificazione dei fenomeni: T. Gruber, Ontology (Computer Science), in L. Liu-M. Tamer Öszu (ed. by), Encyclopedia of database systems, Springer, Boston 2009. Le ontologie spaziali e spazio-temporali vengono ge- neralmente adoperate per la classificazione di fenomeni relativi alla geografia e alla cronologia nel Semantic Web: esse possono fornire un punto di parten- za importante per la disambiguazione e l’annotazione di riferimenti spaziali all’interno delle fonti antiche. Si veda in proposito l’importante progetto GeoLat (F. Ciotti et al., TEI, ontologies, linked open data: geolat and beyond, «Journal of the Text Encoding Initiative» 8, 2015, pp. 1-20). 44 Da questo genere di “commento espanso” vengono le potenzialità più importanti per la futura editoria digitale. Si veda in proposito almeno R. Af- ferni et al., ... but what should I put in a digital apparatus? A not-so-obvious choice. New types of digital scholarly editions, in P. Boot et al. (ed. by), Advanc- es In Digital Scholarly Editing. Papers Presented At The Dixit Conferences in The Hague, Cologne and Antwerp, Sidestone Press, Cologne 2017, pp. 141-143. Spazi antichi e futuri possibili 173 Conclusione Nell’articolo citato in apertura, Elliott auspicava un futuro in cui le informazioni spaziali fossero accuratamente marcate e verificate, nelle edizioni accademiche dei testi, tramite sistemi che ne consentissero la rapida indicizzazione e la mappatura. Elliott auspicava altresì che l’enorme mole di testi non marcati, invece, potesse essere passibile di trattamenti completamente automatici, per raggiungere risultati apprezzabili, e che la disambiguazione potesse essere effettuata in maniera computa- zionale grazie al miglioramento delle tecnologie. Si può senz’al- tro dire che, rispetto a questa visione, vi è ancora molta strada da fare. Tuttavia, nei circa dieci anni successivi, l’incontro-scontro fra le discipline storiche e il mondo digitale ha aperto nuove questioni e nuovi problemi metodologici. Per prima cosa, è necessario riconoscere che lavorare con le macchine rimette in discussione i metodi della ricerca storica: non perché essi siano fallaci, ma proprio perché il loro trasferi- mento su un diverso supporto costringe alla ridefinizione di alcu- ni concetti chiave; la macchina, infatti, necessita di una precisione che non lascia spazio alla vaghezza, e costringe a se- guire un metodo rigoroso e basato sulle evidenze fattuali, più che sulle speculazioni. Questo significa, nel nostro caso, che è neces- sario definire con precisione, e preliminarmente, i concetti di geografia, di luogo, di entità spaziale, per far sì che si capisca univocamente qual è l’oggetto della nostra analisi, e affinché la macchina possa sobbarcarsi molto del lavoro meccanico di raccolta delle informazioni, prima affidato alla buona volontà del ricercatore. Tuttavia, le discipline storiche comportano problemi che mettono in crisi approcci troppo meccanicisti. Abbiamo visto che le esigenze dell’analisi della geografia antica e letteraria, basata su dati per definizione qualitativi, mal si accordano con i mecca- nismi troppo costrittivi del GIS, che è un approccio quantitativo per eccellenza. Andiamo quindi verso qualcosa che, pur adot- tando alcuni approcci del GIS, è altro, è una “geografia digitale” Chiara Palladino 174 che dà valore ad aspetti prettamente storico-culturali. Questo ap- proccio è stato definito da Elliott un-GIS, ossia qualcosa che non conferisce importanza assoluta al concetto puramente quantita- tivo delle coordinate geografiche, ma ha la flessibilità necessaria per includere i dati provenienti dall’indagine umanistica. Lo stesso discorso si può fare per gli identificatori univoci, o URI, che funzionano per le macchine, ma non hanno la stessa ricchez- za semantica dei linguaggi naturali, e spesso sono messi in discussione dalla mancanza di contesto e dall’ambiguità tipiche della ricerca storica. Questo comporta la necessità di realizzare sistemi di identificazione semanticamente più ricchi e flessibili dei semplici indicatori numerici45. Da questa situazione, però, possono emergere non solo dei nuovi problemi, ma anche degli approcci nuovi46. Mi limito qui a 45 Un grande progresso in questo senso è stato fatto in campo bibliografi- co, con l’introduzione del CTS (Canonical Text Service). D.N. Smith-C.W. Blackwell, Four URLs, Limitless Apps: Separation of Concerns in the Homer Multitext Architecture, CHS White Papers: https://chs.harvard.edu/CHS/ article/display/4846. 46 Si potrebbe obiettare se realmente si imponga, per così dire, agli umani- sti, la necessità di “convertirsi” attivamente ai criteri e ai metodi del mondo digitale, e alla ovvia obiezione se tale conversione non comporti, in un futuro prossimo, la perdita di informazioni o di approcci che sono pensabili solo nel mondo della stampa. La prima riposta a una tale obiezione è che tale passag- gio di supporto è una rivoluzione inevitabile: e chi ha fatto studi filologici, in virtù della maggiore consapevolezza dei meccanismi che sottendono alle mo- dalità di diffusione e produzione del sapere, ha gli strumenti sufficienti per comprendere la portata di questo cambiamento. Ma in assenza di tale convin- cimento (i mutamenti culturali generano necessariamente delle resistenze), è preferibile che siano gli umanisti a definire i paradigmi con cui svolgere ri- cerca seria, invece di lasciarlo fare ad altri, che siano le case editrici o i pro- duttori di software, la cui considerazione e competenza nei confronti di tutto ciò che concerne le materie umanistiche, e in special modo storiche, è triste- mente nota. Il cambiamento è in atto, ed è inarrestabile: neppure un’apoca- lisse del World Wide Web, quale in molti preconizzano con un certo compia- cimento, potrebbe mai annullare il processo di produzione e diffusione di in- formazione in formato digitale, che non ha nulla a che fare con l’esistenza di https://chs.harvard.edu/CHS/article/display/4846 https://chs.harvard.edu/CHS/article/display/4846 Spazi antichi e futuri possibili 175 proporne alcuni, che già dovrebbero essere emersi nel corso di questo breve contributo. Il primo è la possibilità, mai riscontrata prima a un tale livello di complessità, di creare indici semanticamente raffinati e artico- lati, sempre connessi al contesto di partenza e potenzialmente legati a una quantità infinita di informazioni aggiuntive; le op- portunità offerte dal supporto digitale in questo senso possono essere sfruttate ai fini della creazione di uno dei desiderata della geografia classica, un lessico, o dizionario critico aggiornato della geografia antica47. I metodi di text mining consentono l’automa- tizzazione del lavoro di estrazione delle informazioni, ma il supporto digitale può prestarsi a rappresentare anche il carattere editorialmente complesso di un’opera del genere, che richiede, evidentemente, un lavoro profondamente analitico da parte di una varietà di figure specializzate. Ma il processo di analisi spaziale comporta anche un arricchi- mento della nozione di edizione critica che va ben oltre il concetto di “indice”: la narrazione spaziale nel suo complesso può essere vista come un sistema linguistico e cognitivo funzionale alla navigazione, il prodotto coeso di una civiltà, e si presta dunque a metodi innovativi di analisi e rappresentazione48. Infine, il merito principale delle Digital Humanities è l’aver rimesso in essere, concretamente, quella interdisciplinarità che in queste discipline si è perduta da tempo: l’attenzione quasi Internet. Perciò, forse, sarebbe meglio che siano i diretti interessati a dettare le modalità con cui questo processo dovrebbe avvenire, proprio al fine di evi- tare il più possibile il rischio della perdita di informazioni e metodi. Diversa- mente, saranno i ‘giganti dell’informazione’ a definire come e dove questa si- tuazione si evolverà, e a spese di chi. 47 La necessità di un dizionario critico della geografia antica è già stata messa in rilievo da D. Marcotte, Les Géographes Grecs, tome I, introduction générale, Pseudo-Scymnos . Circuit de la Terre, texte établi et traduit par D. Marcotte, vol. I, Les Belles Lettres, Paris 2000. 48 M. Thiering-K. Geus (ed. by), Features of Common Sense Geography: Im- plicit Knowledge Structures in Ancient Geographical Texts, Lit Verlag, Berlin- Münster-Wien-Zürich-London 2014. Chiara Palladino 176 esclusiva alle cosiddette culture classiche ha comportato spesso la perdita, involontaria, del contesto generale, quello del mondo antico e premoderno, in cui le civiltà oggetto di studio intera- giscono con altre, che esistono con pari dignità, e sono portatrici di altri modi di vedere il mondo. Nell’ambito del digitale, le disci- pline dell’antichità greca e romana hanno certamente segnato il passo con anticipo, ma numerose altre si stanno facendo strada, arricchendo le metodologie già in essere e contribuendo a porre le premesse per una visione “globale” dell’antichità. Fra i nume- rosi progetti oggi attivi, mi preme citare l’immenso archivio di risorse bibliografiche, prosopografiche e geografiche messo a punto per il siriaco nel progetto Syriaca49, la creazione di un atlante rifinito e profondamente connesso alle fonti letterarie per il mondo islamico50, e il crescente perfezionamento delle tecnolo- gie di data mining, named entity recognition e network visualiza- tion attualmente in atto per il cinese51. Si spera, dunque, che in futuro la ricerca digitale possa contribuire a ricreare un’imma- gine del mondo antico e premoderno che ne restituisca la piena complessità culturale e storica. 49 T.A. Carlson et al., Syriaca.Org: The Syriac Reference Portal. Consultato il 05/03/2018: http://syriaca.org/. 50 M. Seydi-M. Romanov, Al-Ṯurayyā Project, 2013-. Consultato il 10/02/2018: https://althurayya.github.io/. 51 Si veda ad esempio H. De Weerdt, Information, Territory, and Networks: The Crisis and Maintenance of Empire in Song China, Harvard University Asia Center, Cambridge 2015. http://syriaca.org/ https://althurayya.github.io/ Spazi antichi e futuri possibili 177 Abstract. This paper summarizes the current situation of Ancient Geography within the larger context of the Digital Humanities. It proposes an overview of the most important achievements and initiatives in the digital analysis of spatial sources, emphasizing their innovative approaches in research, but also con- sidering issues in the difficult relationship between machine-based collection of data and the traditional means of investigation of the Humanities. In con- clusion, it proposes a set of promising methods and strategies to be pursued for the future of the spatial analysis of premodern sources. Keywords. Ancient Geography, Digital Humanities, Digital Editions, GIS, Network Theo- ry, GeoHumanities, Digital Libraries. Chiara Palladino Furman University, Classics Department chiara.palladino@furman.edu