Iperstoria – Testi Letterature Linguaggi www.iperstoria.it Rivista semestrale ISSN 2281-4582 Recensioni/Reviews Issue 12 – Fall/Winter 2018 215 Dialoghi traduttologici. Il testo letterario e la lingua inglese Michela Marroni Chieti, Solfanelli, 2018, pp. 203 Recensione di Annarita Taronna* Denso e ambizioso. Così si profila, fin dalle prime pagine, il libro di Michela Marroni, una studiosa curiosa e critica che con questa sua ricerca si inserisce nel dibattito sulla traduzione e sugli studi letterari proponendo riflessioni teoriche e ipotesi metodologiche particolarmente innovative. Partendo dallo stato dell’arte dei Translation Studies sia in ambito nazionale che internazionale, l’autrice indaga le diverse questioni che caratterizzano questo campo di studi e le diverse (inter)testualità in esso implicate. Fra tutte, emerge la necessità di approfondire la fenomenologia dell’atto traduttivo ponendo l’accento sul soggetto che traduce e sui problemi che è chiamato di volta in volta ad affrontare. Partendo dall’assunto che ogni traduttore ha un suo punto di vista, non solo sulle strategie da trattare ma anche sulla posizione da assumere rispetto alla cultura ricevente, l’autrice individua nell’“inventiveness” (capacità inventiva) la principale peculiarità del mestiere di (saper) tradurre. Affidandosi alla propria creatività, il traduttore di un testo letterario- ma non solo- deve vincere una sfida, ma più precisamente deve sapere utilizzare gli artifici disponibili senza per questo minare l’essenziale letterarietà dell’opera originale, vale a dire cercando * Annarita Taronna è ricercatrice in Lingua e Traduzione Inglese presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari. I suoi ambiti di ricerca includono gli studi sulla traduzione, gli studi culturali e di genere, la lingua e la letteratura chicana e afroamericana. Ha pubblicato diversi articoli in ambito nazionale e internazionale ed è autrice di tre libri: Pratiche traduttive e gender studies (Aracne 2006); Interrogating the language of advertising. Dis/similarities between English and Italian ads (Papageno 2006), Black Englishes. Pratiche linguistiche transfrontaliere Italia-USA (Ombre Corte 2016). È inoltre curatrice di diversi volumi sulla teoria e prassi della traduzione interculturale, sugli studi di genere, traduzione e censura, sulle letterature di frontiera e sulla didattica dell’inglese come L2. Attualmente è impegnata in un progetto di ricerca sul ruolo della mediazione linguistica nei contesti migratori d’emergenza (i.e: CARA, CIE, SPRAR) e sulle varietà di inglese utilizzate tanto dai mediatori quanto dai migranti appena sbarcati sulle sponde del Mediterraneo. Iperstoria – Testi Letterature Linguaggi www.iperstoria.it Rivista semestrale ISSN 2281-4582 Recensioni/Reviews Issue 12 – Fall/Winter 2018 216 l’invisibilità. Il successo dipende dalla capacità di sapere “inventare” una lingua che dialoghi con l’originale. A sostegno di questa concezione ben definita del ruolo del traduttore, Marroni vede nell’utilizzo delle note di traduzione il terreno più fertile da cui fare emergere elementi ermeneutici che rivelano le scelte del traduttore. Per dare corpo e sostanza alle sue riflessioni teoriche, la studiosa guarda alle traduzioni dei grandi classici del passato che pongono il traduttore dinanzi a un dilemma: storicizzare o modernizzare il testo di partenza? Attingendo alle sue letture di scrittori del Settecento inglese come Defoe e Swift e ad autori dell’Ottocento come Jane Austen, George Eliot, Charles Dickens, l’autrice sposta il punto di osservazione sul tema poco discusso dell’obsolescenza delle traduzioni dell’opera letteraria. Assumendo che non esiste una traduzione definitiva dei classici, Marroni ci ricorda che il sistema culturale di una nazione avrà sempre bisogno di nuove versioni come segno della permanente trasformazione nel tempo delle conoscenze, dei costumi e del linguaggio. Per dare validità alle sue tesi, la studiosa compie una doppia operazione: da un lato, prende in esame diverse opere letterarie inglesi e rintraccia, con molta accuratezza, la storia delle loro traduzioni italiane e dei loro traduttori; dall’altro, esplora con altrettanta accuratezza i profili bio-bibliografici di alcune note traduttrici inglesi che hanno fatto della loro attività traduttiva un progetto politico e, per certi versi, potremmo dire protofemminista. Alla prima operazione corrisponde l’analisi delle quattro traduzioni italiane di Mansfield Park di Jane Austen di cui Marroni prende in considerazione non solo il piano dell’interpretazione del testo, ma anche quello del linguaggio. Spingendo l’analisi traduttologica ben oltre quello che studi precedenti hanno fatto sugli stessi temi, l’autrice indaga il modo in cui alcuni segmenti testuali incentrati sul tema dell’influenza – che alcuni parenti avrebbero provato ad esercitare sulla protagonista imponendole un matrimonio con Henry Crawford - sono stati resi in italiano dai vari traduttori. Un altro interessante case- study attraverso cui la studiosa ripercorre la storia delle traduzioni dei classici inglesi e dei loro traduttori è il confronto tra le traduzioni italiane di Ulysses: quella di Giulio de Angelis; quella di Enrico Terrinoni e quella di Gianni Celati. Qui lo sforzo compiuto non è soltanto di analisi traduttiva, ma intertestuale, estetico e politico, visto che Marroni fa evincere un dialogismo fra tutte e tre le traduzioni che vivono l’una affianco all’altra in un gioco di ipotesi e possibilità interpretative scaturite dal confronto con il testo originale. Con la seconda egregia operazione, Marroni traccia i profili bio-bibliografici di Sarah Austin e George Eliot nelle vesti di traduttrici. Il lavoro di traduzione di Sarah Austin ci viene presentato come un atto traduttivo culturalmente impegnato e al tempo stesso come un’operazione editoriale dal forte impatto socioeconomico. Vista la rilevanza politica del lavoro austiniano, si potrebbe parlare di traduzione come consapevole deviazione strategica dell’originale. In altri termini si tratta di un processo di appropriazione da parte della traduttrice che svolge l’importante funzione di mediatore culturale nel quadro di un discorso ideologico mirato, per dirla con Marroni, “a fare dell’inglese la lingua in grado di controllare le altre lingue esattamente come la borghesia vittoriana negli stessi anni mirava a divenire un centro egemonico capace di controllare ai vari livelli i popoli oltre i confini nazionali” (p.110). Il discorso su Austin s’innesta esattamente sul problema della femminilizzazione della traduzione nei primi decenni dell’Ottocento. In tal senso, la peculiarità della posizione di Austin sta nel fatto che ogni suo comportamento professionale mirasse a trasformare punti di debolezza, così come si evince dalla sua scelta di studiare il tedesco che non si riteneva fosse una lingua particolarmente congeniale alla mente femminile. Marroni rintraccia ancora questioni di genere e di potere relative alla pratica traduttiva ripercorrendo l’esperienza di George Eliot la quale, oltre ad essere esponente di spicco della grande tradizione del romanzo inglese, fece ascoltare la sua voce autorevole anche in ambito traduttologico nel ruolo di traduttrice di importati lavori di filosofia e teologia. La studiosa ci presenta una Eliot attenta osservatrice dei processi traduttivi e dell’impatto socioculturale prodotto in Inghilterra dai libri tradotti in altre lingue così come emerge dal suo saggio intitolato “Translations and translators” e apparso su Leader il 20 ottobre 1855. Di questo saggio, Marroni enfatizza, come segue, la riflessione di Eliot sul ruolo del traduttore e delle responsabilità che pertengono all’atto traduttivo di cui enuclea tre elementi fondamentali: “la pazienza che vuol dire un richiamo allo svolgimento del lavoro secondo ritmi che consentono verifiche e controlli anche da parte di atre persone qualificate; la fedeltà che, dal unto di vista della sua personale esperienza, rimanda alla necessità di Iperstoria – Testi Letterature Linguaggi www.iperstoria.it Rivista semestrale ISSN 2281-4582 Recensioni/Reviews Issue 12 – Fall/Winter 2018 217 avere un rapporto di rispetto verso il testo originale; e un senso di responsabilità da parte del traduttore che deve fare di tutto per penetrare nelle profondità del pensiero dell’autore che sta traducendo” (p.141) Per concludere, la chiarezza e la fluidità narrativa con cui l’analisi storica, teorica, linguistica e traduttiva è stata condotta in maniera quasi capillare su tutti i temi proposti nel volume di Marroni, permette al lettore di apprezzare i nuovi orizzonti testuali inaugurati dalle donne che hanno fatto della traduzione uno spazio intertestuale liminale, politico, femminista, come se non ci fosse più un originale cui tornare a guardare.