Byron e il femminile: La verità in maschera (Alessandra Calvani) Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 63 Alessandra Calvani – Università di Roma Tre Byron e il femminile: La verità in maschera calvani@uniroma3.it Se con la parola “fascino” intendiamo dare un nome a quella capacità di attrar- re e sedurre del tutto fuori dell’ordinario che costituiscono la caratteristica più rilevante di particolari luoghi, oggetti o persone e se consideriamo l’intensità con cui a volte questa dote si manifesta, tanto da essere considerata una sorta di malia 1, d’influsso malefico esercitato grazie all’intervento di qualche potere diabolico cui è quasi impossibile sottrarsi, allora Lord Byron può senz’altro es- sere definito uno degli uomini più affascinanti di tutto l’Ottocento. Celeberri- mo in patria, la sua fama lo precedeva ovunque andasse. Conobbe personal- mente quasi tutti i personaggi più famosi a lui contemporanei, da Mme de Sta- el a Shelley; più di una generazione lo elesse a proprio mito, fino a creare una vera leggenda intorno alla figura dello scrittore che contaminò non poco an- che i giudizi letterari sulla sua opera. Le ragioni che hanno portato ad un suc- cesso simile sono sicuramente varie e mai come in questo caso può essere utile indagarle: con Lord Byron infatti non abbiamo semplicemente uno scrittore famoso, che certamente non era il solo personaggio celebre dell’Ottocento, ma ci sembra piuttosto di assistere alla creazione di un mito letterario, di un personaggio pensato e studiato per essere “venduto” al pubblico, insomma la sensazione è quella di essere di fronte ad una straordinaria operazione di mar- keting, sicuramente senza precedenti, operazione assolutamente moderna che per la vastità e l’entità delle proporzioni raggiunte può essere paragonata, non uscendo di metafora, alla pubblicizzazione di un marchio di fabbrica. Quanto consapevolmente una simile impresa sia stata perseguita dal protagonista non è facile da stabilire, di certo, i suoi primi tentativi letterari non lasciavano pre- sagire il clamoroso successo che lo avrebbe letteralmente travolto da lì a pochi ———————— 1 D’altronde la parola fascinum in latino significava appunto incantesimo, malia, che a sua volta deriva dalla parola latina malus, cattivo. Alessandra Calvani Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 64 anni. Hours of Idleness, del 1807, una delle prime opere di Byron 2, sono una raccolta di versi scritti alla maniera “sentimentale”, niente di più, eppure già in questo primo tentativo, è possibile scorgere un primo embrionale progetto, una prima volontà di successo. La poesia cui Byron aveva cercato di ispirarsi era quella dei Della Cruscan, in particolare, Jerome Mc Gann suggerisce la deri- vazione degli Hours of Idleness dagli Hours of Solitude di Charlotte Dacre 3, autrice di poesie sentimentali piuttosto note ai contemporanei. Ma la stroncatura dell’Edinburgh Review gli fa rinnegare il proprio modello e con English Bards and Scottish Reviewers sancisce questo cambiamento di posizione. La bocciatura dell’Edinburgh era inevitabile: quella dei Della Cruscan era una poesia tipicamen- te femminile, poco consona ad un pubblico e ad un autore maschili. La codifi- cazione dei ruoli nell’Ottocento era molto rigida: difficile, se non impossibile, per una donna uscire dall’ambito che le era stato riservato, ossia quello della famiglia 4 e del sentimento. Le autrici che riuscirono a raggiungere il successo come poetesse devono questo loro risultato proprio all’aver accettato il ruolo che era stato loro assegnato, basti per tutte l’esempio di Marie Williams, poe- tessa di gran moda, distrutta da uno scandalo sentimentale che ha definitiva- mente sancito la non identità del personaggio idealizzato con quello reale e quindi la fine della sua “gloria” poetica. Bisogna inoltre considerare come lo scrivere poesie “sentimentali” fosse anche una fonte di guadagno per le autrici, il che costituiva una violazione inaccettabile, un primo atto di ribellione alla consuetudine che voleva la donna in posizione di totale dipendenza soprattut- to economica rispetto all’uomo, prima causa della loro oppressione. Il tema del femminile romantico è certo un argomento da approfondire meglio, quello che però mi preme soprattutto evidenziare è proprio questa precisa scelta di Byron di rinnegare la fonte della propria ispirazione, sacrificandola alle con- venzioni dell’epoca proprio perché, come afferma lo studioso Mc Gann, Hours of Idleness was still judged too mawkish and sentimental – this time not by a provincial audience, but by the mighty and male Edinburgh Review […]. The proc- ess is one in which Byron tries to redeem himself and his work by making a scape- ———————— 2 La prima opera in assoluto dell’autore è infatti del 1806, Fugitive Pieces, che Mc Gann caratterizza come: “distinctly marked by that sort of very respectable poetry which English Bards ridiculed in the sentimental verse of various writers, and particularly in the work of Dacre and in the work of his later close friend Tom Moore” (in Mc Gann 2002:56). 3 “This verbal echo is in fact only one part of the massive act of allusion to Dacre which constitutes the title page of Byron’s book” (Mc Gann 2002:54). 4 E non è un caso se le scrittrici di romanzi gotici identificassero spesso proprio all’interno delle mura domestiche i loro “persecutori” e la propria dimora come il luogo della loro “detenzione”, senza poi considerare come da sempre i luoghi chiusi, circoscritti, possano sì essere riparo e protezione ma anche occultamento e quindi luogo in cui poter scatenare i più bassi istinti al riparo da occhi indiscreti. In proposito vedi anche A. Castol- di, “Lo spazio del desiderio”, in Innocenti 1995:45-59. Byron e il femminile Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 65 goat of writers and writing which had given literal birth to his own imagination. (Mc Gann 2002:5) La questione quindi sembra delinearsi meglio: il giovane Byron, allora diciot- tenne, legge poesie sentimentali e ne trae la primissima ispirazione. Pubblica i Fugitive Pieces, ma immediatamente ne sospende la stampa pubblicando però su- bito dopo gli Hours of Idleness, che Mc Gann definisce: “a deliberate effort to tone down the ‘sentimentalities’ which had so heated up, in their presumably different ways, the readers of Fugitive Pieces” (2002:56). Purtroppo anche questo secondo tentativo fallisce e Byron decide allora di sacrificare la primitiva vena sentimentale per dare al pubblico e ai critici della Edinburgh ciò che chiedevano. In realtà, Mc Gann definisce l’attacco condotto da Byron nei confronti della po- esia di Charlotte Dacre un atto di “bad poetic faith” (ibid.:57), e vedremo poi quanto effettivamente il poeta abbia tagliato i ponti con questo genere di poesia. È comunque evidente come, con la pubblicazione del Childe Harold, il passaggio dal femminile al maschile sia ormai decretato. È lecito a questo punto volere in- dagare meglio i motivi che hanno portato Lord Byron a disconoscere le proprie radici, la propria fonte d’ispirazione; perché Byron ed i critici dell’Edinburgh Re- view sono così pronti a condannare la poesia sentimentale, di matrice femminile, per esaltare invece la nuova poesia, questa volta “virile” o quanto meno ritenuta tale, proposta da quello stesso autore che avevano stroncato senza esitazione? Innanzitutto una prima notazione: se di norma siamo abituati a considerare il femminile romantico come quella sorta di figura eterea e idealizzata che veniva rappresentata nelle opere letterarie e teatrali dell’Ottocento, faremmo bene a considerare anche una circostanza di non poco conto circa l’origine di tali opere, ossia l’essere tutte o quasi state scritte da autori, non da autrici. Il personaggio raffigurato quindi risponde chiaramente alla concezione maschile del femminile, ma non dice niente su come le donne rappresentavano loro stesse. In realtà, an- che se abitualmente le opere del romanticismo inglese più studiate e conosciute sono sicuramente quelle dei poeti da sempre considerati più rappresentativi dell’epoca, ossia Wordsworth, Coleridge, Blake, Keats, Shelley e Byron, non dobbiamo dimenticare l’esistenza di scrittrici, anche piuttosto famose tra i con- temporanei, oggi purtroppo per lo più dimenticate. Analizzando tali opere ci sorprenderemmo allora nello scoprire come e quanto l’immagine ed il ruolo del femminile differiscano l’uno dall’altro. In genere si è portati a credere che i poeti del sentimento debbano necessariamente affidare un ruolo importante alle don- ne, almeno come co-protagoniste degli avvenimenti descritti, ma analizzando meglio le loro opere noteremmo alcuni particolari che portano a riflettere. Consideriamo infatti la rappresentazione della Natura nei poeti romanti- ci: tutti la identificano come femminile. Ora se pensiamo al ruolo di fonda- mentale importanza che la Natura ha nella poesia dell’Ottocento non po- tremmo che attribuire alla cosa una conferma del valore positivo attribuito al Alessandra Calvani Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 66 femminile e della funzione fondamentale che svolge nell’universo romantico. Andando ad osservare con più attenzione però, noteremmo che tale Natura costituisce l’oggetto del desiderio maschile, oggetto che l’uomo vuole possede- re. Mellor notava come: …by identifying nature as the external objective world which the self-conscious sub- ject must penetrate, posses and interpret, even to the point of “forcing some lone ghost / Thy messenger, to render up the tale / Of what we are”, [my italics] as the problematic Narrator of Percey Shelley’s Alastor puts it in an image that suggests a calculated and violent rape of Mother Nature, these poets often go further than pre- vious poets in denying to Nature her authority. (Mellor 1993:21) L’artista romantico allora, che attribuisce alla Natura il potere di creare, di dare vita e che perciò è rappresentata al femminile, non esita ad eliminare qualsiasi ostacolo che venga a frapporsi tra sé e la conquista di tale potere. L’artista al- lora diviene colui che crea, mentre la Natura-donna è solo un mezzo, è la fon- te d’ispirazione, è ciò che consente al poeta di elevarsi ad uno stadio superiore, letteralmente “cannibalizzando” l’altro e assumendone così le caratteristiche. Ecco allora che quando i poeti romantici insistono sulla loro capacità di ama- re, di sentire fortemente e più degli altri, stanno in realtà appropriandosi anche di quel terreno che da sempre era considerato l’unico interamente di proprietà delle donne. L’amore-passione è ciò che viene esaltato di più dalla cosiddetta seconda generazione romantica, il che sembrerebbe suggerire un’effettiva va- lutazione del femminile in termini positivi in quanto rappresentazione di un al- tro che è però degno dell’amore del poeta, considerazione questa completa- mente ribaltata da Anne Mellor che notava: “But when we look closely at the gender implications of romantic love, we discover that rather than embracing the female as a valued other, the male lover usually effaces her into a narcissi- stic projection of his own self” (Mellor 1993:25). È quello che fa Shelley quando parla di Mary Godwin, affermando che la loro somiglianza è tale che se descrivesse le sue qualità sentirebbe di parlare delle qualità sue proprie: è il desiderio di vedere nell’altro un nuovo se stesso. Questa fusione può essere raggiunta solo con la scomparsa dell’altro, con l’annullamento delle diversità e della divisione esistente tra gli amanti. Così Mellor osserva come Manfred’s embrace of his sister-bride Astarte – chosen because she “was like me in lineaments – her eyes, / her hair, her features, all, to the very tone / Even of her voice, they said there like to mine; / But soften’d all and tempered into beauty” (Act II, sc ii, 11:106-109) – is fatal; and both the Byronic hero of the Turkish Tales and Don Juan leave in their wake a series of female corpses, from Medora and Kaled to Haidée.” (Mellor 1993:26) Nell’amore romantico dunque non trova spazio il riconoscimento dell’altro; il Byron e il femminile Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 67 poeta è troppo preso dalla propria individualità e solo ad essa può dedicarsi completamente 5, ecco allora che il femminile deve essere assimilato per essere trasformato in maschile: “The woman must finally be enslaved or destroyed, must disappear or die. […] In matters of love, these poets frequently, and nar- cissistically, idolized female mirrors of themselves, mirrors inevitably shattered by their biographical experiences of female otherness” (Mellor 1993:26). Il Romanticismo, quindi, compie una vera e propria incursione nel femminile, minaccia duramente l’esistenza di ciò che è altro, ma lo fa più subdolamente che in passato, rischiando perciò di riscuotere un successo totale nell’impresa. Il poeta romantico si appropria così delle caratteristiche del femminile che più ritiene degne di sé, consegnando tutto il resto al silenzio o alla categoria del negativo, del demoniaco. Quanto di ciò che si è finora affermato possa essere ritrovato nelle opere di Byron è piuttosto facile da constatare. L’eroe byroniano, sensibile e inna- morato, ha sempre al suo fianco una figura femminile eterea, immateriale che puntualmente non sopravvive al passaggio dell’eroe 6. Non troviamo perso- naggi femminili dotati di una personalità forte, in grado di competere con quella del protagonista e qualora le donne di Byron mostrassero capacità d’azione, coraggio o anche semplicemente indipendenza di pensiero, suscite- rebbero solo orrore e non ammirazione perché i loro atti non possiedono mai la forza della ragione, ma solo la violenza dell’istinto 7. Pensiamo a Conrad e alla moglie del sultano che uccide il proprio consorte per salvarlo: il travesti- mento e la morte sono ciò che le consentiranno di restare accanto all’amato in una sorta di espiazione del proprio peccato fino alla catarsi finale. L’immagine della donna indipendente, capace di vivere senza la presenza maschile, è asso- ———————— 5 È la stessa forte coscienza di sé e della propria individualità che secondo Thorslev impedirebbe agli eroi di Byron di annullarsi nell’Assoluto, provocando quel Weltshmertz che caratterizza gli eroi dell’Ottocento. 6 Del resto è Byron stesso che nel Don Giovanni dirà: “Alas! The love of women! It is known / To be a lovely and a fearful thing; / For all of theirs upon that die is thrown, /And if ‘tis lost, life hath no more to bring / To them but mockeries of the past alone, / And their revenge is as the tiger’s spring, / Deadly, and quick, and crushing; yet, as real / Torture is theirs, what they inflict they feel. / They are right; for man, to man so oft un- just, / Is always so to women; one sole bond / Awaits them, treachery is all their trust; / Tought to conceal, their bursting hearts despand / Over their idol, till some wealthier lust / Buys them in marriage – and what rests beyond? / A thankless huband, next a faithless lover, / Then dressing, nursing, praying, and all’s over.” (Don Juan, II.199-200.1585-1600). 7 E Byron in particolare paragona spesso le sue compagne più “indisciplinate” ad a- nimali selvaggi, per lo più alle tigri, come nel caso di una lettera scritta a John Murray, nella quale, parlando della sua relazione con la Fornarina e raccontando di quando, una sera di tempesta, lei lo aspettava in ansia sui gradini di palazzo Mocenigo, afferma: “La sua gioia nel rivedermi era mescolata anche ad una vena di ferocia e mi fece pensare ad una tigre che abbia salvato i suoi cuccioli” ed ancora “In breve era, come ti ho detto prima, uno splendi- do animale, bellissimo e vitale” (in. Byron 1985:88-92). Alessandra Calvani Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 68 lutamente negata, la studiosa Mellor notava anzi come: Neither Shelley nor the other romantic poets ever imagined a utopia where women existed as indipendent, autonomous, different – but equally powerful and respected – authors and legislators of the world. When a female character or principle asserts her independence or difference in canonical Romantic poetry, she is all too frequently defined as an evil to be eradicated or overcome. (Mellor 1993:28). Byron in particolare, nonostante l’estrema sensibilità dei suoi eroi, non ha mai mostrato riguardo per la dignità femminile 8 e ironizza sulle donne intellettuali 9 “who have ‘hen- pecked you all’ and portrays a powerful female ruler, Empress Catherine of Russia, as a bloodthirsty whore” (Mellor 1993:27). Del resto l’accusa d’effeminatezza lo aveva sempre molto colpito. L’Ottocento non la ri- teneva una caratteristica degna di lode ed anzi esistevano tutta una serie di tratta- ti ‘medici’ che descrivendone le cause cercavano di eliminarne l’effetto. Il fem- minile era associato alla passività, al languore, alla rilassatezza e la masturbazione era ritenuta la causa principale dell’effeminatezza. Non solo, tali trattati descri- vono l’onanismo come nocivo e pericoloso e ne parlano come di una pratica comune soprattutto tra le ragazze, che se negli uomini provocherebbe passività, nelle donne porterebbe alla manifestazione di doti maschili, caratteristica questa assolutamente orribile nell’Ottocento. La repressione sessuale era totale. Quella di effeminatezza era quindi un’accusa grave e Byron non esita a scagliarla contro Keats, accusandolo di onanismo in poesia. In realtà il suo sembra essere più un atteggiamento, un comportamento da assumere necessariamente in pubblico se si voleva riscuotere successo. L’accusa di effeminatezza l’aveva sempre spaven- tato, cosa questa dimostrata anche dalla fretta con cui ha ritenuto opportuno di- sconoscere la sua poesia quando una simile accusa gli era stata rivolta; la sua omosessualità poi lo metteva ancora di più in pericolo 10 e più di un conoscente lo aveva criticato per una certa sua languidezza, per la sua vanità, per una certa dose si passività che non si addicevano all’eroe dei suoi romanzi. Se questo quindi era il femminile per l’uomo romantico, come vedevano ———————— 8 In una lettera a Thomas Moore, del 28 gennaio 1817, afferma ad esempio che “la fortuna di sicuro è donna, ma non p** come le altre (sempre salvando tua moglie e mia so- rella da questa condanna generale)”, (Byron 1985:29) o ancora in una lettera a Hoppner del 10 gennaio 1820, “Per Madame Cicognara, invece, è proprio un mistero […] se è vero il suo racconto, almeno come lo riferiscono le sue com-puttane. Riesco a capire come le nuove regole debbano aver prodotto una forte con-catin-azione tra le gentildonne venezia- ne” (Byron 1985:111) e le citazioni possono continuare ancora a lungo. 9 In particolare, parlando di Felicia Hemans in una lettera a John Murray del 12 agosto 1820, l’accusava di scrivere “false stilted trashy style which is a misture of all the styles of the day – which are all bombastic” e concludeva dicendo “if [she] knit bluestockings instead of wearing them it would be better”, (Byron 1974-1982:158,182 vol. VII). 10 L’omosessualità in Inghilterra era reato da pena di morte. Byron e il femminile Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 69 se stesse le scrittrici dell’Ottocento? La loro idea del femminile differiva com- pletamente da quella dei loro colleghi uomini. Il punto dolente, sul quale tutte o quasi insistevano, era il problema della fondamentale eguaglianza di uomini e donne e di conseguenza sul diritto all’istruzione femminile. Fin dal 1790 Ca- therine Mackaulay aveva posto la questione con la sua Letters on Education ed il suo discorso venne successivamente portato avanti dalla Wollstonecraft che volle attaccare la definizione stessa di femminile come legata all’emotivo e all’illogico; le donne potevano essere capaci di sentimenti, ma erano assoluta- mente prive di razionalità. Anne Kostelanetz Mellor attribuisce la diffusione e la promozione dell’idea di “rational woman” (1993:40) a personaggi quali Mary Astell, Hanna More e Mary Wollstonecraft, il cui pensiero ebbe notevole influenza sulle scrittrici inglesi negli anni tra il 1780 ed il 1830. Marie Edge- worth, nella sua Belinda, dà un chiaro esempio della nuova ideologia romantica al femminile. Vari sono i “tipi” rappresentati, dalla donna intrigante e alla mo- da, dotata di spirito ma che ha anche molto sofferto (Lady Delacour), alla campionessa dei diritti della donna, Harriet Freeke. In realtà, “[she] goes in Edgeworth’s opinion too far. […] She assumes the worst aspects of masculin- ity – tyranny over the weak, cruelty, infidelity, physical violence – rather than fusing, as Belinda does, the positive qualities of both genders” (Mellor 1993:42). Il vero ideale di donna proposto dalla Edgeworth è piuttosto rappre- sentato dalla protagonista, Belinda; è lei che riesce ad ottenere un matrimonio basato sull’uguaglianza e la compatibilità della coppia; come precisa ancora Mellor (1993:44), “Clarence Hervey achieves the same only after he has reco- gnized that the truly valuable relationship is with a woman who is not inferior or grateful dependent but his equal in intellectual and moral achievements”, e non è un caso che la critica abbia preferito la figura di Lady Delacour a quella di Belinda. L’immagine della donna razionale che realisticamente sceglie il me- glio per il proprio futuro, non è l’immagine maschile della donna sentimentale e passionale, che sacrifica tutto all’amore di un uomo. Le scrittrici “femmini- ste” dell’Ottocento non vogliono una donna aggressiva, che assuma caratteri- stiche maschili, sarebbe stato assurdo proporre un simile modello. Se l’eccen- trico poteva caratterizzare l’eroe byroniano, non avrebbe assolutamente potu- to riscuotere favore alcuno in una donna. Tuttavia, anche la figura della freak- ish feminist viene rappresentata dalle scrittrici inglesi, ma non perché venga considerata un modello da seguire, ma più semplicemente per mostrare la loro estraneità a tale personaggio ed assumere così un tono più rassicurante, cui po- teva essere concessa la possibilità di venire ascoltato. La donna nell’Ottocento vede ancora e realisticamente il matrimonio come l’unica possibilità che le vie- ne concessa per vivere un’esistenza dignitosa. Questo è un dato di fatto da cui non si può prescindere. Le è concesso però di indirizzare la sua scelta verso l’uomo a lei più adatto, quello che le può consentire un’esistenza tranquilla Alessandra Calvani Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 70 grazie alla stima che riuscirà a conquistarsi presso di lui. Ciò che quindi va as- solutamente evitato è proprio il cedere alle passioni, alle tentazioni dell’irra- zionale e molte scrittrici 11 si sforzano di descrivere i pericoli cui va incontro una ragazza incapace di mantenere il dominio di sé. Anche Jane Austen de- scrive le proprie eroine come donne soprattutto di “buon senso”. Per lei, ciò che effettivamente deve esserci alla base dell’amore di una donna è la gratitu- dine, gratitudine per la bontà dimostrata nei suoi confronti, cosa questa rivela- ta dalla stessa Jane Austen nella precisa scelta dei termini che utilizza nel de- scrivere la vita coniugale di una delle sue eroine, precisando appunto come “…Darcy still has the power not to allow either his sister or his wife to “take liberties” with him. He remains the master of Pemberley, controlling the “lib- erties” of all the women enclosed within” (Mellor 1993:57). Anche l’idea di stato e di governo vista dal punto di vista femminile è completamente differente da quella maschile. Le scrittrici proponevano una sorta di stato-famiglia, nel senso che il modello famigliare doveva essere esteso al governo della nazione: “feminine Romanticism was distinctly class-biased in favor of the middle class, trating the lower classes as ‘children’ to be governed, controlled, and reformed, and incorporating the heroic virtues previously as- signed to the aristocracy into the middle class” (ibid.:59). La società doveva essere cambiata, ma non con guerre e rivoluzioni, piut- tosto invece gradualmente, grazie alle cure e alle attenzioni di coloro che de- vono sorvegliare il loro sviluppo. Da quanto abbiamo detto appare quindi evidente come, a differenza del Romanticismo maschile che privilegiava l’individualità dell’uomo, nel Roman- ticismo femminile il rapporto con l’altro era invece fondamentale. La donna romantica non è un individuo a se stante, vive in famiglia ed è grazie al ricono- scimento dell’altro da sé che sente la forza della propria dignità. Naturalmente non tutte le autrici erano “femministe”, molte anzi erano le scrittrici 12 che nel- le loro opere, soprattutto poesie, rappresentavano quella stessa eterea, passio- nale ed emotiva figura femminile che tanto successo aveva riscosso presso il pubblico 13. Abbiamo visto come Mc Gann accenni all’influsso che questo ti- po di poesia sentimentale aveva avuto su Byron e come attribuisca ad un vero e proprio atto di bad poetic faith l’aver rinnegato la sua iniziale fonte d’ispirazione. Secondo l’autore inglese tuttavia, Byron resterebbe debitore nei ———————— 11 Vedi ad esempio Letters of Julia and Caroline di Mary Edgeworth e Julia di Helen Maria Williams. 12 Vedi Letitia Elizabeth Landon e Felicia Hemans. 13 In particolare, la Mellor afferma: “Together, Burke, Rousseau and Byron define the hegemonic domestic ideology of the Romantic period: the construction of the ideal woman solely as daughter, lover, wife and mother, one who exists only to serve the inter- ests of male children and adults, and whose value is equated with her beauty, submissive- ness, tenderness and affection” (Mellor 1993:109). Byron e il femminile Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 71 confronti della poesia sentimentale, in particolare per quel che riguarda la cen- tralità del tema dell’amore; ciò sarebbe evidente nella rappresentazione delle relazioni tra uomini e donne che lo scrittore inglese esemplifica nella sua poe- sia negli anni tra il 1808 ed il 1816 (Mc Gann 2002:58). Ora Mc Gann afferma che nella visione sentimentale dell’amore, “when an individual only pretends to the intensities and sensitivities of sentimental love, he (or she) betrays not merely the persons who are love-engaged, they betray love itself in its fullest expression” (ibid.:59). Byron accetta una tale concezione della relazione amorosa, “the partner […] is his epipsyche; and that a total love – experience – physical, mental and spiritual – is the goal” (ibid.:59). In realtà abbiamo visto come questa sia una visione interamente maschile del rapporto amoroso: in questo caso o l’altro viene assimilato oppure il poeta sentirà tutta la frustrazio- ne dell’impossibilità di fondersi con l’oggetto del desiderio. Byron non fa ec- cezione e Mc Gann rileva anzi come: “even in his Childe Harold mode Byron typically represents himself true to love, but cruelly kept from it by interven- tions beyond his control […]. In any case, love is lost – mysteriously, fatally lost, but not by the will of Childe Byron, who is at all times and in all places love-devoted” (ibid.:59). L’impossibilità quindi di raggiungere l’identificazione con l’amata viene attribuita ad una colpa da imputare all’amata stessa. L’amante byroniano è sempre fedele, è l’oggetto del desiderio che si sottrae al suo amore, anche semplicemente con la morte o dedicandosi ad un altro a- mante come vorrebbero suggerire le poesie dedicate a Mary Chaworth, Susan Vaughan, Lady Frances Wedderburn Webster e Lady Caroline Lamb; la rap- presentazione di questo “Byronic myth” (ibid-.:59) verrebbe sviluppata dal po- eta tra il 1808 ed il 1816 in una serie di liriche composte appunto pensando al- le donne citate poco prima. Mc Gann prende in esame tre liriche in particola- re, “[Again Deceived! Again Betrayed]”, scritta per Susan Vaughan, la lirica scritta per Caroline Lamb che inizia con “Go – triumph securely – that trache- rous vow” e “When We Two Parted”, dedicata a Lady Frances. In tutte e tre queste poesie Byron è l’amante ingannato e tradito dalla sua donna. Secondo Mc Gann si tratterebbe di tre esempi di “lying like truth, a work which once again deceives and betrays sentimental love by its pretences to faithfulness and candor” (ibid.:60). La prima lirica venne scritta appunto per Susan Vaughan, “a Newstead servant-girl” (ibid.:60), in occasione della scoperta del tradimento di lei da par- te di Byron. L’inganno non sarebbe però quello della ragazza, ma quello per- petrato da Byron stesso nei suoi confronti, illudendosi di credere nella sua fe- deltà e nello stesso tempo illudendola; “But the greater deception of the po- em, and the source of its strenght, lies in its assent to its own self-deception” (ibid.:60). Mc Gann ritiene che il poema voglia mostrare come in realtà siano le costruzioni della propria mente a ferire e a tradire l’altra persona e se stessi. Alessandra Calvani Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 72 Anche nella poesia scritta per Caroline Lamb incontriamo la figura dell’ingan- natrice, solo che questa volta l’inganno risiede nel fatto che, pur essendo Lady Caroline perfettamente fedele al suo Byron, pure ha ingannato qualcun altro per esserlo, ossia il marito, “The poem therefore sets out to immagine the fu- turity of such a love-relationship, to imagine the certainty of Byron’s loss of her and the corresponding certainty of her “career” of deceit” (ibid.:62). L’ultima considerata, “When We Two Parted”, completa il ciclo, anche perché “Byron for the first time deliberately casts the poem as a work of de- ception” (ibid.:62), pubblicandolo con una falsa data per evitare riferimenti di- retti alla sua relazione con Lady Frances. Secondo Mc Gann la falsa datazione della poesia vorrebbe suggerire che quanto accaduto nella vita di Byron tra il 1808 ed il 1816, costituisca piuttosto la rappresentazione delle sofferenze del poeta stesso perpetrate dalla mano di donne infedeli ed insincere (ibid.:62). I versi scritti per Annabella Milbanke saranno il coronamento di questa sua rap- presentazione di sé. Lady Byron infatti sarà l’infedele per eccellenza, colei che non è rimasta vicina al suo compagno quando ne aveva bisogno, colpevole di una sorta di “moral adultery”, come lo definisce Mc Gann (ibid.:63) 14. In real- tà il vero inganno è quello della mente. L’io romantico non troverà mai la sua donna ideale semplicemente perché troppo preso da se stesso. “The unfaith- fulness of Byron’s many women, therefore, is in the end a Byronic figura of the betrayed and betraying imagination, which is specifically a male imagina- tion” (ibid.:64). La morte dell’idea del femminile byroniano sarebbe rappresen- tata dalla morte di Astarte, “Manfred’s homunculus, his imagination, and the triumph figured in this play is the triumph of Manfred’s “life” over the long disease of his imagination” (ibid.:64). Ciò che è importante notare è il fatto che le liriche di cui abbiamo parlato non sono state scritte da Byron per essere pubblicate, che infatti vennero pubblicate solo dopo la sua morte. Secondo Mc Gann quindi, nelle opere pubblicate tra il 1808 ed il 1816, “Byron’s myth of the fallen women is distinctly muted” (ibid.:65) ed anzi lo studioso nota come sia lo stesso meccanismo di “occultamento” che Byron aveva attivato ad essere occultato; “I speak not – I trace not – I breathe not thy name: this no- ———————— 14 In particolare Mc Gann analizza alcune opere di Byron, tra cui Sardanapalus, in cui l’autore, attraverso il travestimento dell’opera letteraria, approfondirebbe, in maniera indi- retta, questioni personali. Nello specifico con Sardanapalus Byron si rivolge alle tre donne che dominavano la sua vita nel 1821: Teresa Guiccioli, Augusta Leigh e Lady Byron. A quest’ultima Byron assocerebbe il personaggio di Zarina, moglie affettuosa e indulgente, benevolente nei confronti del marito nonostante tutto. Le somiglianze con la vicenda reale di Byron non sarebbero certo sfuggite al suo pubblico e nemmeno a Lady Byron, per la quale lo scrittore ha creato un ruolo diverso da quello assunto nella vita reale. Sardanapalus allora sarebbe una maschera per Byron stesso che dietro la finzione scenica cercherebbe in realtà d’instillare nella mente del suo lettore l’immagine di una donna e di una moglie, quale avrebbe dovuto essere se avesse amato veramente il proprio compagno. Byron e il femminile Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 73 torious unpublished poem may stand as the epigraph of the Byronic mode” (i- bid.:65). L’inganno perpetrato dall’immaginazione, questa sarebbe quella male- dizione, quel misterioso segreto che perseguita tutti gli eroi byroniani. Eppure il Lord Byron degli anni tra il 1817 ed il 1824 è molto diverso ed è nel Don Giovanni che il cambiamento si mostra appieno (Mc Gann 2002:66). Donna Giulia è il nuovo personaggio femminile; niente è cambiato, la donna è ancora colei che inganna, la differenza sta nella consapevolezza dell’inganno. Giulia conosce se stessa, non cerca di costruire un’immagine di sé diversa da quella che è in realtà, “[she] is a figure of simpathy and undersanding” (i- bid.:67). Mc Gann in particolare analizza una parte della lettera di Giulia a Giovanni: “My brain is feminine, nor can forget - / To all, except your image, madly blind; / As turns the needle trembling to the pole / It ne’er can reach, so turns to you my soul” (Don Juan I.195.1557-60). Due sono gli scrittori di queste righe: Giulia e Byron stesso. Giulia afferma che il suo Giovanni è la sua anima, la sua metà. Dicendo ciò Giulia parla direttamente al suo creatore, co- me sua compagna. Questa creatura dell’immaginazione, “Byron’s feminine brain”, come la chiama Mc Gann (2002:67), rende esplicita la verità che si na- sconde all’interno della dinamica dell’amore sentimentale, come Byron lo con- cepisce nei suoi poemi: “that it is a mechanism of truth telling, a procedure whereby figures of imagination tell the truth about their creators, whether the latter are aware of those truths or not” (ibid.:67-8). Il cambiamento descritto in Donna Giulia è un cambiamento di concezione dell’autore, una diversa cogni- zione del mentire e del dire la verità. Le donne nel Don Giovanni sono tutte in- gannatrici, tutte mentono ma “far from standing as a figure of reproach, ho- wever, Byron’s feminine brain becomes in Don Juan a device […] of redem- ption” (McGann 2002:68). Il cambiamento è evidente soprattutto nell’XI can- to, quando, parlando dell’ipocrisia dei politici i quali vivrebbero di bugie eppu- re non sanno mentire con spavalderia, Byron afferma: Now What I love in women is, they won’t Or can’t do otherwise than lie, but do it So well, the very truth seems falsehood to it. And after all, what is a lie? ‘Tis but The truth in masquerade; and I defy Historians, heroes, lawyers, priests to put A fact without some leaven of a lie. (Don Juan XI.36-7.286-92) Byron dunque ritiene che tutti siano “ingannatori”, ma che comunque esista una differenza tra il “lie” ed il “cant”. Se entrambi i termini infatti descrivono un allontanamento dalla società, tuttavia “the canting person reifies these de- ceptions, seeks to turn them from images of falsehood into figures of ‘truth’” Alessandra Calvani Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 74 (Mc Gann 2002:69). Tale distinzione definisce in effetti quella che è una vera e propria critica alla concezione romantica della “artistic truth” (ibid.:71). Byron infatti sembrerebbe propendere piuttosto per l’artificio poetico o più esatta- mente per ciò che lui stesso chiama “truth in masquerade”. In realtà, tale veri- tà in maschera racchiude al suo interno un’altra verità, più profonda e ce ne viene l’intuizione proprio dalla definizione stessa: quel truth in masquerade infatti rimanda al prose in masquerade dell’English Bards and Scottish Review che così defi- niva la poesia di Rosa Matilda/Charlotte Dacre. Mc Gann fa notare come l’allusione, consapevolmente o meno, ci riporti comunque a quella sorta di “peccato originale” byroniano, all’aver cioè occultato e nascosto la fonte della sua primissima ispirazione, rivelando quindi, lui stesso, una violazione alla sua stessa teoria. Se infatti Byron sembra aver superato le proprie frustrazioni a- vendone identificato la causa nell’inganno operato dalla propria immaginazio- ne, se è la consapevolezza dell’inganno a fare la differenza senza la necessità di dover mascherare i propri artifici da sincerità, qui tuttavia ci troveremmo di fronte ad un caso in cui la consapevolezza dell’inganno non avrebbe agito 15. In particolare, Byron, alle accuse di oscenità rivolte al suo Don Giovanni 16, si sarebbe difeso affermando che la lussuria è una cosa seria e non può essere suscitata dal comico, opponendo al suo poema i poemi sentimentali di Tom Moore e di Keats. In particolare Mc Gann afferma: Byron’s argument is that the verse of erotic sentimentality-Charlotte Dacre’s “prose in masquerade”, John Keats’s “p[i]ss a bed poetry” […] – turns sex from a matter of the body to a matter of the brain. Sex in poetry becomes “serious” when is delivered over to the imagination. At that point the pleasure of the text becomes not normal but, literally, erotic. (Mc Gann 2002:71-2) ———————— 15 Mc Gann sembrerebbe quindi propendere per un’allusione inconsapevole alle pa- role dell’English Bards, ma se consideriamo che la teoria del truth in masquerade viene svilup- pata appieno nel Don Giovanni, questa potrebbe semplicemente essere una confessione del- le violazioni commesse in passato, o ancora, più suggestivamente considerata l’opera nella quale la teoria viene esposta, un’incursione di spirito sterniana, una di quelle battute che tanto angustiavano i suoi lettori e che alla fine di un discorso in cui aveva con impegno cercato di convincere il pubblico di una cosa venivano poi improvvisamente a negarla con due parole. Ed in effetti, pensiamo anche ad altri episodi del Don Giovanni. Nel II canto in- fatti Byron parla con passione dell’amore delle donne, “dolce e terribile”, e della fine squal- lida che necessariamente le attende avendo gli uomini un’idea diversa dell’amore. Tale di- scorso precede la presentazione della passione di Haidée per Giovanni, ma dopo aver de- scritto l’eccezionale semplicità, purezza, candore del loro amore, Byron conclude con un “lascio Giovanni e Haidée a perorare la loro causa verso tutti quelli che leggono”, che non mi sembra proprio in tono con la profusione di parole di poco prima. 16 Tra l’altro, rispondendo alle critiche che il suo amico Hobhouse gli rivolgeva ri- guardo al Don Giovanni, Byron affermò, “if people make application is their own fault!” (Mc Gann 2002:121), affermazione che ricorda molto una frase simile detta da Sterne a proposito del Sentimental Journey. Byron e il femminile Linguæ & – 2/2005 http://www.ledonline.it/linguae/ 75 Se ciò è vero, è vero anche però che parte della verità del Don Giovanni agisce ancora sotto forma di deception e untruth; Mc Gann infatti fa notare (2002:73) come la critica di Byron al “sentimental eroticism” di Moore e Keats, possa in realtà essere rivolta a buona parte dell’epica byroniana, non ultima la scena dell’harem, dove il lettore e Byron con lui, assiste ai sogni e alle fantasie di una giovane donna anche se il narratore non è consapevole della sua “voyeurist perspective” (ibid.). “We see this innocence of his mind in his blithe assump- tion that the scene and events could only be imagined as he has imagined them” (ibid.), ma questo è semplicemente un artificio, una bugia e “…the es- sential wit of the episode arises from the narrator’s conscious assumption of an innocent eye, his pretence […] that he is himself unaware of the word-plays and double meanings of his own discourse” (ibid.:73-4). Il legame tra sesso e immaginazione è quindi evidente: “the harem episode is a theatrical display of a certain kind of “sex in the head” – an onanism of poetry fully the equal of Keats’s” (ibid.:74). Ma se anche fosse possibile trovare altri episodi del genere nelle opere di Byron, tuttavia ciò non basterebbe a rendere meno affascinante la sua “truth in masqerade”; un’eccezione è sempre auspicabile perché si dice confermi la regola. Byron, amante del carnevale, può essersi lasciato troppo sedurre da quei suoi travestimenti e finire per fingere di essere ciò che non era. Come lo ha definito Manganelli nella sua presentazione alle Lettere Italiane, “Byron […] era una maschera, anche una maschera invadente, supponente, eroica” ed “in Italia l’uomo che non esisteva trovò ciò che lo affascinava: una moralità da opera buffa, psicologia da carnevale, conversazione da teatro, a- mori recitati, tutto falso e tutto vero nella insensata veracità del gioco scenico” (Byron 1985:5-6). 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