Emergenza intraospedaliera: identificare il paziente in crisi
Marcello Difonzo 1, Antonia Bisceglie 2
1 Unità di terapia intensiva Ospedale Di Venere Bari ASL Bari Corso di Laurea in Infermieristica Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
2 U.O.C. di Direzione Medica, Ospedale Di Venere, Bari, ASL Bari
Abstract
In-hospital emergency is a system designed to ensure an adequate response, in rapidity and appropriateness, to cardiac arrests and other medical emergencies, in general wards and in not-medical areas of the hospital. Early treatment of unstable patients, hospitalized in non-intensive care unit, reduces the incidence of serious adverse events such as unexpected cardiac arrest, unplanned intensive care admissions, and unexpected death.
The Rapid Response System (RRS) describes the entire process of in-hospital emergency planning. The afferent limb of the RRS is the way, managed by the ward staff, doctors and nurses, to identify the patient in crisis, at risk of physiological deterioration, and enable an appropriate response. The afferent limb includes the monitoring, the recognition of patient’s deterioration and the activation of the emergency team.
The aim of this study is to describe the dynamics of the afferent limb, focusing on the evidence about early detection of the clinical deterioration in a general ward.
Keywords: Patient in crisis; Deteriorating ward patient; Afferent limb; Rapid response systems
In-hospital emergency: how to identify the patient in crisis
CMI 2015; 9(3): 69-78
http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v9i3.1185
Gestione clinica
Disclosure
Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo
Premesse
L’emergenza intraospedaliera è un sistema strutturato per garantire una risposta adeguata, in rapidità e appropriatezza, agli arresti cardiaci e alle altre emergenze cliniche, nei reparti di degenza e in aree non sanitarie dell’ospedale. Quest’evoluzione nella medicina di cure critiche e nella gestione della malattia acuta [1] è descritta, nel 1974, da Peter Safar [2], pioniere della rianimazione cardiopolmonare: «The most sophisticated intensive care often becomes unnecessarily expensive terminal care when the pre-ICU system fails». Nell’emergenza intraospedaliera, gli specialisti in medicina critica espandono il loro ruolo al di fuori delle quattro mura della terapia intensiva [3], gestendo i pazienti con instabilità delle funzioni vitali direttamente nei reparti di degenza. Il centro delle cure per i pazienti acuti diventa l’ospedale, perché non tutte le malattie critiche si manifestano nell’unità di terapia intensiva [1].Una percentuale rilevante di malati, durante l’ospedalizzazione, al di fuori della terapia intensiva, può manifestare eventi avversi responsabili di arresto cardiaco, di ricoveri non programmati in terapia intensiva e di morte [4].
Negli anni Novanta, numerosi studi analizzano i malati con instabilità fisiologica, ricoverati nei reparti di degenza, rilevando, spesso, una risposta inadeguata al deterioramento clinico. Schein e colleghi [5], nel 1990, documentano un deterioramento dei segni vitali nelle otto ore precedenti un arresto cardiopolmonare nell’84% dei pazienti. Le alterazioni fisiologiche sono, in percentuale elevata, respiratorie, neurologiche e metaboliche; generalmente, queste non sono fatali, così gli sforzi per prevedere e prevenire l’arresto cardiaco possono essere utili. Uno studio simile [6] evidenzia che il deterioramento fisiologico si manifesta, nel 66% dei casi, nelle sei ore precedenti l’arresto cardiaco. McQuillan e colleghi [7], nel 1998, rilevano che il trattamento dei pazienti instabili, prima del ricovero in terapia intensiva, è spesso subottimale, con un aumento della morbilità e della mortalità. Il trattamento subottimale riguarda l’ossigenoterapia, le vie aeree, la respirazione, la circolazione e il monitoraggio. Le cause principali sono:
Il monitoraggio permette di identificare i malati a rischio di eventi avversi ma molti casi non sono riconosciuti dallo staff, perché i segni vitali non sono misurati [8].
Lo scopo dello studio è descrivere la dinamica del braccio afferente del Rapid Response System, mettendo in luce le evidenze sul riconoscimento precoce del deterioramento clinico di un paziente, ricoverato in un reparto ospedaliero di degenza.
Il Rapid Response System
In molte nazioni, all’interno degli ospedali, sono previsti dei team di specialisti, con medici e infermieri di terapia intensiva, per gestire le emergenze cliniche nei reparti di degenza. Nel giugno 2005, una Consensus Conference internazionale [4] rivaluta i modelli organizzativi più diffusi di gestione dell’emergenza intraospedaliera, sviluppati in Australia, Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e in molte altre nazioni. Il modello proposto, il Rapid Response System (RRS), descrive l’intero processo di pianificazione dell’emergenza intraospedaliera:
Il braccio afferente permette di individuare il malato instabile e l’allertamento di un team specialistico. Il braccio efferente è la risposta da parte di un team, esperto in cure critiche, responsabile della valutazione e del trattamento del malato. Il braccio amministrativo ha il compito di supervisionare e implementare la qualità del monitoraggio e della risposta, assicurando l’efficienza del sistema. La componente per il miglioramento del processo si occupa della raccolta dei dati per determinare il tasso di eventi, le risorse necessarie e gli esiti (Figura 1).
Figura 1. Algoritmo di funzionamento di un Rapid Response System. Adattato da [4]
CCO = Critical Care Outreach; MET = Medical Emergency Team; RRT = Rapid Response Team
I team di emergenza assumono, nei diversi stati, denominazioni diverse. I Rapid Response Team (RRT) appaiono per la prima volta nel 1997, negli Stati Uniti. Il team è sovente guidato da un infermiere o un terapista respiratorio, in altri casi da un medico [9]. Il Critical Care Outreach (CCO), introdotto nel 2000 [10], è diffuso soprattutto in Gran Bretagna. Il team funziona fornendo assistenza a pazienti ricoverati nei reparti di degenza o come servizio di sorveglianza per i malati dimessi dalla terapia intensiva [4,11]; prevede un unico infermiere o un team di infermieri di area critica [12]. Il Medical Emergency Team (MET) è il modello diffuso in Australia, Nuova Zelanda, Scandinavia e in numerose nazioni europee [4,13,14]. Il team prevede un medico e un infermiere di terapia intensiva e opera 24 ore al giorno.
Una recente metanalisi, nel 2015 [15], include 22 studi sull’arresto cardiaco non previsto e 25 studi sulla mortalità ospedaliera, pubblicati nel periodo 2000-2014. I dati mostrano che l’introduzione di un Rapid Response System in ospedale è correlata, nell’adulto, a una riduzione significativa dei tassi di arresto cardiaco (risk ratio aggregato = 0,64 (0,55-0,73); p < 0.0001) e della mortalità ospedaliera (risk ratio aggregato = 0,88 (0,83-0,93); p < 0.001).
Il braccio afferente del Rapid Response System e il paziente in crisi
La seconda conferenza internazionale sul Rapid Response System [16], organizzata a Toronto nel maggio 2008, pone l’accento sulla dinamica del braccio afferente, analizzando il monitoraggio e il riconoscimento del paziente con deterioramento clinico inaspettato e improvviso.
Il braccio afferente è il percorso, gestito dallo staff di medici e infermieri dei reparti di degenza, che permette di individuare precocemente i pazienti a rischio di deterioramento fisiologico e di attivare una risposta adeguata. La dinamica del braccio afferente [4,16] è l’espressione di tre componenti: il monitoraggio, il riconoscimento del deterioramento del malato e l’attivazione della risposta (braccio efferente del Rapid Response System) [17].
Implicazioni per la pratica clinica
Osservazione e monitoraggio
I segni vitali classici, le informazioni più semplici sulla salute di un malato, sono la frequenza respiratoria, la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la temperatura. Altri parametri essenziali, facilmente rilevabili in ogni reparto ospedaliero, sono la pulso-ossimetria e lo stato di coscienza. La saturazione arteriosa di ossigeno non invasiva dell’emoglobina, misurata con la pulso-ossimetria, è definita il quinto segno vitale [18]. Lo stato di coscienza può essere valutato con la Glasgow Coma Scale [12] o con la scala AVPU (Alert, Voice, Pain, Unresponsive) [19].
Per “segni vitali” si intende la misurazione di funzioni fisiologiche vitali o critiche, mentre il termine “osservazioni” implica una gamma più vasta di rilevazioni riguardo allo stato clinico dei pazienti [20]. “Osservazione” non può essere considerata “monitoraggio”. La Consensus Conference di Toronto definisce monitoraggio: «La valutazione costante di un paziente con l’intenzione di (1) rilevare un’anormalità e (2) attivare una risposta se si è individuata un’anormalità» [16], indicando un livello di valutazione maggiore, con la registrazione dei parametri vitali e una risposta adeguata se si eccedono i limiti fisiologici.
I parametri da osservare sempre sono la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la frequenza respiratoria, la temperatura, la pulso-ossimetria e il livello di coscienza. In determinate circostanze, si devono osservare anche la pervietà delle vie aeree, il cambiamento nel comportamento del paziente, il tempo di riempimento capillare, la diuresi, gli esami emato-chimici, l’incapacità a stare in piedi (di recente insorgenza) [16]. I parametri clinici e le osservazioni rappresentano i criteri che sono inclusi, in combinazioni diverse, in modelli che permettono l’attivazione del team di emergenza del braccio efferente, definiti sistemi di track and trigger.
Il monitoraggio può migliorare l’abilità nella gestione del deterioramento clinico: ogni paziente dovrebbe avere un piano individuale di monitoraggio con le variabili misurate, la frequenza di valutazione e i valori che richiedono un intervento [16]. Il monitoraggio può essere intermittente o continuo, manuale o automatico. Per rilevare un deterioramento fisiologico il più presto possibile, e prevenire l’arresto cardiaco non previsto, sarebbe necessario un monitoraggio continuo più che intermittente [4]. La valutazione intermittente dei segni vitali dovrebbe avvenire almeno ogni 12 ore, ma sarebbe preferibile una valutazione ogni sei ore [16]. Nel 1999, lo studio australiano retrospettivo di Buist e colleghi [21] riporta, tra i pazienti con ricoveri non programmati in terapia intensiva o arresto cardiaco, una percentuale del 76% con instabilità cardiaca o respiratoria nelle ore precedenti. La durata mediana dell’instabilità fisiologica precedente l’evento acuto è di 6,5 ore.
Un sistema di monitoraggio continuo ideale deve avere una sensibilità e una specificità adeguate, essere facilmente utilizzabile dallo staff di medici e infermieri, limitare poco i movimenti del malato, avere un tasso basso di falsi positivi per evitare l’alert fatigue e raggiungere un rapporto costo-beneficio favorevole.
Diversi studi pongono l’accento sui vantaggi di un monitoraggio continuo elettronico dei parametri vitali, ma i risultati sono controversi [22-24]. Nel 2012, lo studio multicentrico di Bellomo e colleghi [23] dimostra un aumento della sopravvivenza alla dimissione dall’ospedale e una riduzione del tempo necessario per la misura e la registrazione dei parametri vitali, con il calcolo elettronico del sistema di track and trigger a punteggio aggregato. La prevenzione di ogni alterazione fisiologica e di tutte le morti evitabili richiede un monitoraggio continuo elettronico, tuttavia i sistemi elettronici di attivazione della risposta, basati esclusivamente sull’alterazione dei segni vitali, possono rappresentare un carico eccessivo per i sistemi stessi [24].
Riconoscimento del deterioramento clinico del malato
Il riconoscimento precoce di un paziente in crisi, in un reparto di degenza, richiede il monitoraggio dei segni vitali, l’osservazione di altri parametri clinici e l’uso di sistemi predefiniti per attivare la risposta. Il rilievo dei segni vitali è una responsabilità degli infermieri ed è una procedura essenziale nel riconoscimento del deterioramento fisiologico di un paziente [25]. I segni vitali sono misurati con gli apparecchi elettromedicali, tranne la frequenza respiratoria, rilevata, di solito, sulla base dell’osservazione clinica. Cretikos e colleghi [26], nel 2008, osservano che la frequenza respiratoria è un parametro spesso non rilevato e omesso frequentemente, che richiede un monitoraggio attento, anche se gli altri segni vitali sono normali. Hogan [27] riporta che la registrazione della frequenza respiratoria, da parte degli infermieri, avviene in meno del 50% dei casi.
I modelli per individuare i soggetti a rischio si basano sulla valutazione dei segni fisiologici, the tracking, con dei criteri predefiniti per attivare la risposta del team di emergenza, the trigger, chiamati sistemi di allarme fisiologici di track and trigger (Track and Trigger Systems – TTS) [28,29]. I più usati sono i sistemi a parametro singolo (Single Parameter Track and Trigger Systems – SPTTS), diffusi soprattutto in Australia e negli Stati Uniti, e i sistemi a punteggio aggregato (Aggregate Weighted Track and Trigger Systems – AWTTS), usati soprattutto in Gran Bretagna [17]. I sistemi a parametri multipli (Multiple Parameter Track and Trigger Systems – MPTTS), che richiedono due o più criteri per attivare la risposta, sono utilizzati soprattutto in Europa.
I sistemi a parametro singolo (Tabella I) prevedono una risposta tutto o nulla, con un meccanismo a soglia che permette l’attivazione della risposta quando è presente un solo criterio.
Vie aeree |
|
Respirazione |
|
Circolazione |
|
Neurologia |
|
Altro |
|
Tabella I. Criteri di allertamento del Medical Emergency Team: è sufficiente la variazione di un parametro fisiologico. Adattato da [30]
Rispetto ai sistemi a punteggio aggregato, i sistemi a parametro singolo hanno il vantaggio di essere semplici e facili da usare [17]. Il modello usato dal Medical Emergency Team [31] nel 1995, in Australia, valuta l’ostruzione delle vie aeree, la respirazione, la circolazione, lo stato di coscienza e qualsiasi variazione nel paziente che possa destare preoccupazione [30].
I sistemi a parametri multipli richiedono la presenza di più di un criterio per attivare la risposta [28,29]. Il Patient-At-Risk Team (PART), presentato da Goldhill e colleghi [32] nel 1999, prevede la presenza di tre o più criteri per attivare il team di emergenza (Tabella II).
Frequenza respiratoria |
< 10 o ≥ 25 atti/min |
Pressione arteriosa sistolica |
< 90 mmHg |
Frequenza cardiaca |
< 55 o ≥ 110 battiti/min |
Saturazione di ossigeno |
< 90% |
Diuresi |
< 100 ml nelle ultime quattro ore |
Altri criteri |
Paziente non pienamente sveglio e orientato e frequenza respiratoria ≥ 35 atti/min o frequenza cardiaca ≥ 140 battiti/min |
Tabella II. Criteri di allertamento del Patient-At-Risk Team. La presenza contemporanea di tre o più criteri attiva il team di emergenza. Adattato da [32]
Il sistema proposto da Radeschi e colleghi [33] nel 2008, utilizzato soprattutto in Italia, prevede la valutazione secondo l’approccio Airway, Breathing, Circulation, Disability, Exposure (sistema ABCDE). I criteri di allertamento sono distinti in rossi e gialli: per attivare la risposta è necessario un criterio rosso o la presenza contemporanea di due criteri gialli (Tabella III).
Criteri rossi |
|
Criteri gialli |
|
Tabella III. Criteri di allertamento del sistema ABCDE. La presenza di un criterio rosso o di due criteri gialli attiva il team di emergenza. Adattato da [33]
I sistemi a punteggio aggregato prevedono l’attivazione della risposta quando lo score, che deriva dai singoli parametri misurati, supera un determinato valore. Questi modelli hanno il vantaggio di fornire un trattamento più graduale, individuando un deterioramento del malato prima della soglia di attivazione della risposta, e sono più sensibili. Lo svantaggio deriva dalla maggiore complessità nel loro uso, che spesso richiede l’impiego di tabelle e strumenti elettronici per calcolare il punteggio totale [17].
I sistemi di early warning score si basano sull’assegnazione di un punteggio alla variazione dal range di normalità di ogni variabile fisiologica misurata, la somma è lo score finale [28,29]. Questi modelli permettono una serie di risposte: un trattamento diretto del malato, un aumento della frequenza di monitoraggio, l’allertamento del medico di reparto o del team di emergenza. L’Early Warning Scoring System (EWSS) originale, proposto da Morgan e colleghi [19] nel 1997, usato soprattutto in Gran Bretagna, prevede il monitoraggio di quattro parametri fisiologici, frequenza cardiaca, pressione arteriosa, frequenza respiratoria, temperatura, e un’osservazione, lo score AVPU (Alert, Voice, Pain, Unresponsive) (Tabella IV).
Score |
3 |
2 |
1 |
0 |
1 |
2 |
3 |
Frequenza cardiaca (battiti/min) |
< 40 |
41-50 |
51-100 |
101-110 |
111-130 |
130 |
|
Pressione arteriosa sistolica (mmHg) |
< 70 |
71-80 |
81-100 |
101-199 |
> 200 |
||
Frequenza respiratoria (atti/min) |
< 8 |
9-14 |
15-20 |
21-29 |
> 30 |
||
Temperatura (C°) |
< 35 |
35,1-36,5 |
36,6-37,4 |
> 37,5 |
|||
Stato di coscienza |
A |
V |
P |
U |
Tabella IV. Criteri di allertamento dell’Early Warning Scoring System. Un punteggio ≥ 3 attiva il protocollo. Adattato da [19]
In seguito, sono introdotti il Modified Early Warning Score (MEWS) [34] e il National Early Warning Score (NEWS) [35], per garantire una valutazione standard nel Servizio Sanitario Nazionale, in Gran Bretagna, con tre livelli di allertamento: basso (punteggio 1-4), medio (punteggio 5-6), alto (punteggio ≥ 7) (Tabella V).
Score |
3 |
2 |
1 |
0 |
1 |
2 |
3 |
Frequenza cardiaca (battiti/min) |
≤ 40 |
41-50 |
51-90 |
91-110 |
111-130 |
≥ 131 |
|
Pressione arteriosa sistolica (mmHg) |
≤ 90 |
91-100 |
101-110 |
111-219 |
≥ 220 |
||
Frequenza respiratoria (atti/min) |
≤ 8 |
9-11 |
12-20 |
21-24 |
≥ 25 |
||
Temperatura (C°) |
≤ 35 |
35,1-36 |
36,1-38 |
38,1-39 |
≥ 39,1 |
||
Stato di coscienza |
A |
V, P o U |
|||||
Saturazione di ossigeno (%) |
≤ 91 |
92-93 |
94-95 |
≥ 96 |
|||
Supplemento di ossigeno |
Sì |
No |
Tabella V. Criteri di allertamento del National Early Warning Score. Il rischio clinico è basso per i punteggi 1-4, medio per 5-6 e alto se ≥ 7. Adattato da [35]
I sistemi combinati comprendono i modelli a parametro singolo o a parametri multipli usati in combinazione con i sistemi a punteggio aggregato.
Un sistema di track and trigger ideale deve avere un’accuratezza adeguata per riconoscere il maggior numero di pazienti a rischio, evitando i falsi allarmi e le chiamate improprie. Una sensibilità alta permette di identificare un numero elevato di pazienti con i criteri di allertamento, una specificità alta permette di evitare un allertamento improprio.
La maggior parte dei sistemi di track and trigger ha una sensibilità bassa, un valore predittivo positivo basso e una specificità alta [29]; tuttavia, i sistemi di track and trigger si dimostrano efficaci nel migliorare il tasso di risposta alla chiamata [36]. La review sistematica di Gao e colleghi [37], del 2007, valuta l’accuratezza e la precisione dei sistemi di track and trigger a parametro singolo, a punteggio aggregato e dei sistemi combinati, nell’identificare i pazienti a rischio di deterioramento clinico. Lo studio indica la mancanza di evidenze sull’accuratezza dei sistemi di track and trigger, una sensibilità bassa e l’impossibilità nell’identificare il sistema migliore.
L’applicazione di nuove tecnologie può essere una soluzione per migliorare l’accuratezza e l’efficacia del monitoraggio e dei sistemi di allertamento. L’EarlySense è un sistema di monitoraggio continuo, in combinazione con una tecnologia multipla, che prevede un sensore, posto sotto il materasso, per rilevare la frequenza respiratoria, la frequenza cardiaca e i movimenti del paziente. Il sistema prevede un’allerta quando i parametri fisiologici superano una soglia predefinita; inoltre, permette l’allertamento degli infermieri per evitare le cadute del malato e le ulcere da pressione. Uno studio recente valuta gli effetti dell’EarlySense [38] sul monitoraggio di frequenza cardiaca e frequenza respiratoria in unità mediche e chirurgiche, dimostrando una riduzione significativa della durata del ricovero e dei giorni di ricovero in unità di terapia intensiva per i pazienti trasferiti.
Attivazione della risposta: il braccio efferente
Diversi elementi influiscono sull’attivazione del braccio efferente e condizionano l’efficacia del trattamento, nei malati a rischio. Aspetti importanti sono i “fattori umani” (human factors), espressione che indica il modo in cui i membri dello staff sanitario interagiscono tra loro e con la tecnologia, e le “competenze non tecniche” (non-technical skills). In questo senso, attitudini, comunicazione, teamwork e consapevolezza situazionale sono altrettanto importanti quanto il trattamento medico [39]. Il ritardo o la mancata attivazione di un team di risposta rapida può condizionare l’esito del malato e aumentare i ricoveri in terapia intensiva. Quando la presenza dei criteri di attivazione del Rapid Response System non è associata a chiamata del team nelle 24 ore precedenti un evento acuto, Trinkle e colleghi [40] parlano di insuccesso del braccio afferente. Nei pazienti con insuccesso del braccio afferente, confrontati con quelli senza insuccesso, c’è un aumento significativo di ricovero non previsto in terapia intensiva (34,4% vs 22,5%); la durata del ritardo condiziona la mortalità ospedaliera (52,5% vs 31,9%).
I Rapid Response System sono attivati soprattutto dagli infermieri dei reparti di degenza [11,41]. Uno studio rileva che gli infermieri non individuano e non trattano adeguatamente i pazienti con deterioramento clinico per mancanza di esperienza, di abilità e per eccessivo carico di lavoro [42]. La review di Odell [25], del 2014, analizza la pratica infermieristica nella gestione del paziente in deterioramento con il protocollo dell’early warning score. Rispetto a precedenti ricerche, c’è un miglioramento della registrazione dei segni vitali, ma l’accuratezza dell’early warning score e la richiesta di aiuto a clinici più esperti restano subottimali. Diverse survey, realizzate in singoli centri ospedalieri, valutano le barriere all’attivazione dei team di emergenza, coinvolgendo gli infermieri dei reparti di degenza. I fattori che influenzano positivamente l’attivazione del MET includono i percorsi didattici frequentati e la partecipazione a corsi sulla rianimazione cardiopolmonare, l’opinione sull’aiuto che il MET apporta nella gestione del paziente acuto, il miglioramento delle condizioni di lavoro [43-45]. I fattori con influenza negativa sono lo scoraggiamento da parte dei medici, la paura di subire critiche e l’aderenza a modelli che portano a contattare il medico di reparto prima di attivare il MET [44,45]. Davies e colleghi [46], nel 2014, dimostrano un tasso di aderenza basso ai criteri di attivazione del MET da parte di medici e infermieri.
La partecipazione a corsi di educazione continua può migliorare le attitudini verso il Medical Emergency Team. Radeschi e colleghi [47], nel 2015, presentano i risultati di una survey multicentrica italiana, in dieci ospedali per adulti, che coinvolge medici e infermieri di reparti medici e chirurgici. La maggioranza valorizza il Medical Emergency Team; per gli infermieri il medico di reparto è il maggior ostacolo all’attivazione del MET. La ricerca mostra che essere medico, lavorare in un reparto chirurgico vs medico, l’anzianità professionale e la partecipazione al corso METal sono elementi associati a una probabilità minore di mostrare barriere all’attivazione del Medical Emergency Team.
Conclusioni
Gli ammalati, negli ospedali moderni, sono sempre più complessi, a rischio di complicanze responsabili di eventi avversi durante l’ospedalizzazione. Nei reparti di degenza, questa situazione richiede un approccio diverso alle cure, che comprende la gestione da parte dello staff di medici e infermieri dei reparti e il supporto da parte di clinici esperti in cure critiche, quando la gravità della malattia rende necessario un trattamento intensivo.
Il riconoscimento precoce del paziente in crisi richiede l’efficienza di tutti gli elementi del braccio afferente del Rapid Response System: il monitoraggio del paziente, l’uso di modelli adeguati con criteri predefiniti per attivare la risposta e il processo di attivazione del team di emergenza.
Il rilievo costante dei parametri fisiologici permette di riconoscere il deterioramento clinico. Il monitoraggio continuo elettronico dei segni vitali può migliorare il riconoscimento di un paziente in crisi. Le evidenze di alcuni studi indicano un miglioramento negli esiti, ma i risultati non sono conclusivi. La sorveglianza dei parametri fisiologici e l’uso dei sistemi di track and trigger garantiscono l’allertamento precoce del team di risposta rapida. Tuttavia, bisogna tener conto dei falsi allarmi e delle chiamate improprie legate all’accuratezza di questi sistemi. La mancata attivazione del braccio efferente può aumentare la frequenza di ricoveri non programmati in terapia intensiva.
Infine, è necessario uno studio più approfondito dei fattori che influenzano l’attività infermieristica nel trattamento del paziente in crisi nei reparti di degenza degli ospedali.
Punti chiave
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