Utilizzo in monoterapia di tenofovir in una coorte di detenuti ristretti nei penitenziari della regione Molise e affetti da epatite cronica lieve da HBV

Roberto Patriarchi 1, Antonio Di Nicola 2, Orazio Grassi 2, Giuseppe De Bartolomeo 3

1 UO Medicina Penitenziaria Asrem

2 UO Malattie Infettive PO “A. Cardarelli”, Campobasso – Asrem

3 UO Medicina Generale PO “Veneziale”, Isernia – Asrem

Abstract

Inmates are a population at risk for hepatitis B virus infection. It affects about 2% of Italian prisoners, while the prevalence in the Molise region seems to be higher, accounting for around 4% of the inmates.

The Authors report their experience in a penitentiary in the management of chronic hepatitis B with tenofovir. In particular, 10 male patients affected by HBV-related chronic hepatitis naïves to treatment confined in the prisons of the Molise region were treated with tenofovir 245 mg/die. The results show a satisfactory response, excellent tolerance, and no interruptions.

Keywords: Tenofovir; HBV; Hepatitis B; HBV-DNA; HBsAg

Use of tenofovir monotherapy in a cohort of prisoners confined in the prisons of the Molise region and affected by mild HBV-related chronic hepatitis

CMI 2015; 9(4): 109-114

http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v9i4.1218

Case series

Corresponding author

Roberto Patriarchi

patriarchi@hotmail.com

Disclosure

Il presente articolo è stato realizzato con il supporto incondizionato di Gilead Sciences Srl

Introduzione

Nel mondo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito che circa 240 milioni di persone sono portatori cronici dell’antigene di superficie dell’epatite B (HBsAg+). In Italia fortunatamente l’epidemiologia dell’epatite B ha subìto profondi cambiamenti grazie al miglioramento delle nostre condizioni socio-economiche e sanitarie, prevalentemente dovute all’introduzione della vaccinazione obbligatoria contro l’epatite B dal 1991. Ciò ha comportato una progressiva riduzione dell’incidenza dei casi di epatite acuta B che, per i nuovi casi, riguarda quasi esclusivamente soggetti adulti nei quali la trasmissione dell’infezione da HBV si verifica per lo più per via sessuale. L’infezione cronica da HBV rappresenta un problema sanitario tutt’altro che risolto in Italia, incrementato dall’aumento della immigrazione da aree in cui la circolazione del virus è ancora endemica e anche dalle cosiddette popolazioni fragili, quali tossicodipendenti, senza fissa dimora (SFD) e detenuti.

Giovani, sovrappeso, fumatori, affetti da almeno una patologia cronica: è questo il quadro dei detenuti delle carceri italiane scattato dall’Agenzia Regionale di Sanità (ARS) Toscana attraverso un’indagine condotta nel 2014 in 6 regioni (Toscana, Lazio, Umbria, Veneto, Liguria, Campania-ASL Salerno), finanziata dal Centro di Controllo delle Malattie (CCM) del Ministero della Salute e pubblicato nell’aprile 2015 [1]. In tutto sono stati presi in esame 15.751 detenuti, per il 96,5% uomini e per il 60% appartenenti alla fascia di età compresa tra 30 e 49 anni (l’età media è 39,6 anni). La nazionalità straniera costituisce il 46,3% del campione (i nordafricani sono il gruppo etnico più rappresentato, seguito dagli est europei).

Il 67,5% dei detenuti in esame è risultato affetto da almeno una condizione patologica, anche non grave. Dalla ricerca emerge, in particolare, l’importanza che ricoprono, nella popolazione detenuta, i disturbi psichici, le malattie infettive e quelle dell’apparato digerente.

Le malattie infettive e parassitarie colpiscono l’11,5% di tutti i detenuti sottoposti a visita, confermando di essere un gruppo di patologie ad alta prevalenza nella popolazione detenuta. In particolare, l’epatite C costituisce la malattia infettiva più diffusa all’interno delle strutture penitenziarie partecipanti al nostro studio, con una prevalenza del 7,4%, seguita da epatite B e AIDS che colpiscono, entrambe, il 2% degli arruolati.

Nella regione Molise sono presenti tre Istituti penitenziari (Campobasso, Isernia e Larino), con una presenza media giornaliera di circa 300 detenuti. A fine 2014 è stato condotto uno studio epidemiologico sulle principali patologie presenti, che sembra confermare sostanzialmente il dato nazionale.

Il 70% dei detenuti ristretti nelle Case Circondariali presenti nella regione Molise è affetto da almeno una patologia: si confermano soprattutto disturbi psichici, malattie infettive e dell’apparato digerente.

Il 18% ha una patologia infettiva e parassitaria. Il 70% è fumatore (contro il 23% della media della popolazione generale), con una prevalenza di disturbi dell’apparato respiratorio pari all’8%.

Fra le malattie infettive e parassitarie, l’epatite C pertanto costituisce la malattia infettiva più diffusa all’interno della strutture penitenziarie del Molise, con una prevalenza del 7%, seguita da epatite B, che, nel Molise, colpisce il 4% dei detenuti arruolati.

L’epatite cronica HBV-correlata rappresenta oggi nel mondo un importante problema di salute pubblica, collocandosi al primo posto come causa di cirrosi epatica ed epatocarcinoma [2]. La storia naturale dell’epatopatia HBV-correlata è caratterizzata dall’alternanza di fasi di attiva replicazione e fasi di bassa o assente replicazione virale, che dipendono dall’interazione tra il virus e il sistema immunitario. L’andamento nel tempo è variabile, ma sostanzialmente progressivo passando dall’epatite cronica attiva con vari gradi di fibrosi, alla cirrosi e alle sue temibili complicanze, fino all’epatocarcinoma fatale.

La tendenza alla progressione della malattia è determinata da fattori propri del virus e dell’ospite (eventuale presenza di coinfezioni HCV, HIV, HDV, eventuale abuso alcolico, sovrappeso, malattie metaboliche e stato immunitario dell’ospite). Molti dei detenuti sono anche extracomunitari e vanno considerati immunodepressi in senso lato (perché spesso sono malnutriti, senza fissa dimora e hanno vissuto in condizioni precarie di igiene) e pertanto esposti a una più facile progressione della malattia epatica verso la cirrosi. L’indicazione al trattamento è identica per i pazienti HBeAg-positivi e negativi e si basa prevalentemente sulla combinazione di livelli sierici di HBV-DNA, valori di ALT e valutazione della fibrosi epatica effettuata con esame istologico da agobiopsia epatica o con elastografia transiente (Fibroscan®) [3,4], una tecnica semplice e riproducibile che permette di misurare la rigidità del fegato per una diagnosi non invasiva della fibrosi epatica. Seguendo le linee guida della European Association for the Study of the Liver (EASL) [5], i pazienti devono essere considerati da trattare quando i livelli di HBV-DNA sono > 2.000 cp/ml e/o i livelli di ALT sono anche di poco al limite superiore della norma e viene evidenziata una fibrosi moderata/grave. L’endpoint ideale della terapia viene considerato la scomparsa dell’HBsAg con successiva sieroconversione ad antiHBs, evento significativamente associato al miglioramento della prognosi del paziente. Ma l’endpoint più desiderabile consiste nel sopprimere efficacemente e persistentemente la replicazione di HBV. L’obiettivo prioritario nel trattamento dei pazienti affetti da epatite cronica B è rappresentato dalla soppressione persistente e prolungata della viremia: l’inibizione persistente e prolungata della replicazione virale comporta lo spegnimento della necroinfiammazione e il successivo rallentamento della progressione verso la fibrosi-cirrosi e le sue temibili complicanze (scompenso e epatocarcinoma – HCC) [6], in ultima analisi migliorando la qualità della vita e aumentando la sopravvivenza. Dalle nuove direttive EASL emerge in maniera imperiosa il concetto di intervenire quanto più precocemente possibile per modificare la storia naturale dell’epatite cronica B prima che evolva verso una cirrosi epatica avanzata.

Nella nostra esperienza abbiamo trattato una coorte di 10 pazienti adulti di sesso maschile detenuti in Molise con epatite cronica HBV-correlata (mai trattati precedentemente) con tenofovir 245 mg/die.

Pazienti, metodi e risultati

Numero pazienti

10

Pregresse terapie

No

Epatite cronica

Lieve (fibrosi F0-F2)

Marker HBV positivi

HBsAg, AntiHBc e AntiHBe

HBV-DNA (media)

8.300 cp/ml

ALT (media)

50 UI/l

Tabella I. Caratteristiche generali della coorte e soglie utilizzate

Per la diagnosi e la stadiazione dell’epatite cronica da HBV abbiamo utilizzato un insieme di esami che viene indicato dalle linee guida dell’EASL, anche seguendo le linee guida dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF), per la gestione dei soggetti affetti da infezione cronica da HBV, che prevede: marcatori biochimici (AST, ALT, γGT, fosfatasi alcalina, bilirubina, protidogramma elettroforetico, emocromo e PTT), HBV-DNA qualitativo e quantitativo espresso in cp/ml ed effettuato tramite PCR, marcatori virologici per la ricerca di eventuali coinfezioni (HCV, HIV, HDV), valutazione di eventuale presenza di comorbilità, come danno epatico da alcol, steatosi o steatoepatite, valutazione della fibrosi con Fibroscan® [7], ecografia epatica. L’indicazione al trattamento viene posta per i soggetti con HBV-DNA > 2.000 cp/ml, eventuale rilievo di ipertransaminasemia anche lieve, con presenza di eventuale fibrosi anche lieve-moderata [5,8,9].

Già alla quarta settimana di trattamento abbiamo considerato endpoint primario valutare la risposta virologica (HBV-DNA < 12 UI/ml) ricontrollata poi a 3 e 6 mesi di trattamento. Endpoint secondari sono stati nella nostra valutazione l’eventuale normalizzazione delle ALT (controllo mensile), l’eventuale sieroconversione ad antiHBs (valutazione a 6 mesi), l’eventuale comparsa di breakthrough virologico (> 1 Log cp/ml), l’eventuale modificazione della stiffness epatica con Fibroscan® (controllo a 6 mesi), l’eventuale tollerabilità del trattamento (controllo mensile di azotemia, creatinina, valutazione del filtrato glomerulare con controllo di creatinina-clearance, fosforemia, dosaggio di CPK ed emogasanalisi arteriosa). HBV-DNA è stato valutato in PCR a 1, 3 e 6 mesi dall’inizio della terapia [10].

L’indicazione al trattamento a lungo termine con un analogo a elevata efficacia e ottimo profilo di resistenza come tenofovir [11-14] viene fortemente consigliata in prima linea come monoterapia, ottenendo una remissione virologica nella stragrande maggioranza dei soggetti. Il pattern di risposta virologica a tenofovir viene definita in caso di HBV-DNA negativo secondo la PCR valutato ogni 3-6 mesi. Abbiamo valutato l’eventuale assenza di risposta (definita come una riduzione dei valori di HBV-DNA inferiori a 1 Log cp/ml al terzo mese di terapia) e l’eventuale comparsa di breakthrough virologico (definito come un incremento > 1 Log cp/ml dei valori di HBV-DNA rispetto al valore nadir).

I pazienti sono stati valutati per 6 mesi dall’inizio della terapia. Le caratteristiche generali della coorte, le soglie utilizzate, i parametri al basale e l’andamento della viremia sono riportati nelle Tabelle I e II e nella Figura 1.

Pazienti

Età

Comorbilità

HBV-DNA (cp/ml) 0, 1, 6 mesi

Conoscenza della malattia (anni)

Fattore di rischio

1

30

3.000, 0, 0

5

Tossicodipendenza

2

23

12.000, 0, 0

2

3

30

13.000, 0, 0

8

4

24

18.000, 0, 0

2

Tossicodipendenza

5

25

14.000, 0, 0

3

6

22

16.000, 0, 0

2

7

24

6.000, 0, 0

2

8

40

Diabete mellito non insulino-dipendente

4.000, 0, 0

8

Tossicodipendenza

9

48

Ipertensione arteriosa in trattamento

10.000, 0, 0

15

10

23

3.000, 0, 0

5

Tabella II. Parametri dei pazienti al basale. Tutti i pazienti erano di sesso maschile

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Figura 1. Distribuzione dei pazienti per età

Tutti i pazienti risultavano all’inizio essere HBsAg-positivi e HBeAg-negativi, con valori di HBV-DNA compresi tra > 2.000 UI/ml e 20.000 UI/ml, valori di ALT al limite della normalità (con valori di riferimento fino a 40 UI/l) ed evidenza di malattia lieve (F1) secondo Fibroscan®. Sono stati esclusi dallo studio i pazienti coinfetti per HCV, HIV e HDV, i pazienti con storia di abuso alcolico e altre cause di epatopatia (metabolica, autoimmunità, ecc.). Tutti i pazienti sono stati sottoposti a esame ecografico dell’addome superiore all’inizio del trattamento e successivamente rivalutati al sesto mese di trattamento: solo sei pazienti presentavano all’esame basale lieve epatomegalia, con ecostruttura epatica lievemente disomogenea e iperecogena, come da epatopatia steatosica, ma con vasi (vena porta e vene sovraepatiche) normali e non segni di scompenso (non segni di cirrosi, non versamento endoperitoneale e milza normale); gli altri quattro pazienti presentavano al basale un esame ecografico assolutamente normale.

L’aderenza al trattamento per i 6 mesi di osservazione è stata totale e non si è verificata alcuna sospensione per insorgenza di effetti collaterali (astenia, cefalea, vertigini, nausea, dolori addominali) del farmaco. Nessuno dei pazienti ha sviluppato eventi avversi. Tenofovir si è rivelato un farmaco potente, sicuro e tollerato in tutti i pazienti trattati, nonché farmaco di costo inferiore ad altri similari. Non si è verificato nessun incremento né della creatinina sierica né del fosforo sierico, valutati mensilmente: i valori mediani della creatinina, della stima del filtrato glomerulare e del fosforo non sono variati durante i 6 mesi di trattamento. La clearance della creatinina basale risultava in tutti i pazienti nei limiti della norma, ed è rimasta immodificata nel corso dei 6 mesi di trattamento. Ma l’elemento fondamentale del trattamento è stato rilevare che tutti i pazienti hanno ottenuto una soppressione virologica completa con valori di HBV-DNA rientrati al di sotto della rilevabilità sierica (< 12 UI/ml), mantenendo la negatività lungo tutto il periodo di osservazione di 6 mesi (Tabella II). Tutti i detenuti hanno presentato livelli negativi di HBV-DNA già dopo il 1° mese di trattamento (Figura 2), a conferma della assoluta efficacia di tenofovir nel determinare una valida soppressione virologica per frenare l’evolutività della malattia epatica cronica verso la cirrosi.

Il valore medio di stiffness (Fibroscan®) è stato pari a 3,7 kPa e sostanzialmente non si è modificato al controllo effettuato al 6° mese di trattamento: confrontando i valori al basale con l’elastometria al 6° mese di controllo, non si sono evidenziate modifiche sostanziali considerando il lieve grado di fibrosi iniziale. Tutti i pazienti, inoltre, hanno normalizzato la lieve ipertransaminasemia evidenziata al basale già alla quarta settimana di trattamento (Figura 3).

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Figura 2. Andamento della viremia al momento 1 (pretrattamento) e al momento 2 (dopo un mese di terapia)

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Figura 3. Andamento della transaminasi durante la terapia

In nessun paziente abbiamo evidenziato fino ad ora la perdita di HBsAg e la conseguente sieroconversione ad antiHBs, endpoint ideale che però si verifica solo raramente con i farmaci attualmente a nostra disposizione [10].

Discussione

La popolazione detenuta è da considerare a rischio di malattie infettive croniche [15], che possono essere causa di trasmissione all’interno dei penitenziari, ma anche possibili focolai una volta che i soggetti tornano in libertà. In quest’ultimo caso, spesso non si rivolgono alle strutture pubbliche per controlli e terapie delle loro patologie infettive. Pertanto il luogo migliore per una corretta diagnosi e una terapia controllata (DOT, Directly Observed Therapy) è l’ambiente penitenziario.

È essenziale, pertanto, individuarli ed eventualmente trattarli in maniera tempestiva con farmaci efficaci, potenti e vantaggiosi in termini di farmacoeconomia, come tenofovir. Nella nostra esperienza abbiamo raggiunto dopo 6 mesi di trattamento una risposta virologica ideale e soddisfacente. Nessuno dei soggetti trattati ha presentato breakthrough virologico e tutti hanno ottenuto una soppressione virologica completa. Abbiamo confermato l’ottima tollerabilità del farmaco: nessuno dei pazienti trattati ha lamentato la comparsa di sintomatologia accreditabile alla terapia effettuata. Tenofovir si è dimostrato maneggevole e dotato di un ottimo profilo di sicurezza. Per le ragioni riportate, a nostro giudizio è essenziale trattare anche i casi lievi di malattia HBV-correlata: HBV è un virus carcinogeno diretto e la sua potenziale azione oncogena va arrestata il più precocemente possibile inibendo con un farmaco potente ed efficace come tenofovir i fenomeni di necrosi e degenerazione epatocellulare che fatalmente porteranno nel tempo i pazienti verso cirrosi avanzata ed epatocarcinoma potenzialmente letale, con elevati costi sociali.

Punti chiave

Bibliografia

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