Un caso di botulino alimentare nella provincia di Viterbo

Flavia Verginelli 1, Silvia Dari 2, Silvia Aquilani 2

1 Dipartimento di Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

2 Coordinamento Vaccinazioni, Dipartimento di Prevenzione, ASL di Viterbo

Abstract

A 57 years-old woman with gastrointestinal pain, dysphagia, diplopia, dry mouth, was diagnosed with foodborne botulism caused by Clostridium Botulinum toxin. In this case a jar of vegetables preserved in oil was identified as the source of the intoxication. Canned peppers were produced at home by the patient according to traditional techniques, deemed appropriate as established use. Despite this, the procedure proved to be a health hazard.

The present article follows the diagnostic therapeutic pathway of the patient, highlighting the critical points not only related to the clinic but also to the ministerial procedures for reporting a case of botulism.

This case provides an opportunity to emphasize the need for greater awareness about how to prevent and correctly manage the cases of botulism, both by the general population and by physicians who faced a patient with suspected poisoning by Botulinum toxin.

Keywords: Foodborne botulism; Clostridium Botulinum; Home canned pepper

A case of foodborne botulism in the province of Viterbo

CMI 2016; 10(2): 27-31

http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v10i1.1248

Caso clinico

Corresponding author

Silvia Dari

silvia.dari@asl.vt.it

Disclosure

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Perché descriviamo questo caso

Per mettere in evidenza come sia possibile contrarre una patologia ormai relativamente poco frequente nel nostro paese attraverso procedure consolidate nella metodica casalinga ma comunque scorrette, come nel caso della preparazione e stabilizzazione degli alimenti che possono portare al botulismo. È necessaria quindi una maggiore diffusione dell’informazione corretta, come ad esempio le linee guida per la corretta preparazione delle conserve alimentari in ambito domestico realizzata dall’ISS in collaborazione con il CNRB

Introduzione

Il botulismo è un’intossicazione alimentare causata da una tossina prodotta dal Clostridium Botulinum [1], un bacillo Gram-positivo, anaerobio obbligato e sporigeno. Ampliamente diffuso nel suolo e nelle acque di tutto il mondo sotto forma di spora, contamina facilmente gli alimenti all’origine, ma non sono mai stati registrati casi conseguenti all’ingestione di cibi freschi o appena cotti [2]. Altre specie microbiche appartenenti al genere Clostridium sono state correlate a casi di botulismo (C. Baratii, C. Butyricum) [3], ma sicuramente il C. Botulinum risulta essere il più frequente.

Sono 3 le principali forme di botulismo [1]:

Esistono 7 tipi di C. Botulinum, indicati con le lettere dalla A alla G, distinti in base alle caratteristiche antigeniche delle esotossine prodotte. Di questi i più frequentemente responsabili di patologia nell’uomo sono i tipi A, B ed E [2]. Recentemente è stato identificato un ottavo tipo (H), che sembra essere il risultato del riarrangiamento genico delle tossine tipo A e tipo F [3]. Queste tossine sono le più potenti che si conoscano: 1 g di tossina potrebbe uccidere 100 milioni di persone [2] ed è sufficiente una quantità pari a 1x10-8 g di tossina per determinare la morte di un soggetto [10].

Dopo essere stata assorbita a livello intestinale (botulismo alimentare e infantile) o prodotta nei tessuti cutanei (B. da ferita) la tossina botulinica, attraverso il circolo ematico, raggiunge le terminazioni colinergiche periferiche, dove agisce bloccando la liberazione del neurotrasmettitore acetilcolina e causando danni delle sinapsi. Ne conseguono paralisi flaccide motorie e disfunzioni del sistema nervoso autonomo con compromissione funzionale della muscolatura corrispondente (paralisi flaccida) [6]. Nei casi di botulismo alimentare la sintomatologia neurologica compare in media dopo 24-72 ore (fino ad un’incubazione di 8 giorni) [11] ed è caratterizzata da segni gastrointestinali non correlati direttamente alla tossina botulinica (ma piuttosto alla concomitante presenza nell’alimento incriminato di altri microrganismi, come nausea, vomito e diarrea) ed altri più evidentemente correlati (stipsi ed atonia intestinale), segni neurologici oculari e faringei, con paralisi dell’accomodazione e del riflesso pupillare, diplopia, oftalmoplegia, disfagia di vario grado, secchezza delle fauci, e nei casi più gravi astenia e paralisi flaccida con progressione discendente (a partire dai nervi cranici, fino agli arti inferiori). In assenza di adeguata terapia, la morte può sopraggiungere per paralisi respiratoria o cardiaca dopo 3-10 giorni dall’inizio dei sintomi [6]. In Italia le forme di botulismo sono piuttosto lievi, e il tasso di mortalità è molto basso.

Mentre le spore sono molto resistenti nell’ambiente esterno (vengono infatti inattivate conseguentemente a trattamenti termici di stabilizzazione effettuati alla temperatura di 121°C per almeno 3 minuti) [10], le tossine prodotte, uniche responsabili della patologia neuro paralitica, sono termolabili, quindi rapidamente inattivate già a 80 °C (per 15 minuti, nel caso dei tipi A e B) [10].

Alcuni ceppi proteolitici, durante la fase di moltiplicazione, determinano una modificazione del sapore, del colore, dell’odore e della consistenza dell’alimento modificandone l’aspetto; altri ceppi, non proteolitici, non determinano alcuna modificazione evidente del cibo, nonostante la moltiplicazione e la produzione di tossine da parte del batterio. Le intossicazioni dovute ai ceppi non proteolitici sono più subdole perché gli alimenti contaminati appaiono normali dal punto di vista organolettico [10].

Nei paesi industrializzati l’efficacia dei processi industriali di stabilizzazione degli alimenti rende minimo il rischio di botulismo, mentre il pericolo maggiore deriva delle conserve di produzione domestica.

Negli Stati Uniti il botulismo rappresenta una realtà importante, con una media di oltre 100 casi all’anno: il 25% dei casi è riconducibile a botulismo alimentare, mentre la forma preponderante riguarda il botulismo infantile [1, 10].

In Europa i paesi più colpiti sono quelli dell’Est, in particolare nella zona Caucasica, principalmente a causa dell’elevato consumo di verdure inscatolate e conservate a livello domestico.

In Italia il botulismo è ancora un problema di sanità pubblica, con una media di 20-30 casi segnalati ogni anno [1]. Tra le malattie trasmissibili con obbligo di segnalazione alla ASL di competenza, l’intossicazione botulinica appartiene infatti alla prima classe (con obbligo di segnalazione entro 12 ore da parte del medico che pone la diagnosi, anche sospetta) [12]. Dal 1984 al 2010 sono stati confermati dal CNRB (Centro Nazionale di Riferimento per il Botulismo) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) 376 casi, di cui l’85% di origine alimentare. Le fonti di contagio sono risultate essere per il 72% conserve casalinghe e per il 28% industriali o artigianali [11].

In merito alla tipologia di alimento, i più coinvolti sono: conserve vegetali in olio e in acqua [13], prosciutto di produzione casalinga [14], formaggi [15], insaccati di suino (da botulus, salsiccia, deriva il nome della patologia, dalla prima osservazione di un evento epidemico, avvenuto in Belgio nel 1897) [10], conserve di carne e di pesce.

Per la diagnosi di botulismo bisogna fare riferimento a criteri clinici, di laboratorio ed epidemiologici definiti dal Ministero della Salute con una circolare del 12 ottobre 2012 [11].

Per porre il sospetto di botulismo alimentare o da ferita nell’adulto è necessario verificare la presenza di almeno una delle seguenti manifestazioni [11]:

Per quanto riguarda invece il botulismo infantile è necessaria la presenza, in soggetti di età inferiore a 12 mesi, di almeno uno dei seguenti: letargia, difficoltà nell’alimentazione, ptosi, disfagia, ipotonia generalizzata e costipazione.

I criteri di laboratorio sono:

I criteri epidemiologici prevedono che il paziente in oggetto sia stato esposto ad una fonte comune (alimenti, aghi o altri strumenti) oppure che sia stato esposto ad acqua o ad alimenti contaminati [11].

In caso di sospetto diagnostico di botulismo, la segnalazione al medico di Sanità Pubblica della ASL competente deve essere effettuata entro le 12 ore, in modo da poter tempestivamente attuare l’indagine epidemiologica, il campionamento degli alimenti e il flusso informativo nei confronti della Regione e del Ministero della Salute [11].

Caso clinico

Una paziente di 57 anni della provincia di Viterbo giunge al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Belcolle (Viterbo) il 29 settembre 2015 lamentando sintomi iniziati quattro giorni prima, quali nausea e vomito, a cui sono seguiti, a distanza di due giorni, diarrea, diplopia, secchezza delle fauci e, al quarto giorno, disfagia.

La donna è stata immediatamente ricoverata al reparto Osservazione Breve.

Dall’anamnesi è emerso che la paziente aveva mangiato peperoncini ripieni sotto olio confezionati da lei alcuni giorni prima. Al sospetto di botulismo è stata iniziata immediatamente la terapia con siero antibotulino (una unità, come riferito dal medico del Pronto Soccorso che l’ha somministrata) e sono stati inviati direttamente dall’Ospedale Belcolle al Laboratorio di riferimento dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS-Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, reparto Pericoli Microbiologici Connessi agli Alimenti), campioni ematici, di lavaggio intestinale e fecali della paziente, e il barattolo con il residuo alimentare. Non è stata effettuata denuncia di sospetto botulismo alla ASL di competenza, nei termini previsti dal sistema vigente di notifiche di malattie infettive [12].

Dagli esami effettuati dal Laboratorio dell’ISS è emersa la presenza di tossina botulinica di tipo B nel residuato dei peperoncini in olio e nel siero, mentre il Clostridium Botulinum è stato ritrovato nel lavaggio intestinale e nel residuo alimentare del barattolo (olio e piccoli pezzi di tonno, capperi, peperoncini), nulla di rilevante è emerso dal tampone rettale.

Una volta inviata la denuncia di malattia accertata alla ASL di Viterbo, è stata avviata l’inchiesta epidemiologica.

Dall’indagine è emerso che la signora aveva preparato 4 barattoli di peperoncini ripieni sotto olio con i seguenti prodotti:

La preparazione è avvenuta con le seguenti modalità:

Tappi e barattoli erano già stati utilizzati in precedenza.

La signora ha regalato un barattolo alla figlia, che ha riferito di averne mangiato il contenuto nei giorni successivi, senza lamentare alcun sintomo.

Tre giorni dopo la preparazione, il barattolo più capiente è stato aperto per una cena con 14 commensali. Nessuno ha riferito sintomi.

Il barattolo aperto è stato conservato in frigorifero. I peperoncini sono stati poi mangiati, a distanza di 7 giorni dalla produzione, dalla signora, che ha anche utilizzato l’olio come condimento per una zuppa. La stessa notte sono iniziati i sintomi.

Dei quattro barattoli prodotti:

I tecnici della Prevenzione del SIAN (Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione, Dipartimento di prevenzione ASL di Viterbo) si sono recati al domicilio della donna, con il compito di prelevare e inviare ai laboratori dell’ISS per la ricerca di Cl. Botulinum l’ultimo barattolo rimasto. I risultati sono stati totalmente negativi.

Discussione

Il presente caso offre l’opportunità di evidenziare la necessità di una maggiore consapevolezza sulle modalità di prevenzione e corretta gestione dei casi di botulismo, sia da parte della popolazione generale, sia da parte dei medici che si trovino ad affrontare un paziente con sospetta intossicazione da botulino.

Nella prevenzione del botulismo, è fondamentale il rispetto delle procedure igieniche corrette per la conservazione degli alimenti e la produzione di insaccati, sia in ambito domestico, sia a livello industriale e artigianale. Nel 2014 l’Istituto Superiore di Sanità ha elaborato e diffuso, in collaborazione con il Centro Nazionale di Riferimento per il Botulismo, le Linee guida per la corretta preparazione delle conserve alimentari in ambito domestico, che sono disponibili gratuitamente sia sul sito dell’ISS sia su quello del Ministero della Salute [16].

La paziente del caso preparava da anni alimenti sott’olio senza alcun inconveniente, usando sempre le stesse procedure, ma le conseguenze della sua disinformazione erano in agguato; anche il caso ha avuto un ruolo importante: ha messo a rischio 14 persone in una cena, ma è stata colpita solo lei dalla tossina.

Apparentemente sembrerebbe non aver commesso alcun errore (trattamento dei vegetali con aceto, sterilizzazione dei recipienti, conservazione in frigorifero dopo l’apertura del barattolo), ma analizzando in modo più approfondito il caso emergono alcune perplessità. In primo luogo i 20 minuti di bollitura partendo da acqua fredda non sono sufficienti alla inattivazione delle spore e delle tossine eventualmente presenti. È necessario infatti raggiungere almeno i 121 °C con macchinari tipo autoclave per distruggerle , e una bollitura a bagnomaria di circa 20 minuti dal momento che l’acqua inizia a bollire per l’inattivazione della tossina. La bollitura è efficace soltanto per le conserve acide (pH inferiore a 4,5) e per le marmellate/confetture, dove lo zucchero è inizialmente in pari peso alla quantità di frutta utilizzata.

Sbagliato è risultato anche il riutilizzo dei tappi senza un adeguato trattamento [18]: è meglio utilizzare una volta sola i coperchi, per evitare che possibili alterazioni di forma possano non consentire il sottovuoto o la non corretta decontaminazione degli stessi.

Inoltre il mantenimento degli alimenti in frigorifero, pur rallentando fortemente la degradazione dei cibi, non la impedisce. Pertanto è importante sottolineare che, indipendentemente dai tempi di conservazione, qualora il prodotto risultasse alterato non deve essere assaggiato né consumato, ma eliminato [16]. I sughi e le salse, gli oli aromatizzati, i succhi di frutta e il pesto vanno consumati entro 4-5 giorni dall’apertura [16]; tempi più lunghi, quali i 7 giorni del caso in esame, come dimostrato, sarebbero potuti essere fatali.

Un altro errore fondamentale che si è verificato nella gestione del caso è consistito dalla mancata comunicazione, da parte dell’Ospedale, al medico di Igiene Pubblica della sospetta intossicazione botulinica. Tale inosservanza dei flussi informativi ha ritardato l’inchiesta epidemiologica e ha messo potenzialmente a rischio altri soggetti che avrebbero potuto essere contagiati.

Bibliografia

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