Farmeconomia e percorsi terapeutici 2011; 12(2): 61-76

Profilo

Entecavir nella terapia dell’epatite B cronica: profilo farmacoeconomico

Clinical and economic profile of entecavir in the treatment of chronic hepatitis b virus infection

Mario Eandi 1

1 Cattedra di Farmacologia Clinica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Torino

Abstract

HBV infection in Italy is frequently underestimated, raising the risk of important complications, such as cirrhosis and hepatocellular carcinoma, and thus increasing mortality. In infections phases requiring treatment, it’s possible to choose among the currently available drugs: interferons, nucleoside and nucleotide analogues. Entecavir is a nucleoside analogue able to maintain a high genetic barrier, and to reduce the viral load < 300 copies/ml in 67% of HBeAg-positive patients and in 90% of HBeAg-negative patients after 48-weeks treatment, improving also necroinflammatory grade and fibrosis degree. In spite of the high cost of the confection, entecavir induces a saving in health costs because of the decrease in the disease progression. If compared, through pharmacoeconomic models and analysis, to tenofovir, a nucleotide acid considered equivalent in the first-line monotherapy of HBeAg-positive patients and in the long-term treatment of HBeAg-negative patients by the current international and Italian guidelines, it seems favourable in terms of safety and consequently in terms of costs of adverse events spared. However further studies are required: in particular direct comparative studies are still lacking.

Keywords

Entecavir; HBV infection; Nucleotide analogues

Corresponding author

Mario Eandi

mario.eandi@unito.it

Disclosure

La presente analisi è stata supportata da Bristol-Myers Squibb

Introduzione

L’epatite B è una malattia infettiva causata dal virus dell’epatite B (HBV) che si trasmette direttamente per contatto sessuale, per via ematica e da madre a figlio. In seguito al contagio, il virus infetta le cellule epatiche e il sistema immunitario viene attivato nel tentativo di rimuovere l’infezione. Quando si manifesta come epatite acuta l’infezione è autolimitante entro 6 mesi nella maggior parte dei casi con sviluppo di immunità persistente alla reinfezione. Le forme acute sono asintomatiche in circa il 70% dei casi, causano lievi sintomi nel restante 30% dei pazienti e generalmente il trattamento farmacologico non è indicato. Una piccola percentuale di pazienti sviluppa una forma di epatite fulminante, caratterizzata da grave danno epatico che richiede il trapianto di fegato.

L’epatite B cronica (CHB) si sviluppa quando la risposta immunitaria all’infezione primaria è inadeguata, il virus continua a replicarsi e vi è una presenza continua dell’antigene di superficie. Può svilupparsi dopo un’epatite acuta o anche senza manifestazioni acute. I portatori del virus possono rimanere asintomatici per molti anni prima di manifestare i sintomi dell’epatite cronica. L’epatite cronica da HBV non trattata può evolvere verso complicanze gravi a lungo termine come la cirrosi e il carcinoma epatocellulare (HCC).

L’epatite B cronica (CHB)

Prevalenza e incidenza

L’infezione da virus dell’epatite B (HBV) è una delle più comuni infezioni nel mondo, considerata un “grave problema sanitario globale” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Si stima, infatti, che circa un terzo della popolazione mondiale (circa 2 miliardi di persone) sia stato infettato da HBV e che i pazienti affetti da epatite cronica da HBV siano oltre 400 milioni [1].

I tassi di prevalenza sono molto variabili nelle diverse aree geografiche e i Paesi vengono classificati in tre classi: ad alta prevalenza di HBV (> 8%), a prevalenza intermedia (2-7%) e a bassa prevalenza (< 2%).

In Italia, alla fine degli anni ’70 l’infezione da HBV presentava un livello endemico intermedio, con grandi differenze tra aree geografiche (maggior diffusione al sud) e prevalente trasmissione intra-familiare. Inoltre, i soggetti HBsAg-positivi frequentemente erano anche HBeAg-positivi e Delta-positivi e in una percentuale elevata erano correlati con malattie epatiche croniche [2]. A distanza di pochi decenni, il quadro epidemiologico dell’infezione da HBV in Italia risulta completamente cambiato. Oggi l’Italia è un Paese con un basso tasso endemico di epatite B, una bassa proporzione di soggetti con malattie epatiche croniche risulta essere HBsAg-positivo, le differenze tra aree geografiche sono annullate, l’infezione si trasmette principalmente per via sessuale e raramente si riscontrano soggetti HBeAg-positivi e Delta-positivi. Questi radicali cambiamenti sono stati possibili in seguito all’introduzione di programmi di vaccinazione obbligatoria contro l’epatite B, a partire dal 1991, e ai miglioramenti delle condizioni socio-demografiche [3].

In Europa si verificano 1 milione di nuove infezioni da HBV ogni anno, 14 milioni di individui sono infetti cronicamente e ogni anno si registrano tra 24.000 e 36.000 morti attribuibili all’epatite B.

L’epatite B è 100 volte più infettiva dell’HIV e i soggetti che vivono con la sua forma cronicizzata sono 8-10 volte più numerosi di quelli con HIV/AIDS.

Nel 2010 è stato pubblicato uno studio che fotografa le caratteristiche dell’epatite cronica B e le tecniche di gestione in quattro Paesi europei (Germania, Francia, Spagna e Italia) [4]. Si tratta di un’indagine condotta nel 2006 da Thomas Berg e collaboratori della Clinica Universitaria di Lipsia con la partecipazione di 200 medici per un totale di 2.023 pazienti affetti da infezione cronica da HBV. Secondo questa indagine la maggioranza dei pazienti europei affetti da CHB è costituita da uomini (69%), da soggetti HBeAg-negativi (64%), con significativi segni istologici di malattia epatica (53%: nel 35% dei casi è già presente una fibrosi di grado moderato, nel 14% una cirrosi compensata e nel 4% una cirrosi non compensata). Il 71% dei 1.665 pazienti con mono-infezione da HBV era in trattamento per epatite B cronica. All’inizio della terapia, tutti i pazienti avevano livelli di alanina-amino-transferasi (ALT) ≥ 2 x ULN (limite superiore della norma), il 70% dei soggetti HBeAg-positivi aveva livelli sierici di HBV DNA ≤ 9 log10 copie/ml, mentre l’81% dei soggetti HBeAg-negativi aveva livelli di HBV DNA ≤ 7 log10 copie/ml. Nei pazienti non trattati i livelli di HBV DNA e di ALT erano rispettivamente ≤ 5 log10 e < 2 x ULN. Tra i pazienti non trattati il 48% dei soggetti HBeAg-positivi e l’84% di quelli HBeAg-negativi presentavano assenza di fibrosi epatica o fibrosi di grado lieve [4].

Il quadro epidemiologico dell’epatite B in Italia vede circa 800.000 portatori cronici del virus, e ogni anno circa 1.000 nuovi casi denunciati. Quest’ultimo dato è verosimilmente sottostimato di 5-10 volte.

Il 10% dei nuovi casi di infezione evolve in portatore cronico e un quarto di questi sviluppa patologie epatiche gravi. Si stima che siano 200.000-300.000 i soggetti con malattia potenzialmente progressiva, a fronte di soli 16.000-20.000 soggetti in terapia. Sono numeri importanti che, unitamente ai circa 23.000-24.000 morti per malattie del fegato in Italia ogni anno, di cui il 10-15% per malattia da virus B, dovrebbero indurre a non abbassare la guardia e a innalzare ulteriormente il livello di attenzione verso questo killer silenzioso.

Anche in Italia, come in gran parte del resto d’Europa, l’epidemiologia dell’epatite B è molto dinamica e l’Italia, essendo oggetto di importanti flussi migratori, sarà interessata da potenziali consistenti aumenti di prevalenza di epatite B, giacché già ora si stimano in oltre 75.000 i portatori di HBV tra cittadini immigrati su un totale complessivo nazionale di 1 milione (7,5%).

Forme di CHB

L’epatite B cronica (CHB) è definita dalla presenza dell’antigene di superficie “s” del virus dell’epatite B (HBsAg) per oltre 6 mesi. L’antigene di superficie HBsAg è presente in tutte le forme della malattia. L’età dell’infezione è fortemente correlata con la probabilità di sviluppare CHB. I soggetti infettati durante l’età perinatale hanno il 90% di probabilità di sviluppare CHB; tale probabilità scende al 30% se il contagio avviene tra 1 e 5 anni e al 2% se avviene dopo i 5 anni. Il rischio di cronicità è basso in caso di contagio per via sessuale o per via ematica (scambio di siringhe, trasfusioni, agopunture, tatuaggi, ecc.), modalità oggi prevalenti nei paesi Europei [1].

La CHB con HBeAg-positivo (anche denominata CHB wild type) è la forma iniziale prevalente in Europa e nel Nord America. La presenza dell’antigene “e” è indice di attiva replicazione virale.

La forma di CHB HBeAg-negativa è dovuta a un ceppo variante di HBV che presenta una mutazione nella regione precore del genoma: il virus può replicarsi ma non può esprimere l’antigene HBeAg [5]. L’infezione HBeAg-negativa è più frequente nell’area mediterranea e nei paesi dell’Asia Sud-Orientale. È caratterizzata da livelli meno elevati di HBV DNA e di ALT, da livelli non misurabili di HBeAg e da livelli misurabili dell’anticorpo anti-HBe [6].

L’attività della malattia è segnalata dal movimento delle ALT e può manifestarsi secondo tre differenti modalità: aumenti ricorrenti delle ALT con ritorno alla normalità tra gli episodi; aumenti ricorrenti senza ritorno alla normalità tra gli episodi; livelli costantemente elevati senza picchi.

La sieroconversione HBeAg/anti-HBe comporta la progressione della malattia o verso uno stato di portatore inattivo (a bassa o nulla replicazione virale) (95-99%) o verso la forma HBeAg-negativa (1-5%). La sieroconversione è più probabile nei soggetti anziani, nelle donne e nei pazienti con alti livellli di ALT: in quest’ultima categoria di pazienti la sieroconversione avviene spontaneamente nel 50-70% dei casi entro 5-10 anni.

La malattia epatica cronica presenta 3 diverse fasi evolutive: immunotolleranza, rottura della tolleranza, inattività. Durante la fase di immunotolleranza i livelli di HBV DNA sono molto elevati ma i livelli di ALT rimangono normali. Nessun trattamento è indicato in questa fase.

La rottura della tolleranza o fase di immunità attiva vede impegnato il sistema immunitario a combattere il virus, è caratterizzata dalla replicazione di HBV DNA e dall’aumento dei livelli di ALT, indice di flogosi epatica. Il trattamento è indicato in questa fase.

Lo stato di portatore inattivo HBsAg è caratterizzato da bassi livelli di HBV DNA e normali livelli di ALT. Questo stato, in assenza di cirrosi, presenta generalmente una prognosi benigna, ma circa il 3% dei pazienti all’anno può evolvere verso la riattivazione e la progressione dell’epatite.

Ogni anno una quota dello 0,5-2% dei soggetti con CHB sviluppa anticorpi anti-HBsAg (anti-HBs). Questo evento è più frequente nel primo anno dopo la sieroconversione HBeAg e significa la risoluzione dell’infezione cronica.

Rischio di progressione a cirrosi

Rischio di carcinoma epatocellulare

Incidenza cumulativa a 5 anni in Europa

HBeAg-positivi = 17%

HBeAg-negativi = 38%

Pazienti portatori inattivi = 0,1%

Pazienti CHB = 1%

Pazienti CHB con cirrosi = 10%

Fattori associati ad aumentato rischio

Fattori correlati all’ospite

Età > 40 anni

Sesso maschile

Grado di fibrosi all’esordio (F3)

Accessi ricorrenti di epatite

Fattori genetici

Età > 40 anni

Sesso maschile

Presenza di cirrosi

Familiarità per HCC

Etnia (asiatici, africani)

Fattori genetici

Fattori correlati al virus

Elevati tassi di replicazione HBV nel follow up

Genotipo HBV (C > B; D > A)

Variante HBV (core promoter; pre-S)

Co-infezione HDV

Co-infezione HCV

Co-infezione HIV

Elevati tassi di replicazione HBV nel follow up

Genotipo HBV (C > B)

Variante HBV (core promoter; pre-S)

Co-infezione HDV

Co-infezione HCV

Co-infezione HIV

Altri fattori

Consumo pesante di alcol

Steatosi

Diabete

Obesità

Consumo pesante di alcol

Aflatossina

Fumo

Diabete

Obesità

Tabella I. Fattori di rischio di progressione a cirrosi e di sviluppo di carcinoma epatocellulare nei pazienti affetti da CHB e incidenze cumulative a 5 anni di tali complicazioni. In neretto i fattori importanti e/o meglio definiti (modificata da Fattovich, 2008 [7])

CHB = epatite B cronica; HBV = virus dell’epatite B; HCC = carcinoma epatocellulare; HCV = virus dell’epatite C; HDV = virus dell’epatite delta; HIV = virus dell’immunodeficienza umana

Complicanze a lungo termine

La CHB, sotto il profilo clinico, genera sequele epatiche piuttosto rilevanti, con esito spesso letale, che hanno come base una progressiva disorganizzazione strutturale e funzionale del tessuto epatico, fino allo sviluppo di forme a gravità crescente di cirrosi e anche di epatocarcinoma [7].

Il rischio di progressione varia in relazione all’area geografica e alla modalità di trasmissione. I dati epidemiologici indicano che ogni anno il 2-5,5% dei soggetti HBeAg-positivi e l’8-10% dei soggetti HBeAg-negativi diventa cirrotico e che il 6% del soggetti con cirrosi compensata si scompensa [6]. Lo scompenso epatico è caratterizzato da ascite, varici esofagee sanguinanti ed encefalopatia epatica; è associato a insufficienza epatica irreversibile e comporta, quando possibile, il trapianto di fegato.

La CHB, soprattutto quando sono presenti complicanze, è associata a un aumento della mortalità. Il tasso di mortalità a 5 anni della CHB senza cirrosi è 0-2%, ma aumenta al 14-20% nei soggetti con cirrosi compensata e al 70-80% dopo scompenso [6,8].

Co-infezioni

I soggetti con HBV sono a rischio di co-infezioni da virus trasmessi per le stesse vie ematiche e sessuali, come il virus dell’immunodeficenza umana (HIV) e il virus dell’epatite C (HCV). Si ritiene che la co-infezione con HIV generalmente acceleri la progressione della malattia HBV, aumentando l’incidenza di cirrosi e di mortalità. Inoltre, la co-infezione con HIV può comportare un maggior rischio di riattivazione HBeAg, specialmente nei pazienti con bassi livelli di linfociti CD4+. Inoltre, l’inizio della terapia con inibitori della proteasi ha portato alla riattivazione di HBsAg in alcuni pazienti che già erano HBsAg-negativi. Tuttavia, è stato anche osservato che in alcuni pazienti la riattivazione del sistema immunitario conseguente alla HAART (Highly Active Anti-Retroviral Therapy) può facilitare la soppressione della replicazione di HBV e la perdita di HBeAg [6]. Alcuni analoghi nucleosidici/nucleotidici, come lamivudina (LAM) e tenofovir (TDF) sono risultati efficaci su entrambi i virus e il loro uso nei pazienti con co-infezione HIV + HBV ha dimostrato effetti benefici sulla clearance di HBV DNA, sulla riduzione delle forme HBeAg e dei livelli di ALT. Tuttavia, la resistenza a LAM è risultata più frequente nei soggetti HBV con co-infezione HIV [9].

I soggetti HBV co-infettati con HCV tendono a sviluppare epatiti croniche più gravi e corrono maggiori rischi di cirrosi e HCC (carcinoma epatocellulare) rispetto ai pazienti non co-infettati. Alcuni studi hanno dimostrato che la replicazione di HBV è soppressa mentre quella di HCV rimane attiva nei soggetti con co-infezione HBV + HCV [6].

Diagnosi

La diagnosi di epatite B viene posta determinando la presenza nel siero di HBsAg o di HBV DNA, e la diagnosi di gravità (lieve-moderata-grave) dipende dai riscontri istologici della biopsia epatica e dai livelli di ALT. La presenza di HBsAg per almeno 6 mesi indica la presenza di infezione CHB. La biopsia epatica è necessaria per confermare la CHB e stabilire lo stadio e la gravità della malattia.

La diagnosi di CHB HBeAg-positiva richiede la presenza nel siero di HBeAg e di HBV DNA e l’assenza di anti-HBe. La forma HBeAg-negativa presenta livelli non misurabili di HBeAg, livelli misurabili di anti-HBe e presenza di HBV DNA nel siero a livelli variabili da bassi ad alti.

Nei portatori inattivi i livelli di HBsAg e di anti-HBe sono misurabili nel siero, ma i livelli di ALT sono normali e i livelli di HBV DNA sono bassi o non misurabili [6].

Fase

HBsAg

HBeAg

Anti-HBe

Livelli ALT

Grado necrosi-flogosi

Livelli HBV DNA

Grado

Copie/ml

IU/ml

Tolleranza immunitaria

No

Normali/aumentati

Minimo

Molto elevato

108-1011

20 mln-20 mld

HBeAg-positivi

No

Elevati

Alto

Elevato

106-1010

200.000-2 mld

HBeAg-negativi

No

Elevati*

Alto

Misurabile*

104-108

2.000-20 mln

Portatori inattivi HBsAg

No

Normali

Minimo/nullo

Basso/non misurabile

< 104

< 2.000

Tabella II. Profilo sierologico delle diverse forme di epatite B cronica (CHB) (modificata da Fattovich, 2008 [7])

* Soggetto a fluttuazioni

CHB e impatto sulla qualità di vita

L’impatto della CHB sulla qualità di vita (QoL) del paziente varia sensibilmente in relazione allo stadio evolutivo della malattia. Nei primi stadi l’impatto è nullo o modesto. Molti soggetti non conoscono di essere infetti e non presentano sintomi per molti anni. Utilizzando il questionario Short Form a 36 item (SF-36), uno studio condotto in UK ha dimostrato che i pazienti affetti da HBV, in confronto con la popolazione generale, presentano valori inferiori della QoL solo nelle dimensioni “salute generale” e “salute mentale”, ma non in altre dimensioni [10]. La QoL peggiora significativamente con il progredire della CHB a cirrosi, a scompenso epatico e a HCC [11].

La gestione clinica del paziente CHB

Linee guida e raccomandazioni

La gestione del paziente affetto da CHB è complessa e deve essere individualizzata in funzione della presenza o assenza dell’antigene “e”, dello stadio della malattia (grado di fibrosi, cirrosi compensata, cirrosi scompensata, epatocarcinoma), della presenza di co-infezioni (HIV, HCV) o di altre comorbilità, della risposta agli antivirali e del rischio di resistenza ai farmaci con conseguente impossibilità di usare particolari farmaci in stadi più avanzati della malattia epatica [12].

Questi e altri fattori condizionano le scelte fondamentali del medico: quali pazienti trattare, quando iniziare il trattamento, quale trattamento utilizzare e per quanto tempo.

In linea generale vi sono due modalità di trattamento della CHB:

Diverse linee guida sono state predisposte per supportare le scelte del medico che deve trattare un paziente affetto da CHB. Recentemente (2009) sono state pubblicate le linee guida dell’European Association for the Study of the Liver (EASL) [12] e in Italia sono state aggiornate le raccomandazioni della Consensus Conference di Stresa [13]. Queste ultime raccomandazioni, messe a punto da un gruppo di esperti italiani, riguardano cinque categorie cliniche di pazienti con epatite B cronica:

  1. pazienti HBeAg-positivi;
  2. pazienti HBeAg-negativi;
  3. pazienti con cirrosi;
  4. pazienti immunosoppressi;
  5. pazienti con co-infezione da HCV e/o HDV e/o HIV.

Per ciascuna categoria clinica la Consensus Conference di Stresa ha formulato una risposta aggiornata a queste due domande:

  1. chi e quando trattare?
  2. come trattare e quali strategie adottare?

Ogni raccomandazione è stata classificata secondo il nuovo sistema adottato dalla Infectious Diseases Society of America (IDSA) che consiste nella combinazione di uno dei tre gradi (A, B, C) della categoria “Forza della raccomandazione” con uno dei tre gradi (I, II, III) della categoria “Qualità delle prove”. Una raccomandazione classificata “A I” ha il massimo della forza e il massimo dell’evidenza delle prove. All’opposto, una raccomandazione “C III” ha il minimo della forza e si basa solo sull’opinione degli esperti o su studi descrittivi, poco robusti sul piano delle prove.

Le Figure 1A e 1B riassumono le raccomandazioni di trattamento per tutto lo spettro clinico della malattia da HBV secondo il “Paradigma di Stresa” [13]. I riquadri riportano le raccomandazioni aggiornate per utilizzare in modo appropriato ed efficiente i prodotti medicinali a base di interferoni e quelli a base di analoghi nucleosidici/nucleotidici.

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Figura 1. Sintesi delle indicazioni per il trattamento dei pazienti con epatite cronica, con o senza cirrosi, secondo il “Paradigma di Stresa” (modificata da Carosi, 2011 [13])

A. Indicazioni per il trattamento dei pazienti con epatite cronica HBeAg-positiva con o senza cirrosi

B. Indicazioni per il trattamento dei pazienti con epatite cronica HBeAg-negativa con o senza cirrosi

ALT = alanina aminotransferasi; IFN = interferone; NA = analoghi nuscleosidici/nucleotidici; UNL = limiti superiori della norma

Profilo comparativo di efficacia e tollerabilità dei farmaci per la CHB

Il trattamento farmacologico della CHB si avvale oggi della disponibilità di due interferoni (alfa-2a e alfa-2b), dell’interferone alfa-2a peghilato, di tre analoghi nucleosidici (lamivudina, entecavir e telbivudina) e di due analoghi nucleotidici (adefovir e tenofovir). Questi farmaci si differenziano per caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche, per potenza dell’azione antivirale espressa come tasso e velocità di soppressione della replicazione virale, per il rischio di indurre selezione di ceppi resistenti e per il profilo di tollerabilità e sicurezza. Il profilo comparativo di questi farmaci si è progressivamente precisato negli ultimi anni con la conclusione/estensione di importanti studi clinici controllati a lungo termine e con l’accumularsi dell’esperienza clinica indispensabile per stimare il valore terapeutico e il profilo di sicurezza nella popolazione reale di pazienti. L’insieme di queste conoscenze, mediate dall’opinione di esperti, ha fornito le basi razionali per la costruzione delle linee guida e delle relative raccomandazioni [12,13].

Gli interferoni, introdotti circa 25 anni fa, sono rimasti a lungo gli unici medicinali disponibili per la terapia dell’HBV. La loro efficacia è buona ed è stata nettamente migliorata con la peghilazione della molecola, ma il profilo di tollerabilità è problematico e la frequenza e gravità degli effetti collaterali ne limitano l’impiego clinico soprattutto a lungo termine.

Lamivudina e adefovir rappresentano la prima generazione di analoghi, rispettivamente nucleosidici e nucleotidici, attivi per via orale nei confronti di HBV e capaci di migliorare il livello medio di efficacia e di tollerabilità rispetto agli interferoni. L’uso prolungato di lamivudina o adefovir, tuttavia, è stato associato a un elevato tasso di insorgenza di ceppi virali resistenti. In particolare, dopo 5 anni di trattamento con lamivudina, l’80% dei pazienti è resistente a questa molecola [14]. L’insorgenza di resistenza ad adefovir sembra essere più lenta, ma dopo 4 anni raggiunge comunque un tasso del 29% [15,16].

Entecavir, introdotto in Italia nel 2007, ha rappresentato un significativo progresso nella terapia della CHB [17]. Primo antivirale ad alta barriera genetica (sono necessarie 3 mutazioni perché il virus sviluppi resistenza), estremamente potente nei confronti di HBV, in particolare nei pazienti mai trattati precedentemente con altri analoghi (drug-naïve), entecavir ha dimostrato di ottenere la riduzione della carica virale a valori < 300 copie/ml nel 67% dei pazienti HBeAg-positivi e nel 90% dei pazienti HBeAg-negativi trattati per 48 settimane [18-36]. Inoltre il tasso di resistenze genotipiche dopo 6 anni di trattamento è dell’1,2% [37-40].

L’uso di entecavir a lungo termine, reso possibile dal buon profilo di tollerabilità e dal trascurabile tasso di resistenze, ha un impatto favorevole anche sul quadro istopatologico epatico, dove risulta migliorato non solo il grado di necroinfiammazione ma anche l’entità della fibrosi [25,41]. Controlli bioptici, eseguiti in un sottogruppo di pazienti arruolati negli studi registrativi e trattati con entecavir per un periodo medio di 6 anni, hanno dimostrato un miglioramento della necroinfiammazione e della fibrosi, rispettivamente nel 96% e 88% dei casi. In particolare 10 pazienti che presentavano al basale un quadro di fibrosi epatica estesa o cirrosi hanno registrato un miglioramento medio di 3 punti.

In concomitanza della biopsia di controllo i tassi di risposta virologica, biochimica e sierologica in tutti questi pazienti erano rispettivamente 100% di negativizzazione della viremia, 86% di normalizzazione delle ALT e 33% di sieroconversione ad anti-HBe.

La Tabella III confronta i livelli di efficacia dei farmaci antivirali attualmente autorizzati per il trattamento dell’epatite B cronica, riportando i risultati osservati per lo più a un anno (48-52 settimane di trattamento) nel corso dei diversi studi registrativi dei singoli farmaci.

Perdita HBsAg (%)

Perdita HBeAg (%)

Sieroconversione HBeAg/anti-HBe (%)

Risposta virologica (negativizz. HBV DNA) (%)

Risposta biochimica (ALT ≤ ULN) (%)

Risposta istologica (≥ 2 Knodell Index) (%)

CHB HBeAg-positiva

Interferone* [42]

12

33

PEG-interferone* [43]

3

34

32

32

41

38

Lamivudina° [44,45]

0

32

17-22

44

41

52-56

Adefovir° [46]

24

12

21

48

53

Telbivudina° [47]

26

23

60

77

71

Entecavir° [17]

  • Pazienti naïve
  • Lamivudina-resistenti

21

8

67

19

68

61

72

55

Tenofovir° [48]

8

25

30

76

68

74

CHB HBeAg-negativa

Interferone* [49]

15

PEG-interferone [50]

4

43

59

48

Lamivudina° [51]

0

65-90

60-96

60

Adefovir° [52]

0

51

72

64

Telbivudina° [47]

88

74

71

Entecavir° [17]

90

78

70

Tenofovir° [48]

0

93

76

72

Tabella III. Confronto dei livelli di efficacia dei farmaci antivirali attualmente autorizzati per il trattamento dell’epatite B cronica

* Valutati 6 mesi dopo la sospensione del trattamento; ° dopo 48-52 settimane di trattamento

I risultati riportati nella Tabella III devono essere considerati solo come indicativi del comportamento medio del farmaco nella popolazione reale dei pazienti. Mancando per lo più un confronto diretto testa-testa, non è sempre possibile concludere sulla superiorità-inferiorità di un farmaco sull’altro, tranne nei casi di estrema variazione. Recentemente sono state condotte metanalisi utilizzando sofisticate metodiche statistiche bayesiane in grado di confrontare anche indirettamente la probabilità del grado di efficacia di tutte le diverse alternative terapeutiche dei farmaci antivirali, usati in monoterapia o in associazione, per i quali esistano dati clinici comparativi. Una vasta metanalisi di recente pubblicazione, utilizzando l’analisi bayesiana, ha dimostrato che entecavir e tenofovir, valutati a un anno di trattamento, sono gli antivirali orali più efficaci nel trattamento della CHB: la loro potenza è equivalente nei confronti di pazienti HBeAg-positivi e lievemente differente, con una superiorità statistica per tenofovir, nel caso di pazienti HBeAg-negativi [53]. Si deve tuttavia notare come, sotto il profilo clinico, il grado di incertezza di tale conclusione sia non trascurabile in quanto nessuno studio di confronto diretto è stato attuato finora tra entecavir e tenofovir; inoltre gli studi registrativi dei due farmaci sono stati condotti con modalità differenti e in popolazioni non confrontabili per caratteristiche basali.

Entecavir e tenofovir, allo stato attuale, sono considerati equivalenti dalle linee guida internazionali e italiane nel trattamento monoterapico in prima linea, a termine o a tempo indefinito, dei pazienti HBeAg-positivi [13]. Entecavir e tenofovir sono anche indicati come prima scelta nel trattamento protratto di pazienti HBeAg-negativi.

La scelta tra entecavir e tenofovir dovrebbe avvenire, caso per caso, anche sulla base del differente profilo di safety dei due farmaci. La Tabella IV, modificata dalla recente pubblicazione dell’aggiornamento delle linee guida italiane, evidenzia le differenze qualitative, più che quantitative, delle possibili reazioni avverse dei vari antivirali utilizzati nella CHB [13]. In questo lavoro, dopo aver premesso che una certa nefrotossicità potenziale correlata all’escrezione tubulare è comune a tutti gli analoghi nucleosidici, eccetto telbivudina che viene solo eliminata per filtrazione glomerulare, si afferma che tale potenzialità è più elevata per adefovir e tenofovir, sebbene i casi di nefrotossicità segnalati siano rari [54,55]. Nei pazienti con insufficienza renale di grado III (eGFR < 60 ml/min/1,73m2) tenofovir e adefovir dovrebbero essere usati solo se i benefici sono superiori ai potenziali rischi. Le schede tecniche approvate dalle autorità regolatorie riportano per questi farmaci particolari indicazioni, per cui le linee guida raccomandano che i pazienti in trattamento con tenofovir o adefovir siano monitorati mensilmente durante il primo anno e trimestralmente negli anni successivi, mediante l’esame rapido delle urine (dipstick) e la misura della fosforemia e della creatininemia con la stima del filtrato glomerulare. Inoltre, nei pazienti con fosfatemia persistentemente < 0,64 mmol/l occorre escludere un danno tubulare renale o una sindrome di Fanconi, misurando e monitorando nel plasma e nelle urine i livelli di fosforo, calcio, bicarbonati, acido urico e glucosio ed eseguendo un profilo elettroforetico delle proteine [13].

Analoghi nucleosidici

Analoghi nucleotidici

Entecavir

Lamivudina

Telbivudina

Adefovir

Tenofovir

Eventi avversi fastidiosi ma generalmente senza gravi conseguenze

Vertigini

C

C

MC*

Gastrointestinali

C

C

C

MC*/C

Cefalea

MC

C

C

C

Astenia

C

C

MC

C

Sonnolenza

C

Insonnia

C

Tosse

C

Mialgia

S

NC

S

S*

Eventi avversi con possibili conseguenze di gravità variabile lieve-moderata

Dispnea

MR

Rash/anafilassi

S

C

C

C

R

Trombocitopenia

S

Acidosi lattica

S

S

S

R*

Ipofosfatemia

C

MC*

Osteomalacia

S

S*

Aumento creatina fosfochinasi sierica

C

MC

Aumento amilasi o lipasi

S

C

Ipokaliemia

S*

Aumento creatininemia

MC

R*

Eventi avversi gravi con possibili invalidità o morte

Necrosi tubulare acuta

MR*

Insuff. renale acuta/sindrome Fanconi

S

R*

Nefriti/nefriti interstiziali

S*

Pancreatiti

S

S

R*

Rabdomiolisi

S

S*

Neuropatia periferica

NC

S*

Tabella IV. Quadro sinottico delle frequenze degli eventi avversi segnalati nelle schede di registrazione dei farmaci analoghi nucleosidici e nucleotidici (modificato da Carosi, 2011 [13])

*In pazienti HIV

MC = molto comune (≥1/10); C = comune (1/10-1/100); NC = non comune (1/100-1/1000); R = raro (1/1000-1/10000); MR = molto raro (≤1/10000); S = evento avverso segnalato ma con frequenza sconosciuta

A differenza di entecavir, l’uso di tenofovir viene anche correlato a effetti negativi sul metabolismo osseo, come osservato soprattutto in pazienti affetti da co-infezione HIV/HBV [55]. Pertanto le linee guida italiane richiamano la necessità cautelare di escludere la presenza di importanti alterazioni ossee nei pazienti candidati al trattamento con tenofovir. In particolare viene raccomandato di accertare la presenza di lesioni o riduzioni della densità ossea mediante esami radiografici della colonna dorsale e lombare e densitometria ossea nei pazienti con ipofosfatemia cronica, dolore persistente alla schiena e marcata riduzione della statura [13].

Valutazione farmacoeconomica di entecavir

Il costo sanitario della CHB

Uno studio condotto nel 2004 ha identificato e rilevato gli schemi della gestione sanitaria dei pazienti affetti da CHB in quattro Paesi europei (Francia, Italia, Spagna e Regno Unito) e ha stimato i relativi costi sanitari al 2001 [56]. L’indagine, condotta mediante un questionario centralizzato su un campione di medici specialisti distribuiti nei quattro Paesi, ha consentito di raccogliere informazioni puntuali sulla gestione medica dei pazienti affetti da CHB in funzione del differente quadro clinico: epatite cronica attiva, cirrosi compensata, cirrosi scompensata e carcinoma epatocellulare. Nella Tabella V riportiamo sinteticamente i risultati ottenuti per l’Italia, rimandando al lavoro per l’analisi completa dei dati.

Epatite cronica attiva

Cirrosi compensata

Cirrosi scompensata

Carcinoma epatocellulare

N/anno/ paziente

Pazienti (%)

N/anno/ paziente

Pazienti (%)

N/anno/ paziente

Pazienti (%)

N/anno/ paziente

Pazienti (%)

Consumo di risorse

Terapia antivirale

37

48

Visite MMG

4

10

12

10

4

20

2,6

23

Visite specialisti

6

100

6,2

100

8

100

6

100

Ecografie

1,5

89

2

100

3

100

3

100

Biopsia epatica

1

21

1

5

1

5

Endoscopia

1

10

1

75

1

70

0,9

42

RMN o TAC

1

60

2

87

Giorni ricovero

12-15

100

15-30

100

Costo diretto sanitario medio/anno/paziente (€)

Tutti i pazienti

1.841

2.148

7.262

6.974

Con farmaci

4.513

3.832

Senza farmaci

286

644

Trapianto fegato

65.516

65.516

1° anno post-trapianto

25.767

25.767

Anni successivi post-trapianto

11.595

11.595

Tabella V. Schemi di trattamento della CHB rilevati in Italia nel 2001 e stima dei relativi costi medi/anno/paziente (modificato da Brown, 2004 [56])

Gli schemi di trattamento della CHB, il consumo di risorse sanitarie e i costi annuali medi per paziente rilevati in Italia sono confrontabili, pur entro una notevole variabilità, con quelli rilevati in Spagna, Francia e Regno Unito, a dimostrazione del fatto che la classe medica italiana segue mediamente le linee guida internazionali. Lo studio ha evidenziato che in ogni Paese europeo il costo medio annuale per paziente aumenta con la progressione della malattia, essendo stimata ai valori del 2001 in 1.093-3.391 euro per l’epatite B cronica, in 1.134-3.997 euro per la cirrosi compensata, in 5.292-8.842 euro per la cirrosi scompensata e in 3.731-9.352 euro per il carcinoma epatocellulare.

Si deve notare come gli schemi di trattamento, soprattutto per quanto riguarda l’uso di farmaci antivirali, siano notevolmente cambiati negli ultimi dieci anni per l’introduzione di nuovi medicinali, quali gli interferoni peghilati e i nuovi antiretrovirali nucleosidici/nucleotidici. All’epoca della rilevazione solo una minoranza di pazienti affetti da CHB veniva trattata con farmaci antivirali, principalmente con interferoni beta e/o lamivudina. Ora il medico specialista ha la disponibilità degli interferoni peghilati e può scegliere tra 6 differenti antiretrovirali e le nuove linee guida prevedono un uso più ampio di questi farmaci, senza escludere i pazienti con cirrosi scompensata. I costi diretti sanitari medi per anno/paziente riportati in tabella sono dunque sottostimati rispetto alla situazione attuale; tuttavia, la struttura generale dei costi sanitari della CHB è valida. In particolare, il costo medio annuale per paziente cresceva notevolmente in funzione della fase evolutiva della malattia. Inoltre, il costo del trattamento farmacologico rappresentava oltre il 75% del costo totale sanitario. È ragionevole ritenere che tali relazioni tra costi sanitari e stadi evolutivi della malattia e tra costi dell’assistenza farmaceutica e gli altri costi sanitari siano valide ancora oggi e semmai siano anche più evidenti, considerando l’introduzione di nuovi farmaci più costosi e l’ampliamento della popolazione di pazienti CHB da trattare secondo le recenti linee guida.

La correlazione tra progressione della malattia e incremento del costo sanitario medio annuale pone le basi per ritenere vantaggiosi, sul piano sanitario ed economico, gli interventi di prevenzione e cura capaci di rallentare o bloccare la progressione di malattia verso la cirrosi, compensata e scompensata, e il carcinoma epatocellulare, prolungando la sopravvivenza e migliorando la qualità di vita.

Dimostrare che un nuovo farmaco o una innovativa strategia di cura è conveniente è oggetto delle analisi costo-efficacia e costo-utilità.

Il risparmio correlato all’efficacia del trattamento

L’introduzione di entecavir nel trattamento dell’epatite B cronica ha rappresentato un significativo progresso terapeutico ottenuto, tuttavia, con un sensibile incremento della spesa farmaceutica. L’azienda farmaceutica titolare dell’AIC di entecavir, al fine di dimostrare il valore del farmaco nel trattare i pazienti affetti da CHB, ha sviluppato un modello di Markov la cui struttura a stati consente di rappresentare la progressione dinamica della malattia e di simulare gli effetti clinici e i costi dei farmaci antivirali dall’inizio del trattamento fino alla morte del paziente [57]. Mediante tale modello di Markov è stata analizzata l’evoluzione clinica di una coorte di 1.000 pazienti CHB HBeAg-positivi e HBeAg-negativi mai trattati prima con analoghi nucleosidici, confrontando gli esiti e i costi del trattamento con entecavir con quelli dell’evoluzione naturale della malattia. Obiettivo dell’analisi mediante simulazione è stato quello di valorizzare l’efficacia terapeutica del farmaco con specifico riferimento alla potenzialità di rallentare o bloccare la progressione della malattia verso gli stadi di fibrosi, cirrosi compensata, cirrosi scompensata e di epatocarcinoma fino alla morte, valutandone i risparmi indotti a beneficio del sistema sanitario.

Il modello assume che la distribuzione iniziale della popolazione simulata corrisponda a quella reale che deve iniziare un trattamento a lungo termine con un analogo nucleotidico, secondo le attuali linee guida: la percentuale di pazienti HBeAg-positivi e HBeAg-negativi che entra nel modello allo stato di “cirrosi” è rispettivamente del 19,1% e del 10,0%; tutti gli altri entrano allo stato di “fibrosi” con Ishak score ≥ F2 [12].

Il modello simula separatamente la progressione della malattia per le forme HBeAg-positive e per le forme HBeAg-negative e quindi valuta i risultati per il totale della popolazione dei pazienti CHB, assumendo la proporzione delle due forme nel Paese di riferimento (in Italia 27% e 73%). Il modello simula la progressione della malattia nell’arco di 30 anni in un’ipotetica popolazione di 1.000 pazienti CHB naïve che iniziano il trattamento a 35 anni e assumono l’analogo nucleosidico per i primi 5 anni [17,48].

I parametri di transizione del modello sono stati ricavati dagli studi clinici di entecavir. In particolare, i tassi annuali di soppressione della carica virale riportati nella Tabella VI sono stati ricavati dagli studi clinici registrativi. La Tabella VI riporta le probabilità di transizione annuale dallo stato di carica virale incontrollata allo stato di soppressione virale (< 300 copie/ml di HBV DNA) e le percentuali di pazienti con viremia controllata al temine di ciascun anno dall’inizio del trattamento con entecavir.

1° anno

2° anno

3° anno

4° anno

5° anno

≥ 6° anno

HBeAg+

Prob. transizione annuale verso soppressione virale (%)

67

39,6

45,6

19,3

37,9

0,0

Pazienti con HBV DNA < 300 copie/ml a fine anno (%)

67

80

89

91

94

94

Pazienti che rimangono con HBV DNA > 300 copie/ml (%)

33

20

11

9

6

6

HBeAg-

Prob. transizione annuale verso soppressione virale (%)

90

40,8

17,2

0,4

0,4

0,0

Pazienti con HBV DNA < 300 copie/ml a fine anno (%)

90

94

95

95

95

95

Pazienti che rimangono con HBV DNA > 300 copie/ml (%)

10

6

5

5

5

5

Tabella VI. Probabilità di transizione annuale dallo stato di carica virale incontrollata allo stato di soppressione virale (< 300 copie/ml di HBV DNA) e percentuali di pazienti con viremia controllata al termine di ciascun anno dall’inizio del trattamento con entecavir [17,20,21,30,58,59]

La Figura 2 rappresenta la distribuzione delle due coorti di pazienti, trattati e non trattati con entecavir, nei vari stati di malattia dopo 30 anni di evoluzione; a fianco di ogni stato vengono riportati i costi sanitari medi per paziente che il SSN italiano deve affrontare ogni anno per gestire i pazienti CHB. Il prodotto del costo medio annuale di gestione di uno stato di malattia per la differenza di soggetti presenti ogni anno in questo stato rappresenta il costo differenziale indotto da entecavir. La sommatoria dei costi differenziali di 30 anni di malattia nei vari stati è il costo differenziale totale di entecavir rispetto al non trattamento. Tale costo differenziale totale è in realtà un risparmio per il SSN, dal momento che entecavir riduce il numero di pazienti che progrediscono negli anni a cirrosi, cirrosi scompensata, epatocarcinoma e che vanno incontro a trapianto di fegato. Per rendere più evidente che il prezzo di acquisto del farmaco è giustificato, gli Autori hanno parametrato tale risparmio alla giornata di trattamento; inoltre hanno ripartito il risparmio totale nei risparmi parziali correlati ai diversi stati di malattia, compresa la condizione di trapianto e di post-trapianto. La Figura 3 riporta graficamente i risultati di tale analisi. Secondo questa valutazione si stima che, ai costi di gestione sanitaria del 2001, l’uso di entecavir per 5 anni indurrebbe nell’arco di 30 anni un risparmio giornaliero medio di € 13,1 per paziente. Il maggior contributo a tale risparmio sarebbe dovuto al numero di cirrosi evitate o ritardate e al numero di trapianti evitati.

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Figura 2. Distribuzione dopo 30 anni di evoluzione delle due coorti di 1.000 pazienti, trattati e non trattati con entecavir, (colonna sinistra) nei diversi stati di progressione della CHB (colonna centrale) e costi sanitari annuali medi per paziente stimati per gestire l’assistenza sanitaria in ciascun stato di malattia in Italia (modificata da File BMS, 2011 [57])

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Figura 3. Rappresentazione del risparmio totale per giorno/paziente, suddiviso per le componenti relative ai vari stati di progressione della malattia CHB, indotto dall’uso di entecavir rispetto al non trattamento, stimato con la simulazione del modello di Markov nell’arco di 30 anni (modificata da File BMS, 2011 [57])

Nota: il modello simula i costi differenziali di un trattamento con entecavir per 5 anni, con una compliance del 100%. I benefici sono calcolati per l’arco temporale di 30 anni. Viene assunto che la regressione del danno istologico si blocchi dopo la fine del trattamento antivirale

Entecavir è rimborsato dal SSN e classificato in fascia A-PHT. Le due formulazioni attualmente disponibili (0,5 mg e 1 mg) sono entrambe presentate in confezioni da 30 compresse. Il prezzo a confezione, identico per entrambe le formulazioni, è di 397,58 euro, considerando l’adesione al payback e il conseguente aumento del 5% del prezzo di acquisto. Il payback rappresenta, tuttavia, una misura di carattere finanziario poiché tale maggiorazione del 5% sul prezzo, viene rimborsata dall’azienda produttrice direttamente alle Regioni. Per questo motivo, il costo giornaliero sostenuto dal SSN per l’acquisto di entecavir è pari a 12,6 euro.

Pertanto, è possibile affermare che il costo di acquisto di entecavir risulta giustificato, poiché il risparmio giornaliero totale sui costi sanitari (€ 13,1) sarebbe superiore al costo di una dose giornaliera di entecavir.

Il costo di trattamento di entecavir: confronto con tenofovir

Secondo le linee guida dell’EASL e quelle elaborate dagli esperti italiani della Consensus Conference di Stresa, entecavir e tenofovir sono i due antivirali orali da preferire come farmaci per trattare a tempo indeterminato i nuovi pazienti CHB HBeAg-positivi e HBeAg-negativi.

Il prezzo di acquisto, comprensivo della manovra di payback, di entecavir (€ 397,58/conf) è sensibilmente superiore a quello di tenofovir (€ 251,80/conf). Le due formulazioni attualmente disponibili di entecavir (0,5 mg e 1 mg) sono entrambe presentate in confezioni da 30 compresse che coprono il fabbisogno mensile e hanno un identico prezzo indipendente dalla dose (flat price). Tenofovir, come singolo principio attivo, è disponibile in unica confezione da 30 compresse.

Entrambi i farmaci, nel trattamento della CHB, possono essere prescritti esclusivamente da specialisti (infettivologi e gastroenterologi), ma presentano differente classificazione: tenofovir è classificato in fascia H, invece, con determina AIFA del novembre 2010 [60], è stata mutata la classificazione di entecavir da H ad A-PHT. Tale cambiamento di classificazione comporta l’inclusione del costo relativo a entecavir nel comparto della spesa territoriale, soggetta a un tetto (13,3% del Fondo Sanitario Nazionale) il cui eventuale sforamento è a carico dell’azienda produttrice (company budget). Risultano, invece, invariate le modalità distributive che restano le medesime di quelle in vigore precedentemente alla riclassificazione.

Nel confrontare i costi di trattamento di entecavir e tenofovir occorre considerare, accanto al costo di acquisto, anche alcune significative voci di costo che possono assumere un valore significativamente differenziale tra i due medicinali.

img_03_04.jpg

Figura 4. Prevalenza di osteopenia e osteoporosi nella popolazione femminile in Italia [65]

Infatti, mentre i profili di efficacia clinica e virologica di ETV (entecavir) e TDF (tenofovir) sono simili (Tabella III), i profili di tollerabilità e il quadro delle reazioni avverse presentano alcune differenze significative (Tabella IV) che rendono meno maneggevole l’utilizzo di TDF e inducono costi di trattamento aggiuntivi. Entecavir presenta un profilo di tollerabilità e sicurezza molto favorevole e simile a quello di lamivudina. Tra le reazioni avverse a entecavir molto comuni sono la cefalea e l’astenia, comuni sono le vertigini e i disturbi gastrointestinali, rari i casi di aumento di lipasi e amilasi. Tra le reazioni avverse a tenofovir molto comuni sono i casi di ipofosfatemia, comuni sono le vertigini, le cefalee, i disturbi gastrointestinali e gli aumenti della creatinina, rari sono i casi di astenia e di pancreatite e molto rari i casi di dispnea, rash cutanei e necrosi tubulare.

I pazienti trattati con TDF corrono dunque un maggior rischio di sviluppare reazioni avverse a livello renale: danno tubulare, ridotta filtrazione globulare, sindrome di Fanconi e insufficienza renale acuta [55]. Inoltre, nei soggetti affetti da co-infezione HIV-HBV trattati con TDF sono stati osservati una maggior riduzione della funzionalità renale e un maggior aumento di PTH [61,62]. L’aumento della creatinina, la ridotta funzionalità renale, l’aumento del PTH e l’ipofosfatemia sono stati poi correlati a reazioni avverse osservate nel trattamento a lungo termine con TDF, come alcuni casi di insufficienza renale acuta, di osteopenia e di osteoporosi [55,63].

Inoltre un recente studio [64], condotto su una popolazione affetta da HIV, ha evidenziato che tenofovir induce un danno renale di tipo irreversibile. Infatti, solo il 42% dei pazienti che interrompono il trattamento con tenofovir a causa di disfunzionalità renali mantiene valori di GFR (Glomerular Filtration Rate) sovrapponibili a quelli rilevati prima dell’inizio della terapia, mentre il restante 58% presenta valori di GFR significativamente inferiori rispetto a quelli di inizio terapia. Su quest’ultima porzione di pazienti, il miglioramento della funzione renale dopo interruzione della terapia con tenofovir è risultato variabile e incompleto.

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Figura 5. Prevalenza di osteopenia e osteoporosi nella popolazione maschile in Italia [65]

Relativamente all’osteoporosi, è opportuno porre l’attenzione sulle dimensioni del problema. Difatti l’osteoporosi, malattia quasi sempre asintomatica, risulta sotto-diagnosticata e sotto-trattata ed, essendo legata a molti fattori propri dell’invecchiamento e dato l’andamento demografico italiano, è destinata a diffondersi sempre di più.

Lo studio E.S.O.P.O. (Epidemiological Study On the Prevalence of Osteoporosis), uno studio trasversale condotto in 83 Centri distribuiti lungo il territorio nazionale, ha analizzato la prevalenza di osteopenia e osteoporosi in Italia. Attraverso la collaborazione di 1.532 medici di medicina generale, è stato indagato un campione non selezionato di 11.011 donne di età compresa tra 40 e 79 anni e di 4.981 uomini di età compresa tra 60 e 79 anni [65].

Nell’intero campione, la prevalenza di osteopenia e di osteoporosi fra le donne è risultata pari a 44,7% e 18,5%, rispettivamente, mentre i corrispondenti tassi sono stati del 36% e del 10% nel sesso maschile. La prevalenza di entrambe le condizioni è quindi più elevata nelle donne, in conseguenza del drastico calo di estrogeni dopo la menopausa, e aumenta significativamente con l’età (Figure 4 e 5).

Inoltre, un recente studio presentato all’AASLD 2010 [66], ha evidenziato che gli analoghi nucleosidici (e in particolare tenofovir) utilizzati nel trattamento della CHB sono associati a un rischio quasi doppio di riduzione della densità ossea (Bone Mineral Density – BMD), con un valore di odds ratio pari a 1,87 statisticamente significativo (p = 0,025, IC95% = 1,08-3,23).

Come conseguenza, il trattamento con TDF richiede un maggior impegno nel monitoraggio della funzionalità renale e nel monitoraggio del turnover osseo. Durante il primo anno di terapia con TDF è indicato il monitoraggio della clearance della creatinina e dei livelli di fosfatemia una volta al mese; negli anni successivi questi test vanno ripetuti ogni 3-4 mesi [13].

A scopo puramente indicativo, la Tabella VII riporta la stima dei costi aggiuntivi differenziali che il SSN deve sostenere nel primo anno di terapia con tenofovir per esami di laboratorio, esami strumentali, visite mediche per la prevenzione di eventuali eventi avversi gravi a livello renale e dell’apparato scheletrico, secondo quanto indicato nella scheda tecnica di registrazione del prodotto e raccomandato dalle linee guida italiane. Inoltre, la Tabella VIII riporta il costo annuale di alcuni farmaci utilizzati in caso di osteopenia/osteoporosi e il costo di un ricovero per nefropatia secondo le diverse tariffe DRG previste per questa patologia.

Monitoraggio renale e osseo secondo le linee guida italiane

Tariffa nazionale° (€)

Costo annuale (€)

Monitoraggio mensile funzionalità renale in tutti i pazienti trattati con tenofovir

Prelievo sangue venoso

2,80

33,60

Esame urine

2,30

27,60

Creatinina clearance

1,90

22,80

Fosfatemia

1,17

14,04

Totale

98,04

Indagine diagnostica renale per escludere tubulopatia o sindrome di Fanconi in pazienti con fosfatemia cronica < 0,64 mmol/l

Visita specialistica

20,66

20,66

Prelievo

2,80

2,80

Panel di test*

17,65

Totale

 

41,11

Indagine diagnostica del turnover osseo in pazienti con ipofosfatemia cronica o mal di schiena o riduzione statura 

Costo di una visita specialistica (refertazione DEXA)

20,66

20,66

Radiografia completa della colonna

34,60

34,60

Densitometria ossea (DEXA) colonna e anca

31,50

63,00

Panel di test e bone turnover markers**

90,48

Totale

 

208,74

Tabella VII. Costi indicativi per monitoraggio della funzione renale e del turnover osseo da effettuare nei pazienti trattati con tenofovir secondo le indicazioni delle linee guida italiane [13]

° Mediana tariffe regionali secondo AGENAS

* Mediana tariffe regionali secondo AGENAS (2008). Esame urine (2,3€), Fosfatemia (1,17€), Fosfaturia (1,61€), Calcio totale ematico (1,4€), Calciuria (1,4€), Elettroforesi delle proteine (5,9€) , Glicemia (1,55€), Bicarbonato sierico (0,72€), Acido urico (urea) (1,6€)

** Mediana tariffe regionali secondo AGENAS (2008). Vitamina D (16,27€), Fosfatemia (1,17€), Fosfaturia (1,61€),Calcio totale ematico (1,40€), Calciuria (1,40€), Albumina (2,6€),Fosfatasi alcalina isoenzima osseo (10,54€), Osteocalcina (BGP) (25,41€), C-peptide (11,60€), N-peptide (18,48€)

Costo confezione (€)

Costo annuale (€)

Tariffa DRG (€)

Terapia/prevenzione osteoporosi

Calcium D3 Sandoz 30 cpr eff: 1 cpr/die

4,23

51,46

Fosamax 4 cpr 70 mg: 1 cpr/settimana

15,37

200,36

Osseor 28 bust 2 g: 1 bustina/die

50,34

656,22

Ricovero per tossicità renale

DRG 316 M: insufficienza renale

3.482,69

DRG 325 M: segni, sintomi rene, vie urinarie, età > 17 CON CC

2.419,73

DRG 326 M: segni, sintomi rene, vie urinarie, età > 17 NO CC

1.290,48

Tabella VIII. Costi indicativi per la gestione delle reazioni avverse a tenofovir a livello renale e osseo

Sulla base di queste evidenze, la scelta tra entecavir e tenofovir non può unicamente essere guidata dalla valutazione dei relativi costi di trattamento, ma dovrebbe considerare anche i costi aggiuntivi correlati alla prevenzione e cura delle potenziali complicanze del trattamento a lungo termine con tenofovir.

Infatti, oltre al tener presente che i costi aggiuntivi generati dalle complicanze a livello renale e osseo potrebbero ridurre sensibilmente o addirittura annullare la differenza nel costo di acquisto tra entecavir e tenofovir, bisognerebbe tenere sempre conto del fatto che i pazienti trattati con tenofovir sono esposti a un rischio notevolmente superiore di sviluppare osteoporosi e danno renale, due malattie croniche e degenerative con serie ripercussioni sulla salute e qualità di vita dei pazienti affetti da CHB.

Ad oggi, comunque, non è disponibile una valutazione precisa e robusta dell’impatto sul budget sanitario di entecavir, rispetto a tenofovir, anche in virtù della mancanza di studi clinici controllati di confronto diretto tra i due farmaci.

Conclusioni

Entecavir rappresenta un’importante innovazione nella terapia dell’epatite B cronica. I dati clinici di efficacia e tollerabilità a lungo termine, accumulati finora con follow up di oltre 6 anni, consentono di concludere che entecavir è l’analogo nucleosidico più adatto per il trattamento prolungato dei pazienti CHB “naïve” sia HBeAg-positivi sia HBeAg-negativi. Inoltre è attivo anche nei confronti di ceppi HBV resistenti a lamivudina e adefovir. Entecavir è un potente antivirale anti-HBV che consente un rapido abbattimento della carica viremica sotto i limiti di titolazione del DNA HBV in una percentuale elevata di pazienti, presenta una elevata barriera allo sviluppo di ceppi resistenti e dimostra di essere ben tollerato dalla maggior parte dei pazienti.

Nelle linee guida recentemente pubblicate, sia nazionali sia internazionali, entecavir è indicato come trattamento di prima linea nella terapia a termine e a lungo termine dei pazienti affetti da CHB, compresi quelli con cirrosi compensata e scompensata e quelli con HCC.

L’analisi farmacoeconomica ha dimostrato che gli effetti terapeutici di entecavir, rallentando la progressione della malattia CHB, prolungando la sopravvivenza e riducendo il numero di pazienti da sottoporre a trapianto di fegato, comportano un risparmio medio sulla spesa sanitaria che compensa il costo sostenuto dal SSN per l’acquisto del farmaco.

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