A Ulrich Middeldorf CONCERNENTI ALLE ARTI DEL DISEGNO E AD ALCUNI ARTEFICI DI CESARE GUASTI . Prezzo : Paoli 4. OPUSCOLI CONCERNENTI ALLE ARTI DEL DISEGNO. OPUSCOLI CONCERNENTI ALLE ARTI DEL DISEGNO E AD ALCUNI ARTEFICI DI CESARE GUASTI . FIRENZE FELICE LE MONNIER. 1859. AL PROFESSORE LUIGI MI SSINI Direttore dell' Istituto di Belle Arti in Siena. A te dedico questi poveri scritti, che delle Arti belle ragionano, o descrivendo opere insigni, o rammentando nomi famosi, o d T obliati artefici rivendicando la fama; e te gli dedico come amico ad amico; lieto di poterti rendere un qualche contraccambio pei conforti e lè ispirazioni che mi vennero dai tuoi dipinti, ma senza presumere d'aver set- puto ritrarre nelle mie parole quel vero e quel bello onde splendon le tele avvivate dai tuoi pennelli. Firenze, il 4 di settembre 1859. „ " * Cesare Guasti. DEGLI AFFRESCHI OI GIOTTO NELLA CAPPELLA DE' PERUZZI IN SANTA CROCE. LA CAPPELLA DE' PERIZZL Un pittore inglese, in un giornale di quella lingua (P Athenaeum) , ha parlato il primo, e credo il solo, del ritrovamento di due affreschi di Giotto nella cappella de' Peruzzi , facendo a noi un tacito rimprovero come se guardassimo il racquisto de' patrii tesori con quella stupida indifferenza con cui troppo spesso gli veggiamo valicare V alpi ed il mare. Lascio stare quanto abbian ragione di rinfacciare a noi siffatte vergogne gli stranieri. È però vero che il pregio delle nostre cose fra noi è pochissimo: ma in ciò forse han più colpa gli stra- nieri che gl'Italiani, più forse la fortuna che gli uomini. Comunque sia, io prendo a fare come so meglio una breve parola di questi dipinti , non tanto per cessar da noi quella taccia, quanto per ricreare nella tranquilla contemplazione del bello e nella conversazione degli antichi, P animo con- LA CAPPELLA DE' PERUZZI. tristato da tante sventure. Imperocché quello si conviene alle arti, che Cicerone scriveva delle lettere; avendo pur esse un linguaggio , per cuii dipinti del Pecile parlavano alto al cuore di Te- mistocle, e dai marmi del Buonarroti esce ancora una voce che ci rammenta il danno e la vergo- gna durare. Alla quale potenza, che le arti mute non invidiano a quelle della parola, pare accen- nasse il senno dei Greci, quando al simulacro di Memnone attribuivano il senso del piacere e della tristezza, per cui quel marmo significava colla voce il suo gaudio al sole oriente, e al sor- venir della notte mandava un gemito lungo. Le opere di Giotto, quasi con ingenuo lin- guaggio ci richiamano a lieti ed alti pensieri. Se guardi al pastorello che, « mentre le sue pe- » core pascevano , sopra una lastra piana e » pulita, con un sasso un poco appuntato, ri- » traeva una pecora di naturale, » 1 tu ti con- soli che la virtù dell' ingegno vinca la fortu- na , e la povertà non sia d' impedimento alla gloria: e veduto come quel raro intelletto sboc- ciasse spontaneo, qual fiore di campo, meglio penetri nel sentimento dell' opere sue; e com- prendi come il concetto più s' accosti al sublime, quanto è più semplice il modo di esprimerlo. Se 4 Vasari, Vita di Giotto. LA CAPPELLA DE' PERUZZI. 5 poi consideri quelle opere rispetto ai tempi e alla civiltà , tu vedi per la mano di Giotto sostituirsi nuovi tipi, che volentieri chiamerò nazionali, alle maniere dei Bizantini; in tanto che la bar- barie del feudalismo cedeva alla costituzione dei Comuni, e dal rozzo latino svolgevasi la bella lingua d' Italia. Se finalmente tu ne cerchi V effetto morale , e' ti pare che V artista avesse in mente la sentenza di quel Padre, che volea le pitture una continua lezione per la gènte ignara di let- tere. La religione, la storia domestica, le tradi- zioni popolari somministrano i soggetti a quei di- pinti, che spesso contendono di efficacia e di na- tiva bellezza colle cronache, colle leggende, e con la stessa Scrittura. Da questa ultima fonte, sempre inesausta d'insegnamenti e d'ispirazioni, attinse Giotto il concetto delle pitture di Santa Croce. « Nella cap- » pella che è della famiglia Peruzzi (scrive Gior- » gio Vasari) sono due storie della vita di san » Giovan Batista, al quale è dedicata la cappella; » dove si vede molto vivamente il ballare e sai* » tar d'Erodiade, e la prontezza d'alcuni ser- » venti presti ai servigi della mensa. Nella » medesima sono due storie di san Giovanni » Evangelista, maravigliose ; cioè, quando risuscita » Drusiana, e quando è rapito in cielo. » Fino 6 LA CAPPELLA DE' PERUZZI. da quando il tempio di Santa Croce cominciava a sorgere dalle fondamenta (3 maggio 1294), i Peruzzi mostraron pietà e splendidezza sovra gli altri cittadini, erigendo a proprie spese la sagre- stia e facendola adornare di severi dipinti. Nè in seguito venne a mancare in quella famiglia V af- fetto pel luogo sacro e per le arti: ma vi furon tempi in cui V affetto era gretto e anche perni- cioso, perchè non più rivolto al vero bello; tempi in cui per ristorare (così nelle arti, come in altre cose ) intendevasi a distruggere il vec- chio. Leggiamo difatti nel pavimento della cap- pella, che un Bartolommeo di Simone Peruzzi RESTA VRARE FECIT A. D. M. DCCXIV: e questo fu probabilmente 1 1' anno in cui J' ignobile pennello dell' imbianchino passò sovra le pareti dove il pennello di Giotto aveva colorite le quattro sto- rie dei due Giovanni. Quella fra le storie del Batista , in cui è rap- presentato il convito d' Erode, cominciò a ri- veder la luce fino dal 1844: o fosse che i Pe- ruzzi volessero mostrarsi mantenitori dell' antico * Dico probabilmente, ma lo terrei per certo. Nel 1677 , anno in cui il Cinelli pubblicava le Bellezze di Firenze del Bocchi con le proprie aggiunte , le pitture della cappella Peruzzi si vedevano ancora: non più al tempo del Richa (anno 1754 ). LA CAPPELLA DE' PERUZZI. 7 nome; o fosse che il plauso levatosi in Italia e fuori al riapparire dei dipinti giotteschi nella cap- pella del Podestà, sonasse come un rimprovero a quegli spiriti in cui la presente miseria non soffocò il sentimento dell' avita grandezza. Il sag- gio riuscì egregiamente per la mano maestra di Antonio Marini; il quale, dopo aver associato il proprio nome ai nomi gloriosi di Giotto, del Gaddi, del Lippi, del Gozzoli, restaurandone le opere, va ora preparandosi colle opere proprie uno de'primi seggi nell' arte. L' esito felice invogliò a seguitare T impresa; e così fu nuovamente scoperta la sto- ria dell' Evangelista « quando è rapito in cielo. » Per comprendere la intenzione del pittore giova conoscere la tradizione. L'amoroso Apostolo, vicino a compiere il decimonono lustro, salì sovra un monte, e pregò i suoi discepoli che nella chiesa scavassero una fossa. E fatta la fossa, vi gettò il mantello: e raccomandando loro la pace, con quelle care parole che avea avute in bocca tutta la vita; e dicendo al Signore, che fosse con lui in quel punto; vi si coricò dentro ; e dolcemente addormì. I discepoli lo ebbero per morto, e fecero il corrotto grande, manifestando la cosa agli altri fedeli: perlochè non appena fu fatto giorno, che il concorso alla fossa era infinito. Ma Giovanni non si trovava più lì: solo vi avea lasciati i san- 8 LA CAPPELLA DE' PERUZZI. dali. « A guisa di forsennati (dice il Metafraste) » vanno qua e là, non sapendo neppur essi dove, » e a similitudine di coloro eh 7 erano già con Eli- » seo, guardano e cercano; ma in vano. Come » però si risovvengono del detto di Cristo — E se » io volessi ch'ei restasse qui fino a tanto ch'io » non venga, che ne dovrebbe importare a voi? » — la loro mente n' è rischiarata, e smettendo » il piangere, ringraziano Dio perchè avesse ma- » gnifìcato il suo Diletto. » 1 Ora Giotto ha figu- rato un tempio aperto all'intorno, dove i sacerdoti che attendevano ai divini misteri, o forse veni- vano a far l'esequie sovra il sepolcro, sono distratti dalla novità del caso. L' Evangelista è levato verso il cielo, da dove il Salvatore con gli altri Apo- stoli muovono ad incontrarlo colle braccia distese. La luce eh' esce del Cristo investe tutto il corpo dell' amato discepolo, mentre abbarbaglia gli spet- tatori, che cadono in terra abbacinati, o si fanno difesa agli occhi con la mano, con atti molto na- turali e vaghissimi. I discepoli stanno nella parte inferiore del tempio, dinanzi al sepolcro: due di 4 Vita b. Ioannis ev. et ap. per Simeonem Metaphra- sten scripta. (Surio, 27 dicembre.) Le antiche leggende narrano, col Metafraste e con Niceforo, l'assunzione del corpo di Giovanni al cielo; mentre altri lo credono tuttora vivo, come Enoc ed Elia. Alcuni, invece de' sandali , dicono che nel luogo della sua sepoltura si trovasse manna in gran copia. LA CAPPELLA DE' PERUZZI. 9 loro, spenzolandosi sull'orlo, guardano attentis- simamente per ogni canto; ed altri, più discosti, seguono con gli occhi il rapito maestro. Oltre i pregi comuni alle opere di Giotto, mi pare in questa storia osservabile l'aria bellissima delle teste, e Y armonia della composizione; alla quale giova molto Y essere uno il fatto preso a rappre- sentare, perchè l'occhio e la mente si riconcen- trano in un sol pensiero e in un solo oggetto. Non dice il Vasari qual fosse 1' altra storia del Batista, che rimane tuttavia coperta dal bian- co; e neppure è esatto quando accenna « il bal- lare e saltare d' Erodiade, » eh' è il soggetto della storia scoperta. La graziosa Salòme , 1 poggiata sul fianco sinistro, si atteggia allora alla danza, e al- lora sveglia il primo suon della lira. Un giovine suonator di viola accompagna il ballo e lo stru- mento della fanciulla. Scorgi a sinistra la carcere del Precursore, la cui testa viene presentata dal carnefice al re, che siede fra due convitati. Due giovinetti (in cui è notabile la foggia del vestito diviso in due parti, l'una rossa e l'altra celeste) 2 servono a mensa; e mentre non sapresti trovare * Così avea nome la Ggliuola; la madre, Erodiade. 2 Si riscontra anche in altri dipinti posteriori: mi sovvengono ora i celebri affreschi del Pinturicchio nella Libreria del Duomo senese. 10 LA CAPPELLA DE' PERUZZI. in essi quella prontezza nei servigi osservata dal Vasari, ti nascerebbe la voglia di sapere che cosa mai si vadano dicendo negli orecchi: chè vera- mente è incerto se ne occupi il pensiero la gra- zia della danzante, o la pietà del Batista; se lo- dino la iniqua sentenza del re, o il biasimino come troppo accecato per Y affetto di Erodiade. La quale, forse per non doverla rappresentare due volte, il pittore non fece sedere a mensa, ma pose se- duta nell' atrio della sala, nell'atto che dalle mani della figliuola riceve il vassoio col santo capo. Il seno e il grembo rilevato manifestano la sua colpa, e insieme la cagione della morte del- T animoso Batista. Si direbbe che ella apre la bocca all' insulto; e tutto F atteggiamento del viso esprime la gioia mista allo scherno: quindi in quel volto è spento il raggio della beltà, e v'arde il fuoco della lussuria. Nè più pudica, quantun- que più vaga, è la fanciulla; nelle cui membra massicce e nella testa grandetta, tu vedi un esem- pio di quella bellezza robusta che Omero conce- deva ancora alle femmine. Per chi ha veduto nella cattedrale di Prato la medesima storia dipinta dal Lippù deve parer troppo gretta questa composizione, in cui si volle rappresentare il convito d' un re nel giorno del suo natalizio: ma chi più dello LA CAPPELLA DE' PERUZZI. 11 splendore e dell' artificio cerca nelle arti il de- coro e il sentimento , vi trova da pensar molto, e non poco da ammirare. E in ogni modo, io stimo che i buoni conoscitori dell' arte debbano tener per maggior difetto nei dipinti la soverchia copia de' personaggi, che la scarsezza; nella guisa che è più facile e più ragionevole sdegnarsi de' tanti attori che voglion metter la bocca nei drammi moderni, che biasimare la parsimonia delle tragedie greche o di greca maniera. Ma per non entrar troppo ne' misteri del- l' arte, a cui sono profano, faccio fine a queste mie povere parole, raccomandando ai Peruzzi che vogliano dar mano a restituire del tutto al primitivo splendore questa cappella, la quale è a loro cara non tanto per l'avita pietà, quanto per la recente memoria del cavalier Vincenzio, col quale, dopo quattro secoli, sull'aurora di nuovi tempi, ritornò nei Peruzzi la dignità del gonfalonierato fiorentino. E l' esempio di tanta casa gioverà, spero, a riaccendere l'amore delle cose belle e nostre in coloro, ai quali non può ormai perdonarsi altra ambizione che quella d'essere modestamente benefici e sapientemente splendidi. Giugno Ì849. OLI AFFRESCHI DI GIOTTO NELLA CAPPELLA DE 1 BARDI IN SANTA CROCE DESCRITTI. Opus Iocti pictoris egregii , in cuius pulchritudinem ignorantes non intel- ìiguot , magistri autem artis stupent. Petrarca, Testam. A GAETANO BIANCHI PITTORE. Quando nel giugno del 1849 io mi feci a scrivere poche parole sovra alcuni affreschi della cappella de* Peruzzi , richiamati a vita dal mio ottimo e valoroso Marini , mi contentai di far voti perchè que 1 nobili ed egregi patroni non desistessero dalla impresa di renderci tutte le storie in cui Giotto espresse i fatti di Giovanni Evangelista e del Precursore. Parevami che il salvare quesVuna delle quattro cappelle che il Vasari asserisce da lui dipinte in Santa Croce , fosse quel più che si potesse desiderare dopo lo strazio che si era fatto di monumenti cotanto preziosi. Ed in vero, era io ben lungi dal cre- dere che la cappella dedicata a san Francesco serbasse sotto il bianco tutte le storie , mentre vi scorgeva murati alcuni di quei funebri marmi de 1 quali si vanno oggidì miseramente ingom- brando le chiese. La buona ventura delle povere arti ha voluto che gli affreschi comecchessia ri- comparissero; e la vostra modestia mi permet- terà di ascriver pure alla buona ventura, che sian capitati alle mani di un valente ristauratore. Nè vi sembri umile troppo , egregio Bianchi, questo nome, che non molti san meritare dav- vero, o vuoi per soverchio saperne o vuoi per pochissimo. Piacemi certo, che chiunque si pone a ristorar dipinti d'antichi maestri, sia egli me- desimo buon maestro; ma vorrei che in quel- l'opera si diportasse da reverente discepolo, nè osasse por linea non consentita, per così dire, dall' artista che gli sta dinanzi. A voi, del resto, non manca ogni più bella parte del dipintore; è ce ne avete offerta una prova in questa cap- pella medesima, quando il danno della età e il guasto degli uomini vi hanno costretto a rinno- vare il dipinto. Biro a suo luogo dove vi sia oc- $ corso di fare a nuovo, per renderne accorti i meno esperti; e dall' indicarlo io credo che ri debba derivar molta lode. Offro a voi liberamente queste pagine, che serviranno (se troppo non presumo) come di guida ai visitatori della cappella de 1 Bardi, e ne recheranno qualche notizia ai lontani: ai quali vorrei col nome vostro far noto quello pur degli egregi che han promosso il discopri- mento di questi mirabili affreschi, e gli hanno salvati dall'ultima distruzione, se la loro mo- destia non mei vietasse. Abbiano essi la lode do- vuta a coloro che per la conservazione dei- vetusti monumenti provvedono al nome italia- no, air incremento delle arti, e al più degno e oggimai sperabile conforto degli animi nostri. Firenze , nel settembre del 4853. LA CAPPELLA DE' BARDI. Era trascorso appena un mezzo secolo dalla morte di san Francesco d'Assisi, quando nell'umile castello di Vespignano nasceva Giotto di Bondo- ne. La memoria del santo uomo era tuttavia re- cente; che alcuni de' vivi poteano averlo veduto tragittar per Toscana , e molti averne inteso par- lare da' suoi compagni superstiti, quando annual- mente la perdonanza della Porziuncula o la so- lennità delle Stimmate chiamava una moltitudine di pietosi peregrini a visitare i! duro sasso della Vernia o il misterioso sepolcro. 1 Nè pur strano è il credere che i genitori di Giotto cingessero sotto 1 È noto che nel 1309 il beato Giovanni dell' Alver- nia udì alla Porziuncula la confessione d* un uomo più che centenario, che aveva conosciuto san Francesco, e non aveva mai mancato di recarsi ogni anno al perdono dalla sna istituzione in poi. 20 LA CAPPELLA DE' BARDI. le spoglie pastorali la corda del terziario ; poiché Piero delle Vigne scriveva al suo signore, 1 che a mala pena si sarebbe trovato un uomo o una donna che non fossero inscritti al terz' ordine di san Francesco, o a quello di san Domenico; le cui divise sappiamo aver indossate la Bice di Giotto. 2 A me poi giova il pensare, che sulle lab- bra dei campagnoli della Toscana e dell' Umbria sonassero frequente i devoti cantici trovati da Francesco, e rimati da frate Pacifico e da frate Tacopone ; o quando (com ? è vago costume delle nostre campagne) alternavano il canto alle fati- che, o quando dalle fatiche ritornavano a casa giulivi : e forse il pastorello di Vespignano ingannò più volte con essi la solitudine e la stanchezza, mentre guidava a pascolare la greggia; come che la natura lo avesse eletto a intendere i misteri e le armonie di ogni arte gentile. 1 « Nunc aulem , ut iura nostra potentius enervarent, etanobis devotionern prceciderent singulorum , duas novas fraternitates creaverunt ; ad quas sic getter alitar rnares et fxminas acceperunt, quod vix unus et una remnnsit, cuius nùmeri in altera non sit scriptum. » Petrus de Vineis, Epist. lib. I , 37. 2 « Domina Bice pinzochera ordinis Sancte Marie Novelle de Florentia , et ftlia olim Gioiti Bondonis picto- ris, etc. » (Strumento dei 2 febbraio !337,rog. da ser Fran- cesco di Pagno da Vespignano; in Baldinucci, Albero del- l' agnazione e cognazione di Giotto, ec.) LA CAPPELLA DE' BARDI. 21 In questa maniera vorrei spiegare la propen- sione che Giotto dipintore mostrò a ritrarre la mi- rabile vita di san Francesco : ma quando ad altri paresse di dover contenere dentro più angusti limiti la fantasia, io mi volgerei alla storia; la quale ci narra come Giotto fosse da Cimabue in- dirizzato all'arte, e dall' Alighieri educato ai su- blimi concepimenti. 1 Or dalla musa di Dante fu innalzato V inno più splendido alla memoria di Francesco, e furon deposti da Cimabue i primi fiori dell'arte italiana sulla tomba del poverello d' Assisi. Cimabue dipinse nella duplice chiesa di Santa Maria degli Angeli la vita di Nostra Donna, e molte storie del vecchio Testamento e del nuo- vo; ma giunto alle pareti dove (quasi presentendo l'audace concetto di Bartolommeo da Pisa, che nelle sue Conformità 2 tolse a mostrare come la vita di san Francesco mirabilmente corrispondesse a quella di Gesù Cristo), giunto, dico, alle pareti dove i fatti del santo doveano delinearsi, parve * « E le storie dell'Apocalisse (in Santa Chiara di » Napoli), furono, per quanto si dice, invenzione di Dan- » te ; come per avventura furono anco quelle tanto lodate » d' Ascesi. » Vasari, Vita di Giotto. * Liber aureus, incriptus Liber Conformitatum vita: beati ac seraphici patris Francisci ad vitam Iesu Christi do- mini nostri, auclore Barlholomeo de Pisis , ■ ord. min. 22 LA CAPPELLA DE' BARDI. deporre i pennelli, e consegnarli al giovine di- pintore, eh' erasi eletto a erede nell'arte, come V uomo che (al dire del poeta) passa nelle mani dell'altro la lampada della vita. 1 Piacque a Giotto di trattare frequentemente le azioni del serafico Patriarca e in tempera e a fresco. La cappella storiata dei fatti del santo e la immagine sua nella pieve d' Arezzo furono, secondo il Vasari, operate mentre passava di quella città per condursi ad Assisi. E quivi, nella chiesa di sopra, dipinse trentadue storie della vita di san Francesco; e rappresentò nella chiesa di sotto, con belle allegorie, le virtù cristiane e monastiche, per le quali ei venne glorificato non meno in terra che in cielo. L' atto in cui da Gesù Cristo sono concesse al suo servo le stimmate, fu da Giotto rappresentato in una tavola con altre tre piccole storie che un tempo si videro in Pisa. Le graziose storiette degli armari della sagrestia di Santa Croce; 2 la tavola ai Francescani di Ve- rona; varie storie a quei di Ravenna; altre nella loro chiesa di Rimini ; i freschi nel Santo di Pa- dova, e in Santa Chiara di Napoli ; sono tutte opere in cui Giotto manifestò la sua predilezione 1 Lucrezio, II, 77. 2 Si dubita oggi , e non senza ragione , se questi ar- mari siano opera di Giotto. LA CAPPELLA DE' BARDI. 23 verso Francesco e l'ordine de' Minori, o com- piacque ai devoti che vollero moltiplicati gli esem- pi delle sue virtù, e rinnovata la memoria delle sue' glorie, a documento e conforto de' popoli. Ma poiché l'ala del tempo cancellò dalle pareti la maggior parte di quelle opere, alcune ne distrusse la ignoranza fastosa, ed altre la insolente vittoria tradusse sotto altro cielo (quasi il raggio del genio italiano possa fecondare come rallegrare la terra non sua) ; poiché tutto questo dobbiamo lamentare irreparabilmente, con tanta maggior letizia risa- lutiamo gli affreschi che per lunghi anni contesi al nostro sguardo dall'ignobile scialbo, tornano di tratto in tratto a rivendicar molta parte dello splendore nativo. Firenze, che fino dal 1212 accolse i frati Minori , volle innalzato a gloria di Dio e del loro santo Istitutore un magnifico tempio : quindi nel maggio del 1294* cominciava a sorgere Santa Croce dalle fondamenta, con i disegni di quel- T Arnolfo, a cui devesi il primo concetto di Santa Maria del Fiore. I Cavalcanti, i Baroncelli, i Pazzi, * « 4294. A dì 3 di maggio, il dì di santa Croce, sì » cominciò a fare la chiesa di Santa Croce de' Frati Minori. » Rinuccini Filippo , Ricordi storici , ad annum. Anche il Vil- lani assegna ai principii di Santa Croce il 1294 ; ma negli Annali di Simone della Tosa si legge il 95. 24 LA CAPPELLA DE' BARDI. gli Alberti, i Rinuccini, i Peruzzi, i Bardi, par- vero contendersi un altare e un sepolcro nel nuovo santuario ; e fu tra loro bella gara di reli- gioso fervore e di patria carità. Quattro delle cap- pelle superiori furono adornate dal pennello di Giotto: il quale pei Tosinghi e Spinelli fece la vita di Nostra Donna; pe' Giugni, il martirio di alcuni Apostoli; pei Peruzzi, le storie dei due Giovanni; per i Bardi, i fatti di san Francesco. 1 È qui pregio dell'opera l'investigare quando Giotto operasse nella cappella de' Bardi; poiché il porlo in chiaro parmi che alla storia dell' arte e allo studio dei dipinti giotteschi debba assai pro- fittare. Sventuratamente perirono gli affreschi della Badia di Firenze, che il Vasari dice « le prime pitture » di Giotto ; nè oggimai è creduta di sua mano l' Annunziazione descritta dallo stesso biografo, e dal Lanzi trovata di uno stile ancor secco, ma d' una grazia e diligenza che facea presentire gli avanzamenti futuri: 2 manca quindi un termine di confronto tra le opere che il Vasari asserisce prime, e quelle di Santa Croce che vengon da lui ricordate subito dopo, e molto avanti 1 Vasari, Vita di Giotto. 2 Lanzi, Storia pittorica ec, Scuola Fiorentina, epoca I, § 1. - Vasari, voi. I , pag. 311 , nota \ ( edizione di Fe- lice Le Monnier). LA CAPPELLA DE' BARDI. 25 agli affreschi d'Assisi. Nè dal Vasari, com'è suo vezzo, sì discosta il Baldinucci; il quale er- roneamente pone fra le primissime cose di Giotto la cappella del Podestà, perchè l'aretino la rammentava anche innanzi ai dipinti eli Badia: ma la rammentava per la sola ragione che quivi gli cadde bene allegare i ritratti di Dante, di Brunetto e di Corso Donati, in prova che Giotto era stato il primo a ritrarre felicemente di naturale. Altri osservarono ,* che se è vero che Giotto fosse chiamato ad Assisi dal generale Gio- vanni di Muro (e il Vasari lo asserisce), ciò non poteva accader prima del 1296 nè dopo il 1304 : per la qual cosa sarebbe da credere che gli affre- schi della basilica Serafica fossero stati condotti in quel torno di tempo; senza andar cercando con un moderno istorico della pittura, quello che Giotto potesse aver operato fra il 1298 e il 1305, e darsi a congetturare che in quest' intervallo dipignesse le cappelle di Santa Croce. 2 Non è da supporre che un tempio cosi vasto e suntuoso fosse pervenuto nel giro di pochi anni a tal punto, che già si potesse pensare circa il milletrecento * Gli annotatori del Vasari, voi. I , pag. 315 , nota 3 ( edizione citata ). 2 Rosini, Storia della pittura italiana , I , 237. 26 LA CAPPELLA DE' BARDI. a quegli ornamenti che soglion quasi formare la corona dell'opera. Rammenteremo in esempio, che la cappella de' Rinuccini, attigua alla sagrestia, fu fatta murare da Lapo di Rinuccino quando si edificavano le cappelle superiori di Santa Croce; ma solamente a cura di messer Francesco venne adornata di affreschi dagli scolari di Giotto. 1 Non altrimenti mi penso che avvenisse della cappella de' Bardi. Il Vasari scrive che Giotto di- pinse la vita di san Francesco nella cappella, « la quale è di messer Ridolfo de' Bardi ; » e il Baldi- nucci dice più esatto, che la fece « per messer Ridolfo de' Bardi. » Or questo Ridolfo nasceva di quel Bartolo che si era trovato a promettere la pace nel parlamento de' guelfi e de' ghibellini te- nuto nel 4280 alla presenza del cardinale Latino; ed era seduto, primo dei nobili, fra i priori del- l'Arti: capo della ricca e potente casa dei Bardi, non è da porre in dubbio eh' egli fosse il fonda- tore della cappella dedicata a san Francesco, e forse il primo a scendere nel sepolcro che aveva in essa preparato per sè e per i suoi discendenti. A Ridolfo intanto era piaciuto di lasciar trascor- rere la gioventù nella milizia, come portava la bella usanza di quei cittadini fortissimi, ai quali 4 Aiazzi, Illustrazione della Cappella gentilizia della famiglia Rinuccini nella Sagrestia di Santa Croce. LA CAPPELLA DE' BARDT. 27 non capiva nelP animo come si potesse alle com- pre armi de' venturieri confidare ciò eh' è da noi più caramente diletto. Egli combattè il Bavaro ; per la guerra contro Mastino della Scala, fu nel magistrato sopra ciò ; quindi deputato alla fortifi- cazione delle castella : tra i fautori del Duca d'Atene, e tra i suoi consiglieri; poi de' quattor- dici eletti a riformare lo stato dopo la cacciata di quell' insolente. Mirò le proprie case rubbate dal popolo, ed arse; provò l'esilio; e vide la ricca compagnia mercantile, in cui aveva compagni i Peruzzi, andare in fumo ed in fiamma per mislealtà del re inglese , 4 che gli avea concesso (per atto di cortesia sfolgorata) d'inserire nell' arme gentilizia i tre leoni rossi in campo d' oro di casa Plantage- neta. Un uomo così distratto fra le armi e le pub- bliche faccende e i commerci , parrebbe che non avesse potuto rivolger la mente alle opere della religione e delle arti, se non pervenuto a quella età in cui i pensieri diventan solenni pel vicino sepolcro : ma chi la sentisse in questo modo, mo- strerebbe di poco conoscere quelle operose e cre- denti generazioni. Io pertanto son d'avviso che, morto Bartolo nel 1310, non indugiasse Ridolfo a far adornare di pitture la cappella di sua gente ; come che a ciò lo incitasse V esempio delle altre 1 Di questo fatto si parla assai ne' cronisti fiorentini. 28 LA CAPPELLA DE' BARDI. famiglie, e il desiderio di compier P opera iniziata dal padre, e forse una domestica divozione verso Francesco d'Assisi. Vediamo di fatti riposare le ossa tra i Minori di Nizza uno dei figli di questo Ridolfo, per nome Giovanni, morto giovine sacer- dote con fama di santo, e da Benedetto XIV ono- rato di culto. In questa guisa è bastantemente provato come gli affreschi di Santa Croce non potevano esser condotti che dopo quelli d' Assisi ; ma riu- scirebbe a comprovarlo con le opere stesse, chi amasse di paragonar Giotto con Giotto. A me ba- sterà valermi di siffatti argomenti quando mi cada in acconcio nel descrivere i dipinti fiorentini: non lascerò inosservato frattanto, che se al D' Agin- court sembrava aver Giotto con i primi lavori sa- crificato un poco allo stile grechesco del vecchio maestro, 1 e il Lanzi trovava le prime storie d'Assisi inferiori alle altre: 2 queste di Santa Croce sono tanto lontane dalla maniera di Cima- bue, quanto ne rivelano splendidamente I! artista che risuscitò la moderna e buona arte della pit- 1 Storia dell' Arte dimostrata coi monumenti ee. Pit- tura, parte li, prima epoca. 2 « Avanzando l'opera, va crescendo nella correzio- » ne; e verso il fine spiega già un disegno vario ne' volti, » migliore nell' estremità; i ritratti son più vivi, le mosse )> più ingegnose , il paese più naturale. » Lanzi , op. cit. LA CAPPELLA DE' BARDI. 29 tura, e fu padre di tutti gli artefici che riconob- bero la natura per madre. Imperciocché la scuola di Giotto non si chiuda in Giovanni Angelico, ma si scorga in tutti i buoni quattrocentisti, e si tra- veda nelle squisitezze di Raffaello, negli ardimenti di Michelangelo, e negli sforzi dei moderni che studiano di accostarsi alla bontà degli antichi. La cappella di san Francesco è la prima delle quattro che seguono alla maggiore dalla parte di mezzogiorno: e ciò basta a farci comprendere, che il tempio è consacrato all' Eterno in onore del Serafico Patriarca, e che .le preghiere dei fe- deli lo hanno in questo luogo a particolare inter- cessore. Quantunque non ampio il recinto, pur le svelte proporzioni e il girar degli archi in sesto acuto permisero a Giotto di praticare sopra cia- scuna parete tre spaziosi compartimenti. In quello che è più accosto alla volta, dal lato sinistro di chi entra, fece san Francesco che abbandona i beni terreni: e di riscontro, la prima approva- zione dell' austero istituto : nel seguente a destra, lo figurò dinanzi al soldano : e nella storia dirim- petto, lo mostrò in ispirito nel mezzo ai suoi frati, mentre Antonio da Padova tien loro un sermone: finalmente, nel terzo a destra volle rappresentare 30 LA. CAPPELLA DE' BARDI. il traslocarlo che i discepoli fecero dallo episcopio di Assisi a Santa Maria degli Angeli quando era infermo; e il piangerlo morto, nell' ultima storia a sinistra. San Lodovico vescovo di Tolosa con santa Chiara, san Luigi re di Francia con santa Elisabetta d'Ungheria, posti in linea ai due infe- riori compartimenti, mettono in mezzo la lunga finestra che occupa gran parte della parete di faccia. La crociera della volta rassembra un cielo stellato, dove l'umile Francesco trionfa con la Povertà, la Castità e l'Ubbidienza. In quattro semplici tondi son racchiuse la effigie del Santo e le simboliche immagini delle tre Virtù: ed ogni quarto della volta contiene un tondo. Vago fregio rigira per l'imbotte della finestra, in cui lo stemma de' Bardi (un filare di picconi a sghembo in campo rosso) ricorre più volte. LA CAPPELLA. DE' BARDI. 31 h Che per tal donna giovinetto in guerra Del padre corse E dinanzi alla sua spiritai corte , E coram patre , le si fece unito. Dante, Paradiso,^!. Molto accorgimento mostrava il dipintore nella scelta del primo soggetto. La vita del Santo incomincia propriamente dalP abbandono della casa e de 7 beni paterni; chè i cinque lustri tra- scorsi , furono vanamente perduti dietro le lusin- ghe del secolo, e la loro memoria è già dileguata anche presso di quelli che, adulando alla ric- chezza del figliuolo di Pier Bernardone, lo chiama- vano il fiore dei giovinetti d' Assisi. Ora le cose han mutato d'aspetto: gli amici della fortuna se ne sono partiti: i cittadini, che lo veggono spa- ruto e dimesso della persona, 1' hanno per men- tecatto, e se ne piglian giuoco: il padre che, quantunque avaro mercatante, avea tollerata la mondana prodigalità di Francesco; or gli richiede severamente il danaro sottratto per la mistica riedificazione della chiesetta di San Damiano, e lo cita davanti alla podestà d' Assisi. Ma perchè i consoli se ne scusano, dicendo che Francesco è 3*2 LA CAPPELLA DE' BARDI. uomo di Dio e soggetto al potere spirituale, Ber- nardone ne fa querela al vescovo. Il quale pa- ternamente rivolto al giovine: « Or vedi, gli » dice, come tuo padre è forte sdegnato con te: » se vuoi servire a Dio, e tu rendigli il suo da- » naro; chè forse è di malo acquisto, e al » Signore non piace che si adoperi per la sua » chiesa. » E Francesco: « Sì, maestro, piace- » mi che riabbia costui ogni cosa, e sin le mie » vesti. » Delle quali spogliato fino a restare ignudo, soggiunge: « Or badate a quello che io » dico: in fin a questo punto ho chiamato padre ì> te, Pietro Bernardone; d'ora in poi potrò dire » securamente , 0 Padre nostro che siei ne' cieli; » appresso al quale ogni mio tesoro è riposto e » collocata ogni speranza. » Alle quali parole il vescovo si leva dal seggio , e lo ricopre col manto. Non potea Giotto più fedelmente renderci con i colori la narrazione di questo fatto, che i tre Compagni e san Bonaventura ci descrissero nelle loro leggende. 1 Tu vedi il palagio de' con- soli; e questi che vengono da sinistra, tentando * Vita s. Francisci deAssisio, a Leone, Rufino, Angelo eius sociis scripta ,dictaque Legenda trium Sociorum. — Le- genda maior , composita per s. Bonaventuram , de vita beati patris nostri Francisci. LA CAPPELLA. DE' BARDI. di trattenere Pier Bernardone dal gittarsi sopra il figliuolo. Ma egli ha già deposte le vestimenta, ed è nelle braccia del vescovo, che alla sua nu- dità fa schermo con V ammanto sacerdotale. Tra- spare nel volto del giovine quella calma che è propria di un' anima distaccata da ogni terreno pensiero: egli ha già invocato il nuovo Padre ce- leste, e si è congiunto con quella Donna, alle cui mistiche nozze alludono i versi del divino Poeta. Il padre è qual ci viene descritto dalla istoria*, aspro di modi, e soprattutto cupido del- l'avere: lo che Giotto riuscì ad esprimere coi movimento della persona, e col tenere eh' ei fa bene strette le vesti abbandonate dal figlio. Nei magistrati e ne' chierici, che fan seguito ai con- soli e al prelato, si scorgono tutte le vane pas- sioni che un tal caso dovette suscitare in uomini diversi; compassione, stupore, disprezzo. Ma del disprezzo volle Giotto che si avesse una più viva immagine nei fanciulli posti con soverchia sim- metria ai due estremi della storia; i quali , invano trattenuti, stanno per iscagliare de' sassi contro il beato giovinetto. Quest'atto, che avrebbe del singolare, se non fosse una fedel traduzione delle parole di san Bonaventura, 1 dovette essere nella 4 « Quemcum cives cerner entj "ade squalidum et mente mutatum, ac per hoc alienatum pularent a sensu, luto pla- à 34 LA CAPPELLA DE' BARDI. mente del barone di Rumohr, quando scriveva di Giotto in tal sentenza: « Giotto volse la pit- » tura italiana alla rappresentazione di atti e di » affetti nei quali il burlesco si mescolava al pa- » tetico. La naturalezza che i contemporanei am- » mirarono ed encomiarono nelle opere di lui, » non è altro che quella vivacità di movimento » e di azione che destò negli spettatori il diletto » e T entusiasmo per i soggetti da lui trattati, ma » che peraltro allontanò il severo sentimento » che si scorge nelF opere degli artisti più anti- » chi. » 1 A me sembra che in questa qualità di saper tutto esprimere acconciamente, e le cose volgari come le peregrine, e le umili come le grandi, Giotto ritraesse mirabilmente dall' amico suo e* ispiratore Dante Alighieri; e poiché non oserei chiamarla difetto nel poeta, cosi lascerò al dotto alemanno che tale la creda nel dipintore. 11 Rumohr non potè aver conoscenza degli af- freschi di Santa Croce; ma la composizione di questa storia gli fu nota per la fedele ripetizione tearum et lapidibus impetebant, et tamquam insano et de- menti clamosis vocibus insultabant. » E ne' Fioretti , cap. II: « Intanto che da molti era reputato stolto, e come pazzo era » schernito e scacciato con pietre e con fastidio fangoso » dalli parenti e dalli strani. » 1 Italienische Forschungen von C. F. von Rumohr; Ber- lino, 1827. Parte seconda; IX, Intorno a Giotto. LA CAPPELLA DE BARDI. 35 che se ne fece negli armari della sagrestia di Santa Croce/ Vide peraltro il dipinto di que- sta cappella Piero della Francesca, e se ne valse a rappresentare il nostro Santo che repudia la paterna eredità, in una piccola tavola che in- sieme ad altre preziosissime fu, non ha guari, mercanteggiata agli stranieri : 1 e solo rimane agli studiosi dell' arte il potere utilmente raffron- tare la composizione di Giotto con quella di un gran maestro del quattrocento nella cappella dei Sassetti in Santa Trinità. Ma già Domenico Ghir- landaio effigiando Francesco inginocchioni dinanzi al vescovo, neir atto di prender P abito di sacco e cinger la corda, cominciava a scostarsi dalla storica verità; quantunque ancor lontano dalla stravaganza de' secentisti, che ci mostrarono il fondatore dei Minori conversante fra un popolo che agli abiti e alle portature ne rammentala gra- ve dominazione degli Spagnoli in Italia. * Ho potuto averne notizia per un contorno che ne fece il pittore Francesco Pieraccini. 36 LA CAPPELLA DE' BARDI. II. Ma regalmente sua dura intenzione Ad Innoeenzio aperse , e da lui ebbe Primo sigillo a sua religione. Dante, Paradiso, XI. Bisogna dimenticare gli affreschi or ora ri- cordati del Ghirlandaio per sentire la squisita bellezza della composizione di Giotto. 1 Là ricca sala, a cui si ascende per varie scale con ordini d' appoggiatoi per la salita ; tutto tirato di pro- spettiva, come la scienza e l'arte avevano ormai insegnato; cardinali seduti a concistoro; ed altre figure ritratte di naturale, che ti rubano Y atten- zione, poiché n' è dato riconoscere vari cittadini noti per le istorie, e il Magnifico Lorenzo sovra d'ogni altro. Qua, all'incontro, la composizione è semplice, ma per l'effetto mirabile. Innocen- zio III siede sotto il trono, standogli a' lati il car- dinale vescovo di Sabina e il vescovo d' Assisi ; ambedue stretti d'una intima benevolenza a Fran- cesco. Per le loro parole assicurato, il pontefice non dubita più sulla intenzione di questi nuovi poverelli che gli stanno al cospetto: e già vide in sogno la palma prodigiosamente feconda, e il crol- 4 Vasari, Vita di Domenico Ghirlandaio. LA CAPPELLA DE' BARDI. 37 lante Laterano sostentato dagli omeri di un fra- ticello, ed ascoltò dalla bocca di Francesco l'al- legoria della femmina che fa disposata da un re. V Ordine dei Minori è approvato. Giotto rap- presentandoci T ultima azione, ce le ha fatte com- prender tutte, con quella stupenda arte di dire accennando, che pochi dopo i trecentisti han .saputa. III. per la sete del martiro, Alla presenza del Soldan superba Predicò Cristo e quei che lo seguirò. Dante, Paradiso, XI. Acceso dal zelo della fede di Cristo e dal desiderio del martirio , san Francesco veleggia alle parti di Oriente. Ferve la guerra tra i cristiani e gl'infedeli: il Soldano ha posto largo premio a chi gli reca la testa d' un inimico. Ma il cavaliero di Cristo non ne intimidisce; che anzi si riconforta nello scontrarsi in due pecorelle , rammentando le parole dell'evangelio che dicono: « Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. » E come tali ve- ramente si gittano addosso a Francesco e al suo compagno Illuminato i ladroni saraceni. Eccogli al cospetto del Soldano. Con intrepido cuore ri- sponde il Santo alle domande: non esser man- 38 LA CAPPELLA DE* BARDI. dato da nessun uomo, ma dall'altissimo Iddio, per mostrare a lui ed al suo popolo la via di sa- lute, ed annunziare il vangelo di verità. E conti- nuando nelle parole, con tanta virtù d'animo e fervore di spirito predica Y unità di Dio in tre persone, e Gesù Cristo salvatore del mondo, che ilSoldano ne prende grandissima maraviglia, e desidera di averlo seco per sempre. « Ed io » resterei, risponde Francesco, se tu volessi col » tuo popolo attendere alla conversione: chè se )> tu dubiti per la legge di Cristo abbandonare » quella di Maometto; su, comanda che si ac- » cenda un gran fuoco, ed io vi entrerò con i » tuoi sacerdoti. » E il Soldano: « Niuno de'miei » sacerdoti iocredo che vorrebbe entrare nel fuoco, » ed espor la vita per la sua fede. » E ciò disse, perchè vide che uno de' più vecchi e reputati se n' era partito a quel discorso. 1 È questo il momento in cui Giotto ci ha rappresentato san Francesco davanti al Soldano. il fuoco è preparato. Tre imani, in ampie vesti- menta e aria misteriosa, volgono il tergo con atto che sa di paura e d'affettato dispregio. Ma di tanta viltà par che vogliano muover loro rimpro- vero i due servi moreschi che stanno in piedi dappresso al trono del loro signore: il quale, ac- 1 S. Bonaventura, Leg. , cap. IX. LA CAPPELLA DE' BARDI. 89 cennando al fuoco e guardando torvo i fuggenti , par che dica: 0 sacerdoti, cosi rendete testimo- nianza alla fede vostra? Ben lo diceva, che per lei non dareste un giorno solo di vita ! E intanto Francesco, sporgendo il braccio le- vato in alto con quell'enfasi che è segno di grandissimo convincimento , pronunzia quelle parole che san Bonaventura ci ha religiosamente conservate: « Ebbene, passerò io per le fiamme: » ma se ne sarò arso , i peccati miei ne abbiano » colpa; se n' uscirò illeso, tu col tuo popolo rico- » noscerete che Gesù Cristo è virtù e sapienza di » Dio. » Il compagno del santo Patriarca, a cui la fede forse non manca, ma V animo, sta in guisa di stupefatto, aspettando che il Soldano accetti Fesperimento. La storia però ci racconta che noi volle, per non levar tumulto nel popolo: e solo a qualche semplice fraticello piacque di credere che Francesco gli promettesse allora e inviasse poi due frati Minori a informarlo della fede di Cristo, e battezzarlo neir ultima infermità; e che T anima sua, pe' meriti del servo di Dio, fosse ri- cevuta in vita eterna. 1 La composizione di questa storia, e P arti- ficio con che il dipintore ¥ ha condotta, son mag- giori d'ogni lode. Il Lanzi scriveva, che « quando 1 Fioretti, cap. XXIV. 40 LA CAPPELLA DE' BARDI. » si veggono di Giotto certe teste virili, certe » forme quadrate , lontanissime dalla esilità dei » contemporanei; certo suo gusto di pieghe rare, » naturali, maestose; certe sue attitudini, che su )> 1' esempio degli antichi spiran decoro e posa- » tezza; appena può dubitarsi eh' egli profittasse » non poco da' marmi antichi. » Ma se in poche altre pitture si trovano riuniti come in questa tutti i pregi ricordati dal Lanzi, niuna forse come questa può persuaderci a tenere una opinione al- quanto diversa. Gli atteggiamenti, i costumi, le nature dei personaggi son qui espressi e ritratti con tanta verità, che piuttosto mostrano V artista guidato da un certo furore (come lo chiamava il Va- sari), che da quello studio d'imitazione, il quale non può attendere alle forme senza rattiepidire il sentimento. IV. .... Se Àrelatensi capitulo in Crucis effìgie praesentavit. S. Bonaventura, Leg. , cap. XI. Una delle storie che illustrarono la chiesa del Santo in Padova, fu certamente quella che si vede riprodotta dal medesimo Giotto nella basi- lica di Assisi, negli armari della sagrestia di Santa LA CAPPELLA DE BARDI. 41 Croce, e nella cappella de 1 Bardi. Rappresenta il santo Patriarca sollevato da terra, e con le brac- cia aperte a modo di croce, in mezzo ai suoi frati convenuti al capitolo di Arles, mentre Antonio da Padova tien loro discorso sulla Passione, pi- gliando a sporre il titolo che Pilato scrisse sulla Croce del Salvatore. Lo che volle ricordare l'ar- tista effigiando un maestoso Crocifisso alla foggia del dugento nella più lontana parete della stan- za; dentro alla quale può rocchio spaziare libera- mente per mezzo delle ampie arcate che si aprono sul lato davanti. Stanno disposti gli uditori sovra tre linee: quelli del primo presso volgon le spalle a chi guarda; vengon di faccia i secondi; e de' terzi appena vedi le chieriche soperchianti al parete che fa d'appoggio al sedile: pur di tutti puoi in- tendere l' azione e V interno commovimento. Seg- gono tutti: e qual si mostra compreso di lieto stupore per le udite cose; qual è immerso in me- ditare profondo; e qual è rapito dalla subita ap- parizione del Santo. Imperocché non tutti ebbero la visione, ma il solo frate Monaldo (altri dicono due); quantunque tutti si trovassero ripieni di quella come fragranza spirituale che gli accertò del prodigio. Degli affreschi padovani non restano che po- che reliquie, insufficienti a darci un' idea di quello 42 LA CAPPELLA DE' BARDI. che Giotto vi avesse dipinto: 1 non molto differi- scono fra loro le storie operate ad Assisi ed in Santa Croce; ma tanto però, da far comprendere eh' egli intese a megliorare la sua composizione quando nella cappella de' Bardi disponeva dicias- sette uditori con tanta considerazione che ap- pena te ne accorgi, mentre soli quindici ingom- brano la storia di Assisi. 1 Si ritenne la nuova com- posizione nella storietta degli armari; dove però il numero degli ascoltanti è minore. La figura di san Francesco è leggera, come quella d' un uomo che qui è solo in ispirito; e mostra diffuso nella persona un soave decoro. Posa sant' Antonio su i piedi gravemente; e nascondendo le conserte mani nella capace manica, è composto a quella quiete che si addice a chi ragiona e non si agita con vani eloqui. 1 Selvatico, Guida di Padova, 1842. * La storia d' Assisi fu data dal D'Agincourt nella tav. CXVl , n. 1 ; e dal Riepenhausen , Geschichte der Ma- lerei in Italien ec. ; Tubinga, 1810 Parte II, tav. 10. LA CAPPELLA DE' BARDI. 43 V. Ad Sanctam Mariam de Portiuncula se portari poposcit ; quatenus ubi ac- ceperat spiritum gratiae, ibi redderet spiritum vitse. Episcopus Assisinas ad oratorium Sancti Michaelis in Monte Gargano tunc temporis peregrinationis causa per- rexeratj cui beatus Franciscus ap parens nocte transitus sui, dixit: Ecce relinquo raundum, et vado ad ccelum. S. Bonaventura, Leg., cap. XIV. Ascoltiamo la ingenua narrazione di un antico toscano, delle cui grazie native si fa ancor bello T idioma d' Italia, a San Francesco, alquanti di in- )> nanzi alla morte sua, istette infermo in Assisi nel » palagio del vescovo, con alquanti de' suoi com- » pagni; e con tutta la sua infermità, egli ispesse » volte cantava certe laudi di Cristo. Un dì gli » disse uno de' suoi compagni: Padre, tu sai che » questi cittadini hanno grande fede in te, e re- » putanti un santo uomo; e perciò e* possono » pensare, che se tu se' quello eh' elli credono, tu » doveresti in questa tua infermità pensare della » morte, e innanzi piagnere che cantare; poiché » tu se' così gravemente infermo, e intendi che'l » tuo cantare e '1 nostro, che tu ci fai fare, LA CAPPELLA DE' BARDI. » s'ode da molti e del palagio e di fuori; im- » perocché questo palagio si guarda per te da )> molti uomini armati, i quali forse ne potreb- » bero avere malo esemplo: onde io credo (disse » cotesto frate) , che tu faresti bene a partirti di » quinci, e che noi ci tornassimo tutti a Santa )> Maria degli Àgnoli, perocché noi non istiamo » bene qui tra li secolari. Li risponde san Fran- » cesco: Carissimo frate, tu sai che, ora fa due » anni, quando noi istavamo in Fuligno, Iddio ti » rivelò il termine della vita mia, e cosi la ri- » velò ancora a me; che di qui a pochi di, in que- » sta infermità, il detto termine si finirà: e in » quella rivelazione Iddio mi fece certo della re- » missione di tutti i miei peccati, e della beatitu- » dine del paradiso. Insino a quella rivelazione io » piansi della morte, e delti miei peccati: ma poi » ch'io ebbi quella rivelazione, io sono sì pieno » d'allegrezza, ch'io non posso più piagnere; è » però io canto e canterò a Dio, il quale m' ha » dato il bene della grazia sua, ed hammi fatto » certo de' beni della gloria di paradiso. Del no- » stro partire di quinci, io acconsento e piace- » mi; ma trovate modo di portarmi, imperoc- » chè io per la infermità non posso andare. Al- » lora i frati lo presero a braccia, e sì '1 porta- » rono, accompagnati cioè da molti cittadini. LA CAPPELLA DE' BARDI. 45 )> E giugnendo ad uno spedale, che era nella » via, san Francesco disse a quelli che '1 por- » tavano: Ponetemi in terra, e rivolgetemi in- » verso la cittade. E posto che fu con la fac- )> eia inverso Assisi, egli benedisse la cittade di » molte benedizioni, dicendo: Benedetta sia tu » da Dio, città santa, imperocché per te molte » anime si salveranno, e in te molti servi di Dio » abiteranno, e di te molti ne saranno eletti al » reame di vita eterna. E dette queste pa- » role, si fece portare oltre a Santa Maria degli » Agnoli. » 1 Due fatti (non so qual d' essi più commo- vente) si offerivano al pennello dell'artefice. Il Santo che ricrea lo spirito affievolito dall' infer- mità con i cantici che per empito d' amore gli erano sgorgati dall' anima innamorata, e nei quali sul morire chiama sorella la morte, 4 come un giorno avea chiamato coi dolci nomi di sorella e di fratello, il sole, gli astri, le piante, e ogni più lieta e benefica creatura: il cittadino d 1 Assisi, che nella sua benedizione dà ¥ ultimo pegno d'affetto alla patria terrena, mentre è prossimo ad 1 Fioretti , nella quarta considerazione delle sacro- sante Stimmate. 2 Si narra che al Cantico così detto del Sole, aggiun- gesse nell' ultima infermità la strofe della Morte. 46 LA CAPPELLA DE' BARDI. entrar la celeste. Piacque a Giotto di trattar am- bedue i soggetti in una sola storia; e, a mio pa- rere, fece ottima prova. I compagni e discepoli di Francesco, ne' cui volti tu presenti il dolore della certa separazio- ne, si affollano all'umile letticciuolo , sovra cui sta seduto l'uomo di Dio. La semplice cortina, alla quale un fraticello si affaccia con atto di de- vota curiosità, ti avverte che il santo infermo e posato nello spedale, com'egli ha domandato. Le mani sono giunte; la fronte è concentra- ta in un pensiero solenne: ei prega e benedi- ce. Uno degli astanti discepoli legge i cantici a lui prediletti : mostra un altro con le brac- cia distese la meraviglia di veder tanta vita in membra cosi estenuate: in tutti i volti trovi espresso per vari modi un medesimo affetto: ma gli occhi posano sopra una figura che si distingue dalle altre. È questi frate Elia da Cortona: anima meno santa, ma non meno grande di Francesco; al cui senno V istesso Patriarca sottopose la re- gola de' Minori, e alla cui mente deve l'Ordine francescano i più bei monumenti dell'arte. Il sem- plice cronichista ne tacque il nome (segno fin d'al- lora a contraddizioni e calunnie) dove ci disse che uno de'compagni persuase al Santo di levarsi dal- l'episcopio ; ma Francesco obbediva alla volontà di LA CAPPELLA DE' BARDI. 47 frate Elia, traendo le stanche membra a Santa Maria degli Angeli ; dove in breve dovea esalare V anima sua benedetta. Il giorno quarto d 1 ottobre dell'anno 1226 nella sera di sabato, chiudeva Francesco la ope- rosa e santa vita. In quella notte medesima fu veduto nel sonno dal vescovo di Assisi, che si trovava per viaggio verso il monte Gargano. — Fece Giotto il prelato negli abiti solenni della sua dignità, giacente in letto: i due servi piglian ri- poso, appoggiando il capo al soppidiano; ma uno di loro s' è accorto del prodigio, e tien le pupille fìsse nel Santo che è apparso neir aria. Può sembrare strano che il dipintore pren- desse a rappresentare una tal circostanza della morte di san Francesco, mentre tante ve ne fu- ron più splendide, in cui la fantasia e il pennello avrebbero potuto meglio manifestarsi: e ciò è tanto più singolare, che per dar luogo a questa rappresentazione dovè ricorrere a quel partito, frequente negli antichi maestri ma non proficuo air effetto, d'introdurre più avvenimenti nella medesima storia. Ebbe però Giotto una riposta ragione a ciò fare; e sarà facile il comprenderla, quando si osservi che il vescovo qui giacente è quel pietoso che, già venti anni, accolse il fi- gliuolo di Pier Bernardone nelle braccia paterne. 18 LA CAPPELLA DE' BARDI. VI. Lacrymabantur 61ii prò subtractione lam amabilis patris ; sed et non modica perfundebantur lpetitia, dum deoscu- labantur in eo signacula summi Regis S. Bonaventura, Leg. f caj). XV È questa Y unica storia che il Vasari abbia ricordata nel far cenno delle pitture della cap- pella de' Bardi; e tali sono le sue parole: « Nella » morte del Santo, un buon numero di frati mo- » strano assai acconciamente 1' effetto del pian- » gere. » Scarsa lode; ma che non dovè parer tale al biografo, che più volentieri prodiga ai capricci dell'ingegno e al corporeo bello gli encomi debiti alla sublime semplicità e alla intima bellezza che si rivela all' animo più che allo sguardo. Ben altrimenti videro questo dipinto Domenico Ghirlandaio e Benedetto da Maiano; come ce lo mostrava il primo nella cappella de' Sassetti, e l'altro nel bassorilievo del pergamo di Santa Croce. — Il Santo è disteso sul feretro; in capo al quale sta un sacerdote leggendo, e da piede sono tre chierici^ novizi con la funebre croce ed i torchi. Tu diresti che, cessando allora i canti della vigilia, si riprende il pietoso lamen- tare dei diserti discepoli, che sfogano il proprio LA CAPPELLA DE' BARDI. 49 dolore nel contemplar le care reliquie, nel ba- ciarle, nel piangere. Ricingono essi tre lati: sul davanti sta inginocchiato un nobile personaggio, che tenta con la mano la stimmata sacra del petto. È questi uno de 1 figli di Giacoma Sette- soli, amorosa donna che, a imitazione delle Ma- rie, portò gli unguenti e gli aromi al sepolcro delP imitatore di Cristo. Mentre tutti sono in- tenti all'esanime corpo, un frate Minore con- templa la santa anima che dentro un nimbo di luce è levata in aria dagli angeli. In quel frate c'indica la storia il buon Pietro Cataneo; ma ognuno ravvisa frate Elia fra gli astanti verso la destra. Vengono dall' altra parte due citta- dini d'Assisi; ed è manifesto che Giotto volle in essi ritrarre due uomini a lui cari e noti al suo tempo. Ma dell' uno non ci pervenne il nome; nelP altro piace ravvisare P architetto di Santa Croce e di Santa Maria del Fiore. Scrive difatti il Vasari nella vita di Arnolfo, che il suo ritratto « si vede di mano di Giotto in Santa Croce , » dove i frati piangono la morte di san France- » sco, nel principio della storia, in uno de' due » uomini che parlano insieme. » Non è vera la circostanza accennata dal biografo: si direbbe piut- tosto, che que'due personaggi siano rimasi stu- pefatti alla vista di tanto cordoglio. E che uno di 4 50 LA CAPPELLA. DE' BARDI. essi ci offra le sembianze di Arnolfo, poiché il Vasari lo ha detto, non lo vorremo noi contrad- dire: ma non è da passar senza nota la diffe- renza che corre fra questi lineamenti e quelli del ritratto che il medesimo Vasari ci presenta inta- gliato nelF opera sua delle Vite. Ed è pur degno di osservazione, che tipi molto somiglianti a que- sti si trovano ripetuti nella piccola storia degli armari, dov'è espresso il rifiuto delle paterne ricchezze. Castità. — Povertà. — Obbedienza. Fu grazioso concetto di un pittore contem- poraneo del beato Angelico, quello di tre giovi- nette che muovono oneste e liete incontro a Francesco; 1 il quale pone in dito a quella di mezzo la gemma di sposa. Cosi Dante con la vaga allegoria di una donna da tutti spregiata, fuor che dal figlio di Pier Bernardone, celebrava le misti- che sponsalizie di san Francesco con la evange- lica Povertà. Giotto non ingentilì con la fantasia è coi simboli le tre Virtù che accompagnano l' imagine del santo Patriarca nella volta di questa cappella. Fece dunque la Castità, da una parte, 4 11 Rosini ce ne ha dato V intaglio nella sua Storia della Pittura. LA CAPPELLA DE' BARDI. 51 in figura di donna orante dentro una rócca, alla cui guardia stanno due angeli: appena gli occhi possono scorgerla attraverso di una finestra; e vederla soltanto da tergo, coperta d'un velo. Tale la dipinse in Assisi; dove aggiunse regni, corone e palme offerte a lei da' lusinghieri, e da lei fortemente respinte. Dall' altro lato è l'Obbe- dienza, vestita di povero sacco: posa la sinistra sopra il libro della Regola, e con l'indice del- l' altra mano accostato alle labbra fa segno di ta- cere. Negli affreschi di Assisi le pose davanti un frate, che dalle sue mani riceve un giogo sul collo. Alla imagine di san Francesco, che al pari del- l' altre si mostra fino alla cintola, fa riscontro la Povertà; la quale rimane prossima al grande arco della cappella. Lacera le vesti, con i capelli raccolti dentro povero cencio, strigne questa fem- mina i fianchi con ruvida corda. Le spine che ha dietro il capo, e la magra cagna che intorno le abbaia , ti dicono come debba esser penoso il sen- tiero ch'ella percorre, e come a tanti mali non possa sfuggire, quantunque alata e nel corso ve- loce. È per me indubitato, che Giotto intese a mostrare la Povertà non sol dispregiata dal mon- do, ma dispregiabile. Provolla forse nella sua prima giovinezza; potè conoscere di quanti mali ella sia occasione e pretesto nel corrotto secolo : 52 LA CAPPELLA DE' BARDI. non potè vederla pura e generosa nel poverello d' Assisi e nei primi seguaci , i quali a buona ra- gione cantaron di lei securamente: Povertade va leggera, Vive allegra e non altera. Povertà, gran monarchia, Tutto '1 mondo hai 'n tua balia. Quant' hai alta signoria D'ogni cosa e' hai sprezzata! Povertà, alto sapere, Disprezzando possedere , Quanto avvìlia il suo volere, Tanto sale in lìbertate. 1 Ma non era scorso bene un secolo , che la povertà raccomandata da Francesco ai discepoli come la sua donna più cara, 2 era posta in oblio: e Dante con santo sdegno rampognava i dege- neri; e i molli novellieri facean de' mali clau- strali una turpe commedia. A quei tempi s' av- venne Giotto: e poiché il cielo a queir ingegno universale non avea negata neppur la potenza de' carmi, fece egli con i versi un commento ai dipinti. La sua canzona della Povertà 3 non è sa- * Da' Cantici del beato Iacopone da Todi. 2 Dante, Paradiso, XI. 3 Fu pubblicata dal Rumohr , op. cit, ; ma scorrettis- LA CAPPELLA DE' BARDI. 53 tira, a chi ben la considera; ma profonda medi- tazione intorno a una virtù, che il Vangelo ha comandata nell'uomo interiore, raccomandata nei beni della terra, e che san Francesco praticò in un grado sublime, nel quale non tutti i seguaci della sua Regola la potettero mantenere con la primitiva austerezza. Cosi i tempi modificano le istituzioni, se non le distruggono. San Lodovico vescovo di Tolosa, San Luigi re di Francia; Santa Chiara , Santa Elisabetta d' Ungheria. Quattro figure maggiori del naturale mettono in mezzo la finestra che dà luce alla cappella. L'età, e i danni precedenti, e il bianco sovrap- posto Paveano così guaste, che la pietosa mano dell' esperto ristauratore ha dovuto far di nuovo il santo re Luigi di Francia. E bisogna pur dirlo perchè uom se n'accorga; tanto ha saputo far suo il contornare, il piegare, il colorire dell'antico maestro. San Lodovico di casa Angioina, il buono e giovinetto vescovo di Tolosa , morto e canoniz- zato pochi anni prima che qui Giotto lo ritraesse, sima: più emendata l'abbiamo nella nuova edizione del Vasari (Firenze, Le Mounier), voi. I, 348; e nel voi. II, 8, delle Poesie italiane inedite di dugento autori, ec. (Prato, Guasti.) 54 LA CAPPELLA DE ? BARDI. fa riscontro al buon re crociato: come santa Chiara d'Assisi riscontra a santa Elisabetta d'Un- gheria nel ripiano inferiore. Sono esse distinte con propri emblemi : tien quella in mano un gi- glio, come la prima fra le vergini del second'Or- dine francescano; fioriscono in grembo all'altra le rose, dov'era il pane eh' ella stessa, gran si- gnora, ministrava con umile carità ai poverelli di Cristo. Gli Evangelisti, e quattro Dottori della Chiesa. Nulla rimaneva di quanto Giotto dipinse, com' era costume de' suoi tempi, nel girare del sottarco. Ora ci è dato scorgere in otto compassi gli Evangelisti, e Ambrogio, Girolamo, Gregorio e Agostino dottori. Gli diremmo operati nella scuola di Giotto; ma, col san Francesco della volta, non sono che una molto felice imitazione dell' artista, a cui dobbiamo il restauro della cap- pella de' Bardi. San Franceseo. (Tatola dell' altare, attribuita a Cimabae.) La cappella dedicata a san Francesco di As- sisi , e tutta dipinta de'fatti della sua vita, era con- LA CAPPELLA DE' BARDI. 55 veniente che avesse anche V altare decorato della sua immagine. Ma qual dipinto potea star meglio in mezzo agli affreschi di Giotto, che un'opera attribuita a Cimabue? Il Vasari gliela dà vera- mente; e dice che « in una tavola, in campo d'oro, » fece un san Francesco, e lo ritrasse (il che fu » cosa nuova in que' tempi) di naturale, come » seppe il meglio ; ed intorno ad esso tutte V isto- » rie della vita sua in venti quadretti, pieni di » figure picciole, in campo d'oro. » Ma il Lanzi, ottimo giudice, non tenne ugual sentenza; e credo che a chiunque vide quel dipinto, venisse fatto di paragonarlo piuttosto ai lavori del ruvido Margaritone. Non accade osservare che le parole del Vasari, « e lo ritrasse di naturale, » vanno prese in un senso molto largo; di che ci offre altri esempi lo stesso scrittore : il quale dicendo che il dipintore fece questa immagine « come seppe il meglio, » mostrò di non tenerla per la vera ef- figie del Santo. In ogni modo, è per la sua anti- chità un monumento dell'arte prezioso; ed era cosa conveniente il riporlo in questa cappella, con tanta ricchezza di ornati, che fanno bella testimonianza di una splendida devozione. DUE DISCORSI ACCADEMICI. LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. All'Istituto senese di Belle Arti, per la solenne distribuzione dei premi triennali, il 51 d'agosto -1851. Se a degnamente ragionare delle arti bastasse l'amarle, io mi confiderei di parlare cose degne di esse e di questa udienza elettissima ; perchè sebbene di altri studi cultore volonteroso se non felice, pure alle care arti vostre domandai qual- che ispirazione negli anni miei primi, quando T anima brama di ricevere per ogni senso il puro raggio della bellezza che sorride in tutto il creato; e poi che l'età, non grande ancora, ma sufficiente ai disinganni, mi fece provare la consolazione ultima del silenzio, sentii nelle arti un linguag- gio che ragiona pur di speranze. Ma so che non basta V affetto a discorrere di colali discipline da- vanti a chi n'è maestro, o gusta ora le prime lodi nell'arduo esercizio; e laddove volessi dettar precetti, temerei di non meritare neppur la in- dulgenza di cui fu cortese Apelle al censor dei 60 LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. calzari. Di voi, adunque, che potete con la pra- tica avvalorare i precetti, sia proprio ufficio di erudire la mano e l' intelletto degli alunni, esporre i trattati, e mostrare i pregi dei grandi esemplari. Io, fidatamente usando di quella cortesia che mi dà stamane il parlare dove meglio mi converrebbe imparando tacere , dirò a questi giovani ciò che i trattati non dicono, le tele e i marmi raramente rivelano, e le accademie non furon potenti a in- segnare : — Sia a voi ispiratrice del Bello la Vir- tù. — Questa a me giova credere che fosse la prima delle norme, onde i vecchi maestri, nelle umili botteghe e nelle ragunanze dove il senti- mento del bello era una virtù per se stesso, ap- prendevano agli alunni l'arte e il costume, edu- cavano 1' uomo e V artista. E fino a tanto che questa non torni ad essere la prima regola delle liberali discipline, nè ad esse fia dato adempiere Paltò ministero d' insegnatrici graziose, nè la gloria e la felicità vera saranno il premio di eh le coltiva. Parrei un retore ozioso se io cominciassi dal ripetere che le arti non debbon servire al mero diletto, ma sì dilettando ammaestrare : e mi par- rebbe che voi doveste pigliar noia se, per mostrar- velo con gli esempi, risalissi alla pugna di Mara- LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 61 tona effigiata nel Pecile, dove Zenone dettando crescea fede ai precetti di una virile filosofia. Queste ed altrettali cose era utile ripetere allora (e quanto si dovè ridirle prima che fossero inte- se !) allora quando unico fine delle arti belle parve il riprodurre le lascivie dei numi , non saprei se a incitamento o a scusa della umana mollezza. Passò quella depravazione della morale e del- P arte : nè oggimai vorreste confortarne V animo a reggere i mali della vita col raffigurarci l'Ercole indomabile, nè preporre agli sguardi delle nostre fanciulle, come simbolo di pudore, la Diana. La vita nel dolore operosa, nelle gioie modesta, di lei che fu « pura e d' ogni parte intera; » la serena costanza del martire; l'austera vita del monaco; sono alcuni dei tanti sublimi concetti che ne ispira la religione : carissimi concetti poi ne offre la vita domestica: nobili e pietosi la storia di quella Italia, che più s' ammira negli eventi felici, nella sventura più s' ama. Or donde avviene che dinanzi alle venerande immagini un arcano senso di riverenza non occupa più l'animo della moltitudine? donde avviene che la vista degli egregi fatti non sveglia un palpito nel cuore di quel popolo che un tempo piangeva, fremeva, sorgeva grande nei concetti e nelle opere, si riscaldava alla sacra fiamma della virtù? 62 LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. Io non vi ricorderò la Croce che andava innanzi alle schiere di Montaperto: poiché l'animo rifugge dal pensare, come ad altri piacque, 1 che la im- magine del Mansueto incitasse le ire fraterne allo scempio Che fece V Arbia colorata in rosso. 2 Piuttosto, se la critica storica 3 mi conceda che la pietà di Farinata verso la patria vinta avesse in premio un Crocifisso di Margaritone, io v'inviterò a considerare la civiltà di quei tempi, che alla virtù domandavano le ispirazioni del bello, e al bello i degni guiderdoni della virtù. E son quelli i tempi che appena oggi cessammo di chiamar barbari, e di cui taluno parla ancora come di par- 1 Selvatico, SuW educazione del pittore storico odierno italiano; Padova, 1842; parte prima, pag. 5. 2 Dante , Inferno , X , 85-86. 5 Nè il Villani là dove parla della protestaci Farinata contro quelli che soffrivano di « tor via Fiorenza » (lib. VII, cap. 83), nè il Vasari nella prima edizione delle Vite, ri- cordano il dono del pittore Margaritone al cittadino guer- riero. « Nè con questo (dicono i nuovi e diligentissimi an- notatori del Vasari) noi pretendiamo di distruggere un fat- » to; ma neghiamo francamente (contro la opinione de'mo- » derni scrittori) che opera di Margaritone sia quel gran » Crocifisso che ora vedesi nel vestibolo che è comune alla » sagrestia e alla cappella del noviziato della chiesa di » Santa Croce , ec. » Il Vasari, nella seconda edizione, dice che questo Crocifìsso « è oggi in Santa Croce , tra la cap- » pella dei Peruzzi e quella de' Giugni. » LA. VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 68 goleggianti. Gentile barbarie, gagliarda infanzia era quella, quando la lingua bastava a racchiu- dere in un poema la scienza divina e V umana, e parlava schietta e severa nelle istorie, e viril- mente sospirava d' amore : quando Arnolfo archi- tettava il tempio, le mura e il palagio dei Fioren- tini ; e architettava e scolpiva quel Niccola , di cui pare che Pisa non possa oggimai vantarsi, 1 che noi debba riconoscer da Siena : quando, final- mente, Giotto rinnovava la pittura, ricevendola, come disse queir antico, dalla natura medesima; la quale ad un tempo manifestavasi al vostro Guido, a lui che unicamente si piacque di ritrarre le sembianze di quella Donna, che i vostri ante- nati sentirono presente nelle battaglie, 2 vollero effigiata nelle monete, celebrata negli scritti, deificata dalle arti. Oh perchè il buon Lanzi, che chiamò la senese « lieta scuola fra lieto popolo, 8 » non le aggiunse il titolo di virtuosa; chè a me 4 Niccola Pisano nacque da un Pietro di Siena. (V. la nota 1 alle Vite di Niccola e Giovanni Pisani , scritte dal Vasari; edizione Le Monnier; tomo I, pag. 258.) 2 l'arena, del continuo disegnava alcuna cosa » di naturale: » 3 nè credo che il Beccafumi vo- stro dovesse ad altro quella sua vivacità nel comporre e nel colorire, che alla mite guarda- tura del natio cielo, fuor del quale (come con- fidollo agli amici) non gli parea di saper bene operare. 4 1 Fu strana opinione di Pietro Giordani, la quale Giu- seppe Bianchetti confutò. — Ma non fu solo nè primo il Giordani : al Lanzi pareva men nobile la pittura presso i quattrocentisti che presso i Greci; e lamentava che mentre in Grecia la pittura o nacque presto o diventò nobile, in Ita- lia non ne sia stata conosciuta la dignità se non molto tar- di. — E Ascanio Condivi scrive, che Michelangelo « sem- » pre ha cercato di metter quest'arte in persone nobili, » come usavano gli antichi, e non in plebei. » 2 Amorosa Visione. 3 Vasari , Vita di Giotto. * Lo disse al Vasari medesimo. LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 69 Piacemi rammentar questi esempi; avvegna- ché bene, io credo, nella quiete dei campi potrebbe, o giovani, avviarsi la educazione nell' arte. Quivi non pur la temperata armonia de' colori, ma la pa- cata armonia degli affetti ; non solo le scene di una vita semplice e virtuosa da ritrarre, ma i buoni e schietti costumi da imitare ; non finalmente le sole forme del bello, ma la sostanza del bello, che è la stessa virtù. E dalla scuola della natura passate pure alla scuola degli uomini; dei quali già avrete nella solitaria meditazione imparato a conoscere e a compatire gli errori. Vedrete allora, come lo stu- dio della natura, a cui guardavano sempre i Greci, corregga quelle dottrine accademiche sul bello ideale, a cui pur si favoleggian devoti i greci maestri ; perchè quel potente ingegno del Barto- lini asseriva, avere appunto da Fidia e da Alca- mene imparato a studiare ed ammirare V uomo creato da Dio, piuttosto che quello sognato da- gl'idealisti: 1 vedrete come nè la gioia nè il do- 1 Risposta dello scultore Lorenzo Bartolini all' ab, B. Zanelli. — E quest'altre parole chiariranno meglio il con- cetto eh' egli aveva del bello ideale, « Essendo raro di tro- » vare un perfetto modello che corrisponda in tutte le sue » parti al tema prodotto, ammetto, ho ammesso, ed am- » metterò sempre il valersi di un bello riunito e non idea- li le , per mezzo delle parti scelte armonicamente adattate » al line dell' artista ; al che non si giugne colle forme im- 70 LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. lore, nè qual altro affetto anima gli umani volti, ponno aversi dalle copie, che pur gli antichi non da più antichi maestri , ma ritrasser dal vero, che solo può dare la originalità della imitazione. Ma soprattutto intenderete come in quella maniera che ogni artista ha un proprio modo di veder la natura e di ritrarla, così le nazioni e le diverse età ebbero un loro particolare intelletto del bello, modificato dalla coltura, dalle religiose credenze, dagli ordinamenti civili. Parvero ai Greci e ai Ro- mani divina cosa le Veneri balzate dal marmo agili così come la favola narra uscisse la stessa dea dalle spume marine ; bellissime paiono oggi agli eruditi; ma pel volgo (che ha pur sua ragione sul bello) non hanno una parola, o l'han tale, che meglio il silenzio. E pur questo volgo sente i di- pinti dei giotteschi e dei quattrocentisti, le scol- ture del Ghiberti, di Donato, di Luca della Rob- bia; e davanti alle porte del San Giovanni e al San Giorgio di Orsammichele vedreste spesso ri- starsi il villano Quando rozzo e selvatico s' inurba. 1 » maginate. . . . Col concetto fermiamo il soggetto richie- » sto, ma che si trova in natura; la composizione segue le » linee più armoniche della natura, e l'esecuzione esprime » rigorosamente in natura quello che il concetto ha trova- » to, e quello che la composizione ha scelto. » 4 Dante , Purgatorio , canto XXVI. LÀ VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 71 Chi può spiegare le ragioni di questo prodi- gio? Certo, non i trattatisti, che tutta la potenza delle arti soglion riporre nel chiaroscuro, nel vago splendore delle tinte, e in quegli ardimenti che sbigottiscono senza commuovere, e in cui pur ci hanno per molto tempo avvezzati a rico- noscere le orme del genio. Altrimenti però la in- tese quel!' uomo ispirato, che a ravvivare la fede, a correggere il costume, e a mantenere le virtù cittadine invocava il ministero delle arti : invo- cavalo ; ma lo sentiva impotente a trattenere il cinquecento fatale, che nelle ruine del costume e delle virtù cittadine travolse anche il bello, e la fede contaminò che non poteva distruggere. Sulla memoria di queir uomo pesò grave il giu- dizio delle generazioni traviate : lo calunniarono come nemico alle arti belle, perchè per mano di fanciulli innocenti s 7 adoprò a distruggere ogni oggetto (lo chiamava l' anatema) che le arti aves- sero prodotto a lascivia: e tacquero come per poche statue e' rendesse alle arti un Luca della Robbia; per qualche dipinto, un Lorenzo di Credi, un Sandro Botticelli, un Bartolommeo da Savi- gnano; per pochi ornamenti, un Giovanni dalle Corniole. Ma noi tacque la storia , o signori ; ed oggi ripeterà a voi, giovani egregi, avvalorando le mie stanche parole, i consigli di queir uomo 72 LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. che senti la severa bellezza come la incorrotta virtù. — 0 Artisti (egli diceva), pensaste mai alla santità del vostro ministero? Voi dite che il genio vi chiamò air esercizio di queste nobili discipline: il genio è Iddio, che vi chiama a manifestare con i vivi colori é co' marmi quelle verità le quali me destinava a bandire con P ardente parola. Ciò sa- pevano i vostri antichi, e negli Statuti delle loro fratellanze usaron di scrivere : « Essere eglino » manifestato^ agli uomini che non sanno lettera , » delle cose miracolose operate per virtù della fe- » de; » 1 e nelle loro immagini mettevano tanto di bontà, che l'uomo a vederle diceva: Io voglio far buona vita, ed essere simile a loro. 2 Oggi non è così : i profani vanno a contemplar su gli altari le sembianze di troppo note deità; 8 e perchè 4 Così leggiamo in principio agli Statuti dell' Arte de' Pittori senesi (an. 1355). — E Buonamico Buffalmacco, in modo più festivo , qual era V umore dell'uomo, soleva dire (come narra il Vasari) : « Non attendiamo mai ad altro » che a far Santi e Sante per le mura e per le tavole , ed » a far perciò, con dispetto dei demoni, gli uomini più di- » voti o migliori. » 2 « Tu vedi quel sancto là in quella chiesa , e di' : io )> voglio far buona vita, et essere simile a lui. » (Fra Giro- lamo Savonarola, Predica del sabato avanti la seconda do- menica di quaresima.) 5 « Io vi dico eh' ella andava vestita (la Vergine) » come poverella semplicemente , e appena se gli vedeva LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 73 T aria del viso vien dal costume e dalla interna disposizione dell'animo che agli occhi, per così dire, s'affaccia,' pensate quant'aura verginale respirin que' volti ! Io dico questo delle chiese : che dirò delle case dei cittadini? Non si fa nozze di mercadante, 1 che la fanciulla non rechi il cor- redo nella cassa dipinta di mitologie ; si che la sposa cristiana sa prima le frodi di Marte e gl'in- gegni di Vulcano, che le geste delle sante donne famose nei due Testamenti. Aristotile nella sua Politica 2 provvede al pudore dei giovinetti, vo- lendo casta ogni immagine dov' essi frequentano; e i cristiani empiono le loro abitazioni di gnudi : forse un giorno ne contamineranno il santuario, sradicando da molti petti la fede con la mollezza delle arti , come un tempo Epicuro rovesciava » il viso. . . . Voi fate parer la Vergine Maria vestita come » una meretrice ». (Predica del sabato dopo la seconda do- menica.) 4 L' aveva col lusso de' mercadanti , che poi gli ren- dea spietati nell r usure, e defraudatori delle mercedi. Una volta usciva in queste parole , che racchiudono un concetto di cui si son fatti belli i moderni filantropi. « Voi ciptadini » fate lavorare F arte vostre , perchè questa è la miglior » limosina che possiate fare; et non habiate paura, perchè » messer Domenedio vi aprirà la via che non haviate a per- )> dere. » (Predica del venerdì dopo la seconda domenica.) 2 « Aristotile ancora , che era pagano , parlando della » correzione de' fanciulli, dice che non si debbe dipingere » figure disoneste. (Predica V sopra Ruth.) 74 LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. P are de' Numi con la forza degli argomenti : 1 e la pagana sensualità trapassando dalle lettere e dalle arti nella vita domestica e nella civile, ren- derà gli animi accomodati al servire. Ora i cor- rottissimi figli di quei Greci corrotti vengono a riportarci, come dicono, le arti ^ il sapere: era- vamo noi barbari? Certo Y eresia e i peccati del- l'Oriente han fatto sì, che i Greci son iti iù va- stazione e sotto il giogo dei barbari! 2 Che sarà di noi? Io veggo là quegli Orti dove Lorenzo ra- duna gli avanzi de' greci scalpelli : temete! e' dis- sotterra le reliquie pagane, e sotterra la fede; rizza i simulacri, e prostra gli uomini. 3 Odo dire: 1 Cicero, De natura Deorum, lib. I. — E anche in questo fu profeta il Savonarola. Rammenterò il Limbo del Bronzino, dove gi' ignudi furono introdotti con tanta licenza da far tenere come interdetta la cappella da Castiglionchio in Santa Croce; e da scandolezzare lo stesso Alfonso de' Pazzi , che al solito scherzando diceva : Scusi il Pittor chi guarda , e fermi il passo, Perchè la intenzion sua fu di far questo , Di formar Cristo , i Santi , e il resto j Ma egli sbagliò dal paradiso al chiasso. V. Richa, Notìzie delle chiese Fior., S. Croce, lez. IV. 2 « Che nacque per 1' eresie e li peccati dell' oriente » e dei Greci? Sono andati tutti in vastità e sotto gP infe- » deli. » (Savonarola, Serm. del venerdì dopo la seconda domenica di quaresima.) 3 Dell' avversione del Savonarola per Lorenzo de' Me- dici non occorre allegare testimonianze. Vedeva in lui Puomo che fra la gentilezza delle lettere e delle arti, e fra gli spassi carnescialeschi , soffocava il pudore e la libertà. LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 75 e'son tipi di bellezza! — domando: son eglino pur di virtù? E la bellezza sta tutta nelle forme? Stava pe' Greci, a cui bastò credere vive le carni, e dalle carni respirare la voluttà ch'era il supremo dei beni. Per noi la bellezza del corpo è una luce dell'anima; e dall'armonia de' contorni; dalle tinte soavi s'infonde ne' sensi una calma, che lascia vacare liberamente lo spirito alla contemplazione della effigiata virtù. 1 Bella io reputerò quell'arte eh' è buona; e quegli savio e grande nell'arte, 1 « In che consiste la bellezza? — ne' colori? no. — » nella effigie? no.— Ma la bellezza è una forma che resulta » dalla proporzione e correspondenzia di tutte le membra » e de' colori; e di questa tale proporzione ne risulta una » qualità chiamata da' filosoli bellezza. Ma questa è vera » nelle cose composte ; ma nelle semplice, la bellezza loro » è la luce. Vedete el sole ; la bellezza sua è aver luce : ve- » dete li spiriti beali, la bellezza de' quali consiste nella » luce : vedete Idio; perchè è lucidissimo, è epsa bellezza: » e tanto sono belle le creature , quanto più participano e » sono più apresso alla bellezza di Dio. — È ancora tanto » più bello il corpo , quanto è più bella V anima. Togli qua » due donne che sieno egualmente belle di corpo : Y una >> sia sancta , l' altra sia captiva. Vedrai che quella sancta » sarà più amata da ciascuno , che la captiva ; et tucti gli » occhi saranno volti in lei ; io dico etiam de gli huomini » carnali. Togli qua un huomo sancto , il quale sia bructo » di corpo : vedrai che par che ognuno lo voglia veder vo- » lentieri , et pare (bendi* e' sia bructo) che quella sanctità » risulti et faccia gratia in quella faccia. » (Predica del ve- nerdì dopo la terza domenica di quaresima.) 76 LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. che ne riguarda il fine , e lo vuole. 1 Non dee l'artista adagiarvisi come in morbido origliere; non dee, novello Eliogabalo, affogar gli uomini in un diluvio di fiori. Anche a me piacque riposare fra le dolcezze dello spirito, ma un'intima voce ancor giovinetto mi spinse a operare, dicendo: fa come il tuono, che quando il vapore è rinchiuso dentro alla nuvola, e 1 va di qua e di là sonando cosi che vien fuora. 2 Obbedii ; ed anc' oggi obbe- disco a quella voce, e le obbedirò sino alla morte, che P odio antico del vero mi fa presentire vici- na. 3 E la mia parola morrà forse meco, o un eco lontano ne sarà maledetto dai posteri : ma le di- . vine arti vostre vinceranno la guerra dei perver- si, e la incorruttibile bellezza della virtù a nepoti degni di riceverla, e però conoscenti del benefi- cio, tramanderanno. — Non pertanto le postume ricompense che 1 « Questo vediamo in tutte le arte, che chi risguarda » el fine in una arte si domanda savio et principale in quel- » la. » (Predica quarta sopra Ruth.) 2 « Bisogna , se tu vuoi essere perfetto glorificatore » di Dio, che tu non ti stia in quelle tue dolcezze di spirito » per te medesimo ; ma che esca fuori alla operazione. Fa » come il tuono , che quando il vapore è rinchiuso dentro » alla nuvola, e* va di qua e di là tanto sonando che '1 viene » fuora. » (Predica quarta sopra Ruth.) 3 Più volte il Savonarola disse in pulpito qual era il fine che lo aspettava. LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 77 prometteva ali 7 artista V uomo avvezzo a spingere la mente fatidica nelF avvenire, debbono essere V unico premio sperabile alle egregie fatiche : an- che lungo la via da percorrere, e che pur la in- vidia e la fortuna contristano, troverete, o gio- vani , una modesta aiuola dove per voi cresce un lauro , e s' educano fiori spesso irrigati col pianto che la gioia profonda od il profondo dolore fan sgorgare dalP intima vena. E questa a me pare vera gloria: ne percorrendo la vita degP insigni artefici (a molti de' quali non mancaron gli encomi de' letterati, i suffragi delle accademie, le sfolgo- rate munificenze de' principi) ne trovai alcuno che più mi paresse invidiabile dell'antico Ci- mabue, quando a veder la sua Madonna con- corse tutta Firenze, e quando con molta festa e suon di trombe fu quella tavola accompagnata alla chiesa : 1 non altrimenti da quello che le me- morie senesi raccontano avvenisse a Duccio di Buoninsegna, allorché V ancona maravigliosa (nè meno oggi maravigliosa d'allora), dove espresse la Vergine onorata dagli Angeli e da' Santi, e la vita del Salvatore, fu portata al vostro duomo dalla contrada del Laterino; 2 alla quale sarebbe 4 Vasari, Vita di Cimabue. E la contrada dove abitò Cimabue prese il nome di Borgallegri. 2 II 9 di giugno del 1311. Fu messa all'aitar maggio- 78 LA "VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. stato bene di prendere il nome da quelle popolane allegrezze, come lo prese il Borgo dove le arti, abbandonando le austerità bizantine, pel magi- stero di Cimabue sorrisero la prima volta al po- polo, ispirandogli il più gentile dei sentimenti cristiani. Nè da siffatta gloria può andar disgiunta la vera felicità; poiché l'invidia, che suole offen- dere a un tempo le fortune e la fama, non può togliere air artista la coscienza di un benefizio fatto non pure a 7 contemporanei ma e a quante generazioni riceveranno dalle opere sue ammae- stramenti e conforti. Bella ricompensa, e deside- rabile sopra quante il ricco mondo suol compar- tire alle povere arti; ma non certo sufficiente a chi da queir esercizio debbe trarre sostentamento alla propria e ad altre vite carissime. Non so per- altro concedere agli artisti, come fa il marchese Selvatico (il cui nome, del resto, ben suona dove re; ma levatane nel 1506, dopo varie vicende, fu segata in due parti; e il dinanzi, che rappresenta la Madonna cir- condata da vari Santi ed Angeli , tu appeso alla parete late- rale dell' altare di Sant' Ansano; il di dietro, ove in venti- sette maravigliosissime storie è espressa la vita di G. Cristo, a quella dell' altare del Sacramento. Le figure delle pirami- di e le storie della predella si veggono nella sagrestia. (V. la nota 3 alla pag. 166 del tomo II del Vasari, edizione Le Monnier.) LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 79 d'arti belle si parli), che per vivere « accettino » commissioni meno degne , » sperando che » dopo c< aver messo ( com' egli si esprime ) a sì » brutto mercato V ingegno , possano acquistar » tanto d' indipendenza da provvedere ai biso- » gni dé' suoi , e quindi da poter rifiutare ogni » commissione od insignificante , o frivola , od » immorale. » 1 A qual' altezza di virtù possa recare F arte un uomo , che giovinetto la tra- volse nel fango dei vizi, a me non riesce d'in- tendere : e quando V artista debba per fame do- ventare a sè contennendo e alla società pernicio- so, meglio che il divino raggio del bello si spenga per lui, e ad altre proficue arti si volga che gli consentano di vivere onesto. Non negheremo com- passione alle umane debolezze : ma co' vizi co- dardi (e qual è vizio che sia generoso?) sdegna- moci : chè la nobile e generosa indignazione fu detto dall' Ecclesiaste trovarsi nella molta sapien- za, e fino i gentili col nome di Nemesi la fecero dea. 2 Avvi, noi niego, un'utile rappresentanza del vizio; ed è quando si possa farne resultare un vivo desiderio dell' opposta virtù : in quella guisa che vediamo, per arcano consiglio di Provvidenza, spuntare il fiore del bene dalla radice stessa del 1 Opera citata , parte III, § V, pag. 395. 2 Aristotile, Rhet. , Hb. H, c. 9. 80 LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. male. Nè la pudica gentilezza dell' arte rimane offesa da quel contatto, quando renda immagine della matrona d'Orazio, la quale invitata a dan- zare nei dì festivi , sa tuttavia mantenere il ma- tronale decoro. 1 Ella è peraltro un' impresa questa piena di risico, o giovani, e da lasciarsi a chi ormai della virtù si fece un abito antico. Al vostro ingegno, pieno di fidanza e di lieto ardire, altre vie riman- gono aperte. Noi abbiamo una religione tutta ce- lesti conforti; abbiamo una storia, qual deve una nazione che- sino nelle sventure toccò la gran- dezza; abbiamo una famiglia nel cui seno è dato trovare tante gioie e dimenticare tanti dolori: e poiché nè il dubbio filosofico può spegnere la scin- tilla della fede nei petti; nè può privarsi questo cielo di quel raggio che vivifica gl' ingegni come le zolle, e fa quegli fiorenti di leggiadre opere, come queste di fiori gentili; nè la fortuna può rom- pere i dolci legami di figli di fratelli di sposi, quan- tunque possa lontano da questi cari prescriverne la vita e il sepolcro; io dico a voi, ingenui gio- vani, che le memorie religiose, civili e domesti- che saranno fonte inesausta di sublimi concetti all' artista. Di ciò pur ne ammaestrano le tradi- 1 Epistola ai Pisoni. LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 81 zioni della vostra bella scuola, o Senesi: che qui troviamo le arti associate alla vita pubblica sì negli utili ozi della pace come nelle fatiche della guer- ra; le troviamo consolatrici e maestre di religione nei templi , intese a celebrare ne' marmi e nei ai- pinti la eccelsa Donna « in cui l'antica Siena con- fidò, » 1 e quella sublime figliuola della vostra Re- pubblica, la umile figliuola del tintore di drappi. Qui vediamo i cultori delle arti dare uno dei pri- mi esempi di quelle amorose fratellanze, i cui Sta- tuti non provvedevano meno alla educazione del- l' ingegno che a quella dell'animo: perchè di là usciva il dipintore Andrea di Vanni, capitano di popolo, ambasciadore perii Comune, amico reve- rente alla vergine Benincasa; uscivano non pochi de' quali poteva a ragione ripetersi quello che di Ambrogio Lorenzetti fu scritto: « Essere stati » i costumi suoi in tutte le parti lodevoli ; avere » sopportato con animo moderato e quieto il bene )) ed il male che gli venne dalla fortuna: essen- » dochè i costumi gentili e la modestia siano ono- » rata compagnia a tutte le arti, ma particolar- * In alcune monete della Repubblica senese è questa leggenda: sena vetvs civitas virginis. tvo confisi prae- sidio. V. gli eruditi Cenni sulla Zecca senese di Giuseppe Porri, nella sua Miscellanea storica Senese. 6 82 LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. » mente a quelle che dall' intelletto e da' nobili » ed elevati ingegni procedono. » 1 Quindi è che le arti e gli artisti mantennero in questo gentil recesso d' Italia la nativa grazia e il decoro anche allorquando per ogni parte quelle moltiplicavano gli esempi della corruzione, questi si confonde- vano collo sciame che suole infestare le case dei grandi. E poi che vennero i tempi in cui fu ne- cessario coprire ovunque d'un velo il simulacro della nuda verità, qui trovarono le arti un lin- guaggio nella storia di altri popoli e nella sagace allegoria (poiché le arti eziandio conoscon l' apo- logo); e gli artisti mantennero la. dignità di uomi- ni, e in Baldassarre Peruzzi diedero esempio del come si possa con la virtù dell' animo vendicarsi della fortuna, e coli' ottimo uso dell'ingegno vin- cere la nequizia dei tempi. — Di queste virtuose tradizioni, di questa bella scuola siete voi gli ere- di, o giovani artisti: le opere dei vostri antichi vi parlano nei templi, nei palagi, nella pinacoteca: sappiate interrogarle , come già seppero quei va- lorosi che dànno oggi incremento alle arti e ac- crescon decoro di fama e di monumenti alla pa- tria: la quale udì poc'anzi il consenso di tutta Europa asserire meritevoli dei primi onori nella 1 Vasari, Vita di Ambrogio Lorenzetti. LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 83 scoltura del legno tanti de' suoi cittadini , quanti sarebbero bastati a gloriare una grande provincia. 1 Nè la patria può rendere alle arti, che tanto la il- lustrano, miglior ricompensa, che col promuoverne gli avanzamenti: quindi è bello vedere oggi il vo- stro Comune, secondando i savi pensamenti di chi presiede a questo Istituto , e compiendo il pub- blico voto, provvedere air insegnamento delle arti con utili riforme, e soprattutto con la scelta di un artefice da cui siano i giovani ricondotti a conce- pire come a' trecentisti insegnò la natura, e a rap- presentare i concetti con quel magistero che diede alle opere del secolo dopo e del primo cinquecento la sapienza del chiaroscuro, la vita de' colori, e quel disegno che non era più contento di un in- sieme corretto , ma le più riposte parti volea ri- cercate con quella cura amorosa che faceva fio- rire per ogni parte una grazia. — Già pronunzia- ste, o signori, il nome dell'artefice di cui parlo; e già tenete certo questo rinnovellamento degli stu- di accademici per opera di Luigi Mussini: ma egli non saprà soltanto ringiovanire le forme esteriori delF arte; saprà pur nell' arte riporre la forma che 1 Furono onorevolmente menzionati per i loro lavori di scoltura in legno, alla grande Esposizione di Londra, A. Barbetti, E. Barbetti, P. Giusti, L. Marchetti, A. Lom- bardi ; tutti e cinque senesi. 84 LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. V anima, 1 saprà ispirarla a virtuosi pensieri: egli che a' pervertitori della religione ricordò come il Salvatore sterminasse i trafficanti del Santuario, e a' nuovi filantropi mostrò qual sia la carità che il Vangelo impone e il mondo costuma ; egli che nella Musica sacra volle significata la pura ema- nazione del bello, e delP arte i- uso più degno; e nel trionfo della Verità fece intendere come i grandi poeti, i grandi filosofi, i grandi artefici, i grandi cittadini abbiano in ogni tempo e presso ogni nazione renduto omaggio a quel Vero , che è una cosa sola col Bello e col Buono. A tali prin- cipii richiamate le arti, a tali virtuosi pensieri ispirate, ritorneranno graziose educatrici del po- polo, e ai loro cultori procureranno quella gloria e quella felicità che son pure e durevoli quanto il beneficio. « Imperocché (e l'estreme parole mie, che sono un concetto del gran Ghiberti, ponete, o giovani , in cuore) tutti li doni della fortuna, » quando si danno da essa, agevolmente si ritol- i Nella decadenza delle arti si confase la forma cor- porea colla spirituale. Dante neìConvito, trattato III, cap. 6: » Manifesto è, che la sua forma , cioè la sua anima, rice- » va miracolosamente la graziosa bontà di Dio. » E anche per i poeti del cinquecento, forma era cosa materiale: ma il Petrarca , nella prima canzone in morte di Laura , avea detto : ' La invisibil sua forma è in paradiso. LA VIRTÙ ISPIRATRICE DEL BELLO. 85 )> gono; ma le discipline congiunte con gli animi » per niuno tempo mancano, e rimangono stabil- )> mente al sommo uscir della vita. » 1 * Commentari di Lorenzo Ghiberti: secondo Commen- tario, § XV; pag. xxix del tomo I delle Vite di Giorgio Va- sari , edizione Le Monnier. \ GIORGIO VASARI. All'Accademia fiorentina di Belle Arti, per la solenne distribuzione dei premi triennali, iH6 di settembre Pare che alla solennità di questo giorno nulla sia più dicevole che la lode delle arti o la com- memorazione de' più insigni artefici: poiché a ra- gionare di quelle ne invita il luogo, che n 7 è come a dire la reggia; di questi, la presenza di una gioventù che ne adora le gloriose vestigie. E tal costume osservarono i valenti dicitori che in que- st' onore mi han preceduto; comecché sia ormai presso a compiere la metà di un secolo, che Giam- batista Niccolini, da questo luogo parlando, riscuo- teva le arti per molta età sonnacchiose, e richia- mando alla memoria gli antichi esempi, mostrava a quale ufficio morale e civile fossero dal cielo ordinate. Nè quella voce è anche muta: e forse (o che spero) risentirete qui la forte eloquenza che airOrcagna, a Leon Batista e a Michelangelo 88 GIORGIO VASARI. elevò monumenti non meno duraturi di quelli che architettando, dipignendo e scolpendo seppero innalzar que' famosi. Non mancarono qui a Ma- saccio le debite lodi e a Leonardo, non al Ghi- berti e a Donato; nè tu n'andasti senza, o gran- dissimo degli statuari moderni Lorenzo Bartolini, quantunque appena fosse per te cominciata la po- sterità e non bene sopita l' invidia. Oh come in trattare di così nobili sospetti DO l'animo dell'oratore si riconforta! avvegnaché basti pronunciare uno di siffatti nomi perchè ogni orecchio si porga all' udire grazioso, ed ogni cuore risponda alle parole coi palpiti. Palpitano a quei nomi i cultori delle arti, ne' quali la voce della modestia non vale a sopraffar quel grido della coscienza che promette alle opere loro una vita durevole: palpitano i giovinetti che all' arte trepi- dando s'accostano; e in essi all'utile titubanza succede la forte brama di gareggiar con quei gran- di: nè meno batte il cuore de' cittadini , che sa- pendo d' aver comune con quelli il nascimento e la patria, in se stessi si esaltano. Credo però, che quanto nel considerare le arti ai tempi felici è grande il contentamento del- l' animo, tanto sia grande l'ammaestramento per chi le osservi nello scadere, studiandone le ca- gioni e gli uomini che vi ebbero parte. Bello è GIORGIO VASARI. 89 posare all'ombra dei patrii allori, e contemplare le antiche glorie: ma giova meglio cercare per quali cause quelle glorie rimanessero antiche, e studiarsi di ritrarre da quegli allori i frutti e non l' ombra. Ond' è che ravvolgendo tali pensieri per l'animo, e proponendomi di essere non vano di- citore ove il povero ingegno non mi consente d'apparir dotto ed ornato, fermai di prendere a soggetto di questo mio ragionare un artefice in cui fosse utile studiare lo scadimento dell'arte. Vole- vaci un uomo dalla natura largamente favorito, e a cui la bontà de' tempi non fosse al tutto man- cata; che avesse avuto intelligenza perfetta dei più vecchi maestri , conosciute le loro pratiche, le maniere, i costumi; a cui finalmente fossero abbondate le occasioni di operare, e che avesse in più di un' arte operato. Nè un tal uomo man- cava all'Italia sul decadere delle arti nel secolo decimosesto; nè per avventura è tra voi chi noi ravvisi in Giorgio Vasari. Del quale nientedimeno rimane tanto da dire in encomio, che il mio di- scorso potrà serbare la forma di un libero elogio: ed io non avrò da temere il rimprovero d' essermi scostato dalla usanza di quelli che tolsero a su- bietto le lodi di un artefice insigne. Può a taluno recar maraviglia che osi quali- 90 GIORGIO VASARI. ficare per tempo di scadimento quel secolo che fu pareggiato air età di Pericle e d ; Augusto, e si chiamò dal decimo papa Leone: ne io vorrò per- der tempo in confutare questa sentenza. Dirò piut- tosto con libertà come io penso. La perfezione del- Farte da me si pone nel degno conseguimento del fine; nè ammetto altro fine che degno. Do- manda la religione un tempio dove il popolo possa meglio sollevare e raccogliere la mente in Dio: chiede questo popolo un luogo in cui risieda la signoria del Comune e la maestà delle venerande leggi: vuole il cittadino che l'onorata dimora at- testi delle ben locate ricchezze, cresca ornamento alla patria, e ai nepoti rammenti le virtù de' mag- giori. Le arti sorelle son chiamate a edificare e abbellire il santuario, il palagio, la casa. Guardiamo quando abbiano le arti corrispo- sto degnamente ai desidèri della religione e della civiltà. Percorrete col pensiero Y Italia : rimi- rate la nostra Toscana, e questa città sovra d' ogni altra bellissima. Poe 7 oltre il duodecimo secolo non vi sareste incontrati che in monu- menti della lunga barbarie, in avanzi della pa- gana coltura. Sorge nel decimoterzo la Cattedrale, non gotica non tedesca, cattolica: i santi scendono ad abitarvi, e godono che un raggio della lor gloria si rifletta su quelle pareti. E insieme con l'augu- GIORGIO VASARI. 91 sta casa di Dio sorge il Palagio del Comune, e il Camposanto; dove gli affetti e le passioni si agi- tano e s' acquetano, e i dolori e le speranze pas- sano da una generazione in un'altra; al ministero raccomandate dell'arti. E a tanto mutamento di cose , a tanta grandezza di concetti era bastato il cuore e l'ingegno di tre uomini: Niccola, Giotto ed Arnolfo. Devota a que' maestri usciva una schiera d'ar- tefici, delle cui opere s'ornò l'Italia. Per lo che fu cre- duto che tutte le scuole avessero un comune prin- cipio; ed è moderna sentenza, che ogni scuola avesse propri gl'inizi. Mirabile sempre; o che gl'Italiani consentissero, o che istintivamente si volgessero ad un segno. L' unità dei voleri dava unità alle arti; le quali non potevano più degna- mente conseguire il loro fine, che i divisi animi, associando nel culto del bello e del vero. Tal fu delle lettere. Dante coevo di que' tre; ispiratore a Giotto ed amico. Trattò Dante i pennelli; Giotto poetò. Maggiori di que' due non si videro. Nè già disconosco i progressi delle arti. So quanto la forma si vantaggiasse nelle opere dei quattrocentisti; pe 1 quali fu detto le Grazie aver nuovamente sorriso al cielo d' Italia. Non che i più antichi maestri le sdegnassero; ma l'esempio seguitarono di Socrate, scultore filosofo , che le 92 GIORGIO VASARI. Grazie velò. Così il Petrarca (come fu cantato dal Foscolo) velò Amore: e tutta in quell'età fu l'arte pudica; e, per una nativa semplicità, anche nel- le dolci cose apparve severa: indizio di civiltà non corrotta, e d' uomini pensanti e operosi. Ma uomini e tempi cambiavano; e le arti se- condavano a quel cambiamento. Cominciò allora fra il concetto e la forma una lotta, che per tut- to il quattrocento durò: lotta che i filosofi pongo- no come necessaria neh' opere deir uomo, poi eh' e- gli è anima e corpo, e la dicono legge: lotta che i conoscitori delle istorie trovano tra la fede e la ragione, tra il diritto e la forza, tra l' individuo e la società. 1 Chi avesse saputo in quella discordia dello spirito con la materia trovare un concerto, avrebbe conseguito il sommo intento dell' arte, che è quello appunto di armonizzare il bello con il buono ed il vero. Raffaello Sanzio (nè altri, prima o dopo di lui) potè tanto col divino ingegno: e di questa lode gli avrebbero onorato il sepolcro, me- glio che del concettoso epitafflo ; degno del seco- lo che venne dappoi. 2 1 Egregiamente discorre in questo proposito il padre Vincenzio Marchese in una Lettera a me indirizzata, che ha per titolo: 1 Puristi e gli Accademici. Sta trai suoi Scritti vari, raccolti in un volume dal Le Monniernel 1855. 2 È notissimo; e si sa che ne fu autore il Bembo, ca- GIORGIO VASARI. 93 E Michelangiolo? Michelangelo è un genio trovatore e operatore di concetti e forme singolari: o non volle obbligarsi a legge o antica o moder- » na, » e « parve che volesse mostrare Parte alla » stessa natura » 1 Io lo vedo nella moltitudine degli artefici, come il Saladino fra gli spiriti ma- gni del limbo dantesco, solo in parte! — Non dis- simile esempio ci offriva la storia in Andrea Or- cagna: audace in declinare dalle venerate orme di Giotto, primo osò, squarciando il velo delle al- legorie, snudare gli umani affetti, e all'ideale più sublime mescolare la realtà per fino schifosa: novatore nel concetto e nella maniera, quale ci appare nell'Inferno a Santa Maria Novella e nel Tri- onfo della Mòrte al Camposanto pisano. Ma V Or- cagna non formò una scuola: Agnolo Gaddi e Giot- tino riannodarono le tradizioni dell'arte, quali Taddeo le avea ricevute da Gaddo e da Giotto; tra- dizioni che dopo un secolo dettavano al Cennini il suo Trattato, e guidavano il pennello all' Angelico. Il Buonarroti fu mal suo grado iniziatore di una nuova scuola: mal suo grado, o signori. Voi sapete la famosa sentenza eh' egli profferiva nel stigato scrittore. Ma quando si vuol dire una gran cosa , av- viene non di rado che si dica una stranezza; e il troppo con- cettizzare fa che uno cada nel bisticcio. 4 Vasari, Vita di Michelagnolo. 94 GIORGIO VASARI. vedere alcune cose del Bandinella -~ Chi va dietro ad altri, non gli passa mai innanzi. — Per che, sapientemente scherzando , rimetteva al giorno dell'universale giudizio quel gregge di servili imi- tatori che compongono un'opera di pezzi rubac- chiati da vari. E credo che, oltre all' intimo sen- timento della propria grandezza, i' esperienza fatta su molti mediocri discepoli (ed altri non n' ebbe che mediocri) gli strappasse di bocca quella parola, che fu vaticinio: — Il mio stile non farà che de' goffi ! 1 — Giorgio Vasari contava appena tredici anni, quando dal cardinale Passerini levato della nativa Arezzo, 2 era condotto a Firenze e messo a stare col Buonarroti. Ma perchè papa Clemente volle che Michelangiolo si recasse a Roma, questi la- sciò il giovinetto alle mani d'Andrea del Sarto: e fa dolcezza l'intendere, che « egli proprio, Miche- » langiolo , venne a bottega di Andrea a racco- 1 Vasari, Vita di Michelagnolo. — Lanzi, Storia pitto- rica ec. ; Scuola fiorentina, Epoca terza, in principio. 2 Ciò avvenne nel 1525, se stiamo air asserzione dello stesso Vasari nella Vita di Michelagnolo ; nel 1524, se at- tendiamo a quello che egli medesimo scrive nella Descri- zione delle sue opere. Certo è che Giorgio Vasari nacque nel 1511 a' dì 30 luglio, come apparisce dalla fede di nasci- ta, pubblicala dal Gualandi nelle Memor. orig. di Belle Arti , Serie II , pag. 108, nota 2. GIORGIO VASARI. 95 )> mandarlo. » 1 A sedici anni faceva Giorgio la prima opera: e piace il leggere che quella pri- mizia deir ingegno la destinasse alla patria. Ma si vorrebbe pur leggere che la patria avesse soccorso al giovinetto impedito da povertà. Mortogli il pa- dre per tempo, tre sorelle con due fratelli minori chiedevano pane ; e Giorgio , conoscendo « che » una minima delle parti della pittura è un'arte » stessa, e tutta insieme è una grandissima co- » sa, » cercava un più sollecito profitto nell' eser- cizio dell' orafo. 2 Firenze intanto si stringeva d' assedio. Mi- chelangiolo v'era: il monte di San Miniato an- c'oggi ne parla. Perchè non era al suo fianco il Vasari? Questa lezione del gran cittadino mancò per isventura all' artista ! Il quale troviamo frat- tanto in Bologna a dipignere gli archi trionfali per la coronazione di Carlo V; poi in Roma , a' fian- chi d' Ippolito Medici : sventura anche doppia. Im- perocché quel sentirsi costretto a far molto in breve ora, e il vedere che F arte, reputata lunga e non lucrosa , aveva pure i suoi compendi e i subiti guadagni e i passeggeri applausi, lusingò l'animo giovanile di un certo desiderio che aveva le one- ste apparenze di gloria, ce Diceva fra me stesso 1 Vasari , Vita di Michelagnolo. 2 Vasari , Descrizione delle sue opere. 96 GIORGIO VASARI. » alcuna volta (ingenuamente lo confessa il Va- » sari): perchè non è in mio potere procacciarmi » delle grandezze e gradi, che s' hanno acqui- » stato tanti altri? Furono pure anch'essi di carne e » d'ossa come sono io. » 1 E a questa interrogazione rispose con la prima opera che gli uscisse di ma- no. La quale fu « un quadro grande (seguitano le » sue parole), di figure quanto il vivo, d' una Ve- » nere con le Grazie che V adornavano e facevan )) bella: la quale mi fece fare il cardinale de'Me- » dici, j) 2 Vieta il pudore di riferire la intiera descri- zione di questo dipinto; pel quale (tanto a Ippolito piacque) una veste nuova e onorevole fu donata al pittore, con l'ordine di fare un grandissimo baccanale, che lo messe in grazia a Clemente. Ab- bia a memoria un tal fatto chi vorrà cercare quanto bene recassero i mecenati alle povere arti: io mi contento di segnalarlo a voi, come uno de' tanti indizi che F arte era moralmente corrotta. Vedia- mone la corruzione nelle pratiche. Non può a meno che non si resti maravigliati a sentire con quale ardore si studiassero in Roma * Vasari, Descrizione delle sue opere ; e Lettera a Nic- colò Vespucci, eh' è la prima fra quelle che si trovano nelle Opere del Vasari raccolte dal mio collega signor Giovanni Masselli, e pubblicate dal Passigli nel 1832-38. 2 Vasari, loc. cit. La Lettera summentovata ci offre pure la descrizione di questo dipinto. GIORGIO VASARI. 07 dal Vasari, in compagnia di Francesco Salviati, le opere di pittura, di scultura e d' architettura > così antiche come moderne. « Ed acciò (sono le » parole sue) che avesse ciascuno di noi i dise- » gni d' ogni cosa, non disegnava il giorno 1' uno » quello che V altro, ma cose diverse: di notte » poi ritraevamo le carte l'uno dell'altro, per o avanzar tempo e fare più studio; per non dir » nulla, che le più volte non mangiavamo la » mattina, se non così ritti e poche cose. » 1 Nè altrimenti faceva Giorgio in Firenze; dove con infinita diligenza disegnò le sculture conciotte da Michelangiolo per i sepolcri dei Medici. Bramosia di sapere portentosa; ma che andava raffrenata con la sapienza. Buono era pensare come da Gre- cia e Roma antiche ci avesse divisi la notte della barbarie e la luce del cristianesimo; nè così git- tarsi alla imitazione degli eccellenti maestri, come se fossero rotte le stampe su cui si vennero quelli formando. Eppure gli esempi erano tuttavia recen- ti ; recenti i precetti di Leonardo : — Un pittore non deve mai imitare la maniera di un altro, perchè sarà detto nipote e non figlio della natura. Chè essendo le cose naturali in tanta larga abbondan- za, piuttosto si deve ricorrere ad essa natura, che ai maestri che da quella hanno imparato. — Nè * Vasari, Descrizione delle sue opere. 7 98 GIORGIO VASARI. era più questa una fede alle tradizioni di una scuola, come nei giotteschi; non più la devozione a un principio che operando su molti, ricevesse poi da ciascuno forme diverse; quasi unico rag- gio che in vari luoghi posando, in vario colore si tinga. Era bene un influvio di quella servitù che doveva di lì a poco incombere su tutte le cose. La storia delle arti non può dissimulare, che a' tempi del Buonarroti si dissolvevano que' civili ordinamenti eh' eransi costituiti a' tempi di Giot- to. Volerlo disconoscere, sarebbe un conceder troppo alla ciechezza del caso, e detrarre a quella inescrutabile Provvidenza che permise le vittorie di Carlo quinto e V eresia di Lutero. Ma l'opera della dissoluzione in alcune cose procedè lenta; non lenta nelle lettere e nelle arti che di poco s' offendono , come fiori eh' e 7 sono cosparsi sul cammino dell'uomo: poc'aura o sole gli avviva, poc' ombra gli attrista. Non è questo il luogo a ragionar delle lette- re: riassumerò i destini delle arti nel solo Buonar- roti, in cui tutte s'impersonano. Se col David (a parer del Vasari) avea « tolto il grido a tutte le » statue moderne ed antiche, o greche o latine » che elle si f ussero; » 1 col Mosè, mostrando ciò che un ingegno singolare potesse osare nel mar- 1 Vasari, Vita di Michelagnolo. GIORGIO VASARI. 99 mo. avea tolta ogni speranza ai futuri. Gol cartone della guerra di Pisa avea insegnato a tutti i coe- tanei, non escluso Raffaello; e coetanei e posteri sgomentava col Giudizio della Sistina. Innal- zato in Vaticano il miracol dell'arte, l'opera di Michelangelo era perfetta: ma assistendo, vec- chissimo, senz' altra mercede che i laceramenti degl' invidi e degl'inetti, a tanta fabbrica, solo perchè gli parea peccato abbandonarla alle mani degli altri artefici ; 1 vaticinava gli splendidi de- turpamenti del primo tempio del mondo. Miche- langiolo, a vedere le opere del Grechetto eccel- lentissime, proferì lo scadere dell'arte; conside- rate le opere proprie, ne presentì la corruzione. E quasi ne sentisse rimorso , si astenne: e non che per trent'anni operasse nulla di nuovo, nep- pure diè termine alle opere incominciate; e solo usò di scarpellar qualche marmo, perchè l'eser- cizio alla salute era buono. 2 Invano lo chiesero i Medici: chi credesse col Vasari, che la stanza di Roma gli piacque solo per l'aria men fina, sa- prebbe di semplice. I nuovi signori intesero, che altro è il poter comandare, ed altro il farsi obbe- dire. * Ce l'attestano le lettere di Michelangelo pubbli- cate dal Vasari nella Vita. 5 Vasari, loc. ci'/. 100 GIORGIO VASARI. Obbediva Giorgio Vasari. Ed ecco per lui or- narsi il ricevimento di Carlo quinto d'improvvisi archi e trionfi: ecco tramandarsi ai posteri le ina- mate sembianze di Alessandro: 1 ecco adornarsi di nuovi dipinti la cittadina dimora del duca. Il quale considerando nei fatti di Cesare, quivi co- loriti da Giorgio, 2 quanto la nuova condizione di Firenze ritraesse alla fortuna di Roma , avrà pure discorso con la mente il fine miserando di quel- V uomo che troppo spesso solea ripetere la trista sentenza d' Euripide: — Esser bello osservare la giustizia e la pietà quando non si tratti di un re- gno. — Certo il secolo del Vasari, che agl'influssi delle stelle e agli oroscopi e al fato molto attri- buiva, non avrà veduto senza stupore , che a Gior- gio mancasse il tempo per compiere la pittura del trionfo di Cesare, ed Alessandro trovasse in un cugino il suo Bruto. Ma più ne sembra riscontrarsi con Cesare il successor d'Alessandro, dagli odiatori del nome Mediceo troppo facilmente pareggiato a Tiberio. Cosimo, non potuto liberamente giudicare dai con- 1 Si può vedere il ritratto del duca Alessandro nella Galleria degli Uffìzi. Vedasi pure la Lettera del Vasari a Ot- taviano de' Medici, che è la settima nella stampa del Pas- sigli. 2 Dipinti periti nei lavori che furono fatti per accre- scere quel palazzo, come V ebbero acquistato i Riccardi. GIORGIO VASARI. 101 temporanei, mal fu saputo dai posteri: ma chi davvero vorrà scrivere di lui, dovrà rallegrarsi con la Toscana, che al sovraggiungere di una vita nuova, inevitabile, piuttosto che un viceré spa- gnuolo, le toccasse un duca cittadino; 1 e citta- dino di gran mente , e nelle qualità dell' animo nè minore nè peggiore di quei potenti fuorusciti, che ugualmente avrebbero raccolto dalle mani della fortuna lo scettro della patria; se poi meglio ado- peratolo, non sarà chi osi asserirlo. Fra i ricordi che il Magnifico Lorenzo diede a Giovanni suo figliuolo, quando giovinetto cardi- nale metteva il primo piede nella corte di Roma, io leggo questo: « Gioie e seta in poche cose stanno » bene ai pari vostri: più presto qualche genti- » lezza di cose antiche e belli libri, e più presto » famiglia accostumata e dotta che grande. » 2 Par- ve questo ricordo trasmettersi nella casa de' Me- dici dal padre ne' figli; anzi, quasi a comune re- taggio, parteciparvi quanti avessero nelle vene quel sangue che da Giovanni di Bicci fu spartito * II Balbo, parlando di Cosimo, dice che fu « men cat- » tivo, perchè è sempre minore la cattivezza di un principe i> nazionale e presente. » Sommario della storia d' Ita- lia ec. , pag. 318, edizione Le Monnier, 1856. 2 Questi Ricordi del Magnifico furono pubblicati dal Gori nel Prodromo della Toscana illustrata nella sua sto- ria ec; Livorno, Santini e comp. , 1755. 102 GIORGIO VASARI. in più rami. Dicono alcuni, che Cosimo duca cor- rompesse questa gentile inclinazione, volgendola ad arte di regno: altri fanno risalire la corruzione ai suoi maggiori, e ne gravano Lorenzo e Cosimo vecchi. Non ci arroghiamo il diritto di giudicare le intenzioni. Lo scadere dell'arte non fu solamente toscano o fiorentino; nè mi risolvo a metter fra i delitti di Cosimo V essersi fatta di artefici e lette- rati amabil corona, e Pavere voluto che gli anni ultimi della Repubblica fossero a lui raccontati, ed a' posteri, da uno di quelli eh' erano stati a di- fenderla. Or come nella schiera degli artefici che cor- teggiano il nuovo signore non è Giorgio Vasari? Egli ricovrarsi in Arezzo, « il cui ascendente era « contrario al genio della sua natività, » 1 e donde era un tempo partito per non incorrere nella « pena che patiscono coloro che si annidano a » casa, contentandosi di un poco di vigna e di » due solchi di terra, e di una donna? » 2 Gior- gio, o signori, è nauseato della vita cortigiana. « Poiché la morte di Alessandro (ecco la sua con- » fessione) ha rotto le catene della servitù mia , » presa già con questa illustrissima casa, risolvo * Vasari , Lettera XLIll, a Francesco Albergotti ; stampa cit. 2 Vasari, Lettera citata. GIORGIO VASARI. 403 d di separarmi da tutte le corti, cosi di principi » ecclesiastici come secolari.... Eccomi preparato )> per sempre a voler vivere del mio sudore , e » faticare col fare opere continuamente per tutto; » e, se elle non verranno qui in casa mia, andrò d a trovar loro dove elle saranno: e cosi, fìdan- » domi in Dio, so che farà nascere l'occasione » di far pitture a quegli che non se ne dilet- » tarono mai. Lo studio dell' arte sarà da qui » innanzi colui che vo' corteggiare ; per mezzo )) del quale offenderò meno Iddio, il prossimo e » me stesso. La solitudine sarà in cambio dello » stuolo di coloro, che, per lodarti e metterti )> innanzi, sei obbligato a temergli, amargli e » presentargli. » 1 Giorgio ha bisogno di vivere solitario, e di ragionare più da presso con la na- tura. Anche la religione ha un eco nel suo cuore ; e per meglio ascoltarla, fugge nell'eremo: Ca- maldoli lo accoglie. « Non potevo (ascoltiamo le » sue parole) per conoscer meglio me stesso, ca- » pitare in luogo nessuno migliore: perchè, oltre » che passo il tempo con util mio in compagnia » di questi santi religiosi; i quali hanno in due » giorni fatto un giovamento alla natura mia sì » buono e sano , che già comincio a conoscere la 4 Vasari, Lettere XIV e XV, a don Antonio Vasari e Niccolò Serguidi. 104 GIORGIO VASARI. » mia folle pazzia dove ella ciecamente mi me- » nava; scorgo qui, in questo altissimo giogo del- » Talpe, fra questi dritti abeti, la perfezione che » si cava dalla quiete: così come ogni anno fanno )) essi intorno a loro un palco di rami a croce, w andando dritti al cielo; così questi romiti santi, » imitandoli, e insieme chi dimora qui, lassando » la terra vana, con il fervore dello spirito elevato » a Dio, alzandosi per la perfezione, del continuo » se gli avvicina più.... Ho visto e parlato fino a » ora a cinque vecchi di anni ottanta V uno in- » circa, che, fortificati di perfezione nel Signore, » m' è parso sentir parlare cinque angioli di pa- » radiso; e son stupito a veder quegli, di quella >; età decrepita, la notte, per questi ghiacci, le- » varsi come i giovani, ancora che le nevi s' al- » zino assai, e partirsi dalle lor celle murate e )> sparse lontano cento cinquanta passi per l'ere- » mo, venire alla chiesa ai mattutini ed a tutte » l'ore diurne, con un' allegrezza e giocondità » come se andassero a nozze. Quivi il silenzio sta » con quella muta loquela sua, che non ardisce » a pena sospirare; nè le foglie degli abeti ardi- scono di ragionar co' venti; e le acque, che )) vanno per certe docce di legno per tutto l'ere- » mo, portano dall'una all' altra cella de' romiti » acque, camminando sempre chiarissime, con GIORGIO VASARI. 105 » un rispetto maraviglioso. » 1 — Oh qual è di voi che non veda quasi colorata dinanzi agli occhi questa ingenua dipintura di Giorgio? chi non ri- scontra in quei monaci, nelle loro cellette, nelle sante conversazioni dell' eremo, il pennello di Pie- tro Laurati o del beato Fiesolano? chi non rico- nosce nelle brune frappe e nelle chiare e fresche acque il toccar d' una mano che rammenta il più bel quattrocento? Non cercate però questo Vasari nei dipinti del Vasari. Vedrete non uomini ma statue; gente che sta, mentre all'accennar de' muscoli direste che muove; « volti che nulla dicono (userò le parole » del Lanzi); attori seminudi che nulla fanno, se » non mostrare pomposamente, come l'Entello » di Virgilio, magna ossa lacertosque. » 2 Prospet- tiva aerea trascurata; il rilievo d ; Andrea quasi perduto; il colorito vile e senz'armonia. Difett che si fecero vie via maggiori ne 7 discepoli; e meno apparvero nel Vasari, quando non fece di pratica e non ebbe i giorni contati. Del che troppo spesso fa le scuse (quando non se ne vanta) co' posteri: i quali , guardando i suoi dipinti, non possono fare * Vasari, Lettera XVII, a Giovanni Pollastra. 2 Lanzi, Storia pittorica , ec. ; Scuola fiorentina , Epoca terza, in principio. 106 GIORGIO VASARI. che ripetergli col suo Buonarroti: Non ti scusar, che e' si vede. 1 Il Vasari che sente 1' ispirato linguaggio della natura, e ritrae la muta favella de' marmi; che intende le difficoltà dell'arte, e fa di pratica; è quel Vasari che, detestando il vivere cortigiano, e lodando « l'alpestre ed eterna solitudine e quiete » dell'eremo, » 2 si ravviluppa di nuovo nella corte pontificale, mentre il duca Cosimo gli ap- parecchiava in che esercitare Y ingegno e la mano. Nel 4555 compievansi con la vittoria di Siena le imprese del nuovo Cesare; e in quell'anno il Va- sari ricalava alla corte medicea, per dar mano, con migliori auspici, alla pittura di quei trionfi. E già la conversazione lunga col Buonarroti (che ormai di nuli' altro si occupava che delle architet- ture del San Pietro) V avea reso pratico nell' arte che più dovea fargli onore. Il Palagio vecchio della Signoria erasi trasformato in reggia ducale; ma 1 II Vasari scrive nella Vita di Michelagnolo : « Essen- » dogli mostro un disegno, e raccomandato un fanciullo, » che allora imparava a disegnare, scusandolo alcuni che » era poco tempo che si era posto all'arte, rispose: E' si » conosce. » E il Masselli vi fa questa nota : « Vuoisi che » una simil risposta la desse anche allo stesso Vasari , al- » lorchè questi, mostrandogli le pitture della sala della » Cancelleria a Roma, gli disse d' averle fatte in pochi » giorni. » 2 Vasari, Descrizione delle sue opere. GIORGIO VASARI. 107 riusciva angusta alla crescente famiglia. Cosimo vuole ampliarla: ma non vuole « alterare i fon- » damenti e le mura maternali di questo Palagio, » per avere elleno con questa forma vecchia dato » origine al suo governo nuovo; » vuole che come le leggi vecchie della Repubblica han servito di fondamento alle nuove, cosi quegli onorati sassi servano di base al novello edifìcio; vuole final- mente che si conosca, come ogn' ingegno medio- cre avrebbe saputo far di nuovo qualcosa, ma che nel racconciare le cose guaste senza rovina, con« siste maggiore ingegno. 1 Tali intendimenti, che a un tempo rivelano P accorta politica del princi- pe, attribuiva al suo signore il Vasari. Il quale in- tanto aggiungeva appartamenti al Palagio, e gli appartamenti ricopriva di pitture in quanto si di- ce. La sala grande, per le memorie venerabile, si rende più sfogata; e il palco di storie a olio, e le facciate d'affreschi si coprono, come quasi a di- stendervi un drappo. Stanno anc'oggi tali dipinti sotto i nostri occhi: delle invenzioni, che parvero allora mirabili, ragionò Y istesso Vasari in un dia- logo col principe Francesco: rammentarne i pregi e i difetti non giova. Ma chi rammenta senza do- 4 Vasari, Ragionamenti sopra le invenzioni da lui di- pinte in Firenze nel palazzo di loro Altezze serenissime ec. Giornata prima , Ragionamento primo ; in principio. 108 GIORGIO VASARI. lore , che per quella sala furono indarno apparec- chiati i cartoni famosi di Lionardo e di Michelan- giolo, e la tavola stupenda del Porta? Odo una voce levarsi (e parmi che da voi muova, o maestri d'architettura), la quale chiede che al Vasari si renda lode per le opere che con- dusse nell'arte vostra. Piacemi bene che Giorgio si abbia questa lode; uè V abbia solo dagli uomini che quegli studi professano, ma e da qualunque gode diportarsi sotto la Loggia arditamente innal- zata ad accogliere gli Uffici de' magistrati. Ardi- tamente innalzata; o si guardi alla difficoltà del fondare sul fiume e del gittar come in aria una grandissima fabbrica, o si pensi all' averla dovuta murare fra la Loggia dell' Orcagna e il Palagio d'Arnolfo; anzi all' opera del primo congiungerla. Lo che come venisse fatto all' artefice rimetto a voi la sentenza, o architetti. Ma perchè nelle arti nostre è pur da osservare 1' effetto che producono agli animi; dirò, che V audacia ond'è mosso l'edi- ficio vasariano tale eccita un senso di maraviglia, che nei meno intendenti può tener luogo di quello che ne ispira il sublime dei monumenti vicini. Nè agi' intendenti dispiacerà , passare dalla maestà severa di Arnolfo e dalla maestosa eleganza del- l' Orcagna alla gaia magnificenza del Vasari ; quasi leggendo compendiata in tre monumenti la sto- GIORGIO VASARI. 109 ria delle arti, e del popolo, per oltre tre secoli. E a questo monumento avrebbe solo dure- volmente raccomandata la sua fama il Vasari, se al par de' pennelli e del compasso non avesse im- parato sotto il Pierio a trattare la penna. Per quanto alcuni de 7 suoi dipinti tuttavia si rammentino, l'ab- bondanza prodigiosa di quel secolo fa che non siano curati: ma le opere de' passati maestri, che nelle tre arti ci lasciò descritte, si vedono da tutti e s' ammirano, ad onta del tempo che molte ne ha invidiate. Nè solo si ammirano; ma se ne studia- no le invenzioni, se ne ricercano i contorni , se ne giudicano gli stessi colori: tanto può la scienza dell' arte unita all' efficacia dell' idioma toscano. Delle quali cose niuno oggi contende il possesso al Vasari; 1 che primo ebbe Y animoso concetto di comporre la storia dell'arte italiana da Cimabue a Michelangiolo , e la virtù di metterlo a effetto descrivendo le vite degli Artefici insigni. Il pensiero mi trasporta, o signori, a quelle cene del cardinale Farnese, dove venivano a trat- tenerlo con belli ed onorati ragionamenti i lette- rati di Roma. Io seggo fra il Molza e il Tolomei , 4 Non io che accennare i dubbi che si sono messi più volte in campo sull'avere il Vasari scritte da sè le Vite ie'pm eccellenti Pittori, Scultori ed Architetti: ma ogni confuta- zione è inutile dopo quello che ne ha scritto il mentovato Masselli nella Prefazione alle Opere vasariane. 110 GIORGIO VASARI. e il Caro e FAmaseo; ascolto il Giovio ragionar dotto del suo museo, ed esporre le idee d 7 un suo trattato su gli uomini illustri nelle arti del dise- gno. Ed ecco un giovine levarsi in piedi mode- sto, e al Giovio parlare in questa sentenza: — Bella sarà la vostra fatica, poiché gran cognizione e giu- dicio mostrate nelle cose delle nostre arti; ma non potrà essere perfetta opera, se non v' aiuti qual- cuno dell'arte a mettere le cose a' luoghi loro, e a dirle come stanno veramente. Poco so di valere co 7 pennelli, niente so con la penna: ma infin da garzone, per un certo mio passatempo, e per un amore che ho sempre portato alla memoria de'no- stri artefici, ogni notizia dei quali mi è carissima, ho fatto molti ricordi e scritti; i quali stanno, o Giovio, al piacer vostro. E già l'aver veduto, per- correndo l'Italia, molte opere, mi ha fatto risol- vere intorno alle maniere diverse, ed ai pregi che la fortuna invidamente cela in alcune, in al- tre encomia oltra il vero. 1 — Alle quali parole come fosse cortesemente risposto da quei gentili spiriti, lo mostra che il Vasari non abbandonò più la penna, fino a tanto che per due volte non ebbe veduto impresso quel libro, che dalle arti è con- teso alle lettere, e Fune e F altre onora del pari. Ogni critica è vana dove a pochi nei è dato 4 Vasari , Descrizione dille sue opere. GIORGIO VASARI. ili opporre infinite bellezze. Solo può a ragione do- mandarsi al Vasari, perchè dopo avere da spasi- mato amatore vagheggiate negli antichi le ingenue grazie della natura, si abbandonasse nelle braccia di un'arte smorfiosa e impudica: perchè, dopo di aver lodato e quei maestri che all'arte si accosta- vano come ad ufficio solenne , scienti che alle arti è commessa gran parte dei destini d' un popolo; e quegli che delle opere non eran mai paghi , tro- vandole lontane dall' idea che fremeva o sorrideva loro nell'anima; e quegli che solo l'arte elessero per donna e signora (spiriti umili a un tempo ed alteri, come i grandi spiriti sono): capitanasse poi legioni di pittori ; che l'aiutassero più presto a ri- coprire pareti; reputasse vanto il condurre in giorni ciò che in altri tempi si faceva in mesi ed in anni; e il pennello prestasse a tutti, ed a tutto. — Ma a tali domande risponde per Giorgio la sto- ria delle arti; e il comune errore gli fa come scusa. Vincere la natura si reputò somma lode; e i letterati, concettizzando, ridissero quella sciocca frase in più lingue, per cento artefici. 1 II senti- mento dell' arte andò a smarrirsi quando, per una cieca venerazione dell'antico, si volle tutto tra- durre in un linguaggio che niuno parlava e pochi 1 Si possono vedere gli epitaffi che il Vasari spesso riporta a pie delle Vite. 112 GIORGIO VASARI. intendevano. I dipinti con cui la religione si pia- ceva istruirne de 1 misteri più augusti (ond' è che un padre della Chiesa gli chiamò lezioni del po- polo) parve che un tempo uscissero dalle mani degli angeli; ma come l'arte fu corrotta , i cristia- ni dovettero cacciarli dal tempio perchè non ne andasse polluto. Con i modelli dei templi pagani si edificaron le chiese: che più? si osò a quelle forme con disonesto strazio ridurre le chiese cat- toliche, i monumenti del medio evo. Qual cuore fu il tuo, o Giorgio, allorquando ponesti le mani sulle opere di Fra Ristoro e d'Arnolfo? quale, al- lorquando col tuo pennello prendesti a ritirare verso la terra queir edificio che la sesta del Bru- nellesco aveva spinto alle stelle? Tal fu il volere di Cosimo: e quel volere fu per te ispirazione, ge- nio, ogni cosa. Ma questa lezione non ti ebbe data, o Vasari, il tuo Michelangelo ! Era appena incominciata a dipignere la cu- pola di Santa Maria del Fiore, che la morte lo colse; pochi mesi dopo il suo caro signore. Il ca- valiere Giorgio Vasari chiudeva gli occhi conten- to: avea di fatti conseguite quelle grandezze e gradi 1 che giovinetto s'augurò premio agli studi; si trovava oneste ricchezze da far lieti i congiun- ti, da beneficare la patria, da mostrare a Dio la 4 Vedi in questo, a pag. 96. GIORGIO VASARI. 143 sua religione: vedeva, finalmente, non una mano di artefici ma un' intiera Accademia continuare quella maniera che egli teneva per la sola eccel- lente, stimando d'averla ricevuta dalsuodivinis- simo Vecchio. 1 Ed è questa, o signori, l'Accademia che, sotto gli auspici di Cosimo, per opera singolar- mente del servita Montorsoli e deh nostro Vasari fu incominciata: ma è bello, o artefici, e meglio auguroso ricordare , come la Compagnia del dise- gno fosse primamente raccolta in Firenze dagli scolari di Giotto; e come il Vasari ne scrivesse i fasti con lungo studio e amor grande. — 0 giova- ni egregi, poiché ancor voi (se al buono ingegno sia compagno il forte volere) verrete un giorno a questo sodalizio d' artefici, io vi esorto a leggere intanto quei volumi, dove le onorate opere, e le belle tradizioni, e i costumi dei vecchi maestri si narrano. Chi scorrendo quelle pagine non sentirà reverenza per una religione che in mezzo alle persecuzioni apri alle smarrite arti le catacombe, nella barbarie le accolse nei chiostri e le diè in guardia alla scienza, fino a tanto che non l'ebbe mostrate al mondo, ricinte de' propri splendori, 1 Con questo nome , e con Y aggiunto di divinissimo , rarissimo , grandissimo, chiama sempre Michelangelo nelle sue Lettere. GIORGIO VASARI. nelle cristiane basiliche? Chi non imparerà ad amare una patria, le cui memorie sono scritte nei monumenti dell' arti con quella eloquenza che le storie non hanno? Chi non innamorerà delle virtù si caramente encomiate dal buon Vasari; e non sentirà odio pe'vizi, che hanno pure contaminato e le arti e gli artefici? e chi, finalmente, non si sentirà riempiere il petto di una bella emulazione e di un fervido desiderio di gloria? Che se vi av- verrà di trovare talora non concorde allo scrittore V artista, siate pietosi al Vasari; e il suo error vi ammaestri. Imperocché, può l'uomo corrompere le buone discipline; ma restaurarle a talento non può. Quando la terra ha demeritati i puri con- forti delle divine arti, bisogna che scorrano i se- coli, e passino le generazioni, quasi purificandosi nel dolore e preparandosi nella fede. Iddio manda pure in que' tempi qualche grande ingegno; ma poiché le sue opere non servono che a confon- dere le menti, non sai se chiamarlo benedizione o gastigo. Sorge alla fine il giorno in cui una voce le richiama a vivere una vita nuova: ma non è quella la voce dell' uomo. Le arti, o signori, giacquero per tre lun- ghi secoli. I nostri padri salutarono un risorgi- mento, quando i cieli ne concederon Canova. Chi vorrà giudicare Canova? Non io certamen- GIORGIO VASARI. 115 te: ma pure oso dirvi, che il risorgimento, non si compiva. Che dovremo noi sperare? quali ca- gioni abbiamo da confortarci? Un Principe che ama le ingenue arti, e le vuole governate da chi pure le ama; un'Accademia, dove Y artista educandosi ha sotto gli occhi tanti splendidi esempi che parlano più d' ogni precetto; la gloria passata delle arti, e gli stessi traviamenti; non sono al certo piccoli benefìcii di Provvidenza. Ma pronun- ziare qual sia ora la condizione delle nostre arti, quale ne potrà essere l'avvenire, è ardua cosa; ne io sono da tanto. Paragonando però i tempi del Vasari co' nostri , questo mi sembra potersi asserire; che alle arti è dato oggi di vivere una libera vita, quando non si facciano spontanea- mente serve delle passioni e della fortuna. COMMENTARIO ALLA VITA DI NICCOLÒ SOGGI, SCRITTA DA GIORGIO VASARI. 1854. INTORNO AMjMjA. VITA E ALLE OPERE DI DOMENICO GIINTALODI, PITTORE ED ARCHITETTO PRATESE. * Sembra talora da revocare in dubbio, se alla memoria degli uomini più nocesse la menzione o la dimenticanza de' contemporanei; poiché se a questa può supplire P affetto e la diligenza de' me- mori nepoti, non può la parola de' posteri sopraf- fare la voce di coloro che asserirono, quasi testi- moni di veduta, quello che o mal videro, o scris- sero piuttosto secondo udienza, nè forse scevri di qualche passione. Che se pur avviene, che talora la luce de 7 documenti rischiari il passato, e me- glio dopo qualche secolo si scorga la verità ; pure la fama, una volta oscurata, non ripiglia mai l'in- tiero splendore : essendo che la fragile natura umana inchini sempre a credere , esser mancate 4 Fu scritto questo Commentario per la nuova edi- zione delle Vite di Giorgio Vasari, pubblicata dal Le Mou- nier, e sta nel volume X. 120 INTORNO ALLA VITA molte egregie parti a chi fu detto mancarne d' al- cuna. Alla memoria di Domenico Giuntalodi si può dire che toccasse l' una e l'altra sventura: tra- scurata troppo dai concittadini, a cui ben alto do- vere incombeva verso il loro benefattore, fu in qualche modo celebrata da Giorgio Vasari; il quale peraltro o non ebbe informazione esatta, o volle impietosire la posterità pel suo Niccolò Soggi, de- primendo 1' architetto e dipintore di Prato. Quindi, assai più che a mettere insieme qualche par- ticolare notizia della vita e delle opere sue, dopo trecent' anni da ch'egli fu tra' vivi, mi riu- scirà malagevole il purgarlo della taccia d' in- gratitudine; la quale, bruttissima in ogni per- sona, doventa schifosa in un discepolo che la eserciti verso il povero e vecchio maestro. Impe- rocché, quantunque mi sembri che le testimo- nianze eh' io verrò adducendo a favore del Giun- talodi possano avere almeno un pari valore con quella del biografo aretino, e possa del Giuntalodi raccontare un' azione che non è propria degli uo- mini ingrati; nondimeno riconosco, chele mie pie- tose industrie non varranno forse a cancellare le gravi parole che lo storico degli artisti celebri ha mescolate ad una parca lode nel ragionare del- l' artista pratese. E ALLE OPERE DI DOMENICO (ÌIUNTALODI. 121 Dirò prima, commentando al Vasari, che delle tre opere fatte in Prato da Niccolò Soggi, due sole ne rimangono: il ritratto di messer Baldo Magini, nella sagrestia della cattedrale; 1 e la ta- voletta per la compagnia (oggi soppressa) di san Pietro martire, 2 sulla quale il Vasari non si mo- stra sicuro. 3 La tavola per la chiesa delle Carce- ri, che il biografo descrisse diligentemente, ap- pena un secolo e mezzo rimase nell' altare a cui era destinata; o sia che presto ne deperisse la tempera, o sia che paresse buono il sostituirle una tela del pennello allora noto di Simone Pigno- 1 II Vasari ha descritto bene questo ritratto; sotto il quale modernamente fu posta un'iscrizione, dettata dal ca- nonico Giovanni Pierallini , e pubblicata nella Descrizione della chiesa Cattedrale di Prato; Prato, Giachetti , 1846; a pag. 130, nota 1. 2 Fu soppressa sul cadere del secolo scorso. 3 II comentalore delle Vite del Vasari, nella edizione fiorentina del Passigli, fa questa nota intorno alla tavola di San Pietro martire : « Si conserva nel coro de' Cappuc- » cini di Prato. È alta un braccio circa , e larj tello di Giuliano da Sangallo , nella Madonna » delle Carcere, un tabernacolo di due colon- » ne ec, pensò Antonio di far si, che messer Baldo » facesse fare la tavola, che andava dentro a » questo tabernacolo, a Niccolò ec. » Ora è da sapere, che fino del 30 di giugno 1508, trovan- dosi in Roma Baldo Magini cubicolario di Giu- lio II e castellano d'Ostia, avea fatto deposi- tare sullo spedale di Santa Maria Nuova di Fi- renze mille fiorini pratesi con del vasellame d'ar- gento, e scrittone al Comune di Prato perchè facesse un suo procuratore a ricevere quel deposi- to, volendo che fosse serbato il contante nella cassa del Ceppo, e 1' argenterie nella chiesa delle Carceri. Ignorossi per qualche tempo l'in- tenzione dell'amorevole cittadino; ma nel 1513 si fece manifesta, come si seppero giunti a Pisa parecchi marmi delle cave carraresi, che nel lu- glio di quel medesimo anno vennero condotti a Prato, per esser lavorati su i modelli d' Antonio da Sangallo, a cui il Magini aveva commesso Y al- tare, o tabernacolo, come il Vasari lo chiama. Ba- Wi INTORNO ALLA VITA sto due anni il lavorio degli scultori; e a' 27 luglio del 4515 se ne gittarono i fondamenti. 1 Nel 1522 T altare era finito; e Baldo Magini volgeva il pen- siero alla tavola. Il Vasari ci narra come costui avesse avuto in animo di valersi dell' opera di Andrea del Sarto; 2 e come per le pratiche del San- gallo si fosse indotto a preferirgli un Soggi! Ecco l'atto di allogagione, finora inedito. 3 « In Dei nomine, amen. Anno Dominicse » incarnationis mdxxìj, indictione x, die vero xxiiij » mensis augusti. Actum Prati in porta Leonis, » in domo habitationis infrascripti domini Baldi; » presentibus ibidem Dominico Petri de Bizochis » et Iohanne Iacobi Iohannis Clementis aroma- » tario, ambobus de Prato, testibus etc. — Pa- » teat publice , qualiter reverendus presbiter do- » minus Baldus Magini Salis de Prato, priorprio- » rise Sancti Fabiani de Prato, ex parte una; et » magister Nicolaus Iacobi Soggi , pictor de Flo- » rentia, ex parte alia; de comuni concordia et » omni meliori modo et solempni stipulatione » inter eos interveniente, devenerunt ad infra- * Vedi il Ristretto delle memorie ec , e T articolo della Chiesa delle Carceri, citati nelle precedenti note. 2 Vita di Andrea del Sarto. 3 Libro de' partiti degli Operai delle Carceri, il cui archivio fa ora parte di quello del Patrimonio Ecclesiastico. Registro ad annum, a c. 57 e 58. E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 125 » scriptam conventionem et pactum in hunc mo- » dum et formam; videlicet. Et primo, quod » dictus magister Nicolaus conduxit ad depin- » gendam a dicto domino Baldo quandam tabu- » lam et replenum cappellae oratorii Sanctae » Mariae Carcerum de Prato, secundum quandam » designationem , et cum illis figuris, et eo modo » et forma et prout et sicut in quodam designo » et folio continebitur et designatum erit, prò » ornamento et repieno dictae cappellae : et hoc » de coloribus finis. Et predictam tabulam et re- » plenum dictae cappellae promisit dictus magi- » ster Nicolaus fecisse et facere et seu depingisse » et depingere, suis expensis et labore, bine ad » xviij menses proxime futuros ; et sine aliqua » contradictione: et sic se obligavit et promisit » dictus magister Nicolaus. Et hoc fecit dictus )) magister Nicolaus, et se obligavit, quia ex » adverso dictus dominus Baldus promisit dicto » magistro Nicolao presenti, et prò se et eius he- » redibus recipienti et stipulanti , eidem dare et » solvere et cum effectu pagare, prò eius mer- » cede et labore dictae picturae et operae , et prò » omnibus eius expensis dictae tabulae et repieni o predicti , in totum florenos septuaginta auri » largos de auro in auro ; et ex nunc, prò dieta » eius solutione et pagamento et seu satisfactione 126 INTORNO ALLA VITA » dictorum florenorum septuaginta auri largo- » rum de auro in auro, idem dominus Baldus » promisit dicto magistro Nicolao presenti, et ut » supra recipienti et stipulanti , sibi dare et tra- » dere in grano, et pretium grani ad ratam et » pretium solidorum 28 parvorum prò quo- » libet stario grani, hoc modo et forma; videli- » cet : Quod ex nunc dictus dominus Baldus » dedit et consignavit, et dat et consignat dicto » magistro Nicolao presenti et ut supra recipienti » et stipulanti affictum quatuor molendinorum » dictse priorise; videlicet molendini siti in ponte » Ponzaglio de Prato , quod tenet ad affictum a » dicto domino Baldo Antonius alias Monciartino, » per star. 55 grani ; et molendini siti agli Aba- » toni, quod tenet Raphael decto Laino ad af- » fictum a dicto domino Baldo, per star. 60 gra- » ni; et molendini siti in dicto loco agli Abatoni, » quod tenent ad affictum Andreas Gherardacci » et Raphael Saccagnini et Stephanus Michaellis » Tieri a dicto domino Baldo, similiter, per star. » 60 grani; et molendini siti in dicto loco agliAba- » toni, quod tenet ad affictum Stephanus Bini a » dicto domino Baldo, similiter, per star. 60 gra- » ni : et hoc quolibet anno. Et prò dicto affictu » et quolibet eorum dictus dominus Baldus ex f> nunc constituit et fecit dictum magistrum Ni- E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALO!)!. 127 » colaum procuratore»! ad exigendum a dictis » conductoribus supra nominatis, et quolibet eo- » rum , et eorum et cuiuslibet eorum fideiusso- » ribus. Et hoc solum et dumtaxat prò tempore » et termino unius anni proxime futuri, videlicet » hinc et ab hodie ad totum mensem iulii pro- » xime futuri 4523 etc Et hoc cum pacto ap- » posito in presenti contractu et solempni stipu- » latione , vallato inter dictas partes ; quod si et » casu quo ipse rnagister Nicolaus non fìniverit » dictam tabulam et picturam predictam hinc ad » dictum totum mensem iulii, ut supra, habeat )> solum et dumtaxat de dicto affictu medietatem, » et aliam medietatem tunc debeat deponere ad )> eius instantiam penes Operam S. Mariae Car- » cerum et eius operarios , prò dare et solvere » eidem postea dictum granum in fine dictae » picturae, et postquam fìniverit depingere dictam » tabulam, et non prius. Residuum autem solu- )) tionis dictorum florenorum 70 auri largorum de » auro in auro, videlicet etc, dictus dominus » Baldus promisit dicto magistro Nicolao etc, » eidem solvere et pagare in fine et ad finem » temporis dictee picturae, et postquam dieta ta- » buia et replenum dictae cappellae finita et fini- » tum erit, sine aliqua contradictione, in pecu- » nia et denariis contantibus, et seu in grano ad 128 INTORNO ALLA VITA ratam suprascripti pretii solidorum 28 p. prò quolibet stario dicti grani, et prout eidem do- mino Baldo videbitur. Et hoc cum salvo et re- servato pacto inter eos, quod, finita et com- pleta dieta tabula et pictura predicta, debeat dieta tabula et pictura predicta extimari per tres pictores et magistros eligendos, unum prò parte dicti domini Baldi, et unum prò parte dicti magistri Nicolai, et unum prò parte ope- rariorum Operse Sanctse Mariae Carcerum de Prato, cum pienissima auctoritate eam exti- mandi per duos ex eis ad minus in concordia : et hoc cum pacto, quod extimando eam ad mi- nus florenos cxx auri largos, dictus magister Nicolaus habeat et habere debeat dictos flore- nos 70 auri largos de auro in auro, ut dicitur; et casu quo fuerit extimata minus dictorum florenorum centum viginti auri largorum, tunc debeat dictus magister Nicolaus habere illud minus dictorum florenorum 70 auri largorum de auro in auro, ad ratam. Et predictae remis- siones et auctoritates dictorum trium extima- torum , sic ut supra eligendorum, voluerunt dietse partes durare et vires habere postquam dieta tabula finita et completa erit ut supra, inde ad unum mensem proxime futurum. Et hoc cum pacto apposito in presenti contractu E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 129 » et solempni stipulatione, vallato inter dictas » partes , quod si dicti extimatores non essent » concordes in dicto termino ad extimandum ut » supra , quod tunc toties eligatur et fiat electio » dictorum extimatorum, ut supra dicitur; quod )> extimetur dieta tabula et pictura predicta, ut » supra dictum est. Quse omnia promiserunt dietse )> partes, et sibi invicem et vicissim ex proprio » firma et rata habere, et contra non facere, sub » pena florenorum 50 auri largorum, et sub re- » fectione damnorum etc. » * II. Mentre il Soggi era trattenuto in Prato da questa opera non lieve, e dalle altre che il Va- sari rammenta, si veniva educando nell'arte, sotto la sua disciplina, un giovinetto della terra, di buonissimo ingegno ma di scarse fortune. Il me- morando sacco del 1512 avea disfatte le case di persone e di robba; perchè i campati al ferro si erano dovuti ricomperare dall' avaro spagnuolo con quel tanto che possedevano , e talora con quello che i mercatanti vicini prestavan loro a usure sfolgorate. Ma parve che la Provvidenza intendesse a compensare tanti mali, mandando cittadini operosi e benefici. Intorno al tempo del 1 9 130 INTORNO ALLA VITA sacco 1 si fa appunto nato il nostro Domenico, da Giovanni di un altro Domenico, il cui bisavo era stato un Giunta di Lodo. Quindi il cognome de' Giuntalodi ; e non Zampalochi 2 o Giuntalo- chi , come ( non so se per disprezzo o per igno- ranza) 3 scrisse il Vasari nella originale stampa J II Miniati nella sua Narrazione e disegno della terra di Prato, ec. (Firenze, Tosi, 1596) dice che Domenico « nacque Tanno circa al 1512. » 2 Così, e anche Zampolachi, fu stampato nell' edizione originale de* Giunti; ma giova avvertire che nella Errata fu mutato (sempre male) in Giuntalochi. 3 Anche il Lanzi (Storia Pittorica ec. , Scuola fioren- tina, epoca terza) lo chiama Giuntalocchio : ma più di que- sto è notevole nel Lanzi, tanto diligente, il sentire che il Vasari « descrive Domenico per un ritrattista che ben colse » le fisonomie; ma per un frescante sì lungo nell' operare, y> che perciò alienò da sè gli animi degli Aretini, fra' quali » stette alcun tempo. » Queste cose però non disse il Va- sari del Giuntalodi , ma del Soggi; ed è facile chiarirsene. E poiché sono nel correggere errori , ne additerò alcuni del Ticozzi (nò sarà maraviglia) nel suo Dizionario degli Artisti. Anch' egli lo chiama Giuntalocchio ; lo fa nato circa il 1520; lo fa scolaro del Poggi, e suo scolaro anche nell' architet- tura; lo fa morto in Prato, sul declinare del secolo XVI; e chiude il suo articolo con questo elegantissimo periodo: « È un atto di doverosa gratitudine verso questo benefico » cittadino Y annuale solenne commemorazione che si ce- » lebra in duomo ogni anno nella ricorrenza della sua mor- ii te, durante la quale uno de' giovani attualmente pensio- » nato recita una funebre orazione in sua lode , e ne riceve » conveniente premio. » (ir che non è vero.) Del resto, tanto il Lanzi quanto il Ticozzi spendono brevissime parole sul Giuntalodi. — Dopo che sono venute alla luce parec- E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 131 delle sue Vite. La madre fu Lucrezia di Giovanni Miniati ; famiglia che nei primordi del principato si venne nobilitando e accostando a Firenze , ma che in quel tempo abitava in porta Santa Trinità, e dall'umile mestiere era chiamata del Calde- raio. Contava però fra i suoi antichi un modesto pittore. 1 Pare che il giovinetto Giuntalodi seguisse il maestro . dopo che que' lavori furono condotti a compimento, e la morte di Baldo Magini, avve- nuta nel 1528, ebbe levata la speranza di nuove opere all'artista e alla patria. Il Vasari ce lo mo- stra a Marciano in Valdichiana, dove il Soggi si andava trattenendo; e dice che il maestro « si » sforzava, amandolo ed appresso di sè tenen- » dolo come figliuolo, che si facesse eccellente » nelle cose dell'arte; insegnandogli a tirare di » prospettiva, ritrarre di naturale , e disegnare , » di maniera che già in tutte queste parti riusciva » bonissimo e di bello e buono ingegno. E ciò » faceva Niccolò (oltre all'essere spinto dall' af- » fezione ed amore che a quel giovane portava) cine lettere del nostro Artista , delle quali in seguito sarà fatta parola, può asserirsi, eh' egli usò sempre soscriversi Di Giunta , o Giunti. 1 Pongo in fine del Commentario un compendioso alberelto di queste due famiglie, oggi spente, ed amendue benemerite della loro patria. 132 INTORNO ALLA. VITA )) con isperanza, essendo già vicino alla vecchiez- » za, d'avere chi l'aiutasse, e gli rendesse negli » ultimi anni il cambio di tante amorevolezze e » fatiche. E di vero , fu Niccolò amorevolissimo » con ognuno, e di natura sincero, e molto amico » di coloro che s'affaticavano per venire da qual- » che cosa nelle cose dell' arte ; e quello che sa- » peva, 1' insegnava più che volentieri. » Tace però di queste circostanze un contemporaneo, che al Giuntalodi fu stretto di amicizia e di san- gue, Giovanni Miniati; dicendo semplicemente, che Domenico « per instinto naturale si diede » ad apparare la pittura sotto la disciplina del » Soggio pittore d' Arezzo ; et avendo fatto buon » profitto, se n' andò a Roma , e quivi fece più » pratica in ritraendo di quelle rare e divine » opere delli eccellenti professori. » 1 Lo che verrebbe eziandio a temperare la sentenza del Vasari; che il Giuntalodi, « per aver appreso » quella maniera di Niccolò, non fu di molto va- » lore nella pittura. » Non dirò del valor suo nel dipignere, perchè niuna opera ne rimane che ce 10 attesti ; ma è però certo che nel disegno si discostò Domenico da quella maniera secca, che 11 Soggi non contrasse tanto dalla gretta imita- zione del Perugino, quanto da quel suo tener di- 1 Nella Narrazione ec. citata nella nota 1 a pag. 130. E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. '133 nanzi modelletti di cera vestiti di cencio e di pergamene bagnate. È poi singolare, che l'unico monumento superstite , pel quale possiamo oggi far congettura del modo tenuto da Giuntalodi nel disegnare, ci viene indicato dallo stesso Vasari, che dalla precisione con cui lo cita , ben mostra di averlo avuto sott' occhio. Parlando egli di certi disegni del nostro Domenico, su i quali torne- remo a suo luogo, ricorda « un Vecchio nel car- » ruccio...., stato messo in stampa, con lettere » che dicono ancora imparo. » Al che io aggiun- gerò: essere alta la stampa 15 pollici e 4 linee, 10 e 3 larga; 1 vedersi questo vecchio in piedi, dentro un carruccio rettangolare a sei girelle ; sorretto da altrettante colonnette, e ornato d'al- cune teste d' ariete , fra le quali scende e risale una benda a mo'di festone. Sta curvo il vecchio, ma con la faccia alquanto levata, pontandovi so- pra le mani come per ismuoverlo: indossa un'am- pia tunica, lunga fino a terra, e fermata da una cintura su cui ricade la veste sinuosa. La manica è abbottonata a' polsi, ed un fermaglio a squam- ine, finte di metallo, la stringe un po' sopra il 1 Corrispondono a soldi 14e6,ea9e9. Per chi non è tanto pratico di stampe, non è forse inutile il dire, che la misura si prende dal segno che l'orlo della lastra lascia im- presso nella carta. 134 INTORNO ALLA VITA gomito. Ha il capo coperto da un turbante, la cui fascia passando dietro le spalle e di sotto al braccio destro, viene a fermarsi dinanzi: dal labbro superiore e dal mento gli cade folta e pro- lissa la barba. Oltre al motto anchora inparo, che si legge a lettere romane nel campo supe- riore dentro una cartella svolazzante; avvene un altro, anzi due cosi concepiti, ed ugualmente scritti in una sola linea, che si distende nel mar- gine inferiore per tutta la larghezza del disegno: TAMDIV ' DISCENDVM * EST ■ QVAM ' DIV • VIVAS * BIS * PVERI " SENES. — AN ' SALAMANCA * EXCVDEBAT • mdxxxviii. 1 Antonio Salamanca è il calcografo ro- mano che si fece editore della stampa : la inci- sione vien data ad Agostino Veneziano, valentis- simo fra i discepoli di Marc' Antonio ; e il disegno è dal Bartsch attribuito a Baccio Bandinelli : 2 la qual congettura, se, come a me sembra, è ragio- nevole, mostra quanto il Vasari si allontanasse 1 Un beli' esemplare di questa stampa si trova nella collezione della nostra Galleria degli Uffizi. 2 Le Peinlre graveur , voi. XIV, pag. 302; n° 400, Le vieillard dans la roulette d'enfant. « On croit que cette » estampe a été gravée par Augustin Vénilien, et on en at- » tribue le dessin à Baccio Bandinelli. » Il Bartsch cita due copie di questa medesima stampa : una, nel senso inverso, incisa da un anonimo poco abile, che porta la stessa iscri- zione ; T altra con qualche cambiamento, incisa dal maestro al Nome di Gesù Cristo. E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 135 dal vero sentenziando, che Domenico Giuntalodi non seppe più discostarsi dalla pratica del Soggi. Veramente il disegno ci presenta un artista che, vedute le cose di Michelangelo, aveva saputo per quella imitazione ingrandire la propria ma- niera. Ma ne duole che questo giudizio non possa oggi confortarsi di nessun' altra testimonianza, essendo o perite o ignorate anche le pitture e i disegni che sono per ricordare. Il Vasari si accorda col Miniati circa all' an- data a Roma del Giuntalodi; ma nè l'uno nè V altro ne assegnano il tempo. Quindi in qualche modo ne soccorre una carta dell' archivio comu- nale di Prato, oggi nel Diplomatico fiorentino, 1 per la quale siamo fatti certi che il Giuntalodi era in patria nell'ottobre del 1538; l'anno medesimo che il Salamanca pubblicava in Roma la stampa che ho descritta di sopra. Quella carta, rogata da Giovann' Antonio Perondini, e fatta in Prato il 16 ottobre del 1538 alla seconda ora di notte, contiene la donazione di una casa e d' una pre- sella di terreno, che fece al nostro Domenico, ivi presente, una zia da lato di madre, con certi patti e riserve eh' è inutile il dire. Non sarà peraltro inutile l'osservare, come in questo documento il Giuntalodi sia chiamato pittore e non architetto; 1 Provenienza del Comune di Prato. 136 INTORNO ALLA VITA perchè vorrei dedurne, che solamente dopo que- sto tempo entrasse, per architetto, ai servigi di don Ferrante Gonzaga. Gome il Giuntalodi venisse nella grazia di quel signore, ci vien raccontato dal Vasari; il quale ascrive a benigna fortuna che fosse cono- sciuto in Roma da don Martino ambasciatore del re di Portogallo, e da lui accolto per suo gentil- uomo. « Andò a star seco (sono le parole del bio- » grafo); e gli fece una tela con forse venti ri- » tratti di naturale, tutti suoi familiari ed amici, » e lui in mezzo di loro a ragionare: la quale » opera tanto piacque a don Martino, che egli » teneva Domenico per lo primo pittore del mon- » do. » E questa narrazione è da preferire a ciò che il Miniati, con quel suo stile cortigiano, rac- conta: cioè, che andato a Roma Domenico, « in » queir instante s'accomodò con l'illustrissimo » et eccellentissimo signor don Ferrante Gonza- » ga, che andò viceré di Sicilia per il gran Car- » lo V imperadore. » Carlo V, temendo che Solimano facesse le vendette della impresa di Tunisi, diede a custo- dire la Sicilia isola a Ferrante Gonzaga, uomo delle cose guerresche spertissimo, e uno de' po- chissimi italiani con i quali si fosse addomesticato quello spagnuolo cV imperadore. Ferrante desiderò E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 137 d' avere presso di sè un buon disegnatore che gli mettesse in carta tutto ciò che andava giornal- mente pensando di fortificazioni; e (s'è vero quel che ne dice il Vasari) scrisse a don Martino « che » gli provedesse un giovane che in ciò sapesse e » potesse servirlo, e quanto prima glie lo man- » » dasse. » Parve a don Martino di non poter me- glio servire all' amico, che mandandogli il suo primo pittore del mando: ma pensò d'inviare in- nanzi al Gonzaga certi disegni di mano di Dome- nico, perchè di qui vedesse s'egli era il caso. E i disegni pare che fossero alquanti: ma il biografo non ricorda che il ritratto di esso don Martino, in un quadretto; il vecchio nel carniccio da bambi- ni; e a un Colosseo, stato intagliato in rame da » Girolamo Fagiuoli bolognese, per Antonio Sala- ci) manca, che P aveva tirato in prospettiva Dome- » nico.» V incisore di questo disegno è quel Fa- giuoli medesimo, che il Vasari rammenta nella Vita di Cecchin Salviati , e il Cellini pure nella propria Vita, qual maestro d'intaglio e cesello: ma di quel Colosseo non m' avvenne d'incontrar notizie; forse perchè il rame, passato dal Salamanca in altri editori (come spesso accadeva); può oggi trovarsi nelle collezioni di stampe sotto altro nome, od anonimo. Certo è, che don Ferrante rimase sodis- fatto de' saggi; e il Giuntalodi poco appresso andò 138 INTORNO ALLA. VITA in Sicilia a servirlo: dove gli « fu assegnata orre- » vole provisione e cavallo e servitore a spese di » don Ferrante; nè molto dopo, fu messo a tra- » vagliare sopra le muraglie e fortezze di Sicilia.» 1 Queste cose accadevano circa il 1540. 2 Il Miniati (a cui può averlo narrato l' istesso Giuntalodi) diceche in Palermo, «dove stette # » più anni, fabricò per il suo signore ed altri » principi, palagi, giardini, fontane, ed altre » opere mirabili ed eccellenti: » ma dire quali opere a punto conducesse il Giuntalodi, e in quali più si mostrasse valente artefice, non è a noi conceduto: 8 tutto era fatto dal signor Ferrante Gonzaga; e il castello edificato a Messina, porta anc' oggi il suo nome. 4 A tale condizione erano 4 Vasari. 2 Così io scriveva prima che fossero poste in luce XXVIII lettere del nostro Giuntalodi per cura del marchese Giuseppe Campori, nel suo pregevole libro : Gli Artisti ita- liani e stranieri negli Stali Estensi, ec. ; Modena, 1855. Ora sappiamo, che nel 1540 appunto il Giuntalodi entrò al ser- vizio del Gonzaga ; leggendosi nella lettera XVII , eh' è del 26 febbraio 1550, diretta alla Principessa di Mòlfetta : « La suplico ec. non vogli alla mia vecnieza di dieci » anni che la servo avere impresione mala io verso di me » a torto e inocentemente ec. » 3 Due, fra quelle pubblicate dal Campori, sono le let- tere del Giuntalodi che portano la data di Palermo , e sono del 29 luglio 1541 e 31 maggio 1542. I lavori di cui quivi si parla si riferiscono alle fortificazioni del Castello. 4 Litta, Famiglie celebri d'Italia ec, fam. Gonzaga. E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 139 venute le serve arti, che ai loro cultori non era più quasi lecito segnar del proprio nome 1' opera propria. E V avessero segnata, la gloria dell'opera era sempre del fortunato che poteva commetterla: l'artista si onorava non della fatica più degna di lode, ma del mecenate più ricco e potente. Pare che il Giuntalodi sapesse accomodarsi alle nuove condizioni dell'arti, e intendesse i suoi tempi. « Lasciato (continuerò col Vasari) a poco a poco » il dipignere, 1 si diede ad altro, che. gli fu per » un pezzo più utile: perchè servendosi, come » persona d'ingegno, d'uomini che erano molto » a proposito per far fatiche, con tener bestie da » soma in man d'altri, e far portar rena, calcina, » e far fornaci; non passò molto, che si trovò » avere avanzato tanto, che potè comperare in » Roma ufficii per due mila scudi, e poco appresso » degli altri. » E aggiunge, che don Ferrante lo fece anche suo guardaroba. Intanto al marchese del Vasto era dato suc- cessore nel generalato d'Italia e nel governo di Milano il viceré di Sicilia, che nel 1546 « fu da' » Milanesi ricevuto con grandissimo onore. » 2 1 Difatti, ricaviamo dalle sue lettóre, che faceva fare ad altri maestri le opere di pittura che occorrevano alle fab- briche del Gonzaga. 3 Morigia, Historia dell* antichità di Milano ec. ; Ve- nezia, Guerra, 1592; libro I, cap. 36. 140 INTORNO ALIA VITA Seguivalo con altri cortigiani Domenico Giuntalo- di; 1 e bisogna credere ai due scrittori contempo- ranei, concordissimi nell' asserire, che « in detto » governo più si fece conoscere per virtuoso e » valente; » 2 e, « che è più, venne in tanto cre- » dito, che egli in quel reggimento governava » quasi il tutto. » 3 Lo che va inteso delle cose concernenti all'arti, e non altro; sendo Ferrante abilissimo a far da sè, e despoto quanto altri mai. Nulla però descrive paratamente il Vasari di quello che in Lombardia operava il Giuntalodi: il Mi- niati gli attribuisce, « oltre tanti disegni et opere » in dirizzare strade, piazze, palagi, » le tanaglie del castello di Milano, e il palagio rarissimo della Gonzaga,* distante dalla città circa a due mi- 4 Ventilila sono le lettere date dal Giuntalodi di Lom- bardia o di Milano , e tirano dal 16 settembre 1546 al 5 ago- sto 53. 2 Miniati , op. cit. 3 Vasari 4 Nelle lettere del Giuntalodi ora si chiama la Guan- tiera ed ora la Gonzaga. Il Giovio consigliava a don Fer- rante di porre a questa vaga sua villa il nome di Nijmpheo, « perchè uno antico Roinano puose lai nome ad un suo luogo » abundmte d'acque e frescure de giardini; » e gli man- dava una latina epigrafe dedicatoria da apporvisi. Questo in lettera de' 15 dicembre del 1547. In altra, del 19 otto- bre 1549, lodava al Gonzaga le bellezze naturali e artifi- ciali della stessa villa, e gli proponeva dei nuovi abbelli- menti , rammentando il nostro architetto Giuntalodi. Queste lettere, o meglio brani di lettere del Giovio (con altri due, E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 141 glia. 1 Ma s' ebbe parte in tutto ciò che gì' istorici di Milano celebrano come fatto da don Ferrante ne' quasi dieci anni del suo governo, non possiamo non ammirarne la vita operosa, e i provvidi con- sigli, e le utili fatiche, per cui Milano rinnovò quasi 1' aspetto, aprendo strade e piazze ov' erano caseggiati, sgombrando le vie degl'impedimenti che offendevano la vista, sanando gli acquedotti e le latrine, racchiudendo i borghi nella nuova cerchia delle mura, e molte cose disegnando, che avrebbero resa bella e forte Milano, se la invidia di corte (collie dice il Morigia) non l'avesse im- pedito. Con che volse alludere queir istorico alle tremende accuse che si levarono contro al Gonza- ga; per cui vide alquanto abbassata l'aura impe- riale, dovè scolparsi dinanzi a Carlo degli apposti delitti, e contentarsi di morire a Brusselle servi- dor di Filippo. Mentre il Giuntalodi soggiornava in Milano, che ricorderemo appresso) vennero pubblicati nell' Archi- vio Storico Italiano , nuova serie, toni. 11 , pag. 164 e segg., nel render conto dell'opera del Campori sopraccitata. Quivi pure videro la luce due lettere del Giuntalodi a don Fer- rante Gonzaga, scritte di Milano il 26 febbraio del 1550, e il 21 luglio del 1 55 i , che concernono ai lavori fatti nella Gonzaga. Sicché le lettere del nostro Domenico fin qui note e pubblicate son trenta. 1 Tanto ci vien confermato nelle lettere pubblicate dal signor Campori. 142 INTORNO ALLA VITA venne a lui Niccolò Soggi, « già vecchio, biso- * gnoso, e senza avere alcuna cosa da lavorare; » pensando, che come non aveva egli mancato a » Domenico quando era giovanetto, cosi non do- » vesse Domenico mancare a lui; anzi, servendosi » dell' opera sua, là dove aveva molti al suo ser- » vigio, potesse e dovesse aiutarlo in quella sua o misera vecchiezza. Ma egli si avide, con suo » danno, che gli umani giudicii, nel promettersi • » troppo d' altrui, molte volte s'ingannano, e che » gli uomini che mutano stato, mutano eziandio » il più delle volte natura e volontà. Perciochè » arrivato Niccolò a Milano, dove trovò Domenico )> in tanta grandezza che durò non picciola fatica » a potergli favellare, gli contò tutte le sue mi- » serie, pregandolo appresso, che servendosi di » lui, volesse aiutarlo. Ma Domenico, non si ri- » cordando o non volendo ricordarsi con quanta » amorevolezza fusse stato da Niccolò allevato » come proprio figliuolo , gli diede la miseria » d'una piccola somma di danari, e quanto potè » prima se lo levò d' intorno. E così tornato Nic- » colò ad Arezzo mal contento, conobbe che dove » pensava aversi con fatica e spesa allevato un » figliuolo, si aveva fatto poco meno che un ni- » mico. » È questo il racconto del Vasari a cui volli fare allusione nel principio del presente E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 143 Commentario; ed è ora tempo che io esponga quanto mi soccorre a confortare la memoria del Giuntalodi, che giace Del colpo ancora che invidia le diede. Fu già osservato da un illustre investigatore delle patrie memorie, come dalle cose che il Va- sari racconta e del Soggi e del Giuntalodi appa- riscano non grandi i debiti contratti verso un me- diocre maestro di pittura da un giovane , il quale studiando da sè ne' monumenti dell' antica e della moderna Roma, si era fatto valente architetto; e come eziandio il modo d' esprimersi dell' aretino biografo faccia trapelare un certo malanimo, da doverlo attribuire a qualche cagione ben diversa dalla sconoscenza del Giuntalodi verso il mae- stro. 1 Oltre di che, parmi da considerare, che il Vasari non potè aver contezza di queste cose che dal medesimo Soggi , a cui dovette far giuoco il dipignere co' più vivi colori la propria miseria e V altrui ingratitudine, perchè il suo quasi concitta- dino (a cui pure avea fatto beneficio) si movesse a trovargli protezione e lavoro. E se Niccolò Sog- gi , artista per que' tempi mediocre, tedioso perla lungaggine nelF operare da venire a noia a' suoi ì Indice cronologico di Artisti pratesi, compilato dal C. F. B., nel Calendario pratese pel 1850, anno V. 144 INTORNO ALLA VITA benevoli aretini, più tedioso per avventura nel conversare con gli uomini , non potè trovar in Mi- lano come adoperarsi; vorrà darsene la colpa al Giuntalodi? e se il Giuntalodi, obbligato tutto il giorno nelle voglie del suo signore, e immerso ne- gli studi di un'arte che non era quella appresa dal Soggi, si levava dattorno il querulo vecchio, non senza regalarlo di qualche moneta; vorremo rinfacciargli anche questa cortesia? Che se la fu una miseria (nè perchè tale sembrasse al Soggi, è provato che la fosse veramente) , non era il Giuntalodi cosi ricco da largheggiare, come dal te- stamento si fece palese; e dovea pur egli pensare alla vecchiaia , che poteva aspettarlo, e ai rovesci della fortuna, che nelle corti sono frequentissimi; e pensare a quella povera terra che gli aveva dato il nascere, e in cui forse desiderava morire. Nè al Soggi mancò da vivere, se (come il Vasari ci at- testa) le proprie entrate bastarono in parte a cam- parlo, e potè condurre gli estremi giorni ai ser- vigi di papa Giulio , tra Toscana e Roma, in vec- chiezza onorata. E finalmente potea rammentare Niccolò Soggi, come parecchi anni avanti non avesse rifuggito dal far brighe (il Baldinucci chia- mollo arzigogolare) 1 perchè non fosse allogata ad 1 Baldinucci , Vita del Soggi. Quivi è errato per due volte il cognome del Magini in Magni. E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 145 Andrea del Sarto la tavola per la chiesa delle Car- ceri, vantandosi al buon Magini per quel grande artefice eh 7 egli non era; e cosi riconoscere, che quella che agli occhi nostri sembra ingratitudine, non è tante volte che il giusto contrappeso delle proprie azioni. Il Vasari soggiunge, che il Giun- talodi negli anni ultimi della vita fu « tardi pen- )) tito d' essersi portato ingratamente con Nicco- » Io: » e se vera fosse stata la ingratitudine, la testimonianza del biografo onorerebbe Domenico. Ma poiché ancora questo è detto fuor di proposi- to, come può vedere chi scorra la Vita del Soggi; io conchiuderò piuttosto col Miniati, che il Vasari « è degno di scusa, perchè fu mal ragguagliato » delle azioni, vita e morte di esso Domenico, » come si sa in Prato pubblicamente: e nondimeno » se gli deve obligoche n'abbia scritto, e onora- » to la terra. » Le quali parole ci tolgono T ani- mo, e dirò quasi l' opportunità, d'investigare quali passioni avessero preoccupata la mente di Giorgio Vasari : ma non può sfuggire a chi vorrà leggere anche queste ultime parole del Commentario , come a Domenico Giuntalodi non riuscisse mai d'entrare ai desiderati servigi di Cosimo Medici, quantunque da Cosimo desiderato. Dalla narrazione del Vasari e del Miniati non apparisce che il Giuntalodi si movesse di Milano io 14G INTORNO ALLA. VITA fino a tanto che vi rimase il Gonzaga: è però cer- to, ch'egli attese in pari tempo alle fortificazioni' di Guastalla, 1 minacciata dai soldati di papa Far- nese, dopo la uccisione di Pierluigi. In un marmo murato a piè d' un baluardo che fu scoperto verso la fine del secolo XVII, allorquando l'architetto Du Plessis diè nuova foggia alle mura e a 7 terra- pieni di Guastalla, si lesse questa memoria : FERDINANDVS GONZAGA PRINGEPS MELFICTl DVX ARIANI COMES VA STALLA E CAROLI V IMPERATORE CAPITANEVS GENERALIS LOCVM TENENS IN ITALIA P. ANNO A XPI ORTV M. D. XLIX. XXIII AVGVSTI. Nè fu solo commesso al Giuntalodi di costruir cortine e baloardi a difesa, ma eziandio l'aprire nuove strade , ornarle di fabbriche , e racchiudere in un solo recinto il castello vecchio ed il nuovo. « Era questa fabbrica disposta a pentagono, fa- » cendo le veci di un bastione la rócca, poco lungi » dalla quale rimaneva la porta detta di San Pie- » tro, aperta dove ora il monistero delle Agosti- 1 Delle fortificazioni di Guastalla si parla nelle lettere del Giuntalodi scritte da Mantova , che sono la XXIV e la XXV, del 25 novembre 1556 e dell' 8 febbraio 57. E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 147 » niane, dette di San Carlo, fa angolo in faccia » alla torre del pubblico, e fors' anche un poco » più avanti. Di qui cominciava la strada mae- » stra, che si stendeva in quella linea, che passa » ora davanti alla chiesa de' Teatini, e va diritto » alla piazza grande , e passa pel ghetto , ivi apren- » dosi T altra porta, che detta fu poi di San Gior- )) gio. Dai lati di questa via sorgeva il migliore abi- » tato , sendo il restante per la maggior parte » vuoto di edifìzj. Tirate anche furono allora le » linee della bella strada denominata Gonzaga, » non meno che delle altre, disegnandosi i luo- » ghi dove in seguito fabbricar si sarebbe potuto » la chiesa maggiore , il monistero delle religiose. » e molte case ad ingrandimento del luogo, sic » come a poco a poco in seguito addivenne , an » che più magnificamente di quel che allora im- » maginato si fosse. »* Di questa piazza, delle sue fortificazioni e degli abbellimenti fu autore il Giuntalodi ; e il disegno, che si conserva tuttavia originale nell'archivio de' Gonzaga (ora in Par- ma, nel regio Archivio di Stato), venne prodotto in più piccole proporzioni dal padre Ireneo Affò nella sua Storia di Guastalla. 2 1 Affò, Storia della città e ducato di Guastalla; Gua- stalla, Costa, 1785-87; voi. II, a pag. 220 e segg. 2 Fra la pag. 224 e la 225 del voi. Il sta la Pianta di 148 INTORNO ALLA VITA A quella terra s 1 indirizzava Domenico dopo che don Ferrante si levò dal governo di Milano: 1 s incerto però del rimanere con i figli del suo si- gnore, o del tornarsene in patria. La patria ri- Gua&lalla fatta da Domenico Giunti al tempo di don Fer- rante I Gonzaga , tratta dal disegno originale, ed incisa sul rame. Il chiarissimo cavaliere Amadio Ronchini, prefetto all' Archivio dello Stato in Parma, mi faceva cortesemente sapere di aver ritrovato V originale di questo disegno fra i documenti guastallesi dei 1550 e 51 : ma non così è stato delle lettere che si citano in appresso , e di quanti altri do- cumenti avrebbero potuto recar luce alla vita e alle opere del nostro Giuntalodi ; poiché V Archivio de' Gonzaghidi Guastal- la, che oggi si conserva nel Parmense, non è che un avanzo scampato per miracolo alla general dispersione ; e le lettere del Giuntalodi pubblicate recentemente, si trovano in mano di privati raccoglitori. — Del pari infelici sono state le mie ri- cerche negli altri archivi; per non dire che niun documento sia neir Archivio Mediceo, concernente al trattato che passò fra il Giuntalodi e il duca Cosimo ; giacché potrebbe accadere che, riordinando quelle tante carte, se ne trovasse qualcuno. Neir Archivio milanese di San Fedele non trovò l'illustre Carlo Promis che la relazione di una visita latta , sotto il governo di don Ferrante Gonzaga, al castello di Milano dall'ingegnere Olgiati, essendovi presente il Giuntalodi. 4 Il Vasari dice , che Domenico , « essendo morto don » Ferrante Gonzaga, si partì di Milano. » Il Miniati però scrive , che « rimosso detto signore , per il consiglio degli » emuli suoi spagnuoli, da Milano, se ne ritornò a Man- » tova ec. » Don Fermante morì nel novembre del 1557; e dal governo di Milano era stato levato fin del 1554. In que- sti' anno 54 il Giuntalodi rivide la patria , e si trattenne in Firenze , ed ebbe trattato col granduca di venire a servirlo. Tutto ci fa credere che la narrazione del Miniati sia più ve- ridica di quella del Vasari. E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 149 vide certamente intorno all'anno 1554, dopo tre lustri che non V avea più veduta : e « riconobbe » i parenti e gli amici, ed alloggiò' per un mese » che vi stette , in casa Giovanni di Duccio Mi- » niati suo carnai cugino; e furongli fatte gran » carezze et onore da tutta la terra, perchè era » in ordine onorevolmente di panni, servidori » e cavalli. » 1 Eravi pur la speranza di una nuova, servitù, che lo tratteneva in Toscana. Co- simo Primo avea ricevuto in dono dal Giuntalodi un disegno di Tripoli ; 2 e come quegli che mu- linava le imprese contro il Turco, se lo ebbe ca- rissimo; 3 e ravvolto come si trovava nella guerra di Siena, forse pensò che gli avrebbe potuto gio- vare la pratica e la scienza d'un architetto lun- gamente vissuto a fianco di Ferrante Gonzaga. « Andarono lettere attorno (dice il Miniati), in- » nanzi e 'ndietro, del signor Chiappino Vitelli, ì Miniati, op. cit. 2 Di un disegno di Tripoli si parla dal Giuntalodi anche nella lettera XXVI, del 14 ottobre 1559 , di Napoli, che è diretta a Cesare Gonzaga. 3 « E venendo l'occasione, per essere il Gran Turco » all' assedio di Tripoli di Barberia, avendone il vero dise- » gno appresso di sè, lo mandò a donare al granduca Co- » simo de' Medici , che l'ebbe carissimo. » Così il Miniati, non senza lasciarci in dubbio se debba intendersi di una pianta di Tripoli o di un disegno che ne rappresentasse l' as- sedio. 150 INTORNO ALLA VITA )) generale del granduca Cosimo, per ritrarlo al » servizio di detto granduca. » E pare che il partito fosse come stretto , poiché il Miniati ci assicura che il Giuntalodi tornò a Mantova con animo di licenziarsi dai signori Gonzaghi. Non è però esatto quello scrittore quando vuol farci cre- dere che la morte avvenuta poco dopo gì' impe- disse il ritorno ; com' è inesattissimo il Vasari quando scrive che Domenico, venuto a Prato, « con intenzione di quivi vivere quietamente il » rimanente della sua vita, non vi trovando nè » amici nè parenti, e conoscendo che quella )> stanza non faceva per lui, tornò in Lombardia » a servire i figliuoli di don Ferrante. » Io credo che tornato a Mantova, non sapesse più separarsi da coloro che Taveano tanto amato e beneficato ; nè forse potè schermirsi dal prender parte alle nuove opere ordinate dai Gonzaga. Pare difatti che in questi tempi erigesse un palagio sul lago alla vista di Mantova, sopra un luogo elevato che tutta la scuopre, e che Pietola s'addomanda; F antico Andes, ove nacque Virgilio. 1 Nè pure aveva abbandonato i pennelli; che nel 1551 dipinse una Nostra Donna annunziata J Miniati, op. cit. — Nelle due lettere citate , e scritte da Mantova, il Giuntalodi parla di labori fatti al palazzo di Mantova e alla fabbrica di Pietole. E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 151 dall' Angelo , dentro una bandiera ; 1 e di qualche suo ritratto (ehè in questi fu Domenico valentis- simo) piacemi supporre che si arricchisse la bella raccolta delle immagini de' più eccellenti uomini del mondo, che adornava le camere della figlia di don Ferrante, 2 la Ippolita, gentile detta trice di versi, e (come di lei cantò Bernardo Tasso) 3 non d' altro vaga che dell' onore. Che facesse a don Ferrante il ritratto , V abbiamo per certo ; mentre si legge che il Giovio ne desiderava per il suo museo una copia della mano stessa di Do- menico. * Trovo poi che Cesare, seguendo le orme del padre, avea rivolto il pensiero a far di Gua- stalla un bello e forte luogo, e che di tutto ebbe data la cura a Domenico : il quale, come fidissi- 4 « Parmi che la divozione del mistero dell' Annun- » ziazione fosse ereditaria nella casa Gonzaga di Guastalla ; » poiché tra le molte lettere che abbiamo svolte nell' Archi- » vio segreto, una di Domenico Giunti o Giuntalocchio, » come altri P appellano , ne trovammo già scritta l' anno » 1551 a don Ferrante I, in cui manifestavagli d' aver già » dipinta la bandiera ordinatagli, con sopra l'imaginedel- » l'Annunziata. » Affò , La Zecca di Guastalla; che fa parie delle Zecche a" Italia del Zanne tti. 2 Vedi Litta , Famiglie celebri d'Italia ec. ; e Aliò, Vita di Ippolita Gonzaga. 3 Amadigi, C. 100. 4 Se ne parla in due brani di lettere de' 22 luglio 1547 e 5iagosto 1551 , scritti dal Giovio al Gonzaga, e pubblicati i\e\Y Archivio Storico Italiano, com'è detto alla nota 4 , pag. 140. 152 INTORNO ALLA VITA mo e antico servitore, fu scelto a compagno in un suo viaggio nel Regno dalla vedova di don Ferrante; e da lei ricevè la commissione di visi- tare que' feudi , per riparare le vecchie fortifi- cazioni e disegnarne di nuove. 1 Nelle quali opere molti mesi si travagliò ; nè tornò in Lombardia se non dopo la morte di quella donna. 2 Ma forse per le soverchie fatiche , e pe' disagi sofferti nei grandi caldi, non appena si fu ricondotto in Gua- stalla, che vi cadde infermo, a'primi d'ottobre del 1560. 3 Giudicatosi mortale, chiamò a' 22 ser Domenico Cignacchi notaio di quella terra , e volle che si rogasse delle ultime sue volontà. 4 Racco- * Affò , Istoria della città e ducato di Guastalla, tomo III, pag. 11; dove son citate le stesse lettere originali di Domenico Giunta. 2 La lettera XXVI, de' 14 ottobre 1559, scritta da Na- poli a Cesare Gonzaga, fa presentire vicina la morte della Principessa. Il 9 marzo 1560 arrivò a Mantova, e di là scrisse lo stesso giorno a don Cesare la lettera XXVII. La XXVIII è di Guastalla, 22 settembre 1560, e parla di quelle forti- ficazioni. 3 Affò , op. cit. , tomo III , pag. 16 ; dove pure si citano le lettere originali del podestà di Guastalla de' 27 ottobre, e di un certo Aldegatti de' 29 ottobre 1560, scritte a don Ce- sare. La malattia pare che durasse diciotto giorni. 4 Diverse copie esistono in Prato del testamento di Do- menico Giuntalodi, e alcune in volgare. Ma la copia, scritta in pergamena e autenticata dal potestà di Guastalla, che venne inviata al Comune di Prato, si conserva oggi nelP Ar- chivio Diplomatico di Firenze. E ALLE OPERE Di DOMENICO GIÙ NT AL ODI. 153 mandata l'anima sua nella misericordia di Dio, ed elettasi la sepoltura nella chiesa di san Fran- cesco di Mantova, si rammentò di due sorelle che aveva in abito monacale; suor Angela dome- nicana in Santa Caterina di Prato, e suor Leo- narda in San Francesco di Monte Santo appresso Loreto. 1 Ordinò quattro annovali da celebrarsi in patria per V anima sua in perpetuo. Riconobbe due servitori, la massaia, ed alcuni parenti; ma sopr' a tutti beneficò a Giovann' Antonio di Ce- sare Stanghi da Soresina, ch'egli tenea come suo creato , e da cui era stato amorevolmente servito nelle cose dell' arte : imperocché, oltre a scudi 800 e certe masserizie, volle eh' e' si go- desse tutt' i suoi libri e disegni , dovunque fos- sero e appresso qualunque persona si ritrovas- * Circa questa sorella dispose , che dovesse a spese della eredità ricondursi a Prato: e difatti il Comune fece molte pratiche per affrettare il suo ritorno. Questa monaca era stata mandata dal generale dell' ordine Francescano a riformare un convento a Napoli, e di là era passata nel mo- nastero di Monte Santo presso ad Ancona: ma per quanto ella desiderasse di ritornare in patria, e il Comune si ado- perasse con lettere e commendatizie perchè fosse conten- tata la suora, e sodisfatta la volontà del defunto fratello, si trova che nel marzo del 1563 non si era nulla risoluto. 11 Miniati peraltro, scrivendo trent' anni dopo la sua Narra- ùone , la dice monaca in Santa Chiara di Prato; segno che finalmente le fu dato di tornare. 154 INTORNO ALLA VITA sero. 1 Ma sua erede universale volle che fosse la diletta sua patria, obbligandola a tenere in perpetuo sette scolari poveri, di buona fama, nello studio pubblico di Pisa, con provvisione per cia- scheduno ogn'anno di scudj quaranta d'oro. Tale fu il suo testamento, e tale il suo benefizio verso la patria , che il Vasari medesimo chiamò beneficio grandissimo e degno di perpetua memoria. Morì Domenico Giuntalodi, pittore, architetto e cavalier di san Pietro, nel palagio de' Gonzaghi in Guastalla, il 28 d'ottobre del 1560; e nella chiesa di san Francesco di Mantova ebbe, come volle, la sepoltura. 2 Il Comune di Prato si com- * Quello che avvenisse di questi libri e disegni , ci è ignoto; come ignota la persona del legatario, a cui il Giun- talodi si confessa riconoscente ob gratam servilutem et in- numerabilia servitia ab eo recepta , et quce in dies magis reci- pit. Non è per altro da omettere ciò che scrive Y Affò nella citata Storia di Guastalla, tomo III, pag. 17 : « Rimasero i » suoi disegni (cioè , del Giuntalodi) in mano di un certo » Benedetto suo allievo , che per tre anni e più proseguì a » metterli in opera , invigilandovi sopra Tommaso Filippi » guastallese , cui aveva il principe addossata la cura di » queste cose. » Vuoisi intendere per avventura de' soli disegni appartenenti alle fortificazioni di Guastalla? o vuoisi credere che quel Benedetto sia un errore, e debba leggersi Giovann' Antonio? 2 L' Affò (Istoria di Guastalla , tomo III , pag. 17) dice « eh' ebbe sua tomba in Guastalla questo valente architetto » e pittore; » ma il Miniati, che si portò a Mantova pochi giorni dopo per commissione del suo Comune , asserisce E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. 155 mosse alla nuova di tanta amorevolezza, e adu- nati i consigli, accettò la eredità; 1 fece ambascia- tori Giovanni Miniati a Mantova, e Lorenzo d' Àma- dore a Roma, dove la maggior parte de' beni si ritrovava in su que' Monti; ed elesse quattro cit- tadini, messer Salvestro Calvi, Vannozzo Rocchi, Bartolommeo Regnadori e Lapo Spighi, che com- ponessero i capitoli della così detta Sapienza, se- condo i quali avrebbe dovuto eseguirsi la volontà del Giuntalodi, e regolarsi in perpetuo la elezione e vigilanza de'sette giovani. Ai quali vollero quei cit- tadini singolarmente raccomandato questo pensie- ro : « che conviene , per onor della patria e del te- » statore, che chi s'impiega in acquistare scienza e » grado di lettere a spese d 7 una Comunità, s' in- » gegni piuttosto divenire eccellente che medio- » ere. » 2 che « tu sepolto in Mantova nel convento di San Francesco » de' Zoccolanti, per ordine d'un suo creato, esecutore » del testamento delle cose di Lombardia (lo Stanghi sum- » mentovato). » E ciò consuona alla disposizione del testa- tore. * A' 3 di novembre si adunarono i signori Priori col Gonfaloniere per leggere gli spacci venuti da Mantova. La eredità fu allora valutata 9000 scudi; il Vasari scrive 10,000. 2 I Capitoli della Sapienza di Prato , creata l'anno 1561 per legato dell' egregio messer Domenico Giuntalodi , furono fatti a' 22 luglio dell' anno suddetto , e approvati dal duca Cosimo co' suoi Consiglieri e Pratica segreta, a' 17 di settembre. 156 INTORNO ALLA VITA Risente anc' oggi la patria di quel beneficio; 1 e anc' oggi mantiene il costume di rinnovare ogni anno il funerale pel Giuntalodi con la orazione di lode, che è tenuto a fare uno de' giovani che sono a studio. Ed è questa Tunica onoranza che fosse renduta al benemerito cittadino, non essendosi mai innalzato nella cattedrale quel monumento che pur gli fu decretato. 2 Sta però la sua imma- gine nel salone del Consiglio, con quelle degli al- 1 Con i sette posti di studio fondati dal Giuntalodi, e con quelli che in altri tempi istituirono diversi benefattori , la Comune di Prato si trovò averne quattordici. Quando nel 1593 volle il granduca Ferdinando che i legati per causa di studio delle Comunità dello Stato si cumulassero nel col- legio ch'egli istituiva in Pisa dandogli il proprio nome, i posti pratesi furono ridotti a sette, avendo patito sulle ren- dite una perdita del 50 per cento. Fino all' anno 1782 si goderono tutti in Pisa ; ma in queir anno, per motuproprio de' 5 giugno, tre furono assegnati a Firenze, e gli altri quattro rimasero nel collegio Ferdinando, fino alla sua soppressione avvenuta nel 1840. (Vedi Calendario Pratese, an. V, all' articolo Istruzione e Beneficenza pubblica.) s II primo d'agosto del 1561 fu deliberato che se gli facesse il deposito e la statua di marmo , e si mettesse in una parete del duomo. E il decimo de' Capitoli ricordati alla nota 1 è così concepito : « Per non essere immemori » del singolarissimo benefizio ricevuto dal detto magnifico > messer Domenico, a sua lode e perpetua memoria, de- » liberorno, che quanto prima si possa, si metta il suo ri- » tratto in pittura , o di getto , nella sala dal Consiglio, da » quella banda e dove piacerà alli signori Priori et Officiali » di Sapienza , sino che non vi sarà posta V effigie dal mezzo i in su di marmo , ec. » E ALLE OPERE DI DOMENICO GIUNTALODI. ibi tri benemeriti Pratesi : ed è il medesimo ritratto ch'egli legava nel suo testamento alla patria: 1 opera di Fermo Guisoni da Mantova, scolare e imi- tatore felice di Giulio Romano. Ma il più durevole Le parole del testamento son queste: « Item. iure - ledati reìiquit et ordioavit ae mandavit. qnod dieta et infraseripta magnifica Comunitas oppidi Prati praedieti. » seo praefati eius d. Deputati . accipere et esportare seu esportavi facere debeant effigiein seu retraetum ipsdus . Testatoris. quod est penes rnagistnni Firmam pietorem * Man tua? , ad oppidam predietum Prati, et illad poni in loco > seu sala dicti oppidi. in qua aìias imagines seu effigies be- 3 nefactorum dicti oppidi posila? sunt : et baee ad perpe- tuai rei memoriam. :• Resterebbe in dubbio, se vera- mente fosse di mano di Fermo il ritratto del Giuntalodi: ma il Miniati ce ne assicura . scrivendo : La Comunità di Prato, come amorevole e benemerita ^ii un tanto suo amorevole cittadino . pose il suo ritratto al naturale . quale venne da Mantova . fatto per mano di maestro Fermo p:t- 3 tore eccellente di quella illustrissima e nobilissima città . • nel salone del Consiglio . tra 1" altre de" suoi benefattori . > a perpetua memoria e fama . e decorato co* preser.v. > versi : « !• ohe PnU , ìinaii . fan cfciar* , • A* Pnbsi 5t»2ar M I mim ia ètmt : Z- ; L Z . r.z: » inMitii cenante e pittor nm * 11 chiarissimo autore dell* Indice crac'::. co a. A r iuti pra- tesi dubita che questo Fermo tosse quel Lorenzino di Ferm^ del quale parla il Lanzi nella sua Storia .fe;."j Pittura alla Scuola romana: ma questo contemporaneo di Carlo Ma- ratta, non mantovano ma di Fermo, appena poteva esser nato quando il Giuntalodi cessava di vivere. L* autore dei ritratto di Domenico Giuntalodi è Fermo Guisoni . o Ghi- soni, le cui opere som ricordate dal Vasari, e dal Lanzi commendate. 158 INTORNO ALLA VITA monumento se lo era innalzato Domenico Giunta- lodi con le opere dell' ingegno, e meglio col bene- fìcio onde volle riconoscere la terra natale. E poi- ché la edacità degli anni ha distrutte le sue fati- che, e la poca diligenza de' contemporanei non ci ha tramandate più larghe notizie di quanto e 1 seppe operar con la mano; serbino almeno i cittadini con religione l'opera bella del suo cuor generoso: nè cada in vano il pio ufficio che io mi assunsi di mostrare, che se il Vasari rese qualche tributo di lode all'artista, non parlò dell'uomo con quella pacatezza d'animo che dovrebbe trovarsi nell'isto- rico, le cui parole non solo rimangono perpetue, ma coli' andare del tempo acquistano tanto più d'autorità, quanto col perdersi dei documenti e delle tradizioni, vengono meno i modi di confu- tarle. DEL PURISMO NELL ARTE. A PROPOSITO DELLE NATALIZIE E DEI PARENTALI DI PLATONE celebrati nella villa di Careggi da Lorenzo il Magnifico, quadro dipinto, per commissione dei Governo Francese, dal professor Luigi Mussini, direttore e maestro di pittura nell'Istituto senese di Belle Arti. 1852. 1 1 DEL PURISMO NELL'ARTE. A PROPOSITO DI UN QUADRO DI LUIGI MUSSINI. Sono ormai parecchi anni che si parla di purismo fra i cultori delle arti belle, come da più anni ancora se ne disputa fra quelli della fi- lologia; e la disquisizione non è sempre andata con quel sereno decoro che si converrebbe agli studi , cui al par delle Muse presiedon le Grazie. La via più breve per meglio intendersi era quella degli esempi , e fu tentata : ma come potevano ren- derne accetto il purismo filologico gli affettati scrittori, che presero ad imitare nello stile il pro- satore più artificioso del trecento, e del trecento non misero in mostra che i più vieti arcaismi? Come si poteva raccomandare il purismo dell'arte col ritrarre quegl' ispidi contorni , che impropria- mente si chiamaron giotteschi? Lasciamo stare la intenzione, che forse fu buona; ma certo è, che l'esito non corrispose. Quegli unicamente avrebbe 164 DEL PURISMO NELL'ARTE. raggiunto P ottimo fine, il quale si fosse attenuto a ciò che P antica Età consente e la moderna intende; quegli che avesse saputo conseguire la sublime semplicità degli antichi maestri, senza dimenti- care che ben cinque secoli ci divisero da loro, e che la società d'oggi non va cinta di quoio e d'osso, come i contemporanei di Cacciaguida. Seguitiamo a considerare insieme le arti so- relle, poiché un linguaggio sorge potente dagli scritti come dalle tele, e dagli occhi come dalle orecchie si fa strada l'idea per giungere i toccare la corda di un medesimo sentimento. L' idea che si affaccia alla mente, ha già un segno che te la fa manifesta; ma, come Minerva ad Achille, Da te sol vista, ed a tutt' altri ascosa. Quell'immagine si fa parola: e già senti che in questa trasformazione ( se è lecito dir cosi ) dal segno mentale al materiale l'idea acquista rilievo, ma non è più cosi limpida come ti comparve da prima. Vuoi diffonderla? vuoi che sia ascoltata dagli altri? tu accomodi la parola alle persone ai luoghi ai tempi; l'idea or si mostra schietta, or si vela alquanto, or si avviluppa, come raggio in nube, per meno offendere le inferme pupille. DEL PURISMO NELL' ARTE. 165 Nel milletrecento (giova tor l'esempio da quella parte di letteratura il cui uso è più universale) si predicava umilmente, ed umilmente si ascoltava la dottrina dell'Evangelo: cresciuto il sapere, si volle il predicatore come l'oratore antico, sciente di tutte le cose: in mezzo al fasto spagnolesco, si parlò della corte celeste come d' ogni altra corte terrena; e il seicento delirò sul pulpito come nelle accademie; nel settecento si tenne dietro alle aride filosofie che non svegliavano un palpito nei cuori nè chiamavano sugli occhi una lacrima; cosi preparando la indifferenza d' un secolo alle cui orecchie è la parola dell' oratore sacro come il lieve ronzare d' un'ape, o il soave toccar di un' arpa pe' silenzi notturni. Che avvenne di quell'idea che i nostri padri ricevettero nella sua semplicità? Tal cammino fecero le arti. Giotto racco- gliendo l'idea dalle mani della natura, non le chiese per vestirla che un tenue velo, da cui più vaga e desiderata trasparisse. Adunossi intorbo al maestro una bella e numerosa scuola che durò presso a due secoli : da essi , che ci piace chiamare artisti poeti (cioè creatori), furono compiutamente svolte le leggi tutte dell'inventiva in quanto s'at- tiene alla parte sentimentale e poetica dell'arte: e in ciò fu vano poi, sarà sempre vano, il volerli passare. 166 DEL PURISMO NELL'ARTE. Ma già ad alcuno cominciava a parer povera cosa quel tenue velo; perchè si volle dargli la solidità del corpo in cui l'anima ha sede: stu- diossi la forma; e tanto V artefice ne innamorò, che non fu pago finché non ebbe rapite alla natura quante ha vaghe e multiformi apparenze. Fu be- ne? Certo che i sensi ne restarono contenti. Men- tre però gli antichi, col mirare alla semplice, se- vera, evidente dimostrazione delle cose rappre- sentate, giungevano a svegliare il sentimento, a commuovere il cuore e a rapir l'anima; questi, attesi a ritrarre molte qualità de' corpi estranee al subietto, fecero che gli spettatori, fermati a vagheggiare la bella scorza, venissero ritardati dal penetrare nell' intimo senso; come chi po- sando lo sguardo sulla Venere Greca, prima si compiace della femmina, e si accorge poi della Dea. Gli artisti che sorsero sul finire del quattro- . cento trovaronsi dinanzi gli esempi di due secoli; V uno sublime per la espressione dell' idea, l'altro maraviglioso per la manifestazione della forma. Nulla sdegnarono di tanta eredità; e vedendo che erasi già sodisfatto alle due parti ond' è composto Tessere umano, l'anima e il corpo, che quindi niente restava a creare; cercarono una creazione nuova nella unione de' due elementi , da cui DEL PURISMO NELL'ARTE. 167 emerse lo splendido, lo applaudito cinquecento. Che Raffaele e Michelangelo bevessero a quelle due fonti, delle quali può dirsi come delle favo- leggiate dall'Ariosto, Che di diverso effetto hanno licore, non occorre interrogarne le istorie: abbastanza si rivela nelle loro opere lo studio'distinto del tre e del quattrocento, non men che la lotta dei due elementi, per cui avviene che Raffaele ne paia tanto diverso da Raffaele. Ma per quanto più ci compiacciamo del Sanzio giovane, e più lodisi la efficace e modesta semplicità de' suoi secondi di- pinti, che le stupendamente superate difficoltà degli altri; ben saremmo contenti che di Raffaele fosse studiato ogni cosa. Ma chi degli avversi al purismo disegna Raffaele? diremo ancora: chi di loro disegna Michelangiolo? il cui stile, spesso nella fierezza nobilissimo e felicissimo negli ardi- menti, somiglia la poesia di Dante, in cui è da studiar tutto, non tutto da ritrarre. Di ciò parlano i fatti : perciocché niente avvi di più certo nella storia delle arti, che V avere l'imitazione del Buonarroti ingenerato i deliri del suo secolo e del seguente. L'audacia di quelli artefici fu punita come l'orgo- glio degli edificatori di Babelle, colla confusione: uomini certamente forniti d' ingegno, si credettero 168 DEL PURISMO NELL 5 ARTE. maggiori della natura; si diedero a ghiribizzare nelle allegorie, e i lati campi del vero storico ab- bandonarono all'angusto genio de' Fiamminghi: le sconce profanità non volute dagli antichi e dalli stessi pagani neppure nelle case, furono introdotte nei templi; la gloria celeste diventò un gabinetto d'anatomia; e il nudo, lo scorto, l'ombre terribil- mente cacciate, i panni più veri del vero, gli al- beri Cappeggiati con freschezza , l' acqua colpeg- giata con sicuro pennello, il bozzetto schizzato con mano disinvolta, divennero i sommi intenti dell'arte. Parliamo de' nostri, nei quali pur qual- che seme di bontà rimase , nè scesero sino a quel- V ignobile materialismo di altre scuole , che non solo sprezzarono il culto della idea, ma quello eziandio della bellezza corporea; contente al pre- gio di quella bravura, che non ha un linguag- gio nè pel cuore nè pei sensi, e, seppur l'ha, è parola raccolta dal trivio. Le memorie ancor fre- sche , e gli esempi che pur troppo ci stanno dinanzi agli occhi, ci liberano dal ragionare delle età sus- seguenti : basti dire, che quando si ruina, è d'uopo andare insino al fondo. Fu quindi universalmente consentita la necessità di rivocare le arti ai prin- cipii. Ed ecco nuova cagione d' errori. Fin dove risalire per aggiungere questi principii? Alcuni presero a dire: dove più fiorirono le arti che nella DEL PURISMO NELL 5 ARTE. 169 Grecia? I greci, i greci siano a noi maestri ! E fu tra quelli il Canova, che pur non aveva doman- dato ai greci come condurre le prime opere del suo scalpello. Non videro costoro, come tra quella nazione e noi fosse una immensa varietà; lingua, cielo, religione, costumi. Non videro in qual modo le loro opere d'arte potevano utilmente studiarsi; cioè, come le opere della loro letteratura e della filosofìa. Poiché, mentre niuno rifiuterà di chia- mare Omero « poeta sovrano, » nè condannerà che molte delle sue bellezze fossero derivate nei no- stri poemi; compiangeremo ben l'Alamanni, che volendo nell'Avarchide riprodurre la Iliade, fece opera perduta, che nessuno oggi loda e leggon pochissimi. Per questa religiosa o meglio superstiziosa imitazione dell' arte greca , prese campo nelle scuole la dottrina del bello ideale nell' arte ; della quale fu molto discorso, come avviene di tutte le cose che men si comprendono. A noi sembra che questo ideale, propugnato dagli avversi al purismo, non sia che una languida ripetizione d' un senti- mento provato da altri, e d'una verità da altri sentita; che vuol dire, una falsità od una esage- razione. La natura una e varia, tal si rivela ad altri, e tale ad altri; quindi un ideale, per cosi dire, di tradizione, un ideale per tutti e per tutti 170 DEL PURISMO NELL'ARTE. i tempi, sarebbe a parer nostro un anacronismo, se non fosse un assurdo. Ma non e' intrichiamo per questa selva, e ripigliamo la nostra via. Di contro ai grecomani sorsero altri con un diverso ragionamento. Non avvi (fecero a dire costoro ) non avvi perfezione che nei greci? Non abbiam forse il nostro Apelle e il nostro Fidia? Da Raffaele e da Michelangiolo trarrem quindi gli au- spica al rinnovamento dell'arte. — Ma neppur questi cansarono Terrore: perchè movendo di là ov'era la possibile perfezione, vennero ad ogni passo allontanandosi più dal perfetto, che sta sul colmo di queir arco che da ogni parte volge a ruina. Bastava che avessero domandato al Vasari, se Raffaele andò a scuola da Raffaele, o Michelan- giolo da Michelangiolo: ed avrebbero almeno sapu- to, che questi studiò in Fra Filippo, quegli passò molte ore disegnando al Carmine; poiché un Vasari non poteva comprendere come, al pari dei quat- trocentisti, fossero stati maestri a Michelangiolo e a Raffaele gli artefici dell' obliato trecento. Solo chi da Giotto e da Masaccio impara a compren- dere ed ammirar l'Urbinate, può intender come egli crescesse alla loro scuola assai più che a quella del Perugino, che gli apprese a tenere in mano lo stile e il pennello. Maestro non è quegli che offre il caso, ma quegli che ciascuno artefice DEL PURISMO NELL'ARTE. 171 s'elegge a guida nello studio del grande esemplare, che è la natura. Dante ricorda affettuosamente la « cara e buona immagine paterna» di Brunetto Latini, ma solo a Virgilio si volge con quelle parole : Tu se' lo mio maestro e '1 mio autore. Or dicano gli avversi al purismo, se per avere studiato i trecentisti e i quattrocentisti, se per avere interrogata la natura, furono quei maestri meno originali o più barbari. Guardarono in Giotto; ma se Giotto fosse potuto tornare a vedere i loro dipinti, gli avrebbe approvati; ed avrebbe ope- rato come loro, se gli fosse stato concesso di trattar nuovamente i pennelli. Il purismo (confessiamolo una volta con sincerità) non annighittisce gì 7 in- gegni : ma ci propone ad osservare come i più sani intelletti s' ispirassero nella natura e ne ri- traessero le sovrane bellezze; ci propone dei mo- delli, non dei lucidi; educa la mente, non la in- ceppa; accenna, non spinge; dice, vedete e fate. Che se una tirannide è pur nelle arti, non v'è certamente per coloro che vogliono bandita ogni convenzione, sia de' greci, sia de' cinquecentisti: ma tiranno sarà quegli che vuole nelle Madonne ricopiata la Niobe, e non saprebbe concepire un cacciatore in atteggiamento diverso dal Febo Apollo saettante le navi de' Greci. 172 DEL PURISMO NELL'ARTE. Concludiamo. Non vi ha dubbio che le arti erano da ricondurre a' principi!; che questi prin- cipii erano da stabilirsi in queir epoca in cui le arti seppero esprimere le passioni semplicemente ed efficacemente; in cui le regole non erano date dai maestri, ma dai maestri accennate nella na- tura; in cui dalle opere potevano trasparir difetti, non vizi. Di là movendo Y artista, avrebbe rifatta la via nella quale, avanzando ed errando, lo pre- cedettero i lodati maestri; e si sarebbe potuto giovare dell'esperienza, specialmente nei metodi della esecuzione , in cui gli antichi furono sobri, e dalla quale ponno venire all' arti grandi aiuti come grandi impedimenti: poiché fino a tanto che la idea signoreggi la forma, questa appare bella, e quasi divina; ma quando l' idea è vinta dalla for- ma, le grazie native si trasformano in artifìcii. Questi pensieri, che da gran tempo ci stanno nell'animo, e a cui ci serbammo fedeli non ostante la contraria usanza, si sono in noi risvegliati davanti a una tela, che nelle sue modeste dimensioni pri- meggiava alla solenne mostra della fiorentina Ac- cademia. E diciamo primeggiava, non perchè se ne voglia istituir paragone con i dipinti che la cir- DEL PURISMO NELL' ARTE. 173 condavano, ma perchè vedemmo che ella invi- tava tutti a considerarla e sforzava molti ad am- mirarla. Chi la riguardava, rimaneva alcun poco pensoso, se mai gli risovvenisse di aver veduto personaggi che portassero, quasi lineamenti d'una stessa famiglia, forme così semplici e belle: e pensando , si ricordava cT essersi una volta in- contrato per quelle medesime sale in una fan- ciulla che, cinta di veste Verde come fogliette pur mo' nate , tenea gli occhi fissi nel cielo, e recando spiegata nelle mani una carta, parea schiudere la bocca a quel canto che si sente nelP anima. Al giovane Mussini piacque di chiamare la Musica Sacra quella pietosa giovinetta, che V accompagnò sulla terra straniera, e agli stranieri fe noto il suo nome. Per lei la Francia chiedeva a Luigi Mus- sini quel dipinto, che dicemmo primeggiare alla mostra accademica. Scelse V artista il suo soggetto, a parer nostro, feliceménte: perchè volendo ai Francesi parlare delle cose nostre, pensò alla Casa toscana che diè a quei popoli due regine ; e perchè non paresse rammentare alla Francia un dono malaugurato , guardò fra i Medici a quelli che vissero cittadinamente ; ed ebbero più amata e virtuosa potenza; a quelli 1 74 DEL PURISMO NELL' ARTE. che nelle loro case accolsero la sventura greca e il sapere , e posero i fondamenti di un' Acca- demia che ispirò la giovinezza del Machiavello e del Buonarroti. Fino dai tempi di Cosimo il vecchio erasi costumato di commentare le opere di Platone nelle case dei Medici ; dove i greci primamente venuti per il Concilio della Unione avevano tro- vato una onorevol dimora ; ed a lui cadde in mente d' instituire un' Accademia, nella quale in certo modo si restaurasse la scuola del sommo filosofo, e ne fossero illustrate le dottrine. Conti- nuò Lorenzo , anche in questa parte , le dome- stiche tradizioni ; nè qui è luogo a indagare le ragioni che a ciò mossero quelli accorti cittadini, pei quali la protezione delle lettere non fu la peggiore delle arti usate a conseguire il princi- pato della patria. Commise il Magnifico la ver- sione delle opere de' vecchi Platonici al Ficino, al Landino, ed al Pico ; e perchè la nuova Acca- demia ritraesse in ogni cosa dell'antica, volle che il giorno settimo di novembre , in cui nacque e mancò di vita Platone , fosse annualmente ce- lebrato, come soleano un tempo Porfirio e Ploti- no, con un convito, in cui si sponessero gli scritti del maestro. Soleansi quindi solennizzare le Na- talizie e i Parentali di Platone nelle case del DEL PURISMO NELL' ARTE. 175 Magnifico in Firenze e alla suburbana Gareggi. Il pittore ha bene scelto la villa : e poiché non gli era ignoto come tra i precetti di quella filo- sofia avvene uno che dice — Se cosa alcuna in- torno alle cose divine s'avrà da trattare, di quella quando sobri saranno disputino; — figurò che, lasciate le mense, i convitati si raccolgano in un giardino cinto da vaga loggia , donde scuopresi la campagna lieta così da rammentarti come Gareggi fosse da Marsilio Ficino interpetrato « campo delle Grazie. » Ed è mirabile V artificio del pit- tore per aver saputo dare alla natura un sorriso, quantunque illuminata dal sole cadente, e spo- glia di quegli ornamenti che i rami han già reso alla terra. Solo i cipressi intorno alla villa ser- bano il loro verde, e i lauri del giardino, nei quali ami trovare , come nel lauro cantato dal Poliziano, un'allusione al nome di lui che sta primo tra questa filosofica famiglia. Siede il ma- gnifico Lorenzo, vestito di rossa toga, dinanzi a un cippo di greca scultura che sostiene un grosso volume. Sulle pagine aperte posa la mano distesa un personaggio, che col nobile gesto della sini- stra ben fa intender che parla , mentre colla maestà del volto e la fissa pupilla si mostra oc- cupato da un solenne pensiero. Al ragionaménto di Francesco Bandini stanno gli altri intesi ; va- 176 DEL PURISMO NELL' ARTE. riamente intesi, come porta la età diversa e la diversa inclinazione dell' animo. Quindi tu vedi de' due giovinetti, Michele Verino e Piero de' Me- dici, l'uno in piedi accanto al padre (per cui compiacere diresti esser qui) fissar gli occhi nel- T oratore , allettato unicamente dalla faconda pa- rola e dal porgere dignitoso; l'altro, seduto presso all'erma di Platone, tener sul ginocchio una carta dove di tratto in tratto va segnando le più pere- grine sentenze : e tanto è il desio di sapere , che il pittore è riuscito a esprimere negli atti impa- zienti del giovinetto, che tu quasi ne presenti la immatura morte e le troncate speranze. Alla de- stra del Magnifico seggono Leon Batista Alberti e Agnolo Poliziano ; quegli assorto in profonda me- ditazione , questi atteso a spogliare dalla filosofica gravità un'idea esposta dal dicitore, per rivestirla di poetica leggiadria. Più addietro è il Cavalcanti, giovane ancora e già degno di stare presso al suo maestro Ficino ; il quale è in piedi con l'autore del Morgante. Pico della Mirandola e Girolamo Benivieni tengono il mezzo della composizione, che vagamente piramida con le figure del Lan- dino, dello Scala e del Calcondila, singolare sopra tutti per 1' abito alla grecanica. * Questi ha voluto il pittore che intervenis- sero alla celebrazione del Convito: a chi dornan- DEL PURISMO NELL'ARTE. 177 dasse perchè questi e non altri de' tanti che die- dero il nome air Accademia Platonica, egli po- trebbe rispondere ; che se non era necessario osservarlo , neppur conveniva oltrepassare di troppo il precetto di Varrone, il quale voleva che i convivanti non fossero meno delle Grazie . nè più delle Muse. Non sarebbe stato però discor- dante dal costume dei tempi, se il pittore avesse mostrato in qualche modo, che tra quei gravi ra- gionamenti solea ricrearsi l'animo col dolce suono della lira; grata certamente ai Platonici, che vo- levano presente un nuovo Iopa alla mensa delle Muse e delle Grazie. 1 Nient' altro ( e pur questo è ben poca cosa ) ci parve da desiderare nella stupenda composi- zione del Mussini; il quale desumendo i caratteri dalle storie e dalla viva osservazione del mondo, e rendendo ai personaggi rappresentati con la fìsonomia de' volti le passioni degli animi , ha poi saputo aggiungere al vero quella grandezza e bellezza per cui si consegue il mirabile ed il su- blime dell'arte. E in ciò veramente si pare il cuore e l' ingegno dell' artefice ; il cuore e l' in- gegno, che uniti (e solo uniti) formano il genio. In quanto alle pratiche del dipignere, ci sen- tiamo tali da non poterne se non timidamente 1 Ficino, Lettera sul Convito. 12 178 DEL PURISMO NELL' ARTE. discorrere: pur diremo aperto, che nella tela di Luigi Mussini si trova appagato il desiderio di chiunque vorrebbe riveder le arti tornate alla purezza de 7 trecentisti e alla grandezza del cin- quecento; la idea, insomma, più schietta con- giunta alla forma più bella. Non per adulare a nessuno, nè per vitupera- re, ci piacque stendere queste povere parole, le quali non son certamente rivolte a coloro che or- mai dell'arte e della vita fecero la maggior via: poiché, se erranti, non crediamo di aver tanta autorità da fargli retrocedere; se bene avviati, l'avergli svolti ci farebbe complici de' loro errori presso al giudizio de' posteri. Sieno dunque a voi queste parole, o giovani, che amando l'arte come la fanciulla non ancor veduta dagli occhi vostri, ne andate cercando le prime ispirazioni, e ponete incerta la mano a' pennelli. Non badate alla umile forma che abbiam saputo dare ai nostri pensieri; ma questi considerate: e guardando poi nelle opere del Mussini, e de' pochissimi che vanno con lui, imparate a veder la natura e a studiare gli antichi. Questo discorso comparve la prima volta sottoscritto dai fra- telli Carlo e Gaetano Milanesi, da Carlo Pini e da Cesare Guasti. MICHELANGELO BUONARROTI. TORQUATO TASSO li BERNARDO BUONTALENTI. Per la Galleria storica dell'Italia, che il tipografo Passigli pubblicava in Prato verso il ISoOy fui richiesto di due scritti che servis- sero come a dichiarazione di due intagli, nei quali era rappresentato Michelangelo che vuole dal suo Mose una parola , e il Tasso che s 1 incon- tra nel Buontalenti. GV intagli erano goffi , nè valevan la pena di porsi a descriverli. Feci dun- que liberamente: e contento di mostrare in Tor- quato posto di riscontro al Buontalenti la diversa fortuna di due cortigiani; sul Buonarroti esposi al- cune idee non nuove, ma forse utilmente rac- colte insieme a manifestare la concordia , che fu in lui maravigliosa, dell' animo coli' ingegno, del- l' artista col cittadino. MCHELANG10L0 BUONARROTI. Michel più che mortale Angiol divino. Ariosto, Ori. far., can. 33. Poiché avviene le più volte nel parlare di qualche uomo insigne, che per dar risalto alla virtù dell'ingegno si debba tacerne la vita, o scusarla*, quando ci incontriamo in uno di quei rarissimi, dei quali le azioni, le parole e le opere furono come una ben composta armonia, siamo costretti a riguardarlo con una specie di culto, e a salutarlo divino. Nè per altra ragione io credo fossero mossi i contemporanei di Michelangiolo a dargli questa singolare appellazione, se non per- chè trovarono in lui riuniti quei pregi che la feli- cità del secolo concedeva non raramente d' am- mirare divisi. Avevano infatti davanti agli occhi le soavi dipinture del Perugino; erano testimoni dei miracoli di Raffaello; salutavano come un re- 184 MICHELANGELO BUONARROTI. divivo Petrarca nel Bembo; onoravano nel Ferruc- cio l'ultimo cittadino guerriero: ma laddove la incredulità di Pietro Vannucci facea mal contra- sto co' devoti dipinti, e con le caste ispirazioni la molle vita del Sanzio; laddove le canzoni di amore rivelavano i costumi dalla dignità discordanti; laddove, finalmente, nel tradito di Cavinana non sentivano che un generoso ma disperato anelito di libertà; in Michelangelo vedevano le arti do- minare ancor la materia, ed eromperne il con- cetto tanto più vigoroso, quanto eran maggiori gli ostacoli; sentivano rinata la virile poesia di Dante, e la fede sincera, e l'amore pudico; tro- vavano in lui verso la patria queir affetto pen- sato, che al bagliore del fulmine, dietro il quale non è che ruina, preferisce l'operoso silenzio, che dà grandezza, e fa utile la stessa sventura. Nè dal consenso unanime dei contemporanei fu .diverso il giudizio de' posteri; i quali anc' oggi stan dubitosi, se debbano più encomiare nel Buo- narroti il Cittadino o l'Artista. MICHELANGIOLO BUONARROTI. 185 IL CITTADINO. Ma perchè le gementi Arti sorelle Stan sole espresse del tuo marmo allato ? Non fu nel petto tuo virtù maggiore Della virtù che ti venia da quelle? O fedel cittadino , o santo ingegno. accanto Alle tre Dive in pianto , Dolente in atto e co' capelli sparsi , Doveva il Genio della Patria alzarsi. Cosi Pietro Odaldi 1 degnamente celebrava le virtù cittadine di Michelangiolo, lamentando i tempi che non concessero a siffatte virtù l'essere degnamente celebrate e proposte in esempio. Ma non meno de 7 Medicei signori fu severa la storia con il Buonarroti; del quale fu asserito , avere così accolta nell' animo la paura ne' momenti per la patria calamitosi, da fuggirne sino a Venezia, e quando la vergogna gli ebbe consigliato il ri- torno, essersi tenuto per lungo tempo nascosto. 2 4 Ode A Michelangiolo ec. , pubblicata a pag. 211 e segg. de' Monumenti del Giardino Puccini; Pistoia, tipo- grafìa Cino, 1845. 2 Varchi, Storia fiorentina, e Orazione funerale per M. A. Buonarroti. — Sismondi, Histoire des Rép. Ital. — Fu poi indicata (Serie di ritratti d'uomini illustri toscani ec; Firenze, 1766, voi. 4; Elogio di M. A. B.), e quindi letta, e in parte pubblicata dal Guerrazzi nel suo Assedio di Fi- renze ', una lettera della Signoria, de' 28 giugno 1529, 186 MICHELANGELO BUONARROTI. Se i documenti di un' andata di Michelangiolo a Ferrara per commissione della Signoria a vedere i modi tenuti nel fortificare da quel duca Alfonso d'Este, non han potuto cancellar dalla storia un suo posteriore abbandono; sta però scritto nel de- cimo libro del Varchi, che il Buonarroti parti solamente dopo di aver conosciuto che Firenze non avea da temer meno dall'audacia degli amici che dalP inganno de' traditori. Appena egli potè dai colloqui con Mario Orsino presentire il tradi- mento di Malatesta, fu al gonfaloniere pregandolo di starne avvisato: ma Francesco Carduccio non ricordò il savio ammonimento, se non forse in quel tremendo giorno penultimo d'ottobre, quando stava per essergli spiccato il capo dal busto. Che che a Galeotto Giugni , ambasciatore per la Repubblica a Ferrara , parlava di commissione data a Michelangiolo dai Nove della Milizia, di vedere « cotesti modi di fortificare che » ha tenuti la Eccellentia del Duca ec. » Ma ciò non toglieva che Michelangiolo non fosse scappato poi per paura. (V. Gaye, articolo nella Rivista Europea , quaderno del 30 luglio 1839; e , con nuovo corredo di documenti, nel volume II del Car- teggio inedito di Artisti.) Leggendo però bene il Varchi al libro X della Storia fiorentina, si vede che più della paura, lo sdegno di vedere i cittadini improvvidamente governarsi in quegli estremi, lo consigliava a cercare altro cielo. Il Capponi prima, poi il Carduccio, lo impedirono nei suoi consigli e nei provvedimenti eh' egli suggeriva e operava a salute comune: e v'era pure (Io attesta il Busini) chi credeva ignobile Michelangiolo per sedere fra i Nove ! MICHELANGIOLO BUONARROTI. 187 se Michelangelo tornò nella città assediata, e pose Y oro , 1 il braccio e P ingegno per la salute di lei , nonostante che ne presentisse il fine non lieto; a me sembra commendabile la sua virtù sopra quella di coloro che nella ebbra speranza della vittoria accendevan l'ardire. Del qual suo presentimento, poi ch'ebbe trovato poco savi i contemporanei, volle dare una credibile testimo- nianza ai posteri, scolpendo quella figura simbo- leggiante la Gloria nell' atto di dare il tergo alla Patria. 2 Non occorrono documenti nuovi a scusare Michelangiolo dell' avere, dopo la soggezione della città, cansati i primi furori della parte vittrice, e dell'essersi tenuto nascosto in sino a tanto che non conobbe l'animo di Clemente, non all'uomo ma all' artista benevolo; poiché noi vorranno con- dannare coloro, che giustamente reputano grave colpa gittare senz' alta cagione la vita, e proporre a solo scopo del sacrifizio il delitto e la infamia del sacrificante. Che però le statue della sagrestia Laurenziana fossero fatte da lui spinto più dalla 1 « Avendo egli prestalo a quella Repubblica mille scudi ». (Vasari, Vita di M. A. B.) 2 V. le Annotazioni di Francescantonio Gori alla Vita di M. A. Buonarroti scritta dal suo scolare Ascanio Condivi; Firenze, Albizzini, 1746. 188 MICHELANGELO BUONARROTI. paura che dall'amore) 1 non ce lo lascian credere i famosi versi che fece rispondere a quella delle figure che rappresenta la Notte. 2 Nè paura nè amore occuparon V animo del Buonarroti in quel- V opera: egli dovette scolpire fremendo, e colla mente intesa a generosamente vendicarsi della fortuna che gli negava di esercitare liberamente le libere arti. Giovambatista Niccolini dava una stupenda dichiarazione di quei simulacri, e cre- diamo la vera: ed è bello ripetere le parole del genio che interpetrail genio. « Non ebbe in animo » (il Buonarroti) d'onorare quel Lorenzo tanto » dissimile dall' avo, queir ingrato che con aperta » iniquità toglieva Urbino ai Della Rovere che gli » furono d'ospizio cortesi nella sventura, quel » violento che sdegnando pur 1' apparenze di cit- » tadino, stimò la Repubblica suo retaggio. Ma fra » gli esigli e le morti dei suoi, vendicar tentava * Condivi, Vita di M. A. B. 2 Giambatista Strozzi avea scritto in lode di quella fi- gura : La Notte , che tu vedi in sì dolci atti Dormire, fu da un Angelo scolpita In questo sasso , e perchè dorme, lia vita; Destala, se noi credi , e parleratti. E Michelangelo le fece rispondere : Orato m 1 è '1 sonno , e più l' esser di sasso , Mentre che '1 danno e la vergogna dura : Non veder , non sentir m' è gran ventura; Però non mi destar, ma parla basso. MICHELANGIOLO BUONARROTI. 189 » coir ingegno quella patria che non potea più » difender coli' armi, e fare in quel marmo la sua )> vendetta immortale. Effigiò Lorenzo che siede » e medita profondamente presso il sepolcro : ma » i pensieri del tiranno vicino alla tomba son dei » rimorsi. Io gli leggo in quella fronte piena di » vita; e parmi che dall'aperto avello la morte » gli gridi : Scendi ove comincia pei potenti la )> giustizia degli uomini, e quella di Dio. E col- y> l'Aurora e col Crepuscolo indicava a Lorenzo, » che fu breve e non suo lo splendore di queir in- )> fausta potenza. Infatti, nell'estinto duca d'Ur- » bino ogni fondamento ai disegni del decimo )> Leone tosto mancò; e di frequenti morti il do* » mestico lutto ricordava al pontefice la fugace » vanità delle umane grandezze. » 1 Poco animosa potrà forse parere la risposta che il suo biografo narra aver data Michelangiolo al duca Alessandro, quando il richiese d'andar seco ad eleggere il luogo dove innalzare una for- tezza che imponesse ai cittadini la obbedienza non potuta consigliar dall' amore. Ricusò dicendo, che non aveva tal commissione da papa Clemente. 2 * Del Sublime e di Michelangiolo , discorso di G. B. Niccolini. 2 Condivi ; il quale dice, che il duca Alessandro molto r odiava. 190 MICHELANGIOLO BUONARROTI. Ma prima di risolvere se quella risposta ve- nisse da pochezza d'animo, bisognerebbe poter sapere se, richiesto da Clemente, P avrebbe poi fatto. Cosi alle istanze di Cosimo, che lo voleva a Firenze per adornarne il suo regno, rispose sempre, che gli anni, la salute e le cure di Roma lo impedivano; 1 fin che la morte, affrettata coi voti, 2 non lo venne a torre d' impaccio. Può esservi chi abbia date prove tali di corag- gio da aver diritto di accusare soverchiamente cauto in quelle congiunture Michelangiolo Buonar- roti ; ma se pur v' è, lo preghiamo a considerare , se più della prudenza del Buonarroti fruttasse il pu- gnale di Lorenzino o la fazion degli Strozzi. Noi intanto, più discreti mortali, ci contenteremo di onorare il Cittadino che invidiò a Dante ¥ esiglio. 3 4 Vedansi le lettere di Cosimo 1 a Michelangiolo , e di questi a Cosimo e al Vasari. 2 Rime: Amando , a che son nato ? A viver molto? e questo mi spaventa. Dal primo pianto all' ultimo sospiro. Più non vivrò fra '1 numero de' morti. E veggio ben, che della vita sono Ventura e grazia 1' ore brevi e corte ; Che I' umane miserie han fln per morte. 3 Sonetto a Dante; Pur foss' io tal ! chè a simil sorte nato , Per 1' aspro esilio suo , per la viriate , Darei del mondo il più felice stato. MICHELANGELO BUONARROTI. 491 li' ARTISTA » E fu libero Artista e Cittadino, E per difender la natia contrada Lo scalpello gittò , strinse la spada. Ma poiché invano la difese , e invano Del novello signore alla paura Alzar sdegnò la portentosa mano , Terror della citta, belliche mura, Fe' il miracol dell'Arte in Vaticano Emulo al cielo; e vinto ebbe natura Quando a Mosè rendea la vita, e ardio Il gran Giudicio colorar di Dio. Salvagnoli. Un indizio della coscienza che gl' ingegni straordinari hanno della propria grandezza è cer- tamente il timore di non esser compresi; ond' è che non parendo loro di trovare nell'arte che esercitano una piena manifestazione de' loro con- cepimenti, invocano il soccorso delle arti sorelle. Che Michelangelo desiderasse dettare un'opera dogmatica delle arti eh' egli professava , e che sperasse di superare quanti lo avevano preceduto, massime nell'anatomia pittorica, lo asseriscono i suoi biografi; e il Condivi soggiunge, che ne fu dissuaso dal non credersi capace di ornatamente descrivere. 1 Poco peraltro ci par da lamentare il * Vita di M. A. B. « So bene (dice il Condivi) che » quando legge Alberto Duro , gli par cosa molto debole ; 192 MICHELANGELO BUONARROTI. silenzio de' precetti là dove parlan gli esempi : e piuttosto che un trattato di anatomia, ti avremmo chiesto, o divino Michelangiolo, che tu ci avessi di propria bocca dichiarati i concetti, che la mano obbediente all' intelletto 1 esprimeva con i colori e nei marmi. Non c' è però affatto negato T averti interprete delle opere tue : e già spiega- sti a Giulio pontefice di qual benedizione la sua statua benedicesse Bologna; 2 e i Medicei signori facesti ammoniti, come non ti avrebbero avuto adulatore neppur dopo morti : 3 e a chi ti avesse domandato perchè dinanzi al palagio della Signoria ponevi questo David giovanetto colla from- bola in mano, avresti risposto con le parole del tuo buon Giorgio : « Acciocché siccome egli aveva » difeso il suo popolo e governatolo con giustizia, » vedendo coir animo suo quanto questo suo concetto fosse » per esser più bello e più utile in tal facultà. E a dire il » vero, Alberto non tratta se non delle misure e varietà » de' corpi , di che certa regola dar non si può, formando » le figure ritte come pali; e , quel che più importa, degli » atti e gesti umani non ne dice parola. » 1 Sonetto I : La mano che ubbidisce all'intelletto. - « E motteggiando (il papa) sopra la destra , eh' era » in atto gagliardo, sorridendo disse a Michelagnolo : Que- » sta tua statua , dà ella la benedizione o maledizione ? A » cui Michelagnolo: Minaccia, Padre Santo, questo popolo , » se non è savio ». (Condivi, Vita di M. A. B.) 5 V. la nota 2 a pag. 188. MICHELANGIOLO BUONARROTI. 193 » così chi governava quella città dovesse animo- » samente difenderla e giustamente governarla. » 1 Ma chi oserebbe indagare il concetto che ti occu- pava la mente quando delineavi la mole che do- vea racchiuder le ceneri del tuo Giulio II ; se nel solo Mosè mostravi la copia di queir ingegno tre- mendo, che ti fece dissimile agli antichi, per cui venisti con loro a contesa, suscitasti nelle arti un rivolgimento, e per lungo tempo le signoreggia- sti? 2 E chi saprebbe seguirti nel grande poema del Giudizio e nelle storie della Sistina , dove a un Michelangelo potè sembrare di vincer se stesso? Certamente, chi. vide allora quelle opere, ebbe a ripetere le parole che tu dicesti quando ti furono presentati i cammei del Grechetto : 3 Es- sere venuta Fora del morire per Parte, non si po- tendo veder cosa più bella ! E veramente venne quell'ora: nè tua fu la colpa, o divino; ma di coloro che senza le ali del tuo ingegno presun- sero imitarne i voli securi. Che maraviglia se caddero? Pur quelle cadute segnarono appunto V altezza a cui era poggiato il tuo genio. Michelangelo abbracciò V arte intiera; o per usare una sua propria frase, sposolla. Scolpi; di- * Vasari , Vita di M. A. B. 2 Parole del Cicognara, citate dal Niccoli™. 3 Alessandro Cesari, detto il Greco artefice, ed il Gre- alletto, valentissimo nell' intagliar cammei. 13 494 MICHELANGIOLO BUONARROTI. pinse ; gittò di bronzo ; e , non volendo far mai professione di architettore, 1 innalzò quello che fu giustamente chiamato « il miracol dell'arte; » a in fine, poetò. Poetò giovinetto nelle case del Magni- fico, dove pare provasse il primo affetto, che al- lora l'umile condizione, poscia i casi della patria gli consigliaron nascondere : 3 poetò negli anni maturi, come per rallegrare di qualche raro fiore il cammino penoso della vita, e dell' arte : * poetò sul declinare degli anni, per meglio levarsi al cielo co' pensieri dell' uomo che sente d' aver troppo vissuto. 5 Leggendo le sue Rime, trovi nelle 1 Condivi, Vita di M. A. B. 2 II Foscolo lo chiamò nuovo Olimpo. 3 È fama che Michelangiolo s' invaghisse ancor gio- vinetto della Luisa Medici, naia a Lorenzo il Magnifico dalla Clarice degli Orsini. Il mio defunto amico Casimiro Basi fece nel 1850 una lezione alla Società Colombaria di Fi- renze : Delle rime di Michelangiolo Buonarroti, e della donna ispiratrice delle sue immagini e de' suoi affet- ti; nella quale si adoperò ad illustrare con i versi V amore, che pur ad altri può sembrar tuttavia avvolto nel mistero. — Morì la Luisa nel 1494 , promessa sposa a quel Giovanni de' Medici che fu V avo di Cosimo I. 4 Spesso trae dalle arti la espressione degli affetti , e quindi dà loro quel rilievo che non si vede in altra poe- sia, dopo la Divina Commedia. Tralasciamo gli esempi per esser brevi , e nella speranza che possa venir la voglia a qualcuno di cercare le Rime del Buonarroti. 5 Vedi, fra gii altri, il sonetto: Carico ti' anni, e di peccati pieno; MICHELANGIOLO BUONARROTI. 195 giovanili un ineffabile desiderio d'ogni cosa bella, non mai turbato dalla passione che, inebbriando l'anima, la chiude al senso della pudica bellez- za. 1 Quindi ai sentimenti dell'Amore pose custo- de la Morte ; non altrimenti di quel giovinetto del Vecellio, il quale nell'atto di volger gli oc- chi a una graziosa fanciulla, accenna col dito ad un teschio : ed è concetto mestissimo , che dopo tre secoli trovo esser caduto in mente al desolato Leopardi ; 2 ma con questa diversità , che egli in- tese a mostrare le tremende simpatie fra la Morte e l'Amore, laddove Michelangelo ebbe in animo d'ammonire chiunque corre a spiccare la rosa, coni' ella sia frale. 3 Lodansi quindi nel Buonarroti e F altro che finisce : Nè pinger nè scolpir fia più che queti L' anima volta a queir amor divino Che aperse a prender noi 'n croce le braccia. 1 Sonetto secondo : Voglia sfrenata è '1 senso , e non amore , Che 1' alma uccide: amor può far perfetti Gli animi qui , ma più perfetti in cielo. E nel quinto: Tanto avrà più nel mio desir soggiorno , Pensando al bel eh' età non cangia o verno. 2 Amore e Morte: è il XXVII de' suoi Canti nella compiuta edizione del Le Monnier. 5 Madrigale : Che dove è Morte non s ? appressa Amore. Vedasi pure la Lezione di Mario Guiducci, che suol andare 196 MICHEL ANGIOLO BUONARROTI. non men dell'ingegno i costumi; i quali peraltro ebbero della onestà il pudore, e non la durezza. 1 Chi può leggere senza lacrime com' egli si dolga del suo Urbino rapitogli quando sperava di aver- selo allevato per bastone e riposo della vec- chiaia? 2 chi non ricorda Y affetto per quella che il dolore fece sacra, e le lettere amabilissima so- pra quante amabili donne ebbe il cinquecento, Vittoria Colonna? Se al ciotto cardinale Querini fossero mancati gli argomenti per confutare chi accusava costei di avere aderito alle novità della Riforma, 3 a noi per non crederlo sarebbe bastato stampata con quella di Benedetto Varchi in un con le Rime del Buonarroti. 1 son però venuto in parere, non senza qualche apparente » probabilità, ch'ella fosse la tanto applaudita Aminta. » T. TASSO E B. BUONTALENTI. 207 » sio d'onorare quel virtuoso, diede tant' ordini , » che in brev' ora furono cercati tutti gli alloggi » della città e' luoghi dove potevasi credere che » quel grand' uomo avesse avuta corrispondenza: » ma tutto fu invano, mercè che il Tasso, che » l'aveva bene studiata, l'aveva anche ben sa- )> puta portare, ad effetto di sodisfare a se stesso » in riconoscer di presenza quel segnalato artefi- » ce, e non s* impegnare in Firenze. » Or quando passò Torquato così fuggiasco ed incognito per Firenze? Nel 76 vi venne con una lettera commendatizia scritta a Vincenzio Borghini dall' ambasciatore toscano presso la corte di Fer- rara; albergò in casa il Deti, 1 uomdi lettere; vi conobbe Orazio Capponi, e par che mostrasse a pochi letterati un saggio del poema che andava allora apparecchiando alla stampa. Ben è vero ch'egli scrive, come « la occasione non gli conce- » dette di fermarvisi se non breve tempo; » 2 ed è verissimo che a' primi del gennaio non era ancora in Firenze, e il 45 era già stato a Pesaro f e tor- nato in Ferrara. Alla seconda venuta precede un 1 Nelle stampe moderne della Risposta del Tasso al- l' Accademia della Crusca si legge Reti; ma la edizione del 1586 ha Deti. Il Serassi crede migliore la prima lezio- ne; ma s'inganna. 2 Risposta alla Crusca ; Opere (edizione veneta), tomo Vili, pag. 480. 208 T. TASSO E B. BUONTALENTI. invito del Granduca, 1 si premesse un dono di cento scudi, la profferta di pagargli le spese del viaggio , 2 e di trattenerlo nella propria corte con venti scudi al mese. 3 E Torquato, prima di muo- versi per la Toscana (il 4 d'aprile 4590), scrisse alPamico Costantini, dandogli avviso che andava agittarsi a'piedi del Granduca, fidando nella sua clemenza e liberalità ; 4 le quali egli godè davve- ro, se non mentisce l'Ammirato, che nella sua orazione in morte del Tasso va rettoricamente ricordando come egli fosse dal Granduca abbrac- ciato, favorito, donato, commendato. 5 Or se poniamo che lo scontro col Buontalenti fosse nel 90, come può esser vero ciò che dice il Baldinucci, che il Granduca lo fece cercare inu- tilmente per gli alloggi della città? E se '1 ponia- mo nel 76 , come poteva dirsi accaduto né tempi di Gherardo Silvani, il quale (a testimonianza del medesimo biografo) nasceva il 13 dicembre del 4579? È chiaro pertanto, che in qualunque delle due epoche si voglia porre il fatto, la narrazione del Baldinucci non va daccordo con la critica sto- 1 V. la risposta mandata dal Tasso. Opere, voi. X, o50. 2 Serassi , Vita, lì, 203. 3 Opere, voi. X, 16. 4 Loc. cit. 5 Orazione in morie di Torquato Tasso. Nel tomo III, pagina 505 , degli Opuscoli deìV Ammirato. T. TASSO E B. BUONTALENTI. 209 rica; e Siam costretti a cercare qual delle due contradizioni si scosti meno dal vero. Dirò il mio parere. Si sa che negli aneddoti piace conceder qual- che cosa alla fantasia: chi rapporta un fatto sin- golare, ci mette sempre del proprio; e quanto più il narratore ha d'arte e d'ingegno, tanto più il racconto si diparte dalla schiettezza del semplice vero. — Giunge il Tasso in Firenze; sente parlare della sua favola pastorale rappresentata; sente lodare le macchine del Buontalenti: che fa? Passa di via Maggio, domanda della casa dell'Ari* • chitetto ; l'aspetta sull'ora del pranzo, gli parla, se gli dà a conoscere, e fugge. Il poeta alloggiava al Monte Oliveto, ne' contorni della città: potevan cercarne per le locande! Quindi la voce andò ch'era scomparso; e tutti ripetevano ch'era scom- parso; e il Silvani, giovinetto allora d'undici an- ni, non poteva sapere se Torquato ne' giorni suc- cessivi fosse ricomparso nei crocchi de' letterati , e fosse stato dal Granduca abbracciato, favorito, donato, commendato. Comunque siasi, repugna meno il credere un po' abbellito il racconto in questa particolarità, che ravvolge il poeta come - nella nube del mistero, di quello che supporre in errore il Baldinucci , quando asserisce che il caso avvenne ne 1 tempi di Gherardo Silvani, che egli 14 210 T. TASSO E B. BUONTALENTI. medesimo avrà veduto più volte, là in via Maggio, additare il luogo appunto dove posò il piede Tor- quato. Io dunque ritengo, che se il fatto accadde, non potè accadere che nella seconda venuta del Tasso, cioè fra l'aprile e il maggio del 4590. # OI UN RITRATTO DI FRANCESCO DE' MEDICI, OPERA DI BENVENUTO GELONI. 1843. I DI IN RITRATTO DI FRANCESCO DE' MEDICI. Benvenuto Cellini, per molti passi della Vita che scrisse di se medesimo, mostra come se la in- tendesse bene col primogenito di Cosimo; al quale dovè renderlo caro non tanto il diletto delle ar- ti, quanto la licenza del costume. Narra una volta, che il principino, allor su i dieci anni, stando co' minori fratelli a vederlo lavorare in quelle baie 1 che gli commetteva l' altiera Eleonora, si messe a punzecchiarlo; di che noiato l'artista, pregollo di grazia che stesse fermo. Ma il fanciullo disse du- calmente, che non poteva; e il Cellini, tenendo la celia, riprese: Quello che non si può, non si vuole; or fate, via! E delle parole del figlio e della risposta delP artefice le Loro Eccellenze riser di cuo- re. Per la quale dimestichezza, che non venne meno fino alla morte di Benvenuto, 2 è facile Pimagi- 4 Celimi, Vita, a. 1552. 2 II Celimi si ricordò del principe Francesco anche nel testamento. 214 DI UN RITRATTO DI FRANCESCO DE' MEDICI. nare che Francesco non gli celasse i propri amori con quella che affermava d'aver conosciuta a di ma- » niere conformi al suo desiderio. » 1 Certo è, che il Cellini fu richiesto dell'arte sua dal marito di Giovanna d'Austria, quando alla donna di Piero Buonaventuri volle darsi per allora in effigie. Un biglietto indirizzato alla Bianca nelPaccompagnarle il ritratto, e tutto di propria mano del principe, autentica V opera elegante di Benvenuto ; e dice così: Amata Bianca. Fino da Pisa il mio ritratto v' invio, che '1 no- stro Maestro Cellino m' à fatto: in esso il mio chore prendete. D. Franciesco. Quanto al tempo, io son di credere che il ri- tratto fosse lavorato verso il 1570, mostrando nel viso, una matura giovinezza. La figura di Fran- cesco fino alla cintola è di alto rilievo, in profilo, sovra una medaglietta di fondo scuro ; ne dubite- rei di asserire, che sia formata di quello stucco tenace, del quale il Vasari attribuisce l'invenzione 1 Così si espresse il granduca Francesco alla Repub- blica di Venezia. DI UN RITRATTO DI FRANCESCO DE' MEDICI. 215 a Pastorino da Siena. 1 Veste il principe una co- \ razza nera a liste d'oro, e cinge un manto pur nero, di cui tiene un lembo con la sinistra. Gli pende sul petto la croce dell' ordine di Santo Ste- fano, che il padre avea instituito pensando di eternare la memoria delle due vittorie di Monte- murlo e di Scannagallo. La goniglia che gli adorna il collo, ne rammenta le fogge spagnolesche, che fu- rono le prime a inforestierare i nostri costumi. Non glisplende sul volto il sorriso della giovinezza, ma è freddamente composto a malinconia: ha incarna- gione bruna, pelo castagno, capelli rasi sopra gli orecchi. Rassomigliando questo al ritratto del gran- duca Francesco che si trova a Parigi, ed è opera del Rubens, 2 si riscontra una perfetta corrispon- denza in quelle parti generali e in quei tratti che rendono vera la imagine: nè toglie alla somiglian- za l'essere fatto in diversa età, comecché quello del Rubens offra 1) aspetto di uomo a cui V arco della vita discende, e più della soma degli anni pesa quella de' vizi. Del resto, il lavoro è condotto 4 Dice il Vasari (Vite di Valerio Vicentino ed altri in- tagliatori ec.) che Pastorino da Siena « trovò uno stucco » sodo da fare i ritratti , che venissino coloriti a guisa de' » naturali, con le tinte delle barbe , capelli, e color di carni, » che l' ha fatte parer vive. » 2 La regina Maria di Francia commise al Rubens il ritratto proprio e quello del padre e della madre. 216 DI UN RITRATTO DI FRANCESCO DE' MEDICI. con magistero squisito; e basta vederlo, per rico- noscere la mano di Benvenuto. Una stessa custodia contiene il ritratto e il viglietto; en'è possessore un nobil uomo che ne conosce il pregio. 1 Quindi è da sperare che siffatti cimelio non vada, come tante opere d' arte, nelli mani degli stranieri, a far testimonianza del valore antico e della presente viltà. 1 II signor Giovanni Geppi di Prato. LA VILLA BANDINELLA A PIZZIDIMONTE. LETTERA AL PROFESSORE ANTONIO MARINI. LA VILLA BANDIMLLI A PIZZIDIMONTE. Se piuttosto che memorie, mi fossi proposto di, raccogliere impressioni , come dicono i mo- derni, vorrei raccontarvi, Marini mio, que' tanti e vari pensieri che mi ha sempre risvegliato la vista di queir ultimo lembo delle nostre Calvane, il quale prese anticamente il nome di Pinzo o Pizzo 1 dallo sporgente colmigno, a cui quel vago favolatore di Franco Sacchetti paragonò la schiena dello sgraziato cavai di Ranuccio. 2 Nè potrei aver taccia di malaccorto, giacché parlando ad un ar- 1 Pinzo si disse di cosa acuta ; pizzo di cosa promi- nente, e più o meno acuta; quindi pizzico, pizzottoe pizzi- cotto, eh' è V atto, e anche la parte della cosa che pren- diamo con txflV e cinque le punte delle dita congiunte in- sieme, formandone come un monticino. — Pizzidimonte Io troviamo scritto in diverse maniere; ma nell'uso d'oggi è così. 2 Novella CLIX. 220 LA VILLA BANDINELLI. tista, s'addice più !' essere immaginoso che eru- dito. Ma oltre che io non pretendo dare ispira- zioni, ben mi parrebbe peccato lo staccare anche per un momento il vostro pennello da quelle v tele in cui gli angeli ridono come in paradiso, Non vo' per altro noiarvi con minute inda- gini archeologiche, nè pigliar briga co' nostri to- pografi sull'antica direzione della via Cassia; una di quelle strade che , secondo Cicerone, 1 con- ducevano da Roma a Modena, e che il Targioni Tozzetti 2 vorrebbe che fosse passata tra il monte nostro ed il fiume. A giudizio però del Vesselin- gio , 3 la strada da Roma a Lucca per Chiusi e Firenze sarebbe stata la Clodia: 4 ed egli cita l' Iti- nerario di Antonino. Ma il Targioni, in verità con poco civile erudizione, scrive che V autore del- l' Itinerario fu un bue, perchè « scambiò brutta- » mente da Cassia a Clodia, con errore lampante. » 1 Filipp. 42. Tres ergo . . . vice ; a supero mari Fla- minia , ab infero Aurelia, media Cassia. 2 Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana ec, t. IX. Via Cassia. (Edizione seconda.) 3 Targioni, loc. cit. 4 Anche il Lami , Lezioni d 1 antichità toscane, lez. HI: « È da notarsi ancora, che Cicerone, nella citala Filtp- » pica XII, dice, che la via Cassia condifceva a Mo- » dena, come Y Aurelia e la Flaminia: ed è vero; per- » che conducendo sino a. Firenze, qui si entrava nella via » Clodia , che tirava sino a Lucca , dove si trovava altro » cammino per giungere sino a Modena. » LA VILLA BANDINELLA 221 Io, che ne so troppo meno del Vesselingio e del Tar- gioni Tozzetti , starò cheto; e mi contenterò di os- servare come neir Itinerario 1 da Roma a Luni per la via Cassia o Clodia, si trovano tra Firenze e Pistoia due poste: ad Solario,, al nono miglio dopo Firenze; Hellana, nove miglia dopo ad Solarla e sei innanzi a Pistoia. « Il Cluverio (scrive il Tar- » gioni Tozzetti) crede che ad Solarla sia Campi; » ma io dubito che quella strada fosse presso a » poco quella di Sesto, Pizzirimonte, Figline 2 di » Prato e Montemurlo; perciò credo, che ad So- » laria possa essere presso a poco Pizzirimonte, » dove sono stati trovati degl' idoli e altre anti- » caglie, 3 e il quale è lontano appunto nove mi- » glia antiche dal primo cerchio di Firenze. Nove » altre miglia antiche più là doveva essere Hd- » lana , * verisimilmente nei contorni di Monte- » murlo, distante sei delle medesime miglia da 4 Secondo la così detta Tavola Teodosiana , o di Peu- tinger. Tutti sanno che questi Itinerari voglionsi usare con molta critica. 2 Veramente Figline resta un po' fuor di mano. La strada ferrata Maria Antonia percorre press' a poco 1' an- tica via. 3 Anche a quest'anni, murando una casa, furon tro- vati degT idoletli , e due sepolcri con avanzi di armature. Tranne qualche idoletto , i muratori trafugarono tutto. 4 E nei contorni di Montemurlo scorre il torrente Agna; e dirimpetto a Montemurlo, sulla via postale pi- stoiese, abbiamo il contado d' Agliana. 222 LA VILLA BANDINELLA » Pistoia. La strada di Prato per Campi, e quella » del Poggio a Gaiano , non credo che allora fos- » sero praticabili per conto degli acquitrini; e » Campi, a cagione della sua troppa vicinanza, » non può esser ad Solarla. » 1 Ma che da Pizzidimonte passasse una via militare, 2 e che vi fosse una stazione, più delle ragioni ingegnose degli eruditi , ce lo persuade la opportuna postura del luogo: imperocché veg- giamo sedere questo casale 3 a cavaliere della via che porta al di là degli appennini tanto per la picciola valle della fiumana Marina , quanto per quella del Bisenzio, più ampia. Le storie d > Italia e la tradizione e' insegnano come per di là si fa- 1 Dice Hellana; ma dev'essere error di stampa. 2 E forse una via municipale della colonia fiorentina ; come ci farebbero pensare i nomi Terzolla, Quarto, Quinto, Sesto , Settimello , derivati dai numeri delle pietre milliarie che si trovavano in que' paesi, e che s'incominciavano a contare da Firenze. (V. il Targioni, op. cit., t. IX, pag. 243.) 3 « Casale (scrive il Repetti all'artic. Pizzidimonte) con » chiesa parrocchiale (S. Lorenzo) nel piviere di S. Donato » a Calenzano,com. giur. e circa miglia 2 e mezzo a lev.-scir. » di Prato, dioc. e comp. di Firenze. Il Bisenzio gli passa » sotto a libec. , e la Marina resta al suo lev. La posizione » della chiesa di Pizzidimonte è assai vaga , poiché ivi si >/ gode non solo di aria pura ed elastica , ma di una spa- » ziosa visuale sopra le valli del Bisenzio, dell' Ombrone » pistoiese e del Valdarno fiorentino. La parrocchia di » S. Lorenzo a Pizzidimonte nel 4833 noverava 448 abi- » tanti; 519 nel 1845. » LA VILLA BANDINELLA 223 cessero passaggi cT eserciti; tra' quali noi terremo sempre a mente quello degli Spagnuoli , che nel 1512 diedero il sacco alla nostra povera terra. Non mi è ignoto che il professor Vannucci, pubbli- cando la Narrazione di quel sacco, scritta da Ia- copo Modesti, 1 amò di legger Mezzana dove al- cuni manoscritti avevano Barberino, altri Calen- zano : e diceva di legger cosi « perchè i nemici » vennero da quella parte , avendo, come racconta » Iacopo Nardi , assaltata e presa per inganno Pan- » zano, villa di Tommaso Tosinghi, situata alla *> riva destra del Bisenzio tra Prato e Mezzana. » Ma io trovo invece, che il Nardi, nel quinto delle sue Storie, scrive, che il viceré venendo coir eser- cito alla volta di Toscana, « per la via dello Stale 2 » arrivò a Barberino di Mugello ; » e che gli am- basciatori fiorentini lo trovarono a Calenzano. 3 Nè vuol dire per questo, che non potessero passar sulla destra del fiume a commettere delle ribalde- rie; chè ognun sa tranquillo fiume eh' e' sia il Bi- senzio, massime del mese d' agosto: anzi, vi pas- saron di certo, sapendosi da ser Simone Brami/ * Archivio storico Italiano, tomo I, pag. 236. 2 Oggi, la Futa. 5 E di là pure ripassarono per andarsene. (Vedasi il Nardi, Storie ec, lib. VI ; e i Ricordi di Andrea Bocchineri di Prato, nel n. 5 dell' Appendice dell' Archivio storico Italiano.) 4 Archivio storico Italiano, tomo I, pag. 255. 224 LA VILLA BANDINELLI. che « i nemici circondorno la terra tutta. » Orsù, lasciamo di grazia le dotte disquisizio- ni, che (per dirla col nostro proverbio) soglion fare spesso come la nebbia; slontaniamo il pensiero dalle lugubri idee di tempo tanto calamitoso, e ralle- griamoci un po' gli occhi nei gentili contorni che la vostra Giulia ha intagliati di propria mano per farcene più caro il dono. 1 — Proprio in questa be- nedetta Toscana non c'è sasso senza memoria: così ogni memoria fosse^pura di dolore o di ver- gogna! — Ecco qui la rozza casetta di Michela- gnolo di Viviano da Gaiuole. 2 A voi non importa dire, che costui faceva l'orefice dirimpetto allo sdrucciolo che viene da Orsammichele in Mercato nuovo, e che era molto intendente di gioie, e be- nissimo le legava, e che la sua bottega era tenuta la prima di Firenze, 3 e che fu maestro di Ben- 1 Questa lettera fu stampata nel Calendario Pratese per V anno 1848; nel quale fu dato anche un disegno della Villa Bandinelli, inciso dalla signora Giulia Marini. — 1859. 2 Gaiuole è castello del Chianti. — Baccio Bandinelli diceva (secondo il Vasari), che i suoi maggiori furono de' Ban- dinelli di Siena , i quali già vennero a Gaiuole , e da Gaiuole a Firenze. — Il Cellini (Vita) lo chiama Michelagnolo ore- fice da Pinzi di Monte, perchè già possedeva in questo con- tado; e dice eh' « era molto valente in tale arte. » E altro- ve: « Michelagnolo da Pizzidimonte poi valse non poco nel » le^ar gioie , e meritò non poca lode per lavorare uni- » versalmente assai bene di niello, di smallo e di cesello. » 3 Vasari, Vita di Baccio Bandinelli. LA VILLA BANDINELLI. 225 venuto Cellini; 1 perchè voi siete un di que' po- chi pittori che hanno letto il Vasari. Il quale racconta come a « questo Michelagnolo, nella » partita loro di Firenze Tanno 1494, lasciarono » i Medici molti argenti e dorerie; e tutto fu da » lui segretissimamente tenuto, e fedelmente sai- » vato sino al ritorno loro: da' quali fu molto » lodato dappoi della fede sua, e ristorato con pre- » mio. » E chi sa che la campestre casetta del- l' orefice non serbasse que' tesori, che dovevano esser prezzo delle armi scellerate; alle quali forse egli benediva dal suo campicello, vedendole scor- tare il ritorno, e assicurar la potenza de' signori diletti. Michelagnolo era padre di Baccio Bandinelli. Ingenerata più che trasfusa dal padre nel figlio parve la devozione verso i Medici, e Pinclinazione per le arti. Ma Baccio aveva più passione per la scultura che per le cose dell' orefice. « Andato a » Pinzirimonte (scrive il Vasari), si faceva stare » spesso innanzi i lavoratori ignudi, e gli ritraeva )) con grande affetto; il medesimo facendo degli » altri 2 bestiami del podere. In questo tempo con- * Vita scritta da se medesimo, 2 Può essere che il Vasari scrivendo altri bestiami non avesse più in mente i lavoratori di sopra; ma io debbo fare osservare a chi legge, questo et costerà singolaris- simo. 15 226 LÀ "VILLA BANDINELLA » tinovò molti giorni d'andare la mattina a Pra- » to, vicino alla sua villa, dove stava tutto il » giorno a disegnare nella cappella della pieve, » opera di fra Filippo Lippi, e non restò fino a » tanto che e' P ebbe disegnata tutta, nei panni » imitando quel maestro, in ciò raro. » Io so, Ma- rini mio, che queste parole le vorreste sempre in mente agli studiosi del disegno, come vorreste che più spesso si rinnovassero gli esempi del Bandinelli e del Buonarroti, che imitava il Lippi in molte cose: 1 ma oggi gli artisti guardano certe opere gigantesche come il vecchio sner- vato considera i gagliardi giuochi della fresca gioventù, e non s'attentano d'accostarvi le mani inesperte. Questo accade dacché l'artista, scam- biata la libertà delle officine con le catene accademiche, vien su come il fiore a calor di stu- fa , che al primo tocco dell' aria avvizzisce: e'con- suma quella po' di vivacità quasi nel nascere, e perde il nome prima della vita. Non cosi quando gli artisti formavansi con lungo studio nelle umili botteghe de' vecchi maestri; oscuri fino al giorno che una subita occasione gli mostrava al mondo già grandi; come il sole che si vede beli' e alto, e non sappiamo quando sia balzato sopra la cima del monte. 4 Vasari , Vita di fra Filippo Lippi. LA VILLA BANDINELLI. 227 L'ingegno e lo studio fecero Baccio artista valoroso; la protezione de' Medici, e gli scherni e le lodi, e i favori e le invidie, cittadino poten- te: e il sentirsi potente e valoroso contribuì a renderlo superbo artista, e cittadino cattivo. 1 Cac- ciati i Medici per l'ultima volta, il Bandinelli, non sicuro neppure in villa per la nimicizia d' un suo vicino di fazione popolare, vi sotterrò alcuni cammei ed altre figurine di bronzo, roba de' suoi protettóri, e se n'andò a stare in Lucca. 2 Ma quando senti che Carlo V pigliava la corona in Bolo- gna per le mani d'un Medici; e che là, prima che sotto le mura di Firenze e sopra i monti di Cavinana, si componeva il tradimento e gittavansi le ultime sorti della patria, il Bandinelli ricompa- riva ; e con uffici i quali parvero odiosi insino al cavalier Vasari, 3 turbava la quiete dei cittadini che il nuovo signore volea serbati al tormento di soffrire tacendo. E l'arte, che poteva parlare senza pericolo una parola almen di compianto, informò 1 « Io non dico mai bene di nessuno. » « Essendo » terribile di lingua e d'ingegno. » (Vasari.) 2 Vasari. 3 « Per parere affezionato, scriveva quasi ogni setti- » mana a Sua Santità , entrando, oltre alle cose dell'arte, » ne' particolari de' cittadini , e di chi ministrava il governo , » con uffici odiosi, e da recarsi più malevolenza addosso, » che egli non aveva prima. » Il tempo era dopo subito l'assedio. 228 LA VILLA BANDINELLI. l'Ercole; quasi per ischerno di quel popolo, che nell'effigie dell'eroe mezzoddio riconoscesse l'em- blema d'una forza che fu. Non capirono i Fiorentini l'amara ironia; e sciuparon l'arguto ingegno a morder l'opera dello scultore. Il quale trovava intanto da racconsolare il dispetto con una pos- sessione, che, oltre al pagamento, gli fu data da papa Clemente. Dono doppiamente caro a Baccio, come cupido ed invido; perchè la nuova posses- sione (dice il Vasari) gli portava « utile ed entra- » ta, perchè era allato alla sua villa di Pinzeri- » monte, e perchè era prima di Rignadori, allora )) fatto ribello, e suo mortale nimico, col quale » aveva sempre conteso per conto de' confini di » questo podere. » Giovanni di Lionardo Rignadori (famiglia pra- tese, ch'esercitava in Firenze l'arte della seta e del cambio) era conosciuto per il Sorgnone: 1 co- me uno de' più caldi fautori di libertà , si era op- posto a chi consigliava di mandare al papa per Faccomodamento, e s'era trovato con quelli che arsero la villa di Careggi e la Salviati: però Cle- mente l'avea fatto condannare nel capo, dopo * II Varchi dice , che si chiamava da sè il Bignadore, e dagli altri il Sorrignone; poi scrive , Sorgnone: parola che ancor si usa per denotare un naturale chiuso , come di chi poco parla e rumina dentro. I fiorentini, susornione. LA VILLA BANDINELLA 229 confiscato ogni avere. Abuso disonesto di vinci- tore, che Cosimo seppe poi rendere anche più scellerato, e un fiscale pratese osò adonestare col sacro nome di legge. 1 Erano questi i doni crudeli onde i Medici favorivano e remuneravano le let- tere e le arti. Quindi non più dignità in es- se, non più pudore; quindi, nè morale potenza nè viva beltà. E il Bandinelli, irrequieto tanto, che non trovava da accomodarsi nello eleggere quell'ultima stanza, 2 in cui tutti riposiamo ugual- mente, se di marmi ò di zolle; il Bandinelli non era mai sazio d'avere; 3 e deliberato di vendere l'ingegno e l'arte, voleva però cavarne carissimo prezzo. Di chail Vasari lo biasima; il buon Vasa- ri , per cui non era tanto caro prezzo che valesse un mezzo sorriso del signor Cosimo. — Era pro- vido destino, che quel patrimonio fatto di ra- pine e di adulazioni 4 finisse in un conte rigat- 1 Alludesi alla legge detta Polverina, da Iacopo Pol- verini fiscale, che ne fu l'estensore. 2 « Non trovando luogo che lo contentasse per sepol- tura. » (Vasari.) 3 « Non si curava del dire delle genti ; ma attendeva » a farsi ricco, ed a comprare possessioni. » (Vasari.) 4 II Cellini, dopo aver detto che Michelangelo da Piz- zidimonte « non aveva lume di nessuna casata , era figliuo- » lo di un carbonaio , » soggiunge : « In questo non è da » biasimare il Bandinello, il quale ha dato principio alla » sua casa; se da buona causa la fosse venuta. » 230 LA VILLA BANDINELLI. tiere, in un di que' tanti che aiutano lo straniero a spogliare dell' opere belle l'Italia. L' ultimo de'Ban- dinelli morì nel presente secolo, in Vienna. 1 I mecenati son finiti da un pezzo, o mio egre- gio e caro Marini; ma nè Y ingegno, nè quella che taluni chiamano virtù, cessarono in tutto d' esser merce vendereccia. Speriamo che Farti riprendano l'antica dignità, oggi che per opera quasi prima- mente vostra, e de' pochi vostri pari, han saputo rivestire le schiette e care forme antiche: spe- riamo che i nuovi artisti si accostino a quest'alto e gentil ministero come a legittimo amplesso di vergine, e i nuovi cittadini ne sentano bene la di- gnità e il beneficio. A me giova sperarlo: e non vi so esprimere come, visitando la casa che fu di tanto scultore, mi rincrescesse di non vi potere appendere colla corona dovuta all' ingegno, quella pure eh' è premio delle virtù cittadine. Proto, l'ottobre del i Sono oggi dei signori Pieri di Prato le case e le terre che i Bandinelli ebbero in Pizzidimonte. Dicono che nella casa che fu di Baccio si conservi un bassorilievo de- gno del suo scalpello. Visitandone i contorni, trovai nel cortile dietro casa, sovra una porticella , una piccola pietra con un'epigrafe tanto consunta, che appena appena ne potei dicifrare alcune lettere, e la data MDX... LETTERA AI NUOVI ANNOTATORI DEL VASARI. DI UN LUOGO DEL VASARI NELLA VITA DI FRA BARTOLOMMEO, ERRATO NELLA STAMPA DEL 4568, E MAL RISANATO DAL PADRE DELLA VALLE. LETTERA AI MOVI ANNOTATORI DEL VASARI. 1 Ben siete da lodare, che quando metteste mano a'riprodurre illustrate le Vite del Vasari non faceste come tanti che pigliano un testo qualun- que; ma volendo che messer Giorgio ricomparisse proprio ne' suoi cenci (i quali valgono tanto più de 7 nostri fronzoli), pigliaste la lezione della stam- pa Giuntina, fatta vivente l'autore, e procuraste di ragguagliarvi la nuova. Quel che avessero fatto gli editori in questi tre secoli, non avete bisogno che ve lo racconti : ma basti dire , che non c'era più un verbo che avesse le uscite sue originali , dalle quali (lasciamo da parte la storia della lin- gua) dipende tante volte il buon garbo del perio- do. Nè quella stampa del 68 ve la do mica per un miracolo: anzi, punteggiata male, scorretta, 1 Edizione che fa parte della Biblioteca Nazionale di Felice Le Mounier. 234 LETTERA AI NUOVI ANNOTATORI DEL VASARI. stroppiata; degna insomma de' parenti di que 1 Giunti da Venezia, a' quali Vincenzio Borghini scriveva in quel torno di tempo: « Voi avete un » po' nome di trascurati, e un po' molto bene. » ! Però, chi ristampando procura di farne scompa- rire i falli quos incuria fudit, ben fa ; e Giorgio medesimo glien 7 avrebbe merito, se potesse rileg- gere le sue Vite ricercate e accarezzate da voial- tri con tanto studio ed amore. Ma quando accanto al fallo non spicca la correzione, è men male la- sciare il luogo scorretto, che impiastrarlo o reci- derlo tanto che paia star bene ; perchè (d'iceva il medesimo Borghini) « quando si fa cosi , si passa » via, e non vi si pensa più; e però non si sana » mai. » 2 E questo è per P appunto il caso di quel passo della Vita di Fra Bartolommeo, intorno al quale siete rimasti dubbiosi. Il Vasari racconta come Bartolommeo da Sa- vignano, trovatosi nel convento di San Marco quando ne fu tratto a forza il Savonarola, fece voto di entrare nella religione domenicana; per- lochè « finito il romore, et preso et condannato il » Frate alla morte, come gli scrittori delle storie » più chiaramente racontano, Baccio andatosene 4 In lettera dell' 11 febbraio del 1569; edita nella giunta delle Prose Fiorentine, - In lettera a Filippo Giunti , del 1562. LETTERA AI NUOVI ANNOTATORI DEL VASARI. 235 » a Prato si fecie frate in San Domenico di quel » luogo, secondo si trova scritto nelle cronache » di quel convento adi 26 di luglio 1500 in quello » stesso convento dove si fece frate; con grandis- » Simo dispiacere di tutti gli amici suoi, ec. » Cosi legge la Giuntina; e lei seguono la stampa di Bologna fatta nel 4 647 e pubblicata con diverse date, quella di Roma procurata da monsignor Bot- tari, e la livornese del 1767 compiuta a Firenze nel 72. Ma al padre Guglielmo Della Valle, che curò la edizione di Siena (1791-94) diedero noia quelle parole in quello stesso convento dove si fece frate, e come ridicola ripetizione le cacciò fuori. E veramente chi rileggesse cento volte quel bran- dello, dovrebbe cento volte dar ragione al padre Della Valle , o al più , desiderare che con una breve nota ne avesse avvertiti del taglio. Ma il padre Della Valle, credendo di aver bene rimarginato il taglio, non disse nulla; e gli editori, che ap- pena si sogliono accorgere delle ferite sangui- nanti, non badarono alla lievissima cicatrice. 1 Ora a me sembra che il passo del Vasari debba sanarsi col fare alla rovescia del Della Val- ì Seguirono la stampa senese gli editori de' Classici Italiani, 1807-11; i signori Audin e compagni, nella loro edizione del 1822-23; e il Passigli, nella sua del 1832-38. Non ho veduto la veneta dell' Antonelli, 1828-32; ma non ho ragione di crederne meglio. 236 LETTERA AI NUOVI ANNOTATORI DEL VASARI. le, aggiungendo cioè qualche parola in cambio di toglierne. Nè voglio farvela, come si dice, cascar dall'alto: ma è necessario premettere, e provare, che Bartolommeo da Savignano non solo prese T abito nel convento di San Domenico, ma pari- mente vi fece la sua professione. 0 sentite un Ri- cordo d'Alessandro Guardini, da me pubblicato nella Bibliografia Pratese alle pagine 115, e dal nostro egregio padre Marchese riprodotto nel se- condo tomo, pagine 30, delle sue Memorie dei più insigni pittori 7 scultori e architetti Domenica- ni. 1 a Cercando la Cronica del convento di San » Domenico di Prato, fra Cherubino dal Borgo » San Lorenzo quivi soppriore mi mostrò alcuni » frammenti e pezzi della detta Cronica , nella » quale si leggeva fra Bartolomeo pittore eccel- » lentissimo, che cosi haveva ancor nome al se- » colo, fu di Savignano, villa del contado di Pra- » to, e prese l'habito di quella religione in Prato » nel detto convento, del quale era figliuolo; e fu » l'anno 1500 adi 26 di luglio; e l'anno seguente » fece professione, siccome quivi largamente si » legge. » Giova por mente, che tanto il Guar- dini quanto il Vasari citano le medesime Crona- ,* Oggi. abbiamo di queste Memorie una nuova edi- zione più corretta ed accresciuta, che fa parte della Biblio- teca Nazionale di Felice Le Monnier. LETTERA AI NUOVI ANNOTATORI DEL VASARI. 237 che di San Domenico; e siccome tutt/e due vi do- vettero leggere la memoria del prender l'abito e del professare; così tutt' e due la vollero regi- strare, quegli nel suo Ricordo, e questi nella Vita: ma o il Vasari per distrazione, o il Giunti per trascuraggine, lasciarono delle parole, e venne stampato in quello stesso convento dove si fece frate, senza più ; mentre tutto il periodo era da leggere in questo modo: « .... andatosene a Prato, » si fecie frate in San Domenico di quel luogo, » secondo si trova scritto nelle Cronache di quel » convento , a di 26 di luglio 1500; e l'anno dopo » fece professione in quello stesso convento dove )) si fece frate » Che ve ne pare? a me par bene: ma quando sembrasse poca Y autorità di Alessandro Guardini, che pur vide quelle Cronache nel 1560, ed era uomo delle antiche scritture praticissimo , fate una cosa; leggete la necrologia del frate negli An- nali di San Marco , e troverete: « Fr. Bartholo- » meus Pauli Iacobi de Florentia professus in » conventu Pratensi. » Di Firenze, il 4 di novembre 4851. DELLA SEPOLTURA DI FRANCESCO CIECO DE' L ANDINI MUSICO ECCELLENTISSIMO , RITROVATA IN PRATO. LETTERA AL PADRE FRANCESCO FREDIANA Minore Osservante, in Napoli. DELLA SEPOLTURA DI FRANCESCO CIECO DE' LANDINI. I. Se dopo due anni da che, abbandonata la vostra cara celletta di San Domenico, menate pia- cevolmente i giorni presso al mare di cui parmi che possiate cantare col Pindemonte, Sempre fu questo mar pieno d' incanti ; se dopo due anni vengo a parlarvi di quella città che si può chiamare la vostra seconda patria , e tento ricondurvi a quel chiostro che de 7 comuni studi fu testimone e dell' amicizia che da tre lu- stri ci lega; forse avverrà che me ne dobbiate ringraziare: imperocché il vostro cuore così affet- tuoso deve tornar volentieri, come alla memoria dei vecchi amici, così ai luoghi dell'antica con- suetudine; e tanto più, che potete far tutto que- sto senza staccarvi dai nuovi amici di Napoli, a cui le toscane lettere, e il colto ingegno, e lo schietto animo vi han reso carissimo. i6 242 DELLA SEPOLTURA Ma voi sospirate, o egregio amico, e i vostri occhi s' empion di lacrime. Ah, il chiostro di San Domenico, nel giro breve di due anni ha pur troppo racchiuso nella sacra terra tali spoglie che pare- van fatte per rallegrare di se lungamente questo misero mondo; ma il mondo non era fatto per gli spiriti che informarono quelle spoglie belle e mor- tali. E già voi lo sapete : Cosa bella e mortai passa e non dura. Due affettuose iscrizioni ( una delle quali degna dei grandi latinisti del cinquecento) 1 voi trove- rete un giorno nel chiostro di San Domenico, dove riposano V Ebe e 1' Ada Benini: e sarò io forse con voi, vi sarà il padre infelicissimo; ma non vi sarà chi dettava quelle epigrafi, non vi sarà Y amico vo- stro e mio, mio anche maestro, il professore Giu- seppe Arcangeli, la cui «perdita piangono gli uo- mini buoni e le buone lettere; le quali nel ven- tenne magistero al collegio di Prato e nel trienne vicesegretariato della Crusca lo ebbero caldo pro- pugnatore delle antiche discipline e savio fautore delle utili novità. Io ho detto non vi sarà : ma i Dettata dal professore Giuseppe Arcangeli per l'Ebe Benini : si legge nel tomo II dell' Archivio storico Italiano, nuova serie , pag. 249. DI FRANCESCO CIECO DE' lANDINI. 243 presso a quelle gentili riposerà il suo corpo; 1 e un modesto monumento, innalzato dalla pietà de- gli amici , vi ricorderà le sembianze e le virtù sue; se pur ve ne sia di bisogno per chi, come voi, ebbe tanto l'Arcangeli nel cuore e negli occhi. 2 II. Or voi sapete come fra i marmi mortuari, nel chiostro del vostro convento di Prato, si apre una spaziosa stanza che i Domenicani, an- tichi ospiti, tennero ad uso di capitolo, e fu re- centemente conversa in devota cappella. A piè dell'arco che dà ingresso a questa stanza ve- devasi pochi anni sono una gran lastra di marmo murata nel pavimento, ricca d' un orlo finamente composto di marmi commessi, e scolpita di un'ar- me e di un' iscrizione in parte consunte. Non era però diffìcile supplire l'iscrizione, giacché mon- signor Angiolo Fabroni nella Storia dell' univer- sità pisana 3 l'avea pubblicata nella sua integrità: o sia che la potesse ricavare da un antico mano- * Temporariamente fu tumulato nel cimitero della pievania di Sant'Ippolito in Piazzanese; luogo non molto lontano da Prato. E quindi si corregga ciò che V Ugo- lini ha detto in questo proposito parlando dell'Arcangeli nel citato volume dell' Archivio storico Italiano. 2 II monumento dell' Arcangeli , opera dello scultore Santarelli, fu poi innalzato dagli amici nel 1858; ma dei suoi avanzi mortali fu vietato il trasporto.— Settembre 4859. 3 Historia Academ'm Pisane, auctore Angelo Fabronio eiusdem Academice curatore; Pisis, 1791 ; voi. I, pag. 292-5. 244 DELLA SEPOLTURA scritto , o sia che sessant' anni addietro fosse meglio da legger nel marmo. E V iscrizione di- ceva così: BERNARDO TORNIO FLOREN : ARTI • ET MEDI • PROFESSORI AC COMITI CVIQ • PATRIA MVLTOR • CIVIVM SALV • DEBET SEPVL • POSVIT HIERONl • FRATER IN LVCEM VENIT XXVI NOVEM • MCCCCLII • OB • AVTEM XIX APRILIS MCCCCLXXXXVII • Lo stesso Fabroni ha largamente parlato di Ber- nardo Torni fra i professori che nel secolo deci- moquinto insegnarono filosofia e medicina nello studio pisano. La biblioteca Laurenziana con- serva un suo opuscolo De cibis quadragesimalibus. et de valetudine curando,, dedicato nel 1490 a Giovanni de' Medici, che fu poi Leone X; donde si rileva, Laurentium Mediceum fuisse sibi jprinci- pem ad ingrediendam medicorum studiorum ra- tionem. Scrisse pure un libro per mostrare che la medicina vuoisi anteporre alla giurisprudenza, ribattendo una contraria opinione di Coluccio Sa- lutati. Ma più di tutto questo, fa al proposito no- stro il conoscere, come essendosi trasferito a Pra- DI FRANCESCO CIECO DE' LANDINI. 24£ to , per la terza volta , lo studio pisano nell' otto- bre del 1495 (di che fu cagione l'aver Pisa scosso il giogo della Repubblica Fiorentina), quivi ve- nisse a leggere con gli altri professori anche il Torni. Il quale dopo pochi mesi, quantunque in età ancor verde, mancò ai vivi nella terra ospi- tale, che nel chiostro di San Domenico, come in luogo molto onorato, gli concedette il sepolcro. Per lo che gravemente erra lo Scarmagli , edi- tore delle Lettere Aliottiane 1 quando nel par- lare di Girolamo Torni asserisce, che questi eresse al fratello Bernardo « un monumento se- )> polcrale nélla chiesa de 1 Domenicani , o sia di » Santa Caterina, di Pisa: » errore seguito cieca- mente dal canonico Moreni nella Continuazione alle Memorie istoriche del Gianfogni intorno alla fiorentina basilica Laurenziana. 2 III. Già ho detto come il capitolo de' Dome- nicani fosse non ha guari trasformato in cappella. 4 Hieronymi Aliotti arretini ordinis sancti Benedicti etc. Epistolae et opuscula , Gabrielis Maria Scarmalii eiusdem ordinis notis et observationibus illustrata, etc; Arretii, 1769; voi. I, pag. 378. 2 Memorie istoriche dell' Ambrosiana R. Basilica di S. Lorenzo di Firenze : opera postuma del canonico Pier Nolasco Cianfogni ec. ; Firenze, 1804; e Continuazione delle Memorie istoriche ec. ; Firenze, 1816-17; voi. secondo, nel Prospetto dei personaggi più illustri del Capitolo di San Lorenzo, all' articolo Torni Girola?no^ 246 DELLA SEPOLTURA Or avvenne che, volendone rinnovare l' impian- tito, si scalzasse il marmo sotto il quale riposa- vano le ossa di Bernardo Torni; con animo di ri- murarlo come stava. Ma qual maraviglia quando, alzato un poco, si trovò tutto scolpito d' una figura grande al naturale, 1 e circondato di una epigrafe scritta in que' caratteri che si vedono usati nei monumenti del secolo XIV e in alcuni del XV! Rovesciata pertanto la lapide, che per tutta la sua lunghezza si stende a braccia 4 e 12 soldi, ed è braccia 1 e soldi 19 in larghezza, trovammo un bassorilievo egregiamente condotto, e non inde- gno di quei migliori maestri che fiorirono in Fi- renze tra il milletrecento e il quattrocento. Per- dersi in congetture sulP artista, sarebbe opera va- na; giacche molti furono i contemporanei di Do- natello 7 delle cui opere potrebbe dirsi con Ovidio: .... facies non omnibus una , Nec diversa tamen; qualem decet esse sor orum. Fece lo scultore un tabernacolo gotico, sotto al quale sta una figura d'uomo che vive: pen- siero pieno di conforto, e che ben si addice ad una religione che nella morte considera non un termine della esistenza, ma un dolce sonno del 4 È braccia 2 e soldi 13. DI FRANCESCO CIECO DE' LANDINI. 247 corpo, che aspetta a destarsi il ritorno della com- pagna immortale. Posa il capo dell'uomo sovra un origliere damascato; e come dal cappuccio e dal mazzocchio la testa, così da un'ampia cappa è avvolta la persona: tiene con la sinistra un pic- colo strumento formato di canne decrescenti e di- sposte in tre ordini, a foggia d'organo; alle quali va unita utia tastiera, che la destra mano fa atto di toccare. La parte superiore o frontispizio del taber- nacolo è tutta traforata, come richiede la maniera gotica; ma invece della rosta quadrilobata, è nel mezzo uno stemma , di cui, per esser fatto di com- messo, non rimane oggi che un frammento: basta peraltro a farci conoscere, che sei monti disposti piramidalmente erano gran parte dell' arme. 1 Due angioletti, che spiccano di un più alto rilievo, riempiono i due spazi laterali del frontispizio : quello a sinistra suona il violino, e l'altro tocca il liuto; lodevoli ambedue per grazia d'espressione. Tutta quest'opera fu chiusa dall'artefice dentro un fregio bellissimo, largo circa quattro soldi , e la- vorato d' intarsio; al quale toccò a sentire mag- gior danno, perchè mentre la scultura fu condan- nata a star nascosta, il fregio venne a far parte 1 Lo stemma dei Landini è una piramide di sei monti dorati nel campo azzurro , con tre rami di lauro na- scenti simmetricamente dai detti monti. 248 DELLA SEPOLTURA del nuovo monumento. Ricorre pure per i quat- tro lati la seguente iscrizione: LVMINIBVS CAPTVS FRANCISCVS MENTE CAPACI CANTIBVS ORGANICIS . QVEM CVNCTIS MVSICA SOLVM PRETVLIT ■ HIC CINERES • ANIMAM SVPER ASTRA RELIQVIT • M. CCC. LXXXXVII. DIE II SEP. IV. Anche senza P iscrizione, l'industria dell 7 artefice sarebbe bastata a mostrarci che l'uomo rappresentato nel marmo fu cieco; come lo strumento ch'egli tiene in mano avrebbe dato luogo ad una molto probabile congettura sul nome e sul tempo. Ma la iscrizione , come ci dispensa da ogni congettura, così ci leva da ogni dubbiezza. Questi è Francesco Landini, nato di quell'Iacopo da Casentino dipintore, che fu de' migliori giot- teschi, e fratello dell'avolo di Cristoforo Landino comentatore della Divina Commedia. « Al tempo » della sua fanciullezza da subito morbo di » vaiuolo fu accecato; ma la fama della musica di )> grandissimo lume l' ha ristorato. Passato gli anni » dell'infanzia privato del vedere, cominciando » a intendere la miseria della cecità, per poter » con qualche sollazzo allegrar l' orrore della per- » petua notte, cominciò fanciullescamente a can- » tare; di poi cresciuto , e già intendendo la dol- » cezza della melodia, prima con viva voce, dipoi DI FRANCESCO CIECO DE'lANDINI. 249 » con strumenti di corde et organo cominciò a » cantare, secondo l'arte; nella quale mirabil- » mente acquistando, prontissimamente trattava » gl' instrumenti musici, i quali mai non aveva » veduti, come se corporalmente gli vedesse. Della » qual cosa ogni uno se ne maravigliava. E con » tant' arte e dolcezza cominciò a suonare gli or- » gani, che senz' alcuna comparazione tutti gli » altri trapassò; e compose per l'industria della » mente sua instrumenti musici da lui mai non » veduti: et è, nè fìa senza utile, a sapere, che » mai nessuno con organo sonò più eccellente- » mente; donde seguì, che per comune consen- » timento di tutti e' musici concedenti la palma » di quell'arte, che a Venegia publicamente dal- » l'illustrissimo re di Cipri, come solevano e'Ce- » seri fare a' poeti, fu coronato d'alloro. » Cosi di lui parlò Filippo Villani contemporaneo; 1 e molti scrittori o ripeterono le sue parole , o di nuove lodi proseguirono il cieco portentoso. Fra questi, Cristoforo suo bisnipote lo disse- non indotto in filosofia, non indotto in astrologia, ma in musica * Philippi Villani, De origine civitatis Florentice eteim- dem famosis Civibus. Io lo reco in volgare , secondo un co- dice Laurenziano , che fu adoperato dal Bandini nel suo Specimen literaturaz FlorentinozsceculiXV; Florentise, 1747 ; voi. I, pag. 41. 250 DELLA SEPOLTURA dottissimo. 1 Circa al tempo della morte di Fran- cesco cieco, variamente hanno errato gli scritto- ri: ricordo il Mini, 2 che lo dice morto nel 4380; e il Villani, che lo fa nel 90. L' iscrizione non lascia dubbio. 3 Son però tutti concordi circa al luogo della sepoltura. Il Villani scrive: « Et è nel mezzo » della chiesa di San Lorenzo di Firenze seppel- » lito. »* E Cristoforo Landino, dopo essersi molto diffuso nelle lodi di questo suo antenato : Quin et marmoreo moriens donare sepulcro Quod nunc Laurent i tempia vetusta tegunt-: Tempia tegunt, quaemox Cosmus suffulta columnis Fornice sublimi conspicienda dabit. 5 Nei quali versi accenna il poeta alla costruzione del nuovo tempio di San Lorenzo, innalzato, com'è 1 Neir Apologia che precede al Comento della Divina Commedia 2 Della nobiltà di Firenze ec. ; Firenze, 1593 ; a pag. 1 03. 3 A conforto dell' iscrizione viene la portata originale del becchino, così espressa: MCCCLXXXXV1I, die UH mensis selenbris. Magister Francischus de Orchani, de populo S. Laurentii, decessit; de quarterio S. Iohannis: sepultus fuìt in dieta ecclesia per Giglium Luchini bechamortum. (Por- tate de' Becchini, ad annum : fra le carte del Magistrato della Grascia, nell' Archivio centrale di Stato.) Il 4 di set- tembre fu il giorno della tumulazione. 4 In Bandini , Specimen Uleratum Fiorentino? ec, voi. I, pag. 42. 5 Nella elegia De suis maioribus. In Bandini, op. cit., voi. I, pag. 37 e seg. DI FRANCESCO CIECO DE' LANDINI. 25! noto, da Giovanni principalmente e da Cosi- mo e Lorenzo de 7 Medici, con i disegni del Bru- nellesco. Stando al Cianfogni, e al Moreni suo la- borioso continuatore, si avrebbero i principii della chiesa Laurenziana nel 1421; ma è certo che nel 1440 era sempre in piedi la vecchia chiesa, non demolita prima del 44. Se in questa demoli- zione fosse levata eziandio la sepoltura di Fran- cesco cieco, non è certo; ma è certo che quando Cristoforo, vivente Cosimo il vecchio, dettava questi versi, il monumento esisteva: Tunc licet aurato niteant laqueario, tecto, Et Fesulus multa splendeat arte lapis; Non tamen e media quoque tu removeberis cede: Nec volet hoc doctis qui favet ingenìis. Nam favet ingeniis Cosmus, quin luce carentum Inviolata loco busta manere iubet. Mternum , Francisce , igitur per scecula vives , Et tuus Elysii spiritus arva colei. V. Ma prima del millecinquecento quel sepol- cro fu violato, e fu cacciata di San Lorenzo V imma- gine di Francesco Landini ; neppure un secolo dopo la sua morte, e sotto gli occhi del dotto nipote, che andava tuttavia confortandone la memoria co'versi. Che poco rimanesse alla luce questa scultura me lo fa eziandio credere il vederla conservatissima, e non priva di quella candidezza che il marmo ha naturalmente: ma pare incredibile che nè la 252 DELLA SEPOLTURA fama dell'uomo rappresentato, nè la bontà dello scalpello bastassero a procurarle una miglior for- tuna. Pur, meno male che si sotterrasse; poiché vien pure il giorno , che Quidquid sub terra est, in apricum proferet cetas. Cosi è avvenuto di questa scultura. Sulla quale parmi di poter congetturare, che Girolamo Torni la ottenesse non prima del \ 508 , quando fu ascritto fra i canonici di San Lorenzo. Uomo per avven- tura dotto, come lo mostra l' essere stato vicario generale delle diocesi di Firenze, Fiesole e Arez- zo, ma forse incurioso delle arti gentili, non ebbe il Torni verun riguardo al nome di Fran- cesco musico, e all'opera dell'artefice: e pe- rò, veduta sana e bella la lapide, la fece polire per di dietro, e fornitala con le armi gentilizie e l'epigrafe di Bernardo Torni , destinolla a coprire l'ossa fraterne nel chiostro de' Domenicani di Prato. Ma poiché la buona ventura avea fatto, che dopo tre secoli e mezzo tornasse a riveder la luce del giorno un' opera insigne per arte e memorie, io non trovo degno di approvazione il pensiero dei vostri Francescani, che fatta trascrivere in un brevissimo marmo la epigrafe del Torni, hanno rimurato nel nuovo pavimento dell' antico Capi- DI FRANCESCO CIECO DE' LANDINI. 253 tolo la immagine di Francesco Landini , le cui ossa riposano ancora in Firenze sotto le volte della basilica Laurenziana. Quivi era piuttosto da ri- collocare il monumento: e quel Clero, che tutta- via fiorisce d'uomini colti, lieto di ricuperare una bella scultura e insieme una illustre ricordanza fiorentina, avrebbe volentieri pensato a ricoprire il sepolcro di Bernardo Torni con un marmo ono- revole. Questo farete voi, come vi piaccia ricon- durci al vostro convento di San Domenico; 1 a quel chiostro di dolce memoria, nel quale un giorno furon congiunti dall'amicizia gli animi no- stri, e un giorno forse saranno ricongiunte dalla morte le nostre ossa, accanto a quelle de' nostri comuni amici e de' miei cari parenti. Intanto, cium spiritus .... reget artus, fate di star lieto, e continuate ad amare il vostro Cesare Guasti. Di Prato, V autunno del 1855. 1 Quel giorno non venne: il padre Frediani, non un anno dopo, moriva a Marano presso Napoli; e in quella chiesa riposano le sue ceneri. I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. 1854. I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI, Leggendo le Vite di Giorgio Vasari troviamo sovente ricordato un Libro di disegni, ch'egli si era venuto formando nel tempo che da ogni parte d'Italia metteva insieme le notizie degli artisti i quali aveano acquistata più rinomanza dal risor- gimento dell' arte fino a' suoi giorni. E dalle stesse parole di quel biografo abbiamo, come un uguale Libro si fosse venuto raccogliendo per suo piacere quel non meno squisito amatorè che intenditore delle arti belle, don Vincenzio Borghini. Niuna cosa sappiamo della fortuna di questo secondo Libro: dell' altro scrisse il Lanzi, 1 che fu distratto, 1 Lareal Gallerìa di Firenze (ipcresciuta e riordinala ec. ; Firenze, per Francesco Moi'icke, 1782; a pag. 155. — Il Baldinucci, nella Vita del cavalier Domenico Passignani, racconta che questi « diede il prezzo alli stupendi quadri » ed a cinque grossi libri di disegni, che dagli eredi del » cavaliere Caddi , favorito dal granduca Francesco , furono » venduti a' mercanti per gran migliaia di scudi : di che sa- 47 258 I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. riè si sa bene dove e se esista. A me però giova credere, che il Libro del Vasari (ed è certo che un tal Libro era spartito in più volumi) restasse presso al nipote, insieme col nome di Giorgio e con l'amore per P arti. È noto poi come i Gaddi ne possedessero una gran parte, e come questa an- dasse nelle mani di alcuni mercanti, appunto nei tempi in cui Leopoldo de'Medici, principe e poi car- dinale di Toscana, volgeva V animo ad arricchire la domestica Galleria con i disegni originali de' più celebri maestri del mondo: imperocché, studio- sissimo com'egli era, volle che eziandio i suoi diletti e le sue curiosità fossero studiose. 1 Il Pelli osservava, come sarebbe utile opera l' investi- gare nei carteggi di quel principe 2 le molte e cu- » rà sempre infausta la memoria agli amatori delle bell'arti » della città nostra. E soggiugneremo , per meglio appagare » la curiosità del lettore , che. i cinque libri di disegni eran » quegli che componevano il tanto rinomato Libro diGior- » gio Vasari, e del quale egli tante volte fece menzione » ne' suoi scritti, e che conteneva in sè disegni di quasi » tutti i maestri dell'arte fino dal primo restauratore della » pittura Ciinabue. » È peraltro ben fondata la mia suppo sizione , che parte, e forse gran parte, de' disegni del Libro Vasariano passassero^ nella collezione del cardinale dei Medici, e quindi nella Galleria. Vedansi le Vite del Vasari , edizione di Felice Le Monnier, voi. I, pag. 228, nota 2. * Magalotti, Elogio del cardinale Leopoldo de' Medici, premesso alle Lettere inedite di nomini illustri; Firenze, Moùcke,1773. 2 Saggio istorico della real Galleria di Firenze; Fi- I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. 259 i iose notizie , « le quali giustificherebbero F in- » telligenza che aveya nel conoscere i maestri, » e l'impegno, per non essere ingannato, di pren- » dere tutte le strade per verificargli, mandando » ai professori per V Italia quei pezzi sopra i quali » aveva dei dubbi. » Da que' carteggi appunto sappiamo, che il cardinale Leopoldo procurò di avere i disegni di Salvator Rosa; ed è pubblicata la lettera di monsignor Domenico Maria Corsi , scritta da Roma il primo d'aprile del 1673, nella quale si legge: « Si sono fatte diligenze per i » disegni del medesimo Rosa , e specialmente » per i libri di notomie; ma chi ha assistito a » mettere insieme le sue cose, m' afferma che )> questi libri non si trovano; e (quel che pare » incredibile) che de' disegni non ve n' è alcuno, » eccettuate poche bagattelle fatte in prima gio- » ventù , e certi schizzi che sono piuttosto ri- » cordi o embrioni di linee confusissime, inintel- » ligibili anche ai professori. » 1 renze , per Gaetano Cambiagi , \ 779; voi. I , pag. 252 e segg. ; voi. II, pag. 183. Il carteggio del cardinale Leopoldo fa parte dell'Archivio Mediceo; ma il Galluzzi, mentre vi frugava I per la sua Storia del Granducato , ebbe il poco sapiente zelo di separare lettere e documenti che ragionassero di qual- che artista o di qualche opera d' arte , e mandarli in Galle- ria, dove tuttavia si conservano. ì Pelli, Saggio istorico ec, voi. II, pag. 184. 260 I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. À Filippo Baldinucci fu dal Principe affidato in special modo l'ordinamento della raccolta de' Di- segni. « Si degnò (cosi il Baldinucci medesimo) w di ammettermi alle consulte eh' e' faceva so- » pra i disegni e pitture, e simili altre cose ap- » partenenti a tal suo virtuoso divertimento. » 1 Ma le molte migliaia de' disegni di ben 470 maestri 8 vollero tanto tempo , che al cardinale Leopoldo mancò la vita prima che il Baldinucci gli rendesse ordinata la collezione; di cui fu erede, come di ogni altra sua cosa, il granduca Cosimo Terzo. Il parere di Filippo Baldinucci circa la di- sposizione de' Disegni fu questo: « che allora sa- » rieno stati ottimamente divisati, quando si fus- » sero disposti in libri, con ordine cronologico. » incominciando dal primo restauratore della pit- i) tura Cimabue, seguitando con Giotto suo di- » scepolo, e proseguendo co' loro allievi, fino ad )) arrivare ai viventi. Perchè pareva a me, che » questi così fatti libri , ordinati per la succes- 4 Prefazione al I volume delle Notizie de'professori del Disegno ec. Lo ripete anche nella Lettera al marchese Vin- cenzio Capponi ec. Giovanni Ginelli, nella sua Critica al I vo- lume del Baldinucci (manoscritto posseduto dal mio amico Giuseppe Porri di Siena), nega al Baldinucci il merito di queir ordinamento, e lo dà al conte Carlo Cesare Malvasìa di Bologna. Ma il Cinelli tutti lo conoscono ! 2 Magalotti, Elogio del cardinale Leopoldo de'Medici. — Pelli, Saggio istorico ec, voi. I, pag. 250. I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. 2G'l » sione de' tempi, frissero per avere un non so » che della storia; mentre senza lettura, ma con » la sola vista, si sarebbon potuti riconoscere non » solo i progressi di quest' arte, ma (quello che » è più) col testimonio indubitato della propria » mano di ciascheduno degli artefici, si sarebbe » potuto venire in cognizione, per mezzo di chi » ella avesse tal miglioramento ricevuto. » 1 E con tale intendimento ordinata la raccolta de' dise- gni originali, « fu riposta nel palazzo serenissimo » (son parole del Baldinucci), in numero di sopra » cento gran libri , secondo la successione degli )) artefici , cronologicamente disposta e scompar- » tita. » Il qual numero di volumi andò vie via aumentando fino a 470 in circa, 2 nel corso ap- pena d' un secolo. « Ottanta di essi (scriveva il » Lanzi) han ciascuno un suo proprio autore, e » questo de' più segnalati: il resto son miscella- » nee d' italiani e di stranieri. Più di quaranta » volumi son dovuti alla generosità del R. Sovrano » presente (Leopoldo I). Egli ha fatte in pochi » anni ben molte compre in genere di stampe e * Baldinucci, Prefazione sopra citata. 2 Lanzi, Lareal Galleria ec, a pag. 150. — Il Pelli, Sag- gio istorici» ec, voi. I, pag. 452, dice ch'erano GLXII volu- mi uniformemente legati in marrocchino rosso, con filetta- ture d'oro. E aggiunge, che v'era qualche altro migliaio di disegni, « che devono legarsi in libri simili. » 262 1 DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. » disegni; e specialmente dalle nobili case Gaddi' )) e Michelozzi , e dalla eredità Hugford, che ha » forniti al gabinetto assai disegni di moderni. » Così la serie , che non si era supplita da lungo » tempo, è divenuta assai piena: comincia da » Cimabue, e dalla infanzia della pittura; e scen- » dendo per l'altre età ; termina con due gran- » di luminari di questi ultimi anni , Batoni e » Mengs. » 9 Questa preziosa raccolta fu mandata dal pa- lazzo Reale alla Galleria nel 4700; e nell'inven- tario che ne rimase nelT archivio della Guarda- roba si trova notato, che sopra 4700 pezzi di scarto passarono come inutili altrove. 11 Pelli (da cui abbiamo queste notizie) promesse di dare a stampa un catalogo esatto di tutti i Disegni, nella maniera che lo Scacciati e il Mulinali ave- vano intrapreso a darne incisi sul rame alcuni pezzi ch'essi credetter migliori. 3 1 Vedasi ciò che è detto alla nota 1 , pag. 257. 2 Lanzi, La real Galleria ec. , a pag. 150. 5 Pelli ; Saggio ec. , voi. I, pag. 453; voi. II, nota 167. « Nel 1764, Andrea Scacciati fiorentino intraprese a >> pubblicare una raccolta dei disegni più belli della Galleria, -» imitando nella grandezza e nel modo dell'esecuzione gli » originali; ma prevenuto dalla morte nel 1771 , Stefano » Mulinari suo allievo dette la continovazione dell'opera , » con incidere il rimanente delle tavole fino al numero di » 100. Nel 1774 essendo restata finita questa serie, lo stes- % I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. 263 Ma per quanto fosse considerato P ordina- mento del Baldinucci, per quanto splendida la destinazione in volumi, rimaneva tuttavia da de- siderare. Non è ignoto quali preconcetti (colpa meno sua che de' tempi) avesse quell'uomo cer- tamente benemerito degli studi dell' arte. Il suo albero o genealogia artistica, ch'ebbe la sorte (com' egli disse) d' incontrare il favore del cardi- nale Leopoldo de' Medici, mancò d'ogni credito da poi che i documenti ebbero vie meglio ri- schiarata l'istoria degli artisti e dell'arte; e un occhio più sagace assegnò le opere del disegno alle loro proprie scuole e ai loro autori, come un giudizio più sano distribuì i meriti con maggiore equità. Ognuno sa quaì maniera di osservare e di apprezzare corresse a' tempi del Baldinucci, e in quelli che appresso seguitarono; e non sono troppi anni che si compativa a Giotto e alla sua scuola, » so Mulinari si accinse a darne un'altra simile dei disegni » più piccoli; e nell'anno scorso (1778), stimolato dalle » premure di alcuni dilettanti , si è voltato a formare una » terza collezione di nuova idea, che consisterà in 50 tavo- » le, con altrettanti disegni scelti unicamente da quelli » della Galleria , dei più antichi maestri, incominciando da » Cimabue, e proseguendo con esatto ordine di tempi , a!- » meno fino a Pietro Perugino , maestro dell' immortai Raf- » faello: per mezzo della qual collezione si otterrà un'isto- » ria pratica, dell' incominciamento, del progresso e della » perfezione graduale della pittura , che non era stata an- » cora tentata.» Fu poi eseguita. 264 I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. scusandoli con la rozzezza di quell'età, con la in- fanzia delle arti, e con altre simili frasi che oggi muovono al riso. Non fa quindi maraviglia se an- che la collezione de' disegni della Galleria fioren- tina risentì di quel difetto nel suo ordinamento; e se spesso accada di doversi scostare dal parere del Baldinucci che, con sicurtà per avventura so- verchia, talora usò di scrivere di proprio pugno sull' istesso disegno il nome dell'autore a cui veniva attribuito. Per un esempio di quello che ho detto, basti notare, come a tre e quattro maestri fossero assegnati fin qui i molti disegni del Finiguerra, dei quali vensette ora si manife- stano per operati da una stessa mano nella eletta serie che per la prima volta viene esposta nella Galleria agli occhi del pubblico. Ho detto che per la prima volta si espone al pubblico una scelta de' disegni posseduti dalla Galleria; poiché mentre stettero riposti ne' du- gento tanti volumi, e dappoi che saviamente ne fu sciolta una parte per salvarla dalle tarme e per meglio ordinarla, ai soli che'l richiedessero ne venivano mostrati alcuni più famosi, trascelti da Luigi Scotti con l'assistenza di quell'emerito di- rettore eh' è il commendatore Antonio Ramirez di Montalvo. Ma ognuno vede quanto poco sod- disfacesse questo modo al desiderio degli artisti, I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. 265 che qui hanno tanto da apprendere; e come poi non conferisse il quotidiano mostrare dei disegni alla loro conservazione , lo pensi chi sa quali metodi si tenessero nel disegnare. Imperocché, preparata la carta con un colore giallognolo od azzurro, e talora rosato, vi dintornavaYio le figure; e poi usando a distinguere i lumi più vivi la biacca, e per gli scuri la matita o la penna, lasciavano che il fondo colorato facesse le mezze tinte. Ora, lo sbiadir della carta, il dilatarsi de' se- gni, il perdersi de' contorni, lo sparir della lucentezza ne' chiari, erano effetti temuti e av- verati in alcuni disegni non preparati con quella squisitezza eh' è pregio singolare dei più antichi maestri. 1 Fu pertanto ottimo divisamento del marchese Luca Bourbon del Monte, dopo d' avere riordinato e ampliato nel decorso anno il Museo Etrusco, di destinare alcune stanze della Galleria per un nuovo gabinetto, sulle cui pareti stessero alla vista di tutti i più bei disegni della collezione. Malagevole cosa, da ventotto mila e più disegni scerne un 540; e in questi fare che niuna scuola italiana mancasse, niun nome di artista celebre; che la storia dell' arte 1 Intorno agii schizzi, disegni, cartoni ec, niuno ha meglio parlato del Vasari al capitolo II della Pittura, nel- V Introduzione alle tre arti del disegno, premessa alle Vile. 266 I DISEGNI DELLA GALLERIA. DEGLI UFFIZI. per quattro secoli vi trovasse i suoi documenti ; che gli stranieri ancora non ne fossero esclusi. Tutto questo fu osservato da chi scelse e ordinò; ed è loro merito. 1 È poi gran vanto della Galleria fiorentina, che in poche centinaia di disegni se ne possano mostrare 32 di mano di Raffaello , 22 di Miche- ìangiolo, 28 di Andrea del Sarto, 46 di Fra Bar- tolommeo, 26 di Leonardo da Vinci. Fra gli ol- tramontani vi sta Alberto Duro, Luca di Leida, Giovanni Holbein , il Rubens, il Velasquez, Iacopo Callotta' con la sua Fiera dell' Impruneta (uno de' rami più popolosi che si conoscano), e altri di quella scuola, le cui produzioni diceva il Lanzi che ci vogliono in una Galleria per sollevare lo spirito dagli oggetti più seri. 2 Il tempo, il parere di chi sa, e le nuove inda- gini di quei medesimi che hanno dato mano a questa scelta, potranno dar nuovo lume sovra l'autore più o meno certo di qualche disegno, forse (e ciò dico dubitando) potranno consigliare a sostituire altri disegni di maggior pregio agli esposti. Tutte le cose bisogna che prima siano 4 Per la scelta e l'ordinamento il Direttore si è valso dei due ufficiali della Galleria , Carlo Pini commesso nella Direzione, e Gaetano Palazzi conservatore dei disegni e delle stampe. 2 Lanzi, La real Galleria ec. , a pag. U2. I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. 267 fatte per essere a beli' agio perfezionate. Cosi l'aver cominciato a mettere alla vista del pubblico, con le statue e i quadri, anco i disegni di figura, è a noi come un pegno che a suo tempo si destine- ranno altri gabinetti alla mostra de' disegni di paese, . di ornativa, di architettura civile e mili- tare, dei quali la Galleria nostra è doviziosa, come lo han fatto conoscere nel Commentario alla Vita di Antonio da San Gallo i recenti annotatori del Vasari. 1 Resta che gli studiosi profittino di tanti sus- sidi, e gli rivolgano a benefizio dell'arte. Quello che dai disegni di sommi maestri e' possano ap- prendere, niuno meglio di loro lo può sapere. Io dirò solo, che nei quadri e nelle scolture l'artista si mostra nella sua grandezza, quasi sdegnoso dei mediocri che lo stanno osservando : è il pro- fessore dalla cattedra (siami lecito usare di questa similitudine) che si compiace della sua lezione, nè bada se chi ascolta non lo comprende. Qui, al contrario, è V artista che si mostra qual è , co' suoi pregi, e pur co' suoi d ifetti: qui ascoltiamo la voce di un maestro che parla alla buona, e studia per così dire con i suoi stessi discepoli. Scrive il Winckel- ì Vasari, Vite ec. , edizione di Felice Le Monnier, vo- lume X: « Dei disegni architettonici di Antonio da Sangallo » il giovane, che sono nella reale Galleria di Firenze. » 268 I DISEGNI DELLA GALLERIA DEGLI UFFIZI. maniache il pittore quando produce un quadro, con la diligenza stessa che vi usa, con il coloreche vi so- vrappone, vela in certo modo il proprio ingegno; ma nelle poche linee del suo schizzo, lo spiega con tutta verità e naturalezza. Il Lanzi acutamente osserva- va, che un contorno, una testa con poche macchie . fanno talora concepire più vantaggiosa opinione di un artista, che non le opere più finite; e non è raro che gli intendenti mettano primi tra' profes- sori del disegno quelli che fra' pittori si contano se- condi o terzi. In una parola: nelle opere compiute mostra l'artista quanto egli sa, nei disegni mostra quanto egli può; guidato solo dal genio, che fa i pittori come i poeti. IL FINE. TAVOLA DEGLI OPUSCOLI. Degli affreschi di Giotto nella cappella de' Peruzzi in Santa Croce Pag. 1 Gli affreschi di Giotto nella cappella de' Bardi in Santa Croce descritti 13 Due discorsi accademici. La Virtù ispiratrice del Bello 59 Giorgio Vasari. 87 Commentario alla Vita di Niccolò Soggi, scritta da Giorgio Vasari. Intorno alla vita e alle opere di - Domenico Giuntalodi , pittore ed architetto pra- tese 117 Del Purismo nell'Arte. A proposito delle natalizie e dei parentali di Platone celebrati nella villa di Careggi da Lorenzo il Magnitìco; quadro dipin- to, per commissione del Governo Francese, dal professor Luigi Mussini, ec. 161 Michelangiolo Buonarroti. — Torquato Tasso e Ber- nardo Buontalenti 179 Di un ritratto di Francesco de' Medici, opera di Benvenuto Cellini 211 La villa Bandinelli a Pizzidimonte. Lettera al pro- fessore Antonio Marini 217 Lettera ai nuovi Annotatori del Vasari. Di un luogo del Vasari nella Vita di Fra Bartolommeo, errato nella stampa del 1568, e mal risanato dal Pa- dre della Valle 231 Della sepoltura di Francesco cieco de' Landini, mu- sico eccellentissimo, ritrovata in Prato. Lettera al padre Francesco Frediani, minore osservante, in Napoli 239 I Disegni della Galleria degli Uffizi 255 Dichiarazioni proposte di alcuni luoghi del Paradiso di Dante, con un Esame della Bellezza e del Risodi Beatrice, per TeodO- rico Lardoni. Seconda edizione, rivista ed accresciuta. ........ 1 -ìfy Dell 7 Arte poetica, Ragionamenti cinque di Francesco maria Zanetti, per cura di Agenore Gelli. — Un volume 6 Poesie popolari di Cesare Cavai». Edizione completa riveduta dall'Autore. — Un volume Paoli 4 ■ dolori del giovine Werther di Wolfgango Goethe. Versione ita- liana di Riccahdo Ceroni. — Un volume 4 Rime di Teodolinda Franceschi Pignocchi. — Un voi. ... I Introduzione alla Storia JVa turale ossia Del modo di esi- stere degli Esseri terrestri, del Prof. Leonardo Doveri. — Un volume. * Teatro scelto di Giovanni Itacine. Traduzione di Paolo Maspero. Un volume 6 Teatro scelto di Shakespeare, tradotto da Giulio Gargano. Prima Edizione fiorentina riveduta dal Traduttore.— Tre volumi. . . . . 21 Tre Racconti di Cesare Donati. — Un volume 6 La Famiglia, Lezioni di Filosofia morale del Prof. Paolo Janet, tradotte da Luisa Amalia Paladini. — Un volume • 5 Versi di Vincenzo Raffi, edizione ordinata' dall' Autore. Aggiuntovi alcuni caliti inediti, e /'Arrigo, novella calabrese. — Un volume. 21 J /2 la gioventù di Caterina de' Medici , di Alfredo Reumont. Tradu- zione dal tedesco del dottore Stanislao Bianciardi. — Un voi. 3 V2 Opuscoli editi ed inediti di Giuseppe Manno. —Due voi. ... 8 Maria, canti tre di Francesca Lutti. — Un volume 2 Antologia Epigrammatica italiana, preceduta da un Discorso suli' Epigramma di Melchiorre da Giunta. — Un volume 7 BI Parroco di campagna che- istruisce il suo Popolo, per il Canonico Pietro Mori Pievano di Montopoli. — Un volume 5 Versi di Faustina Buonarroti, vedova Sturlini. —Un volume. 3 Manuale per le Giovinette italiane, di Luisa Amalia Paladini. Terza edizione nuovamente riveduta ed accresciuta. — Un voi. . . 4 Il Calasanzio, racconto storico di G. B. Cereseto. — Un volume. . . 6 Amerigo, Canti venti di Massimina Fantastici Rosellini.- Un voi. 4 Saggio di traduzioni di Paolo d'Arco Ferrari. — Un voi. % i/2 Armonie Economiche ili Federico Rastiat, traduzione fatta sulla terza ed ultima edizione di Parigi da Giovanni Anziani , e preceduta da un discorso dell' Avv. Leonardo Gotti. — Due volumi. .... 14 Lo studio della Storia Maturale, di Paolo Lioy. Seconda ediz. con aggiunte e correzioni. — Un volume. .......* 5 Sermoni di Massimiliano Martinelli. — Un volume 3 J /2 Idillj di Rione e di Mosco, tradotti da Iacopo D' Oria. — Un voi. . 2 Sui fondamenti del Riritto Punitivo, investigazioni filosofiche del prof. Lazzaro Bufalini. — Un voi. ........ . . '.■ . 1 4 / 2 Attavanta, villa di Messer Anton Francesco Doni fiorentino , tratta ' dall'autografo conservato nel Museo Correr di Venezia. — Un voi. 1 t/2 . Ottobre 1859. GUASTI C. — Opuscoli concernenti alle arti del disegno e ad alcuni artefici. — Firenze, Le Mou- nier. 1859. 16°, m.p., VIII-260 pp. Gli affreschi di Giotto in S. Croce, Vita e opere di D. Giunta- lodi i Disegni della Galleria degli Uffizi, ecc. L. 2.800 GETTY RESEARCH INSTITUTE 3 3125 01409 2684 r