«... J ~1’ : ;■ ■ r •Mi 7 ' t J > S' , ■ / ■ '< ' j (. . (i,, i / ' ’ - ’ 1 : | 4 . r > 1 ' / < CONTmUAZIONE It 11 i® H H t H SUI LUOGHI UNA VOLTA ABITATI ED ORA DESERTI SEIVACBI) EMI AMO (SIM, , I (BASHm (SAMIFASriILI DISSEItTAZIOINE LETTA DAL SOCIO ORDINARIO I i ^ © I I © ^0111 NELL* ADUNANZA TENUTA NEL Dl 3 DI A PRIZE 1 834 - RS05S1.UWITII0S l . / : . > IE- I I ’ rraaaaa abo ch itatIsa atjcv akj OW/. . . ui i 5HnOISAT®5l8«Ij[I' : ' i tt: : t OTH AH HI BO OX DO 8 ,1 AG : l a. 3 <;> i'll* c- v ,a ’ ^TTJKdT AS-lAKTJr • ; c .u'!\ (4). 5 Ai tempi di Servio Tullio unironsi i ceriti agli altri etruscbi per guerreggiare contra i romani. Ma dopo vend anni di combatdmenti dovettero in fine ce- dere, e perdettero le loro campagne che dai vincitori furono divise tra coloro che avevano recentemente avu~ ta ic* cittadinanza romana (5). ( 1 ) Lib. 1 cap. XI e lib. Ill cap. LIX. ( 2 ) Lib. I cap. L (3) Eneid. lib. VII, VIII, X. (4) Dionys. lib. Ill cap. LX , LXIL (5) Id. lib. IV cap. XXVII. f ( 328 ) 6 Allorquando Roma ( nelT anno 363 della fon- dazione) fu presa dai galli, le yestali rifuggironsi colic cose piu sacre del popolo romano a Ceri (i). 7 In ricompensa di tale ricovero i romani con- irassero coi ceriti ospizio pubblico ( 2 ). Cioe coneessero a loro il diritto di citladinanza romana, senza pero il sulfragio nei comizi (3). 8 Quindi derivo appo i romani 1’ uso di descri- vere nelle tavole dci ceriti coloro die avevano il di¬ ritto di cittadinanza senza goderlo (4); ed il prover- bio di cbiamare degni di essere scritli nelle tavole ce¬ riti ale uni cittadini delinquenti (3). 9 Poco dopo (fra gli anni di Roma 368 e 371 ) Dionisio tiranno di Siracusa recossi con sessanta triremi sullc coste dell’Etruria, sbarco truppe a Pirgi porto dei ceriti (probabilmente ncl luogo detto ora sanla Mari- nella), e saccbeggio un tempio clie era cola in grande yenerazione e raccbiudeva molte riccbezze. Corsero i ceriti per iscacciare quegli stranieri, ma furono da essi yinti , ed ebbero il loro territorio devastalo. Dionisio ritorno in Siracusa colic nayi cariche di preda ( 1 ) Liv. lib. V cap. XL. ( 2 ) Ibid. cap. L. (3) Strab. lib, V ibid, annot. 2 edit, taurin. (4) Strab. lib. V. (5) Horat. epist. lib. I num. 6. (6) Diod. Sic. lib. XV. Aristot. Oeonom. lib. II. ( 329 ) 10 Nell* anno di Roma 4<>2 i ceriti collegaronsi coi tarquini, e fecero correrie nell’agro di Roma sin presso le saline. Intimoriti pero dalle minacce dei ro- mani, chiesero la pace, e l’ottennero per la rimem- branza degli antichi beneficj (i). 11 Livio ci racconta , che un romano educato a Ceri presso gli ospiti conoscendo la lingua etrusca, recossi nelFanno 444 ad esplorare nella selva cimina. Avverte in tale circostanza che secondo alcuni autori i giovani romani solevano allora studiare la lingua etrusca, come a’tempi suoi imparavano la greca ( 2 ). 12 Sgorgano nel territorio di Ceri acque mine- rali, dette cerete. E Livio scrive, essersi nell’anno di Roma S35 annunziato il prodigio che scorressero mi- ste di sangue (3). 1 3 Allorquando Scipione nell’anno i>47 prepara- va Fesercito per passare in Sicilia e poi in Affrica , i ceriti gli somministrarono frumento e provvigioni di ogni specie (4). 1 4 Da una iscrizione esistente tuttora in Ceri ri- sulta, che ventuno individui di quel luogo nel conso- lato di M. Asinio Agrippa e di Cosso Cornelio Len- ( 1 ) Liv. lib. VII cap. XIX, XX. ( 2 ) Lib. IX cap. XXXVI. (3) Lib. XXII cap. I. (4) V. lib. XXVIII cap. XLV. 4a ( 33o ) tulo (cioe nelPanno %o dell’era volgare ), fecero giuo- chi greci , lalini e ceriti ; e distribuirono vivande e bevande al popolo (i). i b Plinio assicura che in Ceri , come in Ardea ed in Lanuvio , eranvi pitture piu anticbe di Roma ( 2 ). 16 Due iscrizioni ci attestano che nell’anno 11 3 c 114 dell’era volgare Ceri era municipio che aveva i suoi decurioni (3). 17 Strabone , dopo di avere parlato della gran- dezza antica di Ceri , soggiunge che a’ suoi tempi ( cioe di Augusto ) di una cilta cosi splendida ed illustre appena rimanevano le vestigie, e di essa era- no piu celebri le acque delte cerretane , alle quali si concorreva per motivi di salute ( 4 ). 18 Da una iscrizione trovata pochi anni addietro in Tarquinia risulta , che a’ tempi di Marco Aurelio risiedeva cola un pretore , il quale comprendeva nella sua giurisdizione Ceri e Pirgi (5). 19 Leggesi nel martirologio romano e ne’ bol- landisti, che s. Felice II papa scacciato da Roma dall’ ( 1 ) Nclia chiesa parroccliiale di Ceri. Piazza , Gerarchia car- dinalizia pag. 86. ( 2 ) Lib, XXXV cap. YI. (3) Cluer. Ital. antiq. lib. II pag. 49 1 . (4) Lib. Y. (5) Pietro Manzi, Lettera a Teresa Caetani pag. 6. ( 33 .) ariano imperatore Costanzo subi in Ceri occultamente il martirio (i). 20 Molte cose si scrissero sul pontificato e sulle reliquie di questo papa (2). A me bastera di riferire , cbe nel 181 5 presso Ceri mi fu indicata una grotta ( sepolcro etrusco ) detta per tradizione di san Felice. Nella chiesa parrocchiale vi e un altare dedicato a que¬ sto santo , nel quale si conservano alcune sue reli¬ quie ( 3 ), e dagli abitanti se ne celebra in ogni anno la festa ai 29 di luglio. 21 Ceri ebbe un tempo i suoi vescovi, e TUgbelli ne riferisce il nome di sette che governarono quella chiesa dal 409 al 1029 (4). 22 Nel diploma Ego Ludovicus fra i beni donati alia santa sede nell’ 817 si annovera Ceri (h). 23 Un atto del ioo 3 relativo al castello di Pi- scla, ed al territorio campanino nei confini di Ceri, si accenno rogato da un notaio della citta Cerense (6). (1) Martirolog. rom. (а) Bolland. ad diem 29 iulii pag. 43 - 5 o. Baron, ad an. 35 7 et addenda ad diet. ann. tom. Ill pag. 714 71 5 , et tom. IX pag. 867. ( 3 ) Piazza , Gerarcliia cardinalizia pag. 84» 85 . ( 4 ) Ital. sacr. tom. X pag. 34 * Antiq. §. Caerenses. ( 5 ) Baron, ad an. 817. (б) Arch. s. Mariae in via lata , et cod. mss. vat. 8o4o fol. 148. 42 * ( 33 a ) 2^ Leone IX nel io 53 confermo alia basilica va- ticana la massa di Loterno , ed i fondi di Sessano ruaggiore e minore , die la raedesima possedeva nel territorio cerense (i). Si ripetono le medesime cose da Adriano IV nel 11 58 , e da Urbano III nel 1186 (2). 25 Probabilmente Loterno e quelia tenuta detta ora valle luterana, esistente circa cinque miglia al set- ten trione di Gerveteri, e due all’oriente di castel Giu- liano. 26 Ceri fu , come gli altri luogbi prossimi a Ro¬ ma , concessa dai pontefici in enfiteusi, 0 appodiazio- ne ; e nel codice di Cencio Camerario compilato , come si crede , sul principio del secolo XIII leggia- mo, cbe Pietro Latrone pagava due marabotini pel ca- stello di Ceri nella diocesi di Porto ( 3 ). 27 Nella meta del secolo decimo quarto Ceri ap- parteneva alia famiglia dei Normanni : ed abbiamo un atto del i 346 dal quale risulta, che Costanza vedova di Pandolfo Andrea dei Normanni , madre ed erede di Giovanni e Stefano suoi figli , vendette a Giovanni di Stefano dei Normanni i suoi beni ereditarii, e fra gli altri il castello di Ceri confinante col castello di (1) Boll, basil, vat. tom. I pag. 33 . (2) Ibid. pag. 58 et 68. ( 3 ) A. M. JJ. tom, V pag. 85 a. I ( 333 ) Palo , di Cerveteri , di Torricella , di Giuliano , di Bracciano , di castel Campanile , e di Statua (i). 28 Nella vita di Cola da Rienzo leggiamo che « gli fu rassegnato il forte ed opulento castello di cc Ceri » (2). 29 Sul principio del secolo decimo quinto Ceri apparteneva ai conti deirAnguillara, ed in una divi- sione che i medesimi fecero nel 1429 toeco per la terza parte ad un tale Giovanni ( 3 ). 3 0 Nell’armamento pontificio del i 434 contra il Fortebraccio fu intimato a Ceri di mandare venti fanti a Bracciano ( 4 ). 3 1 Lorenzo conte dell’ Anguillara, nel suo testa- mento fatto in Bassano nel 1472 , indico essere stata costrutta nel castello di Ceri una nuova rocca ; e di¬ spose di essere sepolto in Ceri nella cliiesa dove era- 110 stati sepolti i suoi antecessori ( 6 ). 32 Nei tempi d’ Innocenzo VIII i conti dell’An¬ guillara favorirono il governo pontificio contra gli Oj;- (1) Arch, secret, capit. cred. XIV tom. 63 fol. 19. (3) Cap. XX A. M. E. tom. Ill pag. 4^9. ( 3 ) Arch, secret, capit. tom. LXV, et cod. mss. Tat. 7961 pag. 121. ( 4 ) Arch, secret, capit. cred. XIV tom. LI fol, io 3 . ( 5 ) Ibid. tom. LXVI s et cod. jns». vat. 7961 pag. 20. ( 334 ) sini di Bracciano (i). Ma Francesco canonico di s. Pie¬ tro , e signore di una parte di Ceri , dicliiarossi con quella terra dalla parte opposta. Fu percio net i 486 privato della prebenda , ed i ceriti furono diehia- rati ribelli (2). 33 Cio non ostante nell’anno seguente egli corn- pro per se , e per Giovanni suo fratello , porzione di Ceri da altri suoi agnati ( 3 ). 34 In una sloria manoscritta dell’Anguillara tro- vo che i conti di quella terra si estinsero sotto il pon¬ tifical d’Innocenzo VIII. Non saprei se sia accaduto anclie lo stesso del ramo di quella famiglia che do- minava in Ceri. 33 Sappiamo bensi che quella terra era di Gio¬ vanni Orsino, allorquando Alessandro YI nulla lasciava d’intatto per &pegnerli (4). 36 Imperocche leggiamo nella storia del Guic¬ ciardini , che nel i 3 o 3 il duca Valentino ando a porre il campo a Ceri , ove con Giovanni Orsino signore di quel luogo era Renzo suo figliuolo , e Giulio e (1) Infessura, diario R. I. S, tom. Ill part. II pag. 121 5 . (2) Bull, basil, vat. tom. II pag. 241. ( 3 ) Arch, secret, capit. tom. LXVI fol. 22 , et cod. mss. vat. 7961 pag. 36 . ( 4 ) Cod. mss. vat. 7037 pag. 57. ( 335 ) Frangiotto della medesima famiglia. Soggiunge lo sto- rico, che Ceri era per la fortezza del suo sito molto celebrata, perclie posta su di un raasso , anzi piii presto in su un poggio tutto di un sasso intero. E per questo, e per esservi copia di valorosi difensori, riu- sciva al Valentino 1 ’impresa difficile; il quale per espu- gnarlo ne diligenze , ne industria pretermelteva , aiu- tandosi, oltre a molte altre macchine belliche per su- perare Y altezza delle mura, con gatti e con vari istro- menti di legname. Finalmente gli assediati, vessatl di e notte in molti modi e con molti assalti, si arrende- rono con patto che a Giovanni signore della terra fosse pagato dal pontefice certa quantita di danari, e che egli, e tutti gli altri fossero lasciati andar salvi a Pili- gliano (i). Colla morte di Alessandro VI, e la caduta del Valentino, Ceri ritorno naturalmente agli Orsini. 37 Renzo da Ceri, assediato in quella terra nel 1 5 o 3 , probabilmente e quello stesso che nel 102.7 comandd infelicemente i soldati del papa contra 1’ esercito di Borbone (2). 38 Ceri fu poscia eretta in ducalo , e passo ai Cesi. Da una visita della diocesi di Porto sappiamo che apparteneva a quella famiglia nel i 636 ; ed in tal anno gli abitanti non erano che circa 120. i,'i .i\) 1 1 - j :‘.r> ;]•< to q ol ^anil's ' , (1) Lib. V cap. V. v : (2) Guicciardini, storia d’ Italia lib. XVIII cap. III. ( 336 ) 3 9 Da altre due visite risulta che nel 1660 era- ho 200, e nel 1667 erano cresciuti a aho (1). 4 0 Ceri passo quindi nella famiglia Borroraea (2), e da questa negli Odescalchi i quali la comperarono nel 1678 pel prezzo di 437,ooo scudi ( 3 ). 4 1 Nel 1 833 gli Odescalchi la vendettero ad Ales¬ sandro Torlonia, per scudi 23 o,ooo ( 4 ). 42 Nel 181 5 trovai in Ceri circa loo individui. 43 Esistono nel territorio di Ceri molli sepolcri etruschi, nei quali furono talvolta trovati eleganti vasi. 44 II territorio odierno di Ceri comprende i quarti denominati \ Monterone di rubbia . . . 2^7 Carlotta di rubbia .... 3 gz Selva della rocca di rubbia 18g sono rubbia . 838 45 Probabilmente V antico territorio cerense era molto esteso fuori dell’odierno agro romano. (1) Mss. casanat. num. Ill 29. cc. (2) Piazza, Gerarchia cartlinalizia pag. 85 . ( 3 ) Istrumento per gli atti di Malvezzi e Palazzi dei i5 marzo 1678. (4) Istromento dei 23 luglio 18 33. ( 33 7 ) 46 Io per altro mi limitero a trattare sotto que- sto titolo di Cerveteri e di Castel Campanile. CERVETERI 1 Scrissero alcuni antiquari, che il nome di Cerve- teri derivi da Caere Fetere, supponendo in Cerveteri 1 ’ antica Ceri differente da quella cosi denominata at- tualmente (i). Mentre pero, come si vide , abbiamo documenti storici di Ceri in ogni secolo, niuno finora ne vidi che indicbi la fondazione della nuova Ceri, ed il cangiamento di nome dell’ antica. Quindi fintanto- che non si provi il contrario , io dovro credere che 1 ’ odierna Ceri sia nel luogo in cui era 1 ’ antica; e che Cerveteri sia d’incerta origine. 2 Eranvi pero anticamente abitanti in questo stesso luogo , o in altro vicino. Cio risulta da molti sepol- cri etruschi che veggonsi tuttora nel suo territorio, e specialmente sopra una collina prossima a Cerveteri verso 1’ occidente. 3 La piu antica denominazione che abbia trovato di Cerveteri e in una pergamena del 1290, che si conserva Bell’ archivio Orsini, e contiene una divisione fra certi (i) Cluer. Ital. antiq. lib. II pag. 4^9. 43 ( 338 ) Bonaventura padroni di molti fondi in quelle parti. Uno di essi ebbe con altri beni il diritlo di costruire un molino nell’ acqua detta Yacina del tenimento di Cerveteri (i). 4 Nel i 3 oo trovo che era signore di Cerveteri Giacomo dei Yenturini (2). 5 Nel 1 356 abbiamo un testamento falto nella rocca del castello di Cerbetere, dal quale risulta che Buccio di Romano Bonaventura lascio ^1 suo figlio Fin- tiero Cerveteri, i castelli denominati Giuliano, Sasso A mare, Torricella, e la meta di quello di s. Severa : soggiunse che se moriva in Cerveteri, 0 in altro ca¬ stello, voleva essere sepolto presso s. Angelo sotto la rupe del castello di Cerbeteri ( 3 ). 6 In una convenzione fatta fra i Venturini nel 1 36 g si stabili che i vassalli dei castelli di Cerbeteri, di Sasso, e di Giuliano fossero fra loro comuni ( 4 ). W 7 Nel 1370 ser Angelo chiese da un giudice pa- latino il possesso di Cerbeteri, e degli altri beni che erano stati del fu Buccio ( 5 ). (1) Arch. Orsin. perg. num. 4 - (2) Cod. mss. vat. ottob. a 554 fob 353 . ( 3 ) Arch. Orsin. perg. num. 240. ( 4 ) Cod. mss. vat. 793 o pag. 57. ( 5 ) Arch. Orsin. perg. num. 54 - ( 33 9 ) 8 Nel 1374 Pietro di Romano Bonaventura dei Venturini fece testamento, e fra gli altri beni lascio ai suoi figli la meta del castello di Cerbetere (1). 9 Nell’ armamento fatto nel 1 434 da Eugenio IV contra il Fortebraccio, fu intimato a Cerveteri di man- dare venti fanti a Bracciano (2). 10 Nel i 437 Niccolo dei Venturini, dei signori di Cerveteri, vendette a Buccio dei Nobili di Bracciano alcuni fondi nel territorio di Giuliano ( 3 ). 11 Sembra eke i Venturini abbiano perduto Cer¬ veteri circa il 1470. Imperocche trovo accennato, eke Paolo II (il quale regno dal i 464 al 1471) confer- mo i privilegi alia comunita ed agli uomini di Cer¬ veteri ritornati recentemente alia fede ed ubbidienza della santa sede ( 4 ). 12 Sisto IV, successore di Paolo II, concedette Cerveteri a Bartolomeo della Rovere per se e suoi suc¬ cessor (k). 1 3 Morto Sisto IV Cerveteri fu tra i luoglii sac- ckeggiati dai Colonnesi e dai Caetani nel mese di lu- glio del 148 5 (6). (1) Cod. mss. vat. 7g3o. (2) Arch, secret, capit. cred. XIV tom. LI fol. io3. ( 3 ) Arch. Orsin. perg. num. 1214. ( 4 ) Arch, secret. capit. cred. XIV tom. LI fol. io 3 . ( 5 ) Arch, capit. cred. XIV tom. LI fol. io 3 . (6) Infessura diario. R. I. S. tom. Ill part. II pag. 1195. 43 * ( 34 o ) 1 4 Nel 1487 Bartolomeo della Rovere vendelte Cerveteri con altri luoghi a Francesco Cibo nipote (o flglio) d’Innocenzo VIII (1). 1 5 Narra 1 ’ Infessura che quel pontefice, il quale era in guerra cogli Orsini, pacificossi in quello stesso anno seco loro, e promise di dare Cerveteri e Mon- terano a Virginio uno de’ principali di quella famiglia, come segui (2). 16 Trovo peraltro die nel 1492 Francesco Cibo vendetle Cerveteri (con Anguillara, Monterano, Yiano ed altri luoghi) a Gentile Virginio Orsino ( 3 ). 17 Insorse lite fra il venditore ed il compratore per un tale contratto , e nel 149 3 Alessandro VI fece sequestrate tutti i beni venduti sino al termine della questione (4). 18 Frattanto nello stesso anno Gentile Virginio Orsino diede quei medesimi beni a Carlo suo figlio naturale ( 3 ). 19 Allorquando Pio IV nel ift6o eresse Bracciano in ducato a favore della famiglia Qrsina, vi comprese anche Cerveteri (6). (1) Cod. vat. ottob. 1 549 P a g- (2) Infessura R. I. S. tom. Ill part. II pag. 12i 5 . ( 3 ) Arch, secret, capit. tom. 67 fol. 6 Cod. vat. ottob. i 549 pag. iiSi. Arch. Orsin. prot. num. XXI Cod. vat. 7972 fob 182. (4) Cod. mss. vat. ottob. i54$. pag. ii53. ( 5 ) Cod. mss. vat. ottob* 2554 P a g* < 352 . (6) Arch. Orsin. perg. num. 2 o 32 . ( 341 ) 20 Conservasi nell’ archivio Orsini un atto dal quale risulta , che Paolo Giordano Orsino aveva do- nato i castelli di Cerveteri c di Palo a Guido Asca- nio Sforza. Questi rinuncio a tale donazione, e Pio V nel 1870 confermo tale rinuncia (1). 21 Nel 1674 Yirginio, Flayio e Lelio degli Orsini vendettero al marchese Ruspoli il castello di Cerveteri con 253 orubbia del suo territorio pel prezzo di3oo,o5o scudi alia ragione di scudi 21&: 70 a rubbio (2). 22 Rimasero allora agli Orsini £7 rubbia di ter- reno sulla spiaggia del mare , ed in essa formarono uno stagno. Sorse da cio una lite che ebbe diverse fasi in rota ( 3 ). 23 Possiedono tuttora i Ruspoli il castello di Cer¬ veteri , e la porzione compresa nell’ agro romano e di rubbia 1823. 24 Da una visita diocesana fatta nel 1 656 risulta die allora erano in Cerveteri circa 200 abitanti. In altre visite del 1660 e 1667 si accenna cbe nell’in- verno gli abitanti erano circa mille, e nella state po- chissimi (4)* (1) Arch. Orsin. perg num. 221. (2) Arch. Orsin. prot. nura. XXI. ( 3 ) Rot. dec. romanaseuportaen*terrarumdiei 23 marti 1678. Cor. Bourlemont. et diei i 685 cor. Herault. ( 4 ) Cod. mss. casanat. num. Ill 29 fol. 187 e 36 i. ( 342 ) 23 Fui in Cerveteri ai 3 di marzo del i 8 i 3 , e vidi essere costrutta sul pendio di amena collina , dalla quale si gode la veduta del mare. Estendesi il castello circa 2bo passi da mezzogiorno a settentrione , e cento da levante a ponente. Esistono tultora mura costrutte ne’ tempi di mezzo, e nella parte piu elevata liavvi una piccola rocca quadrangolare con torri ai quattro angoli. 26 Nell’inverno si contano anche ora circa mille abitanti. Ma nella state la maggior parte si allontana per timore dell’ aria cattiva. 27 Attraversata una piccola valle ad occidente del castello , vidi sopra un colle una strada incavata nel tufo per la lungbezza di circa mezzo miglio , ed ai lati della medesima una gran quantita di sepolcri elru- scbi, alcimi dei quali in ottimo stato. CASTEL CAMPANILE 1 Fra Ceri, Tragliatella, Castiglione e Palidoro esistono le rovine di un antico castello detto Cam¬ panile. 2 Tra gli avanzi della cbiesa leggesi una iscri- zione, la quale attesta essere stata dedicata nelP anno mille (1). (.) V. §. u. ( 343 ) 3 Abbiamo poi un atto rogaio da un notaio della cilta di Ceri nel ioo 3 dal quale risulta , che l’illustris- sirao e cbiarissimo uomo Giovanni figlio di Melioso console e duca, e di Marozza nobiiissima femmina dono a Giovanni nobile uomo , e figlio del fu Giovanni , e di Bellinzona illustrissima, abitante nel castello detto Piscla nel territorio di Ceri, la propria porzione di terra sementaria , cbe il suo genitore aveva acquistata da Costanza nobiiissima femmina, e dal fu Lupo. Esisteva la medesima nel territorio detto Campanino, confinante da un lato con un piccolo fosso cbe discendeva nella Solfarata (i). 4 Nella tenuta di Tragliatella, poco lungi da Ca- stel Campanile, esiste appunto un acqua sulfurea. 5 Costanza vedova di Pandolfo Andrea dei Nor- mandi, ed erede de’ suoi figli, nel 1 346 vendette a Stefano de’ Normanni il castello nuovo di Castel Cam¬ panile ( unitamente ad altri fondi vicini) coi loro vas- salli pel prezzo di 60000 fiorini (2). 6 Nel 1 48 o Giacobella madre del fu Galeotto , figlia del conte Everso di Anguillara , costitui un pro¬ curator a prendere possesso di un castello diroccato, (1) Arch, di s. Maria in via lata, e cod. mss. vat. 8 o 4 o fol. 148. (2) Arch, capit. cred. XIV tom. LXIII fob 19, et cod. mss. vat. 148. ( 344 ) detto volgarmente Castel Campanile, confinante colla tenuta di Castel Nuovo, e del castello di Palidoro (i). 7 Nel 1612 Marco Antonio Borghese acquisto una porzione ( 336 rubbia) di Castel Campanile da Mad- dalena Capodiferro (2). 8 Nel 1618 ne comprb altre a 4 o rubbia da Gio¬ vanni Battista, ed altri fratelli Cenci ( 3 ). 9 Fui in Castel Campanile nel mese di marzo nel 181 3 , e vidi essere ancora in piedi le mura di costruzione de’tempi di mezzo sopra un colle isolalo della lunghezza di circa cinquecento passi, e della Iar- gbezza media di cento. Havvi un solo ingresso dalla parte orientale , e la rocca esiste sulla parte meri- dionale. 10 Trovai le rovine di un antico sepolcro, accanto al quale eravi una scultura in rilievo rappresentanle una donna ; nella base del marmo leggevasi : (1) Arch, capit. cred. XIV tom. LXVI fol. 12. (2) Istromento per gli atti di Ciarafalletta not. A. C. dei 12 settembre 1612. ( 3 ) Istromento per gli atti di Felice De Totis segret. di ca¬ mera li 3 o agosto 1618. ( 345 ) • • • • LNIAE PANHEMERII PROCYLAE • • • • PIENTISSIMAE • • • ARCIVS AVILLIVS TROPHIMYS FECIT B 2 JBO il> olialfiibic Jir :r-r r J sc' : ' ; bn o .1 Cl T * jy ’ HOG OPVS FECIT • * * V* S- PITIVS ET S* C* ion¬ s' G- .431IZ A 12 Nel 1 83 1 e nel 1 832 Canina architetto di casa Borghese , e Spagna speculators fecero scavamenti in Castel Campanile. 1 3 Troyarono per la tenuta yari sepolcri etruschi coi loro vasi ; e nel recinto delle mura diyerse pic- ciole colonne e molti marmi , specialmente presso il sepolcro di Procula. 14 Addi 2 i di marzo del i 832 fui nuoyamente j in Castel Campanile coi due indicati scavatori e coll ar- cheologo Nibby per rettificare quanto aveva osseryato nel i8io , e yisitare gli scavamenti fatti. 1 5 La tenuta e di rubbia 56s. DISSERTAZIOAE LETT A DAL SOCIO ORDINARIO iif 0110 com NELL’ ADUNANZA TENUTA !fEL Dl l4 DI M.4GGIO 1 835. ATT3.I 0 171 A T /E I a il 0 OIL) 0 3 JAfI O' 1 m O T~ KE A / ^TIAOTSA «JJ3W .2C0r o\oov,\f. \a ii j'.v A3.-A if? 6 © /. :r'v 4fr ( 349 ) ojcjf) Ojgt'fJ ; CJjfiGftiJ f|J GALERA 0 r Diversi luogki dell’agro romano furono nei tempi di mezzo denominati Galera. Sappiamo di fatti clie Adriano I , esaltato al pontificato nel 772 , stabili due domoculte col nome di Galera. Una al decimo miglio della via Aurelia , presso santa Ruffina ; e l’al- tra al duodecimo della via Portese ( 1 ). 2 1/ indicazione della via Aurelia e di s. Ruffina relativa alia prima di queste due domoculte , certa- menle non dev’ essere considerata con precisione ma- tematica ; imperciocclie la via Aurelia non passa presso s. Ruffina. Quindi dovendosi prendere la indicazione in senso esteso , si potrebbe sospettare che quella Ga¬ lera fosse la stessa che ne porta tuttora il nome , ap- punto nel territorio di s. Ruffina ; ma piii presso la via Clodia, clie all’Aurelia, e distante da Roma poco piii delie dieci miglia. Checcke ne sia, troviamo che sul principio del secolo undecimo eravi nel territorio di Selva Candida un luogo abitato ckiamato Galera. 3 II piu antico documento che mi sia venuto fra le mani e un atto rogalo nell’anno primo del ponlifi- calo di Giovanni XVIII ai 18 di aprile ( ioo5 ) in- c8 , .gsqiHVJX .rrrim iob^cnolqrb luno'i f i ahull (■-■ ( 1 ) Anastas, in Hadrianum I, R. I. S. lom. Ill, par; I. ( 35 o ) dizione seconda (indico miuutamente queste date poi- che possono servire di lume ai cronologisti dei papi), col quale Giovanni prete di santo Stefano Maggiore diede ai quattro monasteri allora esistenti presso la basilica vaticana quattro picciole pezze di vigna che erano nel territorio di Selva Candida in Galeria , e precisamente nel luogo detto Marcapollo (i). 4 Benedetto IX, confermando nel 1037 i beni e i diritli al vescovo di Selva Candida , annovera la loro giurisdizione privativa nelle cause del clero di Galera, il quale non doveva dipendere per nulla dal tribunale laicale. Gli attribuisce la terza parte delle esazioni del clero medesimo , e gli concede inoltre una casa ac- canto alia cbiesa di san Niccolo, ed avanti alia porta del castello , cbe dianzi serviva ad uso scandaloso (2). h Intanto quella terra era governata da’ conti suoi parlicolari , e spesso molesti alia santa sede. Nel 1027 incominciamo a trovare Giovanni Tocco conte di Ga¬ lera , il quale sedette in un sinodo che Giovanni XIX tenne in Roma per giudicare alcune quistioni che si agitavano fra il clero di s. Niccolo , e quello di s. An¬ drea di Galera. Si accenna in quel atto che vi era al¬ lora mol to popolo in quel luogo ( 3 ). -iifmOU |9D . iq OC'Tfi lll)H OJi>2Gl O' :1> XUI 9 ii j (1) Cod. mss. vat. 8o54 pag. 83. ( 2 ) Marini, Papiri diplomatic num. XLVI1I pag. 82 , 83. (3) Ivi num. XLV pag. 71 . ( 3 Si ) 6 Nel io 58 Gerardo conte di Galera si uni con Gregorio conte tusculano per innalzare al pontificato Giovanni vescovo di Velletri ( sopranominato Mincio), che prese il nome di Benedetto X (i). 7 Nell’anno seguente il conte Gerardo fu accusato di aver fatto derubare presso le sue terre ire vescovi inglesi, che da Roma ritornavano alia loro diocesi (2). 8 II pontefice Nicolo II nulla lascio d’intatto per frenare la potenza di quel conte , e chiamo ( nel 10^9 ) dalla Puglia un esercito di normanni, i quali dopo di avere devastato i territorii di Palestrina , di Tivoli , e di Nomento , passarono il Tevere , e saccheggiarono tutti i castelli del conte di Galera ( 3 ). 9 Non si avvili pero per tale disastro il conte Ge¬ rardo , ma nel 1061 , dopo la morte di Nicolo II , si uni cogli altri potenti romani per ispedire ambasciadori al giovane Arrigo IV re di Germania e d’ Italia , af- finche nominasse un papa a loro favorevole (4). ro Troviamo poi che Gregorio VII nel 1074 dono 0 confermo al monastero di s. Paolo fuori delle mura l’intiera Galera co’suoi coloni e colone ( 5 ). ( 1 ) Baron, act an. io58. ( 2 ) Baron, an. ioSg. (3) Baron, an. io5g. (4) Baron, an. 1061 . (5) Bull, cassin. tom. II, pag. 107 . ( 3 S* ) 11 Ma non ostante un tale atto , i cohti di Galera continuarono a dominarvi anche nel secolo XII. Ab- biamo di fatti nell’archiyio di s. Maria Nova una sen- tenza del 1126 r dalla quale risulta, che quella chiesa possedeva la massa detta Careja , la quale era stata per moito tempo occupata ingiustamente dai conti di Galera .* ed essendo i canonici della medesima ricorsi a Callisto II ( eletto nel 1119 ), questi glie la fece re- stituire. Morto pero quel pontefice , i conti di Galera l’occuparono nuoyamente. I canonici allora ricorsero ad Onorio II, il quale prescrisse altra volta ai conti di Galera di restituirla. Aveyano sulla stessa alcune pretensioni i monaci di san Sabba ; ma i giudici non le valutarono , ed il papa disse a Benedetto arciprete di s. Maria Nova : <£ Benedetto, poicbe possiedi, pos- siedi 5 ) (1). 1 2. Nel ii 3 q Azone abate di san Paolo fuori Ie mura comparve nel concilio lateranense tennto da In- nocenzo II , e chiese giustizia contra vari potenti che avevano occupato beni del suo inonastero , e special- mente contra il conte di Galera clie teneva il castello appunto di Galera (2). Non sappiamo quale risultamento abbia avuto quella istanza. 31 a serabra che i Conti ab*^ hiano continuato ad occuparq quel luogo. (1) Arch, di s. Maria noya tom. I. (*} Galletti, Capena municipio pag. G7 , Co e app. num. III. ( 353 ) 1 3 Di fatti troviamo che nel ii 54 i canonic! di s, Maria Nova locarono ossia concessero in enfiteusi ad Anastasello , Massimo , e Yassallo cnratori di Guido figlio del fu Benedetto conte di Galera la massa Ca- reja che avevano vinto dai monaci di san Sabba , esi- stente nel territorio di Galera , e fra i seguenti con- fini. Dal primo lato il rivo Galera dalla sua sorgente sino alia strada romana , dal secondo la strada ro- raana sino ad un molino , dal terzo 1 ’ Arone , e dal quarto i territorii di Anguillara e di Cesano sino alia detta sorgente della Galera. Questa locazione fu con- fermata nel 1226 (1). 1 4 E noto che circa le Careje Frontino indico l’aumento dato all’acqua alsietina con quella del lago sabbatino (2). 1 5 In un atto del 12 33 risguardante il castello del Sasso troviamo indicati Riccardo e Guido di Ga¬ lera ( 3 ). 16 Sul declinare poi del secolo XIII troviamo che il dominio direlto di quel luogo era del monastero di s. Sabba , e l’utile degli Orsini. 17 Abbiamo di fatti un atto del 1267 dal quale risulta che Napoleone di Matteo Rubeo ( nomi fre- (1) Dell’arch, di s.. Maria nuova. Inventario de'beni fol. 32 . (2) Fronlin. de aquaed. ( 3 J Ex cod. mass. Cenci camerari colum. vat. fol. 182. 45 ( 354 ) quenti negli antichi Orsini) cittadino romano dono a Giovanni suo fratello , e cardinale diacono del titolo di S. Niccolo in carcere , la quarta parte della rocca e del castello di Galera (i). 18 Nel 1276 Bertoldo e Raimondo degli Orsini presero 1 ’ investitura di tre parti del castello di Galera dal monastero di s. Sabba sull’ aventino (2). 19 Nel 1286 Malteo Rubeo de’ figli d’ Orso , Na- poieone ed altri figli di Rinaldo degli Orsini si divi- sero fra loro i beni aviti , e Matteo ebbe fra gli altri i diritti cbe Napoleone ed i suoi fratelli avevano sul castello , rocca e borgo di Galera. Questo luogo s’in- dica esistente nella diocesi di Porto , e confinante coi castelli d’Isola di Ponte Veneno, di monte Mario, di Cornezzano , di Ceri , di Civitella , di Bracciano , di Anguillara , di Martignano , e di Cesano ( 3 ). 20 Nel i 337 il monastero di s. Sabba rinnovo a favore di Giovanni , Napoleone e Giordano degli Or¬ sini P enfiteusi di tre parti del castello di Galera ( 4 ). 21 Nel 1372 Francesco di Vico prefetto di Roma ( famoso nelle turbolenze della slato pontificio di qnelP — (1) Arch, basil, vat. caps. 61 , fol. 225 . (a) Arch. Orsin. e cod. mss. vat. 7997. ( 3 ) Cod. mss. vat. 8 o 54 i fol. 182. ( 4 ) Cod. mss. vat 7997. (m ) epoca (i)), essendo nella rocca di Galera spettante a Giovanni di Francesco degli Orsini, creo due notai (2). 22 Nel i 5 g 5 Bonifacio IX concedette a Giovanni e Poncello figli di Francesco degli Orsini, loro vita durante, il castello di Galera appartenente al mona- stero di s. Sabba , e cio col canone di tre Iibre di cera a favore di quel monastero ( 3 ). 23 Allorquando nel i 434 il Fortebraccio minac- ciava Roma, s’ intimo alia comunita di Galera di spe- dire venti uomini armati a Bracciano , dove si rac- coglieva un esercito contra quel nemico dello stato pontificio (4). 24 Nel 1 485 Galera fu saccbeggiata, cogli altri castelli degli Orsini , dai Colonnesi e dai Caetani ( 5 ). 25 Da un codice barberino sappiamo che allora quando Carlo V nel di 18 di aprile del 1 536 parti da Roma alia volta della Toscana , passo per monte Ma¬ rio e pernotto in Galera , dove fu ricevuto in ospi- zio da Girolamo degli Orsini (6). (1) Murator. an. 1875 e 1377. (2) Cod. mss. vat. 7997. ( 3 ) Arch. Orsin. perg. num. 565 , e cod. mss. vat. 7926 , pag. 277 , e 7997. ( 4 ) Arch, capit. cred. XIV, tom. LI •, pag. 195. ( 5 ) Infessura diar: R. I. S. tom. Ill part. II pag, ngS. (6) Cod. barberin. io 83 . 45 * ( 336 ) 26 Nel i^yo PioIVj avendo eretto Bracciano in ducato a favore degli Orsini, comprese nel raedesimo Galera con tutti gli altri castelli di quella famiglia (1). 27 Nel 1 636 eranvi in Galera 3 oo abitanti (2) ; nel 1660 ye n’erano 170 ( 3 ); e nel 1667 soltanto i 3 o ( 4 ). 28 Sul fine del secolo XYII gli Orsini erano gra- vati da molti debiti, e nel 1671 Fulyio (degli Or- sini di Bracciano ) ottenne da Clemente X la facolta di poter alienare Galera per pagarne una porzione ( 3 ). 29 Unnotaio, che ne fece la descrizione nel 1690, ne parla come di un luogo cadente (6). 3 0 IIPiazza, che scrisse circa il 1700, altesto che in quel tempo eranvi circa i 3 o abitanti. Era allora tutta- via officiata la chiesa principale dedicata a s. Niccolo. Cadente era l’altra di s. Andrea (7); ma erano ancora in buono stato altre due prossime chiese rurali (8). 3 1 Galera continuo ad essere abitata , ed a for- mare comunita sino al 1809 , epoca in cui fu total- mente abbandonata. (1) Arcliiv. Orsin. perg. nura. 2 o 32 . (2) Cod. mss. casanat. Ill , 29 , CC fol. i 35 . ( 3 ) Cod. mss. casanat. Visitatio dioec. Ostien. et Portuen. ( 4 ) Cod. mss. casanat. Ill, 29, CC. fol. 334 - ( 5 ) Archiv. Orsin. perg. num. 22 5 . (6) Archiv. Orsin. prot. num. 69. (7) V. S. 5 . (8) Gerarchia cardinalizia pag. 89. / ( 35 7 ) 32 La parrocchia e stata trasferita alia chiesa di s. Maria in Celsano. 33 Yisitai quel Iuogo nel febbraio del i8i5 ; os- servai essere il raedesimo sulla sponda sinistra dell’ Arone presso la via clodia , e alia distanza di un miglio dalla strada di Bracciano. Siede sopra una rupe fortificata dalla natura e dali’arte. Unico era l’ingresso difeso da tre porte. Yidi le due cbiese cadenti. Era- no circa trenla le case di quel castello. Vidi pero sui prossimi colli rovine di altri edifizi } che probabilraente formayano il borgo del castello. Una copiosa fonte scaturisce alle falde della rupe. 34 Sembra che si possono attribuire al territorio di Galera le seguenti tenute. r Baudita della comunita di Galera. S. Maria in Celsano Quarta di s. Sad da Monte Mario Monte Mariola Casale di Galera Quartaccio Casaccia Cornazzanello Cornazzano ( 358 ) BANDITA DELLA COMMUNITY DI GALERA Apparteneva questa tenuta alia comunita di Ga- lera, quando esistera. Quindi il goyerno la yendette. E di rubbia iio. QUARTACCIO DI SANTA BRIGIDA In un istrumento clie si conserva nell’ archivio della basilica yaticana si legge, che il monastero di s. Sebastiano alle catacombe nel i 4-23 possedeva un fondo denominato il Quarto delli Fratoni, confinante, fra gli altri luoghi, colle tenute dei castelli di Galera e di Anguillara. E considerando essere quel fondo si- tuato fra potenti e tiranni , dal che ne derivava che non ne ritraevano alcun frutto , lo permutarono col ca- / pitolo di s. Pietro , prendendone in cambio quindici pezze e mezza di yigne (i). Ai confini appunto dei territorii, di Anguillara e di Galera esiste un fondo denominato Quartaccio ; ma non ardirei affermare che sia realmente quello ce- duto dal monastero di s. Sebastiano al capitolo yaticano. (i) Archiv. basil, vat. caps. 3 7, fasc. i 45 . ( 35 9 ) Appartenne questo un tempo alia chiesa di s.Bri- gida , e da essa prese il nome di Quartaccio di s,Bri- gida (i). Passo quindi ai Giraud, ed e di rubbia 210 (2)* CASACCIA Appartenne un tempo agli Orsini dell’ Anguil- lara , e quindi passo ai gesuiti. Sotto il pontificato di Alessandro YII (cbe regno dal 1 655 al 1667 ) & 1 2 3 4 acqui- stata dai Chigi cbe attualmente la possiedono ( 3 ), E di rubbia 4o6. QUARTO DI S. SABBA , DI S. MARIA IN CELSANO , MONTE MARIO , MONTE MARIOLA 1 Anastasio bibliotecario ci racconta cbe il ponte- fice Zaccaria, il quale regno dal 741 al 781, stabili una domoculta al decimo quarto miglio nel patrimonio tosco, applicandone le rendite a beneficio della cbiesa (4). (1) Tavol. del Cingolani. (2) Nicolai. Memorie pag. 3 o. ( 3 ) Piazza, Gerarchia cardinalizi* pag. 80* ( 4 ) R. I. S. tom. Ill pag. 1 65 . ( 36 o J 2 L’ istesso pontefice riordino similmente altra do- moculta denominata Laureto (i). 3 Leone IX nel io 33 confermo alia basilica va- ticana i fondi denominati Camoliano , Olibula , Agello, Pina , Camarano , Loreto , e quant’altro il capilolo pos- sedeva nel territorio di Galera , fra i conflni di Boccea, del casale di Celsano spettante al monastero di s .Sabba, il fiume Galera , e l’Arone (2). 4 Sembra che quest! fondi siano stati dipoi con- cessi in enfiteusi al monastero di s. Sabba : poiche Adriano IV , confermando nel 1108 i beni alia mede- sima basilica vaticana , annovera tutti i fondi die della stessa aveva in concessione il monastero di s. Sabba nel territorio di Galera ( 3 ). 3 Da tutto cio mi sembra potersi stabilire , che il monastero di s. Sabba sull’Aventino ( del quale si han- 110 memorie sin dal 382 (4) ) nella meta del seco- lo XI possedesse di gia il casale di s. Maria in Celsa¬ no , e nel secolo seguente tenesse in enfiteusi dal capi- tolo vaticano i fondi detti posteriormente monte Mario e monte Mariola. (*) Ibid. (2) Bull, basil, vat. tom. I pag. 29 , 3 o. ( 3 ) Ibid. pag. 59, et 68 . ( 4 ) Mabillon, annal. benedict, torn. II, pag. 2 i 4 - ( 36 i ) 6 Possedeva similmente il medesimo monastero allro fondo a settentrione del casale di Celsano , e de- nominato era il Quarto di s. Sabba. Confinava queslo colla massa di Careia , della quale nel secolo XII con- trasto ( come accennai ) la proprieta ai canonici di s. Maria Nova (i). 7 II monastero di s. Sabba fu col tempo abban- donato , ed i suoi beni furono dati in commenda. 8 Giulio II nel ibi2 diede la cbiesa di s. Maria in Celsano ai monaci di s. Paolo primo eremita , che allora erano presso la chiesa di s. Stefano al monte Celio (2). g Nel 1 £>21 il cardinale Innocenzo Cibo, commcn- datore de’ss. Andrea e Sabba, concedette a Felice della Rovere negli Orsini, madre di Girolamo e di Francesco degli Orsiui, in enfiteusi a terza generazione la quarta parte della tenuta del castello di Galera detta comu- nemente il Quarto di s. Sabba, e monte di santa Ma¬ ria , come ancbe la quarta parte del castello diroc- cato di Palo , denominata il Quarticciolo di Palo, e la tenuta di Vicarello , col patto che pagasse per l’in- vestitura 2000 ducati d’ oro , ed un annuo canone di 200 ducati di camera, di 7^5 ducati da 10 car- lini, e 33 rubbia di orzo. (1) Y. Galera §. n. (2) Arch. Orsin. perg. num. 582, e prot. num. XXI. 46 ( 362 ) Leone X approvo tale contratto (i). 10 Nel 1S 5 1 il cardinale Innocenzo del Monte concedette in enflteusi a Paolo Giordano Orsini le tenute di monte Mario grande , e di monte Mario piccolo; ed a certi Casolani di Nepi concedette il Quarto di san Sabba (2). 11 Paolo IV nel i 356 concedette 1 ’abbadia di s. Sabba all’ospedale di s. Spirito ( 3 ). 12 Ma Gregorio XIII nel 1^74 la diede al col- legio germanico che la possiede tuttora ( 4 ). 1 3 Presso il casale di s. Maria in Celsano vi e una cbiesa di rozza architettura de’tempi di mezzo ( 5 ). 1 4 La possidenza del collegio germanico e la seguente: S. Maria in Celsano .. * . . rubbia 70 Monte Mario. «2b3 Monte Mariola ........ 90 Quarto di s. Sabba ....... 643 Totale, rubbia 10 36 (1) Areb. Orsin. prot. num. XXI T (2) Arch. Orsin. prot. num. XXI. ( 3 ) Saulnier. de cap. ord. s. spir. par. I cap. VI, pag. 5 *. ( 4 ) Arch. Orsin. prot. num. I. ( 363 ) CASALE DI GALERA 1 In una memoria dell’ archivio Orsini si legge, che il cardinale de Cupis nel ibi8 vendette a Riccar- do Mazzatosti il casale detto di Bandini, e con altro nome Acquasona. 2 Passo dipoi il medesimo al cardinale Antonio Maria Salviati , il quale nel 1^99 lo dono all’ ospe- dale di s. Rocco* 3 Si legge in delta memoria che la tenuta era nel territorio di Galera , e confinante colla rendita della comunita di Galera, con la strada romana condu- cente a Bracciano , e col fiume Arone (1). 4 Possiede attualmente l’ospedale di s. Rocco una tenuta nel territorio di Galera , confinante appunto cogl’indicati luoghi, e chiamasi casale di Galera. 3 Essa peralfro e soltanto della estensione di rub- bia 370. 6 Quindi sembra potersi sospettare , che antica- mente la tenuta comprendesse anche quella confi¬ nante , che conserva ancora il nome di Acquasona. Ha una estensione di 120 rubbia, ed appartiene ai Chigi. (1) Arch. Orsin. 46 * ( 364 ) CORNAZZANO , GORNAZZANELLO 1 Adilascia figlia di Cencio Frangipane, e vedo- va di Rainero conte di Cornazzano , con suo testamento del 1137 istitui eredi della meta della sua dote ( di cinquanta lire papiensi ) i suoi figli , e dono Y altra meta alia chiesa di s. Maria nova, alia quale , man- cando i figli, lascio la meta ad essi assegnata, e la quarta parte del castello di Cornazzano (1). 2 In un atto del 1286 tra i confini di Galera si annovera il castello di Cornazzano (2). 3 In altro atto del i 4 a 3 lo troviamo confinante col Quarto delli Frattoni ( 3 ). 4 Attualmente due sono le tenute di questo no- me fra loro confinanti. 5 Cornazzano dei Gabrielli e di rubbia 208. 6 Cornazzanello del monastero di s. Silvestro in Capite e di rubbia 21 3 . (1) Arch, di s. Maria nova; e cod. mss. vat. 7937 pag. 3 i. (2) Cod. mss. vat. 854 , fol. 182. ( 3 ) Act. basil, vat. caps. 37, fasc. i 45 . DISSERTAZIONE LETTA DAL SOGIO ORDINARIO DUO € O S W I NELL’ ADUNANZA TENUTA NEL V'l l 4 Dl MAGGIO l 835 . • . , S' ■ • : - - . . SBi i ATT 3 i O n * u" ffn f . t 3 o ? ■, 1 ■ I . , ... . .!. ,. ' - ( 36 7 ) LORIO 1 l-i imperatore Galba aveva una villa presso la via Aurelia , nella quale fu sepolto (i). Ignoriamo dove fosse. 2 Sappiamo bensi che sulla stessa strada al duo¬ decimo miglio eravi una villa denominata Lorio, nella quale fu educato 1 * imperatore Antonino Pio. Egli vi costrusse poscia un palazzo, del quale attesta Giulio Ca- pitolino che a’ suoi tempi (sul prineipio del quarto secolo dell’ era volgare) esistevano ancora gli avanzi. In questa sua villa infermossi quell’imperatore per in- digestione di formaggio alpino , nel mese di marzo del 161, e vi mori (2). 3 Nel concilio tenuto in Roma da Felice III nel 487 intervenne Pietro lorese ( 3 ). Sembra che quest! fosse vescovo di Lorio. 4 Non sappiamo realmente se Lorio fosse citta, villaggio 0 semplice villa. Che che ne sia , e certo (1) Sveton. in Galb. §. 20. (2) Iul. Capitol.-Eutrop. lib. VIII.D. Hieron, in Chron. Euseb. Muratori A. 161. (I) Ughel. Ital. sacra tom. Art. Lorensis^ ( 368 ) die presso le rovine del medesirao, ne’ tempi di mezzo, fu costruito un castello detto di Guido. CASTEL DI GUIDO i Conservavasi nell’ arcliivio del monastero di s. Gregorio al monte Celio una pergamena, dalla quale risultava die s. Silvia madre di s. Gregorio, nel 6 o 3 ( o piuttosto nel 5 go), dono a quel monastero la massa daudiana detta con altro nome decima, coll" antico ponte di marrno chiamato Molarotta, e circa cinquanta fondi tra loro contigui. Fra questi era il fondo di Arteula nel campo Massimo con terra per fare saline Mola rotta col suo castello , detto Ocelano, e Mon- ialto in Frontimanne. E cio colie famiglie abitanti nel castello; e colla pesca nello stagno maggiore e nel mare. Esisteva la detta massa al decimo miglio della via Aurelia fra’seguenti confini. II mare, lo stagno massimo, un casale del vescovo di Porto, il fosso di Ardilione pel quale in tempo d’inverno scorre acqua nel rio Galera; arconi antichi , la valle arenola, ed un fontana accanto alle selci. Quindi passando le selci (cioe la strada lastricata di selci) un monumento sul confine del casale di s. Angelo , la terra del vescovo di s. Ruffina , altra selce , e per la medesima sino ad un ponte di marmo sull’Arone. Quindi per l’Arone sino al guado di Patreliano, la strada pubblica , un \ t369) fosso nel quale in tempo d’inverno corre acqua net luogo detto Strapello , e pel medesimo Strapello, che consisteva in un’ acqua discendente alio stagno, sino al mare (1). 2 Gli annalisti camaldolesi nel pubblicare questo documento avvertono, essere il medesimo apocrifo, o almeno alterato. Ma frattanto esisteva di gia nel 11 15 , ed in tal anno fece fede in giudizio (2). 3 Nel 99b Costanza nobilissima femmina, figlia di. Teodora e di Francone , col consenso di Duello suo con- sorte cedette al monastero di s. Gregorio la meta del casale detto Casanobula esistente circa all’ottavo miglio fuori la porta di s. Pietro nel luogo della mola rotta, e confinante da tre lati coi beni del monastero medesimo. Ebbe in cambio di tal cessione altri due casali, uno denominato Flangino oCampo, e l’altro Forano ( 3 ). 4 Sul principio del secolo XI Silvestro abate del monastero di s. Gregorio concedette ingiustamente al- cuni fondi del medesimo nella contrada di Malagrot- ta (4). Abbiamo due diplomi, l’uno del ioi4, e l’altro del 1019, dai quali risulta che gli furono restituiti (5). (1) Annal. camald. tom. I app. pag. 296. (a) Annal. camald. tom. I, pag. 68, 69. ( 3 ) Annal. camald. tom. I app. pag. 126. ( 4 ) Annal. camald. tom. I, pag. 371. ( 5 ) Ibid. app. pag. 214 et 232 . H ( 3yo ) b Da un istrumento del 1067 si conosce che in quest’ epoca vi erano molte vigne nella tenuta di Mola- rolta (1). 6 Nel 107!) Roberta da Bagno Mucino , col con- senso di Adonato suo consorte, dono per se, suoi fi- gli, e nipoti il castello detto di Guido al raonastero di s. Gregorio coH’obbligo di pagare in ogni anno al medesimo per titolo d’investitura tre soldi e dieci some di legna (2). 7 Si comprende facilmente che questa donazione e uno di quegli atti denominati appodiazione , coi quali si fingeva che un fondo appartenesse con un piccolo canone ad un luogo pio , affinche godesse delle im- munita che allora avevano i beni della cbiesa ( 3 ). 8 Non si comprende pero da tale atto se Roberto sia stato il primo donatore, od obblatore del fondo, o pure se lo possedesse per acquisto fattone da se 0 da* suoi del monastero medesimo , colla riserva di quel tenuissimo censo, per non contravvenire alle leggi che proibivano l’alienazione dei beni ecclesiastici. 9 Devesi intanto osservare essere questa la prima volta che s’incontra la denominazione di Castel di Guido * Ignoriamo chi sia stato questo Guido che diede il no- ( 1 ) Annal. camald. tom. II., app. pag. 3 x 3. ( 2 ) Anaal. camald. tom. II, app. pag. 25 1 . (3) Muratori, antich. ital. diss. 36, tom. II, part, II, pag. 82 . ( 37i ) me al castello, e clii fosse Roberto che lo appodio nel 107^. Se pero fosse lecito di congetturare, riflet- tendo che Guido e Roberto sono nomi frequenti fra’ normanni; sapendosi che nel 10^9 vi fu un’invasione di normanni nelle vicinanze di Roma e specialment e nel territorio di Galera (1) non molto distante da quello di castel di Guido; sapendosi d’ altronde che questo fondo appartenne di poi ad una famiglia detta dei Nor¬ manni ; si potrehbe sospettare che Guido e Roberto fossero appunto di quei normanni chiamati nelle vici¬ nanze di Roma da Niccolo II per abhattere la potenza dei conti di Tuscolo e di Galera, e che poi siano stati ricoinpensati con beni ecclesiastici, come accadde al- tre volte in simili casi. 10 Nel 112!) Roberto nipote del suddetto Roberto restitui al monastero il castello che era stato concesso al suo avo (2). 11 Ai 3 di giugno del 1128 abbiamo un atto col quale Alberto figlio di Stefano rinunzio al monastero ii castel di Guido, e nel giorno stesso il monastero lo con- cesse a Giovanni e Stefano figli di Stefano , ed a Leone del fu Giovanni di Stefano, col canone di tre soldi pa- piensi e di quindici some di legna ( 3 ). La collusione ( 1 ) R. I. S. tom. Ill pag. 3oi.-Baron, ad an. io5g. ( 2 ) Annal. camald. tom. Ill, pag. 3og. (3) Ibid. pag. 3 19 , 320. 47 * ( 372 ) tra la rinuncia e la contemporanea concessione e manifesta. 12 Nel 1177 il monastero concesse quel castello a Stefauo di Pantaleone, a Gaita di lui madre, a Gio¬ vanni figlio di Benedetto ed ai loro figli maschi, e cio per 1’ annua corrisposta di tre soldi dominipapce, e di quindici some di legna (1). 1 3 In altro atto del iig 3 leggiamo che il mo¬ nastero concedette il castello di Guido colla chiesa di s. Maria a Normanno e al di lui nipote Giovanni, co¬ me pure a Stefano e ad Alberto figli del fu Stefauo Normanno ed a’loro figli e nipoti pel canoue di 66 li- bre di piccioli (2). 1 4 Innocenzo IV nel I 24 q confermo i beni al monastero di s. Gregorio, e fra gli altri nomino il castello detto Molarotta con le chiese di s. Maria e di s. Apollinare, il dominio del castello dell’Arena colla chiesa di s. Maria, ed il castello di Guido similmente colla sua chiesa di s. Maria ( 3 ). 1 3 Nel 1280 il monastero concedette a Cencio Ga- baccio la quarta parte della mela del Castellare di s. Maria di Rena , con altre prossime al medesimo. Erano tutti quei fondi fuori della porta di s. Pancra- ( 1 ) Ibid. tom. IV , app. pag. 85. ( 2 ) Ibid. pag. 1 85. (3) Ann. camalJ. tom. V apf>, pag. 34a. ( 37 1 2 3 4 ) zio vicino il castello di Molarotta , presso S. Maria di Rena, e confinanti da tutte le parti con altri beni del monastero (i). 16 Nel 1299 Bonifazio VIII confermo al mona¬ stero la snddetta bolla d’Innocenzo IV (2). 17 In un atto del 1 333 si legge che Francesco di Giovanni di Bonaventura pignoro a Costanza sua sorella, e vedova di Alberto del fu Andrea di Giovanni Stefano Normanno di Trastevere, un suo castello chia- mato Torricella fuori della porta di s. Pancrazio per la somma di 26 00 fiorini d’oro (3). 18 Nel 1377 Giovanni del fu Stefano Normanno degli Albertesclii vendette ad un pescivendolo il di- ritto di uccellare nelle tenute di Maccarese , e dei ca- stelli di Guido, di Leprignano, e di Testa di lepre ( 4 ). 19 Da altr’atto del 1426 risulta che Sagace dei Conti , vescovo cavense ed abate commendatario di s. Gregorio, raguno i monaci, ed espose che da tempo immemorabile il monastero possedeva il castello diroc- cato detto castel di Guido conlinante col castello di Molarotta, coi castelli diroccati della villa di s. Gior- V ( 1 ) Ibid. pag. 252. ( 2 ) Ibid. pag. 342 . (3) Arch, di s. Spirito in Sassia , e cod. mss. vat 801 3 pag. 5s. §• 24. (4) Cod. mss. vat. 814 B. ( 374 ) gio , di Lepringiano , di Testa di lepre e di Paola, e dall’ altro lato la tenuta della Grotta del serpente. II qual castello gli abati suoi precedessori avevano con- cesso in enfiteusi al fu Giovanni di Stefano degli Al- bertesclii, ed a 1 suoi discendenti lino alia terza genera- zione col censo di quindici soldi papiensi. Giovanni di Stefano essere morto senza figli mascbi. Aveva pero lasciati Giovanni Pandolfo e Giacomo conti di Anguil- lara e signori di Capralica, da lui discendenti per mezzo di femmine. Cbiedere i medesimi di avere a terza generazione quel fondo pel canone di quindici soldi papiensi , quindici paia di colombi, un cignale, e quattro rubbia di grano. Di fatti la concessione fu fatta (i). 20 Nel 1 448 il monastero rivendico quel castello , ed i conti dell’Anguillara con tre sentenze conformi furono condannati a restituirglielo (2). 21 II monastero di s. Gregorio dei monaci cassi- nensi , di gia dato in commenda, come accennai , nel i 4 a 6 ( 3 ), fu poscia nel 1S73 assegnato alia con- gregazione benedettina camaldolese (4). (1) Arch, secret, capit. tom. LXIV perg. XI, e cod. mss. vat. 7961 , pag. 1. (2) Annal. camald. i 4-52 tom. VII, pag. 325 . ( 3 ) V. §. 19. ( 4 ) Annal. camald. tom. VIII, pag. i 43 . (* 7 ») 22 Molti beni pero del medesimo rimasero agli abati commendatari, e castel di Guido fu dato all’os- pedale di s. Spirifo. 23 Non potei trovare l’epoca precisa, nella quale quel monastero abbia fatto un si nobile acquisto. 24 Quindi per ora mi limitero ad osservare che il Saulnier nelle sue memorie risguardanti il medesi- mo (stampate nel 1649) annovera fra i beni la fatto- ria del castello di Guido, sotto il qual nome si com- prendevano Malagrotta , Torricella , Valle bamboccia , Muratella y Selveta , Piano dell’Arone, e Casetta (1). 2 3 Soggiunge il medesimo Saulnier, essersi in que- sto fondo trovate molte medaglie ed una statua di Ci- bele assisa sopra un leone (2). 26 Trovaronsi posteriormente una Giunone velafa, una Livia in forma di Pieta , ed una Domizia in abito di Diana, che si conservano nel museo vaticano ( 3 ). 27 Nel 181 5 vidi presso il casale di Castel di Guido due frammenti d’ iscrizione, in un dei quali si leggeva FAVSTIN. AVGVST. Del resto non vi era piu altro yestigio del castello. ( 1 ) De cap. sacr. ord. s. Spirit in Saxia lib. I, cap. XI, pag. 1 3a. ( 2 ) Loc. cite (3) Visconti, Museo pio 1 2 3 clementino tom. I T tav. Ill, e tom, II r tav. XLVII, e XLVIII. ( w) 28 Nel 1824 e nel i 83 o scavandosi nel quarto detto la Muracciola , o con altro nome dclli cioccati nuovi verso i confini di Campo salino, si trovo un pa- vimento di rozzo musaico con alcuni frammenti insi- gnificanti di iscrizioni. gg La tenuta di castel di Guido era di 3 069 rubbia. 3 o Nel 1820 ne furono concedute in enfiteusi ai Rospigliosi circa b'6o rubbia, ai confini della loro te¬ nuta di Maccarese, per l’annuo canone di scudi 2100. Nelle angustie dell’ erario pontificio nel 1 833 il canone fu redento per la somma di scudi 4368 o. II principe Giuseppe Rospigliosi nel suo testa- rnenlo dispose, cbe nel caso in cui la sua discenden- za mascolina si estinguesse , questo acquisto ritorni all’ospedale (1). (j) Memorie particolari. 4IM, IPASL© m MMMMft® DISSERTAZIOrVE LETTA DAL SOCIO ORDINARIO & 19 T O KT I O COfIZ NELL’ ASUNANZA TENUTA NEL Dl l4 DI MAGGIO 1 835. .ti I . , . . t ■ • ■ r. * ■ ■ * ’ •* ■ 1 .. J t . ' £ ; UA : > TT IT T;i a •' • ; ■ • o taoa . T f •; ■ . ■ ■ / ... : v. ■ ■ ■ ( 379 ) A1SI0 1 Scrisse Dionisio , clie i pelasgi e gli abori- geni abitarono promiscuamente molte citta fabbricate da loro , o tenute un tempo dai siculi ; tai’ era la citta dei ceretani, Agilla detta in que’giorni, e tali erano Pisa , Saturnia, Alsio e& altre espugnate col volger degli anni da tirreni (i). 2 I romani stabilirono in Alsio una colonia : il cbe secondo Velleio Patercolo accadde nell’ anno di Roma 5 o 5 (2). 3 Alsio era fra quelle colonie marittime ch'era- no esenti dalle levate di soldati per gli eserciti terre- stri ( poiche probabilmente si lasciava la gioventu per la marina ). Nella seconda guerra punica pero ( nel 545 ) i giovani alsiesi dovettero colla maggior parte degli altri coloni esenti giurare di non pernot- iare piu di trenta giorni fuori delle mura della pro¬ pria colonia , fintantocbe l’inimico fosse in Italia ( 3 ). 4 Sul principio dell’ottavo secolo di Roma Alsio era un porto ( 0 rada ) molto frequentato , poiche sap- piamo che Cesare nell’anno 707, ritornando dalPAffrica, ( 1 ) Lib. I, cap. II. ( 2 ) Lib. I §. 14 . (3) Lir. lib. XXVil, cap. 38. 48 * ( 3 So ) aveva divisato di sbarcare cola, e ne fu dissuaso per la moltitudine incomoda clie avrebbe inconlrato (i). 5 Strabone annovero Alsio fra i piccioli vlllaggi che s’incontravano dai naviganti da Cosa ad Ostia, ed accenno che da Pirgi ad Ostia vi erano 260 stadi, os- sia miglia 32 e mezzo , e nello spazio intermedio eranvi Alsio e Fregene (2). 6 Plinio, descrivendo la stessa spiaggia, indico Pir¬ gi , il flume di Ceri , e la stessa Ceri quattro miglia dentro terra , Alsio , Fregene e poi il Tevere ( 3 ). 7 Nell’itinerario di Antonino leggiamo, cbe da Por¬ to a Fregene eranvi nove miglia , altre e tantc da Fre¬ gene ad Alsio , e poi quattro sino alle torri. 8 Nei tempi della grandezza romana furono co- strutte in Alsio molte ville. i. j 9 Sappiamo primieramente che una n’ebbe Pom- peo (4). 10 Valerio Massimo ( scriltore dei tempi di Ti- berio ) conservo la memoria di un giudizio popolare col quale un M. Emilio Porcinno fu condannato ad una multa di grano per avere innalzato di troppo una villa nelFagro alsiese ( 5 ). t (t) Cic. epist. lib. IX num. 6. ( 2 ) Lib. V. (3) Hist. nat. lib. Ill , cap. VIII. (4) Cic. pro Milone §. 20 . (5) Lib, VIII, cap. I. I ( 58 i ) 11 Ebbe la sua villa prediletta in Alsio Virginio Rufo che fu comandante dell’esercito roniano in Ger¬ mania , dal quale non voile accettare Fimpero offer- togli nella decadenza di Nerone. Egli fu console ne- gli anni 63 , 6g, e 97 dell’era volgare , nel qual ul¬ timo consolato mori, ed in esso ebbe per successore Tacito che gli recito l'orazione funebre (1). Egli soleva chiamare la villa alsiense il nido della sua vecchiaia , ed in essa ebbe ii sepolcro. Passo poscia la medesima a Pompeo Celerino suocero di Plinio giuniore (2). 12 Fra le iscrizioni trovate nelle rovine di Alsio ne abbiamo una dedicata dai decurioni della colonia alsiense a Caracalla nel suo terzo consolato, cioe nelFanno dell’era volgare 208 ( 3 ). 1 3 Rutilio Numanzio, nel suo itinerario scritto sul principio del quinto secolo delF era volgare, annovera Alsio fra i luoghi che prima erano piccioli villaggi, ed allora grandi ville. 1 4 All’opposto Agatia, scrittore delle guerre go* tiche nella meta del sesto secolo , annovera Alsio fra i luoghi interessanti de’quali s'impadroni Narsete neli’ Etruria , com’erano Firenze , Pisa , e Centocelle ( 4 ). d h £ ooub o88o)a oitsh 0 0 : r r> {* (.) Plin. epist lib. II, Murafori, enaali 68 , . ( 2 ) Plin. epist. lib. VI, epist. X._ (3) Giustiniani, Lettere memorabili tom. I, pag. 445 -45t (4) R. I. S. tom. I part. I pag. 384- Muratori, annali 553. ( 38 z ) i$ Nella tavola peutingeriana * descrivendosi il viaggio da Roma a Centocelle , si segnarono i luoghi e le distanze nel seguente modo. Lorio XII, Bebia- na . . . Alsio VI, Pirgi X. 16 Da tutto cio sembra potersi stabilire con fon- damento , che Alsio fosse nel luogo detto ora Palo, 17 Quindi in questo articolo io parlero di : - • ! ' | «* i . ■ JJA I ^ U * • ! • „ I • L: ' * . ; :•! ’»jjj » ) • t v fT ! i' f onn j i v V T /VMx • „ • r r- i \ r\ : • o»- *■» 1 I : s ' * 1 - UCC J X • I V*A ii . v> -J. W ! .^C*t i '• a/ PALO, E DI PALIDORO ' • fafoknoai ol cx'i si t r ' r ! I:/• irio;- no'ib >s-b -dbcb ami omBiddfi on Queste due tenute ascendono a rubbia ii 44 - . •) ooc /tr&lov cio*llob Guns'lfen PALO l oi- pJoY oio'i '. •; <■ . ic;.}» - ? 1 •. , I y.iiltnomuij. O'U’iiOiI . i.'sr.iaijsdO ;S) (1) Cod. mss. vat. Hum. 79971.1 j 1S q I .moJ .3 .1 .fl ( 383 ) 3 Da un alto del 1 38 g risulta, che in quest’epo- ca il raonastero di san Sabba possedeva la terza parte del castello di Pilo (leggo Palo ) congiunta con le al- trc parti spettanti ad Anastasella moglie di Giovanni di Sciarra di Vico. QneL castello era posto fuori di porta s. Pancrazio nelle parti di Maremma (i). 4 Nel i bog troviamo che Giulio Orsino vendette a Felice Orsina il castello diroccato di Palo per il prezzo di cinque mila ducati (2). b Nel ib2i il cardinale Innocenzo Cibo, abate com- mendatario di san Sabba, concedette in enfiteusi a Felice della Rovere degli Orsini molti beni della sua abadia, e fra gli altri la quarta parte del castello diroccato di Palo detto comunemente il quarticciolo di Palo. Questa enfiteusi nel 1 5 b 1 fu rinnovata dal cardinale abate del Monte a favore di Paolo Giordano Orsino ( 3 ). 6 Da un atto del ibyo sappiamo che questi aveva donato Palo e Cerveteri a Guido Ascanio Sforza , il quale rinuncio a tale donazione (4). 7 In quell’epoca gli Orsini affitlarono la rocca di Palo colla sua tenuta (tranne il quarticciolo ) per l’an- nua corrisposta di scudi 1420. . .(>b .att.i .iov .rj'jiO e ( 1 ) Cod. mss. vat. 7997 . ( 2 ) Arch. Orsin. perg. num. 2067 . (3) Ibid. prot. num. XXI. (4) Arch. Orsin. perg. num. CCXXI. ( 384 ) 8 Nel 1^73 il cardinale Flavio Orsino, tanto a no- me proprio , quanto di Paolo Giordano Orsino duca di Bracciano, vendette al medesimo cardinale la tenuta di Palo col suo castello confinante da un lato col mare , col quarticciolo, dall’altra con Sanguinaria, e colla te¬ nuta di Statua dell’ ospedale di santo Spirito , e per il restante col territorio del castello di Ceri , e la slra- da pubblica. Il prezzo fu di venticinque mila scudi col patto di poterla redimere (1). 9 Gli Orsini redensero di fatti quel castello , e da una memoria del 1662 risulta che il cardinale Vir- ginio e Flayio duca' di Bracciano lo ristorarono ed ampliarono molto (2). 10 Nel i 6 g 3 il giudice deputato della congrega- zione de’ baroni yendette in nome di Flavio e Lelio fratelli Orsini il castello di Palo a Livio Odescalchi per il prezzo di cento e venti mila scudi (3). 11 Gli Odescalchi lo vendettero poscia ai Grillo, e da questi nel 1763 passo ai LofFredo , dai quali nel 1780 fu ricomperato dagli Odescalchi ( 4 ). 1 (1) Ibid. prot. nura. XII. (a) Arch. Orsin. prot. num. 69. ( 3 ) Istromento per gli atti del successore di Pelusio not. A. G. dei 21 marzo 1693. ( 4 ) Istromento per gli atti del Palombi not. cap. dei 2 giut gno 1780. ( 385 ) 12 tfavvi ancora a Palo un picciolo castello, ac- canto al quale sono alcune case rurali e di delizia. Nella primavera recansi tuttora alcuni a villeggiare a Palo , e molti vi concorrono per V abbondanza della cacciagione* 1 3 Esistono sulla spiaggia del mare rovine di antichi ediflzi che si estendono interrottamente verso levante per la distanza di un miglio circa sino alia sponda del rio Cuprino. 1 4 Fu quivi trovata una statua di Seneca donata dai Loffredo a Clemente XIV, e da questo collocata nel museo vaticano (i). 1 5 La tenuta di Palo e di rubbia 447 * PALIDORO 1 Giovanni XX nel 102b , e Leone IX nel 1049 descrivendo i limiti della diocesi di Porto, accennano la strada fuori di porta s. Pancrazio sino a Paritoro , e quindi voltando per le paludi sino al mare (2). 2 In un istromento del i 4 oi tra’confini del castello di Castiglione si accenna il castello di Paratorio ( 3 ). (1) Visdtfmti, Museo' Pio-Clementina tom. Ill, pag. 17. (2) Marini, Papiri diplom. num. LII, pag. 68, e num. XLIV pag.. 84. ( 3 ) Arch, capit. cred. XIV tom. LXIV fol. 4 * 49 0 ( 586 ) 3 la altr’atto del i 48 o il castello di Palidoro e indicato tra* confini di castel Campanile (i). 4 Sul fine del secolo XVI Palidoro apparleneva ai Muti, che lo vendettero con altre tenute yicine a Camilla Perretti sorella di Sisto V (2). 6 Passo di poi all’ospedale di s, Spirito. 6 Palidoro e di rubbia 667. Q m V \ -4 ■* * ' ' (1) Ibid. tom. LXVI fol. 12. (2) Ratti, Storia della famiglia Sforza part. II pag. 35 a. pi DISSERT AZIONE LETTA DAL SOCIO ORDINARIO Al^OIIO COISI NELL’ ADUNANZA TENUTA NEL Dl l4 DI MAGGIO 1835. •• . ■ . A” l ■ . s:/ 1 * \*— ' • « ■■^3 - * * ' ( 38 9 ) SELVA ME SI A SELVA CANDIDA 1 Possedevano i veienti una selva detta Mesia, che fu a loro tolta da Anco Marcio sul principio del secondo secolo di Roma (i). Non conosciamo dove pre- cisamente fosse. 2 Sappiamo bensi che una porzione dell’antico ierritorio etrusco , e probabilmente veiente , nei tempi dell’ impero fu delta selva Nera , e quindi Candida (2). In questa contrada nel secolo duodecimo troviamo una selva detta Magia ( 3 ). 3 Checche sia delEanalogia di Mesia con Magia , in questo articolo io trattero di alcune tenute che sono presso la via Cornelia alia destra dell’Aurelia , e ad occidente delle vigne di Roma. 4 Sono le seguenti : aS’. Rujfina Paola Porcareccio Porcareccino (1) Liv. lib. I, cap. XXXIII. (2) Ughel. Ital. sacr. tom. I , pag. 89. ( 3 ) Marini, papiri diplomatici num. XLYI pag. 74* ( 3 9 o ) Porcareccina Mimoli Torrevecchia e PrimQvalle Pigneto Pedica : ' Valle canuta Acqua fredda Maglianella Selce Boccea Tragliata Tragliatella Sommano le medesime a rubbia 6320 . - r ' fc / i * ' • / * , -r ' r r ' , SANTA RUFFINA i Leggiamo negli atti dei martiri che Ruffina e Seconda sorelle , nella persecuzione di Valeriano e di GaUeno nell’anno 2^7 ( o 260 ) dell*era volgare, fu- rono martirizzate al decimo miglio della Yia 0 nel fondo detto Busso. La matrona Plautilla, padrona del medesimo , fabbrico ad esse un sepolcro (1) 5 e cosi ebbe origine la chiesa di s. Ruffina. (1) Bolland. ad diem 10 Iulii. Baron, an. a6o. ( 391 ) 2 Questa chiesa fu quindi sede di un vescovo, al quale fu assegnato ( come occupa tuttora ) it se- condo posto fra i suburbicarii, ed ha giurisdizione so- pra il tratto dell'agro romauo clie dalla medesima si esteude alia riva destra del Tevere , fra Roma ed il territorio di Riano. 3 II primo vescovo di s. Ruffina , detto quindi volgarmente di Selva Candida , di cui si faccia men- zione nella storia ecclesiastica , e Diodato cbe inter- venne al sinodo romano tenuto dal pontefice Simmaco nell’anno 5o2 (i). 4 Anaslasio bibliotecario ci narra cbe Adriano I sul declinare dell’ ottavo secolo , e Leone IV nella meta del nono, risarcirono la basilica delle sante Ruf- fina e Seconda nella Selva Candida (2). 3 Sergio III in una bolla del 906 racconta, cbe quella cbiesa era stata rovinata dai saraceni , ed i casali erano quasi senza agricoltori ed abitanti ; quindi per ristabilirla , le dono la Massa Cesana con altri beni ( 3 ). 6 Giovanni XIX nel 1027 confermo i beni clie aveva il vescovo di Selva Candida tanto nel suo terri- (1) Ugbelli, Ital. sacr. tom. I. (2) R. I. S. tom. III. ( 3 ) Marini, Papiri diplomatici, num. XXIV , pag. 32 . ( 3 9 2 ) torio , quanto altrove; ed annovera fra i medesimi la Selva Magia presso il flume Galera (i). 7 Del resto sul principio del secolo XII essendo la cattedrale di s. Rulfiua nuovamente caduta in ro- vina , Callisto II nel 1120 uni quella sede alia con- finante di Porto (2). 8 Le reliquie delle sanle Ruffina e Seconda fu- rono portate a Roma, e collocate in una cappella presso il battisterio di Costantino dove tuttora sono vene¬ rate ( 3 ). . 9 II fondo , in cui era quella chiesa, conserva tut¬ tora la denominazione di s. Ruffina. Il Piazza asserisce die sul principio del secolo XVIII vedevansi ancora in una parte della tribuna della chiesa le immagini delle due sante martiri (4)^ 10 Visitai quel luogo nel 181 5 ; vidi gli avanzi di alcuni ediflzi , ma talmente rovinati cbe non era possibile il discernere a qual uso servissero. 11 Un fondo detto santa Ruffina spettava un tem¬ po alPospedale di santo Spirito , e fu alienato nella (1) Ughelli, Italia sacra tom. I, pag. 9 3 . Marini, Papiri di¬ ploma n. XLVR (2) Ughelli, Italia sacra tom. I. ( 3 ) Piazza , Gerarcliia cardinalizia pag. 63 .. ( 4 ) Gerarcliia cardinalizia pag. 62. ( 3 9 S ) infausta epoca del 1^27 (1). Probabilmente il mede- simo era uno di quelli compresi attualmente nella te- nuta di Porcareccino. 12 La tenuta di santa Ruffina appartiene ora all’ospedale di Sancta Sanctorum , ed al monastero della Purificazione. 1 3 L’estenzione e di rubbia 76. PORCARECCIO, PAOLA 1 Celestino III nel 1191, confermando i beni alia chiesa di s. Maria Domina Rosa, annovera i fondi detti Porcareccio , Capo Cavallo , Galera , Rofanione , Ser- yiliano , Arcione , e Forno Saraceno , esistenti fuori la porta di s. Pietro , alia distanza di circa otto mi- glia da Roma, sulla via Cornelia. I confrni erano dal primo lato i casali della diaconia di s. Angelo , dal secondo quelli del monastero di s. Andrea apostolo ( cioe al clivo di Scauro ), e delle ancelle di Dio ( an- tica cbiesa presso Monserrato), dal terzo il fondo Yi- varolo , e dal quarto la terra del vescovo di santa (1) Saulnier, de capit. s. Spiritus in Saxia part. I cap. XI pag. i 3 o Bibl, chig. mss. G. Ill 53 pag. 607. bo ,( ^94 ) Rufifma ed i fondi di Memolo e di Prisella , come if tulio risultava dalle scritture autentiche dei fu Gra- ziano , Gregorio , Domina Rosa , ed Imilla fondatori della chiesa di s. Maria e del beato Lorenzo nel ca- steilo Aureo (i). 2 La distanza di otto miglia sulla via Cornelia , ed i confini col fondo Mimolo e con quelli di s. An¬ drea apostolo ( cioe di castei di Guido ) , combinano appunto coll’odierna tenuta di Porcareccio. 3 Sappiamo pero che i beni della chiesa di s. Ma¬ ria di Domina Rosa da Innocenzo VII furono asse- gnati nel i 4 o 3 a quella di s. Catarina presso il por¬ tico di s. Pietro ( dernolita a tempi di Alessandro VII ) , e quindi da Paolo II nel i 4 yo donati alia basilica vaticana (2). 4 D’altronde troviamo che nel 1491 il cardinale Giovanni di Belve francese dono all’ ospedale di s. Spi- rito in Sassia il fondo di Porcareccio ( 3 ). 5 Di fatti quest’ ospedale possiede ancora la te¬ nuta di Porcareccio di rubbia 894. 6 Leggiamo nell’Infessura che nel giorno 28 di giugno i 486 il duca di Calabria, avendo il campo a fi) Bull, basil, vat. tom. I , pag. 74 » 7$. (2) Bull, basil, vat. tom. I, pag, 74, not. A tom. II pag. 60 et 73, ( 3 ) Saulnier , de cap. ord. s. Spirit, part. I, cap. VI , pag. 45 ». et: cap. XI, pag. 1 35 .. ( 3 9 S ) Porcareccio , presero fuoco le tende ed ebbe un danno di 4ooo scudi (i). 7 la questa tenuta fa trovato il musaico che ora e nel payimento della stanza delle muse nel museo yaticano (2). PORCARECCINA 1 Fra i beni posseduti una volta dall’ospedale di s. Spirito e poi alienati, il Saulnier annovera un fon- do denominato santa Ruffina (3). 2 Troviamo di fatti cbe nell’epoca del sacco di Borbone farono venduti sette casali da quello stabili- mento a Domenico de’ Massimi pel prezzo di scudi ven- tisette mila e seicento. Chiamansi essi s. Ruffina , Valle Farina , Formello , Mucciofiore , Larino , Valle Calcala , e san Niccola (4). 3 Trovo di poi che i Massimi sul principio del secolo XVIII possedevano nelle vicinanze di santa Ruf- fina una tenuta denominata Porcareccio , per la quale (1) R. I. S, tom. Ill , par. II , pag. 1208. (2) Visconti, Museo Pio Clementino par. VII. ( 3 ) De cap. sacr. ord. s. Spir. in Saxia par. I, cap. XI , pag. i 3 o. ( 4 ) Bibl. dug. mss. G. Ill 58 pag. 6 > 7 Arch. Massimi. b'o * ( 3 9 6 ) ebbero molte liti ; come risulta da decisioni rotali avanti Ansaldo , Emerix , e Molines (i). 4 Probabilmente dal vocabolo di Porcareccia de- rivo il diminutivo di Porcareccina. 5 Checche ne sia, Borghese possiede attualmente nel territorio di Selva Candida due tenute delte Por¬ careccina. In una e un quarto delto di s. Ruffina (a) , e questa e di rubbia 383. 6 L’altra e compresa in quella detta s. Niccola , unitamente ad altre denominate un tempo Acquaviva, e torre Spaccata (3). BOCCEA 1 Abbiamo di sopra osservato che Ruffina e Se- conda nell’anno 260 furono martirizzate nel fondo Busso al decimo miglio della via Cornelia (4). Igno- riamo quale fosse la estensione di quel fondo. 2 Sappiamo bensi che nel 270 in un fondo detto alle Ninfe di Catabasso 3 al decimo terzo miglio della (1) Cor. Ansaldo dec. 129, et 25i. Emerix dec, 1 36 a. Mo¬ lines dec. 718,954, ii27,et j 3 18. (2) Nicolai, Meraorie tom. I , pag. 62. ( 3 ) Y. Veio. Nicolai, Meraorie tom. I, pag. (4) Y. S. S. Ruffina. ( *97 ) slessa via Cornelia, subirono il martirio quattro nobili persiani , cioe Mario e Marta coniugi con Audiface ed Abachum loro figliuoli. Una matrona delta Felicita li seppelli in un suo fondo (i). 3 Nell’ anno 834 troviamo che Leone IV dono o confermo al monastero di s. Martino presso la basilica vaticana il fondo Bucceia , colie cbiese dei santi mar- tiri Mario e Marta , e dei loro figli ( 2 ). 4 Adriano IV nel ub 8 confermo alia basilica vaticana il castello di Bucceia colle stesse chiese , e co’suoi fondi , cioe Attieiano, Colle e Paolo (3). b Non sappiamo quanto tempo siansi conservati in Boccea le reliquie di quei santi martiri. Abbiamo pero memoria che nel 1228 i corpi di s. Mario e di Santa Marta erano di gia trasferiti a Roma nella chiesa di s. Adriano. Quelli poi dei loro figli furono collo- cati nella chiesa di san Giovanni Calibita nell’isola Tiberina (4). 6 In un istrumento che si conserva neH’archivio della basilica vaticana si legge, che nel 1166 Stefa- no , Cencio e Pietro fratelli germani , e figli del fa Pietro di Cencio , cedettero a Tebaldo altro loro fra- (1) Bolland. et mardrolog. ad diem 19 ianuari. (a) Boll, basil, vat. tom. I, pag. 1 6. ( 3 ) Ibid. pag. 58 . ( 4 ) Baron, ad an. 270, u ( 3 9 8 ) fello la loro porzione che avevano nel castello di Buc- cega (i). Non saprei se costoro fossero enfiteuti o pure usurpatori di Boccea. 7 Esiste nel medesimo archivio un bando col quale Giacomo, Oddo, Francesco e Giovanni di Obi- cione senatori di Roma nell’anno 58 della rinnova- zione del senato, (cioe nel 1201 ) stabilirono che la cliiesa di s. Pietro possedesse e godesse tranquilla- mente tulti i suoi beni, e gli abitanti del castello di Bucceia fossero specialmente sotto la protezione del senato. I canonici godessero nel medesimo gli usi e le consuetudini come le godevano i loro vicini , cioe come 1 ’ esercitavano nei loro castelli i figli di Slefano Normanno, Guido di Galcra , e Giacomo di Traglia- ta (2). (Questo documento, forse inedito, potrebbe ser¬ vice a rischiarare in parte la storia dei senatori di Roma in quell’epoca molto confusa ( 3 ) ). 8 Da una bolla di Gregorio IX del 1240 risulta , che in quei tempi il castello di Boccea era stato di- strutto da un incendio , ed il ponlefice accordo al ca- pitolo di prendere danari dal tesoro della basilica per ristaurarlo (4). (j) Arch, basil, vat. caps. 3 G fasc. 142. (2) Arch, basil, vat, caps. 36 fasc. 142. ( 3 ) Vitale, Storia diploraatica dei senatori di Roma pag. 74* ( 4 ) Bull, basil, vatic, tom. I, pag. 124. ( 1 2 3 4 99 ) 9 Annibaldo e Napoleone senatori diRoma nel i 244 confermarono il suddetto bando o privilegio emanato dai loro predecessori nel 1201 , relativamente al castello di Boccea (1). 10 In un lodo pronunziato nel 1270 in una lite di confini di quella tenuta , fra’ testimoni e sottoscritto Carbone visconte del castello di Boccea (2). 11 In un antico necrologio, in cui sono descritti i benefattori della basilica vaticana, trovansi registrati molti legati lasciati alia medesima dagli abitanti di Boccea (3). 12 Nel i34r Giacomo de’Savelli assalto co’suoi armali il castello di Boccea , lo prese , ne scaccio gli abitanti , lo saccheggio , ed incendiollo. Benedetto XII dimorante in Avignone scrisse al rettore del patrimo- nio di s; Pietro di costringere quel prepotente a risar- cire il danno (4). 13 Non conosciamo qual effetto abbiano avute le premure di quel pontefice ; osservo soltanto che dopo quell’ epoca non trovai piu memoria di abitanti in Boccea. 14 La tenuta appartiene tuttora al capitolo di s. Pietro. (1) Vitale, Storia diplomatica dei senatori diRomap. 101*108 . (2) Arch, basil, vat. caps. 36 fasc. 142. ( 3 ) Arch, basil, vat. ( 4 ) Bull, basil, vat. tom. I, pag. 319 t • f ( 4oo ) 15 Fui in Boccea nel di i di marzo del i8i3, e vidi che il casale ( costrutto probabilmente sidle ro- vine dell’ antico castello) e fabbricato sopra un colle isolato della lunghezza di 80 passi e della larghezza di 20. Sgorga alle falde del medesimo una copiosa fonte. 16 Esisle tuttora una cbiesa dedicata ai suddetti santi martiri, costrutta elegantemente nel 1779, come atlesta una iscrizione sulla parete della medesima. 17 La tenuta e di rubbia 736. TRAGLIATA, r TRAGLIATELLA 1 Leone IY nell’ 834 dono o confermo al niona- stero di s. Martino presso la basilica yaticana il fon- do Adtaliano sulla yia Cornelia (1). 2 Leone IX nel io 33 confermo alia stessa basi¬ lica i fondi Tulliano maggiore e Tulliano minore (2). Lo stesso fecero Urbano III nel 1186 ( 3 ), e Grego¬ rio IX nel 1228 ( 4 ). (1) Bull, basil, vat. tom. I, pag; i 5 . (2) Ibid. pag. 3 o. | 3 ) Ibid. pag. 70. (4) Ibid. pag. 114. r . ,< n ; . i ,2 ( 4 oi ) 3 Sembra potersi stabilire, che questi due fondi siano quelli che poi furono denominati Tragliata e Tragliatella. 4 In un editto del senato romano del 1201 si accenna un Giacomo signore ( non saprei se utile 0 usurpatore ) del castello di Tragliata (1). 5 Tragliatella fu talvolta delta castello di Civi- tella. Cosi e nominata in un istrumento del 1286, nel quale si annovera tra i confini di Gal era (2). 6 Nel 1 346 Costanza vedova di Pandolfo Andrea dei Normanni, ed erede de’ suoi figli, vendette a Gio¬ vanni del fu Stefano di Giovanni Stefano dei Norman¬ ni, ed a Stefano dei Normanni, i castelli ereditarii di Ceri, Castel Campanile , Loterno , e Civitella ( 3 ). 7 In un atto del i 423 fra’confini di un fondo denominato Quarto delli Frattoni ( forse l’odierno quar- Uccio di s. Brigida presso Galera) si accennano i ca¬ stelli di Civitella e di Tragliata ( 4 ). 8 Giulio III con suo moto proprio del 1 554 , con- fermando l’aflitto di diverse tenute della basilica va- ticana , annovera fra le altre i casali di Tragliata c di Civitella ( 3 ). {1) Arch, basil, vat. caps. 36 , fasc. 142. (2) Cod. mss. vat. 8064, fol. 182. ( 3 ) Cod. mss. vat. 8 oi 4 > et arch. cap. ( 4 ) Arch, basil, vat. caps. 77 , fasc. i 45 . ( 5 ) Bull, basil, vat. tom. Ill pag. 23 . ( 402 ) 9 Gli editor! del bollario della basilica vaticana nel pubblicare tale documento attestano, risultare dall’ archivio che la tenuta di Civitella cangio il nome in Tragliatella (i). 10 Fui a Tragliata nel di i di marzo del i 8 i 5 , e vidi il casale eostrutto sopra una rupe che da Ion- tano presenta l’aspetto di una fortezza. Non vi trovai pero alcun indizio di fabbriche antiche. 11 Tragliata e Tragliatella appartengono tutlora al capitolo vaticano. 12 Tragliata e di rubbia 96 5 . 1 3 Tragliatella e di rubbia 976. (1) Ibid. not. m SHAG (SAKE SE, MELA ¥11L3LA M S» B M (OAffif® iALIIKO DISSERTAZIOIVE LETTA DAL SOGIO ORDINARIO I1TOHOCOIfI NELL’ ADUNANZA TENUTA NEL El t 4 DI MAGGIO 183 5 . ' .'V. ' * • - ' o ■ r- p - ; / ' . / ( 4 o!> ) FREGENE 1 Fregene era un luogo abitato sulla spiaggia del mare. 2 Silio Ilalico, scrittore nel primo secolo dell’era volgare, aimoverando le citta italiane che si armarono a’ tempi della seconda guerra punica , dopo Alsio indica Fregene, ed accenna essere in un campo squallido (i). 3 Velleio Patercolo , accennando Io stabilimento di varie colonie romane, scrire cbe nell’anno prete- dente al consolato di Torquato e di Sempronio ( cioe di Roma £07 ) fu condotta una colonia a Fregelle. Alcuni commentatori in yece di Fregelle (forse l’odierno Ceprano) leggono Fregene (2). 4 Checche ne sia % e certo cbe nell’anno di Ro¬ ma 36 1 Fregene fu tra le colonie , le quali preten- devano la vacazione marittima , cioe di essere esenti daU’armamento navale contro diAntioco; ma le loro istanze non furono ammesse ( 3 ). 5 Strabone ( 4 ) e Plinio ( 5 ) indicano Fregene tra Alsio ed il Tevere. (1) Lib. VIII. (*2) Hist. lib. I, cap. XIV. Ibid. not. edit, taurin. i 83 i. ( 3 ) Liv. lib. XXXVI, cap. III. ( 4 ) Lib. V. ( 5 ) Hist, nat. lib. Ill, cap. VIII. ( 4o6 ) 6 Nella tavola peutingeriana leggiamo , che da Porto a Fregene si contavano nove miglia , ed altret- tante da Fregene ad Alsio. 7 Da tutto cio sembra potersi con fondamento sta- bilire , che Fregene fosse presso l’Arone nell’odierna tenuta di Maccarese. 8 E qui non debbo tralasciare di avvertire , che nel 1829, scavandosi in questa tenuta in un sito di- stante circa cento passi a settentrione della torre ed altrettanti ad oriente delP Arone , presso la capanna delle bufale detta di primavera , fu trovato un fram- mento d’iscrizione della grandezza d'un palmo quadra- to , nel quale si legge: I • IMPER MAXIM T • TERT COLONI niV: ltl . 0; - ;c. '* !ii.7 11 f { Si proseguirona gli scavamenti per trovare il pezzo raancante , ma finora tutte le diligenze furono inutili. Intanto in quest’articolo io trattero delle tenu- te di Maccarese Salsara e Campo Salino . ( 4o7 ) MACCARESE i Tra i fondi della Massa Claudiana, donata da s. Silvia almonastero di s. Gregorio al clivo diScauro nell’anno 5 go ( o 6 o 3 ), ve n’erano alcuni nel Campo Massimo , con la pesca nello stagno maggiore e nel mare. Tra i confini s’indicarono il mare, lo stagno inas- simo , un casale del vescovo di Porto , ed un fosso che sboccava nel rio di Galera; quindi dopo di aver- ne accennati altri sino ai beni del yescovo di santa Ruffina, s’ indica la strada selciata sino ad un ponte sull’Arone, e poscia pel medesimo fiumicello sino al guado di Patreliano. Poscia la strada pubblica ( pro- babilmente quella ch’e paraiella alia spiaggia del mare alia distanza di tre o quattro miglia), un fosso nel quale in tempo d’ inverno correva acqua nel luogo detto Strapello, e pel medesimo Strapello , che con- sisteva in un acqua discendente alio stagno , al ma- re (i). s 2 Fra il mare , lo stagno , e 1 ’ Arone giace ap- punto in gran parte l’odierna tenuta di Maccarese. 3 Essa era anticamente divisa in tre tenute de¬ nominate r * r\ - r it > . i* „ i( . ? f f_ f. i ^ J ‘ » JA GVj, . f OTBI: t 1 a " IK (i) ADnal. Camald, tom. I, app. pag. 226-295. V. Castel di Guido §. r. ( 4 o 8 ) Castello della villa di s. Giorgio Vaccarese Cortec chia, •> r • ^ • I * 9 VILLA DI S. GIORGIO 4 Rammentero, che fin dal secolo XII il mona- stero di s. Gregorio concedette in enftteusi agli Stefa- nescjhi, Alberteschi, o Normanni ( elie forse erano di una sola famiglia ) una porzione almeno della Massa Claudiana (i). 5 Nel i 3 o 8 abbiamo un istromento , dal quale risulta , cbe Mobilia moglie di Stefano figlio di Gio¬ vanni di Stefano dei Normanni vendette a Giovanni figlio emancipato dal medesimo Stefano, canonico di Rheims ed abate della chiesa di san Salvatore di Casliglione nella diocesi di Porto , la quarta parte del castello col palazzo detto la villa di s. Giorgio , colla quarta parte della sua tenuta. II qual castello era situato accanto all’Arone ed al mare, congiunto con le altre ire parti spettanti ad Adalberlo zio paterno del me¬ desimo Giovanni , ed esistente nella diocesi di Porto fra’ seguenti confini. Da un Iato il castello di Casti- glione sino al mare , dall’altro il castello di Guido , (i) Annal. camald. Y. Gastel di Guido §. 6rg. ( 4 og ) e di Lapruagiana ( fondo unite a Torre in Pietra ) (i) sino al mare. II prezzo fu di mille florini d’oro (2). 6 In un atto del 1426 concernente castel di Gui¬ do , fra’ confini del medesimo s’ indica il castello di- roccato della villa di s. Giorgio, e si acGenna essere estinta la famiglia degli Alberteschi ( 3 ). 7 In un istromento del i 44 i tra’ confini del ca¬ stello di Leprignano s’indica il castello della villa di s. Giorgio. 8 Nel 1 4^7 il tenimento della villa e indicato tra’confini di Corteechia ( 4 ). 9 Troviamo poscia , che nel 1469 Alessandro degli Alessandrini vendette una quarta parte del ca¬ sale della Villa agli eredi del quondam Giovanni Matteo de’Mattei pel prezzo di scudi seicento : ed al- tra quarta parte la vendette per una simil somma agli eredi di Giovanni Paolo de’ Mattei. In un inventario poi del 1 5 1 3 si scrisse, che V intiero casale spettava ai Mattei (h). 10 In un atto del i 4 g 6 fra’confini del casale di Leprignano si annovera la tenuta della Villa. (1) V. Torre in Pietra §. . . (2) Arch, capit. cred. XIV, tom. 63 p. 14. ( 3 ) Arch, capit. cred. XIV , tom. 64 fol. 11 cod. mss. vat. 7961 p. 1. ( 4 ) Memorie dell’ arch. Massimi. ( 5 ) Memorie dell’arch. Mattei. Sa ( 4io ) 11 In altro simile del 1 5 1 5 si cita il casale della Villa (i). VACCAKESE / ' ' ' - ' * * *' . { f 12 Quanto a Yaccarese incominciarao a trovare , clie nel 1377 Stefano Normando degli Alberteschi del rione di Trastevere vendette ad un pescivendolo il diritto di caccieggiare nelle tenute di Baccarese , e dei caslelli di Guido, di Lepriguano , e di testa di Lepre (2). 1 3 Abbiamo poi un istrumento dei 24 di genna- io 1^27 , dal quale risulta , che il magnifico signore Giovanni Battista dell’ Anguillara signore del castello di Stabbia vendette alFillmo signore Ciriaco Mattei il casale di Vaccarese pel prezzo di quattordici mila du- cati di carlini ( 3 ). 1 4 Nella tenuta di Maccarese esiste tuttora una chiesa dedicata a s. Giorgio. Poco lungi estendesi verso levante una porzione del fondo detto Pantano della Villa. Da tutto cio sembra potersi eon fondamento de- durre, cbe la tenuta del diroccato castello della villa di s. Giorgio abbia perduto il suo nome particolare , (1) Memorie dell’ arcli. Massiaii. (2) Istrumento per gli alti di Antonio de’Stambis neirarch.. di s. Angelo in pesclieria, e cod. mss. vat. 8014 B, ( 3 ) Memorie dell’ arcli. Mattei. ( 4 u) allorquando i Mattei vi unirono I* altra pm estesa di Yaccarese. 1 5 Nel itfGg Paolo Mattei costrusse quattro pic- cioli bastioni attorno al casino (1) , per metterlo al si- curo da un colpo di mano de’corsari, che allora in- festavano frequentemente le spiagge romane. CORTECCHIA • r * - f 16 Di Cortecchia sappiamo , che Massimo de’Mas- sirni ai 12 di gennaio del 14^7 acquisto dal conte Lorenzo e fratelli dell’Anguillara la tenuta di Torre in Preta unitamente alia meta del casale , 0 castello di- roccato di Cortecchia. Confinava qnesta colla tenuta della Yilla , con quelle di Torre in Preta , mediante la strada, Laprungnana, ed il lido del mare. II prezzzo fu di tre mila ducati d’oro (2). 17 Nel 1H06 Ascanio de’Massimi ne vendette una terza parte al signor cardinale Giustiniani pel prezzo di sedici mila scudi da giuli dieci ( 3 ). 18 Nel 1^67 Ascanio de’Massimi figlio di Luca ne compro daLucrezia del Bufalo una decima sestaparte (4). (1) Iscrizione nella cortina meridionale. (2) Dell’ arch. Massimi. ( 3 ) Dell’arch. Mattei. ( 4 ) Dell’ arch. Massimi. h2 * ( 412 ) 19 Trovo quindi, eke ai 24 di maggio del 1^74 la signora Marzia del Bufalo moglie dell’ illustre si¬ gnore Angelo Capranica ne vendette un’oncia all’illu- strissimo signore Paolo Mattei pel prezzo di scudi mille settecento cinquanta. 20 Add! 11 di settembre dello stesso anno la ma- gnifica signora Flaminia del Bufalo moglie del magni- fico signor Camillo Panfili ne vendette alio stesso Mat¬ tel un’altra oncia pel medesimo prezzo. 21 Ai 1 4 di maggio del la signora Tarquinia del Bufalo , figlia del fu Paolo, ne vendette quattr’ on- cie al medesimo Mattei pel prezzo di scudi 7000. 22 Addi 22 di giugno del 1^78 il magnifieo si¬ gnore Ascanio del Bufalo ne vendette alio stesso Mattei un’oncia similmente per scudi 17^0. 23 Ai 18 di aprile del ibgb' Andrea Cesi ven¬ dette a favore del cardinale Girolamo, di Ciriaco, e di Asdrubale fratelli Mattei la pesebiera delle telline esistente sulla spiaggia del mare del casale di Cortec- chia e Cesolina , 0 Villa , per scudi 2000. 24 Trovo inoltre, cbe ai 26 di settembre del i 6 o 3 il signor Carlo figlio della bo. me. Luca de’ Massimi vendette alP illustrissimo signor Asdrubale Mattei tre oncie , quattordici danari , ed una settima parte di danaro del casale di Cortecchia pel prezzo di scu¬ di 9421 (1). (1) Memorie dell’arch. Mattei. ( 4>3 ) 2% In tal guisa i Mattei, unendo le tenute della villa di s. Giorgio , di Vaccarese, e di Cortecchia , ne formarono una sola , detta di poi Maccarese , dell’ estensione di rubbia 1700. 26 Nel 1 683 Alessandro Mattei vendette a Ste- fano Pallavicini la tenuta di Maccarese per il prezzo di scudi duecento e settanta mila. 27 Da’Pallavicini la tenuta passo per eredita a’ Rospigliosi. 28 Nel 1820 i Rospigliosi presero in enfiteusi dall’arciospedale di s. Spirito circa 36 0 rubbia della confinante tenuta di castel di Guido per l’annuo ca- none di scudi 2100. 29 Nel 1 83 2 il governo per le angustie deU’erario vendette il canone ai medesimi Rospigliosi per la som- ma di scudi 43 ,680 , e diede all’ospedale una rendita equivalente sul debito pubblico (1). 3 0 La tenuta di Maccarese e destinata al pa- scolo di vacche e di bufale. E una tradizione nella medesima , cbe quel procoio di bufale si a il piu an- tico dell’agro romano. Se cio fosse vero , ne derive- rebbe, che quegli animali forse vi sarebbero stati in- trodotti all’epoca di s. Gregorio Magno. 3 1 Imperciocche sappiamo da Paolo Diacono , f 1 .tO'jJ .U >1 .11 m ' 1 ' 111 .WJBUwgU J c \ / T* a \ I tnr(1 •Of! iil0 ‘> ."V (1) Memorie particolari. ( 44 ) che furono per la priina yolta porlati in Italia nel , ed i popoli rimasero mollo maravigliati nel vederli (i). 32 Add! 24 - di maggio del 1748 un bastimento di corsari barbaresclii arenossi sulla spiaggia di Mac- carese , e 26 turchi ( in un tempo nel quale ancora si temevano ) furono fatti prigioni dai pastori del fon- do. Di questo avvenimento localmente celebre esisto- no monumenti sulla facciata della chiesa , e per le scale del casino. STAGNO . • - 33 A 1 confine orientale di Maccarese , verso Por¬ to , v’e uno stagno. II bacino del medesimo e di circa sette rubbia quadrate. Nei tempi piovosi pero le acque slagnanti si estendono nella confinante tenuta di Campo Salino per lo spazio di circa seicento rubbia (2). 34 Questo stagno nei tempi di mezzo cliiamavasi maggiore ; e , come accennai di sopra, fu compreso nella donazione fatta da santa Silvia al monastero di s. Gregorio nel £90 ( 3 ). .-if" • O' f •j i T'' , f t V : : i . ’ * j ' - ' ‘ * 1 * 3 . '!>'.» ^ '. * < w ' f\ f 761 •' ; '• v ■ A • a ; ofr- ri ■ •• ,.y ■ i (i) De gest. longobarcl. lib. IV cap. II - R. I. S. tom. I, part. I, pag. 4^7. (a) V. Campo Salino. (3) S- *• loorM ( 4i5 ) 35 Una quarta parte pero del medesimo si trova di poi concessa dai pontefici al vescovo di Porto. Im- perciocche sappiamo, che Benedetto YII nell’anno i o 18 ne confermo a quel vescovo tre once con vari beni attorno , secondo le concessioni de’ suoi predeces¬ sor! (i). 36 Nel 1 1 1 5 l’universita (detta allora scuola) dei pescatori tento d’irapedire ai ministri del monastero di s. Gregorio di pescare in quello stagno, impugnan- done il diritto. L’abate cito i pescatori avanti il ve- scoyo di Porto, adducendo in suo favore, che s. Sil¬ via aveva donato al monastero una parte dello stagno , e tale donazione era stata confermata da vari ponte¬ fici. Soggiungeva, esservi ancora i termini di marmo e di travertino che dividevano la porzione del mo¬ nastero. I pescatori fondavano il loro diritto sopra una concessione pontificia. Il vescovo non voile decidere la quistione, ma la prolungo fino all’arrive di Pa- squale II, che allora era a Benevento. Il papa al suo rilorno intese due volte le parti, lesse e rilesse i do¬ cument del monastero, e finalmente pronunzio la sen- tenza in suo favore. Dopo quattro giorni sped! alio stagno un suddiacono con otto fra’ suoi prudenti ed ottimati, affinche verificassero i confini del medesimo, ,yd* .£i>q -mol [i) (i) Ughelli , Ital. Sacr. tom. I, pag. ii 4 ~ MariniPapiri. diplom; num. XL 1 I , p. 67. ( 4i6 ) Cosi si fece; furono trovati i termini secondo la in- dicazione degl’istromenti, ed a nome del papa si diede al monastero il possesso e 1* investitura della sua por- zione. Di tutto cio si fece un atto solenne, che fu pub- blicato dagli annalisti camaldolesi (i). 37 Nel 11 38 il monastero concedette ad Ottaviano di Alberico di Fosco, e ad altri 48 individui ed a loro figli, lo stagno colla facolta di pescare dall’ ottava dell’assunzione della Vergine sino alia festa di s. Pie¬ tro. I patti furono, che si dasse al monastero la nona parte del pesce, tolte le anguille, cbe si prendevano a Flossina. Il monastero avesse inoltre nel medesimo due pescatori per conto proprio. L’abate potesse an- darvi a pescare a suo piacere, ed il monaco, ch’ era a Mola Rotta , potesse pescare cinque volte all’ an¬ no (2). 38 Nel 1267 nacque lite fra 1 ’abate di s. Gre¬ gorio ed il vescovo di Porto suila proprieta dello sta¬ gno, ed i suoi derelitti. Si fece un compromesso in maestro Niccolo di Terracina, cappellano del papa e dottore di decreti. S’indicano per confini dello stagno il mare, Campo Selva, altra selva, e Campo Salino ( 3 ). Ambedue le parti producevano privilegi pontificii, che (1) Tom. 117, pag. 166, 167. (a) Annal. camald. tom. Ill , pag. 35 a , et app. pag. 499 * ( 3 ) Ibid. tom. V app. pag, 194. ( 4i7 ) confermavaiio a loro favore lo stagno e la terra at- torno ad esso diseccala. II giudice comproraissario pro- feri il suo lodo Del 1268 , e decreto che al vescovo di Porto apparteneva la meta dello stagno. Quanto poi ai derelitli , sebbene negli stagni non si cono- scesse il diritto di alluvione, tuttavia se nel medesimo v' era qualche terra disseccata, questa spettasse simil- mente al vescovo (1). 39 Nel 1296 1 ’ abate di s. Gregorio aflitto a circa cinquanta individui trasteverini, per la maggior parte discendenti dagli antichi concessionari (fra’quali alcuni discendenti da un Guido di papa), lo stagno mag- giore per anni 29 , da rinnovarsi per 1* aflitto di 29 in 29 anni in perpetuo, mediante il pagamento di otto piccioli soldi, da farsi da ognuno di essi. La corri- sposta fu stabilita alia decima parte del pesce che si sarebbe preso (2). Ao Nel 1329 il vescovo di Porto concedette ad al¬ cuni trasteverini la meta del Iuogo detto Arseola, con- giunto all’ altra meta spettante al monastero di s. Gre¬ gorio , colla facolta di servirsene ad uso di stagno per la pesca, o pure di farvi saline. Il canone fu stabi- lito in venti rubbia di sale ( 3 ). (1) Ibid. pag. 197-200. (1) Ibid. pag. 3o8-3i7. (1) Ibid. pag. 472- 33 ( 4i8 ) 4 1 Nel 1362 1 ’abate di s. Gregorio ed il vescovo di Porto rinnovarono Faffitto dello stagno a favore di alcuni antichi conduttori, e fra gli altri di Giannotto e di Andrea Velio de’ Cinque (1). 42 Nel 1S78 Vincenzo, Lorenzo e Quinzio fra- telli de’Cinque, figli ed eredi del q. Paolo, divisero i beni paterni, accennando ayere ciascuno la sua parte dello stagno di Porto (2). 43 Nel 16^7 Gregorio, Vincenzo e Lorenzo del Cinque affittarono per un novennio al duca Girolamo Mattei una delle due porzioni ad essi spettanti dello stagno detto di Porto, cioe quella ch’ era a loro de- rivata per la morte di Paolo del Cinque loro avo ( 3 ). 44 Gli anticbi affitti furono col tempo convertiti in enfiteusi, e si stabilirono canoni a favore del mo- nastero di s. Gregorio in annui scudi cento, e della mensa vescovile di scudi venti. 45 I Tevoli, i del Cinque , ed altri compadroni delle tenute di Campo Salino concedettero similmente i loro diritti sulla pesca dello stagno ai Mattei proprie- tari di Maccarese per F annuo canone di scudi 7^0. -- / -*-- (1) Annal. camald. tom. I , pag, 68-Fea Storia delle saline d.’Ostia pag. 80 81. (2) Memorie dell’arch- del Cinque.. ( 3 ) Istrumento per gli atti di Domenico^ Bonanni notaro capitolino li 27 settembre 1657. ( 4*9 ) 46 Queste enfiteusi pero non furono sufficient! a togliere le liti, e sul declinare del secolo XVIII si agito una lunga quistione tra i proprietari di Campo Sa- lino e di Maccarese per le innondazioni cagionate dallo stagno , come risulta da decisioni avanti Herzan (i). 47 II canone dovuto al monastero di s. Gregorio, e per esso all’ abate commendatario, fu alienato nelle angustie dell’erario pontificio del i 832 per la somma di scudi 2000 (2), ed in tal giusa dopo dodici secoli e mezzo termino la possidenza della Massa Claudiana donata a quel monastero da santa Silvia madre di s. Gregorio Magno. SALSARE, CAMPO SALINO , PONTE GALERA E QUARTUCCIO DI PONTE GALERA 1 I veienti avevano presso lo sbocco del Tevere saline , die a loro furono tolte da Romolo ( 3 ). Queste certamente non potevano essere in altro luogo che in quello , che ne conserva tuttora il nome, non lungi dalia destra riva del flume. 2 Non saprei, se i romani se ne servissero nell’ epoca della loro grandezza. Sappiamo pero, ch’erano (1) Decis. 12 maii 1777 num. 17*, tom. II, pag. a 55 , e decis. 2o5. (2) Memorie particolari. ( 3 ) Dionys. lib. II cap. LV - Plutarc. in Romol®. 53 * ( 420 ) in esercizio ne’ tempi di mezzo. Erano allora divise in molte sezioni, delte Jilt. 5 Difatti incominciamo a trovare , che nel 99a Costanza nobilissima femmina, col consenso di Giovanni suo consorle , dono al monastero di s. Gregorio al clivo di Scauro la sua porzione del iilo disalina, esistenle fuori la porta portese nel campo maggiore, e nella pedica detta Fetar, nel modo con cui l’aveva eredi- tata dai suoi genitori (1). 4 Nel ios 5 Giovanni XX concedette al vescovo di Porto la meta del campo denominato Stagnello male- detto, dove allora per sua disposizione si costruivano nuovi fib di saline (2). / 5 Nello stesso sccolo XI e nel XII vi sono vari affltti fatti nel Campo maggiore dal monastero di s. Gre¬ gorio ( 3 ). 6 Nel 1074 Gregorio YII confermo diciotto fili nel campo di Salina al monastero di s. Paolo ( 4 ). 7 Da una holla di Celestino III del 1192 risulta, che molti luoghi pii avevano iili di saline ( 5 ). (1) Annal. caraald. tom. I app. pag. 112. (2) Ughelli, Ital. sacr. tom. I, pag. . . . Marini, Papiri di¬ plomat. nmn. XLilV , pag. 70 e 289. (8) Annal. camald. tom. II append, pag. 45 - 5 g e 186, e .-tom. Ill, append, pag. 3 16. (4) Bull, casin. tom. II , pag. 107. ( 5 ) Bull, basil, vatic, tom. I, pag. 74. ( 421 ) 8 Nel 1212 troviamo che ne aveva otto fili il monastero di s. Alessio sul colie Aventino (i). g Nel 1329 il vescovo di Porto rinnovo alcune anticlie concessioni fatte a vari fabbricatori di sale nel fosso de’ fili nuovi, e fu stabilito il canone in yenti rubbia di sale (2). 10 Sul fine del secolo decimoquarto il senato romano impugno al monastero di s. Gregorio il di- ritto di trasportar liberainente a Roma il sale, ch’ esi- geya dai suoi enfiteuti di Campo Salino. Dedotta pero la causa in giudizio , nel i3g2 fu proferita sentenza in fay ore del monastero ( 3 ). 11 A’ tempi di Pio II insorse quistione fra il ve¬ scovo di Porto ed il capitolo vaticano sulla pertinenza di alcune terre e saline contigue alio stagno. Quel pon- tefice , intese le parti , pronunzio sentenza a favore del capitolo (4). 12 Forse alcuno di que’ fondi era quello deno- minato col tempo Resaco, che nei disastri del 1^27 fu venduto dal governo (con forno Saraceno e Mura- tella) a Pietro Antonio de’Mattei per scudi 3 ooo ( 3 ). (1) Nerini,De tempi, et caenob. ss.loan, et Alex. cap. XV, pag. a 36 . (2) Annal. camald. tom. V, append, pag. 4 7 1 2 3 4 5 - ( 3 ) Annal. camald. tom. VI, append, pag. 573 - 586 . ( 4 ) Bull, basil, vat. tom. II, pag. 181. ( 5 ) Bull, basil, vat. tom. II , pag, 390. Mss. della bibl. Ghig G- HI 58 -V. Porto §. 5 7 . ( 422 ) 1 3 Abbiamo atti autentici, dai quali risulta, che nel i boy e nel iby 4 le saline di Ostia erano in eser- cizio (i). 1 4 Nel ib 24 , ib 3 (), e 1^78 troviamo , che la famiglia del Cinque aveva vari luoghi, o porzioni delle saline nel campo ostiense (2). 1 5 Posteriormente i proprietari di Campo Salino concedettero i loro diritti sullo stagno in enfiteusi ai pa¬ droni di Maccarese per Fannuo canone di sc. 7^0 ( 3 ). 16 Sul principio del secolo XVIII vi fu lite fra i compadroni di Campo Salino per un affitto fatto a Marini uditore della camera, come risulta da tre deci- £ioni rotali avanti Lancetta negli anni 1704 e 170b ( 4 ). 17 Sul declinare dello stesso secolo si agito una lunga causa di danni tra’ proprietari di Campo Salino e di Maccarese per le innondazioni derivanti dallo sta¬ gno. Yeggansi su di cio le decisioni rotali di Her- zan (b). 18 I proprietari di Campo Salino concedettero po- scia il loro fondo (tranne il canone dello stagno) in enfiteusi al padrone della confinante tenuta di Porto. (1) Fea, Sloria delle saline di Ostia pag. 54 , 55 e 84. (2) Memorie dell’ arch, del Cinque. ( 3 ) Memorie particolari. ( 4 ) Decis. 332 , 357 et 30 1, tom. II pag. 28, 62 et n 3 . Decis. 12 maii 1777 num. 171, tom, II, pag. a 55 , et decis. num. £o5. ( 423 ) 1 9 La tenuta delle saline, ossia di Campo Salino, e di rubbia 702, delle quali circa 600 nei tempi pio- vosi sono innondate , ed allora formano parte dello sta- gno di Maccarese. PONTE GALERA 1 Confina colle salsare altra tenuta delta similmente Campo Salino, cbe giunge sino al fiumicello Galera (per cui talvolta si cbiama anche di Ponte Galera) ed al Tevere. Questa spettava un tempo alia casa Mattei, e forse comprendeya il fondo di Resaco , indicate di sopra (1). (1) Salsare num. ia’. * ’ . . i l- . :: •- \ L • - r -■ I S O P R A W94 114110 RINVENUTA NEL TERRITOBIO CAGLIESE COx\ QUALCHE CENxNO ' DEL LUOGO OVE FU TROYATA DISSERTAZIONE PRIMA LETTA DAL SOCIO 0RDINAR10 ssoiisiCr. AWTomm iomcZiERzcz NELL’ADUNANZA TENUTA NIL Dl 28 Dl FEBBR/410 I 833. •• ’ I * > ' i f *. V 4 ’ ' j X- • ,■ "Mr* e ■ ' c ’V,; x . .. . • • * > „ ■ . ~ ■ -' - • ■ . ... ..... .. i' .■ ..!■ y - . • ‘ r- ** ( 427 ) A.llorche ti piacque, accademici illustri, me pure ag- giugnere al bel numero di quei yirtuosi, i quali, col- tiyando con singolare ardore gli archeologici studi } sono di ornamento alia patria non solo , ma si bene a tutta la repubblica letteraria , mi fu al certo avvi- so , cotale onore per voi conferitomi doversi da me riguardare qual gentil dono, di cui piacque agli ani- mi vostri bennati fregiarmi, e non mai qual guider- done dovuto al mio sapere , od a qualsiasi virtu ch’io m’ avessi. Dacche sebbene io senta caldissimo amore per cotanto bella ed utile condizione di studi , pur veggio bene, come pochissimo ancora io mi sappia , e quanto a di lungo io mi resti da voi tutti, che deste non solo grandi speranze ad Italia , ma V ono- raste altresi di opere tali , ond’ ella a buon diritto venue in istima e riverenza delle oltramontane genti eziandio. Pero miglior consiglio io non ho se non se di riguardare il vostro dono quale sprone acutissimo onde venga io eecitato a sludiar di forza le antiche cose , togliendo loro quel velo oscuro che sopra git- tovvi ii tempo e la poca cura de’ nostri maggiori , e recandole in mezzo , per quanto il potro piu, chiare ed aperte. E volendo quest’ oggi per la prima fiata io dire dinnanzi a voi , accademici illustri , avvisai parlarvi di un eneo monumento antico ritrovato non ha molti anni nel territorio cagliese. 54 * ( 4‘iS ) lo mi credo che, gentili quaii siete, porlerele Leila- ineale che io ragioni su tal soggelto per esser egli degno di assai dotte coasiderazioni, e perche Leila cosa e da commendare e l’amore di patria. Ne vi sia discaro di prima udire qualcke particolarita sul luogo ove si trovo. Non sono , dissi, molt’anni da clie coltivandosi dei terreni , elie recano la denominazione antichissima di piani di Valeria , due leglie circa al nord-ovcst di Ca- gli , furono rinvenuti antichi cimelii , fra’ quaii , ol- tre il presente , meritano parlicolare attenzione le medaglie , che quantunque assai logore, pur danno a conoscere 1 * epoca di Domiziano e degli imperatori successivi , idoletti , e fra questi per lavoro e con- servazione signoreggia un Ercole , ed un bellissimo parazonio, fibule , ornamenti , ed avvanzi di armi. Anche qualche rottame di musaico , di statue , e spe- cialmente di una muliebre colossale , ed iscrizioni: ma queste in uno stato da non poler somminislrarc di lu- rni per la sloria di quel luogo. Lavori eziandio di fi- gulina si veggono in embrici e lucerne di buon la¬ voro , e di queste una ci presenta il combattimenlo di due gladiatori, e due danno nel marco il luogo della loro fabbrica con la parola Igumum (i). Avvia- (i) Si puo in questa marca aver prova della dottrina del ch. nostro Amati, il quale nelle figuline etrusche sostenne con¬ tra archeologi di nordiche scuole, essere segnato il luogo della fabbrica non il nome del vaso. ( 4^9 ) tesi delle acque discendenti dal viciu colie in ua lato di questo piano, col rapido loro corso hanno asportato la terra scoprendo cosi un pavimento di musaico di buoni ornati e vestigi di un bagno magnifico , di cui si yede ancora il condotto delie acque per tubi di piombo che di continuo rinvengonsi, de’quali quan- tunque io abbia procurato di averne e vederne de’rot- tarni, non mi e riuscito di osservarne alcuno che ne islruisse del consolato, o del nome dell’ imperatore, o deli’ officina , o finalmente di qualche altra circo- stanza capace a potere stabilir l’epoca della costruzione ; essendoche e di gran lunga superiore alle mie ricerche la cupidigia di quei limitrofi campagnuoli , de’quali cre- desi essersi alcuno arricchito per aver trovati in questo luogo oggetti di molto pregio. Non ha piu di un anno, che quivi venne a caso discoperta una camera, le cui pareti erano ornate di pitture , che al primo contatlo dell’ aria atmosferica del tutto quasi perirono. Che Valeria sia stata antichissima citta, Io dimo- strano quei ruderi che tuttora vi si ammirano , cos¬ ine le pergamene del terzodecimo secolo conservate neirarchivio segreto comunale di Cagli ci assicurano che fin da quei giorni Valeria piu non esisteva , ma ne esisteva ancora bensi la strada, la quale , parten- dosi da Cagli sopra il rinomatissimo ponte (i) opera (i) E in verb fcosa sorprendente vedere questo ponte , ed altri quattro di minor grandezza a poca dislanza sulla medesi- ( 430 ),. degli antichi romani , e fabbricato sotto la direzione dell’edile M. Aliio Tiranno (i), traversava il luogo ove fu Valeria , e proseguendo lasciava alia sua diritta Urbino per rettamente dirigersi ad Arimino. E che ma strada Flaminia dlmenticati dagli eruditi. Massi di enorme grandezza formano 1’ arco del ponte a tutto sesto , eongiunti con molto sapere e. senza calce; e quel che e piu da notarsi si e il detto di alcuni nuotatori che asseriscono estendersi in cer- chio sott’ acqua. La costruzione e dei be’ tempi di Roma, e puo paragonarsi a quelle dette saturnine o ciclopee. L’editore Giuseppe Vallardi nel suo itinerario d’Italia gia tante volte ri- prodotto accenna un ponte che e fra i quattro minori suespressi, e lo assegna a Cantiano. Erra in questo , poiche e sul territorio cagliese. Si atdrerebbe vieppiu la. gratitudine de’dotti viaggia- tori se loro avvertisse il ponte , che cento passi circa dalla porta settentrionale di Cagli si vede. Sara questo argomento di al- tra dissertazione , ed il faro allorche peri.ta mano ne ayra dato in disegno il primiero suo stato , libero da. quel mostruoso inne- sto di fabhriche posteriori, che. ora ne impcdi^cono la intera veduta: e parlero anche della iscrizione di cui appena riman- gono le traccie. (i) Temerei di essere dall’amor di pairia sedotto , se asse- rir yolessi che questa famiglia sia discesa fino a non lungi da noi, in quella che col cognome stesso si estinse in Cagli nella meta del secolo decimosesto. E l in vero, se la prima e i*icordata con onore in molte iscrizioni che veder si possono in Grutero ed altri , non meno la seconda e da lodarsi, che sempre fe- dfile alia corte urbinate le rese servizi importantissimi; oltre di ( 431 ) quesla fosse stata Fantica strada Flaminia innanzi eke da Vespasiano si aprisse il passo del Furlo, o Petra- Pertusa , potra facilmente porsi quasi per indubitato da chi, conoscendo la topografia di questi luoghi, non ne trova altri accessibili. Conosciutosi d’ onde il monumento provenga , ye- niarao piu specialmente a trattarne. Nel tesoro di antichita greche e romane raccolto dal Gronovio e dal Grevio ci si presentano tre enee mani , che dalla nostra non variano , se non se in alcuni simboli diversi di cui sono ornate, mentre in che ebbe uomini che risplendettero in dignita ecclesiastiche, neJl’ ordine gerosolimitano , nelle scienze ed arti; e per que- ste mi si permetta di qai ricordare il padre di Baffaelle chia- mato in Cagli da Pietro Tiranni a dipingere nella chiesa dei padri domenicani la nicchia destinata a contenere 1’ urna colie ceneri di Battista sua moglie , in memoria di cui voile che Gio¬ vanni dipingesse ancora la cappella q>rossima al sepolcro : il che fece con tanto di sapere e di studio , che meritamente , pep usare le' parole del ch. padre Pungileoni , deve dirsi il suo capo lavoro. 11 Wicar, il Missirini ed altri vi trovarono im altro pregio, ed e il contenere i ritratti del medesimo Giovanni nella figui'a di s. Giuseppe , nella Vergine quella della sii v : j j iii iC.. . in ru < i wgoir; y.iu: ^ ' .j vtojisj *- - -- - - - - - . . .. *■■■ " "■■■ ■ * - . . # * * • «-■) r 1 |j f* » 3 ^ (1} Mus. Kirch, clas. 2 pag. 75. (2) In posteriori vero manus parte omnis generis reptilia , uti rana , serpes , lucerta , testudo , lituus, cum bilance et vaso nilotico exprimuntur : per ranam elementum umidum; per te- studinem terrestre; per lucertam aereum , eo quod aere sicut ca- maleon vivere videatur, et per serpentem ignis elementum de- notatur : quae omnia vitam et alimentum a magna deorum ma- tre Junone per armonicam elementorum comparationem, quam bilanx et lituus exprimit, hauriunt. ( 433 ) sorger principale fra tutti gli altri simboli che 1’ornano, e che di poco differiscono da quelli del nostro bronzo. La piu comune denominazione di queste e il dirle Marti pantee per la ragione riferita pur dal Bodelo- zio nella sua dissertazione sopra gli dei lari , cioe i segni pantei devono la loro origine alia superstizio- lie di coloro , che avendo presi per protettori delle loro case piu numi, gli riunivano in un simulacro per maggior comodo, ornandolo de’diversi simboli rispettivi. Attenendomi io ai primicioe che sia voto fatto a Cibele , perche tutti i simboli che abbiamo in questa mano si hanno riuniti nei bassorilievi, ove e espressa la sopranominata dea, vengo a dare breve no- tizia di cotal gentilesca divinita, tenendo dietro ai piu accreditati mitologi , ed abbandonando tanti altri che si variatamente ne parlano. Ella nacque in Frigia secondo Diodoro di Sici¬ lia (i) ed Eusebio , ed ebbe in padre un re della nazione chiamato Meone , ed in madre una cotal Din- dimena. Con altri nomi fu pur chiamata , e sono la buona dea , Opi, la gran madre , Migdonia , Idea , madre degli dei, Berecinzia, piu frequentemente pero sotto il nome di Cibele, nome originato dal monte Ci- belo , o Cibele, come dice Yirgilio (2) : (1) Lib. Ill cap. 53 . (2) Lib. Ill Eneid. ( 434 ) Hina mater cultrix Cybeli : ed Oridio (i): W- '-J A . .. **'• ■ * . ' * Inter, ait, viridem Cybelen allasque celaenas. In greco , al riferir di Plutarco, appellavasi 'nvxiKiicL , ossia che alle sole donne era lecito assi- stere alle sue ceremonie , e su questo proposito canto Tibullo Sacra bonae maribus non adennda deae. II laidissimo Publio Clodio vi si introdusse veslito da donna col seguito della moglie di Cesare. Di que¬ sto sacrilegio con orrore favellasi da Cicerone , da Plutarco e da Seneca. Proseguendo a dire di Cibele, e di altre sue par- ticolarita , diro come costei accesasi fortemente di Ati frigio pastore figlio di Calai , e di rara bellezza, ne incinse; del cbe irritati gli dei ed il padre suo sdegna- to, condanno a morte Ati, e diello in preda a feroci bestie avvinto ad un pino. Di cio rimase dolente per modo Cibele , che ando lungamente ramminga per la V (i) Fast, IV, ( 435 ) Frigia, cercando nei monti e nelle selve qualche al- leviamento al suo dolore. Essendosi pero col volgere degli anni temperata la sua profonda tristezza , addimesticossi con Apollo , ed ando in compagnia di lui discorrendo l’iperboreo paese. Per ordine dello stesso Apollo furono sepolte le poche ossa di Ati, avanzo delle belve , vicino alio stesso pino cui fu avvinto. Non guari dopo accadde la morte di Cibele, cbe da’ frigi fu posta nel numero delle loro divinita. E lasciando come cosa a voi nota il favellare del modo col quale viene negli antichi marmi rappresentata, non sara almeno fuori di luogo il rammentare quello cbe al suo culto si riferisce. Ebbe essa i suoi sacerdoti , le sue sacerdotesse, le sue cerimonie , i suoi sagrifiei. I sacerdoti erano detti in lingua fenicia cabeboi, i greci ed i latini li dissero cureti , o coribanti. Si dicevano ancora galli dal flume Gallo cbe attraversa- va la citta di Pessinunte , ove aveva questa dea un superbo tempio. Niuno poteva iniziarsi nei sagri mi- steri, se non dopo di avere esaurile alcune formalita, le quali si volevano come necessarie , e che sono ottimamente descritte da Luciano. (C II suono de’flau- ti e de’ timpani , egli dice , ispirava agli astanti una specie di furore ; allora il giovane che doveva essere iniziato spogliavasi di tutte le vesti , e cost andava fra mezzo alia gente levando alte grida , e poscia traen- do dal fodero tagliente ferro, facevasi eunuco di sua 55 * '( 436 ) propria mano ; quindi discorrendo furiosameate per la citta , portando sulle mani i testimoni del suo mutila- mento , finche stanco gettavali in una casa, ove en- traya subitamente, e vestiva abiti donneschi. » Lucia¬ no (i), Marziale (2) , Oyidio ( 3 ), ed altri sono con- cordi nella narrazione di si barbara ceremonia , cbe yiene eziandio riferita da Tertulliano ( 4 ). II collegio di questi sacerdoti aveva un capo , cbe nomavasi ar- cigalo. Gli abiti e gli ornamenti di questo possono yedersi nella statna dell’arcigallo in Campidoglio ( 5 ). Vari monumenti scritti ci rammentano le sacer- dotesse della Buona Dea , 0 Cibele ; e chi bramasse conoscerle , ne consulti il Giraldi, il Panvinio , ed il Bianchini. Soltanto puo qui ricordarsi quella Calisse- ne gia sacerdotessa di Cerere, che dall’ empio impera- lore Giuliano, allorche faceva pompa della sua aposta- sia , venne creata sacerdotessa di Cibele } ed a cui l’imperalore diresse una sua lettera, di cui e il para- grafo seguente: « Tu vero noli parvas eas lancles clu - cere, pro qnilnis et dii omnes tibi meritas gratias re- laturi sunt , et nos pro parte nostra te duplici sacer- (1) De dea siria. (2) Lib. V cpist. XYI. ( 3 ) Fast. lib. 1 Y. 14 ) In Apol. ( 5 ) Montfaucon , Anticbita spiegate t. V. ( 43 7 ) dotio ornamus , atque ad illud quod antea habebas, turn Cereris sanctissimae, turn magnae matris Phrygiae deae in sacra Pesinunte, sacerdotium adiungimus * (i). Simboli di questa dea , e spesso anche de’sacer- doti e sacerdotesse , sono il cembalo , i timpani, le naccbere , i crotali, il busso , il carro tirato da leo- ni , la corona turrita di cui va cinto il suo capo , ed altri che taccio per amor di brevita. Esige 1 ’ ordine che ai sacerdoti ed ai simboli di Cibele si facciano succedere le feste ed i giuoclii che celebravansi ad onore di lei. Ma siccome non fo io parola che del culto che se le rendeva in Roma, cosi credo opportuno di far preceder Y epoca e la storia del suo trasferimento. La seconda guerra punica servi di occasione per- che si introducesse in Roma nell’anno 546 della sua fondazione il simulacro di questo falso nume : poiche essendo 1 ’ Italia miseramente travagliata per la terza yolta da’ cartaginesi, riferirono in senato i decemviri cio che avevano rinvenuto nei libri sibiilini t quan- documque Ziostis alienigena ter Italiae bellum intulis- set, eum pelli Italia vicique posse si mater Idea Pe¬ sinunte Romam advecta esset (2) : perloche furono (1) Iul. imperat. oper. graec. lat. epist. XXI pag. 388 Li- psiae 1696 fol. (2) Dec. 3 . lib. IX. cap. VIII e Strabone Rer. geogr. lib. XII ( 438 ) pronfamente spediti alcuni legati in Asia al re Atta- lo. Questi legati adunque , i quali furono Marco Va¬ lerio Levino , Marco Cecilio Metello , Sergio Sulpizio Galba , Tremelio Flacco , e Marco Valerio Faltone «' Pergamum (come il medesimo Livio racconta (i) : ad regem venerant. Is legatos comiter acceptos , Pe - sinuntem in Phrggiam deduxit, sacrumque his lapi- dem, quern matron deorum incolae esse dicebant, tradidit, ac deportari Romam iussit t . II naviglio carco di questo simulacro lo vediamo espresso in bassorilievo in un cippo del museo capitolino, ed e pur curioso il yedere ivi come non solo alia dea, ma pure alia nave salvia , che la porto in Roma , si facessero e sciogliessero voti, come quella iscrizio- ne ed altre ci insegna (2). (1) Loc. cit. (a). MA.TRI • DEVM ET NAVI • S ALVIAE Ed in Maffei tom. VI osservaz. lett. MATRI • DEVM • ET • NAVI • SALVIAE SALVIAE • VOTO • SVSCEPTO CLAVDIAE • SYNTHYCHAE D • D • ( 439 ) II giorno che fa il duodecimo di aprile , nel quale la gran madre Idea, cioe Cibele, fu in Roma ricevuta, si celebro con molta festivita, come il me- desimo Livio ci narra ; imperciocche a Publio Scipio- ne ed a molte matrone romane fu comandato por- tarsi ad incontrare ad Ostia il simulacro di Cibele , che dovevano prendere in consegna allorche fosse stato posto in terra : e di fatto fu ricevuto da Scipio- ne e dalle matrone che tenendosi a due a due si succedevano le une alle altre. Anche Quinta Claudia fu di tal seguito , ed essendo dubbia la fama di lei, ebbe campo a rinfrancarla , poiehe arrestatosi il carro ben grave per la siria diva , ne valendo forza a ri- muoverlo, ella sola basto a rendergli moto , come Ovidio ci dice nei suoi fasti , ove introduce Claudia a cosi supplicare (i) : ---- —.—i—— E nel museo Veronese pag. 90, x. NAVI r. SALVIAE ET MATRI • DEVM D • D - ( 1 ) Fast. lib. IV ver. 3ig , e seq. ( 44 o ) ten f ib ct.. 'ooiVoiil) li ul. oib II Suppliers, alma, luae, genitrix faecunda deorum, Accipe sub certa conditione preces. Casta negor : si tu damnas , meruisse fatebor ; Morte luam poenas judice victa dea. Sed si crimen abest, tu nostrae pignora vitae Re dabis, et castas casta sequere mams. Dixit: et exiguo funem conamine traxit ( Mira, sed in scena testificaia loquor ) Mota dea est, sequiturque ducem, laudatque sequendo Index laetitiae fertur ad astra sonus. • ^ ;ii*>io(i . r >, ' .uiu»*ii11 /*1 ij r»u*.io Tutta la cilia , dice lo storico padovano (i), si mosse , ed a folia si diresse per dar tributo alia novella di¬ va , alia quale calde preci avanzavansi perche pro- pizia entrasse in Roma , innanzi la cui porta arde- vano e fumavano gia gli incensi, Condotta in Roma sul palatino, fu collocata nel tempio della Yittoria da Publio Scipione Nasica allora assai giovane , il quale ancorche non fosse in eta da poter essere ancora questore, era altresi stimato fra gli altri di sua eta e della sua condizione per buono ed irreprensibile nei costumi, al dire del medesimo Livio (2): Publium Scipionem, Gneifilium, eius qui in r t .Jif/i (1) Dec. 3 lib. IX. (a) Ibid. ( 441 ) Hispania ceciderat, adolescenlem nondum quaeslo - rium iadicaverunt in tota civitate virum optimum esse. II culto per Cibele non fu introdotto in Roma col trasporto della sua effigie , e gia Valerio Massimo ci lascio scritto , come molto prima che in Roma fosse irasportata k matri deum saepe numero imperatores nostri compotes victoriarum suscepta vota Pesinun - temprofecti solverunt (i). Ed il Fabretti il crede nato con Roma. Si stabili in appresso una fesla annuale ad onore di Cibele , la quale portava il seguito di piu giorni, come rilevasi da quel calendario antichissimo scritto ai tempi di Costantino , reso pubblico da Giorgio Iler- wazio , e dopo Herwazio da Adriano Valesio (2), per il quale conosciamo, che nel giorno 22 di marzo ta- gliayasi un albero di pino , il quale avvolgevano con matasse di lana, 0 come altri piu accuratamente dicono, con lanuti quoi, e cost da’sacerdoti era introdolto nel tempio : nel giorno 23 si lustravano , cioe con rito particolare si purgavano le trombe ; nel giorno 24 si iniziarano per mezzo di sangue i nuovi sacerdoti, co¬ me a suo luogo si disse: il 26 era destinato alle mag- giori allegrezze , e percio detto Hilano ; il seguente (1) Lib. I cap. I. Factorum , et dictorum mirab. (2) Nelle note ad Amraiano Marcellino. 56 ( 44a ) giorno s 6 era di riposo , e serviva di preparazione alia gran funzione del giorno prossimo ; finalmente nel giorno 27 di marzo si rinnovava nel piccol Hume AI- mone, ora detto Dachia , 0 Rio d’Appio poco lungi da Roma, con la maggior solennita ogn’anno la lavanda del simulacro della gran dea. Altra ceremonia prati- cala da’ sacerdoti nel culto di Cibele consisteva nel condurre in giro per le strade la statua di lei, dan- zando e percuotendosi con pugni e sferze intorno ad essa , e prendendo ben anche a lacerarsi le carni con taglientissimi coltelli, i quali poi purgavano dal san- gue col lavarli nello stesso flume Almone ove asterge- vano eziandio le loro ferite. Questo barbaro rito era usato in commemorazione del sommo dolore che Ci¬ bele aveva provato per la morte del diletto suo Ati (1). Tre tempii si ricordano a lei dedicati in Roma : uno neH’Aventino, come Publio Vittore nota nella de- scriziono delle regioni di Roma : Templum , alias aedes bonae deae in Aventino . Questo fu dedicate la prima volta da Claudia vergine vestale , e di poi restituito da Livia moglie di Augusto, la quale voile - ■ 1 8 - (1) Tal sanguinolento culto prestavasi ancora a Baal da’suoi sacerdoti, come leggiamo nelle sacre pagine:,, Clamabant ergo voce magna, et incidebant se , iuxta ritum suum > cultris et lanceolis , donee perfunderentur sanguine.,,Reg.lib. ll^cap.XVIII,XXVI 1 L ( 443 ) imitare il marito nella riparazione de’ tempii. Altro ve n’ era nella regione delta Piscina Publica , che era la XII: Aedes bonae deae subsaxanae ( i). Entrambi questi tempii furono posteriori a quello che esisteva sul Palatino , che nra la decima regione , ed appel- lavasi Aedes matris deum (2) , e qui venne collocalo il simulacro di Cibele trasportato da Pessinunte , come il Panyinio asserisce ( 3 ); Templum matris deum , alias magnae matris ldeae, cum simulacro eius ex Pe- sinunte devecto $. In Sesto Rufo mancano tutte intere le regioni Palatium, Piscina publica, Aventinus , che sono la decima, la duodecima , e la decimaterza , e la decima quarta, che e Regio Transtiberim, ove meglio si sarehbero vedute le localita di questi tempi. Esposta con hrevila la favola , e quanto le ya congiunto, passiamo ad esaminare piu d’appresso il mo* numento , la cui illustrazione a mio credere molto dalle notizie che riguardano Cibele dipende. Destra e la mano, della quale teniam discorso : lo che ci espri- me autorita , potere e maschile virtu. Strabone ( 4 ) NAM _ n( U v ' - v : . * • iV 0 - .•* . . : . (1) In un codice vaticano segnato 3427 leggesi: Templum bojiai deai in Aventino , e Aedes bonai deai. (2) Nel cod. med. ( 3 ) Antiquae urbis imago, pag. 198. Regio X Palatium. ( 4 ) Lib. III. . 56 * ( 444 ) rammenla, clie i lusitani tagliavano la destra mano ai re vinti , la quale poi consegravano agli dei. La forma di questa mano non da’ per certo idea di esser parte di una qualche statua , ma piuttosto sembra acconcia a formar ornamento ed apice di uno scettro , o di un’ asta , come nelle militari romane insegne ; ed in questo pensiero yieppiu mi confer- mo per un tenue foro clie osservo nella parte infe- riore del bronzo, pel quale dovevasi introdurre una spina onde fermarlo nell’ asta. Se si chiedesse poi a quale uso , potrebbe dirsi con Lorenzo Pignori (i) e con Apuleio (2), cbe nelle pompe in cui trasporta- vasi il simulacro della dea un sacerdote lo precedesse portandola in su di un asta , non diversamente dall’ uso degli egizi , i quali erano soliti far procedere i simboli di Iside nelle processioni che si facevano della sua statua. Una proya non assurda che questa cere- monia si usasse pur in Italia puo aversi per autorita di Ottaviano Rossi, il quale rammenta, che nella som- mita dell’ asta del simulacro di Tillino , nume della nazione bresciana , vi era una mano di bronzo non al tutto dissimile della nostra ( 3 ). (x) Magnae deum raatris Ideae , et Attidis initia, pag. 2 (a) Metamorph. lib. II. (3) Gli anticbi monumenti di Brescia spiegati. ( 445 ) II padre Atanasio Rircher (i) lo suppone amuleto per allontanare i mali; sapendo noi pero clie gli amu- leti doveansi, da’giovinetti indossare finche non erano iu eta di vestirsi della pretesta , onde ne avessero il supposto loro effetto , sara facile il conoscere non ammissibile il sentimento di lui, mentre la grandezza della mano , la forma , la mancanza di appiccagnolo, o anelletto per sostenerla , ed il peso stesso sariano state cose da recar troppo grande incomodo al devoto. Cio e quanto puo indicarsi intorno all’uso ; ora passiamo a conoscere la causa onde venue fusa mano cotanto simboleggiata. Due mani enee quasi uniformi a quella che esa- miniamo , una delle quali nel museo Bellori, e l’al- tra nel museo Barberini che sono riportate dal Gre- vio (2), ci additano la ricercata causa. Yedesi pertanto sotto la vola della prima una matrona quasi giacente in alto flebile } che tiene le sue pupille fisse su di un putto che le giace appresso , ed anche un gallo, che riguarda entrambi. Nella seconda mano enea parimen- ti, e nel medesimo luogo , vedesi altra matrona gia- cenle che stringe fra le sue braccie un bambino , essendo e l’una e l’altro da largo manto coperti. ( 1 ) Tom. Ill Oedip. pag. 5ag. (a) Tesoro di antichita , tom* Y. ( 446 ) Soleano gli egizi ed i babiloni esporre nelle pubblicbe vie i malati , come ne attesta Strabone (i). Questo costume fu poi imitato dai romani, i quali non nelle vie , ma sibbene sotto de’pubblici portici espo- nevano i loro malati : il cbe ricorda Svetonio ( 2 ). Plutarco crede darne ragione quando dice: (( Prisci ae- grotos suos in publico ponebant, ut praetereuntium qui - vis, si quid vel ipse eodem morbo conjlictatus , vel similiter laboranti opitulatus medere nosset, id aegro - tanti significaret. Aiuntque artem hoc modo, experien - iia adiuvante, crevisse (3) 30 . Piii oltre pero spinsero le loro cure a vantaggio de’malati, e fidando de’loro numi ponevano gli infermi ne’ tempii, perche fossero curati dall’ oracolo , ovvero perche in sogno riceves- sero il metodo di curarsi. Due iscrizioni ne siano ba- stante prova : ASCLEPIO P * AELIVS * POLLIO YISV • MONITYS POSYIT (1) Lib. Ill et XVI. (2) In Tiberio cap. XI. (3) In lib. An recte dictum : patenter esse viyendum. e I’altra (447 > ISIDI SACUVM • EX • MONITV El VS D - D LVCIVS • VALERIVS (1). E Galeno ricorda, che i rimedi di molti mali gli ha conosciuti in sogno (2). Plinio scrisse che il morso del cane rabbioso era stato sempre insanabile, ma che a’ suoi giorni la madre di un soldato pretoriano infetto di questo male ebbe in sogno che se avesse apprestalo al figlio dell’ acqua , in cui fosse stata infusa la ra- dice della rosa silvestre ( nuvopo^ov ), sarebbe sanato ; il qual rimedio posto in opera diede la promessa gua- rigione ( 3 ). Puo dunque concedersi che a tal rito de- voto, ed a simil costume debba alludersi il vedersi nelle due mani enee le matrone giacenti coi loro par- goletti : e quantunque per questi possa credersi fatto il voto , pure sara facil conoscere la necessita di riu- nirli alle madri , essendoche per la loro tenera eta non avriano potuto conoscere, ricordare, e porre in e/Fetto quanto gli oracoli a loro vantaggio avessero fatto in- ( 1 ) Tomassini , de donariis cap. XXXIV. ( 2 ) De curat, per sang. miss. cap. XXIII.- (3) Hist. nat. lib; XXV cap. II. ( 448 ) lendere per sogno , e come non sarieno stati pur capaci di far pregliiere per riottenere la salute. Lo star poi le matrone sdraiate in terra coi loro pargoletti, oltre il denotare che forse nel tempio in tem¬ po di notte avranno cosi giaciuto, attendendo nel son- no la bramata visione , o esposte al pubblico aspet- tando qualche umano medico consiglio, come si e di- mostrato; puo pure rammentarci un supplicbevole mo- do di pregare, di cui Livio lascia scritto: < Stralae passim matres crinibus templa verrentes, veniam ira - rum coelestium, jinem pesti exposcunt (i). Se quanto finora si e detto non fosse ad alcuno bastante a persuaderlo di ammettere qunl voto il mo- numento di cui trattiamo, ed avesse pur alcun dubbio in sua mente , potra averne certezza leggendo la iscri- zione che circonda la mano , che si disse del museo Barberini, in cui leggesi: CECROPIYS • V • C • VOTVM • SOLYIT * II P. Paciaudi nel descrivere le antichita di Ri- patransone ricorda una mano di bronzo , che assai differisce dalla nostra , mentre e priva di anaglifi e rilieyi, a meno del serpe, ed ha le dita distese , lad- dove le altre , comprensivamente alia cagliese, tengono (i) Lib. Ill ( 449 ) contratto l’anulare ed il minimo. Nella base vi sono queste quattro note: V * S • L 4 P che possono interpretarsi Voto suscepto libens posuit; Votum solvens lib ere posuit ; Voto soluto libens posuit ; Votum solvit loco privaio : poiche chi potrebbe negare esser quel voto posto nel domestico larario da quello che ricupero la salute a qualche deita cubiculare , di cui tante iscrizioni ci parlano ? Tutto cio ho io detto per provare esser quelli veramente voti. Ne alcuno si maravigli di ve- dere oggetti di donativi e di offerte di tal natura : poiche Chandler nella sua celebre collezione di iscri¬ zioni riporta parte d’ inventario di molti tesori , che conservavansi nell’ Opistodomo del Partenone composti di ogni specie di monumenti e di stoviglie. Ne gia e irragionevole che per voto si rappresentasse o in pittura o in rilievo or 1* uno or V altro de’ raembri del corpo umano male affetti. Cotal costume si puo osservare col prendere ad esame i monumenti pesa- resi ritrovati nel luco sagro degli antichi posto nella vicinanza della citta. Altra raccolta di molti merabri ( 45o ) votivi noi inconlriamo nel leggere il Tomassini , ove ricorda una mano di terra cotta , che nella parte in- feriore ha una lacerazione : ed anzi che supporre es- ser cio avvenuto per caso , giudico averlo fatto 1* ar- tefice con avvisato consiglio per indicare che ivi era il morho (i). Negli avanzi del tempio dedicato ad Iside nell’antica Felsina , dove ora sorge la chiesa di s. Stefano, furon trovati curiosi capitelli formati da membri sconci e malsani , che senza dubbio face- vano chiara testimonianza, che ivi imploravansi dagli dei le guarigioni , onde canto Tibullo ( 2 ) : Nunc, dea, nunc succurre mihi, nam posse mederi Picta docet templi rnulta tabella tui . Ne un tal costume venne repudiate dai primitivi cristiani, poiche Teodoreto parlando de’voti loro scrisse :c Et vete- rum christianorum moremfuisse, qui convaluerat, par¬ tis affectae imaginem ex auro et argento aliave ma¬ teria illi sancto suspendisse cujus ope sanatos puta- bant: quod adhuc passim sere are videmus » (3). Provato, per quanto sembrami, ad evidenza che il monumento preso ad esame sia oggetto votivo , ve¬ il) Tornass. de donariis cap. II. ( 2 ) Lib. I Eleg. II. (3) Octava. terapeutica.. i m) diamo ora qual posto avra avuto nel tempio. E ben bastante V autorita di Marziale (i), di Yirgilio ( 2 ), e di Stazio (3) per asserire die a questi voti davasi luogo nel tolo del tempio. II primo: • u n.) ih Ci'icirr.'v iiob f r.l igi^qqn:. \ />?.ofip ■ : . El Cibeles piclo slat coribante tholus: Cosi il secondo : Si qua tuis unquam pro me pater Hyrtacus arts Dona lulit, si qua ipse meis venatibus auxi, Suspendive tholo, aut sacra ad fastigia jixi. \ * n t jj . a j* v.iji.. f v*‘ / 1 1 " ’ "' i " u E Stazio: Tamen accipit otnni Exuvias Diana tholo, captivaque tela Bellipotens Ed altrove: Figamque superbo Arma tholo. Si disse die i voti appendevansi per lo piu nel tolo : pero sara acconcio di qui far cenno qual parte si fosse (r) Lib. I Epig. LXXI. ( 2 ) Lib. IX v. 407 > 4o3. (3) Sylvar. lib. I v. 52 6 , scu sylva IV v. 32. $7 * Cl ( 4*2 ) del tempio. Qc\o$ nel nostro volgare vale testuggine. La coccia, o scaglia durissima di questo animale avra forse somministrata l’idea delle fabbriche a volta, e per tal motivo forse , o per la solidita , o per la forma , le volte o cupole si dissero tolo , ed anebe testuggi- ni: e questa puo supporsi la prima derivazione di que- sta voce nei termini arekitettonici. Non sempre pern per tolo fu intesa la volta dell’edificio. Difatti Isidoro lo descrive (i): « Tholi, quasi brevia scuta } ubi ex aedificiis plures trabes coeunt i , e cosl pure lo de- scrisse Giuliano Filandro ( 2 ). Arnobio lo ricorda in molti tempi di oro (3). S’ intese per tolo dagli ate- niesi quella camera da loro destinata ai magistrati pritanei per mangiarvi ( 4 ) , ed ancke il luogo , ove in Atene custodivansi le pubblicke scritture (5). Nelle ierme eravi una camera nominata tolo ( 6 ). II tempio di Esculapio fu detlo tkolon ( 7 ) , e cosi in appresso ckiamaronsi le fabkricke a volta rotonda. Tolo espresse ancora la piccola cella , o tugurio abitato da’ solita- ( 1 ) Originum lib. XIX. (а) In Vitruv. de architect, ad lib. IV. (3) Arnobius de tliolis lib. VI. (4) Iul. Pollux. (5) Plutar. in apolog. ( б ) Athenaeum lib. IX cap. XXVIII. { 7 ) Balduinus epist. 68 . ( 453 ) ri (i) , e Varrone pone il tolo anche nell’ ormu-u- fio (2). Noi pero dovremo piu acconciamente al no- ■ stro caso uniformarci al parere di Lultanzio Placidio, clie dice : « Tholum est in media templi camera lo¬ cus in quo voventium primitiae, aut exuviae figeban- tur ( 3 ) i in tal luogo potrebbe essere stato appeso il nostro voto. Ma riprendiamo ad esame il bronzo cagliese, fa- cendo prima qualclie riflessione sulla disposizione delle dita. In tulti e quattro i quasi simili monumenti co- nosciuti, de’quali I10 parlato, veggiamo contratto il dito minimo e 1* anulare , mentre gli altri sono distesi. I gentili con la mano in tal modo composta accompa- gnavauo col gesto i saluti vicendevoli ed i piu lieti augurii di felicita. Era addunque assai acconcio di rap- presentare il voto in tal forma, addimostrandosi per tal modo, come dalla dea desideravasi clie si rendesse pro- pizia al fanciullo a somiglianza di quelli che con si fatto segno si cambiavano i voti di prosperita. Cosi adope- ravano pure gli oratori nel principio e nel fine delle loro orazioni, ailora quando salutavano il popolo. Di questi ci lascio scritto Apuleio ( 4 ); « Instar oratorum ( 1 ) Ex hist, lausiacae cap. XLII1. ( 2 ) Varro de re ruatica lib. Ill cap. V. (3) Luctantius Placidius ad lib. II. Thebaid. ?. 726 . (4) De asiuo aureo lib. II. ( 454 ) conformal articulum duobus inf mis conclusis digitis, coeterosque eminentes porrigit ». II potere religioso , che puo essere addimostrato • con tale disposizione delle dita, credo clie sia la piu probabile interpretazione che possa darsele. Difatto la stalua di Gibele , come quella di altre diyinita geati- lesclie , veggonsi sovente con la mano cosi disposta tanto nei rilievi, quanto nelle monete , e cosi pure i loro sacerdoti e gli auguri. Ma cio che ne deve piu persuadere e appunto la progressione di questo costu¬ me nella potesta della cbiesa cattolica , come frequen- tissimamente vedesi nelle immagini piu anticbe del Sal¬ vatore, di s. Pietro, e degli altri apostoli e santi, e final- raente de’ sommi pontefici , i quali tuttora lo conser- vano nelPimpartire l’apostolica benedizione. Cbe se da principio il raodo di cosi benedire il popolo non fu che immitazione de’gentili, ben presto venne quest’uso santificato e prescritto ne’ canoni ecclesiastici. Yeg- gasi fra gli altri il sinodo che si attribuisce a s.Ulda- rico vescovo di Augusta , scritto nell’anno 1009 ripor- tato dal Menandro (1). Ne deve qui tralasciarsi che talvolta nelle monete vedesi l’imperator Costantino , od altri imperatori cristiani, con mano in simile posizione ; il che potrebbe interpretarsi per la loro secolare po- tesla colla quale proteggevano la cattolica religione (1) Ad s. Gregonum pag. 18. ( 455 ) ed il sommo pontefice : ovvero che , a seconda dell 5 antico costume di salutare, augurassero al loro popolo felicita e bene. Io temo , eruditissimi aecademici, non forse di- lungandomi troppo quest’ oggi net dire intorno a tal monumento , possa recarvi soverchio fastidio , abu- sando cosi della attenzione vostra gentile : mi e av- yiso pero discorrere , e mettere a particolare esame ed accurato ciascun simbolo , ond’esso s’adorna, in al- tro tempo, ove cioe io m’abbia l’onore di nuovamente parlarvi in questa illustre accademia. • * *• I ' ' ° ‘f '.^w! ■ ' a t ^ ■ ::: ■ . . ,«<« >;i \ - f ■ ’ “k J • " ' 1 ' ! i •' ’’ ' ;i ; . . I xr 1 » - ■ " ’ 1 • ' i n , lr j{ , :l > ' • '■■■; i • -jj !• . o 0 ' • I . ' . * - \ t /fir>//,)/sr/r,f O //<>/'?//, SOPKA »ba ia&a© SINVENUTA NEL TERRITOSIO CAGLIESS CON QUALCHE CENNO DEL LUO GO OVE FU TROVATA " - . . - \ » DISSERTAZIONE SECONDA LETTA DAL SOGIO ORDINARIO morasie. autohio bohguerici NELL’ASUNANZA TEHCTA NEL Dl 25 DI APRILS I 833 . . •• -i '■ l ■ a I- . . ' , ' . v ' : • . ,x F . • •' ' ' i i . ... .: ■i. . . ' ^ > * * - ■ *"* : . . ' , ■; : / • \ ■ * \ \ y . i • * ' ( 4*9 ) II bronzo cagliese , intorno a cui molte cose gia dissi nell’ adunanza archeologica dello scorso mese , nella quale a me fu fatto onore di parlaryi, accademici va- lentissimi , in quest’oggi pure e P oggetto delle mie ricerche e della attenzione voslra gentile. Ho recalo gia in mezzo come, a mio credere, esso traesse ori- gine dalla pieta di alcun deyoto, che dedicollo a quel nume a cui richiese , o d’onde ottenne salute. Ne ci fall! il confronto di altri monumenti pressoche somi- glianti, per lo cui mezzo ne venne fatto di rayvisare essere quello stato offerto a Cibele; e qui pur le cose ed i sacri riti appartenenti alia dea toccai brevemen- te , quanto pareami ricbiedessero le ricerche da farsi da poi. Alla perfine dissi alcun che sulla disposizione delle dita , e su tuttocio che poteya aver riguardo alia mano generalmente considerata. Pero non mi rimane oggi che dimoslrarvi ed esporre i simboli ond’ ella si adorna, e innanzi tratto diro del serpente. Enlrerei qui in vastissimo campo se pretendessi dirvi a quali e quante riflessioni ed allegorie dar possa luogo il serpente , che vediamo qual simbolo principale in questo bronzo. Basti a noi di ricordare , che quasi sempre si ebbe per simbolo della salute, e che puo esserlo ancora di Cibele, come fra molti ne da fede quel marmo riportato dal Boissard (1), nel quale (i) Tom. I part. II tab. CXXXV. IS 8 * ( 46o ) si rappresenla Cibele turrita, con a’suoi piedi un serpc. Che anzi le fn caro , come lo prova quel bellissimo vaso fittile greco antico posseduto dal principe Ponia- towschi, ove vedesi Cibele , cbe presenta ai serpi, ivi espressi e tirauti il carro di Triptolemo , cibo o be- vanda entro una coppa , come sempre da suo pari yi riconobbe il ch. Ennio Quirino Visconti. Scrive Pausania della madre di Aristadamante , cbe non ebbe mai figli se non dopo di aver veduto il ser- pente prossimo al talamo: la qual cosa pure avvenne ad Olimpiade moglie di Filippo il macedone, ed alia ma¬ dre di Scipione AfFricano, al dire di Gellio (i). Se per queste testimonianze si volesse da taluno il serpente non allusivo alia salute , ma si bene alia cessazione della sterilita ; e si volesse a questo fine emesso il voto , sempre potrebbe credersi diretto a Cibele , sa- pendosi che se ne facevano a lei a questo per aver figli. Sia ultima osservazione sul serpente la sua cri¬ sta , di cbe altra ragione non saprei addurre > se non la introduzione in Roma dei superstiziosi misteri egizii (2). (1) Notti attiche lib. VII. (a) Chi bramasse essere diffusamente istruito degli altributi mitologici ed allegorici che assegnarono gli anticlii al serpe , potrk leggere 1 ’ erudita dissertazione del ch. Giovanni Lanai inserita nel tom. IV degli atti della accademia etrusca cortonese. ( 461 ) La causa della malattia , per cui supponiamo il Yoto, potrebbe forse aversi nella lucerta, o salaman- dra, cbe osserviamo prossiraa al serpente nel bronzo preso ad esame da noi. Lasciando a zoografi il clas- sificarle , ci basti sapere che ve ne sono delle vene- ficbe , specialmente quelle mantate con stellc e di fo- sco colore. Non istaro a dilungarmi sugli effetti del loro veleno , ne della cura , mentre non saprei che aggiungerc a quanto in proposito ne scrisse il Barto- lini nel suo trattato delle tibie degli antichi , ed il cb. Cancellieri nel suo Tarantismo. Quand’anche a me sembri assolutamente lucertola il rilievo che esami- niamo , pure 1* esempio sulla mano enea del museo Barberini, ove nel luogo stesso vedevasi un cocodril- lo , potrebbe anche noi condurre a cosi interpretare quel segno, sul quale altra ragione non saprei addurre di quella data pel serpente cristato , cioe la misteriosa possanza cbe i sagri riti egizii aveano nel paese lati¬ no : ne altra forse ne ayra avuta il fusore medesimo, ed il committente. Non e facii cosa di trovare il motivo cbe abbia indotto Tartefice a ritrarre nel monumento una rana 5 la quale veggiamo d’appresso alia lucertola. MicheFAn- gelo Causeo (i) crede cbe possa esseryi per denotare cbe il voto era indiritto a riacquistare la salute di (i) Nella vaccolta del Qrevio e Gronovio. ( 46 * ) un fanciullo , il quale a modo di rana fa uso delle gambe , seguendo le dottrine del forse supposto Oro Apolline (i) nella spiegazione del geroglifici. Lo crede taluuo come simbolo delle ninfe presidi delle acque, e specialmente del principal flume della Frigia detto Gallo, ovvero del nostro flume Aimone , ove solevasi in ogn’anno lavare il simulacro della dea. Si potrebbe pure avvisare cbe per altra cagione vi fosse rappre- sentata. Gia sappiamo come suppli Batroco al divieto di piu apporre nei propri lavori di scultura il proprio nome: del che egli vago prese partito dal suo stesso nome per elfigiarvi una rana , onde l’idea di quell’ani- male risvegliando per intima associazione F idea del nome di lui, che in greca favella e fioLTpxnos, potesse ad un tempo esser conosciuto chi si fosse di quei la¬ vori l’artefice. In quanto alia rana e certo che questa trovavasi ancora scolpita negli ornati del tempio di Cibele, creduto lavoro del celebre Batroco , una colori- na di cui potrebbe credersi nell’interno della basilica di s. Lorenzo fuori le mura di Roma , ove vedesi nel centro della voluta ionica una rana (2).. Non e percio del tutto improbabile il supporre che per la rana ci si voglia far conoscere come il voto fu fatto, ovvero (1) Lib. II. cap. CII. (2) Non e raro che presso gli antichi il cognome sia stato materialmente espresso. In un cippo sepolcrale nella camera la- \ I ( 463 ) sciolto in quel tempio (i). Ma analizzando meglio la greca yoce | 3 clx^hos , che e composta delleToci $oa.v , e rpocHecot, possiamo interpretarle per tumore, od en- fiatura, o turgidezza sotto la lingua che infesta mas- simamente i fanciulli , ed in questo senso l’uso pure Omero : cosi parmi piausibile l’opinare ancora che nel monumento Y artefice abhia voluto esprimere la rana per denotare che la causa del yoto fu un male , il cui greco nome va quasi a confondersi con quello della rana scritto ionicamcnte. Passiamo ora alia testuggine, che simmetricamente vediamo a lato della rana. Servio (2), il piu antico sco- liaste di Virgilio, attrihuisce a Cibele la testuggine in segno di avversione al connubio , riferendo il fatto della vergine Chclone. Potrebhe esserle stata attribuita eziandio come simbolo per Panalogia delie torri , di pidaria del museo capitolino Irovasi ricordato nella iscrizione un cotal T. Attilio Apro , e nel cippo medesimo avvi scolpito un cinghiale. (1) Qualche scriltore moderno crede essere veramente del tempio di Cibele parte delle colonne di questa basilica, e Win- ckelman nella sua storia dell’arte, avendo veduto in alcuna di queste colonne la rana e la lucertola , non dubito di affermare essere lavoro di Batroco e di Sauro. Troppo sono infelici que¬ ste sculture per potersi assegnare a quei due celebri artisti, ed al buon tempo di cui parla Plinio. (2} Ad primura Aeneid. ( 464 ) cui la dea porta corona in capo , colla testuggine clie porta pure sul dorso suo la casa. Equivoco senza dubbio e quel semibusto che sot- toposto osservasi al dito piccolo dell’ enea mano. Un lipo nel rovescio di un medaglione di Faustina seniore rappresenta Ati con berretto frigio , e clamidato, non di verso molto dal rilievo cbe esaminiamo. Si e gia ve- duto quanto stretta fosse la relazione che la dea aveva con questo. Ma un’ altra mano metallica, che si disse del museo Antinori di Firenze, nel luogo stesso ci pre- senta Mercurio , che die molivo a crederla a questo dedicata. Attenendomi io alia maggior parte degli scrit- tori che di simili oggetti trattarono, i quali alia sola Cibele questa specie di voti aitribuiscono, ed anche me- glio istruito dalla qualita degli anaglifi , dico essere stato iatto il voto a questa divinita. E se taluno piuttosto die Ati credesse di riconoscervi Mercurio , potra ram- mentarsi che fu paraninfo de’celesti , d’onde la giusla illazione che qui poirebbe esservi come invitato a pre- sentare al trono della regina, e madre de’numi, i voti pel supposto malato. Credo anch’io che nel monumento csaminato vi sia espresso Mercurio, raentre, per quanto il cons unto bronzo permetla ravvisarvi , sembrami ri¬ conoscervi piuttosto V alato petaso di Mercurio, che il frigio pileo di Ati. Hi mane Y esterna parte di questa mano ornata di una hilancia , simbolo pur di Mercurio , ma piu co- munemente di Giove. Se tale il crediamo, si dovra at- ( 465 ) iribuire a mancanza del fusore il vedere i gusci di que¬ sto di forma rotonda, piuttostoche di assai concavi di- schi, che i latini dissero Lebetes . La linguetta centro del giogo si vede , ma non molto lunga: osservasi pero trascurato 1’ arpione, da cui doveva pendere 1’ appic- cagnolo, se attener ci vogliamo alia descrizione tes- sutane da Omero (i). II Tomassini (2), nel descriver questo simbolo sul bronzo di Barberini, asseri il voto poter essere stato fatto o nell’equinozio di primavera , o in quello di autunno , quando cioe il giorno perfet- tamente uguagliava la nolle, owero quando il sole era nel zodiacale segno di libra : ed inchinando piu per questo , crede dar ragione delle Ire dita distese , veden- dovi la cifra numerica duecento cbe immagina di male nell’infermo per cui fu emesso il voto; e meglio forse poteva dirsi ricuperata la salute nella terza stagione dell’ anno. Fra tutti i segni esistenti nel bronzo , quello posto fra i gusci della bilancia e singolarissimo, ne mai in- contrasi nelle altre tre mani votive , di cui piu volte in questo discorso si e avuta occasione di parlare, ne potra cbiarirsi che sulla via della congettura. Un ce- lebre bronzo posseduto dal conte Orsino dell’ Anguil- lara, che fu illustrato da Gio. Pietro Bellori ( 3 ), rap- (x) Iliad, lib. XXII v. a 12. (2) Manus aenea Cecropii volum pag. 56 . ( 3 ) Expositio symbolici deae Syriae eimulacri. »9 ) ( 466 ) presenta la dea Gibele. Fra i molti simboli cbe ne ador- nano tanto le yesli, quanto le braccia e le mani, pre- sentasene uno cbe trovo somigliante a quello del quale ora ragionasi, e che giustamente lo riconobbe per uii colo , ossia involto di lana acconciata per trarne il filo. Se tale pur noi lo crediamo, dovra farsi ricorso al fa- voloso e poetico racconto delle parche, e vedervi la vita del malato in pericolo y e quindi le preghiere alia dea perclie ordiui alia parca Atropo di non recidere lo stame. La breve diraensione del filo potrebbe auche opportunamente insegnarci cbe il fanciullo per cui pre- gavasi era di poca eta , come il crescere in robustezza ci si addita dal filo medesimo che rendesi piu volumi- noso coirallungarsi. Fra le altre congetture, colie quali puo tentarsi la interpretazione dell’ esaminato rilievo, non sarebbe inverosimile che vi fosse per indicare la holla solita a portarsi da’ giovanetti dalla piu tenera iufanzia lino alia eta di anni 17, in cui solennemente indossava la toga virile. L’ anaglifo verticalmente posto sotto Y indice dito , e che per colpa del tempo ha perduta la originate sua figura, credo non potersi in altro modo esaminare che col confronto di altri anaglifi che vediamo in siiniti donativi. Nella mano votiva illustrata dal Pignoria trovo una specie di tirso della stessa lunghezza, vi sono due libie T e vi e una flagra manubriata, Che sia tirso questo segno , non mi sembra probabile , men- tre non vi trovo indizio di noce pinea nel suo apice; ( 46 7 ) se fosse tibia, dovrebbero manifestarsi quei rilievi, nel centro dei quali era il forame onde modularne i suoni; potrebbe essere una flagra manubriata, di cui il manubrio soltanto ora si conoscesse , o altrimenti una di quelle verghe colie quali i sacerdoti della dea percuotevansi, come gia a suo luogo vedemmo. Il bronzo del sovente ricordato museo Barberini credo presen- tarmi un oggetto certo e rilevato, pel quale venire alia cognizione del nostro incerto e consunto. Si vede di fatto in quella , quasi nel luogo stesso , un pic- col serpe , che potrebbe dirsi della specie de’ cerasti piu comunemente conosciuti col nome di vipere , il morso delie quali e venefico sommamente, e rare volte ammette rimedio. Non saprei cosa altro supporre in questo rilievo , mai non potendosi dare una giusta spie- gazione a cio cbe piu non conserva 1’ originale e chiara sua forma. La morte di Ati avvenuta sotto il pino, e le ossa di Iui a pie di quest’ albero sepolte, come dicemmo, indussero Cibele ad averlo caro e difenderlo, ed a sceglierlo per proprio distintivo e simbolo , unita- mente alia noce di quest’ albero, cbe noi vediamo im- mitata nel simbolo posto nel centro della metallica no¬ stra mano : e forse con avvisato consiglio si vedra nel centro, come se avvertir ci volesse con questo sim¬ bolo notissimo della dea, a lei del tutto sagro il voto, ed a lei pure appartenere gli altri segni dai quali e ( 468 ) circondata (i). Altre ragioni trovano i mitologi per di- chiarare il perche fosse il pino tanlo caro alia dea. Credono che all* ombra di quest’ albero conoscesse il pastorello Ati, e che se ne invaghisse. Ovidio poi (a), e Lattanzio Placidio ( 3 ) dicono che gelosi gli dei, spe- cialmente Giore, degli amori di Cibele con Ati, conver- tissero le ossa di questo in pino dopo ayerne fatte di- vorare le carni dalle fiere. Nella estremita delle due dita indice e medio si veggono gli artigli di un’ aquila, che stringono un tal simbolo, il quale per la molta consunzione del bronzo non puo chiaramente conoscersi. Il Pignoria ( 4 ), allor- che nel Yoto somigliante venne ad incontrarsi in que- sto segno , non esito di affermare che nella forma- zione del monumento vi fosse stata in realta Y aquila, ma che il tempo V avesse disgiunta, non lasciandoyi (1) Fedro fav. XVII lib. III-Quercus Iovi, Et myrtus Veneri placuit, Plioebo laurea, Pinus Cybele. E Marziale faceto : Poma sumus Cybeles: procul bine discede , vialor , Ne cadat in miserum nostra ruina caput. Lib. Ill epigr. 2 5. ( 2 ) Lib. X Met. v. io5. (3) Lib. X fab. 2 . (4) Nell’opuscolo spesso citato. ( 46g ) die gli arligli , i quali, dice egli, stringono le parti virili di coribante delle quali doveva privarsi allor- quando iniziavasi nei sacri riti della dea. Andando noi piu oltre colle nostre congliietture suit’ argomeato, po- tremo credere die il giovane mal sano (o chi altro per lui pregasse la dea), uDitamente all’offerta di quest’eneo vote , avesse pur unita la promessa di dedicarsi del tutto a lei se restituita gli avesse la salute. Per anno- verarsi fra’ sacerdoti galli gia si vide la necessity di evirarsi , die il fusore puo averci qui voluto indicare. Che poi solenni promesse di questa specie facessero gli antiebi a’ loro dei, ben ce lo ricordano le iscrizioni e le storie , ed in queste prevalga 1 ’ autorita di Dionisio Alicarnasseo allorclie parla delle vestali (i). Non sa- rebbe fuor di proposito di supporgli anche artigli d’avol- ioio che asportauo qualche membro di Ati, lasciato in preda alle fiere, come si disse. Crede alcun altro es~ ser quello P augello di Giove che stringe fulmini , e non dubito annunciarlo insegna militare , avvisandosi die prima vi fosse stata intera 1’ aquila fulminifera. Potrem noi rispondere colla autorita di Dione (2), che 1* aquila legionaria fu di oro , e non di bronzo ; die questa mai non fu soprapposta alle dita di una mano, ma da se grandeggiava sopra un* asta , come vedesi nelle ( 1 ) Lib. IV. (2) Lib. XV. ( 47 ® ) monete della gente Antonia, ed in alfri antichi nummi. Finalmente poi ricordar potremo che il fulmine puo essere eziandio caratteristica di Cibele, perche com- presa fu fra le undid divinitanelle quali era il po- ter favoloso di scagliar fulmini, a testimonianza di Cor- nuto (i). Sulla estremita del pollice vedesi una testa di ariete, come nella seconda annodatura del dito piccolo cur- vato osservasi un ciato ansato. Piuttostoche supporre entrambi simboli di Giove Ammone, meglio sentirei di crederli indicanti il sagrificio , che puo aver ac- compagnato il voto, Ne osti che yittime proprie di Ci¬ bele fossero il bue, la capra , e la porca; poiche il criobolio , al dir di Prudenzio, fu in uso anche in onore di Cibele, e di Ati, come anche meglio ne as- sicura una iscrizione riferita dal Montfaucon (2) di un tal sagrificio indirizzato alia madre degli dei. Che se poi isolatamente vogliamo esaminare questi due simboli, li iroveremo suscettivi di mille allego¬ ric ed interpretazioni , delle quali noi non ne ve- dremo di volo che alcune. La testa di ariete pud risvegliarci F idea della illibatezza a cui astringevanr i sacerdoti di Cibele , su di che e pure da osservarsi che la voce greca ccyvos e pur nome di un vitice da (1) I11 Persium pag. i 44 * (2) Antiq. explic. tom. II. ( 47i ) noi conosciuto colla denominazione di agilocasto, Ic cui foglie credevaasi aver virtu di rintuzzar la li- bidine , e di favorire la castita ; e percio di esse for- marono letti e strati da riposare le matrone ateniesi per mantenersi continenti e caste nelle feste tesino- forie iustituite dal re Triptoiemo in onore di Gerere. La testa di ariete potrebbe indicarci il principio deli’an- no astronomico , a cui riunendo le altre due dita di- stese si potrebbe avere il tempo di tre mesi certi della malattia del supposto infermo, ovvero l’epoca del fatto, o sciolto volto ; o finalmente 1’ eta del fanciullo trime- stre ovvero trienne ? come se si dicesse di tre arieti, prendendo per metalepsi la voce di ariete invece di anni, di cui tanti esempi pur ne abbiamo nelle sagre pagine. Il vaso per se ricordar potrebbe un tal donativo fatto alia dea , ed anche indicare il zodiacale segno di acquario, su cui avrebbe luogo l’adattare quelle riflessioni r die gia si fecero allorche si parlo della bilancia e deH’ariete. Riunendo poi il vaso al serpente, potrebbero entrambo essere allusivi a Cibele per quanto videsi nella dipinta cretacea stoviglia posseduta dal prin- cipe Poniatowschi } ed illustrata dal ch. Ennio Quirino Visconti da noi accennato allorquando parlossi del serpente. La forma del vaso esce dall’ordinario, ed e ben raro a rinvenirsi vasi di forma semiellittica fra gli ttrezzi di uso domestico e sagro degli antichi. ( 472 ) Non ci rimane ora che a considerare quel rilie- yo che trovasi sotto la palma della mano , e preci- sameute in quella parte detta polso , e che oltre pre- sentarci idea del proseguimento del braccio , a cui avrebbe dovuto riunirsi , serve ancora a questa me- desima di base. Quivi vedesi un’ara , o altare. Se si chiedesse a quale oggetto vi si vegga , potrebbe rispondersi : per raeglio classificare il bronzo per vo- tivo. Riunendo poi all’ altare la testa di ariete , ed il vaso che abbiam gia descritti , possiam ve- dervi la libazione , la vittima , ed il luogo ove dovea consumarsi , ed in queste tre cose riconoscere 1* in- iero sagrificio. Vieppiu ci conferma in questo parere la mano votiva illustrata dal Tomassini, di frequente rammentata da noi, nella cui base leggesi: Cecropius F. C. voium S. , vedendosi in questa il tripode sopra del quale la testa di ariele , e vicino dei vasi. Ed era gia ben ragionevole che essendo stato stabilito il voto a continua memoria , rimanesse ancor sempre palese che fu accompagnato da un sagrificio. Eccovi sposte quelle riflessioni e congetture che a me parvero piu acconcie ad illustrare il monuinen- to , di che tolsi a fare esame. Quest’antico cimelio, in un con quelli de’quali feci cenno nella prima parte di questo discorso ( allorquando dissi alcun che del suo ritrovamento), non sono che saggio tenuissimo sfug- gito avventurosamente alia cupida ingordigia di quei ( 4 7 5 ) villanzuoli. , ed alia vandalica mano distruggitrice di tanti oggetti preziosi ; del clie debbesi lode alle molte cure di quel virluoso e nobilissimo cav. Brancuti , cui bramo pure io di secondare e per proprio gc- nio , e per amore di patria. Dolce cosa sarebbe per me se tali prodolti fossero caparra di felice risultato alio scavo, il quale avrei pur talento di recare ad effetto in sul luogo , a cio spingendomi i molti avanzi di anticbe fabbricbe ivi apparenti (i). Render potriasi cosi (i) Gli avanzi (li quesle anticbe fabbricbe non richiama- rono l’attenzione di alcun curioso erudito se non nell’anno 1734, allorclie condannati, da cbi gli aveva ne’ fondi propri, alia di*. struzione tolale, si avvide della direzione loro sotterranea e delle forme di fabbricati. Fu allora invitato a considerarli Luca Anto¬ nio Gentili da Gubbio, il cui nome non e oscuro fra’ lette- rati. Fece cavare le piante di alcune fabbricbe , e riconoscere V estensione della citla. Mentre cio operavasi, un frammento di iscrizione si dissolterro, nel quale riconobbe un voto di decurioni ad una divinita. Sei iscrkioni intere pubblico il Muratori clie disse trorate in questo luogo, ma vi fu cbi si oppose, e rimane in- decisa la loro provvenienza. La terz.a di queste e intcressantis- sima. Nessuna pero accenna il luogo a cui appartennero ; oltre di cbe e da avvertirsi che il Muratori le pubblico con qualche varieta , ingannato forse da corrispondenti: il cbe spesso gli ac- cadde. Ma rilorniamo al Gentili , il quale pronunzio il suo giu- dizio , e la citla distrutta disse essere stato 1 ’ Uvbino Metau* rense. Non fu combaltuta questa opinione cbe nel 1759, allor- cbe Annibale degli Abati Olivieri con dotta dissertazione (che 60 ( 474 ) in alcun modo la vita e lo splendore ad una citta,• che piii di otto secoli invidiosi ei tolsero al tutto. Qual- ck’egli siasi il prodotto di mie ricerche voi il sapre- te , accademici v&lentissimi daccke di buon grado sottoporro al vostro giudizio le piante di quelle fabbri- cbe delle quali rimangon vestigi , e di quelle cbe po- iessero rinvenirsi. Saprete cbe cosa veuga rappresentato uel musaico, di cui il caso ba scoperto una parte ; ve~ drete ancora originalmente , se il potro , gli oggetti asportabili , o altriraenti li vedrete in disegno. Spero che questo mio divisamento incontrar possa l’approvazione di voi, che tanto contribuite ad avan- zare le arcbeologicbe cognizioni e la gloria di Roma. pua yedersi nel tomo 49 della raccolta di opuscoll scientifici e filologiei del Calogera) , aderendo al Gentili studiavasi di fissare eon' ragioni cbe 1 ’ Urbino Metaurense doveva riconoscersi in quegli ayvanzi, e F Ol'tense in quello che esiste. Molti lette— rati di quel tempo rintuzzarono le opinioni del Gentili e dell’ Oli¬ vieri , e dissero' Metaurense F Urbino cbe questi stabilirono Or- tense. Altri vi videro paesi di remotissima ricerdanza , pochi dissero esser quelle vestigia della citta di Maleria, o Aleria. Se com attenzione si fossero studiati gli antichi scrittori delle cose it-aliane; se fossero stati visitati gli archivi; e se si fosse dato il peso- dovuto alk antica denominazione di quel luogo, che per* oltre seicento anni sernpre si disse Pian di Valeria , sono di parere cbe la questione avrebbe avuto gia termine, e tutti avreb- bero convenuto cbe ivi fu la citta di Valeria'*. SULLES ANTICHS CUSTODIE DELLA. i4®t4 l*«AM9TtA DISSERTAZIONE LETTA DAL SOCIO ORDINARIO MONSIGNORE 3Ds ALBERTIlf© BEMkESfgHI ARCIVESCOVO DI NICOSIA NELL’ ADUNANZA TENUTA « NEL El 12 DI DICEMBRE 1833 . ' - : • ... * >-,* ?»•• 1 ■ . i : " > - J iTJTJ < • /.• ( • 0 ' ^ . v.. • . ’ I?:; t •. ,.8‘>r •dV'4»^via *«t -J i i ' * • - k. / . • ( 477 ) \ i Sarebbe slata mia intenzione , eruditissimi accade- mici, di tenervi ia quest’ oggi discorso su varie cri-' stiane anlichita che conservavansi in alcaui sacrarii della mia camaldolese congregazione ; ma nella disper- sione del 181 o essendo essi scomparsi, ne potendoli pin avere solt’occhio, mi ritrovo impossibilitato a soddisfare l’altrui erudita curiosila. Noil ostante credo che non vi riuscira discaro se ve ne daro un cenno. Voi , sa- pienti accademici, coll’erudizione vostra formandovene un’idea , potrete a bell’agio giudicare a quale scopo servivano , ed in quali tempi erano in uso. 2 Nella chiesa di s. Gregorio al monte Celio, en- trando nella capella cosi delta dei Salviati a mano sinistra, esiste ancora una tavola di marmo con figure a rilievo (i), mancante pero nella sua base, in cui uno bellissimo ne esisteva , il quale nolle recentemente tras- corse luttuose vicende non si sa come disparve. Nella porzione superiore rimasta alia base vedesi a mano de- slra un vescovo pontificalmente yestito con milra , ed a sinistra un monaco con cappuccio in testa. Piu so- pra, nel pilastro a sinistra dello spettatore, un papa con triregno in alto di dare la benedizione colla destra , c sostenendo un libro colla sinistra. Nel pilastro a de¬ stra un apostolo con libro in mano. Alcuni hanno im- maginato t che nell’ uno di questi due santi venga si- (i) Yedi l'annesea tavola in ramc. ( 478 5 gniflcalo s. Gregorio magno , nell’altro I’apostolo s. An¬ drea , perclie la cliiesa suddetta ad ambidue e dedica- ta ; ma non vi e alcun emblema che per tali carat- terizzare li possa, ne il libro che tiene in mano l’apo- stolo ha che fare con s. Andrea. Altri hanno creduto che in esso apostolo venga significato s. Paolo, poi- che si conosce che colla destra inclinata , a cui man- cano alcune dita , sosleneva oppure appoggiaya una qualche cosa , e forse la spada emblema del santo : ma tutto e incerto. Piu sopra a sinistra e l’arcan- gelo Gabriele con giglio in mano , il quale annuncia Maria vergine che e posta alia destra ; ed ai lati si dell’ arcangelo come della vergine sono due santi, uno barbuto , V altro senza barba. Nel campo di mezzo e Maria vergine col figlio tra le sue brae- cia , venerata da sei angeli , tre per parte , e da un monaco prostrato colle ginocchia a terra. Due altri an¬ geli recano una corona sopra il capo della vergine. Piu sopra si vede un foro che scuopre il luogo ove anticamente conservavasi l’Eucaristia, che da due an¬ geli in ginocchio , e da quattro teste di cherubini e venerata. In mezzo ad una specie di fregio e un tempielto, sopra del quale sta in piedi un angelo, e nei lati scolpiti vi sono varii papi , dei santi , dei mar- tiri, e degli angeli. Nell’abside o lunetta vi e il Padre Eterno che benedice il mondo attorniato da quattro cherubini. Nella fascia, che tien luogo di cornice, Ieg- gesi la seguente iscrizione che dimostra l’antichita del ( 479 ) monumento : Fra/er Gregorius huius monasterii ro - manus abbas fieri fecit hoc opus anno Christi 1 4 . 6 g. Apparteneva all’ antica cliiesa di s. Gregorio , e fu collocato ove ora si ritroya in occasione della rie- dificazione della nuova: il che accadde sul princi- pio del secolo XYIII. 3 Altre sacre antichita conservavansi innanzi al 1810 nel sacrario della cliiesa di s. Groce dell’Avel- lana, luogo situato in una valle del Catria nel ducato di Urbino, dopo il concilio di Firenze ivi portate con molte altre cose pregevoli dal cardinale Bessarione die fu commendatario di quella abazia , ed ove lungamente fece la sua dimora. Fra gli oggetti periti eravi pri- mieramente una torretta di metailo dorato , nel cui piede vedevansi quattro sacri antichi cammei, ed altri ire neir asta ossia manico , e sopra la torretta una scatola di argento con copercbio simile per riporvi F Eucaristia ; ed in cima una lunetta d’ argento do¬ rato per esporla alia pubblica venerazione. Eravi an- cora una scatola di metailo dorato fatta a stella, nel cui centro vedevasi altra scatola d’ argento con co¬ percbio simile, atta parimente a riporvi 1 Eucaristia. Questi oggetti con altri molti nel 1810 scomparvero , ne mai piii si sono veduti. 4 Piu non esistendo queste sacre anticliita nei luoglii ove prima conservavansi , ed ora ignorando ove possano ritrovarsi , ed ancbe se pin esistano , inu¬ tile alfatlo io reputo volerne tenere discorso; imper- ( 48o ) ciocche correrei evidente pericolo di inesattezza pren- dendo molti abbagli ; onde dovro contentarmi d’ia- , dagare in quest’oggi quali fossero le costumanze dell’an- tica ehiesa sulla custodia della sacra Eucaristia, per quindi rilevarne a quali usi i descritti oggetti fossero destinati, ed a quale epoca potessero essi appartenere. b Cerlo e che presso i cristiani sempre fu la lodevole costumanza di conservare 1’Eucaristia nelle cbiese ; ma certo e ancora che nei prirni tempi te- nevasi nelle case ; imperciocche consecrandosi allora nelle grotie e nei luoglii celati, ne partecipavano i cri¬ stiani , e quindi alle loro case recavano alcune par- ticelle , che con tutta riverenza e venerazione custo- divano , accio ogni giorno ricevendo il pane degli an- geli si rinforzassero nello spirito , e si preparassero cosl alle battaglie per sostenere i diritti di santa fede, giac- cbe ogni giorno erano in pericolo. Tertulliaao , scri- vendo ad una donna cristiana maritata ad un uomo ido- lalra, cosi le dice (i): Non sciet maritus quid secreto ante omnem ciburn gustes. Di questa usanza della primitiva chiesa favella s. Cipriano in occasione di quella femmina , la quale volendo aprire l’arca mani- bus indignis in qua Domini sanctum fuit, vedendo da questa uscire delle fiamme, sbigottita non si arrischio di aprirla (2). Ne favella pure s. Gregorio nazianze- (1) Tertullianus lib. II Ad uxorem cap. V. (2) S. Ciprianus lib. De lapsis. ( 48 1 ) no (i), il quale scrive clie la sua sorella Gorgonia,' dopo di avere sperimentato inutile e vano ogni rime- dio per risanare da un male gravissimo, colle pregbiere rivolte a Gcsu sacramentato ivi presente ne risano. Clemente alessandrino (2) e s. Girolamo sgridano coloro clie si comunicano in casa ( 3 ), per le ree loro operazioni temendo di recarsi alia chiesa. Cento altri documenli aver si possono dal Martene ( 4 ), dal Bona ( 5 ), dal Mabillon (6). 6 Ne dopo cessata la persecuzione , la quale fu la prima cagione per cui , colla scorta di s. Basilio nella lettera 289 scritta a Cesaria patrizia, notano gli anticlii scrittori dalla chiesa essersi permessa ai fedeli la domestica comunione, cesso la costumanza della custo- dia del Sacramento nelle private case. Omnes enim ( dice il santo dottore ) qui in eremis vitam agunt, ubi sacerclos nullus est, communionem domi sertantes per seipsos participant. In Alexandria vero et Aegy- (1) S. Gregorius nazianzenus, Orat. de laudibus sororis suae GorgOTiiae. (2) Clemens alexandrinus lib. I Stromatum. ( 3 ) S. Hieronymus, Epist. 5 o. Ad Pammachium. ( 4 ) EJmundus Martene, De antiquis ecclesiae ritibus lib. I. cap. Y artic. I. — ( 5 ) Bona, Rerum liturgicarum lib. II cap. XYII ( 6 ) Mabillon, pluribus in locis, sed praesertim De liturgia gallica lib. I cap. IX. 61 ( 482 ) pto mmsquisque etiam ex laicis, lit plurimum, habet do- mui suae comjnunionem, et cum vult seipsum communi¬ cate Lo stesso racconta Palladio dei discepoli di s. Apol- linare, e dei tremila nella Nitria del santo abate Or. Nella vita di s. Luca il giovane , clie riportata trovasi dal Coppefis al tomo secondo della biblioteca de’padri, si descrive la maniera con cui quei primi fedeli si co- municavano. Ai tempi di s. Girolamo ancora conti- nuava quest’usanza nell’ oriente ; ma nell’ occidente da due concili era gia stata vietata , cioe da quello di Saragozza celebrato nel 38 1 sotto il pontificato di s. Damaso , a cui intervennero anche i yescovi di Aqui- tania T come espressamente si conosce dal canone 3 (i): Eucharistiae gratiam si quis probatur acceptam non consumsisse in ecclesia , anathema sit: e dal tolelano I celebrato nell’anno 4 oo sotto il pontificato di s. Ana- stasio : Si quis acceptam a sacerdote Eucharistiam non sumpserit, velut sacrilegus propellalur (2). Sebbene questi canoni fossero fatti a cagione degli eretici pri- scillianisti, che per non essere scoperti convenivano nelle cattoliche cliiese, e ricevuta 1 ’ Eucaristia , ne ivi, ne altrove colla comunione la consumavano y non ostante furono universali coll’ obbligarne tutti all’ osservanza. Altrimenti con questi non si sarebbe posto necessario (1) Concilium saragonense can. 3 . (2) Concilium toletanum I can. i 4 - ( 483 ) argine ai contumaci : poiclie F interna credenza della fede non puo cadere sotto il giudizio della chiesa per ammettere gli uni, ed escludere gli altri. Al piu puo dirsi eke nella ckiesa occidentale la domestica comu- nione sia continuata soltanto presso le monacke sino al XII secolo , leggendosi eke nel giorno della loro consecrazione davasi un’ ostia intera , colla quale di- risa in piu parti per gli otto susseguenti giorni da se medesime , siccome lo assicura il Martene (i), si co- municavano. ° 1 *■ / 7. Cke nei primi secoli fosse permesso ai laici , dopo essersi comunicati in ckiesa, non solo di portar seco alle proprie loro case F Eucaristia a fine di po- terla ivi consumare , ma ancke di recarla agli assenti , lo dimostrano il Bona ed il Martene, i quali colla te- stimonianza di s. Giustino martire (2) fanno yedere cke non potendo tutti i fedeli assistere alia messa , percke a quei tempi una sola se ne celekrava al giorno, era d’ uopo di recare F Eucaristia agli assenti, a’ quali non era stato agio di recarsi alia ckiesa. Eusekio in- fatti rammenta ( 3 ) la porzione dell’ Eucaristia portata da un fanciullo al vecckio prete Serapione. Lo stesso (1) Martene, De antiqnis ecclesiae rilibus lib. I cap. V artic. 2 num. 5 . (2) S. Iustinus martyr, Apolog. Il Ad Antoninum piutn. ( 3 ) Eusebius lib. VI cap. XIV. 6l * ( 484 ) afferma Balsamone trullauo : Latini autem azima assi- dui in sinu ferentes , etiamsi sirit laid, ea non so¬ lum sibi ut sacrament a impertiant, sed etiam aids (i); il che si trova talyolta praticato dalle femmine stesse , alle quali per altro da s. Sotero papa era stato vie- iato anche il semplice tatto dei sacri arredi : Consti - iiiit ut nulla monacha pallam sacratam contingeret . Ma il concilio di Reims vie to eon maggior ragione alle femmine di recare il pane eucaristico agl’ infermi : Per - venit ad notitiam nostrum quod quidam presbgteri in tantum parvipendant divina mysteria, ut laico vel foeminae sacrum corpus Domini tradant ad deferen- dum infirmis ( 2 ). Da Giovanni vescovo telasense si sa, clie era questa una prerogativa delie diaconesse di Si- ria. Diaconissis licere, egli scrive (3), non modo ca- licem accipeve de manu sacerdotis , sed etiam posse illas , absente sacerdote out diacono , sororibus suis in monasterio eucharistiam ministrare imo et pueris, modo quintum aetatis annum non attigerint. 8 Se da’ laici , e con abuso anche dalle femmine anticamente amministravasi 1’ Eucaristia , con piu ra¬ il) Balsamone nel canone 58 trullauo. (2) Concilio di Reims can. 2 presso Grasiano De conssera ~ iione dist. 2 can. 9. ( 3 ) Eusebio Revand'ot tom. Il pag, 125 dell’ edi&ione di Pa* 21*gi del 1715, ( 485 ) gione potev.a portarsi dagli accoliti , che in quegli an- tichi tempi ricevevano nella loro ordinazione saccu - lum supra planctam (i). II Mabillon spiega che cosa era questo sacculum (2): Eiusmodi sac cuius erat ad red - pieridam et deferendam Eucharistiam. Ed in yero noi leggiamo nei marlirologi sotto il 1 5 agosto, si di Usuardo e si romano , che circa la meta del secolo III, nel' pontificato di s. Stefano primo , erasi scelta dall’ accen- nato accolito Tarsiccio piuttosto la morte dei sassi e delle percosse contro di lui scagliate dai gentili, di quello die manifestar loro il corpo di Crislo , il quale egli teneva in dosso , che poi neppure dai gentili fn ritroyato. Che se dal concilio romano secondo nel eanone 9 , celebrato sotto il pontificato di s. Siiyestro , si vieta agli accoliti il portare 1’ Euearistia : Nullus acolylus rem sacratam a presbytero iam alio porri- yeret, nisi tantum supportaret quod ei sacerdos im¬ panel suo ore benedictum : cio deve intendersi senza la permissione del sacerdole , come dalle stesse parole del eanone , sebbene alquanto oscure , secondo la spie- gazione del Ciampini (3) puo ottimamente dedursi. 9 II Surio , nella vita di s. Lorenzo dublinense ? fa vedere che i sacerdoti e gli uomini santi avevano (1) L’ordine romano VIII. (2) Mabillon-, Museo italico tom.. Ill pag. 85 . ( 3 ) Ciampini De azymorum usil cap. XII. ( 486 ) F uso di porlar seco nei loro viaggi 1 ’ Eucaristia. E qui tralascio per brevita cio che dice s. Ambrogio del viaggio marittimo di suo fratello (i) : cio die dice s. Gregorio del viaggio del vescovo di Siracusa: cio che dice Giovanni diacono dei monaci che naviga- vano a Costantinopoli (2): cio che dice un anonirao presso il Surio di s. Birino ( 3 ) : e cio cbe dice s. Gi¬ rolamo di Esuperio vescovo di Tolosa ( 4 ) , che tutti nei loro viaggi seco portavano 1 ’ Eucaristia. Anzi, come abbiamo dai libri capitolari, dovevano i parrochi averla sempre seco ovunque andavano : Preslryteri sine sacra chrismate, oleoque benedicto, et salubri Ckristi Eucha- ristia , aliquibi non profciscantur : sed ubique, vel for- tuito requisitifuerint ad ojficium suum, inveniantur pa~ rati in reddendo debito ( 5 ). 10 La costumanza di seco portare 1 ’Eucaristia nei viaggi fu dimessa , almeno nell’ occidente , circa 1’ an¬ no 1464 • e con somma avvedutezza, come nota il car- dinale Baronio all’anno 633 §. 17 ove scrive : Sicut hanc piam consuetudinem fervens religio inlroduxit, ila religio sancta subduxit; snadebat tunc Jides, quod i; ; ' 1 0 J r ■ ' 9‘ieo9* a (x) S, Ambrosius , In oralione jratris sui Satjri. (2) Ioannes diaconus, In vita s, Gregorii lib. I cap. XXIII. ( 3 ) Surio, Il di 1 di dicembre cap. I. ( 4 ) S. Hieronymus, In epistola ad Rusticum. ( 5 ) Libri capitulares, lib. XIV cap. CLXVIII. ( 487 ) postea reverenlia dissuasit. Utrobique commendandi ji- deles. NelPoriente seguitarono i monaci nei lunghi loro viaggi a portare seco 1 ’ Eucaristia ; ma Bene¬ detto XIV nella sua costituzione Super graecorum ne La loro rinnovato il divieto. I papi pero hanno se- guitato questo costume sino al secolo XVIII ; ed il Rocca, prefetto delF apostolico sacrario, su di cio molto si diffonde (i). Parve al Baronio di dover derivare que- sta consuetudine da un viaggio die fece Stefano II, detlo III, di cui parla Anastasio Libliotecario. Scrive egli, che Stefano papa recandosi a Pavia condusse seco ex sancta romana ecclesia quosdam sacerdotes , pro- ceres etiam, et caeteros clericorum or dine s, et ex militiae optimatibus, Christo praevio y caeptum iter prosequutum esse (2). Dal qual passo pretende il Ba¬ ronio , che avanti il papa precedesse il divin Sacra¬ mento. A me per altro non e certo, se quelle parole Christo praevio debbansi intendere dell’ Eucaristia , op- pure della croce solita portarsi avanti il papa. Altri eruditi scrittori credono cbe una tale consuetudine in-- cominciasse da Stefano IV nell’anno 768 , e fosse pra- ticata da Urbano II ed Alessandro III ; de’ quali si (1) Rocca , In commentario de sacvosancto Christi corpore romanis pontificibus iter facientibus praecedente. (2) Baronius , Ad annum -j 53 § 8 et 9 ex Anastasio biblio- iheeario. ( 483 ) Iegge die nei Iungbi loro viaggi porlavano seco la sacrosanta Eucaristia. L’ ultimo de’ papi cbe uso un ial rito fu Benedetto XIII, allorcbe nel 1727 recossi a Bencyento. * 11 Quello pol di recare 1'Eucaristia agl’infer mi ed ai moribondi e anticliissimo nella cbiesa , cosicche il concilio niceno I chiama quest’ uso regola di antica legge (1) , quasi voglia dirlo coevo agli apostoli: De Ins vero qui recedunt ex corpore, antiquae legis regula observabitur eiiam mine, iia ut ultimo vitae suae tem¬ pore viatic 0 non defraudentur . S. Ambrogio ricevette ii viatico da Onorato sacerdote della cbiesa di Ver- celli; e nella lettera sinodica della cbiesa affricana a Cornclio papa, ed in piu. lettere di s. Cipriano, e nel concilio valense dell’ anno 442 , e nel concilio XI di Toledo canone 33 , si fa menzione del santo viatico , di cui parla ancora Gregorio III , allorche nega ai parricidi la comunione , ed a loro la concede soltanto in punto di morle. Da lutto cio il cardinal Bona ri¬ le va , cbe se 1’ Eucaristia nei primi secoli conserva- vasi nelle case , se s’ inviava agli assenti , e se si porta va per viaggio, dovevasi ancora conservare nelle chiese pel bisogno c conforto degl’infermi e dc’mori¬ bondi. Ma cbe giova l’andar rintracciando con argo- menti cio cbe per lestimonianza degli anticbi padri si /.vA'ivy. ,v\ m&i ».V.v.nvi-.v\ ' ;• ! FT” ~ ' "• ~~ ..iOlfifl ic~ (1) Concilio niceno I can. i 3 . ( 48g ) ha espressamente chiaro dalla ccelesiaslica istoria. Ma io qui non voglio irascurarc quello squarcio delta let- tera seeonda die si pretende scrit'a da s. Clemente papa a s. Giacomo , nella quale premurosamente in- culca di usare somma diligenza per ben custodire nel sacrario gli avanzi tuiti dell’Eucaristia con altri avvisi die risguardano la medesima. So benissimo che que- sta lettera colic altre clementine da’ critici non si re- puta genuina ; ma so ancora che il Bellarmino (i) va congelturando che da s. Clemente potesse essere scritta a Simone fratello di s. Giacomo. 12 Laseiato cio nella sua incertezza , tra i padri greci abbiamo in primo luogo s. Giovanni Grisosto- mo (2) che descrive Y irruzione dei soldati accaduta nel sabato santo nella chiesa di s. Sofia in Costanti- uopoli, ove alcuni di essi che non erano battezzati en- trarono con altri nel luogo in cui erano riposti i sa- crosanti misteri, e videro quello che non era lecito vedere se non ai soli fedeli: e rovesciando i sacri vasi, rimasero asperse del prezioso sangue di Gesu Cristo le loro vesti: Milites enim ubi erant sacra re - posita irrumpentes, viderunt omnia quae intus erant, et sacratissimus Christi sanguis in praedictorum ve¬ st es effundebatur. Riflettendo su questo passo del Gri- (1) Bellarminus , De scriptoribus ecclesiasticis. (a) Io. Chrysostomus , In epistola ad Innocentium. 62 ( 490 ) soslomo , il Mabillon osserva che il sangue del Reden- tore conservato in chiesa non era certamente di quel giorno, poiche secondo l’eucologio dei greci presso Goar la messa si celebrava dopo il battesimo dei catecumeni, i quali eransi spogliati, quando i soldati entrarono in cbiesa , per la batlesimale immersionc , e die a fine di salvare la vita furono astretti a fugirsene nudi; ond’e che se i soldali in quella irruzione sparsero il sacro- santo sangue , e la consecrazione in quel giorno dei sabato santo non era ancora eseguita, egli e argo- inento certo che si conservava sotto la specie del pane e del vino, poiche eravi 1’ uso di comunicarsi solto am- bedue le specie. Di questa costumanza trattano molti autori, e principalmente Giovanni ragusino nella elo- quente orazione fatta al concilio di Basilea , ed il Wad- dingo (1) ; il qual uso poi fu dimesso si per il ri- scbio di spargersi il sangue, come per il rischio di putrefarsi. 1 3 S. Cirillo alessandrino , nella sua leltera a Ca¬ lls irio vescovo , deride coloro che riprovavano la con- servazione dell’ Eucarislia ; e lo stesso fa Ottato mille- vitano (2) che visse circa il 55 o, allorche riporla l’ese- cranda scelleratezza dei donatisti, i quali , entrati in chiesa, presero il sacro pane, e lo diedero ai cani, che (1) Waddingliius, In epistola i 5 divi Francisci nura. J. (2) Optalus millevitanus-Jib. I et VI. ( 49 1 2 3 4 ) poi rabbiosi Iacerarono i loro padroni : Iusserunt Eu - charistiam canibus fundi: nam iidem cani, accensi ra- bie , quasi latrones sancti corporis re os, dente vindice tamquam ignotos et inimicos laniaverunt. Prova ancora una tale coslumanza il vescovo Vittore (i) che ricorda la pugna fatta dal vescovo Valeriano contra il re Gen- serico per aver tolto dalla cbiesa il Sacramento ; e soggiunge, che amo meglio sopportare Fesilio, che dare nelle mani di lui la sacrosanta Eucaristia. Lo prova eziandio s. Gregorio magno ( 2 ) , che racconta il fatto di s. Benedetto quando sepelli il morto monaco piu yolte dalla terra ributtato colla particella dell’ Eucari¬ stia presa dalla cbiesa. Raccogliesi finalmente da s. Eu- docia martire, presso F Enschenio (3), la quale tratta alia morte , ed impetrato dai soldati picciolo indugio, entrata in cbiesa , aperta F area e presa una particella consecrata, se la rinchiuse in grembo, e con essa in- viossi al martirio. 1 4 E qui io sono richiamato a favellare del modo con cui anticamente nelle cliiese tenevasi F Eucari¬ stia. Il Mabillon e di parere che in tre modi ivi si conservasse (4). Il primo ed il piu antico era quello or; s,b giva.u- -roa r - ;• ( 1 ) Victor episc. lib. I. African, persecut. ( 2 ) S. Gregorius magnus lib. II. Dialog, cap. XXIV. (3) Enschenio. Al primo di marzo. (4) Mabillon, In commenlario ad ordines romanos. 62 * ( 4-92 ) di tenerla in un armadio nella sagrestia. Di questa parere fu ancbe s. Girolamo (i), clie cosi scrive: Quare sacrarium in quo iacei corpus Christi, qui vcrus est ecclesiae ei animarum nostrarum sponsus, proprie tha¬ lamus appellatur. E certo che quando il sommo pon- tefice usciva dalla sagreslia per celebrare solenne- mente la messa , dal suddiaeono a lui mostravasi FEu- carislia , come rilevasi dalF anticbissimo Ordine Ro¬ mano al num. 8 pag. 9 , ove deserivonsi le cerimo- nie colie quali il sommo ponlefice procedeva all’ al¬ ia re : Tunc duo acolythi tenentes capsas cum sanctis apertas, et subdiaconus sequens cum ipsis tenens ma- num in ore capsae, ostendit sancta pontijici, vel dia- cono qui processer it. Tunc inclinato capite pontifex, vel diaconus salutat sancta , et contemptatur, ut si fuerat superabundans praecipiat ut ponatur in condi- iorio. E qui il Mabillon spiega cbe cosa fosse queslo conditorio : Conditorium hie locus, sen vasculum eras in quo tunc Eucharistia recondi solebat . i 5 Dalle riferite parole deli’Ordine Romano, come ognuno ben vede, si comprova bensi esservi stato 1’ use di mostrare al sommo pontelice nell’ uscire dalla sa¬ grestia 1 ’ Eucaristia , ma non gia , come da taluno si pretende , cbe lo precedesse la sacra area sino all’ al- lare : Ex his ergo mihi persuasum est r ante pontijicem (1) S. Hieronymus In cap. XL Ezechielis^ ( 4 9 3 ) ad missarum so lemma celebranda prodeuntem Eucha - ristiam non fuisse praelatam, sed ostensam tantummodo dam e sacrario excederel, et ad altare veniret. Cosi dottamente spiega le suddelte parole dell’Ordine Ro¬ mano monsignor Domenico Giorgi (i) meritamente lo- dato dal cardinale Quirini in una sua leltera al ce- lebre canonico Alessio Simmaco Mazzocclii in data di Brescia li 22 di agosto 1747. Congetturano alcuni die questo stile durasse in Roma, o almeno nella la- leranense basilica sino a Gregorio XI : lo clic racco- glesi dalle costituzioni di quel pontefice fatte per la lateranense cliiesa, ove al nuin. 18 si rammenta che in quella sagrestia si custodisce la mensa del Signore. Ma il Pdarlenc opina che cio debba intendersi della mensa, in cui nostro Signore celebro l’ultima cena (2), annoverandosi questa da Giovanni diacono ( 3 ) fra le reliquie di quella basilica, come anche al di d’ oggi si vede. 16 II secondo modo di conservare V Eucaristia era quello di tenerla o nel principals altare della chiesa , 0 in altro altare a cio destinato : il che tut- tora costumasi in Roma e in ogni dove. Nelle Gallie pero praticavasi il tenerla non gia nel tabernacolo , (1) Giorgi, De liturgia romani pontificis tom. I pag. 4 °- (2) Marlene, De antiquis ecclesiae ritibus lib. I cap. V. ( 3 ) loannes diaconus , Liber de ecclesia lateranense cap. Ill. \ ( 4g4 ) ma sospcsa sopra 1’ altare entro un vaso , della cui forma parlero or ora. Di questo gallicano uso fa test!- moniaoza Ugone flaviacense (i) , il quale cosi scrive : Henricum imperatorem, tempore Ricardi abbatis mo - nasterii s. Victoris, dedisse pyxidem imam de ony - chino in qua servaretur corpus Dominicum dependens super altare. 17 II terzo modo con cui conservavasi nelle chiese 1’Eucaristia-era il tenerla in un armadio, sospeso al muro presso 1’ altare maggiore , entro un prezioso vaso , alia pubblica vista esposto , con alcuni vaghi or- nati di pittura 0 scultura all’ intorno , ma senza al- cuna ara al disotto. A questi armadi appartiene il gia sin da principio indicato gregoriano , cbe ha dato motivo a questo comunque sia mio ragionamento. Ma ue esiste un altro tultora in attivita nella basilica di s. Croce in Gerusalemme , collocato a tergo della tri¬ buna dell’altare maggiore , il cui ornamento cbe lo circonda, come nota il Martene, devesi al cardi¬ nal Francesco Quignones. Di questo terzo modo di con- servare 1 ’Eucaristia cosi parla il Mabillon (2) : Ad latus evangelii, seu ad aquilonarem partem, habeban- tur in quibusdam locis armaria, in quibus sacratis- simum Sacramentum recondebatur; et quidem mos (1) Hugo flaviacensis, In clironico verilunense. (2) Mabillon , In traetata de azimo et fermentato. * ( A9 1 * 3 ) isle hac terns per sever at in quibusdam ecclesiis, pula Romae in ecclesia s. Crucis in Ilierusalem, in gal - licanis nonnullis, ut pene in parrochiali ecclesia s. Ioannis Baptislae, et ante decern annos in basi¬ lica furseana, alque in belgicis plerisque. 18 Benedetto XIV, gia tilolare di detta basilica, nella sua lettera enciclica scritta ai vescoyi , e spedita sotto la data dei 16 di luglicL.1746, fa speciale menzione del modo con cui in essa conservasi la sacrosanta Eu- caristia (i). Eruditamenle pure ne discorre il p. abate Besozzi nella sua istoria di questa basilica alia pagina 93. 3 Siccome (egli scrive) al mondo tutto e nota la som- 3 ma erudizione di Benedetto XIV in conservare e 3 promuovere l’antica disciplina , cosi a nessuno ha re- 3 cato raaraviglia , che tra le molte e grandi cose 3 ideate a favore di questa basilica non abbia egli pen- 3 sato ad assegnare altro sito in cui si custodisse il 3 santissimo Sacramento, accio ella si uniformasse al 3 costume di tulte le altre cbiese non solo di Roma, » ma anche di tutla TItalia, come ha osservato il Ma- 3 billon nel suo viaggio di questa vasta provincia; ma 3 abbia lasciato che si continuasse a conservarlo in (1) Benedetto XIV tom. II del suo bollario pag. 125 §.tei'tio loco , ove nell’accennata enciclica tratta: retinenda Crucifixi Salvator is imagine palam et visibiliter ex posit a super altaribus ad quae missarum sacrificia peraguntur. ( 496 ) j mezzo alia (ribuna , dove si vede la bellissima mac- » china di marrno erelta dal cardinale Quignones, Iin- » perciocche lutti hen. persuasi resteranno, clie un pon- » tefice cosi dolto e zelante permesso non avrebbe un » ial costume, se non fosse questo conforme all’ an- » tica disciplina della cliiesa » . 19 Da questa manicra con cui nella suddetta ba¬ silica si prosegue a cuslodire FEucaristia viene a con- servarsi non solo il lerzo , ma anche il primo modo dell’ antica custodia , come il lodato p. abate Besozzi argomenta alia pagina 90. » Quindi e, clie avendo il 5 pontefice Benedetto XIY lasciato clie in questa ba- » silica si custodisca il santissimo Sacramento nel pri- » miero sito che si vede , come si e detto, nel mezzo 3 della tribuna, vengono nell’ istesso tempo a conser- » varsi due di quelle antielie costumanze dianzi ac- » cennate. Imperciocche riguardo a questa basilica » essendo Faugustissimo Sacramento collocato nel men- » lovato luogo clevato nel mezzo del muro della tri- » buna, viene altresi ad essere custodito in sagrestia » da dove si leva , si muta, e si rimette secondo che rickiede il bisogno 5 . 20 Riguardo agli armadi, Rovero di s. Lorenzo nel libro degli uomini illustri del suo monastero rac- conta un prodigioso miracolo , eke essendosi fieramente incendiata una ckiesa in maniera tale che liquefatte rimasero ancke le stesse campane , ritrovossi nulladi- meno illeso ed intattQ F armadio, dentro del quale con- ( 497 ) servavasi 1 ’ Eucaristia. Miracolo simile abbiamo ai di nostri veduto nell’ iacendio della basilica di s. Paolo, cbe calcino le colonne di marmo , ma lascio innocua la statua di legno del santo , il Crocifisso detto di s. Brigida , e l’altare della Confessione. I greci pero, secondo cio che scrive Antonio Arnaldo (i), appen- dono 1’Eucaristia al rnuro , come si dira in appresso. 21 Sembra cbe il primo e terzo modo di conser- vare P Eucaristia yietato fosse dal secondo concilio di Tours , da cui si prescrive (2): Ut corpus Domini in altari, non imaginario ordine sub Crucis tiiulo com - ponatur. Questo canone , la cui intelligenza ha tanto logorato e travagliato P ingegno degli eruditi, venne chiaramente illustrato dal Mabillon ( 3 ), dimostrando che le parole imaginario ordine significano le pareti , 0 le sagrestie , le quali in quelle parti , ove stava il sa- cro ripostiglio, erano o vagamente intagliate , 0 nobil- mente dipinte : talche il senso del canone sia , che la sacra ostia si conservi non in imaginario ordine , cioe non nelle pareti della chiesa , ma in altari sub crucis titulo } cioe in mezzo dcll’altare sotto la Croce * (1) Arnaldus lib. Ill, De perpctua ecclesiae fide de Eucha - ristici. (2) Concilium turonense II can. 3 . ( 3 ) Mabillon, In tractatu de azimo cap. "VIII, et lib. I De liturgia gallicana cap. IX. 63 ( 4 g 8 ) Comunque cio sia, queste due costumanze comunemente in veruna chiesa piu non si osservano. 2 2 I sacri vasi y nei quali anticamente custodivasi l’Eucaristia, erano di due figure ; cioe o in forma di lorre , o in sembianza di colomba d’oro , oppure di argento. Dei yasi in forma di torre parla s. Grego¬ rio turonense (i) : Tempus ad sacrificium offeren- dum advenit j acceptaque turre diaconus in qua my- sterium Dominici corporis habebatur , ferre cepit ad ostium; e soggiunge che questa torre resto per mira- colo sospesa in aria. Di una simile torre fatta da Fe¬ lice bituricense fa menzione Yenanzio Forlunato co’se- guenti versi (2): Quam bene iuncta docent , sacrati ut corporis Agni Margaritum ingens aurea dona ferant. s Flodoardo scrive ( 3 ), cbe Landone arcirescovo di Reims ripose mm torre d' oro sull’altare di s. Mario di quella chiesa che fu fabbricata da s. Remigio , nella quale impiego dodici libre d’ oro donategli dal re Clodoveo. Negli analetti del Mabillon si ritrova il testamenlo di s. Aredio di Lemosi, ove si descrivono qualtro di que- (1) S. Gregorius turonensis lib. I De gloria martyr urn, (2) Venantius Fortunatus lib. I carm. a 5 , ( 3 ) Flodoardus lib. I cap. VI. ( 4-99 ) ste torri colie coper te di seta. Da qui si comprende quale doveva essere l’uso di quella torre, indicata da me sin dal principio che fu donata al monastero dell’Avel- lana dal cardinale Bessarione commendatario di quella abazia. 2 3 Troppo mi prolunglierei se annoverare volessi tutti i documenti che su di un tale proposito dall’isto- ria ecclesiastica si raccolgono , molli de’ quali trovar si possono nel piii volte citato Marlene. Ne qui abbrac- ciare io posso l’opinione di coloro che colla scorta del concilio arausicano primo, celebrato l’anno 44*, al ca- none 3 si danno ad intendere, che queste torri fossero piuttosto arche ad uso della materia da consecrarsi , e non della gia consecrata: poiche il contrario si de¬ duce e dal menzionato miracolo da s. Gregorio tu- ronense, e dal prezzo ed ornato delle medesime torri, e dai gia riportati versi di Yenanzio Fortunato. M Non meno era in uso , anzi piii antica la fi- gura di colomba per quesli vasi , e principalmente presso gli orienlali: come pure 1’ ecclesiastica istoria e fecondissiraa e ricolma di tali monumenti in rimem- branza forse di quella santa colomba, che nel Gior¬ dano comparve mentre dal precursore s. Giovanni fu battezzato il Redentore ; oppure, come opina 1 ’ Altaser- ra (i) , e il segno dello Spirito Santo. Primieramente (i) Altaserra 7 In notis ad Anastasium tom. II. 63 * ( 5 oo ) nella yila di s. Basilio, scrilta sotlo il nome di Anfi- lochio vescovo d’ Iconio, al capo 6 si legge che il santo divise in tre parti la sacra ostia: Tertiam par¬ tem in columba aurea depositam super altare su- spendit. Inoltre il concilio costantinopolitano celebrato nell’anno 536 sotto Menna, ed il niceno secondo, fanno rieordanza di quesle colombe. Simile documento rile' vasi dal quinto sinodo, in cui si riferisce cbe tanto i chie- rici quanto i monaci fortemente si lagnarono contro del loro piii lupo che pastore Severo, perche non perdo- nando ne agli altari, ne ai sacri vasi, ne alle piu ric' cbe suppellettili delle chiese , con temerario ardimento sacrilego appropriossi le accennate colombe d’oro o di argenlo che pendevano sopra gli altari, e tuttocio cbe di prezioso e di peregFino rinvenivasi nei sacri templi. 26 Anche fra gli occidentali fioriva la costaman- za di qneste colombe , come risufta dal testamento di Perpetuo vescovo sul finire del quinto secolo. Scrive Gualfrido (i), cbe Enrico primo re d’Ingliilterra dono una colomba d'oro al monastero di Godemons , accio in essa si conservasse rEucaristia. Per simile uso scor- gevasi una colomba di ottone nei monasteri cariacen- se , bobiense , come nei sno viaggio italico acccn- na il Mabillon. Anzi, per testimonianza del Martene, in una simile colomba, pendola sopra F altare ai tempi (i) Guaifrido lib. II cap. XV. ( Bo i ) suoi, serbavasi l’Eucaristico sacramento nelia basilica fossatense di s. Mauro ; e lo stesso tuttavia si pratica in molte chiesc della Francia. Ma Uldarico (i) e Ru- perlo abate (2) ad evidenza dimostrano , cbe dentro quelle Colombo di oro era innestata una pisside per collocarvi F Eucaristia. Di queste colombe traltano il Ronsveido , il Suassai, il Novarino, ed il Muratori ( 3 ). Ne io qui pretendo cbe le colombe Ie quali vedcvansi nelle cbiese presso gli anticbi tutte fossero dcstinate per la cuslodia dell’Eucaristia; impercioccbe a tre oggetti polcvano servire. Altre ponevansi al battistero, e que¬ ste rappresentavano un mero misterioso ornato: altre sepolcrali, die solevansi tenere alle tombe dci marliri, come leggesi presso s. Gregorio di Tours ( 4 ) • ed al¬ tre dicevansi repositorie , cbe appunto servivano per ricetto della sacra Eucaristia. Tale e la distinzione cbe di queste sacrc colombe fa F eruditissimo Mabil- lon ( 3 ). (1) Uldarico lib. II. cap. XXX. (2) Ruperto abate, lib. De incendio tuitien. monast. cap. V. ( 3 ) Ronsveido , Innotis ad epist. 12 s.Paulini. Andreas Suas¬ sai, In panop. sacer. lib. IX cap. IV. Novarino , In regno eucha- ristico lib. V cap. LV. Baronio , Ad annum 57. ( 4 ) S. Gregorius turonensis, lib. I. De gloria martyrurn cap. XVII. ( 5 ) Mabillon, De liturgia gallicana lib. I cap. IX. ( 502 ) 26 Non vi e dubbio alcuno cbe nei diversi tempi questi sacri vasi siansi 0 di figura , o di materia va- riati , essendosi in mold luogbi praticato 1’ uso delle urne, o cassette d’ avorio, molte delle quad con fi¬ gure a rilievo allusive vedonsi nel museo d’ avori in proprieta del conte Possenti di Fabriano, di cui il Ci- cognara fa onorevole menzione. II Surio nella vita di s. Chiara pretende , die allora quando questa Santa libero il suo monaslero dalla invasione dei saraceni in virtu della Eucaristia che seco fece portare , fosse il sacramentato Signore custodito in una di queste cassette d’avorio (1). In alcuni luoghi custodivasi an- cora in coppe di argento, 0 in calici di oro , come leg- gesi nella vita di s. Gregorio III, di cui riferisce Ana- stasio che ordino un calice da servire a qucsto uso ; o di sacri cofani, come scrisse Pietro Amelio (2) , o di vetro come leggesi nel Chronicon episcoporum min - dennentium ; e finalmente il citato Ugone flaviacen- se ( 3 ) rammenta pyxidem ex onychino in qua serva - rctur corpus Dominicum dependens super altare. Que- sto nome di pisside nei tempi bassi universalmente e stato adottato per significare il vaso d’ oro 0 di ar¬ gento in cui conservasi Y Eucaristia ; ma nei decorsi (i) Surius,Z« historia episcoporum antisiodoriensum cap.XlV, (•z) Pelrus Amelius, In caeremoniali cap, LI. ( 3 ) Ugo flaviacensis, In chronico verdunense. ( 5 o 3 ) secoli venne un fa! vaso con ispeciosi nomi significato, conforme ricavasi dal codice remense , dal pontificate anglicano del raonaslero geramaticense , da s. Grego¬ rio turonense (i) , e da s. Remigio nel suo testa- mento presso Flodoardo (2), 27 Givisata la conservazione della Eucaristia in tante e si varie maniere, non posso dare il mio as- Senso no al Morino ( 3 ), ne al cardinal Bona ( 4 ), scrit- lori benche dotlissimi , i quali hanno creduto che so- lamente per la comunione degl’infermi anticamenie si custodisse nelle chiese il sacro corpo del Signore , e che la pia costuraanza di conservarsi oggidi piu par- ticole consacrate nella sacra pisside, per comunicare i fedeli anclie fuori della messa, sia stato per la prima yolta introdotto dai frati mendicanti, e che dagli altri poi siasi lodevolmente praticata. Questi due eruditi scrittori fondano la loro opinione sul Rituale Romano, perche anche al di d’ oggi in questo prescrivesi che conservare dehhasi l’Eucaristia per la comunione degl’ infermi : argomento per altro che non sembra degno di scrittori cotanto accreditati. Ma per vedere ben pre- (1) S. Gregorius turonensis , In lib. de gloria martyrum cap. LXXXVI, (2) Flodoardus, In lib. historiae rhemcnsis. ( 3 ) Morinus , lib. VIII De poenitentia cap. XIV. ( 4 ) Bona, lib. II Rerum liturgicarum cap. XVII. ( 5o4 ) sto lo sbaglio, basla rifleltere a cio che scriye France¬ sco Berlendi (i), il quale ad evidenza dimostra, che nel secolo IY non celebravasi in Roma ogni giorno la messa , e cio nonostante s. Girolamo si nella let- lera vigesima otlava scrilta a Lucinio, come nella let- lera quinquagesima scritta a Pamachio costantemente aiferma, che in Roma a suo tempo i fedeli avevano la lodevolissima coslumanza di ricevere ogni giorno la sanla Eucarislia. 28 Si sa di cerlo che nel secolo XI una gran copia di comunioni distribuivasi dai greci nell’ oriente ai pellegrini che affollavansi a visitare i luoglii santi, come ne fa fede il cardinale Umberto presso il Baro- nio (2), che termino la sua legazione di Gostantinopoli nel iod 4 . Da cio io rilevo in primo luogo , che tanta abbondanza di pane eucarislico non fosse distribuita in tempo delie sole messe , e che percio la sacra Eucarislia si conservasse nelle chiese pe’ foreslieri e pellegrini. In secondo luogo , che nella chiesa orien- tale in tal congiuntura ebbe origine la comunione de’laici solto le sole specie del pane, a motivo dei gran concorrenti che cola si recavano a venerare i sacri misteri, come insegua il Tommasini ( 3 ) , il quale di (1) Berlendi, De oblationibus ad altare pag. 97. (2) Baronio All’anno io 54 - ( 3 ) Tommasini, De disciplina ecclesiae tom. Ill lib. I cap. XV num, 4- ( Sod ) piu aggiunge che questa consuetudine indi si diramo in tutto 1’ occidente, vietando poscia la cliiesa per de- gne cagioni l’uso del calice. Solamente tra i laici il re di Francia ha il privilegio nel giorno di sua co~ ronazione , e nel pericolo o articolo di morte , di ri- cevere 1 ’Eucarislia sotto Y una e l’altra specie. Cle¬ mente VI fu quegli che accordo a quel re un tale privilegio. Denique idem pontifex ( Clemente VI , di¬ ce lo Spondano (i)), considerate ingentibus coronae Franciae in sedem apostolicam commeritis, christia- nissimis regibus poteslatem fecit sub utraque specie quandocumque id optarent communicandi ; qua tamen potestate raro ipsi, nisi die inaugurationis suae et in vialico mortis f utuntur. Ed in questo modo non solo il diacono ed il suddiacono nella messa solenne del papa , ma anche i ministri dell’altare della chiesa di Clugni per singolare privilegio, in tutte le feste di precetto ricevono l’Eucaristia sotto ambedue le spe¬ cie , come puo vedersi presso il Mabillon nei comen- tari aH’Ordine Romano titolo nono: Quando, et quo - modo desierit communio sub utraque specie in eccle- sia romana. 29 Quifopunto, non volendo pin ahusare della sofferenza vostra : riserbandomi pero, quando che sia, di riprendere il discorso su questo medesimo soggetto, (1) Spondanus, Ad annum Christi « 35 a num, 16. 64 ( 5 o 6 ) qualora la pazienza vostra sara in grado di nuora- mente ascoltarrtii. Ancora mi rimane di dilucidare al- tre interessanti cose sulla forma che davasi antica- mente alia sacrata ostia, sul ceremoniale con cui am- ministravasi l’Eucaristia , sul rito diverso praticato in varie chiese di rinnovarne le specie , sull’uso dei ta- bernacoli , e sulla diligente custodia dei medesimi. Tutto questo potra somministrare materia per altra adunanza. GG-HV1V, rti- * *r ft 'av-iutf \w m pjmjttmMW wixm. f m-cc cci xviiii nr | ANNO - CHRIST! | j , %it>/.t,j/a<> t //osr/// r//,< ■yizo'n i /( r SULLA DISSERTAZIONE LETTA DAL SOCIO ORDINARIO E CENSORE PROFESSORE Ilf f 1 SEGRETARIO PERPETUO DELL’WSIGNE E POjNTIFICIA ACCADEMIA ROMANA DI S. LUCA. NELL’ ADUNANZA TENUTA NEL DI 12 DI FEBBBAIO I 835 . . : | •. i . ’ JT If « : n ’ ■ HW US ATJ 1 ATTar.T : to-'.' n • • -jaro dos j/ . , . 3 : & •. . Li :~i L 'Wia V ,2 4 „ R .. 1V iiia -03 •: . : • ' .■ T ■ ir.y.r,, mt: \ r?? ,:t>i - .a: u ■ rzdi'j :ik * -•• ( 95 ) I. Una cosa delle piu gravi a discorrersi nell’anli- cliita che dicesi figurata , eminenlissimi principi , onorandi colleglii, quella e senza dubbio de’simboli e degli attributi non cbe dell’ origine delle muse. II che si crederebbe quasi impossibile clii pensa non esservi stato poeta cbe non le abbia invocate, non artefice che non siasi dato a condurne alcuna in tela od in marmo. Ma da cio stimo appunto esser nata quella tal confusione, ch’ e poi stata cagione a solennissimi critici di usare intorno ad esse , benche con varia fortuna, tulte le sollilita dell’ingegno. Imperocche al- cuni, solamente intesi alle immaginazioni poeticbe , parlarono di queste dee, come abbiamo in Varrone, alia maniera mitica, e subito seguili furono dagli ar- tisti cbe gia sempre si accompagnano co’poeti: altri, considerando da filosofi , ne parlarono alia maniera che dicesi fisica: altri finalmente alia civile, o come noi diremmo, secondo la religione , i sagrifici ed i sacerdoti di ciascuna citta. Io non mi faro, innanzi a tanto senno, quanto qui ne veggo ed onoro nell’ ac- cademia , a disputare di tali quistioni cosi aslruse, come lontane dal mio proposito nel cbieder oggi la grazia della vostra attenzione. Altri dunque ne mo- stri percbe, come scrive Arnobio, tre muse ammet- tesse Euforo, quattro Mnasea, Mirtilo sette, otto Crate, e finalmente per Esiodo e per Omero divenissero nove: e dicaci se V autorita di Yarrone sulla origine loro ( 9 6 ) piu valga, clie non quella di Tullio , di Diodoro , di Plutarco , di Fornuto e degli altri anticki clie ne fa- vellarono. Quanto a me, o signori, le muse nate in- sieme colla terra e col cielo, come disse filosofica- mente l’anlico Museo , non furono eke la sensikile im- magine di quest’ armonia clie maravigliamo in tutte le cose dell’ universo, ed una leggiadra fantasia greca come quella delle grazie. Io parlero oggi della sola musa Melpomene , perclie intorno ad un suo attrikuto , eke vuolsi essenziale, ardisco dipartirmi dall’ opinione di un celekratissimo letterato : e di passaggio toc- cliero pure alcune considerazioni sulle tespiadi no¬ minate da Plinio. II. La musa Melpomene ( non e eke mi dilun- gki a ripeterlo) si ka generalmente per la musa della tragedia. Dico generalmente , non essendo in cio stati gli anticki di una eguale sentenza fra loro. Im- peroccke Plutarco nel Simposio attrikui la tragedia a Terpsicore : e cosi pure 1 ’attrikui ad Euterpe un epi- gramma dell’Antologia greca. Ma per Melpomene ve- ramente steltero i piu : talcke ora per comune con- sentimento s’ invoca qual’ unica inspiratrice di quel grande poema , in quel modo appunto eke Talia , musa campagnuola , stimasi dettar la commedia: e Terpsicore si e rimasa alia danza, ed Euterpe alia musica, prime arti con clie gli uomini eziandio kar- kari lodato akkiano il creatore. II eke quantunque non trovisi mai in Orazio la dove parla di Melpo- ( 97 ) mene come musa funebre e musa eroica (i) , anzi come sua propria divinita (2}: nondimeno e notato in altro epigramma, che ando gia solto il nome di Yir- gilio, e che ora si ha di Ausonio: Melpomene tragico proclamat moesta boatu: con cui concordano non solo Petronio Afranio nell’elo- gio delle muse , ma tutta la greca e latina antichita degli artefici : imperocche e la maschera tragica , e I’ ampio sirma, e la clava erculea, e i tirreni cotur- ni si osservano come attrihuti di Melpomene in quasi tutte le opere che di quei maestri ci sono rimase. Poche opere certamente e di picciol confo, se vogliano paragonarsi coll’ eccellenza di quelle, che ci si ricor- dano dagl’ istorici: di quelle cioe che operarono Li- sippo , Eubulide, Filisco , Canaco, Aristocle, Agelada , Leshotemide, Olimpiostene, Policle ( 3 ), Strongilione , ed altri: oltre al bassorilievo che di una fece Prasi- tele, come narra Pausania ( 4 ), ed oltre alle bellis- sime che d' Amhracia furono portate a Roma da Ful- vio Nohiliore. (i) Carmin. lib. 1 , od. XXIV ; e lib. IV, od. III. (1) Ivi lib. Ill, od. XXX v. 16. ( 3 ) Seguo in cio 1’ emendazione di un passo di Varroue data da Giusto Lipsio 7 Variety, lection, lib. II cap. 24 . ( 4 ) Lib. VIII cap. 9. III. Fra le quali opere porrei anche quelle, che col nome di tespiadi sono chiamate in Ire luoghi da Plinio (i) : le line scolpite da Cleomene , le al- tre da Euticrate, le terze portate di Tespia in Roma, e collocate nel tempio della Felicita ; statue si Ieg- giadre nell’ arte, clie in una di esse s’ innamoro per- dutamente un Giunio Piscinulo cavaliere romano (2). Se non che dubito, come dubito pure Ennio Quirino Visconti ( 3 ), che presso Plinio le tespiadi non sieno le muse, secondo che interpretano comunemente i co- mentatori , rna si quelle figliuole di Tespi re de’ te- spiesi, con le quali si giacque Ercole , per cio che narra la favola. Non gia che tespiadi non sieno state chiamate dai poeti anche le muse , e singolarmente da Varrone ( 4 ), e da Ovidio la dove dice ( 5 ): Nobiscum, si qua est fiducia vocis, Thespiades certate deae: ma ollreche quella poetica espressione in un si grave istorico come Plinio semhra troppo studiata al Visconti, ( 1 ) Hisl. nat. lib. XXXIV cap. 3 , e lib. XXXVI c. 5. ( 2 ) Ivi lib. XXXVI cap. 5. (3) Notizia crilica sugli scultori greci ch’ebbero il nome di Cleomene. (4) De lingua latina lib. VI cap. 2 . (5) Metamorph. lib. V vers. 3 03 . ( 99 ) io aggiungero che le statue delle tespiadi nel tempio della Felicita dovessero, per trarre un uomo ad amore si lascivo e si folle, essere in altra immagine che in quella con cui sogliono rappresentarsi le muse. Percioc- che e canone di archeologia , sopratlutto difeso dal Winckelmann e dal Visconti, che le muse non sieno mai state ritratte presso i greci, gli etruschi, e i ro- mani, se non con vesli di grande onesta: pudicissime avendole sempre venerate V antichi ta, e chiamate col titolo di vergini , senza curarsi di qualche fama par- ticolare, che alcune di esse non fece ignare del la- lamo. E se vi fosse chi meno avveduto in queste cose volesse dir muse, come talora e avvenuto, alcune di quelle immagini femminili , nelle quali trovi 1’ attri- buto delle tibie e della cetra, ma invano la verecon- dia verginale della persona e dell’ abito , sappia che egli cadrebbe nel grave errore di confonderle con le psaltrie , con le citaristrie , con le tibicini, fem¬ inine di vita generalmente oscenissima, e percio rap- presentate spesso seminude e lascive. E citaristrie ap- punto reputo Leonardo Agostini (i) quelle tre don- ♦ zelle, le quali con la cetra in mano e in attitudine pressoche simile si hanno nelle famose gemme di Cro- nio, di Onesa e di Allione: sebbene a me piaccia maggiormente Topinione di Domenico Augusto Bracci (2) --—- • * * X . • At * ■ O - Jiij/ ' (1) Gernnie antiche , par. *2 tit. a pag. a 5 . (2) Gemme antiche , la dore parla di Cronio , di Onesa, e di Allione. i 3 # ( 100 ) clie Yuole essere ivi effigiata Saffo. Clie se la statua del museo fiorentino pubblicata dal Gori (i) ce la da con una mammella ignuda (ne dalle penne delle si- rene che ba in capo puo dubitarsi die una musa non sia ), parmi, o signori, che un unico esempio , e di tempo non classico delle arti , niente possa pregiudi- care ad un si generale consentimento di tutti gli ar- tefici dell’ antichita. Laonde io prego coloro che da qui avanti vorranno darci nuovi comenti a Plinio (scrit- tore su cui tanto ci rimane ancora da emendare e da dicliiarare), prego, dissi, che meglio prendano a considerare quei tre luoghi dell’ istoria naturale. Che ognun sa come di queste umane follie di esser preso d’ amore per un simulacro si hanno pure altre me- morie , chi legge specialmente Ateneo ( 2 ): rna l’og- getto dell’ amore fu sempre di sembianze impudiche, come la Yenere di Gnido amata da Alchida di Rodi, la quale scolpita da Prasitele fu rifiutata da quelli di Coo, perche la sua nudita non era cosa da vedersi non che adorarsi in un tempio di citta coslumata. E sa parimente ognuno, che non pur tespiadi, ma pie- ridi si chiamarono le muse , sia dal monte Pierio nella Tessaglia , sia dal terzo Giove detto Pierio, da cui un’ antica opinione le voleva nate (3): e nondimeno (1) S tatu e, tav. XVl.- (2) Dipnosopb. 1 . XIII cap. 29. ( 3 ) Cic. De nat. deor. lib. Ill cap. 21. ( 101 ) il liome di pieridi non e sempre cost proprio di esse , clie anclie non appartenga a quelle figliuole di Piero che nel canto furono vinte da queste nove sorelle. Ed ebbero nome altresl di libetriadi (i): ma non cost esclusiyamente, clie tali anclie non si dicessero le ninfe del monte Libetra, come raccogliesi da Strabo- ne ( 2 ) e da Pausania (3). Tespiadi infatti per figliuole di Tespi, e non per muse, si ha in un passo di Se¬ neca nell’ Ercole Oeteo (4): Mene thespiades vocantl Brevique in illas arsit Alcides face. Vedete adunque } 0 signori , se debba recar mara- viglia il credere che le tespiadi di Plinio fossero dif¬ ferent! dalle muse , essendo spesso differenti da esse ancbe le pieridi e le libetriadi. Ne Cicerone e con- trario a questa interpretazione : anzi sembra , 0 io m’ inganno , confermarla la dove nel libro quarto con- tro di Yerre parla di Lucio Mummio, il quale dal tem- pio di Tespia trasporto seco in Roma le statue delle tespiadi, lasciando per riverenza in quel luogo sacro (1) Varro, D# ling. lat. lib. VI cap. 2. (2) Lib. IX. ( 3 ) Lib. IX. c. 34. (4) Vers. 369. ( '02 ) il Cupido , famosa opera di Prasitele. Or quale poteva essere la cagione di tal riyerenza, se non quella di non rapire ad un tempio il simulacro yenerabile di una divinita ? Divinita era Cupido: raa tali non erano an- che le muse? Perche dunque il vincitore romano ebbe la religione di lasciar quello nel tempio , e non si fece poi scrupolo d’inyolar queste come trofeo della vittoria ? Il perche , o signori , e facile a dichiararsi per le parole stesse di Tullio: ed e che Mummio , uo- mo religiosissimo, ebbe rispetto alle cose sacre , e solo si approprio le profane : Itaque Me L. Mummius, cum Thespiis ea quae ad aedem Felicitatis sunt, cae- teraque PROF AN A Mo oppido signa tolleret, hunc marmoreum Cupidinem, quod erat consecratus , non attigit (i). E si che profane erano le statue delle belle figliuole di Tespi , siccome quelle che mortali nacque- ro da un mortale : talche Oyidio , appunto per non confondere insieme le une e le altre tespiadi, disse dee tespiadi le muse per distinguerle da quelle che dee non erano: Thespiades certate deae. IV. Comunque sia , la statua che fece l’amore di Giunio non sara stata certamente una Melpomene: musa che gli artisti hanno sempre rappresentata con certo aspetlo di dignita e di austerita , quando per capriccio non siansi dipartiti da quegli antichi, che (i) Cicero, In Verrem act. II lib. IV. cap. a. ( io3 ) solo nelle cose gentilesche debbono aversi padri e maestri. Ed oh non avessero dato esempio di questo capriccio anche nobilissimi artefici, fra’ quali non vor- rei ricordare il divino ingegno di Raffaello! Ma tante sono e si rare le virtu dell" arte in quel grande , che certo non vorranno i presenti per soverchio di rive- renza imitare in lui quella parte , in cui veramente cadde : cioe quel suo trascurare o non sapere , per li pocbi studi archeologici di quel tempo, gli attribuli veri delle divinita ch’ egli dipinse. Sebbene , quanto a Melpomene , credo che niuno la ritrasse in aspetto di maggiore giocondita e leggiadria , che il pittore Leseur: il quale ce la porse inghirlandata mollemente di fiori, col petto ignudo , e con occhi sfavillanti di tanto amore , che 1’ avreste per una francese donzella al cembalo , piuttosto che per la severae musa tra- goediae di Orazio, e per Y inspiratrice di un poema che diede il nome ad ogni cosa grave e grande , come dice Cicerone : Fuit Sulpicius vel maxime omnium grandis, et, ut dicam , tragicus orator (i). Crederemo forse che i pittori Echione e Dionigi avessero cosi rap- presentate le loro ? V. E si che non era poi difficilissimo il trovare i veri attributi che diede 1’ antichita a questa musa : altributi che molti non sono , ne da generar con- fusipne , massime seguitando i piii antichi poeti ed (i) In Brut. c„ 55 . ( io4 ) artefici , che gia nel descrivere e nel ritrarre le di- vinita di poehi attributi sempre si contentarono ; anzi de’soli necessari a farle conoscere. Imperocclie in Ora- zio ella in un’ode ha la cetra (i), in un’ altra ha la testuggine d’ oro , o sia la lira ( 2 ): instrument! a cor- de, che spesso si confondono nei poeti, benche fossero fra loro diversi e di forma e di suono: della lira di- cendosi inventore Mercurio , e della cetra Apollo (5). Negli artisti poi, oltre a certa sua bellezza del viso che molto ad Ercole la rassomiglia , ed oltre al dia- dema, o alia corona di alloro e di edera che le cinge il capo , e alia pelle del leone che la ricopre (4) , ha talora 1* alloro in mano , come in una gemma stoschia- na (5); o il tirso bacchico , come nella celebre gem¬ ma incisa da Gneo e gia posseduta dal barone de la Turbie (6) : ma piu generalmente ha nella destra la clava o lo sceltro , e nella sinistra la maschera tra- gica , quando pero non sia ritratta innanzi all’olim- piade lxi in cui Tespi rappresento l’Alcesle , che diede (1) Garmin. lib. I , ode XXIV. (2) Ivi lib. IV , od. Ill v. 17. ( 3 ) Pausan. 1 . V cap. 14. ( 4 ) Pitt ercol. tom. VII tav. 21. ( 5 ) Vinckelmann, Gerame del barone di Stosch cl. 11 n. 12 52 . (6) Visconti, Catalogo della dattilioteca del barone de la Turbie n. 25 . Vedi pure il Gori, Inscript. Etrur. urb. par. I tav. X num. IV. ( toS ) il vero essere alia tragedia: o meglio all’olimpiade lxxv, in cui fiori la vita poetica di Eschilo , che alia tra¬ gedia porse la maschera , prendendone forse , come vuole il conte di Caylus (i) , 1’ invenzione da’ nostri popoli etrusclii, da’ quali gia trassero i greci df ol- tremare , non meno che dagli egiziani, tutte le loro arti. E veramente nel bassorilievo dell’apoteosi diOmero ne Melpomene ne Talia hanno la maschera , o il co- lurno o il socco : avendo bene considerato F artefice die tali atlributi sarebbero stati mal convenienti a quelle due muse , poste com’ esse sono intorno a colui , che di tanlo precedette il canto greco della vendernmia. YI. E qui, o signori, mi si fa inconlro una grande autorita: quella dell’ immortals Ennio Quirino Visconti: il quale in sul ristaurarsi la statua di Melpomene , che trovata con le altre muse nella villa tiburtina di Cassio adorna oggi il museo pio-clementino , consiglio che nella mano sinistra le si ponesse un pugnale : traitone, come avverte il Guattani ( 2 ) , 1’ esempio dal- la Melpomene (3) della collezione Yolpato di tutte le muse , la quale passo poi nel museo di Gustavo III re di Svezia. Io certo tremo di dover contraddire ad un uomo cosi solenne nelle cose dell’ antichita : ma (1) ltecueil d’anliqultes, tom. I pag. (2) Momim. ined. tom. Il pag. 72. | 3 j Ivi tom, I pag. 84. a ( io6 ) si grande e nondimeno in me la forza del vero , clie k> vi cliiedo in grazia di concedermi scusa , se dall’opi- nione di quel famoso vostro collega e concittadino osero dipartirmi. Imperocche io non credo , clie * il pugnale o il parazonio sieno mai state cose da ornarsene una musa nel buon tempo dell’arte , quando la filosofia reggeva principalmente la mano e guidava la mente degli artefici, e quando fiori ap- punlo Filisco, dellc cui celebratissime statue poste in Roma nel portico di Ottavia voglionsi copie queste del museo pio-clementino. E molte considerazioni , o signori , mi confermano in questa sentenza. VII. La prima si e , che veramente la tragedia non ebbe origine dal porre in azione sopra il carro di Tespi gli assassinii e le morti : ma si dal cantare le lodi di Bacco o degli altri dei, e le imprese degli eroi. E quando per opera di Frinico, e poi di Eschilo, prese forma di maggior dignita ed ampiezza , ella disse i fatti di Tebe , di Troia , di Gorinto , e delle fami- glie di Pelope e di Labdaco : ma nondimeno guar- dossi sempre dall’ insanguinare la scena : percioccbe fine del tragico , insegna Aristotele secondo la gran ragione delFarte, non e il porre sensibilmente sotto gli sguardi dello spettatore si fatte azioni feroci , ma si I 5 imitarle con le parole, col metro , col ballo e con la musica. Or quale imitazione di parole sarebbe, se con gli occhi si vedesse Oresle uccidere sul tea- Iro la madre , e Medea i figli , e Y un sull’ altro av- ( '07 ) ventarsi col ferro Eteocle e Polinice ? Questi orrori di una poesia die Ense velut stricto ardens infre- mit, come direbbe Giovenale , non trovansi che in colui (e fu forse la prima volta ) che scrisse la Me¬ dea in tempo delle atrocita neroniane , ed in alcuni moderni che in arte vollero piu saperne di Orazio : cercandosene in yano Fcsempio in quei tre massimi greci, ne’ quali la tragedia come in sua perfezione si riposo. YIII. La seconda considerazione si e, che le muse sono siffatlamente simbolo della pace e de’gentili ozii, e tanto da’poeti greci e latini si rilrassero schive di ogni opera d’arme e di sangne , che niun nume quan- do e fra esse , o , come dicono , quand’ e musagete 7 yedesi mai armato : non Apollo , non Bacco , non Er- cole. Di che inutile mi semhra recare in esempio a yoi dottissimi quelle opere di arte che si conoscono : come inutile stimero il ricordarvi , che appunto per questa loro soavita di animo il re Numa , che voleva ritrarre a un hel costume di pace gli spiriti troppo guerrieri de’ suoi romani , consecro un luco alle ca- mene, dove i cittadini usati alia religione dell’asta di Quirino e di Marte , e della folgore di Giove , potes- sero spesso vedere e adorare piu miti divinita or- * nate di que’ simboli che sono la vera Ieggiadria della vita e la civilta di un popolo. Percio finsero pure i poeti che quando in Flegra tutti gli dei di Olimpo sce- sero a combattere per Giove , anche le dee piu molli i 4 * ( io8 ) si armassero , e fin Venere, e fin le parche : ma non gia le muse , che timide compagne delle grazie e di Amore (i) , altesero il termine del conflitto sul monte Elicona , dove invano Oto ed Efialte le invocarono pro- pizie, e fecero loro i primi sagrifici, come abbiamo in Pausania ( 2 ). Imperocclie quelle gentili non si piaccio- no di altre battaglie , che del ballo e del canto : e gia in questo combalterono Tamiri, le flgliuole di Pie¬ ro e le sirene , alle quali invece di dar la morte ( cosa crudele) Irassero le penne , e se ne ingbirlandarono. IX. La lerza considerazione finalmente , e quella a cui parmi non poter essere cosa da opporre , fondasi sopra due chiarissimi passi di Eliano nella Faria islo- ria : passi che sembrano essere sfuggiti della memoria al Yisconli, e die generalmente conformansi a quante opere della piu veneranda anticliita ci rimangono. II primo e nel cap. II del lib.XII , e dice in latino cosi , secondo la traduzione del Vulteio : Nemo, vel jictor vel pictor, filiarum Jovis imagines armatas ( cozrA/- (r/xfeVot) nobis exhibuit: quo significatur, id vitae ge¬ nus , quod in musis consumitur , placatum simul et mansuetum esse oportere. II secondo e nel cap.XXXVII del lib. XIV , e dice : Nemo pictorum neque plasta- rum potuit ab se impetrare unquam, ut musarum fal- (0 Esiodo , Teogonia v. 64. (2) Lib IX cap. 29 ( io9 ) sas et adulterinas atque alienas a Jiliabus Jovis ima¬ gines nobis exhiberet : aut quis unquam opifex tam iuveniliter insaniit, ut eas armatas ( 07r\icfxiva.s ) ef¬ fing eret ? Yisse Eliano forse al buon tempo degli Anto- nini y fu pagano , fu pontefice , fu sofista dottissimo: e comeche scrivesse in greco , tuttavia fu nostro , e fiori in Roma dove la vittoria e le dilicatezze del vivere avevano fatto venir di Grecia tutti i capo-lavori delle arti : e cbi potrebbe senza presunzione contraddirgli al- lorclie non dubitativamente , ma assolutamente affer- ma : Nemo, vel fetor net pictor , filiarum Jovis ima¬ gines armatas nobis exhibuit ? X. Dissi che quest! due passi di Eliano confor- mansi generalmente a quante opere anticlie ci riman- gono colle immagini delle muse : e cio che dissi , so- stengo. Imperocche due soli esenapi , e di eta dubbia, Jion potrebbero con buona ragione distruggere tanta concordanza di scrittorie di artisti. E due soli appunto, s’io non m’ inganno , sono gli esempi che mi si op- porrebbero di Melpomene armata di un ferro , piutto- sto die ornata dello sceltro dei re , e dell’eroica dava, simbolo di una fortezza che non ha bisogno di spada o di scudo. II primo e quello della statua della colle- zrone Yolpato, o sia del re Gustavo di Svezia , visi- bilmente operata in un tempo in cui l’arte volgeva in basso : dicendoci il Guattani ( che la vide e illu- stro ) essere di artificio non poco inferiore all altra col- ( IIO ) lezione delle muse del museo pio-clementino (i). II se- condo e il denaro della gente Pomponia , segnato col liome di Q.Pomponio Musa : denaro copiato poi dall’ar- iefice, che opero la gemma illustrata dal Winckelmann ivz' Monumenti inedili ( 2 ). Yedesi ivi la musa sotto le sembianze di una malroua , con la masckera nella ma- no sinistra , la clava nella destra , ed il parazonio die le pende al fianco : e ( cosa novissima e curiosissima ) ella ha in alcuni tipi , in quelli cioe datici dall’Orsino, dalFAgostini , dal Begero, dal Patino , dal Vaillant , dal Montfaucon , due fronti siccome Giano. La quale particolarita , cosi contraria ad ogni kellezza e ad ogni altra opera antica , fu trascurata dall’artehee della delta gemma del Winckelmann, che stimo piu conve- niente velarle il capo ; avvicinandosi cosi al tipo datoci daU’Havercampio e dal museo Fontana , in cui ha co- perta la testa dalla pelle del leone. Ora di qual gran- dissima autorita sia tale denaro , io per me nol so. Chi era questo Q. Pomponio Musa ? Quando visse ? L’Ha- yeroampio , e lo stesso Eckhel che cio aveva cercalo con quella rara sua diligenza , confessarono di non sa~ perlo : conoscendosi appena questa famiglia dei Pom- ponii Blusa per tre iscrizioni de’bassi tempi imperiali illustrate dal celehre amico nostro e collega Bartolom- f t:ir \ iiij rn c'mo! r.u m nlci9c;o olnordid (1) Guattanl, Monum. iaecl. t. I pag. 4 y- (2) Num. 45 . (( H'l)) meo Boxghesi (i). E in quegli altri suoi denari, coirim- magipe parimente di una niusa , si ha poi la maggior diligenza in cio che si appartiene a mitologia ? Nol diro io , o signori, ma voglio che per me lo dica un uomo in queste dotlrine .famoso , cioe Fulvio Orsino. Parlando egli della gente Pomponia in quel suo lihro delle farniglie romane , che se forse non e divino , come il celehra lo Scaligero , certo e dottissimo , ecco eio che scrive : Musariim autem simulacra , quae in argenteis denariis expressa sunt, variant ab iis quae in marmoribus scalpta multis locis Romae reperiuntur: utraque etiam ab iis , quae sunt a veteribus scriptori- bus descripta : ut in tanta denariorum , marmorum et scriptorum varietate , difficile sit quid quaeque inve- jierit, quove nomine appellata fuerit affirmare. E con la sola autorita di una statua condotta in tempo che gia con le arti venivano meno le dottrine mitologiehe, e di un si dubhio denaro, dov’ e tanta confusione di at- tributi , che fece stranamente smarrire il Morelli, e ap- pena al principe de’moderni numismatici Bartolommeo Borghesi diede di escire in lutto felicemente dal gine- praio ( 2 ) , potrebbe si mostruosa cosa darsi ad una musa , come il pugnale ed il parazonio ? E perche (>i) Osservazioni numl8matiche, decade VI , o|6ei*V. II. Nei Giornale arcadico , volume di luglio 1822. (2) Loc. ciL, decade VI, osservazione E I ( »l* ) non se le darebbero anche due volti: anzi 1’ uno ma- sehile * muliebre l’altro , come opina il Vaillant , per la stolta ragione che Melpomene tratta delle azioni si degli uomini e si delle donne ? Ideo bifrons hominis et feminae eXpressa videtur quod hominum ut femi - narum gestd tragoedia exhibeat (i). Come se il mede- simo non facessero e Talia musa della commedia , ed Erato degli amori , e Clio dell’istoria } e Calliope dell’ epica ed eroica poesia. XI. Sole autorita , ripeto: non credendo di do- ver qui trattenermi inutilmente ne sulla slatua raccon- cia nel museo borbonico ( 2 ): ne sul gruppo in cui il Guattani ( sia cio detto con ossequio verso quell’ ono- rando mio antecessore nella segreteria dell’accademia di s.Luca) voile troppo facilmente riconoscere Bacco e Melpomene (3) non per altro attributo , che per una sclieggia di marmo che osservo in mano ad una pic- cola figura di femmina , la quale si disse un’Arianna dal Montfaucon , ed una Speranza dal Maffei e dal Buonarroti : ne sull’ opinione del chiarissimo nostro collega avvocato don Carlo Fea, il quale nella pittura (1) Vaillant , Nummi familiar, tomanar., num. 17 genlis Pomponiae. (2) Finati, Descrizione del real museo borbonico, tom. 1 par. II delle statue , num. 266. ( 3 ) Guattani ,, Monum. ined. t. II pag. 72. ( <>3 ) ercolanese (i) , in cui e rappresentata una donna col parazonio in mano , voile vedere una Melpomene ( 2 ). Ma quel viso fierissimo , quegli occlii pieni di una mortale angoscia , e il non trovarsi in tutta 1’ imma- gine niun attributo di musa, sembrami die diano vinto all’altro nostro collega cav. Bernardo Quaranta (3), ed al mio illustre amico Tommaso Panofka (4) , essere ella una Medea nell’ atto che in se ferocemente rac- colta sta meditando Y uccisione de’ figli: e fors’anclie una copia, com’esso Panofka dottamente considera , del dipinto celebratissimo di Timomaco. Se tutte le figure muliebri , cbe hanno in mano il parazonio 0 il pu- gnale, dovessero aversi per muse della tragedia senz’al- tra considerazione , io non so, o signori, qual grande tesoro noi non ayremmo d’ immagini di Melpomene. E una Melpomene sarebbe la Giustizia ( A inn ) nei- le Baccanii di Euripide (3): e una Melpomene al- tresi la figura della tavola X del tomo III delle pit- ture ercolanesi , in che gli accademici egregiamente -- ---- (1) Pitt, ercolan. tom. I. tav. XIII. (2) Fea, nota al lib. VI cap. I. § XV dell’ isloria delle arti del disegno del Winckelmann. ( 3 } Museo borbonico, vol X. tav. XXI. ( 4 ) Annali dell’instituto di corrispondenza arcbeologica per 1’ anno 1829, fascicolo 11 pag. 248. ( 5 ) Versi 990 e 1011. ( n4 ) yidero una Nemesi, a cui Escliilo nelle Coefore diede appunto la spada. II fatto pero si e che in niuna opera antica , salvo nella statua svedese e nel denaro della famiglia Pomponia Musa, Melpomene ha tale siin- bolo di orrore e di sangue : non nella statua clie fu della regina Cristina, ed ora e nella galleria del re di Spa- gna a s. Idelfonso: non ne’bassorilievi Mattei, Giusti- niani, Torlonia (i), Doria ( 2 ), Vivaldi Pascua (3): non nel famoso sarcofago capitolino: non negli altri sarco- faglii di Firenze (4) e di Pisa (5): non nelP apoteosi di Omero: non nell’altra statua del tomo secondo del mu- seo pio-clementino : non nella colossale della cancel- leria ( che il Visconti stimo essere una delle nove del teatro di Pompeo ) : non nell’ antichissimo specchio (1) E’ nel cortlle del gia palazzo Givaud , oggi Torlonia. (2) Vedi il ch. nostro collega cav. Luigi Cardinali nell il!u- strazione del sarcofago antico , rappresentante la favola di Marsia. ( 3 ) E’ stato ultimamente pubblicalo ed illustrato con assai doltrina daH’altro esirnio nostro collega cav. Costanzo Gazzera nella sua lezionc accademica intorno Un decreto di pati'onato e di clientela della colonia Giulia Augusta Usellis. To¬ rino 1 d 3 o. (4) Gori, Inscript, antiq. etrur. urb. par. Ill tav. 18 e 33 . ( 5 ) Martini, Appendix ad tliealmm basilicac pisanae, tav. 31 nuin. 4. Ivi Melpomene ha la testa del hue , simbdo ereuleo , sollo i suoi piedi. ( > bS ) kirckeriano (i) : non nel yaso antico pubblicato dal La-Chausse : non in quello brandeburgliese datoci dal Begero ( 2 ): non nella gemma di Gneo, non nelle allre nove stoschiane , non nella fiorentina del Gori (3) : non finalmente nelle quattro pitture preziosissime er- colanesi , una delle quali e opera greca , come ab- bastanza dicliiara il nome suo scritto in quella lin¬ gua. Anzi non lo ha neppure nella piu moderna Melpo¬ mene dell’ argenteria illustrata dal lodato Visconti : piu moderna , dico , ma operata con antichi simboli, e da eruditissimo artefice. E perclie con maggiore apparenza di verita non sarebbesi dato al genio della tragcdia , fi- gura mascbile ? Eppure egli lia solo la maschera e la clava nel sarcofago del museo pio-clementino (4). De- gli scrittori poi, Eliano assolutamente l’esclude: For- nuto , che vuol far cerla pompa di erudizione e di sottilita nelle cose simbolicbe degli dei, ne tace affatto: e cost ne tacciono tutti gli altri e poeti e mitologi. E si che ne abbiamo bellissime descrizioni: fra le quali e quesla di Ovidio, che appunto ce la porge sdegna- ta e torva , e nondimeno senza spada e pugnale {3) : (1) Mus. kircker , tom. I tav. XVI. (2) Thes. brandeb. tom. Ill pag. 3 g 5 . ( 3 ) Mus. fior. tom. I tav. XLIV nura, x. ( 4 ) Tom. IV , tav. XV. ( 5 ) Amorum , lib. Ill, eleg. I. ( »>6 > F'enit el ingenti violenta tragoedici passu, Fronte comae torva, palla iacebat humi. Laeva manas sceptrum late regale tenebat; Lydius alia pedum vincla cothurnus erat. -.:. ? i, 1' , ■ , Vi * W : • > 0 ’. i V ) 0 i. j>flir r l c* ‘ IS 00 Ed appresso: Hactems : et movit, pictis innixa cothumis y Densum caesarie terque quaterque caput . Le quali considerazioni indassero forse il Patino a to- glier poi pienamente , com’ egli fece , questo simbolo di sangue a Melpomene nel darci di nuovo, dopo l’Or- sino, le medaglie della gente Pomponia (i): stimando quasi piu facile che una musa aver potesse due teste , di quello che il parazonio. XII. Che se da’lesori, i quali chi sa quanti na- scondonsi ancora sotto terra in Grecia e in Italia , dovesse venirne in luce alcun’altra, che a questo ge- nerale consentimento di mitologi, di poeti e di arle- iici potesse fare qualche eccezione ; io pregherei a considerare , che in tale supposizione la musa Mel¬ pomene potrehbe appartenere al culto speciale di qual- (i) Patinus, Familiae romanae in antiquis nunaismatibus ec., [pag. a a 7 . ( 117) ehe cilia , piuttosto che al rito universale de’noslri avi. Perciocche a clii non e noto il modo partico- lare, con che rappresentati erano Giove in Argo e in- Olimpia ( 1 ), Minerva in Eritra ( 2 ), Giunone in La- nuvio (3)? Ne Fessere Yenere barbafa in Cipro sareb- be buona ragione a chi volesse ritrarre con la barba tutle le Yeneri , contra le idee greche ed italiche di compiuta e celeste bellezza di quella divinita. Come neppure sarebbe lodevol consiglio il ritrarla armata , perche nel celebre epigramma di Antipatro (4) ed in Plutarco abbiamo (5), ch’ella nel passare l’Eurota la- scia il cinto e lo specchio , ed entra in Isparta con lo seudo e con l’asta , tale volendosi presentare a Li- curgo: o perche armata veneravasi nel tempio che ave- va sulPAcrocorinto , secondo che dice Pausania ( 6 ) , e ch’ e rappresentata in una moneta di Antonino Pio dottissimamente difesa contra il Yaillant e FEckhel dal teste defunto nostro collega Alessandro Vi¬ sconti ( 7 ). Imperocche quelle , come ognun vede, non (1) Pausania , lib. II cap. XXIV, lib* V cap. XVII. (2) Ivi, lib. VII cap. V. ( 3 ) Visconti, Museo pio-clementino , tom. II tav. XXI. ( 4 ) Antholog. graec. lib. IV cap. Xll num. 24. ( 5 ) In Licurgo. (6) Lib. II cap. IV. (7) Medaglie antiche inedite , tav. I. num. 2. ( i *8 ) furono altro che municipali costumanze , o riti civili, come li ckiama Yarrone. XIII. Per le quali cose , o signori , veri anlicki e ragionevoli attributi da ornarsene le mani della musa Melpomene diremo solamenle essere ( oltre alia raa- scliera tragica ) la clava o lo sceltro ; questo a indi¬ care che argomento della Iragedia , come prescrive Aristotele , vogliono essere i grandi principi e i re : quella , il piu antico simbolo della fortezza dalo la prima volta all’Ercole greco da Stesicoro verso l’olim- piade XXXVII, a significare cbe Melpomene e la musa degli eroi e de’semidei, il maggior de’quali fu Alcide. Dissi da Stesicoro all’Ercole greco : seguir vo- lendo Pantorita di Ateneo (i): imperocche all’Ercole elrusco , o sia fenicio , gran divinita degP italici , gia davasi questo attributo anticbissimamente , com’e a vedersi in molti pesi o denari cbe tuttavia ci ri- mangono segnati con le lettere di que’grandi avi no- stri. Quanto poi al sommo Visconti diremo, che prese forse l’eslremita di un piccolo scettro , o di un rotolo di carta , o di una verga, come si ha in due gem- me stoschiane ( 2 ), per quella di un pugnale , di cbe parevagli osservare un segno nel fianco della sua sla- (1) Lib. XII cap. 2. (2) Winckelraann , Gemme del barone di Sloscb, secon* da classe, numeri 1253 e 1254- ( >'9 ) tua del museo pio-clementino. Cerlo noi consigliere- mo sempre gli artisti a seguir le sentenze di questo nostro gran lume di greca e latina sapienza : ma Yorreramo tuttavia che meglio considerassero quella intorno alia musa Melpomene , affinclie nelle meda- glie e ne’busti de’celebri tragic! non debba piii vedersi un pugnale , che ci faccia dubbiosi se Fimmagine ap- partenga ad un pacifico letterato , ovvero ad uno che trovossi ai Iremendi idi di marzo, o segui le parti di Aristogitone e di Armodio. r C . ' A’ . ^ i higfci OM.-Jffl hh • < • v >i ■2. j 2 £ iJgi fft '. s' ;.:! 3 on; & r::rj ; il> or ;I l •• v ; m ! ^ • - • ••■ -^ mt's-L iiifft 1 - \ ’ r • G ! ■'•• . V;C ; 0 £$h/;q liil 1-0 i : 0i g <>••' i ibi kjy j .-> -u'il, • 5 * : * lA • • * > ■ - • ' HtH'fH EEAXAN02 1 !L 5 ®IM.©@IL© §©@ HSSLiL’AHt 1® tt®E@ L’UNO E L’ALTRO RICONOSCIUTI NELLA LEGGENDA E NEL TIPO D’ALCUNE MONETE DI FESTO CtTTA CRETESE DISSERT AZIONE EPISTOLARE DEL SOCIO ORDINARIO E CENSORE ©ELLA PONTIFICIA ACJCAMSMIA MOMARJA Dl ARCHEOLOGIA ElO VAB&E GJAmPIETKO SECCBI BELLA COMPAGNIA BI GESU INDIR1ZZATA ALL’ILLUSTRE ARCIIEOLOGO 02©. © a ©IILESIM© CONSERVATORE DEL R. MEDAGLIERE ESTENSE E LETTA NELL’ ADUNANZA TENUTA 4 8 3 3 S 4 St Of/VltoCLXA somxAsi , I V i J :!' ■ /3, ! ! )'•’•: >0 U . j | - :>’;i oia> ia,:o o . j:ia ; jj Kfsc'i.*£3 9 l m :mw /:o uaxr : : ir ATAXtltfl JM 1 A tr A3) essi^«uni •©rs lift fAT;i3-.:OD i 83 ajfsujGAaaM ♦ i a.ia AT . r A.WT IA v l i / V?-tt 3' : • c : ••*< ■! ■ > " i. 1 ' Se v’ha tipo di greche monete , eminentissimi principi , onorandi colleghi , che sia stato soggetto a dubbi e ad incertezze , e che da uomini peritissimi si sia creduto di malagevolissima illustrazione, uno e certamente quello che si ammira nel ritto d’alcune mo- nete di Festo , citta cretese. Che desse sieno monete dell’isola di Creta, la provenienza e la fabbrica lo ad- dimostrano apertamente, e non v’ ha contrasto : che debbano attribuirsi a Festo, lo addimanda l’arcaica epi- grafe , che si legge anche intiera in queste egual- mente che in altre non poche di quella doviziosa citta. Ma mentre gli archeologi sono d’ accordo in questi punti ; yanno poi a sentenze opposte nella interprela- zione dello stranissimo tipo che nel ritto ci rappresen- tano. L’ Eckhel vi ravviso Galatea : poi, convinto che ■ il personaggio era uomo, lo credeva Idomeneo per ca- gione del gallo che tiene colla destra. Quanto alia voce EEAXAN02 , egli e forse nomc di magistrato , soggiungea quel savio troppo facile talyolta a molti- 42 ( 334 ) plicarli senza necessila : sospettava pero nella sua pru- dentissima critica , che fosse anche nome proprio da riferirsi a quel personaggio stesso , innanzi a cui sta scrilto : e qui si appose al vero , ma per falso modo di leggere quella voce , leggendo SELCHAN, non pote giugnere a trovarne il significato. II signor de Cadal- vene , che pubblico la moneta piu bella di questa se- rie , vi riconobbe IA2IQN divinita de’misteri di Samo- tracia (i) : e del nome EEAXAN02, lettosi la prima volta intiero sulla sua mopeta, si sbrigo con queste ma- gre parole : U Eckhel ne pubblica una che ha con questa una leggerissima differenza. Solamente il nome del magistrato e piu completo sulla nostra rimarche- * vole d ’ altronde per /’ eleganza della sua fabbrica. Qual sia stata in seguito la sentenza dell’ illustre ar- cbeologo signor don Celestino Cavedoni , si conoscera dal principio di questa dissertazioue epistolare cbe re- cito nelP accademia. (i) Recueil de raedailles grecques inedites publiee* par Edouard de Cadalvene. Paris ib2b pag. 2 i 3 PI. Ill, n. 12. Fu probabilmente per equivoco che il signor don Celestino Cavedoni lo disse creduto Giasone dal numismatico francese. Questi ha veraraente lasion , e non Iason personaggio assai diverso dall’ > quantunque i due nomi siano facilissirni a scambiarsi. Ne gia si puo riputare errore di stampa : perche ’I ccgiw 5 detfo anche Cgliuolo di Minosse e di Fronia dalle scoliaste di Teocrito aH’idillio III y 5 o , sconviene assai meno che Giasone alia rappresentanza del tipo. ( 33 $ ) Per molte ragioni, pregiatissimo signor don Ce- lestino , al giudizio di lei sottometto una nuova illu- strazione del tipo e del nome EEAXAN02 die raccom- pagna in lalune monete di Festo cilta cretese. La prin- cipale e fadle a indovinare da chi non ignora qual fior di sapienza e dottrina ella abbia gia dimostrato nella numismatica romana e greca : ma in questo ar- gomento una ve ne ha unieamente propria di chi le scrive , e tutta di debito contratto con lei fin dall’ anno trentesimo sesto di questo secolo. Imperocche ella ne avea gia parlato in un articolo messo a stampa negli an- nali dell’instituto archeologico (i) , e ne proponea tre spiegazioni: la prima e , che vi fosse figurato Vul- cano, confrontando il nome EEAXANOX col /v\MP\JG3Z ovvero (Nflv/OBM degli etruschi (2) : la seconda che fosse uno de’Telchini , forse per la simiglianza de nomi EEAXAN e TEAXIN : e la terza che potesse ri- ferirsi ad Ercole padre di Ropalo , e nonno di Festo, che secondo Stefano bizantino, e il comentatore Eusla- zio, avea fondato quella citta. Sembra pero che ella antiponesse la prima , e non a torlo : ma 1’ ingenuita dell’ animo suo , che giustamenle ci die per indubi- tata 1’ interpretazione del nome TAAQN in altre mo¬ nete della stessa citta da lei mirabilmente illustrate , lascio quella del nome EEAXAN02 nel genere delle (1) Ann. 1 835 vol. Y ; II pag. 162. (2) Lanzi, Saggio di L. E. vol. II pag. 191 228. 42 * ( 336 ) conietture probabili , e ra’ ispiro la confidenza di scri- verle questa mia. Io le n’ era poi debitore fin d’allora per un savio avvertimenlo datomi da lei sopra una svista da me commessa in una nota alia dissertazione della Bilibra Kircheriana, nel voler confermare che il carattere E per 2 non e di mollo antica paleografia greca : ed ella rileggendo , o raminentando la mia ri- sposla alia sua gentilissima , trovera , cbe le promisi 1’ ammenda del mio fallo e le accennai pure questa o novella spiegazione del nome EEAXAN02, dicendo che 1’ avrei tratta da fonte sicura di greco scrittore , come in altra mia pin lungamente svelai. Non e gia che io sia pentito di quella sentenza in paleografia greca , che poi vidi approvala e difesa da sommi ellenisti : solo mi duole di non averla confortata allora con migliori argomenti ; e perche , se io non errava nel la loro pro- venienza , potea prevalermi di queste monele mede- sime per dimostrare che il carattere E non e sempre 2 T e che anzi in EEAXAN , o EEAXAN02 e veramente di¬ gamma contra 1* opinione delT Eckliel (i) che tutta- via ne dubitava : e cosi avrei tolta meglio una grave difficolta opposta a quel principio paleografico ; poi- che tali monete, a mio parere , sono sicuramente an- teriori all’ epoca stahilita per V uso del sigma quadrato. Adempio adunque la mia promessa , e al suo trihu- nale rimando io la causa di queste monete , che hen (■} D. N- vol. I pag. ClI. / ( 337 ) puo deciderla (i): e se da questo mio scritto ne Terra qualche vantaggio all’archeologia, tutto a lei se ne dovra tributare il merito , perche ella prima d’ ogni altro nego al nome EEAXANOX Y indicazione d’ un ma¬ gistrate, e tento d’applicarlo a personaggio mitologico. Per serbare frattanto un qualche ordine progres¬ sive) di ragionamenti dividero la materia in due qui- stioni. ISi ella prima esaminero le due leggende per de- terminare il valore delle lettere , il significato delle parole , 1 antiebita delle monete ; e percio la quistione sara quasi tutta paleografica e filologica : nella se- conda descrivero i tipi , e con particolar minutezza lo strano lipo del ritto , in cui si rappresenta l’antro, 1’ oracolo e il nume cbe si cbiama CEAXAN02, affinche poi confrontando gli scrittori col monumento , per via di fatto si possa ravvisare il soggetto cbe v’ e flgura- to ; e sara quindi la seconda quistione numismatica in parte ed istorica. In fine, raccogliendo le conseguen- ze cbe ne derivano , cercberemo di ravvicinar questo incognitissimo Giove IEAXAN02 ad altre divinita gia cognite , e Y oracblo suo nell’ isola di Creta ad altri oracoli antichissinii di Grecia e d’ltalia, per indagare la cognazione di questi popoli a vantaggio della mi- tologica scienza e della etnografica. Incominciamo dalle leggende. (1) Egli, sapientissimo e modestissimo com’e,l’ha gia de- cisa nella prefazione al suo spicilegio numismatico. ( 338 ) • I. LEGGENDE junhq Jills) oibmq f oJiiom ii ZONAXATI J [ MIX L’epigrafe, che leggesi nel rovescio,non offre diffi- colla : e il solito norae de’ cittadini di Festo ora ab¬ breviate in MIX, ora disteso in MIXTION. Questa ul¬ tima scrittura pero mi sembra degna d’ essere consi- derala per la mancanza dell’ a , siccome indizio non dispregevole d’ antichita. Ma rivolgiamoci al nodo gor- diano di queste leggende che sta nell’ epigrafe del rilto , e propriamente nella prima lettera dell’ unica voce EEAXANOX. Tengo per fermo con lei che sia di¬ gamma : tuttavia credo che anche qui abbia 1’ ordina- rio suo valore della V latina (i), e non gia il valore dell’ aspirazione H , o della lettera 2. Le molte pa¬ role incomincianti da vocale , a cui preponevasi an- ticamente il digarama , ito poscia in disuso frai greci dove piu presto e dove piu tardi , ebbero certamente in seguito 1’ aspirazione aspra o dolce, secondo la va- rieta di favella , e talvolta anche il sigma , perche , tolto il digamma , non si poteva altrimenti ; ma il di¬ gamma stesso fu vera lettera dell’ alfabeto , ed ele* rnento di pronunzia affatio di verso. Per convincermi (i) Eckliel D. N. vol. II pag. 3 o 5 , e vol. IV pag. 387* a t ( 33 9 ) di questo vero, mi bastano tre sole osservazioni : la prima e eke ne’ monumenti antichi di Grecia l’aspira- zione dolce non ha segno di sorta , e molte di quelle iscrizioni medesime che innanzi ad alcune voci pre- mettono ii digamraa , come 1* alleanza degli elei e degli evei (i) , davanti alle altre non hanno segno d’ alcuna aspirazione , per esempio ekaton , APXOI, AITE ec. La seconda e, che in varie iscrizioni, dove troviamo indubitabilmente il digamma col suo carat- tere E , o coll’ altro , F , troviamo pure un carattere totalmente distinto per indicare 1* aspirazione aspra : cosi E e h abbiamo nelle tavole d’Eraclea, F e Q in un’antica iscrizione di Corcira ( 2 ); e mi sembra as- surdo il credere che in una stessa inscrizione si usas- sero tanto spesso due caratteri diversi, qnali sj usano nelle tavole d’ Eraclea , pel digamma e per 1* aspira¬ zione H , senza diversita di valore. Questo argomento vale parimente per non confondere col digamma qua- drato C la stessa ligura che si ha per la lettera sigma. Imperocche se trattasi di valore , egli e tanto certo che il digamma e diverso dai sigma nel valore, quan¬ to il Vau e diverso da tutte sibilanti semitiche : gli esempli poi di parole in una stessa inscrizione , che ci presentano due diversi caratteri per questi elementi, (1) Boeckh, Corp. inscr. graec. n. 11. (a) Boeckh, Corp. inscr. gr. n. ao. ( 54o ) r \ * * sono tanti che a me non basta 1’ ammo d’annoverarli. _ . ■ r Veggansi le tavole d’Eraclea. Rifletto solamente che se nella voce JIEAXAN02 la prima leltera fosse sigma e non digamma , si avrebbero due sigma diversi in una stessa voce. Altro e cbe una stessa lettera abbia di¬ versi caratteri in diversi monumenti , ed altro e che gli abbia in un monumento medesimo, e in una stessa pa- rola,e con una differenza di linee sostanziale. Credo adun- que che si debba leggere VELCHANOS e non SELCHA- • v if r > - NOS. Piu malagevole sarebbe il distinguere il digamma , • • » quadrato E dal sigma quadrato L , dove non fosse il con- trapposto d’ un altro sigma : vi ha nondimeno un princi- pio cronologico di paleografia, che non solo conferma la lettura VELCHANOS in questo nome stesso , ma che puo servire di norma in epigrali ancor piu’dubbiose. Augusto Bockh ha sostenuto, e con sodi argomenti, che E uso del sigma quadrato c non ha esempi anleriori al secolo che precede la nostra era volgare ( 1 ) : io mi contento che E uso del digamma quadrato E si re¬ put i per lo meno anteriore a queilo del sigma qua¬ drato E , il che nessuno mi puo contendere : e se Euso d’ una stessa figura per due lettere diverse non si dee, y senza pericolo d’innumerevoli confusioni nella scrit- ' 1} i/iy-o isioYih wjh oniiiasaoiq io c • il'HUUi ileoirp r (i) Corp. inscr. graec. n. 44 P a g- 69 e n. 5 g pag. 85 . E/us usus , dice egli , non ultra sacculuni aetatem Christi praecedens exetnplis confirn/atur. P' 'oxime ( 84. ) tura, giudicar conlemporaneo in uno stesso Iuo^o: da un cliiaro confronto che soggiungo concbiuderemo, che il carattere C deve assolutaraente esser digamma , e non sigma nel nome EEAXAN02. Imperocche questo medesimo carattere C del digamma allerna e scam- Liasi coll’allro in forma di F nelle monete di Oasso, citta cretese ancli’essa, e vicina a Festo: giaccbe in alcune leggiamo EAHIGN , e in altre FASIQN. Ma que- ste monete d’Oasso, come si pare anche solo dall’nso dell’ Q , sono certamente posteriori alle monete di Fe* sto colla leggenda EEAXAN , o EEAXAN02 che ancli’esse Taddottano insieme coll’ O per Q; con piu ragione adun- que il carattere quadralo •- doyra tenersi per digamma nelle monete di Festo. Si aggiunga 1’ indizio non leg- giero di maggiore antichita dimostrato dalla scritlura re- trograda nel nome S0NAXA3I, e dalla forma deli’ O col punto in mezzo (i) , quale si osserva nelle piu antiche monete di Magna Grecia. Per quanto si voglia detrarre alia sicurezza di queste prove, che pur sono intrinseche , ella che e tutto fior di giudizio nella scienza numismati- ca, non sapra mai pareggiare paleografia cosi discorde , e molto meno ribassar le nostre monete ad epoca piu re- cente. Che se non hastasse a taluno la paleografia nu- mismatica per tirare quella legittima conseguenza che abbiamo dedotta , affiuche si legga YELCHANOS, non (i) Yeggasi la figura. 43 ( 342 ) altrimenti che YAXION : noi per questi due norni possiamo addurre eziandio la paleografia lapidaria strettamente congiunta coll’ istoria , onde dimostrare r assuuto con piii certezza. E per verita tra le molte inscrizioni greclie trovate a Teos , dalle quali sappia- mo che fu confermato al suo territorio il diritto d'in- violabilitd ( «cruX/«s ) dai romani , dagli etoli e dalle libere citta di Creta , una ve ne ha contenente il de- creto di Oasso opportunissima a decidere la nostra quistione. In fronte al decreto e scritto CAYSIGN , che e quanto il CaSIGN , o 1ASIGN delle monete , e in corpo al decreto questo nome PAY SIGN e ripeluto cin¬ que volte : sicche non y’ ha neppur luogo a dubitare della sua vera lezione. Ora egli e certo che quando si delto questo decreto, la citta di Festo era distrutta: e giacendo fra le sue rovine, non potea davvero co- niare la nostra moneta. Di fatto quel decreto d 'Oasso e contemporaneo ai decreti d’ Istrone e di Eleuterna , citta cretesi , essendo dali agli stessi ambasciatori Apollodoto e Colota spediti da Teos , e a Perdicca mandato dal re Filippo (i) ; ma il decreto di Eleuter¬ na rammenta inoltre Agesandro rodio figliuolo di Eu- crate , che dimandava cio stesso a nome del re An- tioco, non allrimenti che nel decreto de’ romani e ri- cordato Menippo legato d’ Antioco stesso nap ’A vztiyw (i) Boeckh, Corp. inscr. gr. n. 3 q47 3o43* ( 343 ) rsu P9 , e peraltro indubitabile che non puo essere posteriore all’anno 563 : perche tra il 5^9 e il 563 era gia scoppiata e fervea la guerra d’An- tioco contra i romani con tutto il movimento di que- sti verso 1’ oriente. Veggiamo adesso se Festo in quest’ epoca potea piu batter moneta ; e noi confrontando Polibio (3) col geografo Strabone (4) troveremo , che ( 1 ) Boeckh, Corp. inscr. graec. n. 3o45. ( 2 ) Lib. XXXIV §. 57 59 . (3) Lib. IV num. 53 54- (4) Lib. X c. 4 . 43 * ( 344 ) la citta di Festo in Greta era gia slata distrutla dai gortinii quasi nel tempo stesso in clie Litto fu di- strutta dai gnossii , cioe due secoli circa innanzi all’ era volgare, e propriamente nell’ olimpiade CXL secon- do Polibio , anzi nelP anno di Roma 534 , stando ai computi dell’ Eckhel (i) , epoca la piu calamitosa a Creta per le guerre civili. E di vero Polibio , nar- rata la distruzione di Litto , soggiugne cbe la gio- ventu esiliata da Gortina si porto contro di Festo al- leata con lei a danno di Litto , e cbe per una specie di rappresaglia s' impadroni del sno porto , e quindi battaglio la citta , sorprendendola da questaparte (2). E chiaro cbe Polibio accenna al tempo , in cbe per testimonianza di Strabone i gortinii atterrarono Fes to,e ne occuparono il territorio (3) tv)v rvj'v [ «(7/xa in Esicliio , da ayvopu frango , che in Esiodo ci da xauaHarg per xaraFa£a*s , e da cui, secondo Stefano bizantino, deriva EAS02 Oasso, in dialclto eretese dirupo. Yah • txavov per voce sorella di ah; satis , e forse anche di valeo, va/idus.e valde presso i lalini. rava?per«v«£ inApolIonio a)essandrino(i), voce che per autorita di Dionisio alicarnassese e di Tri- fone grammalico pronunciavasi col digamma , e confermasi per antiche inscrizioni ( 2 ). Yu'jhavu'j • apiaxsn per av§av£«v in Esicliio , e COSl : TsXav * avyry ty/iov per rsAsty * ia.[J.nziv , per IXsTv. Vilty.Y] * £h %, per TsXXj^a* • Gvviikrjaxiy per IXic-at. Yzvra • xpsa, GrJ.&f/ya per evta viscera. Ysoyava • ipyaj/ta , da spyavsv che con zpyov avea cer- tamente il digamma , perche nell’ alleanza tra gli elei e gli evei tutlora leggiamo AITE ^eiios aite FAProN eolicamente per ipyov. Yzppn) * anohj)la. } pel’ £j3p». rfetx • , per >fcsa beoticamente , come Fetia per exsa ( 3 ). (1) De pronomin. in v. Toe. (2) Boeckli, Corp. inscr. gr. n. 4 - ( 3 ) Boeckb, Corp. inscr. gr. n. 1569 a, III. {34 ? ) TyhacSou * Y.tXTE%SGSvseX*]y.svovg. riv • ggi ovrero oi per iv , giacche per testimonianza d’ Apollonio alessandrino al pronome di terza persona eolicamente preponevasi il digamma. louplg on y.ocl r o cdohxov otyyy.yx vxig xareJ t o rpt.zov npoGwtov npoGvzfiizou } e porta un esempio d’Alceo, dove abbiamo r&sv per 25ev (i) , come pure in un frammento d’Alcmane pubblicato dal Villoi- son ( 2 ). r??«c * per st’^ea da sow cedo , donde vices , vicissim ec. Tio • ocijtov , per to beoticamente F [ 0 . Ttrrov • ehov, quindi nel bronzo degli elei Feiios per tuog. TiGayivoct * sidtvccc , da t'avj yt. Tcsyov • iaov e sotto il B Esichio ha * B/up • tang •' G'/toov * Ascxwvsg. Tierlat ’ cGTcvpyot * ricy/uv • ta/yv , e sopra per U cioe vis . * oT 5« e sopra rolfa/u. r6pTV% * C|3tU?. r« • eavTu, aw . E qui finisco , perche la filatessa diventa troppo lunga. (1) De pronomin. 1 . c. e ne’ frammenti di Alceo n. LVII. (2) Schol. Yenet. ad II. fc, 222. 44 ( 35o ) Ella hen vede che la maggior parte di queste voci e presa da Esicliio : e se non si ammette elie in queste voci il gamma fu scritto pel digamma , confesso che io non so render ragione di questa lettera e della sua stranissima sovrabbondanza in quelle voci appunto che ci conservarono il digamma sui monumenti. Ma giacche molto importa che in queste ed in altre voci il gamma si riconosca usato pel digamma, mi permet- tera che io le rechi un passo di Terenziano Mauro, e lo confronti con Esicliio: perche quel romano, dottissimo in amhedue le lingue , ci conferma 1’ uso del digam¬ ma in alcune di queste voci medesime , e ne deter- mina poi il valore per modo, che il gamma prefisso loro in Esichio non si potra mai certamente confondere col gamma ordinario del nostro alfaheto greco. Egli dunque della V consonante dice cosi (i) : Perdere V quia sic vide fur usque vocalem sonum, Alteri quom praelocatur , [ nam facit VITA et VALENS ] Sordidum quiddam videmus, absonumque ex- cludere : Aeolica gens tunc digammon denique illam scri¬ pt itat , Mutet ut silum Jigurae quando mutabit sonum . (i) Ed. Putsch, pag. 2397. ( 351 ) JVomimm multa inchoata litteris vocalibus Aeolicus usus reformat, et digammon praefcit: Aeolica etiam dialeclus est fere mixta Italiae "Etmpov quern dico graece , VESPERUM cogno- minat } ’E<7 zvx sic VESTA facta , VESTIS la^g dicitur , Iva quam graece vocamus VIM iubet me dicere: Ecap est multis in nsu, sed tnagis poeticum est, II'a enim naliva vox e t st, ilia VER hoc dictitat: Quos Homerus dixit ‘E vsreu?, ilia VENETOS au- twnat: VIOLA fos qui nuncupatur, kune graeci vo- cant iov , Et VIOLEVS fit, crede Marco Tullio. Quamque m>v dicunt achaei, hanc VlTi’N gens aeolis : Plura Sappho comprobabit, aeolii et caeteri. Non io solo, ma forse anch’ ella maravigliera , come mai coloro, i quali parlarono del digamma non abbiano insistito sopra questo cbiarissimo tratlo di Terenziano. Paragonandolo con Esicbio nelle voci Tsxo ver , Fix violae , rig vis , Tiaux Vesta , conyerrebbe esser cieco per non ravvisare che in esse il gamma e scrilto pel digamma. Che cio avvenisse per identita di suono nella pronunzia , io non lo credo , perclie il gamma e troppo diverso dalla V consonante ; mi pare piuttosto che uno scambio cosi frequeate tragga origine dalla simiglian- 44 * ( 352 ) za de’ caratleri : il clie non mi sarebbe difficile a di- mostrare , se non temessi d’ uscire del seminato. Toccbiamo pertanto , e n’ e ormai tempo , quell’ulti¬ ma meta , a cui tendevano tutte queste paleografiche e filologiche ricerclie. Senza queste , la spiegazione che daro della voce EEAXAN02 sarebbe solamente probabile : ma dopo queste , chiunque ba senno la terra per certa e sicura. Ella non e mia spiegazione, e di quell’ Esichio medesimo cbe cosi spesso fiuora abbiamo citato. Imperocche nel novero di quelle voci, cbe incominciano per r , egli noto che TEAXAN02 e Giove presso i cretesi : TEAXAN02 * 6 Ziv; nap* Kpw'tv. E qui ella ben vede cbe la differenza tra il TEAXAN02 d’ Esichio , e il CEAXAN02 delle monete di Festo, e differenza unica di lettera iniziale : ma noi abbiamo pr'ovato che il carattere quadrato L nel nome lEAXA- N02 e veramente digamma , come lo e in FASION alternato con FA2IQN nelle monete d’ Oasso vicina a Festo , in LEIKATI e EIKATI per VIGINTI, co’ suoi derivati in EET02 per (xc;, in eIAI 02 per tins sulle ta- vole d’Eraclea ; e, per dirlo in breve, come lo e in tutte le nostre vecchie lingue d’ Italia. Sara dunque TEAXANOZ per FEAXAN02 come in Esichio Texog e lo stesso che il FET02 delle tavole d’Eraclea scritto FET02 nel bronzo degli elei, e ne’ marmi d’Orcomeno con ( 353 ) tutta quell’ aggiunta di calalogo che pocanzi abbiamo tessuto, e cbe io potrei raddoppiare se fosse d’ uopo. Egli e pertanto evidentissima cosa, cbe il EEAXAN02 delle monete di Feslo e nome dato a Giove dai cre- tesi; e noi potremo conckiudere coil certezza , che V uorao rappresentato nel ritto di queste monete , se- dente quasi in sua niccbia in un antro , e tenente con la destra un gallo su la sua coscia, non e altri che Giove CEAXAN02 col suo medesimo nome a Iui scritto in faccia CEAXAN02 b Z-v; ixxpx Kpjjirtv. Passo adunque alia dichiarazione dei tipi , in cui la nostra quistione ristretta ai fatti, e fondala sopra queste monete e su gli scrittori, sara tutta numismatica ed istorica. II. TIPI. Antro ed oracolo ) ( Bue cornupeta entro una laurea Non mi fermo tampoco sul tipo del rovescio : siccome neppur mi fermai sull’ epigrafe : perche il bue cornupeta e tipo comune a varie monete di Festo, incontrandosi anche in quelle che secondo la vera in- terpretazione da lei proposta ci rappresentano nel ritto T indigete TAAQN. Avverti gia l’Eckhel, e lo comprovo con autorita d’antichi scrittori, che Creta, e singolar- mente Festo,abbondando di pascoli,abbondavadi gregge ( m ) taurino ( 1 ), e percio non mi sembra necessario ricor- rere al toro portatore d’ Europa per ispiegar questo tipo : chi pero volesse crederlo tale nella moneta che illuslriamo per la laurea che lo circonda , abbia pur Jibero pasto alle sue congetture. II tipo, che tutta ri- chiama la nostra attenzione, e il tipo del ritto. Che neir uomo ignudo ed imberbe si possa rav- visare dopo tanto volger di secoli il ritratlo di Giove EEAXAN02 , come almeno anticamente lo finsero i cit- tadini di Festo , il nome apposlo al personaggio non ce ne lascia dubitare. L’immagine di questo e di qualunque altro Giove e certamente ideale in quanto e di Giove : ma nel tipo delle noslre monete essa mi sembra una copia d’ un simulacro esistente, cioe d’un Giove cui contemplavano in istatua i popoli di Greta, e quindi cosa di fatto espressa dal vero. Io tale la giudico per varie ragioni : imperocche questo Giove non ha barba , e tuttavia Giove suole essere barbato nelle monete. Converrebbe adunque per ispiegar que¬ sto tipo ricorrere a qualche Giove sbarbato dell’ anti- chita, simile al lovis Axur , o al Veiovis de’latini che non fu mai definito chi fosse, e io non ne ho divo- zione : all’ opposto se il nostro EeaXANOS e propria- menle copia di qualche statua in marmo o in bronzo collocata nell’ antro ideo , a mio parere non v’ ha piu (i) D. N. vol. II pag. 317. ( 355 ) difficolla ; perche Pausania, citato anche da lei (i),ci afFerraa di averlo veduto nell’Elide figurato in due statue qual giovane imberbe : anzi nelle statue di bronzo an- tichissime, come sono l’etrusche, un pelo di barba sara sempre una rarita. Oltre a cio Giove CEAXAN02 nelle nostre monete non va considerato solo : egli e parte di quel tulto cbe costituisce Y oracolo ideo ; ora un oracolo senza il simulacro del nume cbe dava le ri- sposte , accompagnato da tutti gli aggiunti suoi , non si sarebbe mai potuto riconoscere in una sua rappre- sentanza , perche n’ era il miglior mobile. E poi nel tipo delle nostre monete qual ragione si potrebbe dare del gallo cbe VELCANO tiene sulla coscia, se questo non era il simulacro medesimo del nume ? Un Giove ideale di qualche artista ne’ tempi piu belli di Creta avrebbe 1* aquila o sullo scettro, o a’ suoi piedi, non gia P uccello fatidico del monte Ida. Eppure qui quel galletto si mostra chiaramente per gallo nella sua cre- sta levata 5 ne’ suoi bargigli alia gola , nella sua coda in su rivolta , pettoruto ed atteggiato a quel canto Che si credeva inspiratogli dal nume. E forse egli era scolpito in bronzo che divenia vocale per fiato d’ un ciurmadore : al cbe mi sembra alludere apertamente (i) Lib. IV , 24* ( 556 J l’antico poeta lone , scherzevole drammatico di Ohio , il quale ne assomigliava lo strido all’ acutissimo suono d’ una siringa che servia di Irombelta a Giove (i). TzpoSti ol rot cvptyZ iSoc?o; aXsxrup II gallo ideo precede per irombetta Aggiunga che Pausania nel lihro decimo ( 2 ) annove- rando diversi antri sacri in Grecia ed in Asia , fa- mosi per culto d’una o piu divinita , ci attesta che in tulti era il simulacro del nume venerato nell’ antro. Mi si neghi frattanto che nel ritto di queste mo- nete non sia rappresentato un antro sacro ? Poco ci vuole per convincerne chicchesia, se non hasta un’oc- cliiata. L’ Eckliel e il Cadalvene nel descrivere questo tipo hanno detto che Velcano siede allato , o sur un tronco d’ arhore : e se intesero la ceppaia di qualche quercia , o simile che di sue grosse radici tapezzi le pareti d’ una grotta , io non lo contrasterei : anche Poracolo dodoneo, secondo Esiodo era nel fondo d’una quercia iv j you : pare pero che il sedile di Velcano nelle nostre monete altro non sia che la nicchia 0 naturale , 0 incavata per arte nel fondo dell’ antro medesimo , di cui si yede grezza e sco- (1) Apud Athenaeum IV, 1 85 A. (2) N- 32 . ( S5 7 ) scesa la parete a sinistra del mime , e quasi scannel- lata , o foggiata a colonnette in fila verso la destra. Che questo luogo peraltro sia sotterraneo, e per con- seguenza un antro , lo addimostrano ad evidenza lo sfondato del disegno per quanto era possihile in me- daglia a que’ tempi, e molto piu i cespugli e l’erbe che tra la parete a destra e la tettoia sporgono in- nanzi al gallo , o che pendenti dal labbro superiore dell’antro sovrastano tra le teste di Velcano e del gallo stesso. Ed io per verita mi maraviglio dell’Eckhel, perche non si accorse di cio che descrivea sopra 0 due di queste monete, una del museo cesareo , e 1’ altra del granduca di Toscana. Egli dice CEAXAN ( retrograde ) vir nudus sedens, d. gallurn tenet, inde porta , ut videtur ( ina doveva riflettere che la gamba di CEAXAN02 esce fuori , e tuttavia non esce per la porta ) , pone arbor , et superne virgulta de¬ pendents : e cliiaro che i virgulti sovrapendenti sup- pongono luogo sotterraneo , e precisamente un antro innanzi a cui pendono. Riconosciuto un antro e un oracolo di Giove pel ministerio d’ un gallo in questo tipo , egli e facile 1’ argomentarne che debba essere l’antro ideo di Giove, celebre sccondo la favola cretese pe’colloqui tenuti cola ogui nove anni con Giove stesso inlorno alle leggi che 45 ( 358 ) poi diede a Greta il suo legislator Minosse. II primo a fame cenno e Omero nell’ Odissea (i): Giace una terra, che s’ appella Creta . . . Gli abitanti vi abbondano, e novanta Contien cittadi, e la favella e mista : Poiche vi son gli achei } sonvi i natii Magnanimi cretesi, ed i cidonii E i dorii in Ire divisi, e i buon pelasgi. Gnosso vi sorge , citla vasta, in cui Quel Minosse regno che del Tonante * Ogni nono anno era agli arcani ammesso . Toai $’ hi Kvw<7 !7 i3 $ usju\-Q ncXtg , ev5a zs M/vw; ’Evveoopog fiaviheve , Aibg fisyaXov ooipiaxrig. 11 che da Platone .nel suo Minosse ( 2 ) s’ interpreta cosi : Andava Minosse di nove in nove anni nelP an- tro di Giove , altre di sue leggi imparando ed altre mostrando : tanto afferma (3) Plutarco citando Omero e Platone : e Straboue auzi vi aggiugne (4) che Mi¬ nosse emulator di Radamanto , il quale era stato le¬ gislatore anch’ esso prima di lui , e chiamato da Omero A dg jxiyoCkm bxpiaxyg , perche salendo all’antro di Giove, * (*) (1) II. r , 172. (2) Nel Minosse pag. 320 a. b. (*) Tom. II pag. 776 ed Franco!. ( 4 ) Lib. X 4 4 . ( 55 9 ) e cola trattenendosi , ritornava poi con certi avvisi da lui composti che diceva essere ordinamenti di Giove. Ad Omero succeda Pindaro , che cosi parla a Giove stesso (i) : Propizio Giove, a cui fra nubi il monte Di Saturno s’ affida. Che onori dell Alfeo la larga fonle , E Vantro venerabile dell’Ida, con quel che segue. Dopo queste citazioni poetiche ragioniamo alquan- to. Sia pur favola questo racconto che riguarda i col- loqui di Giove con Minosse nell’ antro ideo : benche allri v’ abbia riscontrato un avvenimento certissimo d’ origine orientate. Questa era opinion de’ cretesi, e 1’ istoria degli errori anch’ essa e verita. Per noi ba- sta che V antro ideo fosse un antichissimo oracolo , famoso in Greta e fuori di Creta ; e giacche Minosse, per testimonianza di Slrabone ( 2 ) e di Diodoro sici- liano (3) molto piu degni di fede che Stefano bizantino ed Eustazio , era creduto fondalore di Festo, non al- trimenti che delle altre due cilta Cidonia e Gnosso , troppo giusta cosa era che Festo rappresentasse nelle (1) Od. olymp. V , 42. (2) Lib. X, cap. 4 * ( 3 ) Lib. V , pag. 237, 43 * ( 36o ) sue monete autonome quell’ antro , dove correa faraa che Giove avesse dettato le sue leggi a Minosse , men- tre in altre monete rappresentava quel , di cui Minosse medesimo si servia per banditore e custode di sue leggi nell’ isola. Xmperocche cosi scrivea Pla- tone (i ):Minosse adoperava Radamanto per esattore di sue leggi in citta,, e Talo nel res to di Greta . Agli autori teste citati si possono aggiugnere Niccolo Da- masceno, vissuto ai tempi d’ Augusto, che favellando della legislazione di Minosse adduce anch’ egli Omero, e spiega etg u cpog fccrav , h w AI02 ANTPON ilipxo ( 2 ) ; Massimo Tirio, che alio stesso proposito ripete sv rn I AH ANTPON AI02 (3), e mold altri che taccio per brevita. Non debbopero tralasciare unamemoria egual- mente celebre e cara alia citta di Festo, che 1’avra in- dotta con doppia forza a rappresentar quest’ oracolo nelle sue monete. L’ antro di Giove, che e detto an- che Afxr Ack xvrpw da Massimo Tirio (4), quantunque fosse propriamente nel monte Ida , e quel desso che fu visitato da Pitagora in compagnia d’ Epimenide , secondo Laerzio (5) i'J Kpvfnj ouv ’ETn/xsvobj xat ijjXGsy teg ( 1 ) Nel Minosse pag. 320, c. d. (a) Excerpta pubblicate dal Valesio pag. 5a5. (3) Dissert. XXII. (4) Dissert. XXVIII. (5) Lib. VIII, 3, Vita Pythag, (360 to Acog KV7C5V. Ora, per testimoniaaza di Strabone (i), Epimenide era cittadino di Festo : e Massimo Tirio afferma che Epimenide Inngo tempo area freqnentato quel santuario di Giove , dormendovi molti anni in profondo sonno , cosa difficile a credersi , dice Mas¬ simo ( 2 ) 7KHFOY* zvOzv 'zniyOovioi tJ.ctvrrpz navxz yzpovxoa’ eg oij xzWi fj.oh *>v Ozov oc^flpoxav e£sps$tvy odoz cszpav zlOy gi guv ciavsig dyotQstGC. 46 ( 366 ) L,e parole vodw h mSpvji e 1’ ultimo verso frvipa cpepoiv fySyat guv oiuvrfg uyaSoiai , mi sembrano cliiare a bastanza. Quanto all’ oracolo degli aborigeni , non le deve essere ignoto il passo di Dionisio alicarnassese, e pero lo tralascio* Notero soltanto che secondo Dio¬ nisio la qualita dell’ uccello non era d’essenza , per- clie F oracolo degli aborigeni fu credato da Dionisio una ripetizione dell’ oracolo dodoneo: quantunque dica espressamente che in Dodona l’uccello era una colomba, e fra i sabini un piccbio opvoy.o\(XKro;. La differenza adunque dell’ uccello fatidico non ci deve impedire di ravvisare nell’ oracolo di Giove CEAXAN02 una ripeti¬ zione degli oracoli pelasgici. Sospettai suite prime che 1’ uccello della nostra moneta fosse un piccbio anche esso , giacche il grammatico Placido nelle sue glosse pubblicate dall’eminentissimo cardinal Mai lo descrive cosi : Dryocolaptes , avis quae in capite suo in mo - dum GAL LI cristam habet : i bargigli pero che gli veggo alia gola, e la coda risaliente, mi convincono che sia gallo. Sara dunque una gloria di piu per T im- perator del pollaio ; ne 1* avea meno in Italia che in Greta, perche sappiamo da Plinio (i) che i galli gal- linacci erano in Roma victoriarum omnium toto orbe partarum auspices : hi maxime terrarum imperio im- perant : e veggasi tutto quel capo che e gran testi— (i) Lib. X > c. 21 . ( 36 7 ) monio della influenza gallinacea nella repubblica. A maggior confronto dell’ oracolo cretese cogli oracoli de’nostri aborigeni, aggiugnero clie Malco, o sia Porfl- rio, rammentando ii pellegrinaggio di Pitagora in com- pagnia d’Epimenide all’ antro ideo, racconta che colui vi dormi le tre novene di sonno colle lane nere in dosso, secondo il rito pralicato all’ oracolo di Fauno (i). Non dobbiamo pertanto maravigliarci, se gli antichi riconob- bero una stretta cognazione fra i pelasgi dodonei coi pelasgi di Creta e d’ltalia. Alessandro Pleuronio, citato negli scolii omerici del Villoison, disse che il popolo d’ Ellopia discendea dai tirreni ( 2 ) eSvsfc rav tfXXov dnoyovav TvppyvSv : e Strabone (3), parlando degli abita- tori di Creta A apis eg rs zpr/Jcc'y.-g dears ns Xaof/or , attesta che Androne li volea trasmigrali in Creta dall’ Estiotide di Tessaglia , dove appunto la tessalica Festo era una delle primarie citta. Combinano adunque la mitologia e P etnografia : ed e probabile che i pelasgi di Creta abbiano trapiantato nel monte Ida un oracolo somi- gliante all’ oracolo degli aborigeni , e all’ oracolo dodoneo , il quale duro piu lungamente , e non cesso (1) Insieme con Laerzio lib. VIII, 3 , ecg §3 to' IAAION xaXsugsvcy ANTPON y.zzocfiocg tpia. zyw [XsXocvoc ym zvg zpig £vv((x ^(jJpcKg ixzi §cszpi tuy E2TIAN ym toy ZHNA TON KPHTOrENIA Yeti toy ’'Hpctv ymi toy ZHNA toy TAA- AAION. I monti tallei erano sotto F Ida dal lato di. (x) Lik VIII , c. 7 , syjiloini §£. na; xzl to [azythoy to. zy Aa $ 6 ) v /2 YocOdcnzp tu/J.u, ( 2 ) Eckliel, D. N. vol. II pag. ig3„ (3) Boeclih, Corp. inscr. gi\ 11 . a554* ( p6 9 ) Retimna , e Vi era altresi T antro di Mercurio kto'J'xs$ che e il Mercurio pelasgico. Crederei pertanto che r.EAXANOS sia il Giove Talleo , o piuttosto il Ditteo Giove , se questi e diverso dal Talleo , distinguen- dosi anch’ esso dal TAN xav kotioc'j , vjA 2 ANA j< :■ : . : /' ' : Ksoimnseifi •• ’*g ' ^ I : ' L T J IT' A: ( .N /' ’ 11 ■ ' ' - ( 3 7 3 ) \ Dopo clie nello scorso anno ebbi avuto Fonore di ragionare fra voi , principi eminentissimi, accaderaici eruditissimi, di un antico bassorilievo di stile romano trovato nelle scavazioni yeienti , avvenne che altro bassorilievo di stile etrusco fosse pur discoperto fra quelle anticlie rovine. E avvenne eziandio che la vasla necropoli si ritrovasse degli anticbi abitatori di Veio, al tempo che quella citta faceva parte della etrusca dominazione. E voile la sorte che , nello aprirsi di alcune grotte sepolcrali , si rinvenisse non piccola quantita di vasi fittili con figure , e di altre sloviglie, oltre ad alcuni vasi in bronzo e a qualche ornamento in oro. Intorno alle quali cose vi avrei io oggi in- trattenuli, se dal mio proposto non mi avesse allonta- nato altro e a me piu caro ritrovamento. Imperoc- che nella scorsa state , mentre la maesta della regina Maria Cristina di Sardegna,mia augusla signora,dimora- vasi nel suo tusculano , voile , per quell’ amore ch’ella nutre per le antichita e belle arli , darini il gradito incarico di aprire pur ivi , come erasi fatto ncl ve- 47 ( * 7 * ) ientauo } nuove^cave di antichila. E poiche la sorte fa egualinente cola propizia che in Yeio , ho delibe¬ rate di ragionarvi delle cose tusculane recenlemente iornale a rivedere la luce. Tuscolo ebbe due porte , ambedue da me disco- perte : all’ una delle quali , distante da Roma ceute stadi , cioe da XII in XIII miglia , metteva un ramo di strada cbe distaccavasi dalla via latina ; all’ allra inetleva altro ramo cbe distaccavasi dalla via labica- na : e da questa parte il cammino di cbi moveva da Roma era piu lungo di ollra due miglia , come di- mostra la colonnetta migliaria col numero romano XV, cbe fortunatamente dura tuttora al suo posto. Cbi eutra per la porta piu vicina a Roma vede in due dividers! la strada interna. Uirittamente vassi all’ altra porta , al foro , al teatro , all’ acropoli : volgendo a mano stanca, vedesi la via discendere nella direzione del nord verso il muro dell'eremo de’camaldolesi. Questa via e •m fiancbeggiata pur essa di fabbriche anticbe : ed era slata gia discoperta fino ad un CL passi , allorche , per comandamento del re Carlo Felice di gloriosissima rimembranza, furono per piu anni continuate le grandi scavazioni che , oltre a dovizia di rare antichila , frut- tarono il certo ritrovamento del contrastato luogo ove sedcva 1’ antica Tuscolo. Io mi pensai di proseguire il discoprimento di questa via : cbe cio facendo, ancor- che la speranza di trovar cose trasportabili altrove mi fosse fallita, l’opera non sarebbe andata perdula: per- ciocche sarebbesi discoperto un nuovo tratto della citla. < 3 7 3 ) Adunque continuando in qitel luogo gli scava- menli , e Irovando semprc la via lastricata di grossi inassi di selce , si giunse ad un punto dove essa via nuovamente bipartivasi : essendo che un ramo prose- guisse il suo discendere al basso , e 1’ allro a destra si aliargasse, prima in una piazzella lastricata della pielra indigena delta speronc , con ivi sedili della slessa pielra ; e quindi , pure a destra salendo , si discostasse dall’ altro ramo. Ed e da uotare che que- sla nuova branca alia mano destra appariva essere slala cliiusa da due porte , 1* una rispondenle sutla de- scritta piazzetta , Taltra volla verso il ramo principale che giii discende. Il cuore di tutti si apri allora ad una ragionata speranza : e proseguendo a cavare per questo lato , e trovando sempre la via lastricata a largbe lastre di selce , si vennero a discoprire gli avanzi di nobilissima abilazione ; e ne furono dalle macerie disgombrate sei stanze ; le cui volte, con parte delie pareli che le soslennero, erano sempre cosi ri- mase , come avveune che rimanessero quando il tem¬ po o la mano degli uomini ne cagiono la rovina. Le soglie delle porte erano in marmo ; i pavimenti in musaico a dentellini di pielre bianche e nere \ i muri intonacati e variamente dipinti ; ed alcuni con or- namenli di stucchi o bianchi o dorali. Ma que’muri erano , come ho detlo , in gran parte caduti ; e da quelle parti, che si rimanevano in piedi, erasi dislac- cato e franlumato 1’intonaco^Eu chiamato cola il di- 47 * ( 376 ) ligente pittore signor cavaliere Carlo Ruspi, dell’arte di conservare le antiche pitture espertissirao , perche v tutto cio che pote salvarsi rinnisse e collocasse sopra lavagna. Yoi qui vedete , o collegki, i principali ri- sultamenti delle fatiche per molti giorni durate. Una delle stanze aveva pitture in campo bianco: nel mezzo erano busti assai minori del vero : nell’ alto figurine di piii piccole proporzioni. Dei primi si e con- servato uu ritratto di donna condollo con molta fini- iezza : delle seconde una mezza figuring con ramo di olivo in mano : e rappresenta forse la Pace. Altra stanza aveva bellissimi scoinpartiinenti di pitture e di stuccbi a bassorilievo , chiusi e questi e quelle da cornici lavorate a stucco e dorate. V’ erano in campo di cinabro medaglioni con teste pitturate quasi a meta del vero : v’erano in campo turcbino figurelte in istucco , alcune sedenti , altre in piedi , die porgevano here a piccole cerve: all’intorno stuccbi ad arabeschi. Forse qualcbe parte degli ornamenti ar~ tistici di questa stanza potra essere conservata. II ri- torno di sua maesta in Roma fu d’impedimento a do fare; perche nulla facevasi senza che io vi fossi presente. II campo di altra stanza era di colore paonazzo, e vi si vedevano dipinte figure terminantisi in foglia- ini ; e v’ erano arieti a festoni di pampani con bel- lezza di uve. Fui lieto dell’ aver potuto conservare e riunire in un quadro due caproni che si guarda- no senza cozzarsi , ma in atteggiamento tutto pa- ( s 77 ) cifico. Sono toccate con molto spirito, principalmente nelle teste : hanno , come ad ornaraento , vincigli di piccoli fiori ; e sopravi corrono tralei di viti con uve che ti sembrano vere. Una quarta stanza ebbe stuccbi di molta bellezza, alcuni de’ quali erauo messi ad oro. Fu avveniraento fortunato 1’ aver potuto trarre fuori delle rovine , pressoche inlatto, un gran pezzo di rauro, lungo oltre a tre palmi , ed alto pressoche due, gia come vedete a doppio scompartimento. Nella parte superiore sono sn campo paonazzo figure in istucco dorato che lerminano sotto il ventre in fogliami. Qneste figure hanno ai lati due sfingi, volte loro di tergo , e colle due mani ne stringono le due code : ove poi le sfingi incontransi tesla a testa , ivi dividele un caudelabro od altro che sia : ed erano pur messe ad oro cosi le sfingi come i candelabri. Ora tulte le doralure sono quasi intera- mente scomparse. Nello scompartimento inferiore , e piu largo che non e ii primo, il campo bianco ha figure senza ornamento d’ oro. Dovettero rappresentare il trionfo di Bacco nel suo ritorno dall’ India. Precede una giraffa ( nabun o nabis degli etiopi , Camelopar¬ dalis dei greci e dei latini ) quale anticamente fu de- scritta da Plinio ( 1 ) e da Solino ( 2 ), e quale piu re- ( 1 ) L. VIII c. 18 . (a) C. 3o ad met. ( 3 7 8 ) cenlemeule ci fu rappresenlata da M. Polo , che par- lando degli eliopi scrisse cosi (i):» Hamio giraffe mollo belle ; e sono jatte come io vi diro. Elle hanno corta coda , e sono alquanto basse di dietro : che le gam - be di dietro sono piccole ; e le gambe dinanzi e il collo si e mollo alto : e sono alle da terra ben Ire passi, e la testa e piccola, e non fanno niun male >». Ne fa die la giraffa sia animate non propriamente dell’ India , dove Bacco trionfo , raa si della Etiopia. Imperocche nota bene a proposito il Tnrnebo ( 2 ): La - tissime Indiae nomine usus veteres, nl qui Aetiopiam inlerdum ea significarent . Percio Virgilio (3) pose iiell’ India il nascimento del Nilo , comecche esso ab- bia la sua origine in Etiopia. Percio Igino (4), per ta- cermi di altri , pose nell’ India quella Tebe cbc fu nelP Egilto superiore. I denli di elefanle , ond’ e ca- ricala la giraffa Irasportalrice delle spoglie nemiclie, ben si convengono al trionfo di Bacco. Che Calullo , volendo significare il dente dell’ elefanle , uso la frase Indus dens (5), e Virgilio lo cliiamo indum ebur (6), e ( 1 ) Milione ( 2 ) L. XI Advers. c. 9 . (3) G. IV 2 9 3. (4) Fab. CCLXXV. (5) LXI11 v. 48. (G) Aeneid XII 67 . ( 379 ) scrisse altresi India mittit ebur (i). Percio nel cor- leggio di Bacco trionfatore bene spesso veggonsi g!i elefanti ( 2 ): perciocche narravasi cbe Libero padre , debellala l* India , aggiogasse quelle belve al suo cocchio (3) : e cosi vedesi rappresentato in due rac- daglie di Antonino Pjo e di Caracalla (4), e fu scritto per Diodoro siculo (5) e per Nonno (6) , cbe Bacco, dopo la vittoria sugl* indiani , sopra un elefante si assise. Viene appresso alia giralfa una baccante cbe suona le tibie (7). E vestita con lunga e larga vesle soltaua , e con tunica corla alia greca, e in tutto co¬ me le baccanti sogliono essere rappresentato. La se¬ gue una figura virile nuda che scuote colla mano de- slra quell’istrumento bacchico , cui diedesi nome di crepitacolo , ed innalza colla sinistra una face. Yiene dopo altra baccante , la quale vestita , egualmente cbe 1’ altra , sla in alto di trar suono da quei pialti cavi (1) Georg. 1. 57. (2) Y. Gori, Inscript. in Elr. urb. t. Ill tav. 27 - Zoega t. I tav. 8 , e t. II p. 1 52 . ( 3 ) Plin. 1 . VIII 2. (4) Sono nel medagliere del re di Francia. V. Harduino Not. ad Plin. ivi. ( 5 ) L. IV pag. 211. (6) Dionys. L. XXVI 332 . (7) Liv. 1 . XXXIX 8 eio, e in molti autori , e in moltissimi inonumenti. ( 58o ) delti dagli antichi cymbaia , che molto si usavano nelle poinpe dionisiache. Queste figure sono elegantis- sirae , ed appaiono fatte con assai facilita e m >estria: veggendovisi le impronte del dito che le modello , e scoprendovisi i pochi colpi di stucco con che furono terminate. Che se per materia e per lavoro cedono agl’ intagli in pietra dura , non pero di meno stanno loro di sopra per rarita : che difficile cosa non e tro- yare aniichi cammei hen conservali , ma trovare , distaccati dalle pareti , stucchi di tanta grandezza e di tan to felice conservazione , ella e cosa difficilis- sima. Ed oh cosi non fosse perila la maggior parte di questo lavoro ! Noi yi avremmo veduto fra dan- zanli satiri il cocchio trionfale , cogli elefanti o colie pantere al timone , e con sopravi il nume. Sotto questo secondo scorapartimento rimane largo indizio di un ornalo a colori. In altra stanza fu trovato un tesoro di pietre : che tale nome io credo poter dare a centinaia di quadretti di bellissimo rosso antico corallino , mesco- lali a grandissima quantita di esagoni e di piccoli tiiangoli di pietra palombina. Erano stali ab antico dipulati .a pavimenlare un’ atnpia sala , ben pin ca- pacc della stanza non pavimentata dove giacevano : e resta dubbio sc fossero stali tolti di opera per tra- sporlarli allrove , o se in opera non fossero mai slati posli. Alla quale seconda opinione sono inchinevole, tra perche non appariva in essi segno di calce che ( 381 ) fosse stata atta a legarli al suolo , e molto piu per- che Don ye ne ha neppure uno che in minima parte sia offeso , e che perfeltamente non si combaci cogli altri. II che non sarebbe, se fossero stali dismurati : perocche sempre , cio facendo , addiviene che pin d’uno se ne rompa r o ne rimanga offeso negli orli, e massime negli angoli. Ad ognuno de’ lati de’ hianchi esagoni adatlasi un quadrato di rosso antico , e coi hianchi triangoli si rierapiono gli spazi intermedi : cosi da tutte parti continuandosi formasi quel bell’ in- trecciamento , che alcuno di yoi gia ha veduto ed ammirato , osservando pure come di paonazzetlo e di giallo si componesse la cornice che doveva racchiudere il pavimenlo. E piacemi che sappia- te , essere stata tanta la diligenza con che le sin- gole parti furono lavorate , che ciascuna pietra bene affacevasi a qualunque altra le si ponesse da canto : sicche per ricomporre il pavimento , come io in parte feci } non era uopo cercare questo o quel pezzo, ma , !presone qualunque a caso , trovavasi a ciascun altro perfettamente confarsi. La grossezza, e la grande quantita dei pezzi, rendono questo ritrovamento oltre modo prezioso. Resta solo che io yi ragioni di altra stanza. Sulla quale v’intratterro piu a lungo ; ma non tanto che abbiano , come spero , i miei detti a~ sembrarvi o intemperanti o noiosi. Essa stanza era dipinta a fi- li ouufiq nn no <'lonoo iboiq long ■48 -I ' . A ft ( 382 ) gure in campo di color paonazzo. Le figure corapo- nevansi a subbietto istorico. E fu peccato che la ca- duta della volta le riducesse in minuti pezzi! Nondi- meno un quadretto con Ire figure si e potuto sottrarre all’ infortunio delie altre parti. Voi ne ammirerete la bella e seraplice composizione , 1’ armonia e la quiete del colorito: ioa o , oil nr, o; 80 i ib olfTibjsop r.u igfiJJfiba inog;:;o Quaiis apelleis est color in tabulis : , ' yp i'cf.iuiol i?<;bnfiniiila^o ihcq olJoJ ab iao'D come diceva Properzio , i bei piegamenti delle vesti , e P espressione dei volti. E intatto , salvo le infe- riori estremita che distinguonsi dall* antico per mezzo di una piccola linea bianca. Ye lo descrivero breve- mente. Una donna giovane sta rilta in piedi fra due donne sedute. Essa e semplicemenle vestita di sottovesta ta- lare , a cui e soprapposta altra veste corta alia greca: ambedue senza maniche , ambedue di colore verdo- gnolo. I capelli di lei appaiono inlrecciati e anno- dati sull’ occipizio. Non che la semplicita del vestire, ma la ingenua modestia del volto, dinotano una ver- gine. Ha nelle mani la conocchia : colla destra ne so- stiene 1’ inferiore estremita , non che il fuso , con so- pravi la cocca , che presso i volgari , forse a verten- do , ritiene nome di vertecchio : fra le dita inarcate della sinistra non tutto serra il pennecchio. Yedesi a" suoi piedi coperto da un panno il calato ; che in se racchiude le lane. i ( 383 ) Questa vergine ha la faccia e la persona rivolta verso I* una delle due donne sedute ; la quale ha lun- ga veste, del colore pressoche simile al colore dell’abito della fanciulla , ma cangiante alcuu poco in lacca ; con larghe maniehe , con cinlura sotto il petto , e con collare bianco increspato , che mostra essere parte della subucula. A questa veste e soprapposto il manto di color giallo , che avvolto d’ intorno ai fian- chi giu a larghe pieghe discende. I capelli di questa donna, gia inchinante a vecchiezza , sono ornati dell’ infula , ma nel resto disadorni e disciolli. Appoggia la mano sinistra tra ginocchio e ginocchio , mentre « ^ • »*» il dito indice della mano destra , steso all’ orlo del labbro inferiore , dinota 1’ atto di chi e in sul proffe- rire arcana risposta : al quale atteggiamento bene eziandio si confanno il pensante volto , gli occhi pres¬ soche chiusi , ed il corpo immobile , e quasi in ab- bandono di se. Dietro la figura giovanile siede altra donna pur giovane , di belle forme, ma non verginali, con chio- me ben disposte e coronate di alloro , con tunica di colore cilestro senza maniehe , e con manto giallo di- scendente giu dalle spalle , in parte ripiegato sulle ginocchia , in parte avvolto sul braccio sinistro. Que- sto braccio, steso lino a toccare e stringere colie dita la destra spalla della vergine , da a conoscere ai ri- guardanti come la donna seduta voglia di alcuna cosu 48 * ( 384 ) parlare e far contenla la non seduta. II quale alto e bene accompagato dalla moyenza e dalla piacevolezza del viso. Yenendo ora alia dichiarazione di questo dipinto, dico , non potersi dubitare che la donna provetla se¬ duta innanzi alia vergine non sia una sacerdotessa, una indovina , una auspicatrice, o allra tale , in alto di dover dare il dimandato responso. Che a darne prova , anzi certezza , concorrono insieme , la eta di lei , i capelli disciolti , la fronte pensosa , gli occhi pressoche chiusi , quel dito posto al labbro in atto espressivo di chi medita una risposta , e massime quell’ infula che fu ornamento proprio di chiunque fosse in ufizio sacerdotale. Dal quale ufizio non fu- rono escluse le donne , che non solo erano incanta- Irici , spiegalrici di sogni , indovine e aruspici (i), ma di ogni maniera sacerdotesse. E che qui si tralti di dover ricevere un responso o un oracolo, si fa eziandio manifesto dal ramieello di alloro , che e sulla fronte dell’ altra donna seduta; la quale , come ciascheduno puo ben comprendere , aspetta ivi risposta alia dimanda da se fatta intorno la sorte di quella vergine. Che dell’alloro sagro al fatidico Apollo coronavasi chiunque oraculum acliisset. (i) Plauto , Mil. Ill, x. 99 . ( 585 ) Su che vedasi Livio (i) , lo scoliaste di Euripide ( 2 ), e gli altri che cita ii Lipsio (3). E quale era 1* oracolo che chiedevasi su quella yergine ? Quale e la cosa a che , piu che ad altro , pensino le madri o le congiunte ? o alia quale esse vergini abbiano piu la mente ? Yoi risponderete , le nozze. E intorno alle nozze dovetle essere appunto 1* 0 - racolo che si chiedeva. Di che danno evidente argo- mento quella conocchia, quel fuso, quel calato coperto, ove conservavansi le lane e gli altri utensili da lavo- ro : le quali cose tutte erano indicatrici di rito nu- ziale. Imperocche gli antici ( come dice Plinio (4) ) avevano dato alle lane un’ autorita religiosa , raassi- me nelle nozze. Percio la sposa portava seco la co¬ nocchia ed il fuso (5) : percio i fanciulli l’accompa- gnavano portando un calato coperto con entrovi le lane : percio la sposa sedevasi in pelle lanata : per¬ cio , giunta al limitare del marito , ornava gli stipiti della porta con yitte di lana. Con che volevasi signi- ficare ch’ ella avrebbe esercitata V arte del lanificio : e cio presso i buoni antichi tanto era , quanto indi- j (r) L. XXXIII 2. (2) Hyppol. ( 3 ) Epist. quaest. IV 21. ( 4 ) L. II 2. ( 5 ) Plutarco £V z ( ol?) Plin. L. VIII 48. ( 386 ) care che sarebbe stata buona madre di famiglia : elo- gio cbe spesso trovasi nelle antiohe iscrizioni , che hanno queste parole : domurn servavit, lanam feed: o altre somiglievoli. E narrano gli scrittori delie antiche memorie, es- sersi questo uso derivato ne J romani da quella onesta e proba matrona, che fu Tanaquilla moglie di Tarqui- nio Prisco , la quale , poi cbe di Tarquinia fu ve- liula in Roma, cliiamossi Caia Cecilia : grande filatrice di lane , la cui conocchia colla lana e col fuso fa lungamente couservata in Roma nel tempio del dio Sango. Lanam ( cosi Plinio ) (i) cum colo et fuso Ta- naquilis , quae eadem C. Caecilia vocata est, in tem¬ pio Sangi durasse, prodente se , auctor est M. Far - ro . . . hide factum est , ut nubentes virgines comi- tarelur colus compta cum fuso et stamine. E lo stesso fu narrato da Plutarco ( 2 ) : se non cbe erroneamente disse , essere lei stata non moglie, ma si figliuola di Tarquinio Prisco. E s’ebbe origine da C. Cecilia non solo queli’uso della lana e della conocchia negli sponsali , ma ezian- dio I' altro di appellare (lo sposo col nome di Caio , e la sposa col nome di Caia , quasi a segno di buon augurio. Riferiro su cio le parole di Sesto Pompeo , (1) L. VIII, 48. (2) L. c. ( 3S 7 ) che lascio scritlo cosi : Caia Caecilia erat oppel/ala cum Romam venit, quae antea Tanaquil vocitata erat , uxor Tarquinii Prisci romanorum regis : quae tantae probitatis fuit, ut id nomen, ominis boni causa, fre- quentent nubentes ; quam sumrnam adseverant lanifi- cam fuisse. E piu chiaramenle il compendia tore dello smarrito libro X di Valerio Massimo : Fertur Caiam Caeciliam, Tarquinii Prisci regis uxorem, opti¬ mum lanificam fuisse ; el ideo institutum fuit, ut novae nuptae ante ianuam mariti interrogatae quae - nam vocaretur, Caiam esse se dicerent. Anzi , co¬ me attesta Plutarco ( 1 ) , la imova sposa soleva ad alta voce chiamare Cai Caecili , mentre che il marito chuv mava Caia Caecilia. Parimenle indizio di nozze da il calato o cumero poslo appie della vergine, quod opertum in nuptiis fe- rebant ( 2 ) : e il portarlo cosi coperto si apparteneva ai camilli (3). Ne disconvengono a indicazione di sponsali le tavolette che sono nella destra mano della donna coronata di alloro : essendo che nello stabilire un malrimonio si usasse la frase : Sponsam pacisci ta- bellis (4): e quelle tabelle si chiamassero tabellae sponsaliorum (5). (1) In pi'olilem. (2) S. Pomp, ex Varr. De lingua latina L. Ill. ( 3 ) Varro, De lingua latina lib. II. ( 4 ) Juven. Sat. VI. ( 5 ) Tertull. in lib. De virg. velaml. ( 388 ) Ma se tutte queste cose si riferivauo a sponsali- zie, mol to piu , massime ne’tempi assai rimoti, vi si riferiva ll dimandare oracolo e il ricevere augurii. JSihil , cosi Cicerone (i), nihil fere quondam maioris rei, nisi auspicato, nec privatim quidem , gereba - tur : quod etiam nunc auspices nuptiarum declarant, qui, re omissa , nomen tantum tenent. Ne diversa- mente Valerio Massimo ( 2 ). Laonde Servio al verso di Virgilio : Cui pater intactam dederat, primisque iugarat Ominibus. cliiosa cosi : Idest auguriis: et secundum romanos loquutus est, qui nihil nisi captatis faciebant augu¬ riis , praecipue nuptias . II quale uso degli augurii cbbe pur esso origine da Tanaquilla 0 Caia Cecilia , la quale : perita ut vulgo etrusci, caelestium prodi- giorum mulier ( sono parole di Tito Livio ) (3), aveva fatto augurio di regno al marito suo ; e per- cio il pronunziare il nome di lei nelle nozze fa- cevasi , come ho delto , orninis boni causa. Riconosceremo adunque nella vecchia infulala una auspicatrice , che , richiestane dalla donna gio- (1) Divinal. L. II. (2) L. II. 1 . 1. ( 3 ) L. 34 . ( 38g ) vane sedente e coronata , deve dare responso intomo alia sorte , che in maritandosi dovra toccare alia vergine che sta in piedi. Ma chi sara quella vergine che mostrando la conocchia , il fuso ed il calato coperto , cioe mo¬ strando se dover essere buona amministratrice della casa maritale, s’aspetta 1’ augurio dalla vecchiarda che pensa ? Chi sara quella donna coronata , che e lutta intenta alia giovinelta , e par che ad essa ragioni ? Osero io asserire doversi riconoscere nella nostra di- pintura , non una generica rappresentanza di rito di nozze , ma si bene un fatto speciale ? Si, o signori; e se mi darete benigno orecchio , troverete , spero, la mia opinione essere probabile , se non certa. Premetto che i Cecilii , e specialmente quei che si cognominarono Metelli , usarono in Tuscolo , benefi- carono quel municipio e furono ivi onorati. Delle quali cose fanno testimonianza Yalerio Massimo (i) , ed i monumenti stessi tusculani recentemente trovati : es- sendoche net foro di Tuscolo fosse stata innalzata una statua a Q. Cecilio Melello console , la cui base in Iravertino , alta palrni' romani quattro e larga due , compreso lo sporto delle cornici, vedesi nel portico (i) Lib. IV, 8 . ( 3g» ) del palazzo della real villa tusculana , ed ha la iscrizione : ✓ Q • C A EC I LI VS ' ; , - \ , METELLVS COS Premelto altresi , clie i Cecilii Metelli erano scru- polosi osservalori degli auspicii , forse per reverenza di quella Cecilia che fa rinomata auspicatrice , e della quale essi portavano il notne. Staro conteato al riferi- re cio che narro Valerio Massimo (j) di quel L. Me- teilo pontefice massimo , e due volte console negli anni Dill e DVII, il quale per un auspicio avuto, men- treche andava al suo Tusculauo , tornossi indietro , e fece ritorno in Roma : Cum Melellus pout. max. Tusculanam petens iret, corvi duo in os eius adver - sinn veluti inter impedientes advolaverunt, vixque exlruderunt, ut domum rediret: insequente node aedes V^estae arsit : quo incendio Metellus inter ipsos ignes raptum palladium incolume servavit. Dico dunque , che di cosa memorabile avvenufa nella famiglia dei Cecilii Metelli fa probabilmente ri- cordanza l’antica dipintura trovata in Tuscnlo , dove i Metelli ebbero abitazione : di cosa memorabile rag- (1) Al loo. cit. ( V (S 9 | ) guardante ad augurio preso per cagione di colloea- mento in matrimonio. E quale pole essere questo ce- lebre avvenimeuto ? Uditelo e giudicatene. Cecilia di Metello (del Balearico) , desiderosa di collocate in matrimonio la figliuola di una sua sorella , vergine di eta nubile , voile , secondo il costume anlico gia pressocbe disusalo , ayere ricorso agli augurii. II per- che , uscendo a notte di casa colla fanciuila , ando ad un piccolo tempio , e cliiese ivi l’oracolo. Ella se- deva , ma la fanciuila era in piedi : ne per correre di tempo udivasi il dimandato responso. Finalmente ruppe il silenzio la vergine : cbe , stanca del suo lungo stare , cliiese di grazia alia zia cbe le pia- cesse di concederle , cbe nel seggio di lei alcun poco si riposasse. E quella rispondere : Si , mia fanciuila , ecco io ti cedo ben volontieri il mio luogo. Colle quali parole e col quale atto ella diede a se slessa 1’ augurio cbe addimandava. Imperocche indi a poco Cecilia si mori : e la vergine , maritandosi a Metello, prese nella casa il luogo di lei. Vi piacera di udire da Cicerone il racconto di questo fatto ( 1 ) : L. Flac- cum Jlaminem martialem ego audivi quum diceret, Caeciliam Metelli , quum vellet sororis suae filiam in tnalrimonium collocare , exisse in quoddam sa - cellum , ominis capiendi causa : quod fieri more ve- i (2) De cli\in. lib. 4 t>- 4 9 * ( 392 ) terum solebat. Quum virgo staret, el Caecilia in sella sederet , neque diu ulla vox exstilisset , puellam defaligatam peliisse a biatertera, ut sibi concederet paullisper , ut in eius sella requiesceret ; ill am autem dixisse : Vero, mea puella , tibi con- cedo meas sedes. Quod omen res consequuta esL Ipsa enim brevi mortua est: virgo autem nupsit cui Caecilia nupta fuerat. Fu eziandio il fatto medesimo narrato da Valerio Massimo con queste parole ( 1 ) : Caecilia Metelli, dum sororis fdiae , adultae aetalis virginis , move prisco, node concubia nuplialia petit, omen ipsa fecit. Nam cum in sacello quodam, eius rei gratia, aliquandiu persedisset , nec aiiqua vox proposito congruens esset audita , fessa longa stadi mora puel- . la rogavit materteram , ut sibi paullisper locum re- sidendi accomodaret: cui ilia : Ego vero inquit li¬ lt enter tibi mea sede cedo. Quod dictum , ab indul- gentia profedum , ad certi ominis processit eventum: quoniam Metellus non multo post, mortua Caecilia , virginem , do qua loquor , in matrimonium duxit. Che lie dite , o colleghi ? Nella donna cinla deli’ infula non vi sembra , quanto meglio per pittura po- tevasi, rapprescntalo 1’ oracolo che differisce il dare risposta ? Non vi pare bene espressa nel volto dell’al¬ ii) L. V, 2. ( 3g3 ) ira donna la benignita e la indulgenza ? Non direste ctC ella parli alia fanciulla ? Non troverete nelTatteggia- mento del braccio , che a se la ehiama, e quasi a se la rivolge , ben significate le parole : Vieni , o miafan¬ ciulla ; siedi ; davvero ben volentieri io ti concedo il mio luogo ? E , se 1’ occbio e l’amore del subbietto non m’ ingannano , a me pare che in tutta la persona della vergine scorgasi un non so che di lassezza. Conckiudo adunque essere , se non certa , al- raeno probabil cosa , che i discendenti dagli antichi Cecilii , gli eredi delle terre e della abitazione che quegli ebbcro in Tuscolo , facessero fra le altre rappre- sentanze di fatti di famiglia , che il tempo ha distrut- te , pennelleggiare nelle pareti della loro casa ancor questa , che rammentava un avvenimento domeslico , divulgato , celebre , e riferito da quel rnassimo ora- tore e filosofo che negli ozi tusculani vacava a dot- te meditazioni. E appunto in quegli ozi egli scrisse i libri De divinatione , ove il fatto di Cecilia di Me- tello e narrato , siccome sappiamo da lui medesimo ; che attesto essersi di quelle cose disputato: Quum essem cum Q. fralre in Tusculano (i). AH’ ultimo voglionsi notare due cose. L’ una e , che la gente Cecilia duro in fiore fino ai tempi di Traiano e di Adriano : imperocche furono di un ramo (i) L. I, 5 . ( 394 ) di quelle famiglie pur essi i Pliuii. La seconda e , che intorno a que’ tempi dovette essere costrutto o rinnovalo 1’ edifizio non ha guari diseoperto , dandone prova Jion solo i cementi , e lo stile degli stucchi e delie pilturc , ma eziandio i mattoni , marcliiati del consolato di Glabrione e Torquato , clie rimonla all’ anno di Roma DCCCLXXVII , centesimo ventiquattre- simo dell’ era nostra. Nella futura slate si tornera a cavare presso quel luogo , non senza speranza di nuovi rilrovamenti , i quali daranno materia , o collegia , meglio die io non ho fatto, alle vostre erudite dichiarazioni. SUILE DISSERTAZIONE n DEL SOCIO ORDINARIO E CENSORE CAW. liVIOI CAM1MA LETTA NELL’ ADUNA.NZA TENUTA * 83 3 */ 3t. OTt COllO • "x :>i wo i s a t a at % g 1 a 3,iDEVOID 3 OIHAiauAO OJD'Jf? J-KI AKIKLAO I3IU.I .7AD rr; ..,T askakuua JJ3A atthj ^2 3 t. o»3«jfC '/■ r j(> i r - *4g$r"- ^ - r ( 3 97 ) L argomcnto che mi accingo ad illuslrare in questo ragionamento , benche sia stato discusso da valentissimi uomini, tanto spiegando le cose esposte dagli anticbi scrittori , quanto ricercando tra 1* oscu- rita dei tempi le vicende delle piu veluste eta , pure non e a mia cognizione che si sia interamente dimo- strato. Imperocche si disse , suir autorita in parti- colare di Dionisio , essersi spedite trenta colonie da Alba Longa , ed ancbe alcune di esse si affermarono con quanto venne indicato da Virgilio e dall’ autore dell’ origine della gente romani; ma poi tutle non si definirono. Anzi vi furono alcuni che considera- rono quale favolosa notizia 1* indicazione del preciso numero delle enunciate trenta colonie, alludendola a cio che narrasi intorno ai prodigio della porca esposta al sacrifizio di Lavinia ed al parto dei suoi trenta figli. Non istaro a dirvi quanto sieno a tenersi in poco concetto gli scrilti che sono rivolti a distruggere ogni idea di verita suite cose narrate dagli antichi ri- spetto alle eta remote , ed in particolare su quanto si riferisce agli avrenimenti che sono scopa del mio 5o ( 3 9 8 ) discorso ; perche si distruggono esse invece da loro stesse e cadono ben presto in dhnenticanza ; mentre vere o false che sieno quelle esposte dagli antichi scrit- tori , trionfano ognora e servono di fondamento ad ogni qualunque ragionamento. Cosi pin si progredisce nelle scoperte delle antickita , e pin pure vengono a coafermarsi le cose narrate dagli anticlii. A raag- giormente convalidare una tale dimostrazione sono di- relte le tante erudite opere che si pubblicano di con- tinuo sulle stesse scoperte. E vero pero che nonostanle questa tendenza a rischiarare le antickita con validi documenti , vi sono ancora alcuni che con istudiati ragiouanienti , e riproducendo opinioni gia andale in obblio, cercano di togliere ogni fiducia agli scrittori antichi piu rinoraati, e rispetto alle cose roraane ten- tano di far credere essere tutto favoloso cio che da essi si scrisse sulle epoche anteriori alia prima guerra punica : come in particolare fece uno scrittore mo- derno straniero di gran norae , il quale acquisto ri- noraanza di primo scrittore della storia romana, men¬ tre invece dire si deve distrutlore della storia stessa. Ma e pure vero che la loro rinomanza si circonscrive presso quelle persone che cercano d’ istruirsi soltanto superficialmente delle antickita , e cosi hen presto si disperde. D’ altronde i tempi > a cni si riferiscono le enunciate vicende* non corrispondono ad un’eta tanto remota , respettivamente a quelle dell’ incivilimento degli altri popoli t da tenersi in tanta incertezza ; e ( 399 ) quantunque non si abbiano notizie scritte dei tempi contemporanei , rimangono pero diverse tracce delle citta ebe prosperarono nella delta epoca , e pur anche della stessa Alba Longa , le quali corrispondono alle cose scritle. Sussistono poi in Roma insigni monu- menti dell’ epoca reale, in cui accadde la distruzione di tale cilia madre : i quali servono a confermare le indicate vicende, e suppliscono agli scrilti dei tempi contemporanei. Reputai necessario di anteporre una tale dichiarazione per indicare doversi 1’ enunciato argomento considerare essere relativo ad avvenimenti storici , e non ad invenzioni favolose ; giacche per illustrare queste, non avrei considerato degno il ragio- nare in codeslo consesso. Anche un’ altra dichiarazione mi e necessaria di premettere alio sviluppo dell’ enunciato argomento ; ed e che la istituzione delle colonie mandate da Alba Longa nelle regioni circonvicine , non fu basala sugli stessi motivi di quella che tennero di poi i romani neir inviare altre colonie , tanto nelle stesse regioni, quanto in altre da loro conquistate ; imperoeche vario era lo scopo, e varia pure era la grandezza di siffatte mandate di uomini. Gli albani spedirono coloai nelle cir¬ convicine citta apparenlemente per solo oggetto di me- glio collegare la unione latina; e pcrcib sifFatti stabi- limenli non si efFelluarono ne col mezzo di conquista, ne per via di alcuna violenza , giacche nulla dalle carrazioni esposte su di cio venne riferito : ma sol- bo * ( 4oo ) tanlo con conume consentimenlo. Aveva Alba Longa, per la sua propizia collocazione , e pel concorso di quei popoli che dopo lo stabilimento della lega latina abbandonarono le regioni insalubri situate lungo il mare vicino a Laurento ed a Lavinia, acquistata una potenza superiore a quella delle altre cilia circonvi- cine , ed ancbe una popolazione forse maggiore di quella che poteva il paese stesso sopportare.; si man- darono cosi progressivamente gli esuberanti abilanti a convivere co’ vicini popoli, che non ancora erano giunti a tanta prosperity. Inoltre osservando quanto si conosce essersi effettuato nello stabilire 1’ ultima co- Ionia sul Palanteo , si viene a stabilire essere stalo il numero dei coloni non molto grande ; poiche i condot- tieri Rornolo e Remo soltanto con pochi uomiai si di- cono partiti da Alba Longa dopo di aver dato il regno a Numitore, e la popolazione della nuova citta si accrebbe di poi co’ ben cogniti mezzi. Mentre la istituzione delle colonie romane fu stabilita per con- validare il dominio delle regioni conquistate colie ar- mi ; poiche si effettnarono esse dopo di aver vinta alcuna citta col togliere o interamente o in parte la sua popolazione e trasportarla ad abitare Roma , ed in- vece mandarvi abitanti da questa citta in qualila di coloni ad occupare il paese conquislato, come venne in- dicalo dagli scrittori antichi, ed in particolare da Dioni- sio e da Livio , e chiaramente dimostrato dall'autore della dissertazione che ultimamente fu premiata da que- ( Aoi ) sla nostra accademia. Cosi le colonie albane si mau- darono per convalidare la fratellanza Jatina, e le ro- mane il dominio ; le une furono frulto di pace, e le altre di guerra. Erano denominate le prime colonie dei prischi latiui per distingnerle da quelle stabilite nei tempi posteriori, come in particolare venne indicato da Festo(i), ed una tale distinzione dimostra la differenza cbe si faceva tra le due specie di colonie, anche pres- so gli antichi. Da quanto in succinto si e indicato sullo stabilimento delle colonie albane puo stabilirsi che con esse non si vennero a fondare nuove cilia, ma bensi ad accrescere gli abilanti nei luoglii che gia nei tempi piu antichi si erano presi ad abitare o decisamente ri- dotti in forma di citta con recinti di mura , o sem- plicemente composli a guisa di borgate. E cio e im- portante ad osservarsi, perche dirersi di quei luoglii , in cui si spedirono da Alba Longa colonie , si cono- scono per memorie non dubbie essere stati anterior- mente abitati e gia muniti con valide cinte di mura. Nello stabilire il novero delle enunciate trenta colonie albane, non islaro a dimostrarvi la precisa si- (i) Priscae latinae coloniae appellatae sunt, ut distingue- rent a novis, quae postea a populo dabantur ( Festo in pri¬ scae latinae coloniae.) Paolo cornmentando la spiegazione data dallo stesso Festo sui prischi lalini, osservava pure: Prisci latini proprie appellati sunt hii qui prius quam conderetur Roma fuerunt. I ( 402 ) tnazione degli stabilimenti medesimi ; perche cio por- tenebbe di tenervi lungo ragionamento : ma per ora mi limitero a darvene semplici iudicazioni. Ia uaa mia grande opera sulla storia e topografiia della campagna romana verranno le cose tutte ampiamente esposte. II numero delle enunciate treuta colonie vedesi indicato da Dionlsio nel descrivere la distruzione di Alba Longa fatta dai romani solto Tullio Ostilio , ore osserrara essersi operata dall’ ultima delle sue co¬ lonie , quale era Roma ( 1 ) : e lo stesso confermava nelle sue successive descrizioni del medesimo avve- nimento , dicendo essere state trenta le cilta figliali di Alba Longa ( 2 ). Questo documento , cbe lo storico ( 1 2 * * ) *H [xlv ov? twv ’AX/5avwv nokig , vjv fxwsv ’A aydviog 0 Avjzlov rou 5 Ayyjcov x«£ K pzovaYjg v/jg Uoid.ixov Svyarpog , sf'vj di A\J3 ocvqc , xai ryjv rjyztxcvixv rev Aocuvuv iBvovg ( Dionisio Lib. Ill. c. 34-) ( 4o3 ) greco trasse palesemenle da memorie conservate presso i romani , come venue da lui dichiarato essere state tratte tulte le altre notizie suite antichita romane che ci ha tramandate, serve di base al mio ra- gionamento : ed a confermarne la autenticita sono dirette Ie seguenti ricerche. L’altro documento, su cui e basata la dimostrazione dello stesso argomento , si e quella di dovere stabilire essersi tutte le colonie albane mandate in paesi compresi nell’antico Lazio, entro i quali limiti si contenevano i popoli eomponenti la lega latina; e siccome la regione distinta con tale denomi- nazione ebbe diverse determinazioni, come lo compro- vano le notizie cbe si banno dagli antichi scrittori; cosi tulte quelle cilta, in cui si dieono essere state spe- dite colonie da Alba Longa , si devono considerare comprese nei limiti del Lazio , quale trovavasi nell’ epoca antiromana ; mentre in altre epoche posteriori poterono essere state alcune di esse occupate dagli altri circonvicini popoli. Premesse queste nozioni fon- damentali , nell’ annoverarvi le dette colonie seguiro 1’ ordine cronologico con cui vennero piu palesemente stabilite. Primieraraente si conosce in particolarc da Solino, che quell’ Ascanio il quale aveva fondata Alba Longa trenla anni dopo la edificazione di Lavinia , prese a * ( 4o4 ) slabilire pure Fidene ed Anzio (i). La colonizzazione albana di Fidene venae pare attestata da Dionisio nel descrivere le prime conquiste fatte da Romolo : nella quale circostanza disse essere stata una tale citta colonia degli albani , e fondala nel tempo stesso di Nomeiito e di Crustumenio dai Ire fralelli che furono condottieri di colonie mandate nei medesimi luoghi, e Fidene ebbe per fondatore il primogenito ( 2 ). Sicco- me poi per le nolizie che nel seguito esporro , si conosce che in Crustumenio venne spedita una colo¬ nia solto il regno di Latino Silvio , cosi si annove- rera colle altre della stessa epoca. Pertanlo convieue osservare che coll’ autorita di Dionisio alle sovraindi- cate due colonie, spedite nel tempo in cui tenne il re¬ gno Ascanio, come trovasi accennato da Solino , deve aggiungersi quella diNomento. Infatli Virgilio, indican- do in succinloalcune delle citta rislabilite dai re di Alba, annovero tra le prime Nomento e Fidene (3). Cosi tre ( 1 ) Deinde constituta ah Ascanio Longa Alba, Fidenae, Antium. ( Solino Pol. c. 2 . ) ( 2 ) Hv Si ’AX/3«vwv unov.xicig xctzu tsv ctvzcvor/.toSfi'jz Nw- [uvx'2 x s v/A Kpovarofxspioc ypovsv } xprZv aSiXywv xr,g unoiAag jjy/jo-a/xivvjv , mv b npz'jfivza.xcg tvjv Ixr asvj, ( Dionisio. Lib. IL c. 53.) (3) Qui iuvenes quantas ostentant , adspice , vires! At qui umbrata gerunt civili tempora quercu, Hi tibi Momentum, et Gabios , urbemque Fidenam ; Hi Collatinas imponent rnontibus arces. ( Virgilio Aeneid. lib. VI v. 77c. / ( 4o5 ) si vengono a conoscere essere slate le colonie spedite da Alba Longa nei trentotto anni cbe resse il regno Ascanio ; cioe in Fidene , Anzio e Nomento. PRIMA COLONIA. Considerando pertanto Fidene pel primo stabi- limento degli albani, e d’ uopo riflettere cbe veden- dosi da Livio narrato nella descrizione della guerra fatla da Roraolo ai fidenati , cbe essi furono uniti con vincoli di sangue cogli etrusci (i), non si devono credere essere stati corapresi tra i popoli dell’ Etruria; iinperoccbe trovandosi la loro citta situata nella parte sinistra del Tevere , opposta a quella tenuta dagli etruscbi, non poteva in alcun modo partecipare degli stabilimenti di una tale nazione. La indicata consan- guineita doveva evidentemente riferirsi solo ai prirai stabilimenti fissali negli stessi paesi dagli aborigeni e pelasgbi nei tempi anteriori alia lega latina. In- fatli Plutarco, narrando la guerra cbe fece Romolo prima contra i fidenati, e poscia contra i yeienti, os- serva che Fidene apparteneva ai tirreni per alcun diritto di ragione, e non percbe fosse quella citta di (l) Belli fidenatis contagione irritati veientium aaimi et consanguinitate : nain fidenates quoque etrusci fuerunt, (Livio Lib. I c. i5.) ( 4o6 ) origine tirrena. (i) Laonde puo conchiudersi, che se quel luogo era abitato da tempi anteriori a quelli ora considerati, ed in particolare da quei popoli che abi- tarono in comune le regioni presso Yeio , dovette pero acquistare una maggiore popolazione , ed avere un fabbricato munito di valide mura, allorche da Alba Longa , regnando Ascanio , fu spedita la enunciata colonia sotto la condotta del maggiore dei suddetti tre fratelli condottieri.. SECOND A COLONIA.. Bopo di Fidene da Solino venne annoverata Anzio, come citta stabilita da Ascanio. Se Fidene fu creduta di origine etrusca , Anzio poi si disse comuneraente citta dei volsci : ma tanto seguendo 1* autorita di So¬ lino r quanto alcune allre circostanze che faro osser- vare nel seguito parlando di Pomezia e di Satrico , si viene a conoscere non avere, nei tempi ora conside¬ rati , la regione in cui fu situata la citta di Anzio , appartenuto ai volsci. Infatti da un autorevole passo di Catone,. riferito da Prisciano , venne altestato che gran parte della regione piana abitala poscia dai (i) npcoroc Si Tuppyvw- OhjyfiGi ycopocv , x£XT/;[asvoi nsWyv, xxi fxeyaX-qv nshv cixovvrsg ', doyjv tTioiriawjzo nolt[iov , tfmtniv y cog npoedxovcrocv coir dig, ( Plutarco in Romoloi c. a 5. ( 4o 7 ) volsci, era stata avanti tenuta dagli aborigeui(i) ; c da questi dovette passare ai prischi lalini prima di essere oceupata dai volsci. Serve quindi di principale documenlo per dimostrare^ essersi esteso il dominio degli slessi prischi latini sino oltre il luogo occupato da Anzio , quanlo venne indicato da Plinio rispetlo alia estensione dell’ antico Lazio ; perche disse chia- ramenle, che si protraeva dal Tevere al Circeo per quaranlamila passi , e solo dopo il Circeo avere co- minciato il territorio dei volsci ( 2 ). Nel mezzo circa dei prescritti limiti si conosce avere esistito 1 ? antica Anzio su di un luogo elevato dal mare, ove conservasi il nome, ed anclie sussistono alcune reliquiedell’ antico fabbricato. Non si oppone ad una tale circostanza quanto venne esposto da Dionisio, aunoverando alcune opi- nioni di Zenagora sulle tradizioni risguardanti i fon- datori di Roma ; perche si viene a conoscere, esservi stata una slessa origine tra gli abitanti del Circeo e di Ardea : i quali popoli furono sempre collegati coi (1) Cato de arnhitu .... Idem in primo Originum. Agrum quem Vulsci hftbuerunt, campestris aboriginum fait. ( Prisciano Lib. V. c. 12. ) (2) Latiura antiquum a Tiberi Circeios servatura est rnille passuum quadraginta longitudine. Et ultra Circeios Vol¬ sci. . . . Dein quondam Aphrodisium , Antium colonia, Astu- ra flumen et insuja. ( Plinio. Hist. Nat. Lib. III. c. 9 . ) 5i * ( 4o8 ) latini. Cosi si pub coa qualehe evidenza stabilire essere stata la citta di Anzio compresa nel territorio dei rolsci solo nei tempi posteriori a quelli ora considerati. TERZA COLONIA. La terza citta, che si dedusse dai surriferili docu- xnenti essersi colonizzata nel tempo del regao di Ascanio, e Nomento ; ed oltre agli stessi surriferili documenti / trovasi confermato il medesimo stabilimentd degli al- bani da Servio, spiegando i sovraindicati versi di Vir- gilio ; poiehe disse chiaramente, essere stato Nomento Gabi citta dei priscbi latini che furono slabilite da- gli albani ( 1 ). Yedendosi nel citato passo di Dionisio nominata questa stessa citta prima di Cruslumenio , e venendo indicato arere Fidene avuto per fondatore il primogenito dei tre fratelli anzidetli, si yiene a de- durre da cio che il secondogenito condusse la colonia in questa citta*. Una tale mandata dovelte accadere solo o negli ultimi anni del regno di Ascanio , o piii facil- mente sotto quel Silvio che tenne il regno dopo di lui; poiche Cruslumenio , che dovette essere stata ridotta a colonia albana dal terzogenito , venne annoverata tra le cotonie spedite sotto Latino Silvio. (i) ili tibi Momentum , et Gabios ; hae civitates sunt priscorum iatmorum ab albanis tegibus constitutae Servia in Yirgilio Aeneid. Lib. VI v. 77 3 >.) ( 4«9 ) Net tempo che regno sngli albani Latino Silvio, dopo di Silvio e di Enea Silvio , nella quale cpoca dovette maggiorraente prosperare la citta fondata da. Ascauio , narrasi in particolare da Livio essersi sta- bilite aleune colonie denominate dei prischi latiiii (i); le quali dall’ autore dell’ origine della geute romaua si dicono essersi mandate in Preneste Tibiir $ Gabii, Tusculo, Cora, Pomezia, Locri, nome riferita palesemen- te per errore in vece di Labieo come si dimostrera in seguito, Crustumenio, Cameria, Boville,e negli altri ca- stelli citconvicini (2). Ad una tale raandala di uomini a popolare diversi luoghi del Lazio si deve attribuire, benche senza ordine cronologico esposto, quanto venne narrato da Yirgilio nel far dimostrare da Anchise ad Enea quale doveva essere la progenie di lui; nella qua¬ le indicazione dopo di avere mostrato lo stabilimento di Alba Longa e del regno ivi tenuto da Ascanio , Silvio, ? 4 " 4 - (1) Silvlus deinJe regnat, Ascanii films, casu quodam in silvis natus. Is Aenean Silvium creat, is deinde Latin um. Silvium. Ab eo coloniae aliquot deductae prisci latini appel¬ late. ( Livio I. c: 3 .) (2) Igitur regnante Latino Silvio coloriiae deductae sunt Praeneste , Tibur, Gabii, Tusculum, Cora •, Pornetia, Locri, (Labicurn) Crustumium , Cameria , Bovillae, caetera- quc oppida circumquaque* ( Sesto Atirelio Vittore. Origo gen- tis romanae. c. 17.) ( 4 1 o ) Proca , Capi , Numitore ed Enea Silvio , annovero quei che munirono di mura e di rocca Nomento , Gabi e la citta di Fidene ; e quindi Collazia situa- ta sui monti, Pomezia , il Castello Inuo , Bola e Cora: i quali luoghi nei tempi corrispondenti alia desigoata venuta di Enea, non avevano aneora i riferiti nomi (i). E su queste due indicazioni che s’ imprese sin’ ora a determinare gli cnunciati stabilimenti degli albani : ma siccome sono esse esposte in succinlo , ed anclie lasciate imperfette , cost non si poterono in alcun modo definire , nonostante Ie erudite ricercbe fatte da sommi illustratori delle anticliita romane , i cui nomi sono a voi tulti ben cogniti perche non sia neces- sario di citarli. Ma in seguito della puhblicazione degli scritti suir antica cronologia di Eusebio, tratti da un codice armeno , si ebbe altro piu importante docu- rnonto , il quale era bensi cognilo , ma non preso a considerarsi da alcuno per illnstrare cio die contiene. E questo un passo cb’ Eusebio trasse da Diodoro Si- culo nel settimo libro della sua biblioteca slorica , (i) Qui iuvenes quantas ostentant, adspice, vires At qui umbrata gerunt civili tempora quevcu. Hi tibi Notnentum, et Gabios , urbemque Fidqoam, Jli Collatinas imponent rnontibus arce.s. Ponaetios , caslrurnque Inui, Bolamque Coratnque. Haee turn nomitia erunt, nunc sunt sine nomine terrac. ( Vir* gilio Aeneid. Lib. VI. v. 777.) \ I ( 4 u) che si e perduto : nel quale vien dichiarato essere state diciotto le colonie spedite da Alba Longa sotto il regno di Latino Silvio , ed e detto essersi man¬ date a Tibur , Preneste r Gabii , Tusculo, Cora , Pomezia, Lanuvio, Labico, Scaptia , Satrico, Aricia, Teliene , Crustumenio, Cenina , Fregella , Ca meria , Medullia T Boilo , che pure si disse Bola (i). Que- sti nomi si trovano pm chiaramente determinali nel- la pregiatissima edizione che venne ultimamente pubbli- cata per cura dell’ eminentissimo cardinale Mai coi tipi vaticaui , che non lo furono nelle anteriori edi- zioni di Venezia e di Milano. Primieramente da que- sto documento si yiene a confermare quanto si e in principio di questo discorso indicato > cioe che in al- cuni dei citati luoghi esistevano citta gia abitate da tempi piu antichi ; per cui vennero soltanlo in questa circostanza , o per alcuna parte ingrandite , o ----- (i) Ex in potestatem aileptus est Latinus , cognomento item Silvius , anni L. Hie rebus gestis do mi bellique incla- ruit. Idem adiacentia oppida sustulit; turn veteres illas urbes ; quae latinorum olim dicebantur , extruxit octodecim, Tibur sci¬ licet Praeneste , Gabios, Tusculum , Coram, Pometiam , La- nuvium , Labicum , Scaptiam , Satricum , Ariciam , Tellenas, Crustumerium , Caeninam, Fregellas, Cameriam, Medulliam, et Boilum,. quam nonnulli Bolam dicunt. (Eusebio Cronic; Libi Prior, c. 4 ^-) ( 4l2 ) maggiormente assicurate con vaJidi recinti di mura , clie non avevano per 1* avanti, Siccome poi vedesi nella delta numerazione dei riferiti luoghi, essersi te* nulo un ordine a un di presso eguale a quello seguito dall’aulore della origine della gente romana ; cosi con* vieu credere che sieno state le due indicazioni tralte da un raedesimo scritto piii antico , ed evidentemente dal libro sulle origini di Catone , del quale solo ci sono stati conservati alcuni pochi frammenti. Impe- roccbe era un tale libro tenuto giustamente in grande considerazione presso gli antichi , ed in particolare dal suddetlo autore si conosce essere state tratte di* verse memorie ; onde e die si deve considerare come un documenlo importante ed anche di sicura autorita per la conferma di altri documenti. Cosi palesemente si puo determinare essere state diciotto le colo* nie spedite sotlo il regno di Latino Silvio : e, com- prese le tre gia considerate che furono dedolte sotto il regno di Ascanio, sono insieme venluna. Le altre che mancano a compiere il nuraero di trenta, si de- vono credere spedite sotto ai successivi sovrani , come nel seguito dimostrero. Pertanto , seguendo 1’ ordine tenuto nel surriferito catalogo di Diodoro esposlo da Eusebio , noverero ciascuno dei luoghi in cui sono state spedite colonie, a solo oggetto di con- fermare la verita del suddelto documento , ed anche per crnendare alcuni errori di nomi che vedonsi falti dai trascriltori ; e non gia per dimostrare la si- ( 4'3 ) tuazione dei medesimi stabilimenti : poicbe a cio effeltuare si richiederebbe maggior tempo di quello cbe viene prescritto a quesli ragionameuti accademici. r ■ • f ‘ udnlin ooq olo* r . srdiuii • (' QUARTA COLONIA. • r f: T . t >ii> ifi ono » it fjo II primo luogo designate nel surriferito catalogo, i in cui venne inviata una colonia da Alba sotto il regno di Latino Silvio , e Tibur , il qual luogo era rino- mato per altri anteriori stabilimenti; per cui deve credersi che in questa circostanza venisse accresciuta la popolazione , ed anche maggiormente assicurato con recinto di mura il fabbricato ivi stabilito , e non mai essersi fondata una nuova citta. ! j ■ J . in o { i ' 1J (.* B llflJ i QUINTA COLONIA. Dopo di Tibur si annovera Preneste : la qual cilia e pure rinomata per stabilimenti anteriori; onde eMa credere cbe, come Tibur, venisse col mezzo del¬ la colonia albana soltanto in alcune parti munita. SESTA COLONIA. Gabii , cbe e nomiuata di seguito , dovette pre- cisamente in questa circostanza essere stata cinta di mura e ridotta in forma di citta ; imperoccbe dai versi di Virgilio apparisce chiaro , essere slati bensi b2 ( 4 i 4 ) nei tempi anteriori abitanti stabiliti netluogo di Gabii, ma avere essi ancora di morale nei campi cbe si di- cevano sacri a Giunone Gabina. E ad una tale cam- pestre unione solo puo altribuirsi quanto venue in¬ dicate da Solino rispetto a Galato e Bio fratelli si- culi, che si dicevano fondatori dello stabilimento di * _i * *' • r - r . * y Gabii. (1) Laonde precisamente net tempo in cui venne spedita ivi la colonia albana , si dovette quel luogo munire di recinti, e ridursi in forma di citta. OtSi) iuo K.'(j t ■: Ivi_ j 0>LiCl SETTIMA COLONIA. La citta di Tusculo , cbe dopo di Gabii venne registrata nei surriferito catalogo , si diceva essere stata fondata da Telegono figlio di Ulisse e di Circe, come in particolare vedesi designate da Festo, ed an- cbe confermalo da diversi documenti esposli dagli anti¬ chi poeti. E siccome 1 ’ epoca in cui visse il suddetto Te¬ legono corrisponde di alcun poco avanti al tempo in cui venne spedita da Alba Longa la suddetta colonia, cosi quantunque sia stata effettivaraente una tale citta fondata dal medesimo Telegono , si viene a conoscere poi essersi poco dopo meglio stabilita col mezzo della colonia albana. (i) Gabios a Galatu et Bio siculis fratribus. (Solino. Pol. c. 2 ) ( 4i5 ) OTTAVA COLONIA. Ia Cora , clie viene di seguito noverata , piii che in qualunque allra citta si conoscono distintamente gli accrescimeuli fatti ia diverse epoche ; perche riman- goao tuttora tracce di vari reciuti edificati con ista- bile strultura. Ed uno dei raedesitni accresciraenti si dovette effettuare allorche venae ivi raandata la colo- nia da Alba , mentre il suo primitivo stabilioieuto si attribuiva ad eta anterior!. NONA COLONIA. I . v - V La citta di Pomezia , registrata dopo di Cora nello stesso catalogo , non poteva essere quella distinta co sopranome di Suessa, che appartenne ai volsci ; iraperocche non e da credere che gli albani avessero spedilo una colonia nei possedimenli degli altri po- poli. Ma doveva essere altra citta siluata in quella parte della regione paludosa , che ebbe il norae di Pcmptina dalla slessa cilia , e che si trovava coni- spondere tsa il Tevere ed il Circeo : nei quali limiti venne prescritto da Plinio il terrilorio del pih aatico Lazio. Ivi dallo stesso Plinio, sull’autorita di Muciano, dicevansi essere slate nei primitivi tempi ventitre cit- 5a * ( 4i6 ) ta(i), tra le quali doveva esser compresa quella Po- mezia colonizzata dagli albani , e non quella distinta col nome di Suessa di pertinenza dei volsci. Infatti Strabone cbiaramente distinse il luogo dei volsci po- mezii denominato Suessa , ch’ era loro metropoli , da quello chiamato semplicemente Pomezia , designando le terre dell’ antica Lazio ck* erano paludose fra Anzio e Lavinio sino a Pomezia. (2). Qui adunque e non in Suessa Pomezia si stabili la colonia albana; ed era un tale stabilimenlo compreso nel territorio del Lazio de¬ terminate nell’ eta ora considerala. DECIMA COLONIA. Su di Lanuvio , registrato di seguito , e d’uopo osservare cbe per antica tradizione credevasi quesla (1) A Circeiis palus Pompetina est, quem locum XXXIII urbium fuisse Mucianus ter consul prodidit. ( Plinio Hist. Nat.. Lib. III., c. g.) ( 2 ) Hv oz ray OvgIogycov z2v IIfiJ ( usTfsoy svnpwv nz^'io'j , ouopcv zolg A dzivoig y.di noli; 'Arnold ; vjy ydzzGy.d'-ps T dpxvv&g HoiGy.og^ Aixovoc os -f.izovz'jovzzg [j.dliGza zeig Kvptzaig. y.dl zovzuv s'y.z?vog zdg noltlg i^znop^rrjGzy . 6 tie viog ccjzoxj zyjV IovsgG xu s'cls tvjv (j-yzoonoliv troy 0 voIzyw ........ A nc/.Gd 0 igzvj zv<$di[j.o)v y.oii ndy.ipopog jiIyjv o'ltyo )v yapicov tcov YdZd zyjv Tzdpdltd'j } oGd kloifiy j ddi voGZpc). ? old zoc tsov 'Aposdz2v xui [j.zzd^v ’Avztov , xdi A uovhiov ITco/juvtc'su. ( Strabone Lib., V. cap. 3 . ( 417 ) citta fondata da Diomede, allorche venne erranfe in queste terre ; ed in conferma di una tale tradizione si osserva essere stata una tale citta principalmente sacra a Giunone, come era Argo patria di Diomede. Laonde con essa colonia eonvien credere che fosse stata in mi- glior modo stabilita e cresciuta la sua popolazione , mentre era stata fondata nei tempi anteriori. DECIMAPHIMA COLONIA. Labico , cbe succede a Lanuvio , nel catalogo tratto da Diodoro , deve considerarsi essere stalo il vero noaie che in vece di Locri vedesi registrato nella numerazione trasmessa dall’ autore della gente roma- na ; giacche nessuna citta del Lazio antico si conosce essersi distinla con tale nome ; ne puo credersi essere stato sostituito a Corioli, come altri hanno opinato, per- che era la citta distinta con questa denominazione , propria dei volsci.. La spedizione fatta della colonia albana in Labico venne confermata pure da Dionisio ; e siccome dai versi di Yirgilio poc" anzi citati si conosce che ai tempi della venuta di Enea in queste regioni vivevano i la- bici ancora sparsi nei campi ; cosi dovra credersi che precisamente in questa circostanza venisse quell’ abitato campestre cinto da mura e ridotto in forma di citta. J ( 4t8 ) DECIMASECONDA COLONIA. Nello slesso catalogo, dopo di Labico, vedesi an- noverata Scaplia : col qual nome si dimostra da Fe- slo essersi distinla uaa citta che abitavano i pedani (i). Da tale indieazioue si conosce essere stata situata vi- cino a Pedo : nel qual luogo trovandosi pure vicino a Labico , si viene cosi a ricouoscere essere stato il suddetlo calalogo in questa parte ordinato a seconda della rispelliva posizione dei luoghi; laonde vieue mag- giormenle confermata la sua autenticita. Non conoscen- do si poi uno stabilimeoto ivi anteriore, si puo inferirne essersi effelluato precisamenle nel tempo che fu ivi spe- dilala colonia albana. (2). DECIMATE RZ A COLONIA. Dopo Scaptia vedesi registrata Satrico. Fu un tale luogo comunemente considerato come stabilimento volsco : ma per 1’ enunciato documento si viene a (1) Scaptia tribus a nomine urbis Scaptiae appellata , rpiam pedani incolebant. (Festo in Scaptia tribus.) (2) In prima regione praeterea fuerc: in Latio clara oppida ; Satricura , Poraetia , Scaptia etc. ( Plinio Hist. Nat, Lib' Ill. c. 9.) ( 4'9 ) conoscere essersi fondato dagli albani in quella re- gione situata tra Anzio e Pornezia che apparteneva all’antico Lazio. Ed infatti Plinio, iadicando le diverse citta dello stesso Lazio piu antico , che crano state interamente distrutte 5 noverava tra le prime Satrico v Pomezia e Scaptia. DECIMAQUARTA COLONIA. Aricia , il cui nome succede a quello di Satri- co nello stesso catalogo , trovandosi rinomata per an- leriori stabilimenti , deve credersi che venisse per la colonia albana sollanto in miglior modo assicurata con valido recinto, ed anche cresciuta di p'opolazione. DECIMAQUINTA COLONIA. Anche Tellene , che di seguito si annovera nel citato catalogo , vantava una antichita piu remota ; imperocche venne considerata in particolare da Dio- nisio tra gli stabilimenti fissati dagli aborigeni vicino ai monti corniculi , prima della venuta dei pelasgi. Cosi colla mandata della colonia albana venne ad acquistare solo un qualche aumento di popolazione. DECIMASESTA COLONIA. Crustumenio , che succede a Tellene nel mede- simo catalogo , si trova pure compreso da Dionisio ( 420 ) tra gli stabiliraenti fondati dagli aborigeni dopo di avere scacciati i siculi. Inoltre sull’ autorita dello stesso storico gia si e osservato, cbe in Crustumenio venne condotta una colouia da Alba Longa dall’ultirao dei tre fratelli cbe erano stati capi di alirettante co- lonie. Quindi puo aggiungersi , cbe lo stesso stabili- menlo degli albani in tale cilia vedesi confermato dal medesimo Dionisio nel descrivere tanto le guerre fatte da Romolo, quanto quelle di Tarquinio Prisco (i). Cosi in tale circostanza dovelte essere maggiormente popo- lalo quel luogo, ed anche piii forteraente munito. DEGIMASETTIMA COLONIA. Di seguilo vedesi annoverata Cenina , la quale citia si considerava pure tra gli stabilimenti degli aborigeni fissati nei paesi tolli ai siculi. Ed e im- portante 1’ osservare, riguardo alle suddelle tre ul- time cilta, cbe trovandosi situate nella stessa regione yicino ai inonti cornicoli e di eguale origine , sieno (f) Come colonia albana trovasi inoltre conteslata da Dio- nisio nel descrivere le prime guerre di Romolo ( Lib. II. cap. 36 .) , e quindi quelle fatte da Tarquinio Prisco contro gli apiolani e gli stessi crustumerini. ( Lib. III. c. 49 ') ( 42 1 ) pure di seguito registrate nel citato catalogo ; cio die serve nmggiormente a confermare la sua esat- iezza ed autenticita. DEGIMAOTTAYA COLONIA. Dopo Cenina, nel catalogo di Diodoro riferito neir edizione milanese di Eusebio, si trova regislrala Fregella, e nella veneta Flegene. Si V uno e si l’altro nome sembra essere stalo trascrillo per errore : per- clie il primo potendosi solo riferire a quella citta di Fregelle die stava presso il flume Liri , ed il secondo a Fregene citta situata nella parte destra nel Tevere ove corrispondeva 1’Etruria, non si possono esse con- siderare comprese nei limiti del piu antico Lazio , il quale non si estendeva dall’ una parte al di la del Circeo, e dalF altra al di la del Tevere. D’ altrondo vedendosi nei surriferiti catalogbi un tale nome scritlo variatamente , puo credersi essere slato riferito in vece di Ficana ; poiclie Plinio, nel noverare le citta dell’ antico Lazio distrutte al suo tempo, precisamente dopo Cenina, nomina Ficana (i): la quale citta si cono- (i) In prima regione praeterea fuere in Latio clara op- pida , Satricunr, Pometia, Scaptia 4 Pitulum , Politorium, Tel- lene, Tifata, Caenina, Ficana etc. ( Plinio, Hist. Nat. Lib. Ill, e* 9.) v d3 I ( 422 ) see essere stata compresa nella lega Iatina. Cos! si puo con qualche sicurezza sostiluire nel citato catalogo al suddetlo nome quello di Ficana; e quindi credere essere stato uno stabilimento fondato decisamente dagli al- bani, perclie di esso non si hanno anteriori mecnorie. DEGIMANONA COLONIA. Cameria e il decimosesto nome che vedesi re- gistrato nel detto catalogo delle colonie dedotte da Alba Longa sotto il regno di Latino Silvio. Dionisio, neirattestare una tal spedizione di colonia in Cameria, osservava cbe ivi gia erasi stabilito un insigne domi- cilio degli aborigeni (1); per cui si viene a conoscere, che dovette solo in questa circostanza essere stato quel luogo munito piu fortemente , ed anche mag- giormente abitato. VENTESIMA COLONIA. La decimasettima citta dello stesso catalogo e Me- dulia j e come colonia degli albani venne confermata (i) Hv us 'Alfcav'Z'j anoxnaig r\ Kapupix , noWoig ypavctg- anocrcAiiaa. nporspov rrjg ‘ Pa [in? 1 0 S’ upyuiw ’Afiopylvw cj'xvjo*. h roag Trayo entfwys (Dionisio, Lib. II c. 5 o.) ( 4a3 ) da Dionisio narrando la origine di Tullo Ostilio (i). Siccome non si hanno notizie anteriori , cosl pud credersi essere stata decisamente stabilita col mezzo della delta colonia. VENTESIMA PRIMA COLONIA. L’ ultima citta registrata nello stesso catalogo e Boilo, che Bola pure dicevasi: ed e solto questo nome cbe era piu cognita presso gli anticlii. Nei versi di Virgilio poc’ anzi addolti trovasi confermato lo stabi- limento degli albani in Bola, unitamente a quei fis- sati negli 'altri luoghi gia descritti: per cui resta con¬ fermato un tale avvenimento , come si sono conferma- ti lutti gli altri eomponenti le diciotto colonie de- dotte da Alba Longa sotto il regno di Latino Silvio. Alle sovrindicate diciotto colonie, aggiungendo le tre dedotte sotto il regno di Ascanio, cbe si sono de¬ scribe in principio, insieme sommano ventuna. A com- piere il numero delle trenta ne mancano nove : ma togliendo da questo numero Roma, die fu 1 * ultima , rimangono otto; le quali debbono credersi essere state spedite sotto i sovrani cbe lennero il regno di Alba (i) Ex jrs'Xswg MsSvXXt'ag , jjy ’Alfiocvct fxbj ext wav, 'Pw- fJ.'JXcg oe xara mvSyxzg napxXajStov ’Poiftsctuv inwyTsV unoixov. ( Dionisio, Lib. Ill c. I. ) S3 * ( 424 ) Longa dopo di Latino Silvio sino a Numitore. Per ri- trovare quali erano i luoghi , in cui furono spedite le rimanenti otto colonie , si riiviene un chiaro do- cumento in cio che scrisse Yirgilio complessivamente sulle colonie stabilite dagli albani ; poiche a quelle gia comprese nel novero descrilto si vedono desi¬ gnate Collazia ed il Castro Inuo (1). Cosi con questo documento altre due mandate di colonie si possono consi- derare. VENTESIMA SECONDA COLONIA. Rispetto a Collazia osservava Servio , spiegando i versi di Yirgilio, che giustamente si doveva risguar- dare per una citta di pertinenza dei prischi latini, quan- tunque da alcuni si dicesse fondata da Tarquinio ; imperocche ben poteva essere stata stabilita dagli alba¬ ni, ed accresciula poscia da Tarquinio (2). YENTESIMA TERZA COLONIAL Rispetto al Castro Inuo e da osservarsi che Servio, spiegando i medesimi versi di Yirgilio, lo confuse col (1) Hi Collatinas. imponent montibus arces, Ponaetios , castrumque Inui, Bolamque C'oramqu& (Virgilio Aeneid. Lib. VI v. 773). (a) Haee civitates sunt primorum latino-rum » ab albanis. ireg,ibus constitutae ; quamquam Collatiam Tarquinius consd-* ( 4a5 ) Castro Nuovo die fa eretto posteriormente faori del Lazio (i) : ma per allre memorie si conosce essere stato veramente ua luogo abitato dai prischi latini vi- cino al mare, e prossimo ad Ardea; come in partico- lare si trova indicato da Silio Italico e da Ovidio (2). YENTESIMA QUARTA COLONIA. Per compiere il numero prescrilto, Dionisio ci offre un importanle documento nel dire, che gli apio- tuisse dicatur qui, ut erat superbus, earn ex collata pecunia constituit. Unde et Collatia dicta. Potest turn fieri , ut ab albanis fundata sit, aucla a Tarquinio, sicut Tarento dixR mus , quod Taras fecit , auxit Phalanlus. Romani et Romu¬ lus fecisse dicitur, quam ante Evandrus eondidit. ( Servius in. Virgilio Aeneid. Lib. VI. v. 774 ) (1) Una est in Italia civitas quae Castrum Novum dicitur : de liae autem ait Castrum Inui ; Panoa qui iliic colitur. Inus autem latine appellatur graeco ^ r^v. Item ’E yivXrrfi graece , latine incube. Idem Faunus , idem Fatuus, fatuellus , latuclus , s. fatuus fatuelus. Dicitur autem Inuus ab eundo. passim cum omnibus animalibus. Unde et incubo dicitur. Castrum autem civitas est ; nam castra numero plu- rali dicimus , licet legerimus in Plauto: Castrum poenarum, quod etiam diminutio ostendit. ( Servius in Virgilio Aeneid. Lib. VI. v. 776 ). (2) Silio Italico, Lib. VIII, v. 358 - ed Ovidio, Metam Lib. XV v. 727. ( 426 ) Iani appartenevano ad un popolo non ignobile del Lazio : ed essendo insorti contro di Roma dopo la morte di Anco Marzio , furono i primi da Tarquinio Prisco sottomessi al suo potere unitamente alia citta di Cruslu- menio , cli’ era pure colonia dei latini (1). Cosi aven- do gia dimostrato essere stata in Crustnmerio spedita ima colonia albana , si dovra in conseguenza anno- verare ira gli stessi stabilimenti pure Apiola , che colie allre gia considerate viene ad essere la vente- siraa quarta. YENTESIMA QUINTA COLONIA. 4k Nella stessa parte del Lazio marittimo, in cui si viene a conoscere essere esistita Apiola , trovavasi Politorio , ch’ era una citta , la quale dicevasi fon- data da Polite nel tempo in circa in cui si stabilisce la venuta iu Italia di Enea (2). E quantunque non vi sia nessun documento certo cbe V attest! colonia albana, pure si per la sua antichita, e si per essere sta¬ ta questa citta collocata vicino alle altre che ricevet- (l) ’A niolavoig , noXei rov Aarrvwv iBvovg cvx. c/.yzvd . , ' * / % - v.y.i rj.iry rou '5 hzpuv axpxxiuv anvjysv ini xr,v Kpouazou.ipivdv ocj~,i dnoiKiu [xiv yjv Aocu'vav. (Dionisio, Lib. Ill c. 49 -) (2) Sei-vius in Virgilii Aeneid. Lib. I y. 3. ( 4^7 ) tero colonie da Alba Longa , deve annoverarsi con molta probability tra Ie colonie albane. Livio, nel descrivere le citta dell’ antico Lazio occupate da Tarquinio Prisco, annoverava Corniculo, Ficulnea antica , Cameria , Crustumerio , Ameriola , Medullia e Nomento , le quali precisamente si dicono da tale storico avere appartenuto ai prischi latini(i). E siccome alcune di esse , come Cameria , Crustu- merio , Medullia e Nomento , effettivamente si sono dimostrate essere state colonizzate dagli albani ; cosi in egual modo le rimanenti tre , cioe Corniculo , Ficulnea , ed Ameriola devono credersi essere state con questo mezzo ridotte a partecipare della lega la- tin a. Quindi a queste tre citta aggiungendo Antemne, che pure si conosce essere un eguale stabilimento albano , si viene a comporre il numero di venti- nove , e con Roma trenta: col qual numero vennero determinate le colonie albane nei riferiti documenti. VENTESIMA SESTA (JOLONIA. Rispetto a Corniculo conviene osservare, che gia si disse essere slata questa citta abitata da quegii abo- (i) Ad singula oppida circumferendo arma , otnne no- men latinum domuit. Corniculum , Ficulea vetus, Cameria, Crustumerium, Ameriola, Medullia, Nomentum , haec de priscis latinis , aut qui ad latinos defecerant , capta oppida, ( Livio, lib. I c. 38 .} ( 428 ) rigeni cbe vennero a stabilirsi d’ intorno ai monti di- stinti collo stesso nome : onde precisamente solo colla mandala di una colonia da Alba Longa si doyelte ridurre a far parte della lega lalina. YENTESIMA SETTIMA COLONIA. Nel modo stesso si dovette rendere Ficulnea ad enlrare nella unione latina ; perclie si conosce essere slata questa cilta, egualmente che Corniculo, uno stabili- mento degli aborigeni, e quindi considerato tra quei dei priscbi Latini da Servio e da Dionisio in parlicolare (i). YENTESIMA OTTAVA COLONIA. Ameriola parimenti si conosce avere partecipato delle stesse vicende , e percio essere stata ridotta ad entrare nella lega latina col mezzo della designala colonia albana. VENTESIMA NONA COLONIA. Per gli stessi documenti, con cui si venne a stabili¬ se essere stali Corniculo, Ficulnea, ed Ameriola com- (i) Servio in Virgilio Aeneid. Lib. VII v. 63 1* e Dio¬ nisio Lib, I, c. 16. ( 429 ) prese tra le citta dei prischi latini per mezzo delle co- lonie albane, si viene ad aggiungere pure Antemne ; imperocche si conosce per yarie memorie essere stato altro simile stabilimento degli aborigini, ridotto poscia a partecipare della lega latina. oilo ilimif iJ&r»g i 9 . TRENTESIMA COLONIA. flfl *1 Art n 5 . _ * , n H ( . t 1 fl ‘ i f, . - * [ Roma poi compi il numero delle trenta colonie annoverate col mezzo del ben cognito stabilimento fis- sato sul Palanteo da Romolo e da Remo, che si parti- rono da Alba Longa con pochi compagni dopo di ayere dato il governo di quella citta a Numitore. Riassumendo le cose esposte sulle colonie albane faro conoscere , che tre di esse si sono dimostrate dedotte da Alba Longa sotto il regno di Asca- nio , le quali si mandarono in Fidene , Nomento ed Anzio. Diciotto furono dedotte sotto il regno di La¬ tino Silvio , e si mandarono in Preneste , Tibur , Gabii , Tusculo , Cora , Pomezia, Lanuvio , Labico, Scaptia , Satrico , Aricia , Tellene , Crustumerio , Cenina , Ficana , Cameria , Medulia e Bola. Otto sotto i successivi sovrani , che si spedirono in Colla- zia , Castro Inuo , Politorio, Apiola , Corniculo , Fi- culnea ed Ameriola. Ed in fine Roma, allorche Nu¬ mitore ebbe il regno di Alba. Lo stabilimento delle stesse colonie venne determi- cato su molti altri document^ che per la ristrettezza del ( 436 ) tempo non posso indicarvi .* ne per lo stesso motiro posso descrivervi altre importanli osservazioni che si deducono dagli stessi documenti. Bensi v’ indichero clie dalla determinazione precisa, in cui vennero sta- bilite le stesse trenta colonie componenti la lega la- tina , si viene a poter prescrivere i giusti limiti che aveva 1 * antico Lazio prima della fondazione di Roma, quati sono dicbiarati nell’ annessa pianta topografica. E con questa indicazione porro fine al mio ragiona- . -• r ■ n- fits* f. J..J fl.l 1-vJ • , ) ' UJ . Mill* A ll.'- ■ < o • n oq h in hbo< noo z uo-J ad Afihonoi ,t- ill Yi a jViio i. • ii) oui9‘i r ^ li clab- f ' * _ : g , r\ . 'Of:..'; or: O'; is cs: o i!* O'il oi.o , oi oaoi Of) olid : ■' G .. . f) i. i oL'? .. s lii 2 ' , M s’. , Ola - I --7- ♦ Allot'IN'LV* FEROOTA CAM PI FLAVIN1 iPT.N.V LAGO SABATINO ERETO LAGO CRVSTVMElNIO C-A.XVI. FVCINO NOMENTO - Q Aja- ) C. A. XXVI. T\VAK1A N C-A.I ameeiola 1 c.A.ixvinj ALSIO ANTEMNE CAJOX. ' ILLAZIAl c.A.xxnt T.vn FREffENE & ROM I LI 'jftABIl / GA.Vli PIANTA TQPQGKAFICA fAlatoto GIANICpLO T. XIV AIONIA sT.II. FAMPAItNA pvpiniaN T.m. [SELVi DEFINE AT A SVLLA PROPORZIONE TltOJA T.XV. T. XVII j*n3aToi^o Ar.A.XAy n ‘ i -: OSTJA" BEL VERO NELL' ANNO MDCCCXI TELL! gC’HI LATTNl afro td: LATMXTO 'qARICL Scala dts sladj ohmjna di 600 . a yrado- JO 30 30 40 Sr/il/j ch Muftui Sanumt tmhrht dl grtufo POMJi 7,IA C'.A.XE. C’ASIRO nrvo *AWVtc o ‘■inn. y»,SVESSA-POMF.: ’FjUVERNl AS WO (.A.111. A4i^*B'|.2C^ 'FXBlVACl VA 11 1S C O DI Y SUL UICO ffiMMAlT© ®A AIM Ait® VICINO AL SUO MAUSOLEO PER CELEBRARE IL NATALE DI ROMA NELL* ANNO DGCCLXXIIII DISSERTAZIOIVE DEL vsmi SOCIO ORDINARIO E CENSORE DELLA POITIFICIA ACCABEMIA ROMANA DI ARCHEOLOGIA LETTA NELL*ADUNANZA TENUTA *i£ 18 iv i83y J 92 09 If 9 ' C3J0SUAI/E ours JA OViXilV /.i 'Oil ia 3.1 at aw ji; 3/iAM3J£Dfla oidos /.K&E/.ttsi ALsaA:,:^ Aijrvrraa* axuu AfaaiiAkOBA ia /.TJKHT AXKAK'JdA 'jJ3K ATI IJ ^ £. I 4- 8 I J. A ( 433 ) 110 Li t.k’-' 1 ' fUKjU-.<*: , '■ v*i** p :? - P 44 | j . I. r — Of/I rrvf tr 1 '1 {>|a «n r r.MM ‘j !J ‘ 03 id (i’V> t w'iiji ^ •’ »* ■ < ; 1 > '*"* ;i -i 111 x l/ r .;''iV 0 ' : ’ • ; - •'■ ’■:> £ ; 0 :i C-' KDuliCI). f- > 01 * £•' iv) Ollttl li.lii 8 . J • » • ^ ■ - •- i \* II mio dire quest’oggi, o signori, ha per iscopo di dimostrare la giusta giacitura e la piu pro- babile architettura di un circo di Roma antica , che sin ora e stato poco descritto : ma piu delle mie pa¬ role giovera ad illustrare quest" argomento una relazio- ne, che credo inedita, del padre abate D. Diego Re¬ villas, dell’ordine di san Girolamo , sugli scavi da lui diretti per discoprire il medesimo circo. JPrima pero di esporre quanto in essa relazione si contiene, v’in- dichero in succinto cio che per 1’ avanti conoscevasi sovr* esso monumento ; e di poi daro compimento al discorso con alcune mie osservazioni. E primieramente necessario avvertire, che la mancanza d’indicazione di un tal circo nei catalo- ghi dei regionari non puo escludere la sua sussisten- za; perche il luogo, in cui venne edificato, si trova- va fuori dei limiti prescritti tanto alia regione IX del circo flaminio , quanto alia XIV trastiberina , le quali sole si stendevano verso tal parte di Roma. Osservasi poscia che di quest’ opera non si ha veruna precisa notizia negli scritti degli antichi pri- raa della caduta dell’ impero romano, e che solo se ne ha una indicazione nella esposizione della guerra ( 434 ) gotica, narrata da Procopio, la quale nel cadere dell’ anno 53y e sul principiare del 538 si combatte acre- mente tra Belisario e Yitige , particolarmente in quella parte del suburbano che trovasi collocato nelle adiacenze del corso superiore del Tevere , ove nel lato destro , tra il flume stesso ed il coile vaticano , avevano i goti stabilito uno dei loro alloggiamenti che distinsero col nome di campo neroniano. Ivi os- servava Procopio essere stato un antico stadio assai grande , nel quale solevano esibirsi nei piu anti- chi tempi combattiraenti singolari , e Io circondava- no molte antiche fabbriche , che per necessita si do- vettero costruire , perche il luogo era reso angusto dalle frequenti vie (i). Sebbeue dal nome di campo neroniano , dato a quel luogo , si possa dedurre es¬ sere stato lo stadio designato quello che effettivamen- te esisleva a poca distanza verso il colle vaticano portalo a compimento da Nerone , e percio distinto col nome di lui presso gli antichi ; pure conoscendo- si che al tempo della anzidetta scorreria dei goti era gia stato in parte coperto il circo neroniano dalla y> m ■-r-ry r pjjR olflfd i! 1 iiDaoicr ilimil ioh nonl JJY G Oj c Vjl 'Util (I) Zxaotcv | 'x'c fx evt avdu ex naXatov iuv , iv u dvj o\ tvjj 7 xoX.sa>g jx&vsp. .cr.yoi xu npoxepov rp/tavi^ovto , nolXu n aXX a ci nukui ■uvdpunot oqxfl xo axaticcv xovxo oiy.rip.axu ioetyxyxo , yod an otvxou axziitonoug , wg xo sr/.cg , rtdvxa^o3cxo0 %a>ptov %v[j./3aiv:i that* (Procopio y Guerra gotica lib. a, n. c. i. } i ( 435 ) basilica di s. Pietro , e non occupata dal medesirao esereito straniero, si viene a conoscere doversi pre- cisamente la suddelta indicazione riferire al circo che ho impreso a descrivere. Dalle successive narrazioni di Procopio si cono- sce inoltre, che era gia sino dal suo tempo quel luo- go situato fuor del recinto edificalo intorno la citta; poiche le mura in quella parte della regione trasti- herina dal ponte elio si stendevano soltanto con due bracci intorno al mausoleo di Adriano. Cos! quel luo- go, quantunque fosse occupato da molte fabbriche e da diverse strade , come venne esposto dallo stesso slorico , pure per la sua posizione , e per la sua re- golarita di piano , dovette essere assai atto a stabi- lirvi alloggiamenti. Le reliquie che sopravanzavano di un tale cir¬ co , sino intorno al principio del decimoquinto secolo, vennero in particolare descritte dal Fulvio, ma con poche parole ; cioe dicendo soltanto esser rimasta vicino alia mole adriana una parte della forma di un circo , costrutto con pietra nera e dura , e di molto rovinato ( 1 ) ed anche incognito. Una tale breve descrizione venne ripetula dai successivi scrittori del- (i) Uosi scrisse il Fulvio, dal quale i successori scrit- tori dedussero le esposte notizie sull’ enunciato monumento: Sunt in vaticano agro multa subterranea nunc antiquitatum > ( 436 ) la topografia antica di Roma , seuza nulla aggiun- gere di pin , ne con indicazione certa essere- state da essi vedute le stesse reliquie; per cui e da crede¬ re , che poco dopo air indicata epoca venissero inte- ramente distrutte. Infatti nella pianta di Roma pubbli- cata da Leonardo Bufalino nell’anno i55i non ve- desi delineato alcun vestigio dello stesso circo. Pero nella grande pianta prospettica , che si dice operata da Pirro Ligorio, e pubblicata nell’anno 1 56 1 , ve- desi rappresentato il circo medesimo , il quale si de- signa col nome di ippodromo di Adriano augusto , e si dimostra nella sua intera struttura: ed anzi vie- ne particolarmente indicata 1’opera relicolata, con cui si e poscia trovalo essere stato costrutto. Cosi in essa j di: ib o«r i vrxr.--;/iori8 odo oiopifoi eJ vestigia. Rxtat adhuc extra portarn Castelli inter proximal vineas hand longe a mole Hadriani, exigua cit'd forma ex Tapide nigro ac duro , iam pene diruti, paucisque noti. Ed in altro luogo il Fulvio medesimo aggiunse sullo stesso monu- mento. Fait et theatrum in pratis vaticanis, inter pontern mil- vium et molem Hadriani, planities equestribus praeliis satis apla , ubi theatrum ad liulos gladiatorios vetustis tempori- bus aedijicatum scribit Procopius. Extant hodie , lit creditin'^ in vine a D. Jo. Alberini vestigia quae dam, sed circum non theatrum eum fuisse crediderim ; ut forma adhuc apparet. Nam in theatris ludi scenici fiebant; in circis vero equorum cursus agebantur. ( Fulvio, De ant. urb. lib. IF, et de Cire * Caii et Neronis lib. 1F\ De theatro Corn. Balbi .) ( 437 ) vedesi osservata la precisa sua situazione corrispon- dente dietro l’angolo occidentale del mausoleo di Adria- do ; ond’ e che mentre molti monumenti delineati ia tale pianta appaiono non convenienti a dimostrare la loro vera architettura , si trova invece nella effi- gie di questo conservata una piu. probabile disposizio- ne. A 1 coutrario la situazione stabilita posteriormente dal Fontana nella sua pianta inserita nella descrizio- ne del Vaticano (il quale prese piu cura di cono- scere tutti i monumenti antichi compresi nella stessa regione,) si trova corrispondere precisamente net mez¬ zo del lato settentrionale del mausoleo di Adriano : mentre le rovine supersliti , e le descrizioni che si avevano di essi, designavano essere stato il circo col- locato alquanto verso occidente. Cosi la indicazione esposta dal Fontana , allontanandosi dal vero , inve¬ ce di maggiormente rischiarare cio che per 1* avanti venne designato } ci fa conoscere sempre piu che erasi perdula ogni traccia del medesimo circo. In- fatti la discoperta di alcuna parte di esso nell’ otto- bre dell’anno 1742 fu casuale , e venne prodotta dall’ essersi nei prati di Castello sprofondato il terre* no per 1’ altezza di palmi trenta , ove non appariva sopra terra vestigia alcuna di fabbrica antica, come si asserisce nell’ enunciata relazione. Tali erano le cose principali che si conoscevano fino intorno alia meta del passato secolo sul monumento che ho impreso ad illustrare, allorche accadde la sud- 55 ( 438 ) delta casuale discoperta : sicche dopo di avere esegui- ti alcuni scavi il prefato padre abate, ben cognito per alcune sue opere, ed in particolare per le illustrazioni sulla colonna denominata Milliario aureo , e sull’an- tico piede romano inserite nei saggi dell’ accademia di Cortona , dirigeva alia santita di Benedetto XIV ima erudita e circostanziata relazione dello scopri- mento anzidetto il giorno i4 ottobre deiranno 1743 dair ospizio di sant" Alessio. Ebbi una tal relazione dal benemerito sig. cay. Pietro Campana, che nell’antece- dente adunanza ascrivcste nel novero dei soci di onore di quesla nostra accademia, e che sempre prende som- ma premura per lo studio delle cose antiche, come e a tutti nolo. Conservavasi essa relazione presso i suoi antenati con altre carte di riguardo, come cosa pre- gevole. lo non so dirvi se lo scritto sia autografo; ma bensi vedo ch’ e d’ una stessa mano tanto la relazione, quanto la firma ; e che per alcune aggiunte, e per la cura con cui e distesa, semhra es- sere originate. Parimenti originale mi pare essere la pianta topografica che fu annessa alia stessa rela¬ zione , e che sottometto alle vostre cognizioni, onde ue possiale dare un giudizio. Le facolta che chiedeva il Revillas dal som- mo pontefice in allora regnante , onde continuare gli scavi neir inverno del susseguente anno 1744 , iacendogli sperare di rinvenire un obelisco e molli oggetti di scullura, senibra che non gli venissero con*? ( 43 g ) cesse ; poiche a cio effettuare conveniva acquistare la vigna in allora del sig. Pietro Mattei , sino ai con- fini della quale erano gia state protratte le ricerche, in tutto quel tratlo del circo che corrispondeva entro i prati detti di Castello : ed un tale acquisto non si conosce che si sia fatto, rimanendo tuttora quel luo- go di parlicolare proprieta. In fatti il Ficoroni , che pubhlicava la sua descrizione di Roma antica e mo- derna precisamente nelP anno 1744 ? nulla riferiva di una tale scoperta. Cosi il Nolli che contempora- neamente faceva con somma cura la sua grande pian- ta di Roma, la quale venne dcdicata alio stesso som- mo pontelice nelP anno 1748, indico in essa soltan- to le tracce del medesimo circo nella parte corrispon- dente nei prati di Castello , designando le Vestigie del circo di Adriano scoperte l'anno e regi- strando la prossima vigna precisamente col nome del sig. Mattei. Pure nella descrizione di Roma e dell* agro romano delPEschinardi, stampata nelPanno 17^0, si rinvengono soltanto alcune poche notizie sui detti primi scavi. Parimenti nella edizione della ben nota descrizione di Roma antica e moderna, che si pubbli- cava negli anni 174b, e die nelPanno 1765 ven¬ ne di mol to ampliata e data alle stampe per cura del Roisecco , si ricordano soltanto con poche parole gli scavi fatti nelPanno 1743: i quali pure vennero in- dicati nel giornale dei letterati che in allora pubblica- vasi e poscia dal Venuti nella sua accurata e suc- 53 * ( 44 o ) cinla descrizione topografica delle antichita di Roma pubblicata per la prima volta nell’anno 1763. Per es- sere stati cosl sospesi gli scayi, e per non essere sta- ta pubblicata alcuna ragguardevole descrizione delle stesse scoperle, si rende sommamente interessante la conoscenza dell’ anzidetta relazione e della annessa pianta. A confermare poi essere riraasta inedita co- tal relazione , bastera osservare , che nessuno scrit- tore di quell’ epoca ne lia parlato , e che il Pirane¬ si in particolare nella sua grande opera del campo marzio, pubblicata nell’anno 1762, dice di ayere trat- ta T idea del circo di Adriano da quanto venne indi- cato nella pianta del Nolli , mentre avrebbe in assai piu ampio modo potulo cio conoscere dalla pianta fatta eseguire dal Revillas, se fosse stata conosciuta. D’al- tronde nei saggi dell’ accademia di Cortona pubblicati dall’anno 1734 al 1791, nei volumi secondo e ter- zo di tale collezione, sono inserite due dissertazioni del Revillas: ma non trovasi poi pubblicata alcuna cosa sulla suddetta scoperta. Confermata cosi la importan- za della relazione, passero a diraostrare quale fosse la intera struttura del circo , e poscia 1* epoca della sua edificazione ed il preciso uso a cui venne deputato. La parte discoperta del circo , che corrisponde verso il mausoleo , per essersi veduta incurvare al- cun poco nelle estremita che congiungono i due lati, si credette dall’ espositore della relazione avere ap- partenuto alia parte luneata , e non a quella in cui / (ill) stavano poste le carceri. Dovendo essere questa parte disposta su di un segmento di circolo, il cui cen- tro ponevasi nel mezzo del primo giro intorno la spi¬ na , come fix conosciuto in particolare nel ben cognito circo esistente lungo la via Appia , e dimo- strato chiaramente da altri monumenti , si viene a stabilire essere stata invece ivi situata la detta parte anteriore del circo : come infatti trovasi disegnata nella citata pianta del Ligorio , e come pure fu pra- ticato nella grande pianta del eampo marzio del Pi¬ ranesi , il quale non contento di situare in quella localita un circo solo, ne ideo un altro simile nel la- to opposto del mausoleo di Adriano , con molte altre capricciosissime figure di fabbriche diverse. Confron- iando anche cio che vedesi delineato dal Nolli sulla posizione della easa in allora del cav. Cristofori, con eio cbe trovasi indicato nella pianta riportata dal Re¬ villas, si viene a conoscere, che 1’ angolo occidentale dello stesso circo si avvicinava di piii all’ ingresso del¬ la prima meta , come richiedevasi nella disposizione stabilita negli altri circlii. D’ altronde ben si conosce elie era costante uso degli antichi di situare i loro eirchi colla parte incurvata verso la maggiore elevazio- ne del terreno, come in particolare trovasi essere 5 lato praticato nel circo che stava edificato sotto al vicino colie vaticano , il quale pure da alcuni poco conoscitori di siffatte pratiche degli antichi fu creduto essere slato situato all’ opposto. Ma oltre le cose ( 442 ) giustamente osservate dal Fontana, Io conferma pure cio che vedesi rappresentato in un medaglia inedita di Nerone , die favor! di farrai conoscere lo stesso cav. Carapana : nella quale vedesi effigiata la parte esterna del circo neroniano con alcuni gradi dispo- sti avanti Y ingresso alle carceri , i quali dimostrano essere state quelle poste verso la parte alia quale si saliva dal basso. II medesirno interessante tipo mi dara motive di dimostrare in piu ampio modo tutta la disposizione del medesirno circo vaticano. Per conoscere sino a quale lunghezza stendeva- si il circo verso la parte settentrionale del mausoleo di Adriano, non vi e altro mezzo che dedurre la sua proporzione da quanto si ritrae da altri simili monu- menti ; poiche le scoperte non si estesero poco oltre al luogo, in cui cominciava la spina situata nel mez¬ zo del circo. E siccome si conobbe con qualche pre- cisione la sua Iargbezza , cos! moltiplicando questa per quattro o cinque volte r si viene a determinare una lunghezza quasi eguale a quella del circo dene- minato volgarmente di Caracalla. Le sostruzioni, che reggevano i gradi degli spet- tatori intorno al circo , si trovarono composle di un ristretto ambulacro , corrispondente palesemente solto al podio , e poscia di tante divisioni disposte per tra- verso , come veggonsi nelle reliquie del circo massl- mo e delP agonale in particolare: tra le quali erano praticate le scale per salire al meniano che slava so- ( 443 ) pra di esse ; ed in fine da un altro ambulacra rao cliiuso da una cinta di arclii, come solevano di fre- quente praticare gli antichi romani tanto nei pin no- bili circhi, quanto nei teatri e uegli anfiteatri, dei qua- li pero in tale monumento non si rinvenne alcuna ragguardevole traccia. Con siffatta strutlura rendevasi il circo capace di contenere un grande numero di spettatori: ed era decorato con nobilta, in modo da poterlo considerare tra i primi edifici di tal genere che si sieno fabbricati dagli antichi. Le altre parti sup- poste in supplemento a cio che avanza sulla struttura dello stesso circo , essendo piii facili a dimostrarsi con delineamenti che con parole, ve le offro indica¬ te in una pianta che sulle tracce delineate nella ta- vola annessa alia relazione del Revillas ho composta per dimostrare la intera disposizione del circo. Rispetto alio stabilire Y epoca della edificazione del medesimo circo, nessun altro documento si rinvie- ne oltre a quello che offre la raedaglia di Adriano, in cui vedesi dalCuna parte la testa laureata dello stesso imperalore coll’epigrafe IMP. CAESAR. TRA IAN. HADRIANVS. AYGVSTYS ; e dali’ altra parte una figura di donna sedente, tenendo nella mano destra una ruota , e colla sinistra abbracciando una meta composta dai soliti tre coni, e non tre obelisci come si credette piu comunemente. Quindi leggonsi nei din- iorno le seguenti leltere, alle quali si dettero varie inter- pretazioni : ANN. DCCGLXXIIII. NAT. VRB. P. CIR. ( 444 ) CON. Sull* anno del natale della citta non e dub- biezza , e solo osservasi che un tale anno doveva cor- rispondere a quello del terzo consolato di Adriano , come vedesi registrato in alcuni tipi della stessa me* daglia. Ma su di cio che si voile indicare colle in¬ dicate ultimo lettere si esibirono diverse opinioni. To- gliendosi da alcuni la lettera P, si disse soltanto cir- cum condiclii , come dall’ Angeloni : ma consideran- do la stessa lettera, si spiego per populo circenses concessit , come venne esposto dal Vaillant. Poscia da altri diversi si disse plebei circenses constituti: ed in particolare dal Bimard si spiego con pm approvazione primum circenses constituti . L’ Eckhel, esponendo tuS- te le surriferite inlerpFetazioni , aggiunse inoltre che il Foggini credette dalla lettera P doversi leggere publici . In fine il Revillas , imprendendo a conside- rare le stesse spiegazioni, opino doversi ritenere hen- si la lezione di primum per la lettera P, ma poi do¬ versi di seguito leggere circus conditus . Queste ulti- me spiegazioni furono esibite dopo di essersi cono- sciuta la esistenza del detto circo vieino alia mole di . Adriano, e furono tenute come le piu prohabili ; ma pare che non sieno in tulto conformi a quanto osservasi indicato da Ateneo rispetto ai giuochi instituiti da Adriano : sul qua! passo si basano le nuove spiega¬ zioni. Imperocche egli disse chiaramente, essersi da Adriano instituiti i giuochi romani, i quali per l’avar* ti dicevansi parili > ossia palili, e cio unitamente v ( 445 ) iempio della Fortuna (i). Nulla diro sulle celebri feste palilie , perche bene vi e noto cio cbe ne scrissero gli anticbi; ma bensi mi conviene far osservare, che non si possono questi nuoyi giuochi confondere con quelli che piu comunemente si dicevano grandi, magni , ed anche romani , e che si celebravano nel circo massimo : perche bene si conoscono essere stati que¬ sti instituili sino dai primitivi tempi di Roma, e che si celebravano con maggior pompa al compirsi di ogni secolo , mentre gli anzidetti furono instituiti soltanto sotto Adriano per celebrare annualmentc il giorno della fondazione della citta. Onde essi come giuochi precisamente propri per la celebrazione del natale di Roma si devono considerare: ed erano denominati roma¬ ni solo perche deputavansi a festeggiare la fondazione della citta medesima. Sicche a me sembra, che nella sigla P non si possa intendere ne^primieramente , o sia de’ primi giuochi circensi stabiliti da Adriano, per¬ che una tale indicazione si soleva piu comunemente de- notare dagli antichi col numero primo; oltreche non po- tevansi dir primi nel tempo in cui per la istituzionc co- niavasi la medaglia , quando non si erano ancora celebrali i secondi ; ne convenirsele la interpreta- zione di pubblici, o del popolo o della plebe, per¬ che tali qualita appartenevano anche ai primitivi. Co- (i) Ateneo nel proemio. Lib. VIII sect. 63. 56 ( 446 ) si osservando die i giuochi instituiti da Adriano fu~ rono propri r ossia particolari deli’ annuale natale di Roma, io credo che la piu conveniente interpretazio- ne a darsi alia lettera P sia di propri : indicazione solita impiegarsi nella epigrafia degli antichi in simi- li casi. Stabilita questa spiegazione, non e bisogno per provare la costruzione del circo di Adriano suppor- re , come si fece in particolare dal Revillas, cbe dal¬ le successive lettere della medaglia leggasi circus conditus: perclie denotandosi gia avere Lo stesso prin- cipe constituiti giuochi circensi propri alia celebra- zione della detta festa r ne viene di conseguenza che pure avesse dovuto costruire un circo proprio. D’ al- tronde se si avesse dovuto precisamente nel suddetto tipo designare la costruzione del drco, si sarebbe rap- presentata la intiera spina, a tutta la forma di un tal genere di fabbriche, come si fece in altrettante meda- glie a tale oggetto coniate. Dnnque nella stessa me¬ daglia , per queste osservazioni , credo che si debba. leggere ANNO DGCGLXXIIII NATALI. YRBIS. Pro- prii. CIR censes. CO T^stituti. Cio poi cbe vedesi rappresentato nella stessa me¬ daglia, lo trovo chiaramente spiegato da due medaglie di Traiano : cioe dalla figura sedente che tiene con. la mano destra una ruota , e colla sinistra una meta composta co’ soliti tre coni r dico che si debba ad un tempo dedurre essersi con essa voluto rappresentare la (gostruzione di una via , e la sovrindicata inslituzioue: ( 447 ) < 3 i giuodii. Imperocche la stessa figura sedente, con una ruota trattenuta nella mano destra , vedesi di- diiarata nella ben nota medaglia di Traiano , in cui al di sotto sta scritto VIA TRA 1 ANA, per avere di- mostrato la via costrutta dallo stesso principe. La di* chiarazione poi della meta abbracciata colla sinistra mano dalla stessa figura sedente , denotante i giuocbi circensi, scorgesi espressa nell’ altra medaglia di Tra¬ iano ben cognita coll’ intitolazione all’ otlimo princi- pe, in cui vedesi rappresentato Traiano in atto d’ or- dinare munificenze e giuocbi circensi al popolo sotto di lui raccolto con dimoslrazione di ringraziamento : e in un lato la stessa figura sedente cbe abbraccia una meta per significalo dei giuocbi concessi. Perclie possiate sovvenirvi di cio cbe si vede rappresentato nelle indicate tre medaglie, vi ho recati i disegni tratti da tre tipi cbe conservatissimi possiede il suddetto ca¬ valier Campana, e die gentilmente mi ha comunica- ti. Per tali documenti puo stabilirsi adunque, che nell’ ejioca stessa , in cui fu dedicato il circo da Adria¬ no, si aprl una via che doveva esser cornuue collo stesso circo. Infatti negli scavi operati lungo il lato occidentale del circo scoperto vicino al mausoleo di Adriano, furono rinvenuti ragguardevoli avanzi di una via antica , come viene attestato dal Venuti in par- ticolare. Una tale via doveva aver principio dal pon- te eretto di fronle al suddetto mausoleo , ed essere protralta sino ad unirsi alia flaminia e cassia vicino 56 * ( 448 ) al ponte milvio. La costruzione di una tale via viene inoltre dichiarata dalla edificazione del suddetto pon¬ te, denominate elio dal suo nome; perclie non essendo conveniente il credere clie un tale ponte fosse costrut- to solo per portarsi nella parte opposta del Tevere di fronte al suddetto sepolcro , come con poco senno fix supposto , ma bensi per servire al transito protratto in piu parti della regione transtiberina , si viene a conoscere essere stata necessaria una via ; e la co- municazione colle indicate due vie cassia e flami- nia , senza dover fare il lungo giro della trionfale y era pure dalla necessita prescritla dopo la costruzione del ponte elio. Cosi tanto per Ie scoperte , quanto per le circostanze dedotte dai monumenti esistenti r pud stabilirsi decisamente , la sovraindicata figure sedente avere , coll’ attribute della ruota, indicata lat strutlura della via profratta in continuazione del ponte elio : e con quello della meta, cosi la istituzione dei giuoclii anzidetti, come la edificazione del circo sco- perto a lato della stessa via. In seguito di questa chia- ra spiegazione non puo approvarsi la opinione di coloro che, invece di una meta ornala da tre coni r hanno creduto di riconoscervi tre obeiisclii situati sulla spina : dei quali cosi uniti non si ha notizia alcuna essersi dagli antichi eretti in una stesso cir¬ co. Ne si pud approvare Y altra opinione di aver- si voluto denotare colla ruota la corsa dei carri in- iorno alle mete, alludendo a cid quanto venne espo- ( 44g ) sto da Orazio nella sua prima ode (i) ; perche la stessa figura si e veduto essere stata dichiarata nella medaglia di Traiano come rappresentanza di yia. La edificazione del circo stesso spettare ad Adria¬ no , oltre i riferiti documenti , lo conferma ancora il genere della sua struttura , quale si e riconosciuto negli scavi descritti dal Revillas, e quale venne rap- presentato nella figura I della tavola annessa alia stessa relazione ; poiclie vedesi composta coll’ opera reticolata mista alia laterizia, precisamente nel modo stesso che trovasi praticato nelle allre fabbriche di Adriano. E siffatto metodo di struttura e precisamen¬ te proprio di tale epoca ; perche nei monumenti di altri tempi si vede bensi la stessa opera reticolata ira- piegata colla laterizia e colla quadrata , ma in assai differente modo. Ne per la mancanza di piu precise notizie degli anticbi scrittori sulla edificazione di que- sto circo , si deve escludere la sua esistenza ; per¬ che se ponete mente a quanto narro Sparziano nella vita di Adriano T cioe avere egli in quasi tulle le citta alcuna fabbrica edificata e dati giuochi ^ e che quantunque in ogni luogo fossero opere di lui in gran- (i) Sunt quos curriculo pulverem olympicum Collegisse iuvat r metaque fervidis Evitata rotis , palmaque nobil^ Terrarum dominos avchit ad deo5. = Q. Horatii » Cairn lib. I. ode I. ( 45o ) de numero , pure soltanto sul tempio eretto in onore del suo padre Traiano aveva scritto il suo nome (i), troverete motivo dell’ omissione accaduta. Dimostrata cosi tanto la edificazione del circo per la celebrazione dei giuochi propri del natale di Ro¬ ma , quanto la costruzione di una via che dal ponte elio, trascorrendo lungo il lato occidentale del circo stesso , andava a congiungersi alia flaminia e cas¬ sia , che furono tutte opere di ragguardevole gran- dezza , non mi resta altro a dim in conferma della stessa opinione, che il circo si trova essere stato fatto di tanta ampiezza, per avere un’arena per le corse, qua¬ si della stessa vastita di quella del circo massimo ; e cio eyidentemente si fece per celebrare i giuochi con cguale nobilla di quella che praticavasi nei giuo¬ chi dello stesso circo massimo. Daro compimento al mio discorso col farvi osscrvare , che 1’ argomento impreso ad illustrare si riferisce alia edificazione di un circo espressamente fatto per celebrare il natale di Roma , e che la sua discoperta si e dimostrata con una relazione scritta dal Revillas nel monastero di S. Alessio; e siccome e vicino il giorno di un tale anniversario , ed il (i) In omnibus pen* urbibus , et aliquid aedificavit , et lusus edidit. . . Quum opera ubique infinita fecisset, imm- quam ipse, nisi in Traiani patris tempio, nomen suum scripsit. { Sparziano in Adriano.) f ( 45i ) luogo destinato a festeggiarlo e lo stesso mosaslero di S. Alessio , cosi troverete V argomento discusso con- venire di molto alia prossimita dell’ indicato avveni- mento. Cio e quanto di piu iraportante nei poclii giorni avuti mi venne dato di esporvi nel compi- mento dell’ anno di Roma duemila cinquecento no* vantadue. ■ ( m ) • . -*:'oyvc r ii f Ib!» cKr^I • : i •n ' . '.U r\‘:’S7 ’ io. r t hush or. j';\» < i,. ■■ } I'jV In -!ci olr.b a r . »•> :: : m ’ ■ - * - . v * i « * « « i 9 « « v v * @ f B ¥ | | y g n n i i f ; i ru fig g i~ ::g ^ -B"g"~g i y i f fig f I § U 1 I I I g 8 1 P 8 | | l I 8 I 1 jtS PIANTA BEL CIRCO Bl ADRIAN0 ---- *i&Astoiri DELLA SGOPERTA BEL €XRCO BX AD1141G F A T T A NEI PRATI DX GASTELLO S. ANGELO PER ORDINE DELLA SANTITA’ DI PAPA CLEMENTE XIW CON ALCUNE RIFLESSIONI , E MEMORIE SPETTANTI AL MEDESIMO CTRCO ■ ' . : • ' : : • • • . j; f t . . J ( 455 ) BEATISSIMO PADRE I celebri frammenti di raarmo dell’antica piauta di Roma , trovati gia nel tempio di Romolo , ed ora dalla Santita Vostra, con universale applauso de’ letterati, fatti collocare nel Campi- doglio , suggerirono 1’ idea di scoprire un antico circo, che si sospetto doversi trovare ne’ prati di castello s, Angelo , e cli’ io credetti poter essere il circo d’ Adriano. Due accidentali avveni- menti aveano fatto nascere un tale sospetto. L’uno fu , l’essersi scoperto nella contigua vigna del fu cav. Cristofori un ampio sotterraneo corridoio , die sotto i prati suddetti per lungo tratto stendevasi; 1’ altro 1’ essersi improvvisamente ne’ prati medesimi, verso la meta del passato ottobre , aperto un buco d’ estensione bensi piccola , ma coll’ abbassamento del terreno alia profondita di quasi palmi 3o. La combinazione di queste due cose avendo eccitata la mia curiosita, mi die campo di osservare , che la direzione del predetto corridoio tendeva verso di questo buco : ed alcune altre circostanze mi fecero giudicare , che il corridoio esser dovea parte d’ un circo. E poiche la Santita Vostra erasi in quel tempo degnata ordinarini d’accudire, insieme col signor marchese Capponi, alia disposizione ed all’aHogamento de’ mento- vati frammenti; cio diede ad amendue il coraggio di proporre 5 1 * Comdoio s«op«rto; • so- $>ra di esso va- ri ordiui di sc- dili, ( 456 ) la ricerca di questo circo , come di cosa che arer potea non piccola connessione coll’ antica topografia di Roma. Mossa la Santita Vostra, non diro dalle riflessioni die su questo particolare io ebbi l’onore di esporle nel Campidoglio stesso quando vi si porto per vedervi i predetti marmi gia nel loro sito collocati j ma molto piu certamente mossa dal suO no- bilissimo genio, sempre intento a promuovere 1’ avanzamento delle scienze e dell’ erudizione , risolvette il tentativo di questa ricerca per mezzo di alcuni scavi ; e degnossi incaricarlo alia mia direzione. Ora pertanto adempio 1’ obbligo cbe mi corre di ragguagliare la Santita Vostra di cio cbe si e fatto e sco- perto : lo che avrei molto prima eseguito, se l’architetto came* rale, a cui molti mesi sono fu data la commissione di fame la pianta , occupato forse in altre cose , non avesse fino a questi giorni differito il recarmela. A questa relazione , se la Santita Yostra me lo permette , aggiungero alcune riflessioni e memorie spettanti al medesimo circo , le quali siccome poterono presso molti renderne piu plausibile la ricerca , cosi, qualora questa venga a terminarsi, potranno a me somministrare la materia per una dissertazione , in cui forse metteransi in maggior lume alcuni punti finora fra gli eruditi molto controversi. Coi primi scavi adunque , che a varie distanzo furono fatti ne’ suddetti prati , c’ incontrammo dappertutto nel mento- vato corridoio , la volta del quale si trovo in molti luoghi con* servatissima , in altri rovinata dal peso e dall’ umidita del terreno che vi poggiava sopra. Questa volta , essendo per la parte di dentro , come suol dirsi, rarapante , cioe piu bassa da un lato che dall’ altro , m’avea fatto credere fin da principio , che sopra di essa si sarebbero trovati vari ordini di sedili di- aposti a guisa di scalini per comodo degli spettatori. La conget* ( 457 ) tura non ando fallita: essendosi in tre diversi luoglii scoperti quest! sedili , i quali avendo la loro direzione, secondo quella del corridoio su cui poggiano , in alcuni luoghi retta , in altri incurvata , ci fecero piu chiaramente comprendere la forma e la figura del circo a cui avevano servito. Degnisi la Santita Vostra osservare nell’ annessa pianta la parte A B del suddetto corridoio scoperta dentro la vigna del cav. Cristofori , la quale benche conservata , essendo nondi* meno quasi fino alia volta ripiena di terra depostavi dal fiume , non permetteva 1* entrarvi die per lo spazio di iS canne in- circa. Nella stessa pianta i numeri i, a e 3 ec. dinotano gli scavi successivamente fatti , de’ quali i primi sette incontrarono da per tulto il corridoio che si ricercava. Cammina questo corridoio , secondo la direzione di due linee rette parallele D E , F G, le quali si uniscono con una terza A B, C D in parte retta ed in parte curva, dimodo- che questa ci discuopre una delle estremita del circo , le altre due i due lati: fra i quali l’area , o platea , ha palmi 53o di larghezza. Due cose nondi meno , a dir vero , mancavano tuttavia per assicurarci intieramente , essere questa una fabbrica di circo. Luna era di trovare la spina , la quale doveva dividere per mezzo e per lungo la platea. L’ altra era lo scoprire se al di fuori del corridoio suddetto vi erano gli altri muri che avrebbero dovuto, quando il circo era in uso , sostenere le volte pe’ sedili piu alti per le logge e pe’ poggi destinati ai vari ordini degli spettatori ; non bastando i tre o quattro ordini di sedili, che , come si e detto , stavano al di sopra del detto corridoio. Per trovare la spina fu fatto uno scavo per traverso nel mezzo della platea ( segnato n.° 9 ) , il quale quantunque a Figura e Iar- ghezza deH’ar- co del circo verso una del¬ le sue estremi¬ ta. Indizi della spina del cir- eo. Muri latera¬ ls ed esteriori del circo. La lunghez- za del circo , e 1’ altra sua estremita re- stano da sco- prirsi. ( 458 ) cagione dell’acqua , cite ivi andava sorgendo, non potesse pro>- seguirsi e bastevolmente approfondarsi , ci feee nondimeno in- contrare in alcune rovine di muri , ed in un masso d’antica fabbrica , il quale, secondo le apparenze , altro non dovrebbe essere che un vestigio o della stessa spina, o di una delle mete , o forse di qualcuno di quei tempietti , cbe sopra la spina solevano fabbricarsi. Quanto poi agli altri muri laterali ed esteriori in riguardo del corridoio , non mancarono neppur essi di comparire in tutti quei luogbi, allargati gli scavi. Stendonsi questi muri trasver- salmente all’infuori per lo spazio di quasi palmi | 4 o, e vanno a terminare in un altro gran muraglione largo palmi 7 , il quale mostra di cingere esteriormente tutta la fabbrica : quantunque non siasi fino ad ora scoperto che in una sola parte vicina all’ingresso principale del circo, e segnata colla lettera N. Nulla dunque mancando per 1’intiera sicurezza della realta di questo circo , rimaneva solo a ricercarsene la lunghezza con iscoprire 1 ’altra estremita, in cui, secondo le apparenze, do- veano essere le carceri destinate per le here e pe’ carri pri- ma cbe incominciassero gli spettacoli , giacche 1 ’ estremita. ritrovata non sembra fosse destinata a quest’ uso. Ma per que- sta ricerca conveniva uscire dal recinto de’prati di Gastello, e fare altri scavi nelle contigue vigne : lo cbe senz’ ordine espresso della Santita Vostra non potea eseguirsi. Dali’ altro canto es- sendo avanzato il caldo , non si poteva dai cavatori, senza grave incomodo , cont-inuare il lavoro ; ed essendo le vigne gia colti- vate, e coi frutti , non era convenevole danneggiarle con questi scavi. Fu percio creduto , doversi differire una tale ricerca fin dopo la vendemmia , e dopo la raccolta di tutti i frutti : a tanto piu , cbe seccandosi per l ordiuario in tal tempo 1 c piccole aotterran.ee sorgenti dell’ acqua , cbe ivi cola da vicini colls. ( 4^9 ) ( come in fatti sono ora intieramente seccate ), resta libero il campo a potersi approfondare sotto terra ancbe alia ricerca della spina , vietata , come si e detto , dalle mentovate sorgenti. Facendo ora ritorno alia strultura di questa fabbrica , os- serviamo , eke tutti i muri sono di ottima qualita , ed hanno la cortina , ossia parte esteriore , lavorata a strati orizzontali alter- nativamente disposti , d’opera reticolata con quadrucci e di grossi mattoni : quantunque questo lavoro dovesse essere [rico- perto coll’ intonacatura della calce (i). Tali appunto si osser- vano le fabbriche di Adriano , e quelle in particolare della sua celebre ed ollremodo magnifica villa tiburtina. L’ interiore intonacatura del corridoio e non solo politis- sima , ma altresx lavorata con cocce di mattoni e polve di mar- mo , come suol dirsi , a stagno , affinche 1 ’acqua non trapeli. Lo che da a divedere che dentro a questo corridoio dovea l’acqua trattenersi per qualclie tempo , forse per uso delle naumachie. La volta di esso e di tanto in tanto sostenuta da;grandi ar- coni, larglii palmi 16 , e lavorati con mattoni intieri e grandis- simi. Net la soglia di ciascuna delle porte , per le quali dal cor¬ ridoio entrasi nella platea , si sono trovati tre buchi riquadrati, larglii per ogni lato un quarto di palmo. Uno di essi e nel mezzo della soglia ; gli altri due verso l’estremita. Sono pieni d’acqua fin quasi all’ orlo , e lasciano scendervi perpendicolar- mente una canna fino alia profondita di palmi i3. Benche il Tevere, durante il tempo della cava, facesse varie mulazioni, il livello di quest’acqua non cangiossi mai , secondo asserirono i eavatori. Quantitk di questa fabbri¬ ca. Buchi pi«ni d’ acqua alia soglia di cia¬ scuna porta. (ij La forma di questi muri puo vedersi nel disegno dello spaccato. Mamii ed al- tre cose ritro- vate negli sca- vi. ( 46o ) Se non avessero questi buchi altra larghezza fino al fon- do , che quella mostrano al di fuori , la terra, che bene spesso vi cadea dentro , gli avrebbe agevolmente turati e riempiuti. Non essendo cio addivenuto , fa duopo credere che essi va- dano a comunicare con un altro sotterraneo corridoio fabbri- cato sotto a quello che si e descritto: giacche alia soglia di tutte o della maggior parte delle suddette porte , si rincontrano la, avendo recentemente osservato in alcune vigne, alquanto lon- tane dai prati, certi altri sotterranei ampi condotti, i quali gi- rando per lungo tratto somrninistrano a’ pozzi delle medesime vigne limpidissima acqua , che per lo piu si conserva all’ altezza medesitna di palmi i3 in circa , e mostra essere alio stesso livello , ho fatto qualche sospetto , che qnesti condotti abbiano comunicazione col nostro: lo che , qualora fosse , molte cose pensarsi potrebbono , e tutti verrebbero a provare la magnifi* cenza di questa fabbrica. Una cosa frattanto puo con qualche certezza affermarsi; ed e , avere la medesima fabbrica servito non solo ad uso di circo , ma, come poc’ anzi accennaramo, ad uso ancora di naumachia. Oltre i muri scoperti in questi scavi, si sono in vari luo- ghi trovati grandi pezzi di travertino ; altrove pezzi di marmo bianco lavorati , ma scomposti e fuori di luogo , con alcum frammenti di antiche inscrizioni. Verso la spina si ritrovarono parecchi pezzetti di marmo bigio-nero , da* quali pote compro- varsi cio che scrisse il Fulvio , come or ora diremo , cioe che qussto circo , erat ex lapide nigro ac duro. Inoltre verio 1’estremita di esso trovossi quella piecola bensi , ma bellissima mano , che regge una palla , e che ebbe la sorte di essere am- messa nel gabinetto della Santita Vostra. E finalmente nella terra, fra’luoghi piu bassi, si sono trovate undici medaglie antir ( 461 ) - brica antica. Non debbo pero omettere una cosa , la quale pud recar qualclie lume a cid che in appresso sono per dire ; ed e che nell’ estremita del circo, accanto ad alcuni muri trasver- sali al luogo segnato O, si sono trovati alcuni cadaveri enlro casse composte e ricoperte di grandi tegoloni. In una di esse era an cadavere di giusta statura, tutto di terra ricoperto , ed in mezzo alia terra una piceola ampolla vota di vetro. In un’ altra cassa piu grande, ricoperti similmenle di terra, erano due cada¬ veri, I’uno che mostrava l’eta di circa 12 anni , l’altro di per* sona adulta. Esaminati ad uno ad uno i tegoloni, non vi si trovo alcun marco o segno ; ed osservata diligentemente la terra che i cadaveri ricopriva , nulla vi si trovo di particolare. Altre ossa di cadaveri parimenti si trovarono in quelle vici> nanze , ma sparse qua e la dentro la terra- Se si ha a fare qualche congettura intorno a questi cada¬ veri, vi c gran ragione di credere , che siano di plebei gentili, padroni forse di quel terreno ridotto gia in quei tempi ad uso di vigna o di orto. Cid verrebbe a dimostrarci , essere mold e mold secoli dacche questa fabbrica , piu non servendo al fine per cui era stata fatta , comincio ad essere ricoperta con terra trasportata d’ altronde. Anzi le medaglie ritrovate , come dissi, verso il fondo, ci proverebbero anche piu antico questo tra- sporto. Cadaveri an- ticamenle se- polti fra i mu¬ ri del circo , enlro casse for¬ mate di tego¬ loni. 9jfo i-i;> -du p d> Scrittori che jpartan&di que¬ sto circo. ( 4&2 ) Da cio puo (ledursi, non essere durato lungo tempo l’uso di questo circo. Se si considera la facilita con cui il Tever© nelle sue escrescenze in on da le vigne quivi contigue , quantum- que in oggi molto piu alte della sua platea-, sembra molto verisimile che queste inondazioni siano state la cagione di ab- bandonarlo. Si saranno percio cogli scarichi della citta incomin- ciate a riempire le parti piu basse , aflincbe le acque non vi stagnassero lungo tempo. In appresso poi, quando particolarmente nelle invasioni de’barbari comincio la vicina mole di Adriano a servire di forte zza , e molto probabile che Farea del circo siasi del tutto riempiuta per non lasciare ai nemici un luoga» dove riinpiattarsi. Queste riflessioni ci fanno strada ad un’ altra : cioe , che nel tempo* stesso, in cui si andavano le parti di questa fabbrica ricoprendo , gli ornamenti di essa per bupna parte almeno ve- nisserO' altrove trasportati. Quanto cio nondkneno si rende cre¬ dible in riguardo d©’ marmi di minor mole; altrettanto invero- simile sembra in riguardo degfi altri di malagevole e dispen- dioso trasporto , per le- molte ragioni eolle quali non debbo ora trattenere la Santita Vostra, Che pero , dopo il ragguaglio di ciA cbe si e scoperto intorno a questo circo , passero ora ad accen- nare suecintamente alcune memorie che lo riguardano „ per poi attender© le sue sovran© risoluzioni in ordine al prosegui-. men to , o alia cessazione dell’ opera ineominciata. Fra gli antichi scrittori non abbiamo chi parli di questo circo se non Procopio , il quale ragionando dei prati vicini alia mole di Adriano , dice: Stadium ibi ab antiquo esl , in quo vomani singulari certamhie depugriabant. E bench©, come non molto informato dell© romane antichita , abbia Procopio preso abbaglio nelF esprimere la qualita degli spettacoli , che in questo iuogo si celehravano, ahbastanza nondimeno ci diraostra, esser ( 463 ) ivi tuttavia al suo tempo i vestigi di un circo. II Biomlo che scrisse verso la meta del secolo XV , e Andrea Fnlvio einquanta amni dopo , ci dicono , che al Ipro tempo ved'eansi aneOra nelle vigne vicine a detti prati le reliquie di uH antico circo ex la- pide nigro ac duro , come asserisce il Fulvio. Ma convien di' re , che poco dopo an clie qu-esti vestigi e ques ; te reliquie fos* sero intieramente o ricoperte dal terreno o demolite; perche Leonardo Bnfalini, clie pubblico nel > 55 1 la sua ora rarissi- ma gran pianta di Roma , quanturrque diligentissimo in marcare ogoi piccolo avanzo di muro antico che ai suoi tempi 'si ve- desse , nulla in questi luoghi accenna. Gli altri poi , che dopo di lui pubblicarono altre piante di questa citta , benclie abbiano qui delineato un circo, scorgesi nondimeno che lavorarono a capriccio : poiche nella positura di esso , ne fra loro si accor- dano , ne coi vestigi che in oggi si sono ScopCrti. j • t Comunque sia, non restando luogo a dubitarC clie un antico circo fu cfuivi fabbricato, ed essendosene ora scoperta una gran parte , ci rimane a sapere chi ne sia stato l’autore. II Biondo , ed altri con esso, 16 Credono di Nerone. Si sa nulladimeno, che il circo di questo imperatore era sotto il monte vaticano ; e che il suo obelisco , prima che da Sisto V fosse trasportato ed innalzato nella piazza di s. Pietro, stava eretto nell’antico suo sito vicino alia presente sagrestia di quella basilica. Altri ne lianno credizto autore Aureliano. Gofi tutto cio le piu accertate congetture ci persuadono , averlo fabbricato Adriano. Egli e vero che ne Sparziano, il quale scrisse la vita di questo imperatore , ne altri antichi scrittori che de’suoi fatti hanno ragionato , ci danno verun indizio d’aver egli fabbricato un circo j quant unque parlino de’ giuoehi circensi da lui dati 58 * Ragioni che persuadono , avere Adriano fabbricatoque- sto circo. Medaglie sti Adriano col tkco. ( 464 ) piu volte al popolo. Ecco non pertanto le ragioni , per le quafi io credo Adriano autore del nostra circo : i.° Perche il silenzio degli scrittori antichi esclude uguaF mente qualunque altro imperatore dall’ esserne autore. 2. 0 Perche la fabbrica, di cui ragioniamo, e molto simi¬ le ed uniforme r come ha detto di sopra, alle altre fahbriche di Adriano. 3.° Per la vicinanza di questa fabhrica colla sua mo¬ le ' y e per la connessione che ambedue mostrano di avere pes mezzo di altre fabbriche sotterranee, che furono pochi anni scorsi trovate in quelle vicinanze sotto la fossa di castello. 4-° Inoltre porta iL Panvinio una medaglia che ha nel rovescio la delineazione di un circo con piramide nel mezzo , colla leggenda di sapra = HADRIAN VS . AVGVSTVS . COS. Ill . P . P , e di sotto S . C . E henche taluno sospetti della verita di quella medaglia , per non essersi veduta in alcuno dei musei piu celebri, nulladimeno. non parmi che si debba asso- lutamente rigettare come falsa non avendola creduta tale nepr pure il Fabretti., critico non meno accurato che dotto. Questa medaglia adunque prova in qualche maniera , aver Adriauo fab- bricato un circo; e le circostanze del nostro cl addimostrano essere qnello. 5.° Finahnente un altra rarissima ma indubitata medaglia dello stesso imperatore ( la quale e tanto piu rara , quanto che essendo tutte le altre notate , o colla tribunizia potesta o cot consolato , questa sola porta scolpito l’anno natalizio di Roma^ & la q.uale ha dato molto da pensare agli eruditi per la spiega- zione del suo rovescio ) puo anche essa accrescer peso alle ra? gioni di sopra accennate. Questo rovescio ci rappresenta. una donna sedente in terra , la equate colla destia tiene una rota , ed ha tre obelischi accan- '' Cjti ( 465 ) to; leggendovisi all’intorno ANN . DCCCLXXIIII . NAT . VRB . P . CIR . CON . S . C . E poiclie non si dubita, che non si denotino dai tre obelischi le mete di un circo » e dalla ruota le corse delle carrette cbe nel circo facevansi; essendo inoltre fuori d’ ogni controversia le prime parole della leggenda , le quali additano , come ho detto , l’anno natalizio di Roma ; la difficolta si riduce alle ultime P . CIR . CON . To non mi tratterro mollo in esporre le varie opinioni de’ let- terati circa la loro interpretazione. Alcuni hanno letto: Populo circenses concessi. Altri: Plebei circenses constituti : ed altri: Populo circum condidit , ovvero circus conditus. La lezione piu applaudita e stata quella del dotlissimo barone di Bimard : Pri- mum circenses constituti • volendosi cbe con questa medaglia s’alluda ai giuochi che Adriano institui pel giorno anniversario della fondazione di Roma , nel quale per 1’avanti non solevano celebrarsi se non le feste palilie in onore della dea Pale. Quantunque questa interpretazione ottimamente sia fondata sopra un passo di Ateneo , che ci da il ragguaglio del cangiamento fatto da Adriano delle feste palilie nelle romane per celebrare il natale di Roma che in quel giorno correva : e quantunque si conceda , essere la medaglia stata battuta per conservare la memoria di questa nuova istituzione ; non vedo nondimeno perche non possa tuttavia leggersi i Circus conditus : ogni qual~ volta vi sia qualche indizio ( come r che vi sia , dalle cose dette non puo negarsi ) che Adriano abbia fabbricato un circo, Im- perciocche se queslo imperatore , che nelle opere sue fu certa- menle magnifico, ebbe in animo d’ introdurre le mentovate nuove feste, e celebratle coi giuochi circensi ‘ 7 non e egli xnolto vero- simile , che abbia altresi volulo renderle piu celebri eolla fab- brica di un nuovo circo alle medesime destinato ? Posto cio , piu alia nuova erezione del circo , che alia nuova istituzione Andie il f bassorilievo della base di Antonino allu¬ de forse al cir¬ co medesimo. ( 466 ) . Ma quantunque il nostro circo non fosse opera di Adria¬ no , non lascerebbe nonpertanto di essere universalmente dagli eruditi applaudito il suo discoprimentoi Noi siamo tuttavia incerti intorno alia vera e precisa Ggura degli antichi circhi. Non sappiamo se i loro lati fossero esattamente paralelli : cioe , se la loro larghezza fosse, tanto da capo quanto da piedi, la me¬ desima. Se la spina fosse precisamente nel mezzo collocata , ovvero alquanto pin vicina al lato sinistro che al destro. E fi- nalmente ci e ignota la precisa differenza fra le due estremita del circo. Questi duhbi , che sono nati dalle osservazioni del dottissimo Fahretti sopra le reliquie del circo detto- volgarraente di Caracalla su la via appia presso s. Sehastiano , potranno ora coll’ esame del nostro agevohnente risolversj. Tanto piu che fra i mold , che altre volte rendevano si magniGca questa citta , non essendo rimasto al tempo del Fahretti che. il solo predetto circo della via appia in istato da potersene con qualche esat- tezza cavare le misure e le proporzioni , gioverehbe ora non poco il confrontarle con quelle del nostro; il quale, oltre all’es¬ sere certamente piu antico , e altresi di un terzo in circa pin grande dell’ altro. Ragioni, che consigliano 1* intiero scopri- mento di que¬ sto circo. t V ( 468 ) Clie se poi questo nostro avesse non solo servito pe’ so¬ lid spettacoli circensi, ma per quelli ancora delle naumachie , come dalle osservazioni finora fatte par si ricavi ; molte altre cose verrebbono forse a scoprirsi circa la maniera praticata dai romani nel riempire e votare d’ acqua in pochissimo spazio di tempo questi edifici. Ma per non abusarmi di soverchio della benigna sofferenza della Santita Vostra, la supplico solamente permettermi l’ag- giungere qualcbe cosa intorno la speranza che abbiamo di tro- vare in questi scavi alcuno di quei marmi, clie solevano essere il miglior ornamento dei circhi ; e intorno al modo che , a mio credere , potrebbe tenersi per terminare questa scoperta. chevffdftrtT E primieramente e ben noto alia Santita Vostra, che souo obeUsco'o^af a PP ena dugent’anni da che incominciarono in Roma le cave per iri marmi. trovar marmi antiehi. Prima di questo tempo, o non si ricercavano , o anebe trovati sotterra si trascuravano. Or egli e certo che il nostro circo fu cominciato, come dicemmo, a coprirsi molti secoli sono: e che dugent’anni scorsi era ricoperto del tutto : e che finalmente in questo tempo non si e quivi fatto alcuno scavo , se non forse qualche scassato nelle vigne contigue. Se dunque precedentemente era quivi rimasto sepolto qualche marmo di malagevole trasporto , dovrebbe ora ritrovarsi. Uno degli ornamenti clie nella fabbrica de* circlii giammai si tralasciavano, era 1’ obelisco : il quale, collocato nel mezzo della spina, dovea, secondo la mitologia di quei tempi , rappre- sentare il sole. Ma siccome di tutti gli obelischi , che in oggi sappiamo trovarsi in Roma , conosciamo ancora il luogo in cui erano al tempo dei romani ; ne ve n’ ha alcuno che possa ragionevolmente sospettarsi essere stato trasportato da questo cir¬ co ; cosi quello, che dovette altre volte ornare la spina del ( 4 6 9 ) medesimo , dovrebbe ora quivi trovarsi o intiero o almeno spezzato. Inoltre sulla spina di qualunque circo , oltre le statue di molte altre delta, aoleva parimenti collocarsi dentro un tempietto la statua di Cibele , niadre degli dei, col mondo in mano. Or chi sa cbe la piccola inano ritrovata colla palla non sia parte di questa statua , la quale giaccia tuttavia quivi sepolta ? Queste cose , ed in particolare l’obelisco , dovrebbono tro¬ varsi in vicinanza della spina. E percio, qualora la Santita Yo- stra ordini il proseguimento delle incominciate scoperte , uno dei tentativi cbe farsi dovrebbero , sarebbe di approfondare lo scavo cbe fu incomineiato nel mezzo della platea alia lettera P, e continuarlo dentro le vigne , secondo la direzione cbe la mede- sima spina aver dee parallela a’ lati del circo. Converrebbe inoltre fare tre o quattro saggi dentro le stesse vigne per ritrovare l’altra estremita del circo , affine di avere la lunghezza e 1’ intera figura di esso. Questi saggi si farebbero col possibile minor incomodo e danno dei padroni di dette vigne , dopo terminate affatto le vendemmie. E finalmente dentro i prati medesimi si potrebbe allargare qualcuno degli scavi gia fatti per meglio scoprire la fabbrica laterale di questo edificio , non essendosene finora scoperta cbe una piccola parte ; come dalla pianta si riconosce. In tutta quest’ opera io credo, Beatissimo Padre , cbe la spesa giunger non dovrebbe a quella che finora si e fatta ; a cagione cbe essendo le vigne molto piu basse dei suddetti prati, non sarebbe necessario scavare tanto terreno per arrivare al piano della fabbrica, com’ e stato duopo ne’ prati oltre modo alzati degli scarichi continui della citta ; a’ quali se in avveni- re non si mette qualcbe freno , la fortezza di Castello ne verra pregiudicata. ( 4-70 ) Qualora dunque la Santita Vostra sia per degnarsi d’incari- carrni il proseguimento di quest’opera, m’ avanzero a supplicarla, che si degni altresi non solo di spiegare i suoi sovrani senti- rnenti al nuovo monsignor tesoriere , e dargli le opportune fa- colta per gli scavi da farsi dentro le vigne de’ particolari ; ina ancora di concedere a me la liberta di scegliere l’architetto che dovra invigilare sopra il lavoro : assicurandosi che in que* sta guisa riuscira 1’ opera con molto minor dispendio , e con maggior esattezza e sollecitudine ; mentre prostrato al bacio de’suoi santissimi piedi ho il gran vantaggio d’essere colla piu sommossa obbedienza e venerazione , Dall’ospizio di S. Aiessio i/y ottobre 1743. Della Santita Vostra Umo Devmo et Oblmo serv. e suddito> DIEGO DE REVILLAS AB. GEN. ’} rrv, S3 i. .; -;' bfiri) ib s •£*✓/ V '///ssYiiMj /v>?tzr?u/s{ r/i'rp /'(>// n tu/yejjv ffi 1 . K -'"or/" fY/f //<■/. //yiu- f/gtfZ !,// a/fcita ,/y,„/ j a , , ar 1' GABCDE fY>//rt/t//Sir?M/ja t {f‘ ,/vVtsy H II /t’.s/frj/ ,/ .Y/f/f' ./ftf/S// v,, '/sr/fc'f/// t’f/ f'.y/f’^Vftr t'^f/.i/ f/j /////•/V /7 '//>//? r fs>j‘s'/s/s>/'r y fr/f/f//'f/Y f j. f’sr.Ate f/v /ffy/ftSsv/r ,tfY/f'f> ////ft/ SPACCATO DEL CORRIDORE E esteriore del circo *•«■<»/"«>** ,/,/ 7r, /’/' ' tss/f/f r uy/rr/ Yf/frf v /Jy>/9,/ ref r Yrcenu? r/y yoyyy /,r f/f/ , //// ,;>' sy/yr/ff/r c/f/ r// w> ey ' fYS/tMfV/t/yi /i wY? //,, j//,/ . i PRAT I GASTELLO PRAT I V'fs'a yoo ‘200 INTORNO 4 U01TBT4 DI Uf 1 SI® DISSERTAZIONE DEL SOCIO ORDINARIO E CENSORE, PROFESSORS SAXlTATOlUEi BETTI SEGRETARIO DELL’ INSIGNE E PONTIFICIA ACC A DEMI A ROMAN A DI SAN LUCA LETTA NELL’ ADUNANZA TENUTA <5? 16 t)i DTCa.t'io i B3y / / ozaoTKi BtAV'MnOM, & ia 1 OBI T A 5 : ; I /10IS/iTfl388ia aaoaea’iofw ,3/102/33 :■; oi/iajhcjjio 01002 jaa 0I/JA73/1032 i:KAifiO;i AIKJ 0 J. 30 A o*. a x'mz/j Mjga MJ'JJ VIMS M ATiJKJT ASVAKUQA 'jj.ry /TUI (li- J I Of JM '■ : I! I j , , 1 ( 47 s ) (Yuando nel passato anno mi concedeste, emi- nentissimi principi, onorandi colleghi, di parlarvi da questo luogo intorno al famoso denaro della gente Tizia (i), appena avrei potuto mai credere , non che sperare , eke quella mia congettura dovesse con tanta cortesia e bonta essere ricevuta. Dico bonta e cortesia : percioccbe con egual anirao considero e le approvazioni benigne cbe me ne giunsero anebe di la dall’ alpe , e le contrarie osservazioni che con rara benevolenza me ne furono fatte da un dottissimo ed amicissimo. Nel render dunque del pari si agli uni e si all’ allro le grazie piu affettuose,stimo a quest’ ul¬ timo non poter dare una, piu certa dimostrazione di amore insieme e di ossequio, cbe facendomi oggi al- quanto arapiamente a disaminare innanzi a si cbiari arcbeologi e letterati quelle sue osservazioni medesi- me , e rimettendone all’ autorita vostra il giudizio : dispostissimo, o signori, qual sono stato mai sempre a confessar volentieri di avere errato. T (i) Vedi il tomo IX di c|ucst.i atti accadcmiei. ( ( 474 ) II. Le obbiezioni, che il raio illustre amico mi fa , si fondano principalmente sull’ antica moneta in rame col nome di Tatioo. Ci porge ella dall’ una par¬ te T immagine medesima alata e barbata , ch’ e nel denaro di Q. Tizio : dall’ altra un uomo a cavallo con una ghirlanda in mano. Nell’ esergo ha scritto ii no¬ me TATINOS. Pubblicolla forse la prima volta PHaym nel 7'esoro britannico , poi il Pelleria nel Recueil, e quindi piii correttamente P Ennery nel Catalogo, e nel Supplimenlo il Mionnet. Ora dovendo essere stato probabilmente questo Tatino un vergobreto , o bren- no , o capo de’ galli , credette per primo ingegno- samente ii celeberrimo nostro eollega Bartolomeo Bor- ghesi , che d’ altra divinita non fosse quella testa ala¬ ta e barbata , che del Mercurio gallico, ovvero Teu- tate : la quale fu poi accolla , non so perche , nel proprio denaro da Q. Tizio, cui 1’ insigne numisma- tico suppose essere stato uno de’ questori di Cesare nelta Gallia (i). Sicche , dice il mio contraddittore, trovaudosi quella immagine con tanta certezza in una moneta autonoma della Gallia , non puo ella essere assolutamente , come tu vuoi , del Mercurio pelasgo, o greco o latino, divinita del sonno. E non essendo (i) Osservazioni nuinismatiche , decade XI, osserv. II. Vedi d giornale arcadico, volume dJ mese di dicembre 1824 , a cart. 29 5. ( 4 7 5 ) tale , lu vedi come del tutto cada la fua congellu- ra, ch’ ella stia cioe nel denaro di Tizio per la ragione che forse la gente Tizia trasse V origine e la denominazione da quel rustieo Tito, il quale ebbe in Roma il mirabile sogno narratoci da Livio. Confesso, o signori, che questa obbiezione porgesi a prirno aspet- to con certa qual gravita. E come potrebbe non es- sere , renendo da uorno tale ? Se non che avendola piu sottilmente considerata, rai e poi sembrato , o io m’inganno, di poter tuttavia senza nota di arroganza rimaner saldo nel credere, che la moueta del regolo della Gallia , come essenzialmente piu moderna del denaro di Q. Tizio, niente uoccia alia verosimiglian- za (cosialmeno la cbiamero) di quella mia opinione. III. E primieramente nella mia dissertazione gia provai , non poter essere il nostro Q. Tizio colui che fu questore di Cesare nella Gallia. Imperocche il te- soro di monete romane disotterrato a Fiesole , ed il- lustrato dal fu mio amico d’ insigne meraoria cavalie- re Zannoni , ci ha chiaramente mostrato , che il de¬ naro di Tizio aveva gia corso al tempo della guerra maisica , in cui esso tesoro con certezza istorica fu uascosto. Convien dunque , come ognun vede , asse- gnare assolutameute al fiorire di Q. Tizio una eta piu alta che non e la cesarea. Ma temo die piu alta ponendola , non ci occorra un sccolo , in cui i galli , come pure i germani e i britanni lor confra- telli , e generalmente tutti i popoli di origine celtica (4.76 ) o scita , non ebbero immagine alcuna di divinila con effigie umana. Questa infatti e intorno la religione de’ galli , in mezzo a tanta oscurita di tempi , 1’ opi- nione ch’ io sappia piu comunemente ricevuta da’cri- tici. Ed invero non so chi potrebbe contraddire si di leggieri all’ autorita di scrittore cotanto grave e nelle antiche memorie esercitato , quanto fu Clemente ales- sandrino : il quale nel primo degli Stromati (1) , la dove a lungo discorre intorno alia sapienza de’ bar- bari che precedette la greca , e che coll’ idolatria delie immagini non offese 1’ adorazione della divinita, ricorda (insieme col nostro Numa ) e i profeti degli egizi , e i caldei degli assiri , e i druidi de’galli, e i semanei de’ baltriani, e i filosofl de’ celti , e i ma¬ gi de’ persiani. Sicclie io credo, o colleghi, che solo per questa severita di culto troppo leggermente inter- pretata da’nostri , che ad ogni passo avevano innan- zi la materiale sembianza di una deita , dovette poi Cicerone a suo grand’ uopo, intendendo di scemar fe- de alia testimonianza de’ galli nella difesa pel suo Fonteio, chiamare oratoriamente que’popoli ab reli¬ gione remotos (2). Se pur non voglia imputarsi al gran- dissimo oratore una somma ignoranza istorica, 0 farlo manifestaraente contraddire a Cesare , che anzi scri- ( 1 ) Cap. XV. (■ 2 ) Oratio pro Fonleio , cap. VI. ( 477 ) reva : Natio gallorum omnium admodim d-edita re - Ugiomibus (i). sPer quest a sever it a parimeiite ebbe for- se a dir Gelso ., non contras tan te Origeae (2) , che i drnidi professavano , non altrimenti che i galatofagi di Qrnero ed i geti, la parte piu pnra della reiigio- ne pagana : somigliando assai il loro cult© verso gli dei a quello che gl* israeliti rendevan© al vero Dio. Ora io non veggo ©he assolulamente per altro potes- se farsi una tale comparazione fra le religiose ebraica e la druidica , salvo per V abborrimento ch’ ebbero del pari ambedue a dare an sembiante umano alle loro divinita : essendocbe sia certissimo che scellera- 4a ed orribile , e forse piu assurda delle altre reli- gioni pagane (le quali gia nel seeolo di Celso anda- vano di molte verita iliuminaudosi eosi per la santita crisiiana , come per la romana sapienza) fu la drui¬ dica in alquanti dogmi : almeno per le notizie che con alcuna sicurezza sonoci pervenute intoroo a que’ tremendi segreti. Fino a credere esser cosa alle ani- me de’ propri amici carissima il gittarsi ad ardere sul rogo insieme co’loro cadaveri ; anzi fino a credere cosi spietata e malefica la divinita, cbe pin grata of- ferta non potesse farsele del sangue degti uomini , come afferma Cesare , e come pieno di orrore Tullio (1) Bel. gallic, lib. VII cap. XV. fa) Adversua Celsura lib. I cap. Ilf v 60 ( 4 7 8 ) ^ ripete. Quis enirn ignorat ( cosi l’oratore) eos usque ad hanc diem retinere illam immanem et barbaram consuetudinem hominum immolandorum ? Quamo- brem quali fide, quali pielate existimatis esse eos r qui etiam deos immorlales arbitrenlur hominum see - lere et sanguine facillime posse placari (1) ? Laonde ne scrisse poi Lucano que’ terribili versi : Et quibus immitis placatur sanguine diro Teutates , horrensque feris altaribus Hesus , Et Taranis scythicae non mitior ara Dianae (a). II die in fine concordemente confermano e Svetonio aella vita di Claudio ( 3 ) , e Plinio nell’ istoria natn- rale (4): la dove di pin ci attesta , che hominem occidere religiosissimum erat, mandi vero etiam sa>- Itiberrimum. Oh certo religione degnissima di usar per coppa de’ suoi sacrifici ( mi vergogno dell’ uman genere) il cranio de’ miseri cui stermino il coltello druidico ! Yero e che anche altre nazioni vituperaro- no sovente se stesse con tali atrocita : ma niuna cer¬ to ricordasi che in cio uguagliasse la gallica : se par (1) Loc. cit. cap. X ( 2 ) Pharsal. lib. I vers. 444- ( 3 ) Cap. XXV. (4) Lib. XXX cap. I. ( 479 ) non fossero la cartaginese e la messicana , nelle cui religioni, o per dir meglio abboininazioni della terra e del cielo , tut-to era strazio, sangne e spavento. Ne i popoli dell’ Italia stessa ne andarono lalvolta esenti, siccome quelli che il tristissimo dono probabilmenle ne ricevetlero dalle colonie fenicie. Ma oltreeke le nostre are, eziandio nelle eta pin. lonlane, ognora fumarono assai scarsamente di sangne umano : ne mai qua sorse una bestial ferita , siccome altrove , ad accrescere gli orrori del rito e della superstizio- ne : e fuori di dubbio cbe prescritte non furono da niuna legge religiosa o civile : e che assai per tem¬ po , e priraa degli egizi e de' greci , sia per genti- lezza d’ indole, sia per virtu, di educazione o per sa- pienza di leggi , noi ci togliemmo a tanta contami- nazione. Sicche gia quattrocent’ anni innauzi 1’ era volgare quasi tutto il paese ch’ e di qua e di la dal faro (salvo pochi esempi di popolare insania) aveva cosi diradicata dall’ animo delle sue genti quella stra- niera barbarie , che il siracusano Gelone , poiche il giorno stesso della battaglia delle Terrnopili ebbe sconfilti trecento mila cartaginesi ad Imera , impose a’ vinti per umanita vera di cuor gentile ( non per bassa ragion di commercio , come oggi avviene pur troppo di alcuni falsamente pietosi del traffico de’ne- gri 1 ) di cessare in tutto da que’ loro detestahili sa- grifici. ( 48 o ) A1 che aggi unger volete , o signori , allra au-* torita non meno , se io non erro, grave a solenne ?’ Osservate it fatto essendoche in una regione cosi vasta e possente ,, coma fu sempre la Gallia ( ed it medesimo drro della Britannia , la dove ebbe origine la dottrina diruidica) , ancora non si e trovato aleim segno o di moneta, veramente celtica o di scultura , il quale ci rappresentii alfcre imnaagini di numi ,, che non sieno precisame inter greche o romaner. IV. So che it nostro on o ran do collega march e- sc Fortia di’ Urban! (r) , eonkastandb* sopratfcntto al Buelos , mott si tenne convinto a qpeste ragiond :■ e; reco principalinente innanzi le parole di Cesare: Deumr. maxi me Mereurium calunt .• hums mini plurima si¬ mulacra (a).,. Ma so; ancora che puo bene rispondersi. aii’ illuslre firancese , ess ere assai am pi a: la signifiea- zione del vocabolo: simulacra , no sempre: volec dar~ segli queila, d’ immaginc con vollo umano. Ei simtdar cri pote Gesaro nominare,. con assai propriety di fa- velta , le colonma di pceitm e h tronchi d’ aLberi, che secondo la prim diva religione deglL oriental* , e per sentenza del Bailly anche di tutti i seitenlrionali.(per non dice de’greed stessi r innanzl che ii pelasgi recaa* (r)' Tableau, liistorique eC geograpbiquen dir monde-;. m. Ill , pag. C )2 seq. (a) Bell, gallic, lib. VI c ( 481 ) aero loro i cabiri , eioe le prime divinita , secoudo Erodbto , die in Greeia 1 2 3 4 ebbero tin name ) , ricorda- vano a* pop dr non Tefifigie de* rtnmi , naa? il luogO d'elle preghiere e de’ sagrifici , e 1’ intiolabilila degli asili. Cosi Tacito infattr nomino* simulacra la colonna die veneravasi in Pafo v come simbolo della divinita- di Venere : Simulacrum deae, non cffigie humaria, continuum orbis latiove initio tenuerrt in atnbitum , ?fte~ tac modo , exsufgem (r). E’ cosi pare Clemente ales- sandrino tulle le allre colonne sacrenomino general- men le ayrS pvfj.'XTOC ( 2 ).. Vuolof di pin ? E eosi otyaXuz , aggiungero inline , fa detta da Massimo tirio (3) la qnercia , onde* appunfo i celti fino at suo tempos si- i gnificavano ancora la deita di Giore. E come inoltre avranno ebiamato quel teonco cbe- adoravasi in’ Te~ spia , se' non' il simulacro dii Gkmonc eiteronia ? Go¬ me la pietra cbe da Pessinunte fta trasportater a Roma,, se non it simulacra dell® gran) madre idea ? Gome la colonna cb’era nel tempib dir Dblfo ■,» se non it sim'ii- lacro di Apollo dretfied f E F asta, eke antickissima- mente ebbe ossequio di religion e da’ nostri avi ,, si s&ria forse Gbiamatai com altro some ne’ templi , che ,r,:) nwvib nr:d rr>.cr) : on snot otoua ion f 'j.-.-na (1) Hist. r. , lib. I, cap. lit. ( 2 ) - Stromat. lib. I. cap,. XXIV. (3) Discorso XXXVIII delle edizioni comuni, ed VIII di guella del Davizio : Se si debtianQ ded'e-ire- staiUe agli del. ( 482 )) con quello di simulaero di Marte ? II fatto e intanto che Livio , favellando appunto del Mercurio Teutate in Ispagna , la dove dominarono gia i celtiberi, po- poli per una medesima origine fratelli de’cello-gala- ti, dice che presso a Cartagena era esso rappresen- tato per un rial to di terra : Quod ubi versus Scipio in tumulum 9 quem Mercurium Teutatem appellant , adverlit multis parlibus nudata defensoribus moenia esse, omnes e castris excitos ire ad oppugnandam urbem et ferre scalas iubet (i). Y. Molto meno sembra confortare l’opposizione, o il dubbio che dir vogliasi , del signor marchese Fortia un passo ch’ egli reca di Diodoro siculo , il quale parlando della gran probita de’ galli ci narra, che sicurissime da ogni rapacita popolare erano in quel paese le laslre d’oro che ornavano il pavimento de’ templi. Avevano dunque, scrive il signor maFche- se , avevano i galli, oltre a’ simulacri } anche i tem- pli ove adoravano i loro dei. Lasciando stare pero che Ie parole zifitvog Ufa , usate ivi da Diodoro , possono in amplissimo signi- ficato interpretarsi anche generalmente per semplice luogo sacro , per sacro terreno : cosa ben diversa dal vfa , o sia aedes , secondo le ragioni che ultima- mente ce ne ha rese 1’ allro esimio nostro collega * - ° (i) Lib, XXVI cap. XLIV, ( 483 ) car. Sebastiano Ciampi (i) : e lasciando stare altre- » si , che Diodoro fioriva net secolo di Augusto, in un tempo cioe che per la conquista di Cesare la religio- ^ t J* * /wr# ! " ne de’ vincitori era gia passafa in un colla lingua ad essere anche la religione de’ vinti ; certo a me non pare , o signori , dover credersi cosa strana che una nazione abbia i suoi templi , come a dire i luoghi sacri la dove il popolo adunasi ad adorare e sagrifi- care , senz’ avere percio veruna immagine di deila. Non ebbero forse un tempio gli ebrei , ove non ap- pariva efligie alcuna dell’ Onnipolente che vi si ado- rava ? Non n’ ebbero forse un altro i gaditani , ove Ercole ben venera vasi, u Sed nulla effigies simulacrave nota deorum ■ Maiestate locum et sacro inrplevere timore ( 2 ) ? ribaon 0I0 j -'>doixfls w .ou ; :.'iiu oltov no0 i:.r . • # Non n’ ebbero forse un altro i tebani consecrato alle parche, ma senza immagine alcuna di quelle dee (3)? Non n’ ebbero forse molti , parimente senza veruna effigie , i romani per ben CLXX anni dopo il re Nu- i>r> V."'' 0 ?.si\ 7,’ioV.v •£ %«?. 5 no f • 39 . 3iii ( 1 ) Della distinzione ili templum e di fanum. Nel vol. V .1 suo insigne volgarizzamento di P'ausania, a carte CXXXIV, (a) Sil. Ital. lib. Ill v. 3o’ .gcq I uuj insri-jhl L f < m) jsa , come cell’ autoriia di Varroae ei aJCFertuano Piii~ 4 vco, Clemente di Alessandria, Tertulliano e s. Ago- jliop ? Anzi non istette cosiantemente, finche in Roma 4 urp il pagancsimo , senza yeruna immagine H tern- ipip di Vesta f Esse diu slulius V estae simulacra putavi; Mox didici curvo nulla subesse tholo. I Ignis inextirictus templo celatur in illo : EJpgicm mllam Festanec ignis habent{\). Se non che , o colleghi , questi iempli gallici, prima della rornana conquista , parvero pure impossibili , e con gran ragione , ad un altro dolto francese , ai marcbese di Orbessan (3), VI. Ma se i galli originalmente avevano di tali immagini con volto umano , anzicbe solo quelle in- . ’ r r t r ■*. > f , » r t r , '» , . . . fr t _ ^ t® ■" . .. . J ' - ’ l ' U -* — »»M-L.10J F l'l'J- \ L. V -..ill . - J P » J - » " 1 . . ^ (») Ovidius , Tastor. lib. VI v. 295. ( 2 ) Fitruve contemporain de C 6 sai\ Strabon sous l' em¬ pire de Tibere, Herodien dans son histoire jusqii cl Gordien le jeune , out remarque , que les goulois ne batissoient en¬ core leurs maisons que de charpente et de terre grasse. Je V ai deja dit , et c est line illusion que de leur attribuer quelqucs vieux edifices trowes en France , et qu on pre - tend avoir etc des temples consacres a leurs divinites. Ce j ’ ‘ ■ ; f < ' n ’ est que depuis les romains , que les temples devinrent corn- muns , quoad ils en eurent adopte la religion et les usages, D* Orbessan, Varietea litteraires, tom. I pag. 249. ( 485 ) formi pielre che diconsi comunemente menhiri e peul- vani , ovvero druidiche : e quegli alberi , tie’ quali fmo a" tempi di Massimo tirio , cioe fino all’ impero degli Anlonini , amarono riverire le loro divinita : ond’ e clie appena incominciarono ad aver moneta , uscendo di quella estrema ignoranza di tutle le arli che non fossero di agricoltura e di guerra , come scrive Polibio ; ond’ e , dico , che in essa moneta non vollero aver allro che le divinita della Grecia colie loro forme e con tutti i loro siraboli ? Ond’ e che non ci diede invece le proprie un popolo cosi non pur devotissimo alia sua religione (i), ma pieno di se , ed orgoglioso , e , secondo Y eterna presunzione dell’ ignoranza , disprezzatore degli stranieri , come ce lo dipinge Diodoro (2) ? E parlando piu specialraente della divinita di Mercurio , ond’ e che Ninno capo de* sequani , nella sua moneta autonoraa recataci dal Bouteroue ( 3 ) , fece anzi rappresentare il Mercurio greco che il gallico ? Si certo , 0 signori, il Mercu¬ rio greco : essendoche giovane e hello ed imberbe , e colle ali graziosamente al capo , ben dimostra non ( 1 ) Dionigi d’Alicarnasso , AntichiU romane , lib. VII, c. LXX. (a) Lib. I , cap. XXXI. (3) Recherches curieuses de3 monoyes de France : pag. 56 num. 45. 6l \ ( 486 ) esser cosa barbarica. Ed in esso appunto ravviso 1 ’Avercampio (i) il supremo nume de’galli : cosi ri- tratlo cioe , quando piu tardi rilassandosi la nazione da quella sua austerita religiosa , o per dir meglio orridezza di chi reputavasi discender da Dite, ne piu vivendo schiava alia tirannide ed ai misteri dei drui- di , pole inline Iasciarsi andare piu liberamente alia natural sua vaghezza di cose nuove , e volere quasi generalmente anch’ essa , divenuta romana , avere deila figurate alia nostra foggia. Dissi quasi general- mente : perciocche la testimonianza del filosofo di Ti¬ ro ben mostra , che alia mela del secondo secolo dell’ era volgare trovavansi pur molti nella Gallia , che tenevano tuttavia le antiche praticbe del loro cul- to. Tanto e vero , che piu forti di qualunque divieto od ordine civile sono in tutti i popoli le fondamenta della religione degli avi ! Or qual differenza fra I’im- magine virile , barbata e diademata del denaro di Q. Tizio e del numrao di Tatino , e quella cosi leg- giadra , e quasi direi partecipe dei due sessi, secon¬ do le dottrine degli egizi e de’greci, la quale osser- vasi nella moneta di Ninno ? Ne parlo degli altri Mer- curi , trovati parimente nelle Gallic e pubblicati dal Montfaucon e dal Caylus : Mercuri egualmente di ef- figie greca o romana, e tali anch’ essi da render cer- (i) Ad Orosium, lib. VI * cap. VIl pag. 388- + I f? I ( 48 7 ) iissima la sentenza del Carli nelle Leltere americane , die la milologia non fu die da’ greci e da’ romani recata a’ popoli settentrionali. VII. Ma io vorrei die il mio dotto amico e cou- traddittore mi dicesse in quale precisa eta sliini egli coniata la moneta di Tatino , e quando Yivesse , e chi fosse il gallo che vi ha posto il suo noine. Io , signori , assolutamente non credo dover essere stata coniata in una eta piii antica della conquista di Ce- sare : avendo come ho per certissimo, che i galli non incominciarono se non dopo quel tempo ad usare nel¬ le cose pubbliche la lingua latina : greche essendo tutte le loro monete autonome che lo precedettero. E greche infatti dovevano essere : che non avendo i po¬ poli della Gallia , come altresi quelli della Germania e della Britannia , un carattere loro proprio alfabe- tico, ognun sa che in quella somma ignoranza e bar- barie adottarono , posciache tardi ne conobbero il bi- sogno, 1’ alfabeto della colonia focese , la quale re- gnando fra noi il vecchio Tarquinio aveva fondato la cilta di Marsiglia. Questo grecismo eh’ io chiamero tutto estrinseco e materiale, perciocche si ristrinse da prima a’soli elementi delle lettere, ne per somiglian- za di voci si slese a veruno di que’ tanti loro e si vari linguaggi, che dal greco furono appieno diversi, appartenne a tutta generalmente la iiazione de’galli, senza fame eccezione alcuna : ne pure per la provin- cia narbonese , i cui sicurissimi monumenti dell’ an- 61 * ( 488 > tichita che il tempo ci ha serbati , quelli cioe delie monete , sono tutti ugualrnente greci , anche dopo la fondazione a Narbona della colonia romana nell’anno varroniano DCXXXVI. Anzi senza fame eccezione per la stessa Gallia di qua daH’ alpe. Imperoeche se e vero che ad Acilio , citta della Venezia , appar- tengano le due monete autonome pubblicate dal Pel- lerin , sara pur vero che anche la Gallia togata in un suo tempo non antichissimo uso ne’ pubblici atti della nazione , per conformarsi alia brac.ita ed alia comata ( comeche i dialetti de’ paesi circompadani avessero i loro alfabeti italici , secondo che provasi chiaramente da parecchie iscrizioni euganee)^ uso , dissi j i caratteri greci : essendo con greca epigrafe ambedue quelle monete. Se non che io venero piii volentieri il giudizio dell' Eckhel r il quale non pur dubito de’ nurami di Acilio , ma dimostrossi incertis- simo se Ta Gallia cisalpina avesse mai avuta vera- mente moneta autonoma. Certo e, die’ egli (i), che fin qui non possiamo con fondamento affermare d’es- sercene rimasa alcuna precisa memoria , o alcun se¬ gno od esempio. A 1 qual giudizio recano oggi novel¬ la forza questi due chiarissimi nostri colleghi , i pa- dri Marchi e Tessieri della compagnia di Gesu : che fondandosi in molte gravi ragioni banno , per quanto (i) De doctrin. numm. vet. tom. I pag. 5. C 489 ) a me pare , omai con evidenza mostrato che le cele* bri monete riminesi di getto , con que’ loro simboli tirreni od italici , non solo non sono galliche , come alcuno stimo per la rozzezza dell’ arte : ne operate al tempo della nostra repubblica dopo la cacciata de’gal- li nel CCCCLXIII di Roma , come in vece opino il Lanzi: ma sono bensi anticbissime umbre , secondo che puo vedersi nella insigne loro opera teste pub- blicata suli’ aes grave del museo kircheriano. VIII. Ne sia chi pensi , accademici, che questo nome di umbra tanto valga appunto nelle nostre an- tichila , quanto quello di gallico, come alcuni banno favoleggiato. Perciocche parmi avere abbaslanza ri- sposto loro e il Guarnacci e l’ Olivieri ed il Lanzi , ed altri maestri dottissimi delle cose italiche : co’qua- li omai stara volentieri chiunque stranissimamente ri- fiutare non voglia tutte le ragioni della lingua , della religione , delle costumanze , della cronologia , delle arti : anzi la luce di tutla Y isloria. Gerto la gente degli umbri ( antiquissima Italiae , come la ckiama Plinio) tenne la regione di qua e di la dal Po in- nanzi la veuula de’pelasgi: e quindi il loro imperio fiori molte eta prima della guerra di Troia. Il che val quanto dire, ch’ esso fu intorno a que’ secoli , ne' quali le terre settentrionali d’ Italia , che per le osservazioni de’ geologi hanno a reputarsi le ultime del bel paese che cessassero di esser palustri, da po- che e rade popolazioni erano abitate qua e la : po- ( 49 » ) polazioni che da’ paesi nostri meridionali in tanto co¬ la passavano a dimorare , in quanto o per 1* opera degli uomini , o pel beneficio della nalura , quelle terre si lacevano atte ad essere coltivate. Ora appena v 7 ha dubbio, che ad antichita si alta que’ galli, i cui discendenti sono oggi cosi gran parte della gentilezza e della sapienza di Europa, non fossero tuttavia nella piu abbietta condizione di una vita orrida, selvaggia e quasi ferina : d’ onde la sola ignoranza , che i greci ebbero sempre de’falti degli altri popoli , dice il sa- vio Strabone (i), avrebbe senz’altro esame potuto trarli , perche fiorentissimi si stendessero per Europa o ad esercitare i loro tradici o a far conquiste o a fondare colonie. Non puo intanto esser quistione , cli’ ove il Ievarsi in artni e il passare di que’ feroci al guasto d’ Italia non abbiasi con Diodoro e con Giu- stino a porre negli anni circa GGG di Roma , non debba almeno volersi con Livio recare piu addielro del CLXIII: com’e pure certezza istorica ( se fra’cri- tici hanno a valere le testimonianze che ci riman- gono di scrillori gravissimi, anziche fingersene altre a capriccio, giuocando in tutti i sogni delle cougelture), che solo allora la prima volta da piede umano furo^ no varcate le alpi , che innanzi si slimarono avere a tutti difeso il passo : essendo favola che quegli altis- ■(f) Lib. V, cap. XXXIII. ( 49i ) simi gioghi e dirupi in altri tempi si porgessero fa- cili ad Ercole e alle sue genti. Alpes quidem (e Livio medesimo che parla) oppositcie erant, quas inexsuperabiles visas baud quidem miror , nulla dum via (quod equidem continens ulla memoria sit, nisi ab Hercule , si fabulis credere libel) super alas (i). Sicche vedete , o signori , eta modernissima rispetto a quelle de’ siculi , degli umbri , de* tirreni , de’pe- lasgi , degli etrusci I Yedete a die possano mai rie- scire , chi ben considera , le tante vanita di un’ an- ticliissima lingua celtica tra noi , onde non pur la latina , ma fin l* etrusca presumesi derivare ! No, col- leghi : V Italia primitiva , orientate d’ origine e di coslumi, non altrimenti che stata sia tutta quanta la civilta degli antichi popoli di occidente ( e scriva quanti sofismi sa immaginare Y ingegnoso Bailly (2) ) , I’ Italia primitiva niente pote indubitata- mente ricevere dalle genti di la dali’ alpe , troppo a que’ tempi salvaliche ; e molto meno il dono di un idioma con caratteri alfabetici , ch’ ess& non eb- ber giammai. Noi si per ben due volte demmo loro la favella de’ nostri avi : cosi quando vincemmo , ( 1 ) Lib. Y , cap. XIX. ( 2 ) Niuno piu vittoriosamente dello spagnuolo Gian Fran¬ cesco Masdeu La confutato questo francese. Yeili la sua Istoriit critica delleSpagne , tomo I parte II. ( 492 ) come quando fummo vinti da esse : essendoche coq grail senno gia dieesse il mio sommo Vincenzo Mon¬ ti : D/el fatto delle lingue non esser la forza delle armi che decide la lite , ma quella degli scritti depositari dell ’ umano sapere (i). La prima volta i * galli ebbero di qua dall’ alpe da noi la lingua etru- sca , allorche scesero con Belloveso : la seconda eb¬ bero di la dall’ alpe la romana , quando noi poscia guidati da Cesare , soggiogato avendo quella immen- sa regione , ne facemmo per tanti secoli una italiana provincia. Quest’ ultima lingua adoperarono essi nell’ usanza comune per ottocento e piu anni; e tanto loro giovo , com’ e noto , insieme colla germanica a dar forma e colore al nuovo si gentile e si bello idioma ch’ ora chiamiamo franeese. Dell’ altra servironsi coll’ andar dell’ eta nell’ Italia seltentrionale , dopo la discesa e le vittorie del CLXIII : essendoche troppo cliiara e solenne sia qui pure 1’ autorita del gran pa- dovano , cosi intorno all’ ampiezza dell’ impero etru- sco , che su tutta Italia si stese fino alle alpi; Usque ad alpes , excepto venetorum angulo (2); come in¬ torno al linguaggio dell’anlica madre , che a’suoi giorni parlavano tuttavia gli abitatori delle alpi, seb- ( 1 ) Monti, Dialogo X. ( 2 j Livio , lop. cit. ( 4g 3 ) bene per la fierezza de’ luogki divenuuti fieri ancor essi , in raolte parti lo corrorapessero : Quos loca ipsa efferarunt, ne quid ex antiquo > praeter sonum linguae y nec eum incorruptum, retinerent (1). Que- ste cose y o accademici, son positive : elle sono anzi le sole y che non pure la leaJta de’ nostri , ma si quella de’ lelterati francesi (di alquanti de’ quali mi e carissima 1* amicizia ) vorra concedermi esserci tra- mandate con piu sicura testimonianza dall’ autorita degl’ istorici : e ad impugnarle dopo tanto volger di secoli, e dopo la perdita irreparabile de’ piu anticbi linguaggi italici , e soprattutto dell’ etrusco e dell’ umbro dominatori, ben altro vuolsi che non so qua¬ le soltigliezze o immaginazioni di etimologie : merce T come ognun sa 7 di picciol’ opera cosi a farsi come a disfarsi : e quindi , se altro pregio con le si ag- giunga y d’ assai poco o niun credito fra’ veri dotti. Se non che quando ci darete voi, esimio Giampietro Secchi , cb’ io qui veggo ed onoro, quando quella si desiderata vostra opera in cui ci aprirete ( ed e cosa veramente da voi) eio che la vostra grande scienza delle antickita , e delle lingue massimameute orien- tali, ba con gravita di giudizio saputo ritrarre a di- cbiarar quello che delle anticbissime favelle de’nostri maggiori e potuto scampare alia distruzione de’ se¬ coli ? {i) Livio, Ioc. cit. 62 ( 4 <) £ ) IX. Ma lornando al principale subietto , d’onde, o colleglii , non senza alcun utile delle dottrine cbe corrono mi saro qui dilungato , non prenderb forse errore nel credere , che tutte le monete galliche , le quali recano scrilto in latino il nome di un brenno, o vergobreto , o magistrato gallo : corne, per esem- pio , quelle di Orcitirige , di Docio , di Arivo , di Tati'ro , di Tatino , di Ninno, e di altri; siaao state coniale di la dall’ alpe nel tempo die corse fra la cOJiquista di Cesare ed il triunvirato : s’ egli e vero, come a questi giorni scrivevami un solenne maestro ed amico carissimo ( il Borghesi teste lodato) , che solo debbasi attribuire a’triunviri 1 ’ aver tolto alia Gal¬ lia il diritto di piu battere moneta autonoma. Il ciie sara suggello al dubbio gia gravemente messo innan- zi dall’ Oderico intorno alle due monete col nome latino di Orcitirige : ed a lui dara vinlo , che esse non possano appartenere a quell’ elveto Orgelorige , di cui parlo Cesare come d’ uomo ambiziosissimo , il quale mori uno o due anni prima cbe si accendesse la guerra gallica. X. Ora se Tatino non pote vivere prima dell’ eta di Q. Tizio , cioe prima della conquisla di Cesa¬ re , ed al tempo della guerra marsica, in cui niuna provineia della Galiia usava ancora la lingua latina : e se non pole egli nella sua moneta rappresentare T immagine di una divinita originalmenle gallica , pcrche la religione dei druidi non aveva simulacri ( 4 9 5 ) con sembianza uraana ; di grazia vedete voi 7 acca- deraici , a che in fine risolvasi F obbiezione del rnio amico e collega. Ne gia per queslo vorro io ostina- tamenle persistere nella mia opinione : rna si chiede- ro con modestia di farvi osservare , che mostrato avendo come nel denaro di Tizio quella immagine non puo essere assolutamente gallica, ma si e greca o roraana : e fatta considerazione al pegaso ch’ esso ba nel rovescio, uno de’ simboli cognitissimi de’giuo- chi equestri ; niuno forse , s’ io mal non mi appon- ga , ha reso al pari di me si facil ragione di ambe- due le figure : recando cioe F una e F altra ad uno stesso fatto celebratissimo nelF istoria della repubbli- ca. Inlendo al sogno famoso di quel rustico Tito , che fu probabilmente Io stipite , d’ onde discese in Roma la gente Tizia : ed ai giuochi circensi , che per F autorita e maraviglia del sogno medesimo furo- no restaurati. Fatto dissi celebratissimo , chi legge soprattutto Cicerone , Livio ; Dionigi , Plutarco, Va¬ lerio Massimo , Lattanzio 7 Macrobio : e percio tale , che ben pole consigliare Traiano a reputare impor- tantissimo alle memorie romane si civili e si religio¬ se il rinnovare 7 siccome fece , il conio di un dena¬ ro che unico il ricordava. Che se indi mi si chiedes- se , perche F immagine posta in un denaro di Q. Ti¬ zio trovisi anche nella monela di un re^olo o maei- strato gallo : risponderei che forse Tatino ebbe pure alcun sogno a render famoso : ne trovando nel culto 62 * ( 4 9 6 ) de’ suoi maggiori ua’ iramagine che ne ritraesse la divinita , uso quella che occorsegli in un insigne de- naro , il quale per la conquista romana aveva gia corso pubblico nei suo paese. E gia tutti sanno quale credenza i galli prestassero a’ sogni : la cui interpret tazione stimavano soprattutto doltrina di quelle le- ne o druidesse, che dal profondo delle loro boscaglie stendevano un irapero non meno grande che temuto suir immaginazione di popoli ancora barbari. E se lieve iroppo sembrasse questa supposizione, risponde- rei in fine , che cio avvenne per la ragione medesi- ma, per la quale altre immagini di divinita greehe od italiche si Irovano nelle raonete parimente autonorae delle Gallie. XI. E qui resterebbe che io dicessi pure qualche parola , non della fantasia , che a me pare smisura- tamenle sottiie , di chi nella testa alata del denaro di Tizio voile ravvisare quella di Bacco psila : cioe di una deita ch’oltre all’ essere appena cognita in Grecia , ne slata mai ricordata da niun latino scrit- lore j lascerebbe appieno intatta la presente ricerca di sapere perche ella ivi si trovi, e perche come co- sa importantissima ai fasti o civili o sacri della re- pubblica , merito quella gran sollecitudine di Traia- no : ma si dell’ altra opinione che nel passato anno ci fu pur data dal sig. cav. Lenormant (i). Imperoc- (i) Nella Revue numismatique de Blois , volume de’ mesi di gennaio e febbraio 1 838 , a carte II. ( 497 ) che questo (lotto stimo nell’ immagine del denaro rap- presentarsi quel nume, che i romani chiamarono Mu - lino , Tilino o Tetino , nominato da Festo, e reputa- to il Priapo de' greci. Ma tanto piu volentieri me ne asterro , quanto che sembrami essere gia stata cou salde ragioni contraddelta da un altro illustre france- se, dal signor barone d’ Ailly. Nulla mi accade dovec aggiungere alle cose da questo numismatico disputa- te : se pur non fosse che il soprannome di Mutino non fu per avventura ne Titino , ne Tetino, ne Tu- tino , vocaboli che al tutto non sono di buon conio latino ; ma si Futino : come in alquanti codici di Lattanzio lessero ed il Vives ed il Le-Brun : come ha 1 * edizione del i A97 di quel grande scrittore eccle- siastico : e come in fine sariamente awiso il dottis- simo Heumanno. ( ) ' -fjfT (mu vl.' IsL sr.ij-xnjuf’Hda oib -v.\a onoi^mriii') huw'woi i oii:> ( 9mb:i loop ies^IaaE^q -r.iuqoi s .okf/I jrb cj.uiir t bViT? o QttV.V^ /..A f.-u ©u ir. i' .;9?07 Y oiw i n'' .i*>o ;p ; V: ;• ■ » /i ir cl f l "• ?•"!'. " ' v; •••; if. / '/. otenup f uTiob-s . ’ €••-.]V- no r- fciHs!..: .n’aco inon - : 9uhw ''.7 ■ {.* G . . /. Hi A. 'fa QU I • U 1DUJS : il . ... -x : :jq-ib QO:h>rr.h](i ••.* oJs>Bp u:> 9£00 oLo ’.no£nuig£tt Oi.ii .5 " . • b s&aoi non *mq oa : ol -uT an - jf.nil.oT aa r eaiiiT.6n r.inJnosiwi t. o id •"> I : 03(1 oJiol Ifi ado ilodsaov ( omi is: r.. >t:no t. G-rroo : ' ^ r : fn ; oul’g! biI or-.jo : Cii il; ii 1.9 asv-V li go Qua as I .cispiiiJcJ - 9 koo EGuJihaa sbar/ij; loop ib VG ^ 1 onoisibo L -ailicL i: frdvr:' c ‘ittrc-hflB oi.T ri 00109 0 : uoiteiua. .ouflfitpuoH oruie • • - . ' ! . ~ • EL 0 G 10 DEL SOHO OHDINARIO «4v% mmmwm V4&4&&&& ARCHITETTO LETTO DAL SOCIO ORDINARIO €&V. ChBMESSTE TOhtmi nell’ adunanza tknuta C$f Jk 1 3 3t WO i83y oiooja • 1 I oiznimitaso 01-302 ,iaa msiiM. OTTrii'IHDflA. 0 i'U /[(MO OIDOU J ' > OTT.i I XBOJEO'I E,Tm5SSM» . /TireiiT ixsa’/ouA, *aa w (ivii)i Cl!* r ^ /. i., I i. ' -A ( 5oi ) v . .0 U. « v ./: o C’ : , SSilCC :•- >L Lnfl'iO L:V. Ff-JL r Uu '{ -M I v#* r :^n: 1 j :\ onoy* i'ijL»o .< : -.;!LOO 0,' * ihjt; 0 J-iiSCii fli 0«9 i b *0i «►. s.,i) i: . i . \J r‘^. '•j •„ I C C. :001& . v. * ■ i •■ Lt) ,01!! ... . . ' £fi? -cecc : g;.'! ‘id! oh f £i*rt;k:&l jBycLii^'jcjsi)':’ : : ii;-' •' b .enoJ '• i,[ o engosib ii o i : '. :> ... t , i' ‘;o *: ■ . ’ 'j d • . Giuseppe Valadier romano, cavaliere della le- gione d’ onore , mancato a’ vivi il primo di febbraio 1839, in eta di anni 77, occupa un seggio particolare nella istoria dell’ architettura moderna. II gran numcro delle opere, che tutto empie- rono il corso della sua vita, lo ricorda uomo dedi^ cato interamente all’ arte; la varieta nella specie di esse lo diehiara uomo di genio; mentre 1’ abbondan- za dei concetti architettonici, non cbe la facilita di esprimerli , lo dimostra uomo costituito dalla natura per 1* arte. Se enuraerar volessi le sue fabbricbe eseguite e progettate dacche ottenne il premio in architettu¬ ra nel concorso clementino del 177!), dovrei presen- tarne uua lunga serie. Ma essa con bell’ ordine e stata gia esposta nei pubblici giornali dal chiarissimo col- lega nostro sig. cav. P. E. Visconti ( nell’ Album anno VI, N°. 12). Solo diro che e a slupirsi in leg- gere come al Valadier, yissuto in tempi guerreschi e 63 (Jodi?)) di generate deficenza, tante occasioni siensi presenta- te per 1* esercizio dell’ arte sua , e tanti sieno gli edifici da esso innalzati in Roma e nello stato ponti- ficio: sicche e forza convenire, aver egli tenuto il domi- nio sulla opinione, ed essere state im tempo in cui non s’ intraprendeva fabbrica , della quale non fosse sua o 1 ’ idea o il disegno o la direzione. Se quindi tut- te ricordassi le altre opere , sia per decorare son- tuose feste o per preparare maguitlci funerali ' r sia per distribuire grandiose luminarie o disporre fuochi artifi- ciali ; sia per ripartire giardini e passegiate ; sia di ogni altro congegno meccanico ; stancherei la voslra attenzione, ed esporrei cose appartenenti alle arti mo- derne che propriamente si addicono alia rornana ac- cademia di san Luca , della quale il Valadier fu so- cio professore lino dall’ anno 1798. : Ma poicbe il genio del Valadier non conobbe ne leggiy ne confini, potremo da queste aule facilmente ritrovarlo fra le antichita dell’ architettura rornana in mezzo alle sue diligenti ricercbe e misure. E’ la dove coll’ opera confermo V esistenza dei piu bei mo- uumenti, profittando opportunamente delle occasioni dategli dal governo, allorche con magnanimila e con- siglio determinossi al generate dissotterramento dei mo* numenli anticlii e si accinse alia restaurazione di essi. Acceso pertanto il Valadier dal desiderio di dare opera alle illustrazioni archeologiche di essi , si as- socio al chiarissimo Filippo Aurelio Visconti (di fa- ( 5 o 3 ) miglia e di memoria sempre pregevole per le arti) ed all’ intelligenlissimo Vincenzo Feoli per le incisio- ni, onde fare di pubblico diritto le diligenze , le fa j ticbe e gli studi da loro assunti. Fu del Valadier il commendevolissimo divisamen- to di abbandonare 1* antico metodo delle autorita e Iradizioni, e di meltersi soltanto per la via delle ricer- cbe e de’ confronti: talche la raccolta de’ suoi monu¬ ment! non solo ci presenta la verita di quelle fabbri- che e della loro architettura , ina ci somministra lo studio delle differenze coi magistrali precetti di Vi- truvio , e la cognizione delle aberrazioni di coloro , cbe troppo seguendo le congetlure, avevano immagi- nato restauri e cose non applicabili ai ruderi stessi ed all’ arte , la quale e la vera direttrice in quesfo ramo di perquisizioni antiquarie. Cinque sono i monumenti riuniti nell’ ultimo to- mo in foglio, in diversi tempi dati in luce dal tipo- grafo De Romanis. Nel 1810 comparve il tempio di Antonino e Faustina , di cui si doleva il Valadier di aver ritro- valo quasi del tutto mancaute la cella pe* suoi con- fronli vitruviani, cui pero pote stabilire per esastilo, picnostilo ed eustilo ; a cagione della maggiore lar- ghezza dell’intercolunnio di mezzo. Fra le molte os- servazioni, la piu rimarchevole si e quella della sin- golarita del corniciOne coll’architrave a due fasce , del fregio alto e della cornice senza modiglioni e 63 * ( 5o4 ) senza dentelU , dei quali crede egli di ritrovare 1 * in- tenzione in queila fascia che e tra V ovolo e la gola dritta inferiore. Nel 181 3 si videro pe’ medesimi tipi i templi della Sibilla in Tivoli e di Vesta in Roma, dei qua¬ li ritenne le denominazioni comuni. Accagiona egli con giusto criterio alia situazione di una rupe emi- nente la doppia qualifica del tempio tiburtino in pe- riptero e monoptero, cbe poi per la proporzione degl’ intercolunni e anclxe sistilo. Immagina che per sati¬ re al tribunale ed al tempio vi fosse una scala a due brancke, con ripiano in mezzo, avanti la porta del tempio addossate al basamento a seconda della sua curvatura. Questa opinione pero venne da qualciino contrastata, e si crede cbe la scala fosse d’ una sola branca diretta contro della porta del tempio. Quanto alia forma ed alle proporzioni generali , questo tempio si conforma alle leggi vitruviane. L’ or- dine pero , benche se ne allontani, apparisce elegan¬ te ed ammirabile. Cosi 1 * imponente ed alto piantalo; la parsimonia stessa delle frondi nei capitelli ; la incur- valaedintesa frappatura di essi, ed il rilevato intaglio del fregio, sono bellezze da doversi attribuire, e vero, al luogo , ma che dimostrano con quanto giudizio adat- tavasi 1’ architettura e la scultura alle circostanze local!. L’ altro tempio di Vesta in Roma, rotondo, peri- ptero , picnostilo anch’ esso ( come quello di Tivoli, ( b'o5 ) che poggia il toro maggiore sopra il basamento ), pone il toro sopra i gradi che girano d’ intorno, e si ap- prossima piu che Y altro ai precetti di Yilruvio. Il capitello pero e molto piu alto, con fogliami di oliyo di sveltissima figura , a cui manca affatto il corni* cione : ed e troppo insignificante il picciolo fram- mento di gocciolatoio con gola, che fu rinvenuto in quegli scavi, per dedurne o le proporzioni o le mem- brature. Comparvero quindi nel 1818, per gli stessi tipi, i templi in allora detti di Giove Statore e di Giove Tonante. Quanto al prirao, che nomina tempio di Caslore e Polluce, si conohbe, merce degli scavi fatti, che le tre colonne superstiti visibili non appartenevano alia fronte, ma sibbene al lato del tempio: e che il prospetto era realmente di otto colonne , come lo indica Palladio , e non di sei, come lo die il Labacco: onde si ritiene per un tempio periptero , octastilo e picnoslilo, pog- giato sopra un alto basamento, e munito di gradinata in parte continuata ed in parte a branche. Grandioso e P ordine, e nell’ insieme corrisponde alle proporzioni che assegna Yitruvio: sebbene parti- tamente piu alto ne sia il capitello, basso Y architra¬ ve ed il fregio, ed alia la cornice. Sono di una squi- silezza impareggiabile il capitello con fogliami di a- canto , di olivo e di lauro ; la corrispondenza esatta dell’una membratura sull’altra ; la composizione elegan- 63 ** ( 5o6 ) te degli ornati, il profilo e quegli intagli ; ond’ e che a ragiooe si nomina i’ Apollo deH’arckiiettura. E bene si avviso il Valadier di estendersi ia piu esatti e qu* merosi dettagli, che tutto il suo gusto appalesauo e la studio che vi poneva. Altretlanto studio ed il sempre crescente impegno si manifesto anche piu nella illustrazione deli’altro tern- pio di Giove Tonante oetastilo , picnostilo , pseudo- periptero, egualmente prezioso e per le proporzioni dell’ ordiue e per la finitezza particolare degl’ intagli. Yi ritrovo il podio e la graudinata : ma nel tutto po- ca corrispondenza alle regole vitruviane, speciatmen- te nell’ altezza veramente significante di un corintio di diametri undici e mezzo, e nella bassezza dell’ inta- YQlalo minore di un quinto delle colonne. Anomalie che, in un giorno di nostre ordinarie visite al foro colla coramisaione d’ antichita, indusse- ro il Yaladier ad esclamare: Dover ogni architetto »> seguire liberamente il suo genio ed il suo giudizia. » Ma il formare questo giudizio e grande opera di diffi- colta : ed io ripeterei sommamente pericoloso il pro- clamare senza riserva questa massima ai giovani ar- chitetti, prima che avessero collo studio conseguito il criterio dell’arte, giaccke facilmente si passa il con¬ fine del retto, e si cede alle seduzioni della libera maniera e del capriccio. Finalmente il nostro Vala- dier si occupo della colonna di Foea, fino allora cro- duta un avanzo di ternpio : e voile a questa appli- ( 5g>7 } care eziandio le regole di Vitruvio , dalle quali gli serabro che non molto si diseosti. Yoleva proseguire si bella ed utile intrapresa , ed aYeya gia in pronto i tre templi di san Niccola in carcere, l’anfiteatro Flavio, ed altri disegni che si con- servano tuttora dal Feoli ; ma scioltasi la societa, piu non si vide in alcuni faseicoli seguenti ne V opera ne il nome del Valadier, il quale erasi gia dedicato a rivedere la pregiata opera di Desgodetz sulle fab- bricbe anticbe di Roma, allorche voleva farsi una nuo- va edizione colle tavole incise dal Feoli, e cosi colie correzioni ed aggiunte del Valadier rendere in certo modo la edizione romana superiore alia francese. Nonostante si lodevole disposizione, e quantunque por- iati fossero a compimento i disegni e le incisioni, rimangono questi ancora inediti presso la calcografia camerale. Fra esse aggiunte e correzioni sono rimar- chevoli quelle fatte al Pantheon , all’ anfiteatro Fla¬ vio , al tealro di Marcello , agli arcki di trionfo di Tito e di Alessandro Severo, ed in fine a quell’ edifizio denominato volgarmente i bagni di Paolo Emilio, di- scoperti in gran parte dopo il Desgodetz. E qui faro i piu fervidi voti, perche a beneflzio dell’ arte siano pubblicate taliopere, non meno che i disegni dell’are¬ na del Colosseo esistenti presso il cav. Luigi Canina, fat- ti in grande dettaglio e misurati diligentemente dal Valadier nel poco tempo che restarono discoperte quel¬ le sostruzioni : oggetto di tauto dubhio da prima e di i ( So8 ) tanle discussioni da poi , e che determinano il modo con cui gli anlichi contenevano entro solterranei ri- cettacoli le fiere che si destinavano ai giornalieri spet- tacoli dell’ anfiteatro ; quantunque pero di iale ritro- vato coraparissero nel 1812 le osservazioni sull’arena e sul podio con disegni dell’ architetto cavaliere Pietro Bianchi, e benche ne abbiamo ora una tavola incisa nella Roma del 1 833 del chiarissimo collega signor professore Antonio Nibby. Con piu trasporto ancora si rivolse il nostro in- defesso architetto alia parte esecutiva dell’ arte , e si pose lutto a seguire le idee del governo direlte a ri- pristinare i monumenti colle riparazioni. Fu prirno nell’anno 1821 il ristauro dell’arco di Tito, di cui non restava che il basamento ; la poca trabeazione dell’ ordine sotto la gran pietra della iscri- zione verso mezzo giorno, con due coloune; el’intero archivolto sostenuto dai laterali piloni mutilati e mancanti delle decorazioni. Indebolita la resistenza dei piloni contra la spin- ta dell’ arco , i cunei di cui e composto esercitavano il loro sforzo meccanico contro di quelli, e 1’ induce- vano a ruotarsi su loro stessi. I cunei posti in movi- mento discendevano pe’ letti , ne scollegavano il si- sterna , e si approssimava la ruina del monumento. Fosse provvidenza o caso, fu per noi forluna che in tempi, in cui niun conto si faceva di tali cose, venisse addossato all’ arco nella parte orientale un granaio, e ( S°g ) nella parte occidentale uno sperone a sostegno dei grandi massi di travertino sovrapposti per formare una torre. Dae metodi furono proposli net 1820 per la riordinazione dei cunei spostati e discesi : il pri- mo, del tutto meccanico, consisteva in rialzarli a for- za di yitoni, e rialzati fermarli di sopra con ferri : ma questo, proposto da una commissione di architetti (Scaccia e Martinetti , ai quali ebbi V onore di es- sere associato ancor io ) , fu rigettato, siccorae incerto neir esito e pericoloso nella esecuzione : e fu abbrac- ciato T altro del Yaladier piu semplice e sicuro > di disfare cioe 1’ intero arco , e qnindi sopra una resi- stente e ben centrata armatura di legnaine ricompor- lo ai posto con gli stessi cunei da prima numerati e po- scia assicurali con perni impiombati : i quali perni ed impiombature con esempio raro non si trovarono praticate in questo arco. L’ esito fu felicissirao, ed il Yaladier vi aggiunse poi il restauro in travertino senza intagli, per ben distinguere 1’ antico dal moder- no. Fu rimarchevole in questo restauro la colonna angolare , della quale il Desgodetz ci aveva data una collocazione diversa, ponendola di faccia con aletta all’ angolo. Ma dopo che se ne scopri il basaraento e la pianta, appari chiara e propria la collocaziooe del Valadier. La sola cimasa dell’ attico , di cui non si ritrovo reliquia, fu dal medesimo desunta dagli ar- chi di Ancona e di Benevento , avendo questi un tipo simile al nostro di Tito. ( S'o ) E nel menlre cosi si operava sulle alture della via sacra, si preparava una piu interessante operazio- ne con un piu impouente lavoro. Minacciava da due lali il Colosseo. Quel Pio VII, che era di gia accorso a sostenerlo dal lalo di levante con un gigantesco sperone, lo voile assicurare da quello di ponente ; e per mezzo deU’eminentissimo camerlengo ne affido al Vala- dier la cura : il quale con bel divisaraento immagino di secondare P architeltura del gran monumento, conti- nuando le arcale stesse a numero disuguale in ogni ordine , cioe tre nel primo, due nel secondo ed uno nel lerzo , delle quali la estremita in profilo forraas- se una figura piramidale : e cosi mentre in costruzio- ne si fabbricava uno sperone , in architeltura si ri- vendicava l’anfiteatro, e si dava un esempio ed ecci- tamento a seguirne il sistema. Immagino pertanlo il nostro architetto una/ colossale armatura di legname a castello, diretla piu a comodo della lavorazione, che a sostenere quei grandi massi pericolanti; si sbadac- ciarono i vani delle contigue arcate e finestre : si appunlellarono le pielre, e dopo tre anni si venne all* opera, la quale ha di travertino soltanto la meta dell’ altezza dei primi piloni , le imposte degli archi , le basi delle colonne , i rispettivi capitelli e 1* ultima membratura dei cornicioni. Tulto il resto e in lateri- zio , col quale si sono fedelmente imitate le antiche scorniciature : il tutto patinato a travertino, onde piu si accostasse a quel colore. E quest* opera venne con- C 5 n ) dolta con lale perizia ed esattezza , che mentre yie- ne distinto dal moderno, non isfigura essa unita a quel monumento insigne per 1’ architettura , per la mate¬ ria e per la grandezza. Quindi pregevole e di gran lode riusci tanto per la solidila, quanto pel soddisfa- re clie fece in parte le concepite speranze di quella to- tale restaurazione Altri minori restauri opero il Valadier , siccome uno dei componenti la commissione generate consul- tiva di antichita e belle arti, nel Golosseo stesso, nel foro romano , nelle terme di Caracalla , nella casa aurea, nel tempio di Bacco ed in altri luoghi : e per ultimo fece il modello e suggeri 1’ idea di sgombrare il grande monumento di Claudio a Porta Maggiore : operazione eseguita poi dalla commissione suddetta, clie riscosse la vostra approvazione e la soddisfazione di tutti gli arcbeologi ed arlisti si nazionali e si ol- tramontani. Fu nel principio di questa operazione clie il ca- valiere Valadier infermo: e fu nel tempo della prosecu- zione di essa cbe sopporto egli la lunga malallia che lo condusse al suo fine. Ma quautunque infermo, ri- cerco sempre del monumento di Claudio ; ne parlava cogli amici ; e qualcbe volta negli intervalli di mi- glioramento si fece condurre a Porta Maggiore per os- servare con compiacenza quanto si eseguiva dai col- legbi, e quanto si discopriva di quell' opera. Questa pero fu P ultima sua contentezza in terra: poiche piac- i & 12 )) que a Dio in qqe* giorni (cioe d ui i Ui febbraio 1839) di chiamarlo a se nei cielo. La sua raemoria ha mo- numenti stabili. L’ instituto di Francia, 1 ’ instituto degli architetti di Londra, ai quali era ascritto : la sociela italiana e tulte Ie accaderaie di belle arti, a cui era addetto: gli stabilimenti pubblici e le particolari aziende che lo desiderarono , lo terranno sempre certamente ia pregio come uomo di genio , come uomo dell’ arte. La nostra accademia e la commissione di antb chita riconosceranno nel Valadier V archeologo bene- merilo, degno dei aostri elogi e di quelli della po¬ sterity. ( 5.3 ) INDICE f];:' 1 DI QUANTO SI CONTIENE KEL , i i. ■ 'Vi ■ & ©ISLILH JDipSlIBfAM®!! CiOO''^ (-'■ fh-J . > DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ROMANA ' rr. • n n! 1 \ IT 1 I , DI ARCHEOLOGIA * • O v !_• V & » ♦ * • * * • I r< ! ..'.' 1 r *r • Notizia delle adunanze ordinarie e straordinarie tenute dalla pontificia accademia roma¬ na di archeologia dal mese di dicerabre dell’anno i 83 S , a tutto il mese di di- cembre delT anno i 83 g. . . pag. I. Catalogo de’soci ordinari, onorari e corrispondenti della pontificia accademia romana di ar- * • t | t i ! ( - . . , clieologia nel mese di maggio 184.2. j> I. I. Orazione funebre delta nella cbiesa dell’archi- - . A ill > ginnasio dal cavaliere Pietro Ercole Vi- Leonti commissario delle antichita e se- • gretario perpetuo, in occasione delle solenni esequie fatte dalP Accademia J.UOfr .' ii ( i o Vi!'] 1 • ••>•' 64 ( 5 i 4 ) medesima al marehese commendatore Luigi Biondi, gia socio ordinario e pre- sideute.pag. i II. Di un nuovo tratto delie catacombe de’ saati Marcellino e Pietro scoperto nella vigna Del Grande sulla yia Iabicana. Illustra- zione letta dal cavaliere Pietro Ercole Visconti, commissario delle antichita e segretario perpeluo, nelie adunanze tenu- te il di 20 dicembre 1 858 e il di 17 gen- naio 1839 ( con tre tavole in rame ). » Parte prima . . ,.» 43 Parle seconda.. Appendice. ..» III. Intorno ad un nuovo diploma militare delP imperadore Traiano Decio. Dissertazione del socio corrispondente Bartolomeo Bor- ghesi letta nell’ adunanza tenuta il di 1 3 di giugno 1839 (con ma tavola stampata ) .» 12 5 IV. Intorno ad un sepolcro disotterrato nella vi¬ gna del conte Lozano Argoli. Disserta¬ zione del socio ordinario cavaliere Luigi Grifi letta nell' adunanza tenuta il di 5 di aprile 1839 (con tre tavole in rame) .pag. 221 V. Giove CEAXAN02 , e 1 * oracolo suo nell* antro ideo, 1’ uno e V altro riconosciuti nella t— 00 ( 5.5 ) leggenda e nel tipo di alcune monete di Feslo , citta cretese. Dissertazione epistolare del socio ordinario e censore padre Giampietro Secchi della compa- gnia di Gesu indirizzata all’ illustre ar- cheologo signor don Celestino Cavedoni conservatore del reale medagliere esten- se, e letta nell’ adunanza tenuta il di 3 1 digennaio i 83 g ( con una tavola in rame alia prima pagina della dissertazione . » 33 1 VI. Intorno ad alcune antichita tusculane recen- temente scoperte. Dissertazione letta dal marcliese Luigi Biondi presidente nell* adunanza tenuta il di 21 di febbraio i 83 g (conma tavola in rame . . . » 671 VII. Sulle trenta colonie albane. Dissertazione del socio ordinario e censore cavaliere Luigi Canina, letta nell’ adunanza tenu¬ ta il di 7 di marzo 1 83 g. ( con una ta - vola in rame) .» 3 9 5 VIII. Sul circo edificato da Adriano, vicino al suo mausoleo, per celebrare il natale di Roma nell’ anno DCCCLXXIIII. Disser¬ tazione del cavaliere Luigi Canina socio ordinario e censore, letta nell’adunanza tenuta il di 18 di aprile 1839 ( con una tavola in rame ) .pag. 43 1 Appendice • Relazione della scoperta del circo di Adriano fatta ne’ prati di Ca- 64 * ( 3>6 ) stello sanC Angelo, per ordine della san- tila di papa Clemente XIV, con alcune rillessioni e memorie spettanti al me- - desimo circo , compilata il di i4 otto- bre 1743 dal reverendissimo padre aba¬ te don Diego De-Revillas dell’ordine di san Girolamo ( con una tcivola in » 433 rame ). IX. Intorno la moneta gallica di Tatino. Disser- tazione del socio ordinario e censore professore Salvatore Betti, segretario dell’ insigne e pontificia accademia romana di san Luca, letta nell’adunanza tenuta il di 16 di marzo 1839. . . : )) 47 1 X. Elogio del socio ordinario cavaliere Giuseppe Valadier architetto, letto dal socio ordina¬ rio cavaliere Clemente Folchi nell’ adu- nanza tenuta il di i 3 di giugno i 83 g * 499 Y I S T 0 DALLA CENSURA ACCADEMICA Salvatore Betti Luigi Cardinali Giambattista Rosani Giampietro Secchi Luigi Canina imprimatur Fr. Dominicus Buttaoni O. P. S> P. A- M. IMPRIMATUR Joseph. Canali Archiepiscopus Colossensis Vicesgerens. f. I . < . I ■ / ev:i < / 1 I DI UN MO VO TRAXTO illlt QmCOMIl »E’ SANTI MARCELLINO E PIETRO SCOPERTO NELLA VIGNA DELGRANDE SULLA VIA LABICANA ILLUSTRAZIONE LETTA DAL CAVALIERE PIETRO BECOME VISCOHTI COMMISSARIO DELLE ANT1CHITA E SECRETARIO PERPETUO DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA EOMANA WELLE ADUNANZE TENUTE i St x. » 4 S3 8 » i » j • , . : 1 '• . . ... ; A.?, 3 ? : h • .-*»*•}••• r > » ' ' . i • . s - 0 \ ' 0 t ( 45 ) ' 1 1 i ... ".j < ....... . » . PARTE PRIMA Jnsigne pregio della nostra citta eletta da divino consiglio a cosi eccelsi destini ! .Que’ campi, che fen- de la marra e su cui si aggrava l’aratro , mentre ce- lano quasi per ogni dove alcun ayanzo ammirando delle arti e del lusso dei maggiori nostri dominatori del mondo , serban pure nel piu intimo e piu ripo- sto , come cosa piu cara, le testimonianze di quella fede , che qui , dov’ ehbe piu infesta ed acerba la guerra , aver poi doveva un trionfo durevole nella lun- ghezza de’ secoli. I primi nostri fedeli, quella nazio- ne fuggitrice di luce e arnica sol di latebre (i), ripa- rati ai sotterranei recessi , che gia fur cave di poz- zolana o di arena (2), vi stabilirono la prima sede ( 1 ) Latebrosa et laxifugax natio , in publicum muta , in angulis garrula , son detli i cristiani presso Minucio Fe¬ lice in Octav. ( 2 ) Sono note in questo proposilo le autorita degli anti¬ chi scrittori : Cicerone, pro Cluent. c. XIII.; Svetonio, in Nerone § XLVIII ; Vitruvio, de architect. 11. IV. (46 ) roixsana , e soffrendo e sperando , la consacrarono co* loro patimenli } 1* abbellirono con le loro speranze. E qui a gran periglio deposero , e qui gelosaraente serbarono le spoglie di quegl’ invitti , che in genero- so agone s’ incoronarono del martirio. Cosi le roma- ne catacombe , luoghi di preghiera e di asilo , abi- tazioni insierae e sepolcri , si accrebbero coll’accre- scersi di quella religione , che in esse occultava i suoi santi misteri , celebrandoli sulle ossa di que’ ma- gnanimi , che le avevan reso testimonianza col san- gue. A chi veduta non 1 ’ abbia , non puo figurare il pensiero la cieca ambage di lunghissime vie ? che si occultan sotterra : umili spesso ed anguste : talo- ra piu spaziose e men basse ; ora guidano inaspet- tatamente all’ aperto di venerate cappelle ; ora a sca¬ le , che ascendono , o che discendono; ora a stra- de piii profonde e piu interne. Le quali poi s’ incon- trano , si separano , si ritrovano ; e coll’ alternare i loro giri , col mutare d’ ordine e col non aver- ne , formano di se stesse an laberinto vastissimo ed iueslricabile. Quando, dopo una guerra cosi lunga ed un guer- reggiare cosi crudele , spunto alia fine per la chiesa il giorno di pace , Roma ebbe a maravigliare , tro- vando se essere tutta circondata all’ inlorno di tante sotterranee citta, quanti erano i cimiteri cristiani, Allora si conobbe quale immeoso numero di vittime fosse stato il prezzo della vittoria : si rese allora ma- ( 47 ) nifesto giacere in queste catacombe una lurba cosl grande di fedeli, che si sarebbe creduto appena , Che morte tanta n* avesse disfat/a (i) ! E allora il csistiano poeta, inspiratosi a quelle tombe, cantava : Fix fama no/a est abditis Quam plena sanctis Roma sit, Quam dives urbanum solum Sacris sepulcris jloreat (2). Di questi santi nascosti , di questo fiorire de’ sacri sepolcri , la via labicana si pregia quanto altra , o si voglia riguardare il numero , 0 piaccia considerare le religiose memorie , 0 la vastita delle catacombe , che si trovano lungo di essa. Perche in- cominciando dal primo miglio fuori della cilia , qui si apre la catacomba di Castulo ; e inoltratisi al ven- tottesimo , si trova quella di s, Ilario. Nessuna pero vi e maggiore di quella fra il secondo miglio ed il terzo y denominata di s, Tiburzio y de’ ss. M^rceili no e Pietro y di s, Elena e Infer duas lauros , Tutta ( 1 ) Dante, Inf. c. Ill, v. 5 j. (a) Prudenlius r Hymn. II de s. Laurentio, ( 48 ) occupando per lungo spazio la vicina campagna , pre-; senta , siccome ne scrisse il D* Agincourt, c vie sen- za numero e senza fine , nelle piu larghe delle quali sconiransi cappelle ed oratorii in buon numero (i) j. E gia coll’ ingenuo suo stile Eautore delle osserva- zioni sui cimiteri de'martiri , t ne aveva del tale queste parole : « II sito di questo cimitero , celebre ne’ mar- tirologi e negli atti dei santi martiri ) e distante da Roma ( giusta le anticbe misure ) tre miglia , e dal- la porta maggiore piu di due, vicino al mausoleo di s. Elena , delto volgarmente in pigncittara. Si stende solto le vigne adiacenti , ed e quasi d’ immensa gran- dezza ; poiclie sebbcne la diligenza del Bosio ne cavo la pianta, che si scorge nella Roma sotterranea, tut- tavolta ancbe nei tempi del Guizzardi e di monsignor Buonavenlura, ed anche ncl mio, si sono scoperte piu strade.ed altre ancora ve ne rimarranno a scuoprirsi a noi ancora incognite, a cagione di alcu- nc rovine, che in vari luoghi di esso impediscono il carainino (2). » Che il dotto uomo non si apponesse al vero , e che altre strade di quel vaslissimo ciraiterio rimanes- (1) Sloria della decadenza dell arte. Tom. II a c. 64 edt- zione di Prato. (2) Boldetti, Osservazioni sui cimiteri de’sj. martiri. Eib.II cap. XVIII a-c. 563 . ( 49 ) sero ancora a scuoprirsi, lo ha reso evidente il lid- bil tratto di catacombe , che fortuitamente e venuto a trovarsi nella vigna de’ signori Toinmaso e Natale fratelli Delgrande al terzo raiglio della yia labicana. A simiglianza di quello che a memoria de’ padri no- stri accadde nella vigna Sassi in sulPappia, per lo ri- trovamento del sepolcro degli Scipioni (i), e qui av- venuto , che in ampliare una grotta s’ incontrasse un (i) I proprietari del luogo, volendo nell’anno 1780 dlla- tare i sotterranei del casino , s’ avvennero in due grandi ta- vole di pietra albana , nelle quali Giovanni Battista Visconti , mio avo (che sosteneva allora 1’ ufficio stesso che io sosten- go di commissario delle anticliita romane ) riconobbe con- tenersi P epitaffio di Publio Cornelio Scipione. Tale scoper- ta diede luogo ad altre ricerche: e finalmente per le istanze del lodato Visconti il pontefice Pio VI fece eseguire a sue spese lo scavo e il ristauro di tutto il luogo. Si ve- da F Antologia romana vol. VIII , dove si da notizia di tali scoperte dallo stesso G. B. Visconti, dicendo i giornalisti non poter meglio informare il pubblico « quanto col servirsi « dello stesso ragguaglio che ce ne perviene del dotto e cele- « bre commissario delle romane anticliita , il signor abate Gio. « Battista Visconti , che ha ben ragione di esser lieto di que- « sta sua interressante scoperta , la quale serve pur moltissimo « a segnalare il tempo del suo illustre commissariato ». In fatti a c. 244 di quel volume si ha uno scritto del Visconti in pro- posito ; come a c. 249 e 2^7 le lettera dal medesimo scritta al cardinale Guglielmo Pallotta, pro-tesorierc, intorno alio sco- 7 ( 5o ) antico sotterraneo. Era questo ripieno tutto di una ter¬ ra compatta ed argillosa , che dimostrava di esservi dimorala da secoli. Intrapresero i signori Delgrande a votarne il luogo , prima con animo di giovarsene nella rustica azienda ; poi , avvisatone il pregio , per quell’ amore alle antiche memorie, cli’ e quasi parti- colare e proprio di ogni romano , e piii di loro che culti sono e genlili. Quando il lavoro toccava il suo termine , apparve il sotterraneo di non comune vasti- ta ed ampiezza , e si couobbe esser nell’ intera lun- ghezza ornato di un pavimento a musaico. Erano in tale stato le cose, allorclie mi venne invito dai lodati signori , per l’ufficio che sostengo di commissario del- le antichita, di recarmi ad osservare il luogo scoper- to, affermando che fosse singolare monumento dei pa- gani. Come pero lo vidi, cosi prontamente riconobbi essere monumento singolare in vero ; ma da aversi in pregio tanto maggiore , quanto mi appariva cer- primento dell’ urna di L. Scipione llarbato. A 1 quale porpora- to diresse pure altra lettera sopra altre scoperte , che si legge a c. 187 del nono volume della stessa Antologia. Anterior* mente ne aveva pure scritto a monsignor don Romualdo Bra~ sclii Onesti, nipote di Pio VI e maggiordomo de’sacri palazzi e quella lettera e nel vol. VII a c. 877. E. Q. Visconti det- to una speciale illustrazione del monumento degli Scipioni. y. Ed. mil. delle Opere varie, vol. I. ( Si ) to , anzi 5 che ad opera e meraoria di gentili , aversi a riferire a raemoria ed opera dei primi nostri fedeli. Forse questo vero poteva non apparire in al- lora manifesto egualmente a ciascuno. Ma a chi aves- se contezza delle cose della crisliana anlichita, , non polevano rimanere occulti quegli speciali caratteri, che allontanayano il lnogo dal noto aspetto di gentilesco sepolcro , avvicinandolo all’ altro pur noto di cata- comba crisliana. Si vedevano gia quelle tombc ar¬ cuate , che sovenle s’ incontrano nelle piu cospicue parti de’ cimiteri , e intorno alle quali gli scrittori della Roma sotterranea banno stabilito doltrine , da non si potere offendcre , senza che la religione non ne rimanga offesa. Si yedevano da questo centro piu va- sto ed ornato dispiccarsi vie piu uraili ed anguste , scavate per entro la pozzolana: e se incerta ne rima- neva la lunghezza , appariva certo pero accostarsi quella disposizione alia ben nota de’sacri arenari. Poi eaa a considerarsi: non inconlrare in tutta V ampiezza del sotterraneo segno alcuno di paganesimo ; e che ne marmi quivi si rinvennero , ne frammenti scolpiti , ne iscrizioni , ne , dal musaico in fuori, cosa alcuna che d’arte fosse. Tutto appariva esserne stalo ritolto : tutto, infino alle ossa de’ numerosi estinti che vi posa- rono. Particularity sulla quale ritorneremo in progres- so ; ma ch’ era da ponderar gravemente } quando nei pagani sepolcri , frugati ancora in piu vicina epoca di quella che dimostravano esser trascorsa dopo lo spo- 7 * ( 52 ) glio di questo Iuogo , le terre addensate in esso oltre ai frammenti di vario genere , si trovano sempre le ceneri e le ossa state in essi deposte , intatte } co¬ me inutili , alhavidita de^ ricercatori. Ne queste cose , che di prima fronte e quasi di per se si offerivano al pensiero e alio sguardo , erano poi le sole , che 1* archeologo avesse a scorta , onde retlamente giudicare dell’eta e dell’ uso dell’ipo- gco discoperto. Bastava innalzare gli ccchi alia volta , che tutto lo coperchia , per riconoscere che si apri- vano in essa non meno di cinque ben larghi spiragli, pe’ quali la luce vi penetrasse* Bastava ben conside- rare il pavimento , per avvisare a dieci pietre che vi stanno murate , le quali per un foratne quadrato, che hanno nel mezzo ciascuna e pel Iuogo dove son poste, si manifestano aver servito di base a cosa che su vi rimanesse fissata. E non era di lieve momento il trovar queste pietre disuguali nel taglio, nella ma¬ teria , nella grandezza ; ed era poi di momento gra- vissimo , che 1’ una di esse fosse parte di una paga- na inscrizione , e che tuttavia ne serbasse incise al- cune parole. I musaici stessi , raro se non nuovo or- namento di catacornbe , nulla recavano che sostegno fosse al pensare y il Iuogo essere stato di pagani. In cinque quadri a colori , non vi e figura , non allu- sione , non simbolo, che senta le religioni degli etni- ci. Mostrano anzi appunto il contrario : un evident© e notissimo emblema cristiano. A rendere il sotterra- ( 53 ) neo simile affatto a quanti altri cimiteri si conosco- no , mancavano , & vero , o certo sembravano man- care , i sepolcri orizontalmente incavati per entro al vivo delle pareti , e F uno all’ allro sovrapposti; se¬ polcri che la cattolica archeologia ha difeso mai sem- pre come unicamente ed esclusivamente propri degli antichi cristiani ; ma non si era peranco fatta ricer- ca veruna , onde stahilire se questi vi fossero stati. Un esame piu. diligente ha poi avuto per risultato il dimostrare , che vi furono in fatto , e non in picco¬ lo numero , ma in grande , come sara narrato a suo luogo. A queste riflessioni mi Iasciai gevernare ed a questi fatti, onde chiamar cristiano F ipogeo. E qui mi sarebbe agevole far pompa di erudizione , entran- do in un paralello fra Ie antiche sepollure romane e quelle dei cristiani, e mostrare per quanti modi fos¬ sero different in fra loro. Da un lato ceneri ritolte al rogo , dalF altro spoglie mortali serbate integre al¬ ia speranza della risurrezione. La camere sepolcrali e colombari , il piu di mediocre grandezza ; qui conti- nuazione di vie , da non si poter determinare. Altre forme date ai luoghi destinati agli eslinti: allri or- namenti: altro ordine : tutto di gran lunga diverso. Se non che quest© paralello e gia fatto. Uomini del¬ ie cristiane antichita altamente benemeriti lo ador- narono con quella sapienza ch’era da loro y rispondendo al Basnage , al Monro j al Dodwell , al Burdet j e ne’ ( U ) libri del Bosio , del Boldetti , del Bottari , del Lupi , del Mamachi e di altri di quella nobile schiera, puo trovarsi quanto mai dir si poteva in questo proposi- to. Faro durique di aggiungere il medesimo scopo , battendo strada men trila. Perche considerando il sot- lerraneo nell’insieme e nelle parti , quale esser dove- va e quale fu discoperto , spero di convincere ognu- no , che solamente riguardandolo come catacomba cri- stiana si puo render facilmente e pienamente ragio- ue , come di ogni particolare , cosi di tutto il com- plesso di quanto vi si osserva. Dico di ognuno dei particolari notati di sopra , e degli altri che riman- gono a notarsi. Dico di ciascuna cosa in se , e di esse cose unite in riguardo del tutto. Il che se mi verra fatlo mostrare , avro dimostrato ancora , non esser possibile d’ ottenere il simigliante , spiegando i medesimi fatti con idee di pagani e con loro coslu- manze. Illude talvolta solto faccia di vero anch’ essa menzogna , chi pero la guardi solo d’un lato : la ve- rita sola, eguale in tutti aspelti a se stessa , e yerita sempre , comunque si voglia, e purche si voglia con- siderarla. La prima cosa, della quale si abbia a render ragio- ne, e un antico rndere , che sorge nell’interno della vi- gua Delgrande a qualche distanza del sinistro lato della via labicana. Si terrebbe facilmente per P avanzo di un sepolcro , se una osservazione piu attenta non yi facesse ravvisare alcune parti, che ancora vi durano ( 55 ) e che lo dimostrano edilicato. per allro uso. Insieme col signor conte Yirginio Vespignani , architetto di fondate speranze nell’ arte sua e delle antiche co¬ se studioso e conoscente , che a mia domanda ha con bella diligenza levato i disegni e la pianla di tutto il luogo ; ho poluto riconoscere esser qui vestigie ma- nifeste di porta , di fineslra, e di un piccolo portico. Nella tavola prima si puo osservare la pianta e lo spaccato dell’ edifizio , restituito sugi’ indizi che ser- ba la rovina , e per quelle ragioni che il lodato si¬ gnor Vespignani ha espresse in una relazione arlisti- ca , della quale 1’ ho richiesto , e che vedra la luce in appendice del presente mio scrilto. La tavola se- conda da a vedere il modo della costruzione del ru- dere stesso ; modo che appella alle arti gia inclinate, abbondandovi assai la calcina fra l’uno e l’aitro mat- tone , ed essendo misti a mattoni i rettangoli di tu- fo. Di qui e 1’ ingresso per iscendere al sotterraneo: e certo 1’cdiflcio e cosa da esso dipendente , ne puo ne deve altramente considerarsi. Avrcmo dunque dall’ architetlura di questo avan- zo laterizio , dal luogo dov’ e collocato , e dal mo¬ do della costruzione , allrettante prove onde riconosce¬ re in esso una di quelle sagre camerette , che tanto frequentemente si fabbricarono ne’ primi secoli della chiesa all* ingresso e nella superior parte delle cata- combe. Copiose ne sono del pari le testimonianze de- gli scrittori e de’ monumenti. Negli atti del martirio ( 56 ) di s. Ilaria si dicono chiese piccolissime , brevissi - mae ecclesiae (i) : or camerette ed or celle chiama- ie vennero dal venerabile Beda ( 2 ) : oracoli si nomi- liarono nel libro pontificale e da Paolo Diacono (3): ma piu spesso indicate sono con le appellazioni di memoriae , di martyria , di basilicae (4). Accordata la pace alia chiesa , sursero poi di queste divote fab- briche que’ sontuosi tempi , cbe veneriamo ancora , all’ ingresso appunto delle catacombe. Pur troppo av- venne pero , cbe ne mancassero per rovina non po- cbe ; e cbe altre durasser solo come ruderi informi I Era quelle cbe perirono senza vestigie , ricordare si puo la memoria innalzata al prete e martire s. Nico- mede sul cimitero del suo nome prossimo alia yia no- mentana (5) ; e cio per dir solo un esempio de’ mol- ti. E per dime pure alcuno delle altre serbate solo in istato di royina , riconobbe il Bosio avanzi della chiesa dedicata a s. Silvestro sulle catacombe da lui chiamate, presso alia via salaria nuova, alcune reliquie (1) Vid. act. cit. apud Sur. (2) Hist, eccles. gentis anglorum lib. Ill c. XIX. ( 3 ) De gestis longobardor. lib. VI c. LVIII. ( 4 ) Cod. theod. tit. 17 lib. VII, Ciampini, Vet. raon. Par. 1 c. XVII; Ladercbius , Diss. hist, de ss. mm. Marcel- lino et Petro, pag. 3 i et i 85 . ( 5 j Boldetti, Oss. sui cimiteri de’ santi martiri a c. 569. ( *7 ) di antica fabbrica , die vi rimanevano (i). Ma la ba¬ silica stessa de’ ss. Marcellino e Pietro , edificata so-' pra questa insigue lor cataeomba, a quale abbandono non soggiacque ? Dovro io dirlo , o iacerlo ? Cosi ve- neracdo luogo, tanto ornato e visitato dai primi cri- stiani, fatto rovina e deserto , ai tempi deH’Aringhi, die ne lascio memoria nella Roma sotterranea , era divenuto asilo di masnadieri e ladroni! Templum su- perioribus saeculis adeo insigne .... sontium ac sicariorum (exclamare hie nobis licet: 0 tempora , o mores !) sicariorum , inquam, execrandum asylum illud iisdem occupantibus effectum fuisse ( 2 ). Well’ interno di questa chiesetta , o memoria , si apre F adito alia scala, per la quale si viene ad un piano inclinato , che mette nel sotterraneo. Anche questa e strultura specialmente propria all’ ingresso delie calacombe. Ebbe tale adito appo i fedeli una sua denominazione , e lo dissero catabasis , o cali- baticum. Voce ripeluta spesso ne’ sacri calendari , co^ munque fuor del diritlo ( e lo avverti il cardinale Sle- fano Borgia) fosse dagli editori interpretata per desi- gnazione delie intere catacombe (3). II nostro sotter- ( 1 ) Boldetti op. cit. a c. 574 . (a) Aring. , Bom. subter. tom. II cap. XIV pag. 4g. (3) Haec mihi reputanti magna suspicio oritur, vocem in catacumbas , de qua est quaestio , ita compendiose scri- ptam IN CATA sive IN CATAB, vel IN CATABS in co¬ dice bucberiano fuisse , ac proinde aliam omnino explicatio- 8 ( 58 } raneo da gran luce a questo argomenfo : e non si vuole omettere di riscliiararne un marmo cimiteriale , fatto celebre per le diverse interpretazioni , alle quali La dalo Iuogo* Dico quello , che trovato dal Fabretti in ipso ingressu del cimitero al primo miglio di que- sta via labicana , servi a stabilire esser quivi stata la catacomba di Castulo ; e cbe , stampandolo y dal raerito di quel norae in fuori y parve ad esso inextri - cabilis, primoque aspectu inutilis (i). La scrittura del marmo e come segue : QVORO SVN NOMI NAE MASIME CATABATIGV ISECVNDV MARTVRE DOMI IN V CASTVLVISCALA Vi spesero quindi lor cure il Corsini ( 2 ) e il Keiskia (5) y nern requirere. Quo posito y Bucherius banc siglam non in ca- tacumbas , ut fecit r sed in Catabasio , vel Catabatico expo- nere debuisset. Vaticana confessio beati Petri ,, pag. XXVIL Romae 1776. (r) Inscr. dom. c. VIII n. 26 pag. 556 . (2} Notae graecorura collectae etc. Diss. It pag,. 27.FIo~ rentiae 1746* ( 3 ) In comment, ad libr. Constantini Porphyrogeniti , De caerimoniis aulae byzantinae » pag. 63 . Lipsiae * 7 ^*’ ( *9 ) seguito dal Borgia (i). Ma il luogo dov’ era il mar- mo , e le ragioni die sono per aggiungere , a me fanno piacere a preferenza delle altre la spiegazione del Mazzocchi, e credere che la iscrizione fosse parte del catalogo de’piu celebri martiri, che in quella catacomba giacessero, aggiunta la indicazione del luogo : leggen- do : Quorum sunt nomina : Maximae in catabatico se- cundo, martyris domini Castuli in scala ( 2 ). Tale epi- grafe, non meno che la parte de’sacri arenari alia quale si riferisce, dissi acquistar nuova luce dalla scoperta di questo sotterraneo ; e cbe sia il vero lo dimoslrano sei sepolcri arcuati (cioe quali furono quelli dei mar¬ tiri piu insigni) che qui si trovano nelle pareti a’ fian- cbi della scala e della discesa. Cliiaro dunque e la martire Massima allato della discesa, e a quello del*- la scala Castulo essere stato deposto. L’acuto ingegno del Mazzocchi ha prevalso al vedere del toscano an- iiquario e dell’ alemanno. Il collocar poi cosl all* in- gresso primo le benedette spoglie de’ piu generosi alleti della chiesa, ben evidenle e che si facesse , a ren- dere piu agevole ai fedeli il poterle venerare ; mas- simamente dopo la pace e_ il trionfo conseguilo dal cristianesimo. (1) Vaticana confessio beati Petri illustrata , pag. XXX- Romae 1776. (2) Tom. II Comment, in vetus marmor. neapolitana« &scl kalendar. pag. io 3 . Neapoli 1744* 8 * ( 6o ) Comincia in questo luogo l’ornamento de’musaici, che ricoprono il pavimento fino al fondo del mag- gior tralto del sotterraneo , dove era probabilmente T egresso dal medesimo. Lascio adesso di parlarne , che ne sara discorso in progresso ; e cosi del modo degli archi de’ nominati sepolcri; del rivestimento delle pareti ; di quello de’ marmi che durano in alcuno dei gradini. Non voglio pero passare oltre, senza porre innanzi cosa , che alia fede viva e fiducia de’ primi seguaci del cristianesimo parmi al tutto sembiante. E una intenzione che mi avviso di vedere nella scelta della voce , onde nominarono questa discesa ai loro sepolcri. Catabasis e parola che si usurpava a signi- ficare il discendere del sole. Solis catabasiJinita , scris- se Macrobio (i) , in proposito delFabbassarsi del sole ai segni iemali. Chi non penserebbe che quegli stessi } che le loro tombe chiamarono cimileri } Quod res creditur illis , Non mortua , sed data somno ( 2 ) , ne appellasser cosi it primo adito , a significare che quivi era un discendere , come il discender del sole,, e ch’ erano iterum surrecturi ? (1) Saturnal. lib. 1 cap. 21. (2) Prud. hymn, de s. Laurent t ( 6 ! ) Dopo questa discesa si viene al piano di un luogo , di quella disposizione ed ampiezza che nell’an- nessa tavola si dimostra. Abbiamo in esso una delle maggiori chiese o cappelle primitive ( cubicoli le chia- mano gli scrittori della lloma sotterranea) cbe mai per 1’ addietro sia stata ritrovata in alcuna catacomba , non esclusa questa medesiraa de’ ss. Marcellino e Pietro , dove , per osservazione degli scrittori stessi, abbon- dano piu che in verun’altra ( 1 ). Donde puo agevol- mente considerare ciascuno , cbe nobile discoperta sia questa e quanto da aversi in pregio ! Quando egli e certo cbe , in tempi cosi belli di ogni virtu, qui di- morarono i nostri maggiori , e qui esercitarono quei religiosi atti , che con successione non mai interrotta nella cbiesa romana lianno tramandato come un re- taggio felice a noi loro posteri. Le tombe ricoperte da un arco , monumenta arcuata , cbe vi si trovano in numero di sei, e l’una a risguardo dell’ altra , voglio- no essere considerate non altrimenti che altreltanti al- tari. II Bcldetli , cosi accurato osservatore delle cose cimiteriali, ne scrisse gia al modo seguente: ne , visito queste memorie de’ martiri, quando erano inviolate tutte ed integre, e quindi trasse le inspira- zioni della sagra sua musa , cantava di s. Yincenzio levita : Altar quietem debilam Praestat beatis ossibus : (i) Oss. cit. Lib. i cap. 8 , a c. 29. ( 63 ) Subiecta nam sacrario Imatnque ad aram condita Coelestis auram muneris Perfusae subtus hauriunt ( i). E piu manifeslamenle , parlando del corpo di s. Ip~ polito , sepolto vel cimitero della via tiburtina: Ilia sacramenii donatrix mensa, eademque Custos Jida sui martyris apposita, Servat ad aeterni spent indicis ossa sepulchre <, Pascit idem sanctis tybricolas dapibus ( 2 ). Del che aliro autore espone in queste parole tulta la convenienza : I\on immerito, inquam 7 consortia quodam illic occisis tumulum costituitur, ubi occi- sionis dominicae membra ponuntur, ut quos cum Chri¬ sto unius passionis causa devinxerat , unius et loci reliyio copularet 9 (3). Ho specialmente atteso a bene stabihre questo fat- to , che nei sepolcri arcuati sieno da riconoscere i luo- ghi ove giacquero i raartiri di piu insigne celebrila, (1) nepc $re), Queslo e il desuper lumen admissum , di cui s. Gi¬ rolamo nella grafica sua descrizione de’ cimiteri ro- mani ( 2 ) ; questi sono che descrisse Prudenzio , al quale tante notizie si debbono di cotesti sacri re- cessi : Attamen cxcisi subter cava viscera monlis Crebra terebrato fornice lux penetrat. Sic datur absentis per subterranea soils Cernere fulgorem luminibusque frui (3). (1) Lib. pontif. pag. 9. (a) In Ezech. cap. XL. ( 3 ) Hymn, de s. Hyppol. ad Valerianum episc. ( 65 ) Spiragli somiglianti sono spesso descritti dagli autori della Roma sotterranea , i quali non per altra via che per essi, alfermano piu d’ una volta nelle catacombe esser penelrati. E il Bosio lascio scritto. , avere l’an- no 1^94 scoperto una parte d! catacombe nel cimile- ro di Calisto , dove queste aperture erano cost tra loro vicine , che talvolta vi si poteva caminare sen-, za lume (i). E ben eredo che non avverrebbe diver- samente y se tutti gH spiragli di questo. solterraneo si liberassero dalla terra che, traboecando per essi ad, ostruirlo , gli ha affatto rierupiutu Se alia esposta dichiarazione deli luogo toman bene le aperture delta volta > sono adesso per espor- re un altro particolare , die , seppu.r non in’ ingan-. no 7 in qualsivoglia altra ipotesi aver non potrehbe. spiegaziene di sorte alcuna* Aceennai nel principle, trorarsi nel pavimenlo di- sposte died pietre , nel modo eke pud vedersi nella pianta ; e dissi ,, die per un loranxe , che hanno* nel mezzo ciascnna , mostravano di aver servito a soste- ner eosa r che sopra fissata vi fosse*. Ora. una tal cosa si conosoera altro non essere stala die le transemie , cancelli di metallo , o claustri in marmo perforato a modo di grata , adoperati in questi sacri arenari a ricingere e segregare dagli altri i luoghi pin riguar- (i) Bosio: Roma sotterranea. 9 ( 66 ) devoli e venerandi. (( Fu molto frequence (scrisse l’au- torc delie osservazioni sui ciraiteri ) (i) l’uso di que- sle graticce appresso i cristiani de’ primi secoli e dei posteriori , come si raccoglie da vari autori y e spe- cialmente da s. Gregorio turonense , da Beda , Evo- dio ed altri ». E piu sopra aveva prodolto la figu- ra di una di queste transenne , da lui ritrovata pres* so che intiera in una parte della catacomba di Pre- testato ( 2 ) ; aggiungendo , che (( molte allre di que¬ ste cancellate si veggono , e in tal cimitero , e in quelli di Priscilla e di s. Elena , ma ridotti in fram- menti (3) )). Ne si vuol tacere r come F uso di tali cancelli, derivato primamente dall’ angustia del luogo e dalla pieta ingegnosa de’ perseguitati cristiani , di- venuto di religioso costume , si e poi continuato dalla cliiesa fatta libera : e li vediamo , eseguiti con son- tuosa opera y adornare le confessioni delle nostre ba- silicbe. Che poi le ricordate pietre siano quale di tra- yertino y e quale di marmo , non tagliate a filo , ne rese pulite , ne uguali ; e che si trovi fra esse un frammenlo in marmo di pagana iscrizione sepolcrale cbe noi produciamo neila tavola seconda ; sono cose (1) Oss. lib I cap. IX, a (2) L. c. a c. 34 . (3) L. c.. ( 67 ) che a ciraiterial luogo ottimamente si convengono. Se poi quel raarmo di gentili, cosi spezzato e cosi po- sto, convenga egualmente bene a gentilesco sepolcro, lascero cbe altri sel vegga. Lasciavano le transenne libero il passo , cosi ■dall’ uno , come dall’ altro Iato di questo vasto cubi- colo , a quatlro yie cimiteriali che qui s’ incontra- no. Due di esse , che per la loro inclinazione ac- cennano ad un piano piu basso, sono dalla parte del¬ la catacomba de’ ss. Marceliino e Pietro. Le altre si stendono verso la campagna. Mi sarebhe stato ben fa¬ cile il render alcuna di quesle vie libera dalla terra, onde sono ripiene fin quasi alia cima , per cercarvi nuova conferma alia sentenza da me seguita. Ho pero avuto mie ragioni onde preferire di esporre il luogo nello stato di prima scoperta , e dimostrare che qua¬ le era, non poteva non riconoscersi per fatto da cri- stiani. Gli scavi , che vi saran poi condotti , daran- no giudizio di questa opinione : ed io non temo di soggiacervi. Le sole ricerche, che abbia fatto esegui- re sul principio di queste vie , ebbero per iscopo di verificare , se esistessero in esse que’ loculi orizzon- talmente scavati nelle pared , e l’uno all’altro sovrap- posli, che sono i sepolcri per parietes , nominali da s. Girolamo (i) , e che per ferrao canone della sacra (i) In Ezech. cap. XL. 9 * ( 63 ) archeologia si tengono, e sono infatti esclusivamenle propri delle catacombe crisliane. Si trove die vi fu- rono , e in gran numero \ e alcuni, rimastovi il cavo del luogo , dove e solito che si poneva l’ampolla del sangue a dimostrazion del martirio* Le quali ricerche mentre si continuavano , venne a conoseersi , che tali vie si dividevano in altre , e poi in altre ancora in perfelta simiglianza con gli altri arenari sacri : ed e questo prolungarsi e dividersi delle vie , che sta espres,- so nella pianta della tavola prima* Ma nella slessa principal parte descritla di sopra sepolcri di tal foggia non mancavano. Ye ne sono an- zi pur di quelli , che falti furono con rompere l’into- naco di calcina che riveste le pareti. Cosa da mon- signor Bottari osservata gia ^ e con maggior guasto , perche gl* intonachi cosi danneggiati si adornavano di pitlure (i). Queste non molte tombe sono pero una nuova testimonianza dell’ardente brama , che aveva- no gli antichi cristiani di essere sepolti presso le sa^ ere spoglie dei martirn Le antiche iscrizioni sommi- nistrano la prova che si procuravano a prezzo,e viventi ancora, la sicurezza di giacere siffattamente dopo la (i) Roma solterranea. ( 6 9 ) morte (i). Egregiamente illustrarono queslo costume pietoso il Muratori nella dissertazione XVII sopra S; Pao- lino ( 2 ) , e il Marini in due luoghi de’ papiri diplo¬ matic! (3), giovandosi delle cose raccolte in pfoposito dal P. Lupi, accuratissimo investigatore delle cristia- ue antichita (4). Ma gia e da venire ad alciina considerazione sulla struttura del luogo e sui musaici che Fadornano. Allargandosi qui la volta, piu che la condizione del tufo nel quale e scavata non poteva comportar- lo , e avendosi di pin a forare in piu siti, si trova tanto essa volta^ quanto le pareti che le fanno sostegnOi, esser sostruite con fabhrica di mattoni, quando soli, e quando misti con tufi , e di tal modo sono ancora gli antichi sepolcri arcuati. A questa opera mista si sovrappone una sola mano o falda di calcina. Goslru- (1) Boldetti nella spesso citata opera delle Oss* sui cim. de’ sSi rum. lib. I c. XJV produsse 1 ’ iscrizione di Valeria e Sa¬ bina , che viventi ancora si procacciarono il sepolcro IN- CRVETA-NOBA • RETRO • SANCTVS • E presso il mede- simo un Polocronio esprime la sua letizia per giacere in luogo santificato dai martiri ( ibid; a c; 78 ). Si vegga ilZaccarfa diss. de vet. Christ. inscr. c. XIV Venetiis 4 * b 1761. Lupi diss. vol. lac. 172. Faenza 4 * 1785. {2) Anect. lat. tom. I. ( 3 ) Papiri diplom. a d; 99 e i 3 i; ( 4 ) Dissertazioni e altre operette vol; la 172. ( 7° ) zioni non diverse da questa si osservano in piu luo- ghi dei sacri arenari ( 1 ) ; ed e facile ritrovare in esse una dimostrazione della cura durata lungamenle ne’ romani pontefici per conservare ed ornare queste memorie de’ piu eroici tempi di nostra religione, Per- cbe, cessate le persecuzioni del nome cristiano , si ac- crebbe piutloslo cbe diminuirsi la venerazione verso queste sacre lalebre. (C E (oltimamente riflette il d’Agin- court) qualora si scenda ai tempi , ne’ quali fu alia cbiesa accordata la liberta , non reca maraviglia il vedero i preti ed i vescovi , penetrati d’ammirazione per tali eroi il cui sangue aveva contribuito ad as- sodare la religione , prendere particolare cura dei luo- ghi ove erano state deposte le venerande loro spo- glie ( 2 ) j? Ma di questo nobil tratto cimileriale , degli or- namenti cbe vi durano ancora , e di mold cbe pure l stati vi saranno, a me sembra doversi recar 1’ onore alia piela di Elena , madre del grande Coslantino. La venerazion sua per un luogo , ove erano slate depo- sle le piu illuslri vitlime mietute dalla fierissima per- secuzione di Diocleziano , non poteva meglio dimo- strarsi , cbe dall’aver sopra questa catacomba appunto eletto il suo sepolcro. Ne dobbiam credere cbe senza (1) Boldetti Oss. ai cimiteri de ss. martiri. Storia della decadenza dell’arte tom. II. a c. 68 ed. cit. ( 7> ) ragione la catacomba , fra le altre sue appellazioni , si dicesse anche di s. Elena ; ma si per ornamenti e fabbriche ch' essa vi facesse. Superiormente alia qua¬ le aveva il principe, rigenerato alle sante acque, in- nalzato ai santi Marcellino e Pielro sontuosa basilica. In verila trae intieramente a que’ tempi ii modo della costruzione , fatta a sostegno del tufo per entro al quale il luogo e scavato : e gia ne’ marmi che ri- yestono i gradini, e in quelli che dicemmo aver soste- nuto i cancelli, si riconosce essere spoglio di altre fab¬ briche , come allora comunemente si usava di addo- perare. Ne ad epoca diversa possono ragionevolmen- te assegnarsi i musaici. I quali , non sopra un solido stralo di cemento , come al buon tempo si usava ; ma sul suolojstesso son posti , non legati con malla di salda coesione 7 ma di calcina facile a disciogliersi. E quanto al disegno , non nego che i cinque quadri, che yi sono a colori , rispondenti sotto ad uno degli spiragli ciascuno , non abbiano certa bonta di concet¬ to. Da questa pero rimane la esecuzione tanlo lonta- na , che si vede apertamente lo stato di quella co- stantiniana eta , quando si avevano innanzi modelli assai buoni per imitare 7 ma piu non si aggiungeva a quella gia spenta perfezione dell* artifizio. Quattro di questi musaici si compongono di mean- dri variamente intrecciati: e ne da alcuna idea il cen- no, che se n’ e espresso nella prima tavola. Ho pero accuratamente fatto delineare nella seconda il mu- ( 72 ) saico , nel quale dissi a prineipjo riconoseersi un ma¬ nifesto emblema cristiano. Ne so per yero qua! eri- stiano emblema piu manifesto possa desiderarvisi di quella colomba sul ramo di olivo che nel bel mezzo vi spicca. Non e egli questo volatile il simbolo ch© i fedeli si elessero a significare la semplicita , il gemi- to 5 F innocenza , la mansuetudine , cbe proprie esser debbono di clii segue i dettati dell’evangelo ? Che altra cosa e piu spesso rappresentata neiloro monumenti? Di quale altra piu frequentomente favellano gli scrittori di quell’ eta ? A ? os quoque perficies placitas libi, Christe, columbas: eanlava il vescoyo di Nola, Il quale aveva pur delto d,egli aposloli : Quorum figura est in columbarum choro (i). I marnii cimiteriali , che ho nelP incisione posti a raffrpnto del musaico y sono piultosto per dimostrare un cerlo uniforme e special tipo di questo religioso emblema 3j eh© per convincere esser esso cosa de’ no- stri fedeli, Chi no! sapesse riconoscere al primo sguar- do, si avrebbe a giudicare per affa.Uo ignaro dellc cri- stiane antichita. Ora a dir non mi res la che dello stato di asso-. lul.Q spoglio,. in eui fu il luogo trovato; loltene infino ( r )| Epist:-. XII ad Severmn, (73) alle ossa che vi posarono. Cio non dimanda molte parole ; quando e noto per le slorie , che i romani pontefici dopo avere con lunga cura conservati e fatti adorni i sacri arenari ( fra’ quali questo de’ ss. Mar- cellino e Pietro fu ancora da alcuno di loro abitato con tenervi le ordinazioni (r) vedendo se non poter piu difendere dalle correrie de’ barbari , e de’ rapitori delle reliquie , i sacri pegni cbe racchiudevano , eles- sero trasferirli a piu sicura sede nelF interno della citta. Insigni sono le spoglie de’ qualtro coronati, de’ cinque scultori , e di altri raolti , cbe di qui trasse Leone IV , per collocarle nella chiesa , gia stata suo titolo sul monte Celio (2). Io non dubito di affermare, che uno spoglio cosi diligente si facesse da mani cri- stiane ; e cbe la somma venerazione, cbe la religione inspira, possa solo spiegarlo. Ho dunque, se non m’ inganno, altenulo quanto promisi. Non e dal rudere, cbe sorge sull’ ipogeo , al pavimento cbe Y adorna , non e dalle maggiori alle piu piccole , cosa nessuna , della quale non si renda una giusta ragione , riguardando il luogo come cri- stiano. L’ ingresso , i forami della volta , le pietre delle Iransenne , i sepolcri arcuati , i loculi orizon- (1) Anastas, in Joann. III. si vegga ancbe in proposito 1 ’ autore stesso in Sergio. (2) Id. in Vita Leonis IV. , Baron. Annal. an. 349 - 10 ( 74 ) tali , la principal parte cli’ e il sacro cubicolo , le vie rainori che vi melton capo tutlo si accorda in un solo concetto , tutto cospira ad una dimostrazione. Laonde abbiamo a consolarci , che sia a noi dato, dopo 1’ obblivione di tanti secoli , il contemplare cosi nobile e veneranda memoria della nostra fede : e che cio sia appunlo ai giorni di un religiosissimo ponte- fice , il quale tan to protegge ed ama la cristiana ar- clieologia : e quando la lulela delle antichita e corn- messa a quell’ esimio porporato camerlengo della chiesa romana , che ne coltivo gli studi e ne favorisce 1’avanzamento. Dopo il delto sin qui sembrava che non si avesse a difendere cosa da tante lestimonianze dimo- mostrata per vera. Pure non e mancalo chi sia stato contro alia nostra sentenza. Al quale e dovuta una risposta. In essa non delle persone , ne delle parole , ma diro solo delle cose. Producendo anccra la testi- monianza di un ckjarissimo nostro accademico corri- spondente , il cavaliere Raoul-Rochette , menibro dell’ istituto di Francia e professore di arcbeotogia , il quale mi ha direlto uoo scritto (3) , consentendomi che con la starapa lo pubblicassi, dopo che fosse stato lotto in questo onorevole consesso. (3) VeJi appendicc nuin. IT. ( 7 s ) PARTE SECOKDA Nella prima parte di questo ragionamenlo ho posto ogni industria per rendere evidente , che it sot- terraneo, non ha guari scoperto nella vigna DelGrande in sulla sinistra della via Labicana a breve dislanza dalla catacomba de’ ss. Marcellino e Pietro e del raau- soleo di s. Elena , fu cosa dei primi cristiani. E se Ie dottrine di un Bosio, di un Eabretti, di un Aringhi; del Buonarroti, del Boldetti, del Bottari del Lupi e degli altri di quella schiera , non vengano meno : se tutto non fu. indarno quanto con assidue ricerche ed opere laboriosissime venne stabilito ; si conchiudeva aversi propriaraente a riconoscere in esso solterranco un sa- cro cubicolo , insigne per il numero di quelle tombe arcuate , che furono altari insieme e sepolcri , no- bile per gli ornamenti de’ quali lo accrebbe la pieta di Elena , o de’ romani pontefici , dopo che la chiesa ebbe pace. Nella quale sentenza trovarsi unicamente la spiegazione di ciascuna e di tutte le parti dell’ ipo- geo ; di quanto in esso durava , di quanto vi era mancante , dalle maggiori cose , alle piii minute ; cosi mi venne dimostralo , che , se grandemente non m’ inganno , non rimaneva luogo a dubbiezza. E mi * io ( 7 6 ) sembrava poi seguitarne , cbe una spiegazionc per la quale non si rimaneva cosa veruna senza che fosse pienamente dichiarata , venisse per logica necessity ad escluderne ogni altra ; anzi a renderla inapossibile. Pure la cosa si trovava infino da allora in istalo diverso d’assai. Perclie gia divulgato era per Ie slampe un fo- glietto di men che otto faccie, nel quale si pronunziava sul monumento un giudizio tanlo dal mio diverso, quan¬ ta e la differenza da una sepoltura degli etnici ad una catacomba cristiana. Alla quale scittura per fermo che non mi avrei tolto il carico di dare risposla , se ver- sasse intorno a quislione puramente letleraria. Irape- rocche ai veri dotti ( se alcuno mai leggesse tali carte ) verrebbe assai facile il recarne quel giudizio che ad esse si conyiene ; e dei non dolti, se alcuno ne rima- nesse allucinato , non sarebbe poi da maravigliarsene gran fatto , ne da dolersene. E noi per questo appun- to affermiamo gli studi di archeologia esser cosa in- nocente , perche gli abbagli , che in essi avvengono r riescono piultosto ridicoli che dannosi. Ma qui le con- seguenze non islanno a que’limiti. Forse ( e mi giova di crederlo ) , non avviso 1’ oppositore medesimo a che addur potesse cio ch’ egli si conduceva ad affermare^ Non pose mente che la opinion sua traeva ad errori gia vecchi, gia combaltuti , gia vinti. Errori di genii di altra scuola e di altro credere che il nostro non e* Errori che stanno contro ai canoni pin certi della cri- lica , alle piu accellale dottrine della sacra acheologia. ( 77 ) E di vero a che saremmo, se le sepolture di pagani e di cristiani cosi somigliassero fra Joro , che si polessero lievemente scambiare le une con le allre ? A che sa¬ remmo ? io lo taccio, che di per se ciascuno lo intende. Sono dunque tratto dalla gravita sorama dell’ ar- gomento , a quello a che non mi avrebbe giammai la provocazione dell’ avversario. Ma nella risposta , che mi e forza di fare , serbero il solito istituto de’ roiei sludi , combaltendo con nitide armi , e lasciate le parole solo mirando alle cose. Di che mi piace si paia qui in sul principio un manifesto argomento. Essendo mio pensiero di non fermarmi in dimostrare che 1’ autore dello scritto , non conosce se non imperfeltamente il monumento, in- torno al quale si fa a pronunziar sentenza. E si mi sa- rebbe agevole il farlo. Ch’ egli scambia le sostruzioni dell’ ipogeo in edificio praticato come di getio alia stessa epoca (i) In vani laterali corrispondenti al tratto medio , le vie che in esso si aprono da ambe- due i lati. Dov’ e un’assai ordinario e fragilissimo rivestimento di calcina , gli par di scorgere stucchi che velano tutte le interne pareti, e si serbano so - lidi, e furono accuratamente condotti. La colomba che spicca nel musaico del pavimento prende per (r) Si vegga la ristampa dello scritto medesimo posta sotto al numero III. dell’appendice. ( 7 « ) alcun volatile . E mentre non vede esser nella superior parte cinque larghi spiragli , per mandar luce nel luogo , fa Ie maraviglie per non trovarvi forelli late- rali, o curvi Jerri nel volto pei lumi , ch’ e come il querelarsi di colui , die richiedesse il ministero di una face in sul bel merigio. Ma quello che io mi trat- tengo dal fare polra di per se eseguire ciascuno. Lo scritto dell’ oppositore si trovera ristampato per in- tiero alia fine del mio discorso ; e cosi potra entrare in paragone di quanto si e da me posto nella prima parte a descrizione del luogo , di quello che artistica- mente ne ha dettato , nella sua relazione l’architetto signor conte Virginio Yespignani ; e con la sua som- ma doltrina ne ha esposto il ch. vostro corrisponden- te cavaliere Raoul Rochelte. E gia facendomi piu dappresso agli argomenti dell’ oppositore , con questa sua lacinia di scritto , come egli stesso la nomina ; imprende dunque a sta- hilirc due cose. Che il momento in quistione e un sepolcro romano del primo secolo dell’impero : che ap- partenne ad un Priamo Liherto. Molto si addopera nella descrizione del sotterraneo , onde escludere , che mai servisse ad uso cristiano. Ma tutlo il suo sforzo e ncll’ epigrafe di un cippo , che alferma pro venire dalla vigna medesima , e nella quale , secondo il pen- sar suo , si precisa bene l autore , la natura , il tempo del dello sotterraneo. ( 79 ) Delle quali due proposizioni , dimoslreremo in questa risposta , non esser piii vera l’una che l’altra; e che ne il sotterraneo fu mai pagano ; ne F iscri- zione fu mai relativa al sotterraneo. Un’ ipogeo , che si afferma essere del primo se- colo dell’ impero , a volerlo credere sepoltura di pa- gani , non dovrebbe serbare indizi manifesti di corpi depostivi intieri ; ma sibbene di ossa e di ceneri ritolte dal rogo. Era allora la uslione de’cadaveri tanto uni- versalmente praticata , che Tacito , del quale non si vorra spero porre in dubbio la istorica gravita , la chiarao , costume romano (i). E gia non altro dimo- slrano i sepolcri di que’ tempi scoperti in grandissimo numero , dal raausoleo stesso della imperial famiglia, ai colombari de’ liberli e de’ servi di essa , trovati sull’ appia , sulla latina , sulla nomentana. Potra , non Fignoro , addursi uno ed un’altro esempio di corpi non bruciati posti in qualcuno dei colombarii suddetti ; ma ne un solo potra recarsene di un’ ipogeo di quest! tempi nel quale le spoglie de’ genlili stassero sepolte intatte alle fiamme del rogo. Come dunque non si sgomento F avversario dalF alfermare qui esser da ri- conoscere il sepolcro di Priamo Liberto , dove non ossuari ed olle ; ma vedeva arcuati sepolcri , e nelle (i) Corpus non igni abolilum , ut romanus mos etc. Ta¬ citus Je Poppaea Annal. lib. XV1. (So ) pareti i loculi da pom cadaveri intieri ? L’ errore in verila non e nuovo. Proviene pero di tal fonte , che non pareva vi si avesse ad allingere. Perche il Burnet, il Monro , ii Basnage, il Dodwell , avevano gia falto ogni sforzo per persuadere che le catacombe cri- stiane fossero pagani sepolcri dell' infima plebe. La nobilta , e la gente civile e benestante ( cosi riferisce lor parlari il P. Lupi ) , aveva i suoi mo- numenti ; sicche sol la plebe piu bassa , gli schiavi, _ , • , i campagnoli, e allri miseri , cbe non avevan moren- do , quanto bastasse a cornprar pocbe legna, sulle quali ridurli in cenere , avevan bisogno d’esser pro- visti di sepoltura dal pubblico . . Posto dunque , cbe si dovessero assegnar dal pubblico luoghi da sot- tcrrar la feccia degli schiavi ; qual cosa piu naturale a credersi , cbe aver i Romani desiinato per Inogo dove seppellir i miserabili gli arenari gia esauriti e sfruttati. Non abbiam noi da Festo , cbe le sepolture pe’ poveri erano luoghi scavati fuor delle citta , e chia- mati puticoli ? Ecco i puticoli degli anlichi gentili , le catacombe. « E siegue dicendo (( A questo si riducono le ob- biezioni degli avversari, e particolarmente del Burnet, il quale se voleva persuader V intento suo , doveva nsare un po’ pin di malizia , e dare al suo falso uq po’ piu di verosimililudine. Queste sono difficolta da Bambini: sagitlc.e parvulorum factae sunt plague co~ ( 8 . ) rum. » (i) E veramente tanto il Boldetti , ch’ e somrao in queste materie , quanto gli autori della Roma sotter- ranea , ed esso Lupi e recentemente il cliiaro signor cayaliere Raoul-Rochette nel suo quadro delle catacom- be di Roma ; ( 2 ) ban cosi bene stabililo i caratteri luminosi e invariabili, per li quali difFeriscon fra loro le catacombe e i sepolcri genlileschi, cbe non pare- va cbe si avesse mai piu a ricbiamare in dubbio cosa simigliante. Or tutti quesli caratteri, e pin ancora cbe non sogliono andare insieme riunili , si trovano uniti nell’ ipogeo della yigna Delgrande. Qui spiragli per aver luce dall’alto, qui sepolcri arcuali; qui inca- yature nelle pareti, Y una all’ allra sovrapposte, per deporvi gli estinti , chiuse poi con mattoni e con marmi. Qui vie , cbe si diramano in ogni lato: e per ogni dove ripetute teslimonianze del copioso numero di corpi cbe vi giacevano. E sara questo 1’ipogeo di un Priamo Liberto ? Sara questo sepolcro de’ servi di un servo ? I/ oppositore ci dice cbe ha di tutto irre¬ cusable testimonianza in un sasso scritto , cbe ben precisa V autore , la natura , il tempo del sotterra - (1) Diss. e opere vol. 1 a c. 5 g. (2) Tableau des catacombes. Paris et Bruxelles ( 82 ) neo. Passiarao dunque a vedere cosa mai contenga questa epigrafe. Ecco quanto in essa si legge: LOCVS • ADRIBVtus IN * PERPET • PRIAMO EX • YOLVNTATE • HEREnnii GALLI • PATRONI • A M • LOLLIO • ET * FVFICIO MAGIANO * ET • AB • AEPYLO CONLIB • PROXVME : MONV MENTVM * GALLI IN * FR * P * XX IN • AG • P • CXXV Dove sia qui cosa che ben precisi Y autore delP ipo~ geo , io non so vederlo. E non vi trovo pure un in- dizio di cio che P autore della lacinia chiama la na~ tura di esso. In verita la scrittura di questo cippo non si riferisce ne’ punto ne poco al sotterraneo : e piu si considera , e meno si trova che vi abbia rela- zione di sorte alcuna. Di che vengono alia mente le parole dettate da un sapiente antiquario , all’ occa- sione appunto di un marmo profano tratto fuori da un cristiano cimiterio, quando scriveva : Or se ve- nisse un furioso critico ad argomentar da questo sasso , che il sepolcro, dov’ esso fu trovato, era d’ un gentile ; ( 83 ) lo stimeremmo meritevole che gli si desse retta? >» (i). Giovi nulla meno di recare ad esame quanto 1’ avver- sario risponde con due ragioni. Una e clie il traver- tino formava il piano di uno dei parapetti della vasca attigua al pozzo della vigna Delgrande , innanzi che fosse di cola rimosso dai possessori del fondo , per fame dono a tale che ne li aveva richiesti. L’altra, che nel cippo stanno segnate le misure dal sotterraneo medesimo. Dalla prima si deduce certissima la pro- yenienza della pietra della vigna stessa. Dalla seconda si deriva, ( sono sue parole ) che a voter esser di buona fede , si abbia a concedere, che sia di lutta. verisimiglianza, che V epigrafe appartenga al sepolcro . Ma quella certissima provenienza soffre qualche eccezione. I signori Delgrande dimandati da me in- torno a quel sasso , mi hanno affermato in iscritto per la verita e sul loro onore, che non sanno donde sia tolto : e che solo questo sanno sicuramente , che ne quella, ne altra pietra fu da loro trovata, o den- tro , o presso air ipogeo ( 2 ). Io pero , e sia con pace di que’ signori , voglio consentire all’ oppositore che (1) Lupi Diss. e opere cit. vol. lac. 76. (2) Si vegga la lettera dei signori Delgrande sollo al numero IV. dell’ appendice. ( 84 ) la provenienza del cippo sia certissirna dal fondo Del grande. E piii ancora , se a lui piace } non mi op- porro ch’ egli quivi appunto lo collochi per entro a quel fondo , dove meglio gli sembri che torni al suo pensamento. E che per questo ? Dira mai alcuno, che posto il sasso nelF interno della catacomba, possa esservi altro che una di quelle lanle pietre scritte pro¬ fane , che vennero in esse in cost grande numero ritro- vale ; e nulla allro provano se non se il disprezzo che avevano i primi fedeli per le memorie dei gentili , che manomettevano ed usurpavano ai loro usi quando loro accadeva di profittarne (i). E posta di sopra o presso , che allro potra indicare all’ infuori dell’ area data a Priamo da suoi colliherti , e consecrata dalla religion del sepolcro. La quale , chi non sapesse per- che da pagani fosse voluta , lo Irovera nel Gutero, nel Kirckmann, in Morisani, in Giovenazzi e in quanti o di proposito o per incidente scrissero delle cose fu- nebri dei romani. Dico area , e non mai sotterraneo. Perche le misure in jronte, e in agro ( chi non abbia scordato le lezioni di padre Francesco Antonio Zacche- (i) Oltre gli autori della Roma sotterranea, si vegga quanto scrissero in proposito il Fabretti, inscr. dom. p. 107 : il Buonarroti Vetri anticln a c. 167 ; il IVIabillon. I tin. pag. 1 34 5 il Lupi , Diss. e altre operette a c. 73 e 75. ( 85 ) ria ) sono misure di superficie. Anzi ua’ altro dotto monaco , don Bernardo Mabillon , osservo , che si convengono esse solamente a que’sepolcri, qui erant secus vias publicas, clie quando cosi non slavano col- locati, non pin di strade e di campo ; ma notavano misure di lungiiezza e di larghezza in longum pedes tot, in latum pedes tot ; o frasi a queste equivalenti (i). E il P. Lupi , avvemitosi in un marmo trovato nelle catacombe , appunto sengnatevi quelle misure : IN * F • P . II * IN • A * P * VI • non ando col pensiero a trovare in esse notala la lunghezza del sotterraneo ; ma valendosi appunto di tal circostaoza per dimostrare che la iscrizioue veniva d’ altronde : che diremo ( esclamo ) di queste leltere ? (in fronte pedes II, in agro pedes VI) Dove qui facdata , dove qui campo ? ( 2 ). E noi ripeteremo all’ oppositore il simigliante : dove qui facciata , dove qui campo ? E facendosi (1) In fronte. . in agro , quae formulae iis solis compe- tebant qui secus vias publicas sepulti erant. Mabillon ep. Eu« seb. Rom. ed. a' in 8 .° pag. 3 i. (a) Lupi Dissertazioni e altre operette , vol. 1. a c. 73. E piu sotto ( a c. 75 ) in proposito della iscrizione di M. Coccejo Ambrosio , trovala nel cimiterio ad Clivum Cocumeris , si vale di nuovo delle misure della fronte e del campo in essa notate per escludere , che possa mai avere appartenuto a quell’ ipogeo. ( 86 ) ancora per poco all* erroneo suo divisare , seguite- remo osservando , che il pia nobil tratto dell’ ipogeo non corrisponde per nessun lato ad alcuna delle misure del cippo. Ma dato pure che vi corrispondesse , ver- rebbe quindi una singolare coincidenza di lunghezze e largbezze ; ma non sarebbe giammai argomento a riconoscere nella catacomba Farea di terreno designata nel cippo. Imperocche di qual modo si potra mai considerare il principal tratto del sotterraneo, come cosa finita in se ; quando e parte e dipendenza di un tutto infinitamente maggiore. Del quale chi puo asse- gnare i limiti ? Il dire poi cbe se le misure dell’ ipogeo si al - lontanano alquanto dalle accennate misure del cippo, cio non pub injluire gran fatto ; egli e un aver con- tro tutti gli scrittori delle cose sepolcrali degli anti- clii : tutti i cippi posti a fissare i termini 4 o come allora dicevano la pedatura delle aree consagrate ai mani de’ trapassati (i). E in vero notavano tali cippi una religione del luogo ; ma ne notavano insieme- mente una proprieta : ora chi vorra credere che in alcun tempo mai si possedesse tanto incertamenle , da non far dilferenza le centinaja di piedi ? Chi potra * (i) Fabret. inscr. dora. a pag. 176 ad 180. ( 8 7 ) vivere persuaso , che il terreno potesse esser religioso, e non esserlo ; appartenere , e non appartenere al se- polcro ? Le antiche epigrafi ci dimostrano appunto il con • trario. In esse non solo si notano i piedi; ma la meta e le parti di essi , secondo che misurava il suolo adiacente al sepolcro. Il Maffei nel museo Veronese ha IN * FR • P • XS • IN AG * P • XIIS (i) Molti esempi ne riuni 1* Orsato , ne’ marmi eruditi ( 2 ): molti il Fabhrelti, che dottamente al suo solito , parla di queste misure sepolcrali (3) : altri possono vedersene nelle erudite dissertazioni del Morisani sui marmi di Regio (4). Ma all’ oppositore non sembran queste minute os- servazioni degne di riguardo. E siegue il suo ragio- nare , dicendo : che se il monuraento non torna bene per Priamo Liberto , tornera forse bene per quello dello stesso Erennio Gallo ; nel solo caso pero che pur questo sia di stretta fronte e considerevole Ian - ghezza. Dove mostra di attribuire al materiale del sepolcrale edificio quelle misure , che il cippo segna per determinare il luogo , cioe , lo spazio che dipen- (1) Museo Veronese p. CCCV. n. 7. (2) Marm. erudit. epist. II a c. 268 e seg. ( 3 ) Iscr. dom. a pag. 176 ad 180. ( 4 ) Marmora Regina Dissert, illustr. pag. 4^4 e se S- ( 88 ) dera dal monumento. Qui il censore si allontana per modo da ogni criterio de’ nostri sfudi, che fa cader l’animo a combatterlo piu oltre. Abberrazioni di tal fatta yogliono solo essere indicate , e rendono la con- futazione inutile. Dico dunque , per concbiudere , cbe la iscrizio- ne intorno alia quale si meno tauto rumore , stando al detto dei possessori del fondo, proviene da luogo incerto: e allora tutto il ragionamento riesce indarno. Cbe , volendosi pur tenere ritrovata nel latifondo Delgrande , nessuna ragione persuade che si abbia a riguardare come appartenente al sotterraneo anzi le ragioni tutte persuadono del contrario. Cos! si dilegua come un sogno di mente inferma quanto il censore avea finlo intorno a questo luogo. Sparisce il monumento di Priamo Liberto. Quello di Gallo Erennio si dilegua. Sea va la profanita del sot¬ terraneo. Sen vanno le larve di errore , delle quali si voleva ingombrarlo. Ma cbe dunque rimane ? Ri- mane , e pur forza il confessarlo , rimane il nuoTO esempio di quanto un prestabilito concetto trar possa la mente in inganno : rimane un opinar non fondato : un giudicare non saldo ; Ma accanto a queste cose non liete , resta piu inconcussa e piu splendida V eccle- siaslica disciplina ; e la sapienza dei yeri e dotti mae¬ stri , e P onore di Roma e delle sacre sue antichita. ( 8g ) APPENDICE • . . . . Num.° I ( v. a c. ) Lcttera del signor conie Firginio Fespignani^archiietlo al cavaliere P. E. Fisconti, commissario delle anticliila , segretario perpetuo della pontificia accademia romana di Archeologia. Signor cavaliere pregiatissimo Di casa li 17 settembre 1838 Allorche nello scorso mese di agosto ebbi il van- laggio di recarmi con esso lei a visitare gli scavi ese- guiti dai signori Del Grande nella loro vigna sulla via Labicana , rilevai in quell’ occasione la pianta, e de- lineai le cose piu interessanli degli scavi medesimi. Dalle osservazioni insieme fatte si concluse , cbe 1’ Ipogeo Del Grande potesse appartenere ad un tratlo di calacorabe , spingendo a cosl pensare la disposi- zione e quantita de loculi , la forma delle cappelle, e gli accessorii ad esse inerenti , non che la qualita e lo stile de musaici , e soprattutto il trascurato ge- nere di costruzione assai proprio del terzo secolo dell’ era nostra , inline il trovarsi prossimo al tratto principale di catacombe de’ ss. Pietro e Marcellino. 12 ( 9° ) Richiedendomi al preseate ella , signor cavaliere , a porre in buona forma quei ricordi , ed a trascriverle quelle pocbe notizie arlistiche , che a mio intendi- mento potei sul luogo rilevare , glie le invio comun- que esse sieno , protestandomi che ella e fin da ora l’arbitro a disporne come meglio Ie aggrada. A sinistra della yia Labicana antica , e prima di giungere al terzo miglio , nella vigna dei signori Del Grande , vedesi tuttora sopra terra distante circa metri 7 b dalla linea stradale il nucleo di una cella o edicola, costruito con scaglie di pietra albana,il quale conserva in qualche parte un rivestimento di cortina a grossi maltoni irregolarmente disposti con uno strato di calcina alto piu di un terzo del mattone stesso. Nel lato di essa cella , che guarda la strada, ed e rivolto verso ponente, vedesi P architrave della porta di pietra Tiburtina , e negli angoli si conser- \ano le vestigia di due ale di muro , le quali avan- zandosi fino al principio della gradinata venivano forse a terminare in due parastrati dello stesso dia- metro delle due colonne , che doveano determinare il portico cos! detto in antis. La pianta e la sezione della cella da me dimostrafa nella prima tavola , ed il prospetto nella seconda, non che le deduzioni tratte dagli scavi fatti eseguire , serviranno a chiarire mag- giormente le cose descritte. La costruzione delP interno della cella e quella cos! detta mista, con strati alter- nali di tufo e maltoni , con tanta quantita di calcina ( 9' ) fra loro, che eguaglia r altezza dello stesso mattone; costruzione che rimonta senza dubbio all’ epoca degli edificii della decadenza. Vedesi nel muro cbe guarda mezzogiorno uno spiraglio con architrave di travertino , ed arco a sesto ribassato della forma di quelli che si veggono pratti- cati in fabbricbe della suddetta epoca. II pavimento era ricoperlo con un musaico bianco di pietra palom- bina trascuratamente condolto. Paralella al muro, dove esiste 1’ ingresso, si vede iagliala nel pavimento un apertura , per la quale si discende al solteraneo, recentemente scavalo, mediante otto scalini ricoperti di sotlilissime lastre di raarmo dell’ altezza ciascuno di trentadue centimetri. Questi gradini vengono a terminare iu un ripiano inclinato circa diecisette centimetri , decorato con ri- quadro di musaico a varii colori ( Tav. I lett. A ). Dopo il ripiano si continua a discendere altri qnattro scalini costruiti nella stessa foggia de primi, cbe col loro lermine danno principio ad un ambulacro largo metri 20 lungo metri i4 aventi il piano sensibil- mente inclinato per metri 3« 35. Tanto le scale che il ripiano e T ambulacro sono ristretli da muri d’ iden- tifica costruzione di quelli della cella , interrotti da quattro rincassi di forma rettilinea , e due di forma curvilinea , con arcbi a sesto ribassato e con piano che accompagna l’inclinazione sopraindicata ( Tav. II). Questi rincassi erano destinali a raccbiudere i cada- ♦ 12 ( 9 2 ) veri, dimostrandolo chiaramente la loro interna forma. Soprapposla ai muri e la copertura a volta , che ancli 5 essa ora s’ inclina , ora si spiana , onde man- tenersi paralella al piano che soggiace. Al presente vi si veggono quattro aperture o spiragli , ma due soltanto sono eseguiti in costruzioue. Tali spiragli fo- ravano perpendicolarmente il muro della volta ed il terreno, fino a ritrovare l’antico piano della campagna. Al termine dell’ambulacro si discende altro sea* lino , e da questo punto tutto il resto del sotterraneo si mantiene in perfetto livello , dilatando la sua lar- ghezza fino a metri 2 »> 205 mentre la sua lunghezza si cstende per metri 29 ?> 5o , fino al giungere di altro rincasso con scale. Nella eslremita, e nel mezzo di tale lunghezza sono in ciascun lalo disposte tre cappelle della larghezza di metri 2 ?> 90 e profondita di metri 3 »» 60 . Lo spazio , che resla fra 1’ una e 1 ’ altra , viene tramezzato da un ambulacro transversale con piano e volta inclinata, quasi per mettere ad al¬ tro ordine inferiore di catacombe ( [Tav. II ). Alla dislanza di circa metri quattro gli ambulacri tran- sversali vengono tagliati da altri secondarii direlli ad incontrarsi fra di loro. Si enlra nei detti ambulacri transversali per altreltanti vani di porte della larghez¬ za di metri 1 ?? 20 , fianclieggiati da rincassi rettilineari siccome quelli descritli in principio. Tutto il sotterraneo e scavalo nel masso vergine, c soltanto 1 ’ambulacro dove fannor mostra le cappelle ( 93 ) ed lianno ingresso i bracci lelterali e rivestito di ima fodera di muro della grossezza di 45 centimelri coil arcbi piani e della forma di sopra indicata di meschL nissime dimensioni. Dove poi il muro non rivesliva ii niasso, sono scavati i loculi per i cadaveri, dove si ri- conosce talvolla la cavila per T ampolla , soprapposti gli uni agli altri , sino a formare tre ordini nella to- tale altezza. II pavimento dell’ ambulacro medio , e delle cappelle e ricoperto del consueto musaico bianco di pietra palombiua, interrotto da quadrati alternati di selce , senza alcuna preparazione , o di coccio pisto , o di stucco ad olio. In corrispondenza delle due pri¬ me cappelle e dei vani cbe danno ingresso agli am- bulacri laterali vi sono con non molta accuratezza di- sposti dei riquadri di musaico a colori marcati colie leltere B. C. D. E. ( Tav. I ) consistenli in meandri rettilinei , e curvilinei ; e soltanlo in quello marcato in pianta lett. B. Tav. I e piu espresso dettagliata- mente nella Tav. II, evvi nel cenlro una colomba che con i piedi tiene stretto un ramo d’ ulivo. La volta e quasi a foggia di piatlabanda , ed anclie in esso veg- gonsi forati tre spiragli con arcbi , e muro di rivesti- mento tutta la parte media si vede ricoperta con sta- bilitura della grossezza di tre centimetri formata di pozzolana e calce , del piu trascurato impasto , cbe si conosca eseguito sopra costruzione di eguale natura. Nell’ investigare attentamente le varie parti del sotterranco , ed in specie i rausaici, mi awiddi, cbe ( g4 ) innanzi a ciascuna cappella si trovavano murali,o due conci di pietra Tiburlina , ovvero due frammenti di lastre di marmo , nel mezzo delle quali eravi iroper- nato altre volte il billico della cancellata o barriera, clie divideva e segregava le cappelle dall’ambulacro principale. Cio che merita osservazione e uno di tali frammenli ( Tav. I Lett. F. ) in cui vedesi scolpilo un tralto d’ iserizione funebre , cbe trovasi delinealo nella Tav. II, unitamente a due frammenti di barrie- ra rinvenuti allorche fu spurgato il sotterraneo. Si con- servauo pure in varii loculi dei pezzi di tegoloni , e di lastre marmoree , colle quali venivano raccbiusi i cadaveri nei suddelti loculi siccome e solito d’ incon- trarne in tutte le catacombe crisliane. Alla eslremita dell’ ambulacro principale si scorge una piccola base altica di caltivo stile ( Tav. II), de- stinata forse a sorreggere un qualche rocchio di co- lonna , sulla quale poteva essere situata la tazza dell’ acqua santa come e stato osservalo in altri simili luo- gbi di altri cimiteri. Per quanto indagai non mi fu dato di rinvenire dall’altra parte alcuna traccia di simile base in corrispon- denza della suindicata. Termina il sotterraneo con sei scalini, che incominciano presso la delta base , e di- mostrano che quivi fosse un’ altro ingresso nel sotter¬ raneo. La lunghezza generale del sotterraneo corapresa la cella e di metri 53 » 4o:la larghezza presa nel primo ambulacro transversale in quella parte che si e finora ( 9 ^ ) scavata e di metri 22 »» \o: la raassiraa altezza e di melri 2 »» 65. 11 livello poi e inferiore al piano attuale della carapagna in metri 8 » 65 ed a quello dell’an- tica via Labicana in metri 5 » 85. Eccole , signor cavaliere , trascritto in succinto quanto potei rilevare nella ispezione insieme fatta del sotterraneo Del Grande , e questi sono i molivi, per i quali mi parve di ravvisare nel medesimo un tratto di catacombe , non solo , come dicevale da principio, per la forma e disposizione degli scavi e degli acces- sorii, ma specialmente per la trascurata costruzione dell’ intero ipogeo , cbe mal converrebbe di ascrivere fra i sepolcri 0 colombarii dei gentili dai quali e af- atto diverso. Non intendo pero su quesfo insistere piu oltre ? e soltanto le rimetto le suddette tavole in maggior di- lucidazione di quanto ho esposto , mentre ascrivo a mia ventura di potorle in qualche modo addimostrare 1 ’ altissima stima e il sincero attaccamento , col quale mi dichiaro. Di lei signor cavaliere Umo e Devifio servitore YlRGINlO CONTE VeSPIGNANI ACHITETTO I V) . t ' i - r ‘ ' V Ki^Yi. ; > v ' ' ’*.. o ! !;oi) . ; ' 1 •t ' r ! ) : -! 1 • : ’ • i • : iH' v r.YV.’x t?!o CHp ’ * - ■ ^ : it n ,o . i t . , ' j >. , . ■ ■ : ■ , • ' ru L ; ’ . ; - ‘ , c . > > • .. \ ( 97 ) APPENDICE Num.° II. Lettera del signor cavaliere Raoul-Rochette, professore di archeologia e membro dell'istituto, al cavaliere P. E. Visconti, commissario delle antichitd , segretario perpetuo della pontificia accademia romana di Archeologia. Blio onoreyole collega ed amico Roma Villa Medici 31 Ottobre 1338. Avete desiderato di conoscere P opinion mia, in- torno alia catacomba , di recente discoperta presso all’ antica via labicana , cbe noi abbiamo visitato in- sierae , e cbe voi eravate stato il primo a segnalare al publico interesse. Questo desiderio ba per me qual- che cosa di tanto lusinglievole , che io non posso rat- tenermi dal corrispondervi ; e tuttavolta se io non avessi a prender consiglio che da me stesso , dovrei astenermi dallo esprimere sopra un monumento , che non e conosciuto ancora in tutte le sue parti , una opinione , che puo trovarsi piu tardi in contradizione con i fatti , e che ba incontrato gia piu di una op- posizione bastantemente grave. Privato d’ altronde , i 3 ( 98 ) come io lo sono , dei libri e delle memorie , che riescono di un aiuto indispensable negli studi archeo- logici ; debbo temere di commettere piu d’ uuo di quegli errori , o di quelle oinmissioni , che sfuggono alia ritentiva la piu sicura ; i quali sarebbero senza conseguenza , in una discussione , nella quale tutti fossero d’ accordo ; ma che diverrebbero fra le mani di un’ avversario altrettante armi cotnode alia mali- gnita che rolesse usarne. Malgrado tante ragioni che avrei a serbare quel silenzio prudente , ch’ e la risorsa di tante posizioni e il merito di tante persone, io non esito a darvi l’avviso che mi richiedete , po- nendovi quella giusta diflidenza di me medesimo , e quella profonda deferenza pe’ vostri lumi , che in questa piu che in ogni altra circostanza mi sono prescribe. A1 primo volger d’ occhi semhrerebbe , che un sepolcro sotterraneo qual’e quello del quale si tratta, collocato in una localita taato prossima alle catacom- be de’ ss. Marcellino e Pietro , avrebbe ad essere ri- guardato come uno de’ bracci di tale catacomba , cosi vasta e non esplorata ancora in tutta la sua ampiezza, piuttosto che come un’ ipogeo romano , e 1’ osserva- zione del luogo , tende , se nou m’ inganno , piutto^ sto a confermare che a distruggere questa prima im- pressione. Un’ ipogeo di origine antica e di uso ro¬ mano , di un’ epoca tanto alta dell’impero , quanto si vorrebbe supporre , e di una importanza tanto consi- ( 99 ) derabile quanto lo dirnostra la parte sotterranea , do- vrebbe presentare , alia superficie del suolo , se non delle costruzioni analoghe alle dimensioni di questo ipogeo, alraeno alcune vestigia , alcune tracce di edi- fizio ; e qui non v’ ba nulla di simigliante. Perche cio cbe vi dura di una spezie di frontespizio, eguali a quelli , clie molti si veggono ai due lati della via appia , costruito in mattoni al di sopra dell’ ingresso principale, e forse unico , non ba nulla cbe si con- venga ad un grande sepolcro pagano : ed una costru- zione siffatta , eseguita d’ un modo , cbe accusa tanto sensibilmente i tempi di decadenza, in mattoni alter- nati con un letto di calcina di altezza ad essi eguale puo assai bene essere spiegata in una ipotesi diversa. lo non iscuopro qui dunqne nulla , ne all’ esteriore , ne nella localita , perche sia giustificala Y idea di un sepolcro romantf. Yediamo cio che Y esame del munu- mento medesimo recar potra di prove o di presun- zioni a sostegno di una opinione contraria. La pianla dell’ ipogeo , e quella di un luugo corridoio , o ambu- lacro, presso a poco dritto , interrotto di distanza in distanza da strade , cbe tagliano questo corridore ad angolo retto i e cbe si corrispondon fra loro , come tante braccia. A voler oonsiderare solarnente la cosa in generale , ella e questa certamente la pianta di una catacomba cristiana , anzi cbe quella di un se¬ polcro romano di famiglia. Gli esempi delle due cose sono tanto numerosi e tanto presenti alia vostra me- i3 * ( '00 ) moria , che debbesi essere assoluti dal cilarne , spe- zialmente quando si scrive in Roma. Dai due lati di questo ambulacro principale , egualmente che nelle pareti de’ corridori che lo traversano , sono escavati dei loculi nel tufo , e molti di tali sepolcri sottostanno ad una volta arcuata. Sono queste ancora altrettante circostanze , se non esclusivamente proprie delle ca- tacombe cristiane , almeno infinitaraente piii comuni in tali sepolture , che nelle tombe romane o d’ altri popoli. Nelle quali io non so che ritrovati siansi se¬ polcri in cotal guisa disposti lungo e nel vivo delle pareti di un ambulacro , che scorge ad una , o piu camere sepolcrali. Aggiungo poi con maggiore sicu- rezza che se de* sepolcri sottoposti ad una volta ar¬ cuata , come que’ della tomba de’ Nasoni , possono aver dato l’idea e fornito il tipo de’ monumenta arcuata , eguali a quelli della catacomba di s. Ermete , come ho detto altrove (i), non vi ha tra questo fatto , e quelli de’ nicchi sepolcrali pratticati lungo di un cor- ridoio , qua!’ e quello di che favelliamo , alcuna reale analogia. La pianta di questo ipogeo e dunque vera- mente piu cristiana che romana , a non volerne ri- guardare altro che 1’ insieme ; ed e cio che diviene ancora piu evidente , quando si passi ad esaminarla ue’ suoi particolari. (i) Si vegga il mio Quadro delle Catacombe a c. 73 e 74* ( 101 ) Voi siele stalo percosso per il primo , ed io stesso non ho potuto astenermi dall’ esserlo al par di voi , da una singolarita , che qui si trova , del pari che nelie altre catacombe tutte , e che sarebhe senza ra- gione , come e , credo , senza esempio , nei sepolcri romani: e che la volta di questo lungo ambulacro : trovasi forata, di distanza in distanza , da spiragli , che vanno infino alia sovrapposta campagna. Queste aperture , sono cio che nomavasi nel lingnaggio della crisliana archeologia luminare cryptae ; di che riman- gono nei fasti del cristianesimo , nelie testimonianze scritte della sua istoria, del pari che ne’ suoi monu- menti , innumerabili gli esempi ; mentre non si po- trebbe comprendere a qual titolo aperture di tal sorte avessero potuto trovarsi al di sopra di antichi sepolcri. Gli spiragli , de’ quali parliamo , sono cer- tamente Y opera di coloro , che appropriato avevano a loro uso questo sotterraneo , giacche sono essi coperti dello stucco medesimo, che cuopre le pareti del cor- ridoio , e la volta de’ nicchi ; e se si pretendesse che formati venner piu tardi nell’ epoca in che i cristiani poterono servirsi di quest’ ipogeo per deporvi i loro morti ; onde render conto di una circostanza incompa- tibile al genio dell’ antichita , si farebbe una suppo- sizione piu difficile ancora ad essere conciliata con il genio del cristianesimo. Poiche non v’ ha esempio , che abbiano i cristiani addoperato ad uso di lor se- pollura un’antico sepolcro. Se dunque tali spiragli ( 102 ) sono di cristiana origine , bisogna assolutamente clie la catacomba intiera sia cristiana , non si trova , a mio avviso , mezzo termine possibile. Un’ altra circostanza , che non ba a miei occhi una importanza minore, e , che spiragli cosiffatti cor- rispondono alle braccia che s’ incontrano nella pianta delT ipog&o , evidentemente nella intenzione di spar- gere un poco di luce negli ambulacri sotterranei , che terininavano nel corridoio principale. Ora egli e ancor questo l’elemento della disposizione di una cristiana catacomba, ch’ e affatto estraneo a quella di un an- tico sepolcro. Lo spazio quadrato che occupa 1’ incon- tro di queste braccia laterali , e che si trova precisa- mente al disotto degli spiragli , e ornato di un ri- quadro in musaico. Se di nuovo non m’ inganno , questo modo di adornare il musaico il luogo della ca- tacoba illuminato dall’ alto , accusa una intenzione comune e contemporanea , che non puo guari spie- garsi nella ipotesi di un sepolcro romano. Ma cio che, a mio avviso , e decisivo intieramente , e il fatto di un claustro, o di un cancello , ch’esser dovette dai due lati di cotali spazi quadrati , giacche vi si tro- vano ancora ai quattro angoli le pietre , nelle quali fu impernato il cancello. Egli e pertanto evidente , che in nna epoca ; nella quale il passaggio ne’ corri- doi laterali era fatto praticabile e di uso frequente , si aveva voluto porre in salvo da ogni contatto i corpi deposti in ciascheduna delle divisioni del principale ( io3 ) ambulacro , comprese fra tali inconlri delle braccia lateral!. Ora ella e questa una circostanza , che non puo per modo veruno adattarsi ad un'antico sepolcro; in raentre che nelle catacorabe cristiane , trovava in tutto la sua ragione e il suo ufficio. Uoi non avete mancato di por mente che una delle pietre , che ser- vano a sostegno di tali claustri , precisamente nella divisione prima dopo discesa la scala , e un fram- mento di marrao antico , e che contiene 1’ avanzo di una iscrizione , che sembra sepolcrale : yi si leggono ancora le letlere : lllllllllllllinillllllllliailUllllllll BENEM FECIT VI ms 3 mmmnmmmimmmmnmm La parola fecit , con la sillaba che siegue , e che si puo supplire vims , o vixit annis , congiungendolo con le tre lettere che si conservavano nella terza linea, indica certamente una iscrizione funebre ; accordan- dosi con 1’ avanzo della voce Benemerenti , che si ri- conosce nella linea superiore. Ghecche ne sia, 1’ uso di nn marmo antico a un tal luogo , e per un tale uso, e una cosa affatto propria alle cristiane catacombe, ( io4 ) e di che esistono numerosissimi esempi. Mentre in un sepolcro romano , soprattuto della prima eta dell’ im- pero , come e stato supposto , cio sarebbe contrario alle nozioni tutte che noi possediamo intorno all’ an- lichita. Ecco indubitatamente , ben molte circostanze, cbe depongono in favore dell’ essere quest’ ipogeo una eatacomba cristiana , e cio con tanto maggior forza , ch’ esse non possono esser conciliate con 1* idea di un sepolcro romano. Nullameno sono state fatte contro questa idea , cbe voi siete stato il primo a sostenere , delle obiezioni cbe per lo vantaggio della verita si rende importante di dedurre al loro giusto valore : cio che voi siete capace di fare meglio di ogni altro. Si e detto , cbe questo ipogeo era costruito e ricoperto in istucco , nello stile de’ sepolcri romani di una buona epoca dell’ impero ; ma io confesso di non avervi veduto che un sistema di costruzione cbe accusa i bassi tempi , con un rivestimento in istucco della qualita piu ordi- naria. Se non vi si yeggono pitture , ne sulle volte, ne sulle pareti , quali ve ne furono nella piu parte delle catacombe , ne segni o emblemi di cristiane- simo ; cio e percbe questa eatacomba fu spogliata ad una epoca del medio evo de’ sepolcri che racchiudeva e de’ corpi , cbe v’ erano stali deposti. Cio apparisce evidente alia ispezione de’ luoghi , e puo essere giusti- ficato con le testimonianze della storia ecclesiastica : mentre cbe nell’ ipotesi di un sepolcro romano } non ( iob )' saprebbe spiegarsi , come un’ ipogeo fosse rimasto al tulto vuoto , e privo cli ogni maniera di avanzi di oggelti antichi , per non parlare delle ossa umane ; quando e notissimo cbe i sepolcri antichi , anche sca- vati repiicatamente , anche spogliati degli oggetti piu preziosi , hanno offerto mai sempre degli avanzi di pittura sui muri, o almeno qualche frammenlo di vasi, d’ urne , di lucerne : in una parola alcun’ avanzo di antichita, S’ insiste e si oppone , che queste catacom- be , che decorate non erano di pilture con crisliani emblemi, avevano un pavimeoto in musaico ; cio ch’e doppiamenle contrario a quel che noi conosciamo delle disposizioni solite usarsi nelle catacombe cristiane. Ma a questo si puo rispondere , che se i dipinti delle volte sono scomparsi , cio puo esser stato per la cir- costanza indicata di sopra ; ma che si rende piu pro- babile ancora , che non ve ne abbiano esistito giam- mai ; alteso che molte catacombe che furono in caso simigliante , si rinvennero in uno. stato eguale ; lo che dipende da un’ordine primitivo di cose ; in men- tre che il pavimento in mosaico si ha da credere con- oondotto in una epoca posteriore a quella della occu- pazione prima di questo sotterraneo , in un tempo nel quale essendo cessate le persecuzioni , le catacombe divenute erano luoghi di divozione e di pellegrinag- gio , come lo apprendiamo dalla celebre testimonianza di s. Girolamo ; senza che cessato avessero per questo di esser luoghi d’ inumazione. Io sono convinto che i4 ( i°6 ) i riquadri in musaico , che si trovano negli spazi qua- drati corrispondenti a’ spiragli , sono stati eseguiti all’ epoca medesima , nella quale spiragli cosiffatti vcnnero aperti, conseguente molto tempo dopo che i primi fedeli serviti si furono di questo sotterraneo per la sepoltura de’ loro morli. Ed in effetto , come si e gia osservato , il lavoro di cotesti musaici , che non e certamente dell’ alia epoca dell’ impsro , accusa un tempo di decadimento , prohabilmente quello di Costan- tino. Quanto al disegno di essi musaici , se nulla vi si trova , che sia positivamente crisliano , nulla pur vi si vede che pagano sia assolutamente e sopra un tal punto la quistione rimaner potrehbe indecisa. Ma io m’ inganno , 1’ augello che adorna il musaico del primo riguadro , e del quale si e voluto fare un vola¬ tile qualunque , o per lo meno un simbolo indifferente e con tutta certezza la colomba , quale rappresentata venne dalli cristiani in ogni maniera e sopra tutti i loro monumenti, vale a dire con il ramo di olivo , accessorio intieramente caratteristico , e del quale e stato errore il non tenere verun conto. Imperrocche, se la colomba sola e un simbolo impiegato come puro ornamento negli antichi sepolcri , siccome ho dimo- strato io medesimo (i) , la colomba con il ramo di (i) Quadro delle Catacombe a c. 229 not. 29.3. ( i»7 ) ulivo e un simbolo puraraente ed esclusivamente cri- stiano. Esiste qui dunque un’ elemenlo di cristiana ar- ckeologia , cbe unito a tulte le presunzioni preceden- temente acquistate , diviene come prova diretta a so- stegno della opinion vostra, cb’e pure la mia. Si e creduto ancora di trovare una difficolta con- iro di tale opinione nella circostanza di due basi di marmo bianco , collocata al basso di cio cbe si cbia- ma la scala d ’ occidente le quali fanno supporre in questo luogo due colonne similmente di marmo bian¬ co , e conseguenteinente una spezie di portico eretto all’ ingresso della catacomba : cio che si afferma es- sere contrario all* indole della cbiesa primitiva , ed a tutto cio cbe si e fino ad ora veduto nelle catacombe. Ma vi ha , se permesso m’ e il dirlo , in questa ma- niera di ragionare , piu di una supposizione gratuita, e qualche inesattezza. Primieramente non e costante, ch’ esistessero in questo luogo due basi di marmo \ almeno non ye ho io trovala in sul luogo se non una sola , e il pavimento in musaico e rimasto intatto nel luogo ove si presume cbe fosse la seconda ; ma accor- dando ancora che questa seconda abbia esistito . come io sono disposto ad ammettere , resta tuttavia a pro- vare ; cbe qui fossevi un portico , una scala , e un ingresso della catacomba : cose lutte che sono ipote- ticbe molto , per non dire inverosimili , e che non possono in ogni caso risultare cbe da un nuovo scavo. Imperciocche , a mio avviso , nell’ attuale stato dei )4 * ( i <>8 ) luoghi , non avvi qui che un piccolo oratorio , che pote andare ornato di due colonne di marmo bianco; cio che si conviene intieramente alia comune disposi- zione delie catacombe , e cbe trova piu d’ un’ esempio in queste medesime de' ss. Marcellino e Pietro. Final- mente annuendo ancora alia supposizione affatto gra- tuita , che fosse qui un’ ingresso della catacomba , non e guari piu esatto il dire , che questo lusso di colonne di marmo fosse strana cosa ai cristiani , e ignola neile loro catacomhe. Egli e cerlo per lo con- trario , che dopo il periodo delle persecuzicni , nel tempo che i papi faceyano eseguire nei cimiteri la- vori di mero ornamento , di che restano molte auten- ticlie testimonianze neile vite di Anastasio, yi ebbero esempi di questo uso di marmi per rivestimento di alcune parti delle catacombe , e precisamente all’ in¬ gresso dei cimiteri ; lo apprendiamo , fra le altre te¬ stimonianze dal passo di un inuo di Prudenzio. Nec PARIIS contenta aditus obducere SAXIS , addidit OMAINDO clara talenta operi. Cio cbe si osserva nella nostra catacomba mede- sima , nella quale i gradini della scala onde vi si di- scende , serbano una parte del loro rivestimento n marmo , fatto secondo ogni verisimilianza , nell’ epoca medesima de’ musaici del pavimento. Mi sembra che queste poche osservazioni y sufficientemente rispondano ( i°9 ) alle obiezioni cbe si e sliraato ricavare da quesla base di marmo e dai musaici , sIrani , si e affermalo , alia poverta de' primi secoli della chiesu. Imperciocche cosiffatte obiezioni cadono di per se slesse , quando non si ponga nella ipotesi , che tali ornamenti di mar¬ mo e di musaico appartengono , come la maggior parte de’lavori di tal genere o di qual si voglia altro di de- corazione , che incontri nelle catacombe , ed un^ eta prossima , se non contemporanea al secolo di Costan- tito ; e in questa ipotesi, i fatti sono in tanto accordo con le testimonianze , che sembra non poter rimaner il piii piccolo dubbio , menlre nell’idea di un romano sepolcro , tutto qui si trova in contradizione con la idea di lavori eseguiti in un’ alta epooa dell’ impero. Io non ho parlato di una iscrizione Iatina , che si stima appartenere a questo ipogeo , e secondo la quale inferior vuolsi , che fosse il sepolcro di un certo Priamo Liberto d’Erennio Gallo. Gonfesso di non porre importanza yeruna in tale iscrizione, che sembra re- cata in questo sito da un luogo piii o meno lontano, e che , in ogni caso , non fu trovata qui air antico suo posto , lo che si renderebhe necessario per con- cludere alcuna cosa con probability ; e che, foss’ella pur stata ritrovata nel posto e sopra il suolo della ca- tacomba , avrebbe oltimamente potuto spiegarsi, con riconoscerla usata dai cristiani stessi , sia per chiu- dere una delle nicchie sepolcrali , sia per servire di rivestimento a qualsivoglia altro luogo , come per tanti ( no ) esempi si e trovato nelle catacombe. Io non diro dun- que cosa alcuna di questa iscrizione , che in verita non mi sembra un’ elemento della discussione che trat- tiamo , e d’che altronde , adaltar volendola al nostro monumento , puo dar luogo a ben molte obiezioni , che voi porrete in chiaro meglio che ogni altro. In- tendo semplicemenle di mostrarvi con un solo esempio fino a qual punto una certa prevenzione puo alcuna volta avere influenza sovra uno spirito retto e ben culto, senza che ei pur ne sospetti. Certainente P antiquario che ha pubblicato tale iscrizione e ne ha falto uso a sostegno dell’ opinion sua , ha troppo merito e sapere per non conoscere quali sono i caratteri ai quali si distingue una iscrizione dell* alto impero e di una ec- cellente epoca ; e quando parla della buona forma delle lettere , e delV antica ortografia , puo riposarsi sopra la sua esperienza e sopra i suoi lumi. Tuttavolta fermandosi a giudicare del tenor stesso della iscrizione, quale egli la stampa , io ne trarrei una idea al tutto diversa. II caso medesimo che qui si tratta di un liberto chiamato Priamo , e di un’ altro liberto chia- mato AEpolus , indica una epoca delP impero , nella quale abbondano cosiffatti nomi di Iiberti e di servi , tolti alia greca nomenclatura e vestiti di romana forma; epoca che e certamente lontana assai dalli tempi re- pubblicani. Osservate , nel resto , che io inchino qui alia opinion delP autore , che il norae AEPOLVS, sia scritto nel marmo , in un modo antico in vece di ( >11 ) AEPOLYS , di che siegue clieilnome AEPVLYS , o AEPOLYS , sia per lui la forma romana della greca voce AIII0A02 ; ma in tal caso non vi sarebbe stata ragione per trasformare il greco nome AIII0A02 in AEPYLYS , atteso che nell’ anlica ortogralia latina , che tant’ uso faceva dell’ 0 in figura di V , egli e precisamente il contrario che avrebbe avuto luogo. Non e in Roma ove esistono le iscrizioni del sepclcro degli Scipioni e tanti altri monumenti della paleografia latina , che e necessario di citare esempi dell’ uso dell’ 0 per V , e non e tampoco di un romano anti- quario , che io mi permettero credere , ch’ egli abbia potato confondere 1’ uso degli etruschi , che rimpiazza- vano 1’ 0 dei nomi greci con 1’ V del loro alfabelo , con la pratica dei romani, che per lo contrario espri- mevano in numero cosi grande di casi 1’ Y della pro¬ pria loro lingua con il mezzo di un 0. Questa non e dunque in persona di antiquario tanto letterato ed istruito, che una distrazione senza consegueuza , ed e, ancora nel suo sistema , un’ argomento privo di ogni valore, del pari che l’ortografia della voce PROXYME, che si trova nelle iscrizioni di ogni epoca , e che in verita nulla prova in favore dell’ opinion sua. Io v’ indrizzo , mio onorevole collega ed amico, questo picciol numero di osservazioni, scritte a correr di penna , senza la piu piccola pretensione , salvo quella di esservi aggradevole , e per fame quell’ uso che vi parra conveniente. Se voi le conserverete fra ( ( >12 ) Ic YOstre mani , esse vi rimarrano come testimonianza della vecchia amicizia che ci unisce. Se voi la pubbli- cate in appendice alia memoria che voi preparate so- pra la catacomba della via labicana , e che redatta coil la cura che voi potete porvi e tutto 1’ agio del quale godele , non puo mancare d’ esser degna del saper vo- slro , e della vostra riputazione , i vostri lettori mi accorderanno senza dubio all’ ombra del vostro nome , un poco di quella indulgenza di cui abbisogno piu. che mai fosse , per un lavoro al tutto improvisato , come qnesto e. In ogni caso io ho soddisfatlo al mio debito e deferito al vostro desiderio , cio e avere assai bene addoperati gli ultimi momenti del mio soggiorno in Roma , perche io abbia a felicitarmene, massima- mente se Yoi non vi trovate cosa della quale non siate contento. Vostro al tutto divoto coltega ed arnica Raoul - Rocuette ( n3 ) /iMr APPEiVDICE * „ ' r * _ , f . , . * . . ,f> ' f O V f. \ *\ v ' Num.° III. i * •• • * I * i; w A n /«. < r . ft ' • 1 rt f C 1’J O ( ' () 1 ' ** J ' T OSfJ L'B 1BB1 iii-'C jUIUjUjoi Jl i“ c u ^ ^ ■ 'I // sepolcro di Priamo Liberto presso la via Labicana nel fondo oggi Delgrande da alcuni creduto un tratto di calacombe . , cretenses sacrum. Nella vigna de’ signori Francesco , e Natale Del¬ grande al terzo miglio a sinistra sulla via Labicana , si vede oggi in parte sgoinbro un sotterraneo , antica fabbrica mortuaria , sulla quale avendo io materiali da potere emettere considerazioni d’ alcun peso , e veggendo 1’ opinione pubblica deviata dal vero , credo di mia convenienza lo scriverne. II monumento e d'al- cun interesse , vi voleva perd la sraania de’tempi no- slri , che magnifica le minime cose , onde presen- tarlo alia colta Citta nostra , siccome oggetto d’ am- mirazione, aggiungo, che se d’ora in poi tale ipogeo avra dotte visite , e sara materia a discussioni , e scavi verra cio in buona parte dalla inedita iscrizione che qui consegno , e che ne precisa bene 1’ autore, la natura , il tempo. II signor cavaliere Visconti il primo notizio recenlemente il pubblico di questo tro- yato , e securo di se lancio a piii riprese 1’opinione ib / ( 114 ) che vi A debba yedere un tratto ampio , e nobile di catacombe , ne pare abbia sospettato , che altri possa divergere dal suo ragionare , io pero cerchero a sta- bilire in quesla lacinia di scritto , che il monumento in quistione e un sepolcro romano, ne servi mai ad uso cemeteriale ; secondo , che quasi certamente appar- tenne ad un Priamo Liberto , e fu inoltre contiguo al sepolcro , che per me qui dapprima si acceiina d’ Erennio Gallo. A maggior chiarezza do una brevissima } e fedele descrizione del monumento. Assai prossimo alia via, e sopra una linea perpendicolare a questa e un am- bulacro retto , che ha piu diramazioni laterali corri- spondenti due a due , e in parte ancora ripiene di terra ; alcuna di tali diramazioni in luogo d’archivolto ha una trabeazione reltilinea : negli spazi tra dette diramazioni sono loculi a rieevere cadaveri , la volta e ben conservata, 1’ ambulacro si dilata a ponente in un quadrilungo breve , e le estremita di quello pog- giano in alto per mezzo di due commode scale late- rizie. La scala di levante ha gradi , qnindi un lungo piano inclinato , poi ancora dei gradi, l’altra di po- nenle e tutta ostrulta e piu larga ; un corpo quadrato laterizio a piu conlignazioni adornava , e s’aggiunge alia scala di levante: nell’ interno un musaico tutlo bianco forma il piano , se non che in corrispondenza dei vani laterali suddetti spiega dei riquadri in duro, e a colori con meandri , fiori , e alcun volatile. Gli siucchi die velano tutte le interne pareti si serban solidi, e furono accuratamente condotti : due basi an- tiche di marrao bianco al basso della scala di ponente ancora al loro posto esiggono, che vi si ammetta pur due colonne di marrao. La proporzione della pianta all’alzato e come dorica , di buono stile, ed effetto, senza essere quello soverchiamente sfilato. Tutto l’e- dificio fu come di getto pratticato alia stessa epoca , e serabra del primo secolo deli’ impero : niun grafito, o dipinto sia di nomi , sia d’ emblemi , od imagini di ragione cristiana: non v’ e ritratta la croce, non poggetti pel vaso dell’ acqua sanla , non forelli late- rali , o curvi ferri nel volto pei lurai; fin qui niuno indizio di cappella. Le considerazioni , che potrebbero far credere, esser questo un tratto di catacombe son cos! tenui, che si doveva almeno asserirlo con qual- che cautela , senza moverne Iieto un romore eliraero; e primo quanto alia pianta del monumento non per- cio ch’ essa si discosta dalle usate piante di sepolcri profani latini, si doveva concludere , che sia lavoro cristiano , poiche e il sepolcro degli Scipioni , col quale il nostro deve entrare in parallelo ha pure una una pianta singolare , e i sepolcri Ceretani antichissimi nuovamenle messi in luce ban qualche analogia col nostro pei ripetuti vani lateral! corrispondenti al tratto medio : inollre la supposla croce ritratta in uno de Musaici del piano non ha fondamento alcuno , poiche ne la croce pote da cristiani essere efligiata nel suolo, ( >'6 ) dove forzalamente , e indecentemente sarebbe stata conculcata , e di croci condotle in terra non bo Ietto eserapio nelle tante catacombe che si conoscono , e vi si trovano coslantemente per verita , ma in tutti altri luoghi che nel Pavimento , e Y abbaglio nacque da cib che si considero come croce la parte tratteg- giata a scuro dei fioroni , o cose siflatte : la colomba poi che egli dice rilratta in uno dei quadrati scevra d’ altre caratteristiche e simbolo non piu cristiano che pagano, e viceversa ; benche meglio si dehba quivi tenere per lull’ altro volatile. E ad escludere del tutto, percio che a me ne sembra la nomenclatura del si¬ gnor cavaliere vengo a loccare le ragioni , che vo- gliono profano V ipogeo , e la fabbrica integrale su- periore. Nelle catacombe , quando pure s’ inconlrano delle colonne , cio che di rado avviene , adornano quelle le piu angusle parti del luogo , cioe le cappelle; vengono addimandate dalla ampiezza del vano , e giammai sono di marmo ; mentre al contrario quivi le colonne furono al primo adito, certamente di mar^ mo , poiche tali son le hasi , del tutto soverchie e solo di lusso. E dove il principale scopo de’ persegui- tati cristiani fu per lunga pezza ridursi nelle cata¬ combe , e ivi esercitare il nostro culto puramenle, e sinceri , onde sottrarsi alle investigazioni della intol- lerante autorita , sarebbe stata veramente incongrua una arenaria fcrnila di due commode scale che me- nano alia luce in tan la vicinanza fra desse. Inoltre ( "7 ) siccome un edificio munisce come dicemmo 1* alto della scala di ievante , io congetluro che una simile coslruzione alia estremita superiore delfaltra sia oggi mascbera'a dalla casa colonica , e si vede di fatto per le vigne di Roma posare sovente dette case sopra re- sli di fabbriche specialmente sepolcrali perche sulle vie , ne si sa ( anche a voler favorire Topinione del signor Visconti ) come meltere d’ accordo edifici di buono stile , elevati di molto sopra terra , certamente non sacri, che abbian poi a doversi avere come spet- tanti a prossime catacombe , sapendosi con certezza cbe queste non ammisero fabbricati esterni , se non se sacri, e di piu considerevole vastita , e non prima di Costantino. E quanto ai loculi pei cadaveri, nell’ipo- geo Delgrande sono quei cbe vidi gia , con propor- zioue arcuati , non gia numerosi ma limitatissimi , artefalti contemporaneamente al sepolcro , e non suc- cessivamente ad intervalli come nelle catacombe , in fine cosi accurati come nei migliori colombari latini. E quanto al pavimento messo a buon musaico non si e tale prattica giammai osservata negli innumerevoli vani di catacombe fin qui rintracciati , e cotesto lusso, e in generale ogni cura di lusso fii schivala da quei primi nostri: e poicbe 1’ edificio, e il sotlerraneo sono dei migliori tempi dell’ impero , sovvengliiamoci die in allora i cristiani furono non gran fatto ricchi , e ben lungi dalf avere calma , e autorita. Nulla prova contro me , cbe vi sian presso realmente le catacombe, ** ( "8 5 poicbe dove la natura del suolo lo permette tutte Ie yigne romane , e terre contermine ne sono irregolar- inenle minate , e inoltre per di sopra nascondono se~ misepolte ricche ville , e sepolcri romani in copia ne mi grava cbe vi sian loculi dove s’acconcio cada- veri esclusivamente da ossuari, urnette, vasi ec. poi- elie introdotto nella repubblica 1’ uso di bruciare i morti , non percio varie famiglie desisteltero dall’an^ tica coslumanza , e in generale cbe si potesse allora o bruciarli , o fidarli inlalti alia terra si vede da’ se¬ polcri profani , cbe moslrano nella stessa cella i due modi di seppellire : cost nel colombario dei Liberli di Livia , cosi nel vago sepolcro Campana a porta Latina. E si legge nell’ edilto perpeluo redalto da Salvio Giuliano imperante Adriano ^ si homo mortuus, ossave, hominis morlui » e i giureconsulti prima , e poi adoprarono la stessa doppia frase nel digesto ai tiloli dc religiosis , e de sepulcbro violato. Par dun- que cbe il bruciare ne’ tempi dell’ alto Impero fosse costume anzi cbe legge , e il modo opposto non si limilo gia a pocbissime genii , ma fu tenuto varia- ; mente da vari secondo le origini delle famiglie, le re- ligioni domesticbe , i mezzi pecuniari ec. avvalorano il fin qui deito le osservazioni qui appresso. L’asse dell’ ipogeo va perpcndicolare alia via Labicana , in conseguenza fu delineato ragionatamente , e in buoir tempi , e si Yede inoltre cbe la fabrica esterna posa ( H9 ) a squadra e colla via stessa , e col defto solterraneo : di piu come dai latini si coordinavano le linee dei Tempi ai cardini celesti , e questo s’ osservava pur uell’ agricoltura , e negli accampamenli , egli e ben probabile , che cio non si dispregiasse nella fabrica- zione dei sepolcri , ove pur si faceya libazioni , e preci : e il nostro monumento che corre da ponente a Ievanle accusa una tale diligenza , cbe non pote essere dei cristiani , i quali lolte le basiliche , cbe piu tardi squadrarono a questo modo , fnrono per al- tro nelle calacombe in parte necessariamente indiffe- renti a cotesto : e viene all’ animo inline che i sepol¬ cri profani sono spesso abbelliti da musaici. Cesso di dire a questo riguardo per non essere in cosa rnani- festissima soverchio , e passo a provare , che quasi certamente appartenne a Priamo Liberto d’ Erennio Gallo. E si avverta che questa seconda parte del ra- gionamento del tutto , o in parte stabilita , giova pur per se P opinione mia , poiche se ii monumento fu originariamente profano ne siegue inollre , che cri¬ stiani a qualunque evento non se ne servirono, avendo a schiTo contalto di idolatri comunque si fosse. L’ iscrizione che siegue , e cbe ne da V autore del sepolcro , e assai notizie addizionali proviene dalla stessa vigna , fu donata nel marzo 1 836 dai lodati signori Delgrande gentili persone , e colte al signor professore Emiliano Sarti, formava il piano d’ uno dei ( «20 ) parapelti della yasca attigua al pozzo , e fa oggi parte delie scelte epigrafe propriela del medesimo , e in tra- yertino , inedita } e di questo tenore. \ • * * j, 4 . f . t . • ; ’ . ! , .. ; LOGVS • ADllIBVtus IN * PERPET • PRIAMO EX • YOLYNTATE • HEREnnii GALLI * PATRONI * A M • LOLLIO • ET • FVFICIO MAGIANO * ET • AB • AEPVLO CONLIB • PROXYME . MONV MENTVM • GALLI IN * FR • P • XX IN * AG • P • GXXV Non m’accingo alia illustrazione piena del Cippo, perche il possessore e valente come in assai allri rami di sapere , cosi principalraente in Epigrafia , e per- che il fine di questo scritto non Y esigge ; la trattero dunque solo per quel canto , cbe rischiara la pre¬ sente discussione. E in prima si tenga conto e della cerlissima provenienza della pietra dalla stessa vigna, e delle misure non comuni del monumento riferito nella epigrafe , e de’ buoni caratteri , anlica orto- grafia , e materia del cippo corrispondenti all’ epoca del sepolcro : iuoltre si rifletta , cbe il sotterraneo e fabricato aderente considerate le misure dell’ambula- cro , delle due scale , e del corpo esterno di leyante % ( 121 ) non pud mancare d’ avere presso a poco V enunciata lunghezza di 12 !) piedi , che corrispondono a palmi 170 circa : clie se le misure dell’ ipogeo s’ allonta- nano alquanto dalle accennate misure del cippo, cio non puo influire gran fatto , per quello , che all’uopo da me si ragionera ; e si avra 1 * opportuna rettiOca- zione di questo nelle misure del luogo fabricato so- prapposto alia tufa in parte visibile in parte onnina- mente da rintracciarsi. A voler essere di buona fede si concedera pertanto , che sia di tutta verisimiglian- za , cbe 1* Epigrafe appartenga al delto sepolcro : ed a parte dunque i risultati dei scavi locali , che po- trebbero fornir prove da riconoscervi non il monu- mento del ricordato liberto , sibbene quello stesso d’ Erennio Gallo ( nel solo caso che pur questo sia di stretta fronte , e considerevole lunghezza ) come oggi si presentan le cose e intanto da concludere senza iema d’ imprudenza , che sia quivi stato sepolto un Priamo Liberto. L’ iscrizione ha questo significato cioe che M. Lollio , Fuficio Magiano, ed Epulo colliberli colF autorita d’ Erennio Gallo patrono cedono a per- petuila il luogo a sepolcro , che si estende per 20 e 12 b piedi a Priamo , e s’aggiunge che detto luogo ceduto e attiguo al monnmento di Gallo. La famiglia Erennia nobile , e prisca s’onoro poi nel III. secolo per un imperatore che fu Q. Erennio Etrusco Decio. L’ ortografia del nome AEPYLYS e della voce PRO- XVME ricordano ottimo tempo , esseudosi posterior- \ ( 122 ) mente il primo , scritto cosi AEPOLVS : e pure sin- golare la frase della cessione del luogo , e pare diver- sifichi da una donazioue ; le omissioni di nomi, pre- nomi , e cognomi qua ela hanno esempli pur nelle lapidi di buon tempo , e specialmente nei cippi ter- minali ; e da desiderarsi che si scan in questo fondo, onde appurar meglio il vero , e rinvenire inoltre il monumento di Erennio Gallo , dove se non sia espi- lato s’ avra titoli assai d’ illustri uomini. Piacemi oltre modo di poter qui aggiungere , che conviene piena- mente nella mia opinione il canonico don Giuseppe Settele Professore di antichita cristiane al seminario romano , e deputato alia custodia delle sacre reliquie, persona di gravissima autorita specialmente in siffatte materie, il quale avendo visitato la supposta catacomba dopo raaturo esame vi ha riconosciuto un sepolcro gentilesco. Appresso quanto ho qui discorso ne sem- bra ben ragionevole il credere che V ipogeo , e an- nesso edificio della vigna Delgrande non sia altri^ menti un tratto di catacombe t sibbene il sepolcro di Priamo liberto. A Melchiade Fossati / / ( 123 ) APPENDICE Num.° IV. Lettera dei signori Tommaso e Natale fratelli Delgrande al cavaliere P. E. Visconti , com- missario delle antichild , segretario perpetuo della pontificia accademiaromana di Archeologia. Signor cavaliere Casa li 27 agosto 1838. Con gentile foglio dei 22 corrente ci manifesta il suo desiderio di conoscere la provenienza di quel cippo di travertino coll’ iscrizione che comincia LOCVS • ADTRIB . . . IN • PERPET • PRIAMO ec. del quale tiene proposito il signor Melchiade Fossati in un suo scritto di recente pubblicato colle stampe portante il titolo » Il sepolcro di Priamo Liberto ec. Corrispondiamo ben volentieri a questo suo invito assicurandola per la verita , e sul nostro onore , che ial cippo di travertino trovavasi murato e faceva parte del piano di uno dei parapetti della vasca attigua al \ ( 124 ) pozzo della nostra vigna q>osta sulla via Labicana al terzo miglio , da dove fu rimosso per donarlo al cli. professore signor Emiliano Sarti. Donde esso provenga e da qual epoca resti in tal vigna , e cio che noi non possiarao precisare , atteso che per la riparazione de’ recchi fabbricati , e per la costruzione de’ nuovi , fatti si dal nostro genitore , che da noi stessi , sonosi presi in diverse epoche materiali di tavolozza , travertini , e peperini , in pin luoghi e tenute anche lontane. Quello poi che positivamente possiarao assicurare , e che nello sgombro del tratto nobile di catacombe , falto da noi eseguire in detta vigna , tanto nel rudere, che inette nella scala a levante delle catacombe mede- sirae e sue adjacenze , non si e trovata , una tale , ne altra iscrizione ; Siccome dichiarararao prima all’ Emo signor cardinale Gainerlengo di S. R. C. , e poi al Santo Padre , allorquando si degnarono discendere in ial solterraneo. Profitliamo di quests occasione per avere il pre- gio di confermarci con ossequiosa e distintissima per- felta stima Di lei signor cavaliere pregiatissirao Demi Obblmi servitori ToMMASSO E NATA.LE FftATELLI DeLGRANDE ' ’ H gl^31©in DI UN TRATTO DELLE CATACOMBE DEI SS. PIETRO.E MARCEL.LIN 5 Scoperto nel Mese di Luglio i838- NELLA VIGNA DEI SIGNORI DEL GRANDE suMt 7 Via Za&Lc.cvna I I MBBBMWM!'? mam , *vy- X mmmm & ' te . :: ; V s ''WMMimmm lorrai IP.EN 6 QV E VIXIT /veENSIS V-D1ESX.XV o, 0 ~ ‘ "s>- ! CY MAC*. DVlCtSS IM/C DEPOSITS INPACE VIXIT ANN OS XXXV > ■ idibvsmartus -T I5§ §g ffi [- ‘ / I I \ INTOBNO AD I X qiwiam mmmwmmm NELLA VIGNA DEL CONTE LOZANO ARGOLI DISSERT AZIOIVE DEL SOCIO ORDTNARIO cjkWk iiViai wi LETTA NELL’ADUNANZA TENUTA V J «A OKKOTM IJOOHA OWASOJ 3T/I0D 330 AWOIV AJJ3M 3 /IOIS/iTlI 388 I« oiamcrao oidok j:ia , , v:. : ■ 7 ,,: ::: - "-S AT'JJWT AX'/IAH'JJl'Jffi/l ATT3J ^£3 a 3 jC 3o V \ I ( 223 ) i l * .! ..a * . ' . . ; v . . • X INfon molto discosto dalla porta viminale , cbiarissi- mi e onorandi collegia , e rimpetlo quasi alle vesti- gie del campo de’pretoriani, in un podere del conte Lozano Argoli, e stata non ha guari rinvenuta una lom- ba , il discorrere della quale tra per V interezza sua, e per le arche non punlo guasle che yi stanno rin- cliiuse , non meno che per le storie in quelle effigia- te , slimo non debba riuseirvi disgradito; quantunque reputi debole il parlar mio, e poco atto ad inlraltenere un consesso cotanto ragguardevole. Ma se vorrele pre¬ stare benigno favore all’ intendimento mio , cbe e quello di darrene contezza , onde poi da voi colle vostre investigazioni sia posto in chiara luce quanto verra da me leggermente adombralo ; e se mi vorrete compartire 1’ usala voslra amoreyolezza , mi darete animo a narrarvi , cbe lavorandosi la terra nella pre- fata vigna in prossimita della siepe apparirono alquanli massi di travertino,clie in sull’ orlo esterno avevan fog- gia di cornice , e cbe dal collocamento loro sembra- vano non essere sciolti. Il cbe dato avendo eccitamen- to a purgarli della terra , fu ben tosto disotterralo un 28 * ( 224 ) monumenlo, edificalo tutto di pielra di Tivoli nell’ester- no; e di forma quadra. Tav. I. lett. A. Cosi nella cima, come a pie ne’suoi quatlro canti, e cinto da una cornice; ma la modanatura di quella che sta nell’alto e piu ricca di lisle ed lia piu sporto dell’allra clie lo adorna nel basso , la quale 6 di una cerla accomodata allezza , e puo dirsi piultosto una base che abbia un poco di goletta e qualche lista. L’ allezza dell' edilizio dalla ba¬ se alia cimasa e di circa palmi venti, e la lunghezza per ogni lato e pressoche di trenla: cosicche il lungo ol- trepassa di un terzo la misura dell’ alio. E con queslo 1’ architetto gli ha dato un’ assai gradevole apparenza, che rilevasi anclie piu dalla semplicita delle forme. In sull'alto, sopra la cimasa, rimangono le vestigie sic- come di un grado di Iravertino , il quale o dee ripu- larsi I’ avanzo di un attico , ovvero quello del primo dei gradi , che al di sopra del sepolcro si elevassero, ristringendosi sempre alia guisa di una piramide. Seb- bene io mi sia messo nell’anirao di discorrere di quello solo , che del inonumento e rimaslo , lasciando al- Irui il carico di ricercare cio che per correre di tem¬ po , o per avidila di preda e andato sinarrito , pure sarei d’ avviso che dal vestigio argomentare si doves- se che non un attico , ma una piramide Ironcala e formula da vari scaglioni, soprastesse a quel dado che ora si vede , e che e la figura assegnala al sepol¬ cro. Irnperocche ponendo mente a quanto il professore Francesco Orioli nella dissertazione sugli edifizi sepol- I ( 22!) ) crali dell’Etruria ( 1 ), e il nostro dotto collega signor cavaliere Luigi Canina nella sua Cere antica ( 2 ) lianno discorso suite tombe degli etruschi , scorgerassi clie in moltissime di queste, ed in ispezialta nelle piii ri- guardevoli , s’ ergesse un tumulo o una piramide. II qual coprimento narrasi pure da Pausania che fosse usato pel sepolcro di Auge , e da Erodoto (3) per quello di Alialte padre di Creso. E in tale raio divisamento puo servirmi anche di prova il sepolcro ordinato da Artemisia a Mausolo re della Caria, sopra del quale s’in- nalzava una piramide di gradi alia guisa di quelle di Egitto. Talche se leggasi in cio Plinio (4), e le dichiara- zioni fatte dall’ Aulisio (3) alia sua narrazione del mau- soleo , non parra strano che su di un edifizio sepolcrale di forma quadra si spiccassero tanti gradi qaanti fossero di mestieri a comporvi un quadrato,che levandosi in alto s’andasse stringendo piramidalmente per modo che l’edi- fizio stesso gli servisse di base. Qualunque poi esser si vo- ( 1 ) Questa dissertazione e posta nella raccolta de’ monu- menti etruschi deiringhirarai. ( 2 ) Tav. V e VII. (3) Eauv uvrozi AXuartsw too Kpciacv user peg ctvj/j. a , tcu 0 npyjmg fxsy sou fodco fxsyocXw y r 0 5 s aXko or^xa '/y[x;) 1':;. . i.Ci > ::f. Ol )i. > lUOfUllfeO] — - . . — ■ — . . . . . . .....- — —— — —— (i) Il Fabricio cap. 21 descrive varie sorte di sepolcri scoperti , nel tempo che egli viveva , e sulla via Appia, e vicino a Pozzuoli. Altri poi se ne possono vedere disegnati neir opera di Sante Bartoli. Dei sepolcri degli antichi, ed altri nel Piranesi - V. E? Saint Non Voyage pittoresque: e i sapol- cri di Capua , di Nola e di Cutna nelle opere del Millin , dell Hamilton e del Iorio. ( 229 ) al di sopra della cornice : il che prova die il sepol- cro non terminasse nella maniera che apparisce, e tutto il rimanente sia stato guasto e distrutto. Dalla cimasa in giu il di fuori del monumento non ha scapilo di sorta. L’uscio e dall’ uno dei lati guarnito anch’esso di una cornice , dietro della quale , entrando nella camera sepolcrale , veggonsi i buchi pei hilichi della porta j ed essendo piu basso della statura di un uomo, convien curvarsi per entrare o per uscirne. Tutto il mo¬ numento poi yiene rinchiuso per entro di un muro che Io raggiunge quasi in altezza , edificatogli non molto discosto con opera reticolare , interrotta pero da alcuni ordini di mattoni a somiglianza di quanto vedesi praticato in alcuni ruderi della villa adriana. Un simile cingimento appellavasi maceria , secondo Varrone (i) : e un cotal nome attribuivasi a qualsi- voglia muro che racchiudesse o un edifizio , o un campo , o un monumento, siccome puo argomentarsi da due iscrizioni allegate dal Marini ( 2 ). Che poi (1) Lib. Ill R. R. c. 12. (a) Arvali, tom. I pag. 229. a 3 o. Gruter. pag. 38 o. ET • HIC • LOCVS MACEREOLA • CLYSVS AD • FAMILIAM MESSIANAM • ET • CLODIANAM PERTINET 29 ( 23o ) a miglior guardia dei sepolcri venisse loro posto d’at- torno o un muro o un riparo di altra materia, pos- siamo averne ragguaglio da Pausania (i), e da Stra- bone in particolare ( 2 ), che parlando del mausoleo di Auguslo dice , essere stato cinto da un serraglio di ferro: xuxXw Trspots^usvcv v/w G&Yipcvy nzpi'ppxytiz. Nel cliiuso teste scoperto s' entrava per due varchi aperti dall’ un canto e dall’ altro di quella banda che e opposta all’ uscio, di che ahbiamo favellato. E cio s’ appartiene all’ esterno. L’ interno poi e drviso in quattro nicchie in questo modo. In ciascun angolo del quadrato sorge un pilone } che allargandosi in dentro, ne parte i lati in quattro incavature 0 nicchie di tanta ampiezza , quanta e la grossezza dei pitoni e la distanza che pas- sa fra loro. Questi piloni sono quadri , lisci e senza ornati, e di massi di travertino assai bene congiunti. S’ innalzano fino a certa giusta altezza, e di quindi e dalle pareti spicca la volta della camera costrutta con calce e mattoni: ella e alquanto schiacciata, assoltiglian- dosi sempre dai peducci al colmo , e da questo ai pe- ducci formando quattro spicchi. Non evvi ornamento o dipinlura ne sulla volta , ne sulle pareti , apparen- do in queste la nuda pietra tiburtina siccome nei pi¬ loni ; e solo nelle lunette da un peduccio all’ altro (1) Lib. II, Corint. cap. i 5 . (2) Gcogr. lib. V. ( * 3 i ) vien tratta una cornicetta di stucco di color cilestro, che pero in molta parte e caduta. Del pavimento della camera, die esser doveva im lastrico di giallo anlico e palombino, non rimane che piccolissima parte : giaccke il resto e stato infranto e ridotto in minuti pezzi , o per la caduta di quei tegoloni che si sono distaccati dalla volta , o per danno che vi sia stato arrecato ne’ tempi trascorsi. II lume vi penetra per due ^ottili pertugi tagliati in mezzo delle pareti late- rali : talclie assai fioca luce vi si spande. Yari sono i nomi che venivano attribuiti ai sepolcri: imperocche quale si appellava monumento,dalla ricordanza che ecci- tava del defonto; qual tumulo; allri delli venivano sarco- faghi , altri mausolei , ed altri fiualmente, che dalla base quadrata tanto sorgevano che terminassero in una punta, chiamati erano col nome di piramidi. Alle qua- li appellazioni pero raccolte da Isidoro (i) s’aggiunge- vano quelle di cenotaffio , colombario, ipogeo , cine- rario ed altre ancora ( 2 ). Ma perche non e mia inten- zione d’intrattenermi ne’ vari nomi e nella diversa qua- lita delle tomhe: imperocche dal seppellire i morti nella (1) Orig. lib. IX c. 1 r. (a) Ciampi. Osserv. a Pausania tom. I. pag. 49 3 . * 29 ( 232 ) propria casa (i), o solto uraile tumulo di terra ( 2 ), a lanto si pervenne che richissime moli s’ innalzassero adorne di statue, di coloune e di fiui marmi , cosi mi limiterd al nome che io stimo doversi dare a quello di che ho F onore di favellarvi. Quantunque non siavi alcuna iscrizione, onde raccogliere con piu certezza un tal particolare , io reputo dalla nobilta delle arche , e dal poco numero de’cadaveri che vi giacciono, che sia di quelli detti da Ulpiano (3) sepolcri de’ maggiori , patrii , aviti o gentilizi , com’ era quello de’ Domizi descritto da Svetonio (4), ne’ qnali avevano dirilto di sepoltura i figli e gli eredi , ma non pero i liberti (5). Perche non potendosi dir singolare, a cagione de’diversi cadaveri deposti in ogni area, e molto meno familiare, poiche secondo Caio (6) nelle tombe di tal genere (1) Isidoro loc. cit. - "Virgil. Aeneid. VI v. i 5 a .Scdibus liunc refer ante suis , et conde sepulcro. (2) At pius exequiis Aeneas rite solutis Aggere composito tumuli. - Virg. Aenid. VII v. 5 . ( 3 ) D. de rel. et sumpt. fun. ( 4 ) Gentili Domitiorum monumento condiderunt. In vita Neronis in fin. ( 5 ) Quae quis sibi lieredibusque suis constituit, vel quae paler familias iure haereditario acquisivit. D. de rel. et sumpt. funer. (6) D. de relig. ( 233 ) erano tumulali anclie i liberti (i), del che-nel nostro non si ravvisa iscrizione o segno alcuno , giacche iutti ugualmente e nelle tre nobilissirae arcbe sono cbiusi , rimane a dirsi cbe fosse eletto a ricevere i soli individui di una cospicua famiglia ( 2 ). Molte sono state le praticlie seguite dalle anticbe genti per la com- miserazione di coloro cbe avevano cessato di vivere : perclie alcune, siecome gli sciti, messi in pezzi i loro morti li divoravano , onde riinanessero cos! sepolti nel loro ventre (3) ; altre corn* erano i sidoni, ne moz- zavano il capo, e dorato avendolo , tenevanlo in serbo siccome cosa sacra. Ma i romani, abborrendo da queste piuttosto empie che pietose pratiche, sotterrarono pri- mieramente le spoglie di coloro cbe erano passati da questa vita , non pero le bruciavano (4). Per la qual (1) I liberti erano noverati sempre nella famiglia del pa- trono : per la qual cosa possono anclie riscontrarsi le iscrizioni sepolcrali raccolte dal Grutero pag. 5 p 4 ; dal Lipsio pag. 99,0 molte altre. (2) Istic nunc, metuende iace : non te optima mater Condet humi, patriove onerabit membra sepulcro. Yirg. Aen. X v. 55 7 Et cinis in tumulo posilus jacuisset avito. Ovid. Trist. IV, El. 3 ( 3 ) Lucian, in Toxar. (4) Ipsum cremare apud romanos non fuit veteris instituti: terra condebantur. At post quam longinquis bellis obrutos erui cognovere , tunc institutum. PI in. hist. nat. lib. VII cap. 54 * ( 234 ) cosa Cicerone, avvertendo che Ciro fosse stato sepolto intero e non consumato dal fuoco , dice essere questa un’ antica costumanza , commendandola siccorae quella che, reso il corpo alia terra, fa si che da questa madre comune sia ricoperto ( 1 ). In pari modo prosegue nel dire che fossero sepolli e Nuraa e tutli coloro , che erano nati dalla stirpe dei Corneli , de’ quali fu il primo Silla a ordinare che il corpo suo dato fosse alle fiamme. Parmi non esser ben certo il tempo , in cui i romani, declinando dall’ antica usanza di sotter- rare i morli, si dessero a seguire P altra di arderli. Perche quantunque Plinio ( 2 ) dica essere cio intervenu- to quando a cagione delle lunghe guerre violali erano i sepolcri col disotterrarne i cadaveri, pure non ne dichiara V eta. Sebbene poi al cap. 12 del libro i4, riferendo la legge di Numa Fino rogum ne vesper - gito 55 pare che se ne abbia a trarre, cbe lino da quando in Roma governavano i re , s’ avesse il co¬ stume di distruggere col fuoco gli avanzi della vita umana: poiche, secondo Servio (3), la parola rogo in- dica la catasta delle legna , cui gia siasi appiccato il fuoco. Inoltre cotali cerimonie erano usate prima che fossero pubblicate Je leggi delle dodici tavole , (1) De leg. II , 22. (2) Hist. nat. loc. cit. ( 3 ) Aen. XI ad ver. 1 85 . Pjra est lignorum congeries. Rogus, cum ardere coeperit, dicitur, ( 2 35 ) giacche per quelle era proibito , cbe non fossero net- tate colla scure le legna del rogo , che questo non si ponesse in luogo prossimo agli edifizi privati , che non si seppellissero o si ardessero cadaveri nella cilia (i). Raccogliesi poi dall’ orazione recitata da Valerio in fa- vore delie donne , che bramavano vestire con abiti di porpora , come nell’ anno di Roma cinquecento cin- quantanove fosse gia in uso di bruciare i morti : giac¬ che die’ egli cbe la toga pretesta yeniva concessa non solo perche se ne ornassero in vita i magistrati , ma perche fossero anclie con quella consumati dal fuoco dopo la morte ( 2 ). II qual rito propagandosi a dismisura con rischio degli edifizi, come avvenne ne' funerali di Clodio, ne’ quali s’apprese il fuoco alia basilica Porcia, decrelossi nell’ anno di Roma settecento sedici sotto i consoli Claudio e Norbano , che a niuno fosse lecito di accendere i roghi per entro lo spazio di due miglia dalla citta (3). Erano adunque in Roma due i modi di sep- pellire: l’uno mettendo sotterra i cadaveri, e l’altro con- segnandoli alle fiamme , e raccoltene le aduste reliquie (1) Rogam ascia ne polito. Hominem mortuum in urbe neve sepelito neve urito. Cic. tie leg. II, (2) Livius, Hist. rom. dec. VI. lib. 4-Circa il rito di arde- re i cadaveri e il tempo in cui venne in uso, ne ha discorso ampiamente il Guasco, De’riti funerbi di Roma pagana, part, II. ( 3 ) Dio, lib. XLVIII. ( 236 ) chiuderle in un’ urna che deponevasi medesiraamen(e nel sepolcro (i). Non poclii pero anche di orreyoli famiglie s’ astennero dalla spendidezza che il ro- go apportava ai funerali : e in quei medesimi tempi, clie codeste arsioni erano piu che mai molliplicate coil dispendio e gettamento di (ante riceliezze : il che in- tervenne massimamente da quando la repubbiica reg- gevasi con prospero stato lino alle ultime eta degli Antonini (2) : serbarono la costumanza di seppellire i cadaveri non tocchi dal fuoco (3). Ma rammentando 1 ’ altissima catasta di legne, su cui fu posto il cadave- re di Cesare (4); il rogo di Severo incendiato dai fi- gli (b), e quello di Pertinace dai consoli ( 6 ); il discor- rimento fatto dai pontefici e dai soldati legionari in- torno alia pira nel funerale di Augusto ( 7 ) ; dai pre- toriani, dall’ ordine equestre, e dai fanciulli patrizi in (1) Questi rlti erano praticati anche da’ greci, come puo vedersi in Omero nella descrizicme de* funerali di Patroclo. (2) Macrobiojdie visse sulla fine del IV seeolo,dice che nel suo tempo era disusato il rito di ardere i defonti. Sat. lib. VII cap. 7. Veggasi in cio anche Tertulliano: De corona militis, et de resurrectione carnis. ( 3 ) Plin. hist. nat. VII. 54 - ( 4 ) Plut. in Caes. ( 5 ) Xiphilin. in Sev. (6) Xiphilin. id. (7) Dio, lib. 56 . I ( 237 ) quello di Drusilla (1), le vittime immolate durante la combustione (2), le vesti di porpora , le dorerie , le riccke coltri, le armi, gli aromi, e le suppellettili piu care al defonto bruciate con lui ( 3 ) , dobbiamo ben credere cbe 1* onore del rogo rendesse 1* esequie dei riccbi sontuosissime e splendidissime. Pure, come I10 detto, molti non seguirono cotali pompe (4): e fra questi credo che debbansi noverare anche coloro, cui spetta la tomba di cbe ragioniamo , percke non vi si e tro- vata orma di ossa arsicce , ne olle , ne urne cinera- rie , ma tre arcbe di marmo , nelle quali sono ancora rinchiusi gli sckeletri di piu persone. Stanno i sarco- faghi 1* uno nella niccbia di rimpetto all* uscio , e gli altri due in quelle laterali, essendo la quarta niccbia sgombra affatto, a cagione che per quesla s’ entra nella tomba. E qui stimo dovere aggiungere che il modo , col quale giacciono i cadaveri dentro le arcbe e ii collocamento di queste nelle nicchie del sepolcro, non arreca argomento a uscire delle dubbiezze in cui sia- mo se i sepolti stessero rivolti all’ oriente cvvero all* (1) Dio, lib. LIX (2) Virg. lib. XI Aen. - Tacit. Hist. lib. II. Annal. XIV ( 3 ) SiliusItal. lib. X de fun. Pauli. Lucanus lib. VIII. Ju¬ venal. Sat. IV. ( 4 ) Marco Emilio Lepido e T. Pomponio Attico ordina- rono di essere seppelliti senza pompe di funerali. Alex, ab Alex. Gen. Dier. lib, III cap. 7. 3 o ( 238 ) occ^so. II sepolcro pero che segue 1* andatura di un’ antica via , ora collo scavare dissolterratagli nel canto opposto alia porta, lia l’uscio che guarda fra occidente e settentrione (i). Dopo di avere discorso della fatlura della tomba , che in gran parte si rassomiglia ad alcune di quelle che a’ di nostri si veggono in Pompei, mi volgero i> parlare delle arche. Sono, come ho detto, in cumer; di tre, dell’ ampiezza di palmi nove circa in lungo, *. tre o tre e mezzo in alto e in largo, non compresov/ il coperchio , che in ognuna e di circa un palmo. L incominciando da quella che mirasi di prospetto all’ enlrar nella tomba , Tav. I. Lett. B., e che e cavata da un masso di marmo greco’, vedesi avere scolpilo nel davanti un fauno ritto in piedi che tiene nella desire una siringa , e colla sinistra regge i nastri di due encarpi di frutta e liori , i lembi dei quali cosl le- gati da quci nastri gli gravano sulle spalle , e quindi scendendo a formare un ampio seno vengono retti nelle allre estremita da due putti , che stanno simil- (x) Deesi molta lode al sig. conte Lozano Argoli, pos¬ sessore del terreno ove e stato rinvenuto il sepolcro , per la cura die si e tolto fin dal principio dello seavatnento onde nulla si perdesse o fosse guasto, e per aver fatto si che tanto 1’ interno quanto 1’esterno del monumento venisse sgombro della terra , e fosse all’intorno ricercato tutto il luogo onde scoprirvi, se fosse possibile, allre vestigie. ( ) mente ritli agli angoli del sarcofago. A1 <1 i sopra del • <. . - ( r i f . » concavo degli encarpi e sculta una gorgone per parte. Nei fianclii deli’ area e it solito effigiamento (r) di un candelabro con sopra una face ardente posto in mezzo a due grifoni,che fanno mostra di stare a guardia dei cadave-i ( 2 ). Ma il coperchio di quest’area, su cui e ritratta, ccme in una specie di fregio, una corsa di putli alali,e opera condotta con grazia e squisitezza partieola- re. Vi c sculto uno stadio campestre formato da un or- dine di alberi leggermente intagliati , e su per questo corrono tanti pulti alali assisi qual sopra un cavallo , qual sopra un lione, e cbi eayalca un cervo, e chi una pantera : ed e notabile uno spezialmente , a cui e ca- duto il toro sul quale era montato , che s’ adira con fanciullesca baldanza veggendo che gll emuli suoi vin- ceranno nella gara. Mi raramento che un concetto presso a poco simile a questo venne disotterrato , or sono pochi anni , nella yigna Profili lungo la via Appia: ed era dipinto in una lunetta di un sepolcro lacero e cadente per vecehiezza : ma innanzi che il dipinto andasse smarrito si fe recare in tela , ed ora e nella biblioteca valicana nella camera ove sono raccolte le (1) Le varie fogge tie 1 2 candelabri, e gli usi a che servivano, sono espressi net tomo VIII delle anticliita d’Ercoluno. (2) Cos! furono interpretati cotali effigiarnenti da Ennio Quirino ^ ^ isconti.M»s. Pio Clem. tom. V. 3o * ( «4o ) anticbe dipinlure. Varia pero da questo bassorilievo in cio solo , cbe in quello i putti stanno in sulle bi- gbe ; ma il circo e disegnato da arbuscelli , i cocchieri son putti alati, e per corridori sono adoperati i cervi, le tigri, e i lioni. Non e invero nuovo un tal con¬ cetto, percbe occorre di frequente il vedere nelle pit- tare e nelle sculture di Roma , e in quelle di Erco- lano animali selvaggi cavalcati da fanciulletti con ali al dorso ; ma una scultura cosi vaga , ed ove con mor- bidezza sia espressa la dilicata rotondita delle puerili fattezze in contrasto colie ruvide ed irte pelli delle fiere, non e si facile a ritrovarsi, spezialmente per or- namento degli avelli. Cosi poi le bighe nella dipintura di cbe abbiamo discorso , come le belve cbe appaiono in questo bassorilievo concitate al corso per entro uno stadio, sono, a mio credere, figurate per dinotare 1* im- magine della vita umana cbe tende continuamente alia meta. A significare la qual cosa credesi medesi- mamente da alcuni cbe posta fosse una quadriga sulla cima del sepolcro di Mausolo (i). Ne altro mi sembra cbe s’ accenni per quelle corse circensi, cbe in al¬ cuni avelli anticbi miriamo rappresentate. E giaccbe dal fin qui detto intorno alle sculture deH’urna abbiamo osservato cbe vi siano ritratte per fare allusione a fu- nebre e tetro subietto , parmi non riscbiar molto (i) Aulisio, De mausobi architectural * U 1 ( 24l ) nell’ asserire che anche le rimanenti sieno tali da ecci- tare gli stessi pensieri. Perche in quei serti di fiori e di frutta ravvisare si potrebbero i fiori che si spar- gevano sul letto, su cui condotto veniva il cadavere alia sepoltora, come ce ne vien resa testimonianza da Plinio (i) parlando del funerale di Scipione : ovvero quelli , e spezialmente i gigli e le rose , di cbe s’ in- fioravano le tombe ( 2 ) o gettandoveli cosi sciolti, o (1) Plin. lib. XXI cap. 3 . (2) SIT TIBI TERRA. LEVIS, CINERES QUOQUE FLORE TEGANTUR. Tu Marcellus eris : raanibus date lilia plenis: Purpureos spargam flores . . . , Virg. Aen. lib. VI v. 884 VT • QVOTANNIS • ROSAS • AD MONVMENTViVI • EIVS • DEFERANT . In inscript. Ravennal* PETRONI • IVCVN • VI • VI 1 \ . SENI • PETRONIA • MIRA • L • F * PATRONO : QVAE • H • S ♦ CCCC • LEG • POSSESSORIB • VICI • BERGOMAG • IN • HERM • TVEND • ET • ROSA • QVOTANNIS * ORNANDVM • Lapis Mediolan. in Kirchmann. de funeribus rom. ( 242 ) appendendoveli intrecciati in fesloni o in gbirlande ( i). Le frutta poi potrebbero esservi posle a rappresentare ii banehetto funebre : pel quale uso se ne puo vede- re una dipintura nelle tornbe di Tarquinia describe dal chiaro nostro collega signor avvocato Seeondiano Campanari , e la tavola di corredo lett. A del museo chiusino , sotto cui e 1’ iscrizione NEKPOAEIIINOX Ponevansi le tavole per questo lugubre mangiare vi- cino ai sepolcri ( 2 ), e i convitati erano serviti spezial- menfe di carne , di ova , di fave , di Iaftugbe e di altri cibi di rito. E, per cio che ne favella Dione (3), sappiamo che tali conviti, allorehe erano pubblici, s’im- bandivano assai lauti: siccome laute diee Omero cbe fossero le mease poste nella casa di Priamo dopo resi gli ultimi uffici ai corpo di Eltore. Quelle due gor- goni poi effigiate per incutere il terror della morte , e per impedire col loro volto crucciato e attortigliafo (1) Hie duo rite mero libans carchesia Baccbo, Fundit liumi, duo lacte novo, duo sanguine sacro, Purpureosque iacit flores. Virg. Aen. lib. V v, 77 Tu tamen extincto feralia rnunera semper Deque tuis lacrymis humida serta dalo Tibullus lib. Ill eleg. 4 - (2) Sepulcrum L. Catilinae fioribus ornatum , hominum audaeissimorum et domesticorum liostium comventu epulisque celebratuin est. Cic. Or at. pro L. Flacco. ( 3 ) Lib. XXXVII ( 243 ) di serpenti che altri non turbasse il riposo de’ trapas- sati, sono bene acconce per un sepolcro. E siccorae FEckhel ha dimostrato (i) che coteste larve sieno al- cuna volta F emblema della luna , cost sembra al VL seonti ( 2 ) cbe in quelle ravvisare si possa 1* immagine del sole : per il che argomentandosi da alcuni die scorgere vi si debba 1’ effigie del sole del verno , ne traggono che s’abbiano per simbolo del tempo asse- gnato a placare le ombre colie offerte e coi doni. La qual cerimonia celebravasi spezialmente nel mese di feb- braio (3). llimane ora a parlare del fauno, che se fosse {1) Numi vet. Anecd. P. 1. pag. i 4 seq. (2) Mus. P10 Clem. Tom. V. ( 3 ) Cic. II. De leg. Sembra che il mese di febbraic>yv 5 s vm sv av 5 poov sniaY]y.w r ocj 5 s< 7 l Dionys Halic. lib. IX (2) Sed in lunere Favo architnimus personam eius ferens imitausque , ut est raos , facta et dicta tivi, interrogatis palam procuratoribus quanti funuset pompa constaret ? ut audiit HS- centies, exclamavit: centum sibi sestertia darent, ac se vel in Tiberiin proiiecerent. Svet. in Vespas. cap. 19. ( 245 ) tiri. Pure se cio non voglia concedersi e tengasi piut- toslo Y avviso di quelli che stimano il fauno un nu- me infernale o un demone notturno , siccorae se ne trae da Servio , e da Suida nella voce , e’ non sara men vero die anche considerato in questo modo, puo senza sconcezza rairarsi frammislo allc gor- goni e agli emblemi della morte. Tornami in menle a questo proposito Eincisione delE agala, slata gia della regia famiglia d’ Orleans , sulla quale da un lalo e sculto il capo di Medusa , dall’altro un partimento di due giri con entro le immagini de' segni dello zo- diaco e dei pianeti , e nel mezzo di tali giri , siccome in uno scudo , v’ e collocato il dio Pane. Era questi considerato quale divinita che tutte le forze del mondo in se medesima raccliiudesse , che dimorasse negli astri e che il reggitore e P ordinatore si fosse deli’ armonia delle sfere celesti. Lodasi almeno per simile guisa non solamenle nelE inno di Orfeo (i), ma da Servio al- tresi ( 2 ), che lo reputa lo spirito che muove le sfere e regge tutte le cose create , aggiungendo essergli data la siringa , che era formata di sette canne disuguali, appunto per alludere all’ armonia de : cieli. Macrobio (3) (1) Orph. poet. grec. (2) Serv. ad Egl. II Virg. v. 3 i.-Porfir. ad Euseb. pra;p. L. Ill c. 11 p. 110 ( 3 ) Macrob. Satur. I. cap. 22. - Pausan. Arcad. p.2^7 seqq. ( 246 ) poi lo pareggia al sole, allorche narra che in grande onore fosse appo gli arcadi , da’ quali era chiamato T3v tvj'j vXy; xvptev. II che viene confermato in cotesta gemma , nella quale essendo Pane collocato nel mezzo dello zodiaco e degli astri , par che vi stia siccome il fuoco che gt’infiamma. Ond’ e che andando unita la gorgone a tale rappresentazione di cose astronomiche, non puo cadere in dubbio che non vi s’ intenda di q,uella che sta nella costellazione di Perseo. La ri- verenza poi che a Pane portavasi non si ristette sola- mente negli ahilanti dell’ Egitto e dell’Arcadia, ma venne propagata eziandio da Evandro nelF Italia (i) , ove ne’ prischi tempi del pari che nell’Arcadia stessa fu principalmente onorato. Pero in Italia scambiossi con Silvano , che fu siccome lui chiamato Ssov ryi vl-qg , ovvero signore e dominatore di tutta la sostanza ma- teriale ( 2 ) , ed ebbersi pari a lui Fauno , Fatuo , 0 Fatuello (3). In questo fauno adunque , che a simi- glianza di Pane ha nella destra la siringa per sim- bolo dell’ armonia dei cieli , potrebbe ravvisarsi la forza che da vita a tutti gli esseri : il che torna lo stesso che il sole. Ma in modo simile alia gemma an* (1) Tit. Liv. Dec. I lib. I c. 5 (2) Serv. ad Virg. Aen. lib. VIII v. 601. Maerob. loc. cit. < u t I 11 1 11 ( 3 ) Albric. philosoph. De dear. imag. libell. IX , ein par- ticolare le note che visonoposte.Sei*v. ad \irg. Aen.lib. VI v. 776 Isidor.Orig. lib.VlIIcap.il. ( 247 ) che nella scultura di questo avello il fauno , o Paa inirasi unito alia gorgone : e se vi manoano i segni r dello zodiaco e i pianeti, cib non pertanto anche qui la larva medesiraa sarebbe da interpretarsi per il segno della costellazione di Perseo , cbe dalla sinistra tiene stretto pei serpi e pei capelli quell’orrido teschio (i). Egli poi apparisce fra le costellazioni , che pongono termine all’ inverno , e mostrasi non lungi dall’ ariete , quando v’ entra il sole : cosicche annuncia il rinno- vellamento della natura , e cbe un nuovo ordine sta per succedere a quello che e passato, Scorgendosi adun- que sulP avello il fauno o Pan , che & Y immagine del sole, in atto di apportar frutta e fiori per gli cn- carpi die tiene 6ulle spalle , e venire accorapagnato dalla gorgone , puo credersi die vi sia rappresentata la primavera , ossia la fine di una vita , e il princi- pio di un’ altra , come al cominciare di quella vedia- mo intervenire. Talchb non vi sarebbe allegoria piu acconcia a dimostrare che il sepolcro e il termine della vita di quaggiu , e il principio di quella cbe ci e serbata nel grembo dell’ eternita. Ma se arreca terrore la vista dei mostri , non muovono a minor commiserazione le calamita dei di- scendenti di Tantalo, che sono effigiate sulle altre due ume. E per vero due storie piene di dolore , di an- 11 31 * (i) Hygin. Poet. Astron. lib. Ill c. ( 248 ) gosce e di spavento s’addicono assai bene in ornamen- lo di uq avello , dove ogni cosa deve imprimere nell’ animo dei riguardanti lb squallor della morle , e la tremenda giustizia degl’ iddii contro coloro che gli avessero oltraggiati in vila. jNel che 1’ indole degli elruschi era incliinevole a creare cose piu spaveniose e orribili, siccome per taute arche nell’ Etruria disot- terrate si puo vedere , sulle quali fierissimi supplizi , e torraentose storie di raali e di furie stanno scolpile, o procedesse cio dalla loro natura, o dalla religione che professavano (i). Ma i romani,avendo poi mischiato le greche favole ai riti religiosi trasmessi loro dagli etruschi, seguirono eziandio i greci modi di declinare dalla nausea anche nelle orribili cose : talche nell’ esprimere la rnorte e il lutto sapevano inframmettere tanta nobilta di forme e vaghezza di atteggiamenti , che ove 1’ animo si comprimesse di compassione e di spavento per le cose rappresentate , 1’ occliio non era benche minimamente offeso per turpi e laide immagini. Una novella prova di cio puo ricavarsi dalla tomba di che ho 1’ onore di andarvi ragionando , e pariicolar- mente dall 7 urna ov’ e sculta Y uccisione dei figli di fi) In cio potrebbe riscontrarsi la dissertazione sopra gli scultori etruschi e greci nella raccolta dell’accademia di Cor¬ tona tom. VIIT. ( 2^9 ) Niobe (i). Sono dessi in numero di sette fanciulli e di alfretfante donzelle gia incalzati e oppressi dalle frecce di Apollo e di Diana. Tav. II. E per la loro tenera eta, e per la grazia e leggiadria de’ loro corpi, capacissimi a destare alcuno spiriio di pieta , pensando che sono ridotti all’ ultimo lermine della vita. Inoltre tanta e la doglia del padre e della madre loro , e con tanto buon giudizio viene rappresentato il crudele spettacolo ( ove par cbe si levino il rotnore e le grida allissime da chi sente ferirsi , da chi piange , da quei cbe cercano di sollevare gli agonizzanti , e dal correre e dall’urtarsi de’cavalli di coloro che tentano di fuggire ) , che la vista de’ forlunosi casi di quei miseri fralelli eccita non solo la compassione , ma l’amrairazione per l’ar- tefice che si acconciamente seppe scolpirli sul marmo. Or non istaro io qui a narrare come Latona di arnica che era di Niobe le divenisse mortale nemica: impe- rocche 1’ esametro di Saffo ( 2 ) ove dice A«t^) vm N lofia (xxla gsy tpiXoct vjijav sroupou, e la pittura dell’ Ercolano spiegata per Latona e Niobe (1) Non dee confondersi questa Niobe figlia di Tanfalocol- 1 ’ altra che fu figlia di Foroneo, la quale vj^se prima, siceome pub vedersi in Eusebio Cbron. lib. post. pag. 272; e nel Biancbini 1 st. Univers. pag. 352 . (2) Athen. 1. XIII c. 4 ( 2^0 ) die amichevolraeate s’ intertengono (i), ne mostrano 1’ amicizia loro , siccome la miseranda strage, di che or favelliamo e prova ben manifesta dell’ odio acerbo in cui Latona avea rivoltato 1’ amore che a Niobe por * tava > perseguitandola sempre quanto piu la yide af- flitta divenire , in vendetta dell’ averle negati gli onori divini , e dell’ averla avuta per meno della sua na- scita , delLe sue richezze , e della prole sua ( 2 ). Le quali millanterie e vane iattanze di Niobe sono da Cicerone (3) recate in prova di poco senno, e da Ari- stotile (4) addotte in esempio di presunzione. Siccome anche da Callimaco (h) viene appellata col nome di xtx^kusoau appunto percbe osasse gareggiare e conten¬ dere con Latona. Quanti poi fossero i fanciulli, pei quali Niobe salisse in orgoglio, e stato variamente nar- rato dagli antichi scrittori (6) : imperocche Esiodo ne (1) Pitture Ercol. tom. I tav, I. Questa pittura vien di- chiarata in modo ben diverso nelle dissertazioni dell’accaderoia, di Cortona lom. VII (2) Ovid, Met. lib. VI, ( 3 ) De Nat. Deor. lib. Ill ( 4 ) Moral. Nicomach. lib. VII (5) In hymn, stg AyjXsv ( 6 ) Stazio Theb. lib. Ill v. i 33 seguando Sofocle , come dice Lattanzio , ne annovera quattordici in quel verso - Bina per ingenles stipabant funera portas : - e poscia al li- bro VI v. 124 segue 1 ’opinione di Omero, dicendo che fossero dodici nei se§uenti versi: ( 2&I ) pose il novero ia dieci maschi e dieci femmine, Ero- dolo ia due de 5 prioii e tre delle seconde , Omero e Properzio ia sei dell 5 uno e sei deli’altro sesso (i). Laoade chi fosse vago di numerare cotali difFereuze di pareri potra riscoatrare Eliaao ( 2 ), Gellio (3) e Apollodoro. II quale concordandosi coa Ovidio (4) * Diodoro (3) e Igiao ( 6 ) scrive che aoa solo dbssero sette le donzelle e i giovaai nati dal maritaggio di Anfione e di Niobe , ma ne serba perlino il noaie di ciascuao ( 7 ). Nella medesima guisa i monumenti che Utile quo geminis Niobe consumpta pharetris , Squallida bissenas Sipylon deduxerat urnas. (1) E£ {is? 3 vyat£jSi$ , ft’vtseg y fevswttg Horn. II. XXIV Nec tantum Niobe bis sex ad buSta superba Sollicito lacrymas defluit a Sipylo, Proper^ lib. II el. i 5 . (2) Var. Hist. lib. Xll cap. 36 ( 3 ) Noct, Act. lib, XX Cap. 7 ( 4 ) Met. lib. VI. - In Ibin. v. 583 , ( 5 ) Lib. IV pag. 275 (6) - Cap. IX ( 7 ) Apuptov N^pr?v tvjv TaytaXsu, 73 ysyya Ttatdag pzv , sfrra, SmuXuv, M:yi>ra idipxj TavraXsv. Siyaxspocg as rag taag E Sotiatav , vj ug nvsg , N zaipa KUoos^ijy, Arrvoy^'j , } IBXsmay , Avrvxpxrsiay , Qyiyix y. Bibliot. lib. III. Lattanzio reca medesimamente i nomi de’ figli di Niobe, ma con alcuna dissomiglianza da quelli di ( 2 b 2 ) di questa storia ci rimangono sono varii su di cio , perche appariscono soli quallro giovani , e cinque ? fanciulle scolpiti sul sarcofago , cbe ora sta nel museo valicano , essendo incertissimo se la sesta figura mu- liebre, collocata alquanto piu indietro delle altre, debba riputarsi una delle figlie di Niobe ovvero una fante (i). Minore di questo e il numero della prole di Anfione scolpita in un’ urna etrusca , il cui disegno mi e stato assai corlesemente favorito dall’ avvocato Secondiano Campanari : nel quale e notabile Falteggiamento di Apollo e di Diana , cbe nel saettare stanno seduti Apollodoro: » Filii Niobes hi. Archemorus, Antegorus, Tantalus, Plnxclimus, Siplijlos, Xcnarchus, Epinites. Item filise Asticratia, Pelopeia, Chloris, Cleodoxe, Ogime, Phega, Neera. » Ad Stat. Theb. lib. Ill v. 191 Ovidio non fa menzione dei nomi delle feminine, ma egli appella i maschi coi nomi seguenti : Ismenos, Sipylus, Phae- diinus , Tantalus, Alphenor , Damasiclhona , Ilioneus. Noi seguiremo i nomi recati da Ovidio. Su cio si puo anche os- servare lo scoliaste greco di Euripide, Pboenissse v. 162. Tzetze Chil. IV 1^.1 pag. ^29. Igino cap. XI e Ferecide ri- portato da Cupero, Observ. lib. Ill 17. (1) Ennio Quirinio Visconti, Bassorilievi del museo pio ^lementino Fabroni, Diss. sulle statue appartenenti alia favola di Niobe pag. 22 ( 253 ) quantunque abbiano le ali alle spalle (i). Se poi abbiasi a prestar fede all’ architetto signor Cockerell, cbe s’ ar- gomenta che le statue di Niobe e de’suoi figli disot- terrate fuori della porta san Giovanni ( 2 ) , e dai giar- dini che aveva in Roma il gran duca Ferdinando de’ Medici, fatte poi trasportare in Firenze dal gran duca Leopoldo , stessero in ornamento del frontispizio di un tempio (3), farebbe d’uopo ristringerne il computo in (1) In una coppa etrusca, che apparteneva at cav. Durand, e dipinto dall’ un lato Apollo, e dall’altro Diana in atto di saettare i figli di Niobe , e il loro numero e di sei. Sebbene questo effigiamento sia difficile a ritrovarsi fra i monumenti etru* schi, pure 1’ urna e questa tazza bastano a provare che a que’ popoli non fosse ignota la storia di Niobe. Cabinet d’ an- tiquites de feu M. le cliev. C. Durand N. ig. (a) Montfaucon, Diar. Ital. pag. 1 33 . Puo osservarsi an- che come siano ordinate codeste statue nell’ opera, che ha per titolo Antiquite expliq. tom. I pag. 196. ( 3 ) Galleria di Firenze vol. II tav. 76. II dotto sig. cav. Raoul Rochette, ne* monumenti inediti tav. LXX 1 X 3 , reca il disegno del gruppo disotterrato nell’anno i 83 o fra gli avanzi di un edifizio romano in Soissons, e che rappresenta uno de’ figli di Niobe ed il pedagogo. Nella nota poi pag. 4 1 2 3 7 > discorrendo di questo gruppo, e d’avviso che le statue di Fi¬ renze abbiano servito ad ornare il frontispizio di un tempio, ma non gia net modo immaginafo dal Cockerell: e lo dimo- stra colla scultura trovata in Soissons, che rassomiglia al pe¬ dagogo e a un Niobida di quei di Firenze. 32 ( 2U ) sei masclii ed altrettante femmine : poicbe egli , seguendo Y autorita di Omero , tanti ne ordina nel suo disegno. E per verila se tolgansi i due loltatori , die al solo monsignore Fabroni (i) e paruto di an- noverar nella storia di Niobe , e quelle due statue, Tuna delle quali yien tenula per una Psiclie ( 2 ), l’altra per un Endimione (3), sembra cbe a dodici ridurre si debbano quegl’ infelici fralelli rappresenlati colle statue cbe or sono in Firenze. Pure il Lanzi nella sua de- scrizione della galleria del gran duca ( 4 ) e d’avviso cbe la statua , cbe tanto rassomiglia alia Psiclie del Campidoglio , sia piuttosto una delle svenlurate fan- ciulle: e in pari modo, aggiungendo ai giovani quella cbe eomunemente si crede rappresentare Endimione , fa crescere infino a quattordici il numero degli uccisi dalle frecce di Apollo e di Diana. Nel cbe gli e di scoria la maggior parte degli autori anticbi , i quali (1) Loc. cit pag. 19 . Winckelmann, Mon. Ined. part. II cap. 7,accenna questa opinione del Fabroni siccotne cosa assai dubbia. (2) Fabroni loc. cit. pag. 18. Galleria di Firenze vol. I pag. 21. Visconti, Villa pinciana part. I. pag. 02 ( 3 ) Gori ? Mus. Fior. Stat. tav. 21 ( 4 ) Giornale pisano tom. 47 ( 2 ^ ) favoleggiando hanno scritto di questo avvenimento , e la cui sentenza fu seguita da Dante in quest! versi : 0 Niobe, con cbe occhi dolenti Yedeva io te segnata in su la strada Fra sette e sette tuoi figliuoli spenti (i) ! Due furono i luoghi, ne’ quali codesta crudelissima vendetta ebbe compirnento : perche le donzelle e i garzoni giacquero svenati in Tebe , ove di Niobe e di Anfione loro padre erano nati ; e la madre dopo la morte loro tornatasene a Tantalo in Sipilo (2) fu quiyi conyertita in sasso. Talcbe serbando anche i lidii la raemoria del funesto caso, ne aveano sparso la no¬ vella in modo vario da quello cbe ne era rapportato nella Grecia e in particolare nella Beozia (3). Ove divul- gandosi per ogni luogo , e per 1* atrocita della pena, cui soggiacquero tanti innocenti fanciulli , mettendo variamente nei petti degli ascoltanti e compassione e terrore , era anche con dissimiglianza di particolarila cantato dai poeti, e rappresentato dagli artefici. E di , ( 1 ) Purg.-C. XII. ■ (2) A poll. lib. III. ( 3 ) Partlienius, Erotica cap. 33 . Heyne ad Horn. t. Ill pag. io 5 , et Yar. lect. et observ. ad Iliad, lib. XXIV. V.617. Eustat. ad Horn. Iliad. Q pag. 1 368 . 32 * ( 256 ) questi essendo grande il numero che imprendesse a trattare simile argomento, per quanto ne attestano Pau- sauia (i) e Plinio ( 2 ), ne dovea conseguire assai diffe- renza di concetti, siccome, oltre Ie cose dette di so- pra , lo provano anclie le sculture del museo capito- lino , della villa Albani , del palazzo Colonna , di Ve¬ rona , e di Vienna. Ma perche molti scrittori anticki s’ accordano nell’ attribuire a Niobe sette figli dell’un sesso^e sette deH’altro (6), e niuno de’monumenti fin qui nominaii ne reca un cotal novero , innanzi cbe io discorra di quelli che sono effigiati per guisa cbe mostrino avere P autor loro aderito al racconto della maggior parte degli scrittori , credo non dilungarmi troppo dal vero riputandoli tutti altrettante copie di un perfettissimo originale. Non essendomi riuscito di avere alle mani il diseguo del bassorilievo che appar- leneva al conte di Pembrocke, e cbe e posto nella rac- colta del commendatore del Pozzo, bo stimato dover bastare quanto ne narra il Winckelmann (4) per giudi- (1) Lib-. I cap. 21 , lib. V cap. 2. (2) Hist. nat. XXXVI cap. 5 . - Propert. lib. II 22 v. 14. ( 3 ) Cupero, Observat. lib. Ill 17. Meurs. , Fragm. Euripid. KPE 2 $ONTHS. ( 4 ) Monum. ined. part. II cap. 17. t ( 257 ) care die sia presso a poco della composizione medesiraa di quello borgliesiano (i) , e delFaltro intagliato sulF avello non ha guari disotterrato. Talche eccelto due piccoli brani di bassorilievo per avventura dello stesso disegno 3 F uno appellato col nome di frammento Randa- nini ( 2 ),l’altro con quello di villa Albani(3), tre soli, per quanto io sappia , sono i bassorilievi interi cbe forni- scano Feffigiaraento della prole di Anlione pari a quella cbe da Ovidio e da Apollodoro viene descritta. E sebbene in questa storia , siccome in quella incisa ne’ monumenti borgbesiani , appariscano diciaunove figure , pur tuttavia i garzoni e le giovani non pos- sono scambiarsi ne coi pedagoghi, ne colla nutrice : perche questi sono vecchi e coperti di panni , quelli seminudi e nel prirao fior dell’ eta : questi di ruvide, quelli di tenere e leggiadrissime membra : questi vivi e pieni di angoscia , quelli estinti o spiranti con aspetto placidissimo , siccome chi non sente colpa nelF anima. Ond’ e cbe mirando dall’ un canto Anfione (1) Visconti, Monumenti scelti'borgbesiani tav. XXXI. Winckelmann, Monum. ined. tav. LXXX 1 X. (2) Guattani, Notizie d’antichita perl’anno 1787 dicemb. tav. 111. ( 3 ) Morcelli N. 562. .8 I .oiJJA .i>inx zuf/i ( 2S8 ) armafo della corazza(i) , forse per distinguerlo cos! dai pedagoghi, alzare col braccio sinistro lo scudo ( 2 ) per coprire dalle saette ii fanciullino che sostiene col destro , e yolgere intanto gli occhi in alto quasi per pregare Apollo e Diana , che veggonsi scolpiti ai lati del copercliio , perche cessino dalla strage , po- trebbesi credere da alcuno die esclamasse : Parce, precor, Paean, et tu, dea, pone sagittas; 51 Nil pueri faciunt, ipsam configite raatrem (3) ! >» Nel lato opposto a quello ov’ e Anfione , e sculta Niobe , al cui seno cercano di riparare non un fan- ciullo e una fanciulla come nel bassorilievo borghe- siano (4) , ma due donzellette siccome in quello del - : ' 1 9 9 ■ ■ ■ ' ■ - -—M - .. ■■■ — ' ■■■■■■■ '■ L \ C» j ., | _ • f «y j ^ (1) Anche nel bassorilievo borghesiano Anfione e scolpilo . con indosso la corazza , come puo vedersi nell’ osservazione fatta su cio al Winckelmann da Ennio Quirinio Visconti,Monum, scelt. borghes. tav. XXXI pag. 228. (2) Lo scudo tebano era di forma ovale. Biancliini , 1 st. univ. pag. 278. Anfione ha il capo scoperto, e i capelli cinti da una fascia o taenia , la quale era insegna non solo degli eroi , ( Pausania, Descr. Gr. X 2G ), ma anche degli dei, essendo cost fregiata la statua di Apollo, di che fa menzione lo stesso Pausania, Attic. I 8. ( 3 ) Juvenal. Sat. VI lib. II v. 171 ( 4 ) II Winckelmann, nel dichiarare il bassorilievo borghe- ( 25 9 ) conle di Pembroke , nelle quali si ravvisano anche da Winckelmann Amicle e Cloride. Era un tempio nelia Grecia (i) dedicato a Latona , e vicino al simulacro della dea , cbe era stato scolpito da Prassitele , mi- ravasi V immagine di una fanciulla che appellavano Cloride, e stimavasi essere di auella medesima figliuo- la di Niobe, cbe per lo innanzi aveva avuto il nome di Melibea. Alla quale , dicevasi , che quando furono morti da Apollo e da Diana gli allri suoi fratelli, fosse concesso il vivere insieme colla sorella Amicle ( 2 ), in grazia delle preghiere da loro ,porte a Latona. Ma cbe per lo spavento cbe avuto aveva della morte sua immi- nente , e di quella de’suoi congiunti, erasi Melibea per siano, dice che vi si vede espressa Niobe la madre , nel cui seno si e rifugiato un altro figliuolo 1 il quale sembra essere Anfione l’unico fra i raascbi cbe si salvo, e cita Pausania lib. V pag. 4*7 1 . 33 . Pausania pero in questo luogo non dice cbe Anfione fosse fratello di Cloride , rna cbe Cloride fu figlia di Anfione » A [Mptovog Svycczya (J. ovij lycpSHaoc t ov gcxgv. » Il solo Apollodoro lib. Ill narra che si salvasse Anfione insieme con Cloride; ma non vedendo ne in Lattanzio, ne in Ovidio , ne in Apollodoro stesso allorclie nomina tutti i figli di Niobe, ne inIgino,ne in Ferecide riferito dal Cupero, ne in Tzetze code- sto nome di Anfione fra quelli dei figli del re di Tebe , du- biterei che non fosse in Apollodoro un errorede’ copisti. (1) Pausan. Corinth, lib. II cap. 21. (2) Il Ciampi nel suo volgarizzamento di Pausania reputa cbe non fosse una donzella , ma un uiaschio , e traduce iVmicIo tom. I note. pag. 443 - ( 200 ) modo impallidita, che dallo smorto colore , che poi le duro sempre, le fa mutato il nome in quello di Gloride. Inolfre erasi sparsa voce fra gli argivi che il tempio fosse stato edificato dalle due vergini che scamparono dal la morte. E che loro fosse salvata la vita, ne vien dato ragguaglio anche da Apollodoro (i). Mai dunque non s’apporrehbe chi stimasse che le due figliuole che stringonsi al seno della madre, e che non sono ancora ferite, fossero Amide e Cloride. Ma guar- dando al coperchio dell’avello, e scorgendovi Apollo e Diana in atto minaccevole e pronti a saettare , po- trebbe temersi non fosse anche alle due fanciulle ser- bata la stessa misera fine de’ fratelli loro : tanto piu che, ascoltando Pausania (2): non avrebbe a prestarsi fede alle vaghe novelle che andavano attorno circa il salvamento delle due vergini : perche, standosene egli all’ autorita di Omero ( 3 ), crede che niuno degli sven- turati figliuoli di Niobe rimanesse assoluto , o riuscisse a scansare il supplizio (4). L’ artefice che il diseguo ha immaginato della pregevole storia , di che il bassori- (1) Lib. III. (2) Corith. lib. II cap. 21. ( 3 ) Tw d’ apcc xxc dstw nip esvr’ xm nouxctz oXsaaag. Hid. XXIV V. 609. ( 4 ) Igino cap. 9 e 10 narra che Cloride fosse saWa e che poi fu sposata a Neleo. Lo stesso dice Apollodoro, e v’ ag- giunge che fra i maschi Anfione (v. not. anteced.) fu serbato ( 2 $1 ) lievo di quest’ urna e intatta e lodevole copia , par che abbia atteso piuttosto in ornarlo di leggiadri gruppi di figure , e di foggiarlo, pih che fosse possibile, atto a far corapiangere la sciagura di quella famiglia, che a condurlo appunto sui racconti dei favoleggiatori. Per cio lasciando da parte Ornero (i) , che dice essere la strage avvenuta nella reggia, e Apollodoro ( 2 ) che vuol morte le femmine da Diana nel palagio di Tebe, e i ma- schi da Apollo sul monte Citerone (3) ove diletto pren- deano nella caccia, par che siasi in parte attenuto al racconto seguito da Ovidio (4). Dico in parte: percbe il in vita. Ovidio pero s’accorda con Omero in dire ohe fossero tutti uccisi. Havvi per certo assai disuguaglianza non solo in questi racconti , raa anche nei nomi de’ giovani e delle donzelle ; ed e notabile A-ppollodoro che nel nominarli tutti non vi reca il nome di Cloride , che poco dopo dice che fosse la maggiore di eta; ne yi fa menzione di Amicle e di Melibea, ch’ eglime- desimanaente, suli’autorita, di Telesilla, racconta cbe rimanesse- . ■ . ro in vita. (1) Horn. Iliad. XXIV v. 6 o 3 . (2J Lib. HI. ( 3 ) Igino cap. IX scrive che i garzoni venissero colpiti sul monte Sipilo. Ma guardando alia distanza cbe b fra Tebe cbe era posta nella Beozia , e il Sipilo cbe sprge nella Lidia, dee credersi cbe cio sia un errore de’copisti, siccome vien re- putato anche dab’ Heyne in Apoll. pag. 240. ( 4 ) Metam. lib. VI. ' ' « 33 ( 262 ) poeta finge che essendo i garzoni andali a diporto nell’ ippodromo poco lungi dalle mura della citta , quivi , mentre esercitavansi in correre a cavalk), furono tra- fitti dagli strali di Apollo , essendo le giovani uccise di poi, quando gia vestile a lutto stavano piangenti d’ attorno alle bare de’ morti fratelli. Laddove nella storia, di che favelliamo, veggonsi cadere frammischiati nell’ ippodromo masclii e feminine al tempo stesso , e ragunarvisi Anfione , Niobe , i pedagoghi e la nu- trice. Che poi V avvenimento sia nell’ ippodromo, lo mostrano i cavalli , sui quali sono montati i giovani. Qui medesimamente puo essere avvertita la disugua- gliauza , che in questi bassorilievi s’ avviene in certi particolari : perche tornando a far paragone del pre¬ sente con quello borgbesiano, vedrassi cambiato 1’at- teggiamento del fanciullo sostenuto da Anfione , cam- biate alcune atlitudini delle giovani , ed accresciuto fino a cinque il numero dei cavalli. A narrar poi lo spettacolo , che qui mirasi sculto , credo non esservi descrizione piu acconcia di quella di Ovidio (1): Pars ibi de septem genitis Amphione fortes Conscendunt in equos , tyrioque rubentia succo Terga premunt , auroque graveis moderantur habenis. (1) Metam. Lik VI v. 222. ( 263 ) E quibus Ismenos , qui matri sarcina quondam Prima suae fuerat, dum certum flectit in orbem Quadrupedis cursus, spumantiaque ora coercet, Heu mihi! conclamat: medioque in pectore fixa Tela gerit, fraenisque manu moriente remissis , In latus a dextro paullatim defluit arrao. Protinus audifo sonitu per inane pbaretrae Fraena dabat Sipylus : veluti cum praescius imbres Nube fugit visa , pendentiaque undique rector Carbasa deducit, ne qua levis effluat aura. Fraena tamen dantem non evitabile telum Consequitur : summaque tremens cervice sagilla Haesit , et extabat nudum de gutture ferrum. Ule, ut erat pronus, per crura admissa iubasque Yolvitur, et calido tellurem sanguine foedat. Quindi, dopo di avere narrato i vari casi cbe occor- sero nella morte degli altri fratelli , termina in modo il racconto dell’ angosciosa fine delle sorelle , cbe il cadere di quelle meschine par che non possa venir meglio rappresentato cbe in questi versi: Haec frustra fugiens collabitur : ilia sorori Immoritur: latet haec: illara trepidare videres (i). (i) Pare invero cbe qui possa usarsi il detto dell’esposilore del museo capitolino , che o lo scultore avesse letto Ovidio , o che Ovidio avesse osservate queste sculture. Tom. Ill pag. 87 33 * ( 264 ) 10 poi starei in forse nel giudicare se in questa no¬ stra scultura debbasi raffigurare il maggiore de’ fra- lelli , che appellavano Ismeno , in quel giovane ca- dulo da cavallo , e cbe nelio spirare tenta colla de- stra rnano di trarre il dardo della ferita , ed ha au- cora la sinistra appiccata sulle redini. Imperocche dad’ essere posto nel mezzo della strage , e dall’appa- rire di pin eta, pare al WincKclmann di cosi cbiamarlo nella dicbiarazione del bassorilievo della Niobe (i). Ma in una nota ai monumenli scelti borghesiani di Ennio Quirino Visconti ( 2 ) s’ inclina piuttosto a cre¬ dere, cbe sia Ismeno quegli cbe alquanto piu so- pra apparisce in atto di venir meno per la ferita , e traboccar dal cavallo in sul destro lato. Ed in vero questa figura , piu che 1’ altra indicata dal Winckel- mann , rassomiglia a quanto sulla caduta del giovane racconta Ovidio: In latus a dextro paullatim defluit armo. Quanto a Sipilo , e’ par che sia quello cbe e stato trafitlo sulla nuca , e che tra per essergli caduto sotto 11 cavallo , e per la mortalissima piaga e presso a rimanere abbaltuto a’ piedi quasi della rnadre. Il ri- (1) Mon. ined. part. II cap. 7. (a) Tav. XXXI. f o ( 2 G5 ) cercare il norae degli altri repnto che sia vana e ma- lagevole impresa. Ma poiclie vi e maggiore apparenza die la figura, che cerca svellersi la freccia dalla ferita, non sia quella d’ Ismeno , come abbiamo osservato poco dianzi , m’ indurrei piuttosto a credere che lo scultore vi avesse voluto effigiare Damasittone, perche con una simile mossa viene descritto da Ovidio: Dumque manus tenlat Irahere exitiabile telum. Con buon accorgimento poi dell’artefice fnron condolti quei due vecchi, che souo i pedagoghi (i) , e quella nutrice ( 2 ) che all’abito ed air eta sua facilmente si distingue dai giovani (3) , perche col rappresentarli (1) Ancbe il Winckelmann, Mon. ined. pag.i20, li ravvisa per due pedagoghi, e li denota siccome vestiti alia frigia. Hanno eglino una tunica corta con sopravi un mantello annodato sul ' > petto. Un simile vestire scorgesi pure sulle due figure, che stanno in ginocchio nella tav. num. 7 dell’ Admiranda . (2) Deesi avvertire che 1’acconciatura del capo di questa vecchissima femmina e forrnata da un drappo quadrato che chiamavasi Bzptcrrpcov. Pollux VII 46 , 49 - “ Festo alia parola Rica. Par che fosse proprio delte nutrici, poiche vedesi usato in altre figure di simile uffieio. ( 3 ) I giovani non hanno indosso che una clamide , e le donzelle tengono i capelli intrecciati e involti all’ intorno del capo ; la quale acconciatura era propria delle vergini , ( 206 ) in alio di soccorrere i moribondi dessero piu risalto e maggiore yarieta a tutto il disegno. II quale certa- mente essere doveva assai pregiato, dacche molte co¬ pie se n’ erano tralte. E forse questo o qualche altro che in buona parte V uguagliasse , siccome sembra an- clie al dotlo espositore de’ marmi borghesiani , aveva fornito qualche immagine alle poesie di Meleagro e di Antipatro : percbe pare di vedere la descrizione di alcuno di quei gruppi in Antipatro (i) oye dice: A [j.-.'j yap roctSwv anaipzc azlag * a Ss Icmnvsvg K wXnai • a oz fiapvg 7tor[xsg zruy.pzij.azxtl E qual delle sue figlie palpitante Anela nella morte ; altra yien manco ; Ad altra in faccia il duro fato pende. E in Meleagro (2): A ;j.zj yap [j.azpsg nzpi yovvanv, a o'zvt xolnsig KzaXnat , a S' zm yag , a S’ zm pacuciisg Mia o’ avrunsv Sajxfizi (Izlog • a S’ znoiczoig IT zaxjGZi • zag S’ zij.ttvcv'J cu.u' zzi cpug spaa secondo die ne discorre PausaniaVIII 20;0 ia Sij napSzvsg nlztgajjtii/fyg zyj'j j e lib. X 2 5. n gXuSsvyj aura ra zOisu.z'ja naoBzvscg X'ju.T.zrj.zv.rai rag zv tyj xzipalv} rpiyag. (1) Antliol. lib. IV cap. 9. 5 . (2) Loc. cit. lib. IV cap. g. 6. ( *G7 ) Altra al suol cade , ed altra alle ginocchia Materne si ricovra , o al petto , o al grembo; Quella si mira incontra , e istupidisce, Le fatali saette ; una tremante Dalle frecce e colpita ; una morenfe Cerca col guardo ancor la cara luce. Gravissima doglia moslra la figura di donna che sta presso all’angolo dell’ urna, e che ravvisainmo gia per T iramagine di Niobe dall’ abbracciare che fa le figliuoline. Al velo scomposto che le svolazza sidle spalle (1) , e all’atteggiamento suo, stimerei che fosse per fuggire dolorosa quanto mai dir si possa pei per- duti figli , ma non priva ancor di speranza di salvare queste ullime che le si stringono al seno , e la mag* giore delle quali alza le braccia in segno d’ implorare soccorso. Dice il Winckelmann (2) che la Niobe e alta a rappresentare il lerrore della morte imminente : e qui parmi doversi aggiungere anche Eansia di menar via dal luogo fatale quelle ancor vive fanciullette (1) Sebbene Ovidio descriva il ricco abito di Niobe ,, Ve- ,, stibus intexto plirygiis spectabilis auro: ,, pure qui e sculta con una tunica senza maniche; ed il velo stimerei che fosse l’ampechonon, cbe Esichia definisce Xstttsv t,\xaxisv . Circa le vesti frigie, poi che erano finissime e cosparse di stelle di oro, v. Polluce X , 8, ed Eupoli apud Polluc. YI. 1 (2) Trattato prelim, ai monum. ined. ( 268 ) pregando i numi a serbargliele in vita. Ella e sculta in quella stessa attitndine , che par che abbia accen- nato Ovidio allorche narra che si volgesse suppliche- vole al cielo (i). E qui puossi ben dire cost, senza rischio d’ incorrere nella censura dala at Fabroni (2) a cagione di una simile espressione cb’ egli scorse nella bellissima statua della Niobe di Firenze: perche gli altri figliuoli sono pressocbe tutti uceisi, o grave- mente feriti. Ad onta pero delie varie novelle contate (1) Non so corae nella spiegazione della statua di donna in atto di fuggire, cvji raancano e capo e mani, disegnata nella tav. XVII del tomo II del museo Chiaramonti , sia stata ravvisata una Niobe , quando cio che rimane di codesta statua e in tutto simile a quella della raccolta di Firenze co- gnita per una delle figlie di lei ( Gall, di Firenze vol.I ser. IV 1 3 ). Inollre se ha fatto parte di quella raeeolta , siccome erede il dolto espositore , reca maraviglia il non avere avvertito che con questa appellazione vi crea una Niobe di piu it clie e cosa non mai udita. Partni anche espresso con troppa fidueia il litolo di Anfione dato a quell’ altra statua, che ora stimasi generalmenle il pedagogo. (2) Galleria di Firenze tom. I pag. i 5 . Non saprei che mi dire della critica fatta al Fabroni riguardo all’ espres¬ sione del volto della Niobe di Firenze, se non che il Bottari ( Museo cap. tom. Ill ta\\ Xtdl pag. 87 ) e dello stesso av- viso del Fabroni; e l’opinione di due cosi doth uomini dee te- nersi in molta considerazione^ : . Kf (. Fi rJj ■ ( s6 9 ) da que’ di Argo, e da que’ di Elide (1) clre la farai- glia di Antione non fosse esterminata per inlero , sa- rei d’avviso che 1’ autore del disegno di qnesta storia, siccorae in molta parte coi racconti di Ovidio si con- yiene , eosi dovrebbe coucordarsi anche in questo dell’ essere slate raorte tutte le fancinlle. Ma siccorae coll’ effigiarne alcune in yita, vedeya che sarebbe riu- scilo meglio nell 5 intento suo d’eccitare la coraraise- razione, ha egli scelto le piu tenere di eta, smarrite e dolenti quanto l’intendimento loro il comporti : e come sono yive, raa rainacciate di raorte per gli strali dei due iddii , che stan loro per piombare sul capo , le stringe alia madre , affinche se da un lato rauova a pieta la yista di un fanciullino boccheggiante fra le braccia del padre , non sia rainore dall’ altro la cora- passione per le due innocenti sorelle prive gia de’ fra- telli , e yicine a maccbiare del loro sangue la madre stessa che cerca di salvarle. Laonde non e stata sculta in quella gravezza di cordoglio, in che cadde da poi, pel quale s’ usci di senno e divenne come insensata: il cbe fu acconciamente rappresentato da Escliilo (2) che muta e fuori di se la finge per eccessivo dolore. Ma quantunque abbia ancor tan to yigore da cercare d’ involare le figlie alia strage coprendole colie sue (1) Paus. Corinth, lib. II cap. ai, ed Eliac. lib. V cap. 16. (2) Schol. ad Prometh. v. 4 ^ 5 . Vita Aesch. M ( 27 ° ) hraccia , e da chiedere almeno la loro vita , pure e gia per cadere nel delirio e nell’ alieuazione de’ sensi. Fra Ie altre cose dette della infelicita di questa donna v’ ha pure chi credette, che vinta essendo dall’ affanno in un coi figli se ne morisse : e cio puo cavarsi noil solo dalle parole di Plinio (i), che narra essere stata rappresentata nel tempio di Apollo Sosiano moribonda insieme co’ figli suoi, ma da un epigramma eziandio di Antipatro (2), ov’ essa, discesa alia ripa del flume infernale, prega il nocchiero che l’accolga nella harca coir uccisa prole, e la faccia traggittare dall’altro lato : Msuvav cii'j zsvvctg vsxuscr oXe dstgojAS mp3fxsu T ccj y.aXou cr.ov.si act rpopzog 0 TavraXi^cg IllYipcvjst yaavqp [Atx oov Gv.cupcg sicrc ds vovpoi g K cu vcvpscg cpoifiou cxuXa vou Aprspocg. Sola co’ figli a trapassar m’appresto : Raccoglimi , Caronte , nella barca , E all’ allra ripa mi conduci presto* De’ nipoti di Tantalo la parca Ruppe lo stame per Apollo e Diana. Co’ figli miei t’ avro la nave carca. (1) Par haesitatio est, in tempio Apollinis Sosiani Nioben cum liberis morientem Scopas an Praxiteles fecerit. Plin. HisL nat. lib. XXXVI cap. 5 . (2) Anthol. lib. Ill cap. 7. ( * 7 ' ) Tollo adunque codeslo effigiamento, che era nel tempio di Apollo Sosiano , e 1 * epigramraa di Antipatro , a cui .polrebbe anche andare unita la sentenza di Lat- tanzio (i) , quasi tulti i favoleggiatori dicono ch’ella fosse convertila in pietra sul monte Sipilo. Cosi narra Ovidio: e yuol ch’ ella veggendosi dinanzi i cadaveri dei figli e del marito ( imperocche aggiunge allresi cbe Anfione, non sapendo tollerare il gravissimo cor- doglio , si desse da per se slesso la morte ), ed ag- ghiacciasse del sangue, e assiderasse per guisa che dive- nuta simile ad un sasso, fosse poi da’ venti rimenata in palria , e quantunque mutata in marmo, lasciata a struggersi e a lacrimare sulla vetta del monte. Cosi dice Igino nel riferire i discorsi , che si facevana dell’ essere ella cambiala in pietra per troppo ram- maricarsi (2). Cosi medesimamente leggesi in Apol- lodoro, quando si fa a raccontare com’ ella partissi di Tebe , e tornossene in Sipilo a Tantalo suo padre , ove, per essere state esaudite da Giove le sue pre- ghiere, venne trasformata in pietra ( 3 ) : pel qual cam- (1) Unde Apollo iratus filios sagittis necavil. Diana autem Clias; ad ultimum vero matiem. Ad Stat. TLieb. lib. I v. 711 (2) Hygin. cap. IX. (8) Apoll. Bibl. lib. III. Stimano alcuni che Giove, senten- do pieta della afflizione di lei, la cambiasse In pietra. Schol. ad Soph. Antigon. v. 836 . 34 * (272) biamento enotabile eziandio Eepigramma di Agatia (1): O zvfxfiog cvzog evftcy ov'y v/zi ysxpoy O vzxpcg svzog zyxog ovy vyzi zocyav AlV cojzog koz cj vzxpcg zazt xoa zocrpog. La splendidezza de’ natali che sortito aveva codesla donna , la polenza e ricchezza in die ella era , poi- che fu sposata ad Anfione re di Tebe , doveva avere lasciato negli abitatori di quella citta assai riverenza per lei, e gravissimo sentimento di rispetlo per la mala ventura cbe le sopravvenne ; talche Sofode ponendo in sulla seena Antigone , e facendola esclamare che, aggravata come era da tanti mali, le sarebbe tomato meglio se gli dei la sorle medesima di Niobe le con- cedessero, indurandola al pari di uno scoglio , fa che il coro de’ vecchi cittadini le risponda quasi motteg- giandola , che essendo ella mortale ambisse di correre lo stesso destino di una divinita , perche Niobe, oltre all’ essere dea , era anche discesa da progenitori di- vini (2). Lo scultore adunque , sebbene in una copia non soglia per lo piu Y espressione de’ volti apparire pari alt’ originale , nello scolpire Niobe dolorosa a morte , le ha dato tanta decenza e diguita della per- ’ j .C f. . > L3 u (1) Anthol. lib. Ill cap. 7, 3 . . (2) Soph. Anligon. v. 834 - et seq. ‘ Ed Elettra nella tra. gedia di quest© ^norae la onora siccome una dea, Soph. v. i5i. ( 1 2 3 7^ ) sona , che nell’ atleggiamento dell’abbracciare i figli e nelle faltezze del viso nulla yi si yede di conlraffatto e di volgare , ma anzi yi si raoslra la regia condi- zione e Forrevole di lei nascimento (i). Fin qui ho discorso del bassorilievo che tiene la fronte dell’ avello. Or procedendo a quelli che stanno in sulle due bande , vi e in uno ritratto il principio delle avversita , che non solamente nella faraiglia di Anfione la letizia in lutto rivolsero , raa furono ori- gine ai tebani di molti mali. Perche rimaso il regno senza cbi lo redasse, yi fu chiainato Laio, pe’ cui di- scendenli ebbe Tebe a divenire alflitta da altre morti e da orrendi delitti (2). E rappresenlata adunque dal destro lato , tay, II lelt. D , Latona cbe accesa di collera e di furore si grava con Apollo de’ porta- menii di Niobe , e lo stimola perche voglia vendicarla. Sono qui disegnate le raura di Fere , citta della Tes- saglia , fuori delle quali stassene Apollo divisato da pastore > reggendo la verga dalla sinistra mano, e at- tendendo a guardare gli armenii di Admeto ( 3 ). Nel (1) Dell’arte adoperata dagli arteGei antichi nell’effigiare la Niobe, v. -Winckelraann storia delle arti del disegno lib. V cap. 3 , e lib. VIII cap. 2. (2) Paus. Boeot. lib. IX cap. 5 . ( 3 ) Ea causa, per la quale Apollo s’acconcio per servitore con Admeto, viene narrata ampiamente da Meziriac, F.pistres d’ Ovide tom. I pag. 44 - 3 . .Giu'li.i'ji ’ r,.l. \ ( ) di sopra poi delle mura vedesi Latona slarvi quasi di- slesa , e in atlo di parlare al figliuolo. E come per la lira, pel corvo, per Earco e per la faretra, che veggonsi scolpiti sul fregio del bassorilievo, ebbesi in animo di manifestare che Apollo si celasse in quegli abiti pa- lorali, cosi per un segno , che sembrami raro a riscon- trarsi , e stato indicate che la donna distesa sulle mura sia la madre di lui. Contano gli scrittori di favole che nel punto stesso che ella partori Apollo e Diana in Delo , stringesse fortemente i rami di un olivo , se- condo alcuni , o di un olivo e di una palma , o di due lauri , secondo altri (i). II tenere adunque che fa la donna colla destra un ramo di uno degli alberi che sorgono nel campo al di fuori delle mura , e che puo riputarsi un olivo , dimoslra non solo che ella sia Latona , ma che sia nell’ istante di rammentare al figliuolo il nascimento di lui , e 1’ obbligo che gli cor- reva inverso di lei onde s’ apparecchiasse speditamente a vendicarla delie ingiurie che da Niobe aveva rice- vuio (2). Ma T altro bassorilievo che sta nel canto oppo- (1) Catull. in Dian. carm. 32 . Horn, schol. ad iliad. A 9. Tzetzes in Lycophron. p. 71. Serv. ad Aen. Ill v 61. Hygin. cap. CXL, e la nota h pag. 209 dell’ ediz. dei raitogr, latin. Arastelod. 1681. (2) Ovid. Met. VI comincia il discorso di Latona ad Apollo con queste parole : En ego vestra parens : il che non puo venire rappresentato meglio di quello che e stato immaginato in questa scultura. ( 275 ) sto a questo , tav. II lelt. E, e clie rappresenla il compimento del sanguinoso supplizio, e a creder mio assai piu pregevole, in quanto vi si dichiara che v’ab- biano *seguila la narrazione medesima data da Escliilo nella tragedia della Niobe (i) , e dall’anonimo nella vita del poeta. Non e a dire la tristezza clie inspiri il guar- dar quivi un mausoleo chiuso , e sul davanti postovi un lungo serto di fiori , presso cui siede una donna lacerata da intensa ed infinita passione , col capo chino e abbandonato sul petto , colle mani incrocicckiate sulle ginoccbia , e coperta tutta da un velo in segno di mestizia. Di rimpetto a lei stassi pure addolorato un uomo, che s’ appoggia appena ad un bastone : e poco piu indietro sorgono due alberi per dinotare che il luogo sia fuori della citta. Qui giova ramraentare il racconto che Acliille fa a Priamo (2), che i figli di Niobe, dopo essere stati in terra morti ( 3 ) per nove (1) Di questa tragedia non ci sono pervenuti che pochis- sirai avanzi > come puo riscontrarsi nei frammenti di Eschilo di Tommaso Stanleio pag. 642 - nel Meursio De tragoed. lib. Ill Aeschylus - ed in Esichio alia voce Enu&v. (2) Ot ap svvvjfJiap xsar ev v , cyosy (pSiyyztca i^vsv.^/:ou.[xzrn » Quippe in tragoedia , quae Niobe inscribitur , ipsa ■»» Niobe usque ad diem tertium, obnupto vultu,sepulcro »> liberorum insidens nihil loquitur. » Ed ella mirasi qui seduta Ticino al sepolcro dei figli col capo coperto da un velo , e curvato sul petto : il che non puo essere piu atto indizio a significare il suo silenzio , e 1 ’ affanno che la consuma. Or questa scul- tura siccome rendesi viemaggiormente chiara dalle due citate autorita, cosi serve a far piu palese il senso loro : imperocche per la storia del bassorilievo prin¬ cipal non puo mettersi in dubbio che la donna , che qui siede, non sia Niobe. Ma parmi altresi che prendendo (1) Niobe frara. loc. cit. (2] Vita Aesch. 55 ( 278 ) a considerare questo effigiamento, abbiasi altra prova onde cancellare quella Incertezza, in che sono alcuni grammatici nell’ assegnare ad Oraero i versi (i), ne’ quali, dopo che ha fatto menzione dell’ aver Niobe preso del cibo , soggiunge ch’ ella e ridotta in pietra sul monte Sipilo. Perche, secondo il pensamento loro, non potea cibarsi quando era divenuta pietra (2). E si grande la fiducia che Pausania presta a tntlo il racconto di Ornero, che net libro delle corintiache cap.21 ,dichiarando di starsene intieramente aldetto suo, tiene in minor conto ogni altra narrazione degli av- venimenti de’ figli di Pfiobe. Stimerei adunque che se Pausania vi avesse scorto qualche contraddizione, vi sa- rebbe stato piu cauto , e non avrebbe citato questo stesso racconto allegandone perfino un verso. Dali’ al- tro canto non pud dirsi che quei quattro versi, che si mettono in disputa , non siano antichi : e per tali si ravvisano anche dall’ Heyne ( 3 ), sebbene incliui a cre- derli tolti da altro luogo. Debbo pure aggiungere, che vuolsi assai sottile intendimenlo per giudicare che quei versi non siano di Oruero , spezialmente quando da tanti allri e commentatori e traduttori gli sono stati conceduti di buon grado* E quanto al senso (1) Iliad. XXIV V. 614, 5 , 6, 617. (2) Heyne Horn. Iliad, var. lect. et obss.lil*. XXIV v. Gi 4 * ( 3 ) In Iliad. Q. v. 614 et seq. ( *79 ) non v’ e luogo cerlamente air avvertenza posta nella chiosa , che se fu cambiata in pielra, non pote poi mangiare. Perche Achille, per alleggerire alquanto il cordoglio di Priamo, gli ramraenta Niobe siccorae quella cbe non uno , ma dodici figli avea perduto. Percio anche Timocle il comico (i) 1 ’ adduce in esempio per trorar conforto nella morte di un liglio. Poscia segue narrando la sventura di lei, ne gli reca in paragone cosa avvenuta in lontani luoghi, o di dubbia fama ed incerta , ma nota ad ognuno , ed occorsa in persona nata in quelle eontrade , accio Priamo gli creda fa- cilmente, e non abbia a scbifo di ristorarsi colie vivande quando la stessa Niobe , dopo che fu stanca di piangere , s 1 indusse a mangiare. Achille ha contato il caso di Niobe siccome intervenuto pel passato ; e poi prosegue : n Or ella e convertita in pielra sui Si- pilo : n scambiando cosi il tempo, e procedendo dalla narrazione del passato a quello che di presente ella era. E parmi die dica cio per provare pih che mai la verita delladdotto esempio: imperocche rimaneva ancora il sasso in cui la donna fu cambiata, e vi stava anche per attestare la gravezza del suo dolore. Non yeggo aduuque ragione che basti a seguira P avviso della chiosa: perche Achille esorta Priamo a nutrirsi, ponendogli innanzi il fatto di Niobe quando era an- (t) Athen. lib. VI pag. 223 - e Stob. serm. CXXIII. 35 * ( 280 ) cor yiva. E poi come di cosa successa in progresso, e che durava ancora, discorre della trasformazione. Alle- gbero pel primo Euslazio (i) che riferisce il dire di Sofocle, che essendo morli i figli di Niobe in Tebe ella se ne andasse poi in Lidia. E quindi, sebbene in vari modi , parlano di questa sua partenza di Tebe Apollodoro (2), Stazio e Lattanzio ( 3 ): talche innanzi cb’ ella corapisse il viaggio, non fu per certo mutata in pietra : e se lo fu in Sipilo ( 4 ), non avvenne cost prestamente, che non le desse spazio a vivere alcun tempo: sicche dice rettamente Omero, che ella pren- desse sollievo nell’ angoscia , e che poi fosse conver- sa in marmo. A queste autorita degli scrittori s’ ag- giunge bene a proposito il bassorilievo dell’ avello di cbe favelliamo : percbe vi si scorge manifestamente cbe Niobe ne morisse , ne volta fosse in pietra su • bilo dopo la strage > ma rimanesse appo il sepolcro de’ figli. Inoltre,per testimonianza di Ferecide ( 5 ),ei)be (1) Ad Horn. Iliad. Q. (2) Bibl. lib. III. ( 3 ) Theb. lib. VI v. 124. ( 4 ) Hygin. cap. IX - Tzetzes Chil. VI pag. 366 - AntboK lib. Ill cap. 7,5- Sophocl. Antigon. v. 834 - ( 5 ) Heyne Horn. loc. cit. v. 617 trascrive questa chiosa del cod. Victor, cfcpsxucbjg os sy >3 5s Nis/Svj vno rov oc/zcq a.'ja.ytops.i srg ImvXov , ym oov. rrv r.o'kty avsarp^pqxsyvjv , ym TavraXw XcBo'j swxps/Jtap.sv 5 V, ; upccxca. os rw A il -ysys vSm * pzixat os s- aurvjg docy.pva, vm npoq ocpvsov cpa.- Sturz. fragm.Pherecyd.pag. 140 i 4 r » ( 281 ) Niobe a sostenere altre disavventure dopo la morle loro : perche giunta che fu in Sipilo, vi trovo il padre caduto in disgrazia di Giove , che percio tenevalo sempre in travaglio e in tribolazione con avergli sospeso una pietra in sul capo , e la citta sua patria distrutta (i). Cosicche veggendo essere diserla, e sentendo acerbo il dolore che l’aggravava, prego Giove che la convertisse in pietra. E di cotesta punizione di Tantalo puo leggersi Aleneo (2), siccome della distru- zione di Sipilo al tempo del suo regno , ragionano Strabone ( 3 ), Plinio ( 4 ) ed Aristotile ( 5 ). Il solo Ovi- dio (6) , per quanto io rammento , finge ch’ella im- pietrisse in Tebe , e che poi fosse levata via da’ venti, e sospinta in Sipilo (7). Ma in questo lato la storia (1) Alcuni stimano che Tantalo fosse figlio di Giove e di Pluto; ed allri che nascesse di Pluto e di Tmolo re di Lidia. Molte cose circa la stirpe, le ricchezze e la patria di questo principe sono raccolte da Miziriac, Epistr. d’ Ovid. tom. II pag. 327. (2) Dipnos. lib. VII. pag. 281. - Pidaro Olimp. Od. 1. (3) Yea linoXog yuzzcTpoccpY) ysjxu tvjv Tavt ockov Bueikzi «v Geogr. lib. I pag. 58 > el lib. XII pag. 579. ( 4 ) Hist. nat. lib. II cap 91. ( 5 ) Meteorolog. lib. II cap. 2 de terrae mot. gen. (6) Metam. lib. VI (7) Del monte e del luogo ov’era la citta di Sipilo puo vedersi Chandler , Viaggio nell’ Asia minore tom. II cap. 79. ( 282 ) che vi e sculta non e punto simile ai racconti di Ovi- dio ; anzi, rappresentando Niobe assisa vicino alia tom- ba degli uccisi, e conforme, siccome ho detto di so- pra , a quello die ne ba scritlo Eschilo. Per il che moslrandosi che ella rimanesse in vita e afflittissima anclie dopo che furono sepolti i figliuoli , avviserei che venisse con cio chiarito il parlare di Achille , che a persuadere Priamo gli richiama alia mente i conforti, a cui ella s’ arrese quando era la piu trava- gliata e tormentata donna, e trovavasi in quello stato medesimo, ch' e rappresenlato nella presente scultura. Egli e ben vero che Omero non ispiega la cagione per cui i fanciulli uccisi giacessero insepolti per nove gior- ni , ne perche il popolo fosse pietrificato (i) ; su di che discorrendosi dal dotto Heyne (2), crede potersi so- spettare che cio fosse occorso 0 per essere Niobe ve- nula in abbominio di quelle genii per l’empiezza sua verso gli dei , ovvero per V odio che le portarono, (1) Pockocke ne’ suoi viaggi lib. Ill cap. 11, discorrendo del lago di Tebe, fa questa avvertenza: ,, On ne sauroit douter que leslacs et les marais, dont je viens de parler, n’influassent sur fair de la Beotie au point d’epaissir 1’esprit de ses habitans: aussi leur grossierete avoit - elle donne lieu aux proverbes ,, oreille de Beotie, pourceau >de Beotie.,, Potrebbe essere che l’impietrire fosse una raetafora per dinotare la goffezza di quegli uomini unifa alia desolazione della mortalita. (2) Ad Horn. Iliad, loc. cit. v. 612. ( 283 ) pensando che ella fosse stata causa che la citta venis- se contarainata dalla peste } talche non vollero seppel- lire neppure i corpi. Cbecche sia di cio , Omero poi soggiunge ch’ eglino avessero sepoltura dagli dei. Una interpretazione pero di tali fatti era gia stata re- cata da Tzetze (i), ove dice che essendo stati morti in un sol giorno per una fierissima pestilenza i fi- gliuoli tutti del re di Tebe , se ne attribui la raorte ad Apollo e a Diana per 1 * opinione cbe s’aveva, die il raorbo procedesse dal sole e dalla luna, o sia dal caldo e dal freddo ; che Niobe fu creduta cambiarsi in marmo, quasi dall’ essere fuori di se pel conlpista- mento ; e che gli uomini ebbero a indurire nella stessa guisa a motivo della grande calamita , per la quale , posposta ogni corapassione , non s’accostarono ai figli di lei , ne vollero curarli, talche gli dei , o come sembra i re medesimi, li fecero seppellire. Per le quali cose , e per quelle notizie cbe cavare si possono dai brani della tragedia di Escbilo appellata la Nio¬ be (2), venendone fatta fede che i figli fossero , dopo morti , chiusi nel sepolcro , non puossi dubitare cbe questo, che nel bassorilievo appare scolpito , non sia (1) Chib IV 1 4 1 2 pag- '°2g. (2) Anche Aristofane avea composto un dramma di questo nome , che pero e andato sraarrito. Sell. Euripid. Phoeniss. v. 163, Polluce lib. N, Casaub. in Atben. lib. VH pag. 569. ( m ) quello degl’ infelici avanzi della strage rappresentata nella fronte dell’ urna. Giacche poi colla narrazione di Tzelze, qui sopra riferita, abbiamo alquanto declinato dai discorsi favolosi , siami permesso di proseguire con alcuni altri, che sono dislesi per raodo da sceve- rare codeste tradizioni dai maraviglioso e dal sopran- naturale. Ed invero quella crudele uccisione, che si finse fatta da Apollo e da Diana, non fu, per raggua- glio recatone anche da Pausania (i), se non che un malore , che appiccatosi alia famiglia di Anfione la distrusse per intero. Cosi seguendo cio che lascio scritto Palefato (2), e’ parrebhe che si avesse a rigeltare e te- ner come yano il racconto di coloro, che volevano Niobe cangiata in sasso appo la sepoltura de’ figli : poiche la verita di queste cose si era, ch’ ella ordi- nasse che una statua di marmo le fosse fatta , e quella venisse posta sul sepolcro. E Cicerone medesimamente e d’ ayviso, che altro non volesse significare quella immaginata mutazione se non che l’eterno tacersi, cui clla soggiacque nel suo dolore ( 3 ). Essere adunque (1) Beot. lib. IX cap. 5 . (2) Palaephat. n EPl NIOBIIS . to to S’ etk^ss zyju wSs. Nwpvj ocnoSoaovTuv tuv souths txuiqw , notrjGxaoc saunj etxo va XficvrjV ZGTYjGSV Z~l TCO TVIxfito TCOV 7TittS«V, VM VJ [UL$ S$£X<7CX[JL£3a OCUTYJV , 017 Y.71 XeySTl. ( 3 ) Tusc. Quaest. lib. III. ( 285 ) potrebbe che venendo ella forzafa di Iasciare quella terra ove furono deposti i corpi de’ figli suoi , sul se- polcro de’ quali era solita di piangere , avesse voluto che in sua vece vi si collocasse una statua , e che i tebani non piu vedendovi Niobe, raa la effigie di lei, cominciassero cosi a spargere la voce del cambia- mento. E che fosse facil cosa il prendere la statua per la donna , lo mostra il silenzio e 1’ affanno in che ella era immersa : potendosi anche di lei dire per metafora che fosse di macigno. Ma, per quanto mi sia noto, eccetto il solo Palefato, che assicura di avere ve- dulo la statua (i) , e Tzetze (2) , il quale narra il pensamento di alcuni che la Niobe piangente altro non fosse che un marmo scolpito con tale squisitezza d’ arte , che fcembrasse di lagrimare , non mi saprei d’ onde cavare da altri, che il principio di questa fa- vola avvesse per avventura avuto origine da colal si- mulacro. Laddove, poiclie quasi tutti gli scriltori, che de’ casi di lei hanno discorso , affermano essere tor- nata in Sipilo , e in quei luoghi avere impietrito ( 3 ) struggendosi in pianto ancorche cambiata di forme, (1) Loc. cit. (2) Chil. IV 141. ( 3 ) Oltre le cose gia dette, V. Sopliocl. Antigon. v. 834 - Anthol. lib. Ill cap. 7 , 5 - Lactant. ad Sfat. Theb. bb. VI v. 124 - Euripbor. Scliol. Ant. ad Horn. Iliad, lib. 24 v. 601. 36 ( 286 ) m’ appiglierei piu volentieri al partito di coloro che credessero , che il fingimento della favola fosse pro- ceduto dair Asia. Imperocche usando ella di starsene sul Sipilo , ov’ erasi ridotta dopo la sua partita di Tebe , e menando quivi assai sconsolata vita y furono poi col nome di lei appellati alcuni sassi conformati per sorle, che di lonlano offrivano ai riguardanti la vista del fantasma di una donna di aspetto dolentissi- mo. Dalla quale illusione ne nacque la credenza che Niobe trasformata si fosse in pietra , e che un riga- gnolo, che correva a pie di quella siffatta rupe, fosse 1’ umore che dagli occhi le stillava (i). Eranvi molti che tenevano per certo questo cambiamento, indotti in errore dalla falsa apparenza dello scoglio : ma Pau- sania (2) ne manifesta V inganno. Imperocche preso essendo da desiderio di mirare codesta Niobe , salito che fu sul monte Sipilo , e condottosi al luogo dell* apparizione, null’altro vide che scoscese rupi, le quali (1) Puo anche vedersi 1 ' interpretazione che ha dato il Bianchini alia favola di Tantalo e di Niobe. 1 st. univ. dec. IV pag. 491. ( 2 ) Tocvtyiv tvjv N*o/3vjy xoa avzog ndo'j avsXSrew zg rev 2ifluXov to opog • ij & 7tXvj7J5V psy TOtpa y.ui xpvjpvog zgtvj > ovdsv Tcxpcvu. o/Tjixa. n aps^opsyoj yvvouxog , outs ocXXcog > outs Ttiv^ovarig * ci os ys nopocozzpo) "ysvoio , dsoavtpupsvvjv doing op ay xm xicrvj^vj: ‘jfuvctfKOC, Paus, Attic, lib. 1 cap. 21. ( 2§7 ) poi mirate la lungi fornivano la visione. Non raolto dissimile da questo e il racconto di Euslazio ne’ co- menti a Dionisio Periegeta (i). Per le quali cose par- mi piu yerisimile, che da qui procedesse la favola della metamorfosi; alia quale quantunque fino dagli antichi tempi non venisse da alcuni dato fede , come si puo cavare dai frammenti di Filemone (2) , pure tanto si divulgo , e tanto in ogni eta se n’ e rinnovellata la memoria , che anche al di d’oggi il vario effetto che nasce dal modo , con cui si spande la luce sopra certe baize del Sipilo , chiamasi comunemente Pim- magine di Niobe ( 3 ). Molto piu pero di tutte codeste ( 1 ) rwwv axpwTvjpov £Jv»ai cppvyiov ectxog ywawsia Ttpoaanu rmg nop pm octpseryxoffiv , dg cu vdmp asvvxov xarccppzc 7 cnzp 0 (xvSog scg daxpvw avro{j.ZTz£zi tyj Nm/3vj. Eustath. ad Dionys. Perieg. pag. 2 3. ( 2 ) . . . . AOov [xzv ty]v Nco/3yjv , zvog Qzovg , Oods tot 1 2 3 znztaSyv , cvdz vuv nzia^y]aoy.xc Qg tout 1 zyzvzr 0 Philemon. Frag. Grotii et Joan. Cler. pag. - Eustath. ad Horn. Iliad. Q pag. 1 368 lin. 5. (3) ,, Je definis le fantome que l’on croit apercevoir , l’effet d’une certaine portion de lumiere et d’ombre frappant sur une partie du Sipylus, et qui doit etre regardee dans un point de vue donne ,, Chandler, Voyage* dans 1’Asie mineure tom. II chap. 79 . 36 * / ( 288 ) foie immagino clie abbiano servito a non farla oblia- re le opere di valenti arlefici, che impresero a ri- trarla. Plinio (i) sta in forse se da Prassitele o da Scopa venisse condotta quella, che era nel tempio di Apollo Sosiano : ma siccome avverte opportunamenle il Botlari (2), par cbe a Prassitele si debba il merito di averla fatta rivivere, conforme viene espresso nell’ epigramma ( 3 ) : Ex (j.t 3scc tsv%xv h$G'j sx us hSoto Zwvjv lTpa^rrsXvjg sgmxXjy upyaczro Ex viva lapidem me dii fecere, sed ecce Praxiteles vivam me facit ex lapide ( 4 ) : - * . - . % ».» v» - Cv" #1. V 1 ' \ * • * A ( | ' e conforme quasi collo stesso concetto fa scritto da Ausonio ( 3 ) in tai versi : » Vivebam: sum facta silex, quae deinde polita » Praxitelis manibus , vivo iterum Niobe. v Reddidit artificis manus omnia, sed sine sensu. ?> Hunc ego , quum laesi numina , non habui. (1) Hist. nat. lib. XXXVI cap. 5 . (2) Mus. Capitol, tom. Ill pag. 87, ( 3 ) Anthol. lib. IV cap. 9. ( 4 ) Trad, del Grozio. ( 5 ) Epigram, heroic. 28. ( 289 ) Temo non avere trascorso di troppo nel parlare delle costei disavventure : imperocche , a dire quello che nella storia venae scolpito, sarebbe bastato di nar- rare il pianto ch’ ella era solita di fare sulla sepoltura de’ figliuoli. Pure perche sembra die ia certo modo abbiasi voluto accennare ai mali, che era ancora per patire , con quel volatile di sinistro augurio (i), die le sta al di sopra del capo sn di ua ranio di uno degli alberi ; cosi ho stimato di non fermarrai sola- mente a qnello che apparisee, ma anzi di discorrere, qaanto per me si poteva brevemente , sal rinianente degli altri suoi avveniaieati. Resta ora a spiegare chi sia l’altro, che sta mesto vicino al sepolcro a dirim- pelto della donna. Se questi fosse Anfione, credo sa¬ rebbe stato divisato del pari che nel bassorilievo della fronte , ia cui e sculto coa V armadura in dosso. Tal- che non inscorgendo ia lai segno verano di dignita re- gia , m’ avviserei che fosse ben altro il persoaaggio rappresentato. E cosi par che P artefice abbia inchi- nato piuttosto alia parte di quelli, che narravano essersi egli ucciso da se medesimo pel graye dolore della (i) Sebbene non possa rilevarsi dalla scultura qual sia particolarmente questo volatile, egli e certo che vi puo essere ravvisato alcuno di quelli menzionati da Plinio, Hist. nat. lib.X cap. 12 , siccome infausti e male augurati. Si veggano sopra di cio Robinson, Antiq. grec. tom. I chap. 1 5,,Divination par l’obser- vation des oiseaux,, e Jul. Caes. Bulenger. De augur, et ausp. lib. III pag. 338 seq. ( 290 ) morte de’ figliuoli (i), di quello che a credere ch* ei sopravvivesse a codesto infortunio, e venisse poi am- mazzato da Apollo, allora che s’era messo in ordine per espugnarne il tempio ( 2 ). Inoltre se si considerino attentamente le parole di Pausania (3) , che quando tutta la casa di Anfione rimase distrutta per la pesti- lenza , e Zeto infermatosi e venuto manco.a cagione della morte data al figliuolo di lui dalla stessa madre sua , fu da’ tebani trasferito il regno nella persona di Laio , par che se ne abbia a raccogliere che Anfione fosse colto dal contagio , e insieme coi figli perisse. Ond’ e che piu si confarebbe al raccoqto di Pausa- sania lo stimare che fosse Zeto quegli che sta in piedi incontro a Niobe. Alla quale opinione m’ induce primieramente il riflettere, che Pausania discorre dell’ ammorbare di lui come di cosa successa dopo la distru- zione della casa del fratello ; e quindi che niun altro de’tebani, per quanto e stato esposto di sopra, sarebbe andato a rattristarsi vicino alia donna, e alia sepoltu- ra de’ fanciulli. E qui s’aggiunga , se si vuole, il ve- stire dimesso di Zeto , e quel bastone rozzo e da pa- store su cui s’ appoggia , che siccome distintivo del ( 1 ) Ovid. Metamorph. lib. VI. ( 2 ) Hygin. cap. IX. (3) Boeot. lib. IX cap. 5. ( 291 ) vivere suo campestre gli viene altribuito (1). II che fu pure dinotato con un tirso nel farnoso gruppo , nel quale e scolpito col suo fratello AnGone in atto di legar Dirce alle corna di un toro (2). Prima di por Gne al ragionamento delle tre storie, di che viene ornato codesto avello , aggiungero ch’ elle souo la- yorate sul marmo di Carrara, e si ben conservate, che niun logoramento o roltura vi si osserva. Chi poi sia stato il maestro, che il disegno ne componesse , tor- nerebbe non dico malagevole , ma per avventnra an- che vano il ricercare. E quando si consider! che al dolto Fabroni, che cio s’ era ingegnato di fare per le statue di Firenze , tante animadversioni furono fatte dal Meugs ( 3 ) , in quelle sue lettere , ove per- ( 1 ) Che Zeto traesse vita da pastore si fa manifesto da Euripide fragm. ANTIOITH , e da Properzio lib. Ill i3. ( 2 ) Winckelmann, Monum. ined. pag.i i4- Trovasi in Apol- lodoro, lib. Ill, che Zeto e Anfione restassero morti dai dardi dei due iddii: ma oltre allavarieta che scorgesi negli scrittori circa queste cose , talche Gellio ebbe a chiainarla ,, mira et prope adeo ridicula:,, Apollodoro involge nella favola,e senza distinzione di tempo , quello che con piu verita e piii ordina- tamente narra Pausania: il die pare essere confermato da questa scultura, ov’ e messo Zeto macero e infievolito da quel dolore, che poi condusselo alia morte , e venne allora chiuso nello stesso monumento del fratello. (3) Mengs, Opere tom. II. ( 29 « ) fino ebbero a capitar male il Winckelmann e tutti gli antiquari, ai quali diessi il norae di alquanto visionari, conviene essere cauto in siffatte indagini , ed appa- garsi di mirar 1’ opera, e lodarla se ella e buona. Poco invero e scolpito nella terza area tav. Ill lett. F , che non sia stato dichiarato nel parlare di effigiamenti presso che sirnili a quesli , e de’ quali medesimamente furono adorni anclie altri marmi. Pure sia perche alcuni particolari in queste storie variano da quelli delle allre , sia perche il tutlo e ottima- mente conservato , e racchiuso in monumeuto di che pel passato non s’ aveva notizia , par che non debbasi irascurare di favellarne. E, siccome io dissi, di nuovi mali e di crudeli uccisioni da’ discendenti di Tan- talo operate s’ e qui proceduto a continuare il ricor- do , ponendo nel bassorilievo principale F atrocissima vendetta che fe Oresle della morte di Agamennone padre suo. Dubiterei forte che se questa scultura fosse stata prima di quelle de’ principi Giustiniani e Barbe- rini disolterrata, non avesse , pel modo con cui la storia vi fu espressa , condotto e il Bellori (i) e il Monlfaucon (2) e il Winckelmann (0) alia vera in- ( 1 ) Admir. ant. tab. LII chiama codesta storia ,, saevum et atrox facinus , ignotum facinus. ,, ( 2 ) Antiqu. expl. lom. IV , suppl. pi. i5, non da alcuna spiegazione, ma l’appella,, irruption sur.des gens, qui dorment.,, (3) Monum. ined. tav. r/ t 8 vi ravvisa ,, la morte di Agameji- none trucidato daEgisto ad istigazione di Clitennestra sua moglie.,, ( 293 ) terpretazione sua. Imperocche Io farie non yi slanno mica con aspelto di uomini che cerchino di nascori- dersi (i) , siccome nelle altre, ma si scagliano pin rab- biose che percosse ligri sopra di Oreste , e gli ayyen- tano al volto l’una un serpe, e l’altra un ardenle face, e sono immaginate per guisa da farie parere simili alle gorgorii (2), e con sembianti, che al dire di Escbilo, erano tali da non potersi noverare nefra gli dei, ne fra gli uomini ( 3 ). Inoltre quella parte della storia , che contiene il sepolcro di Agarnennone e lo spettro di lui ( 1 ) IVIontfaucon loc. cit. ( 2 ) Eschilo descrive le furie in questi versi: Au.aca 'fj'juuzg ycoycvcov fyMuyi-wzq you 7rs7iXvjxravv?//.svc« II vmocg dpaxovciv . Choephor. v. iol\o. (3) Eschilo Eumenid. v. 4 1 2 3 o-Ovidionella descrizione che fa di Tisifone la rappresenta quasi simile alle erinni qui scolpite: Nec mora. Tisiphone madefactam sanguine sumit Importuna facem, fluicloque cruore rubentem Induitur pallam , tortoque incingitur angue. Nexaque vipereis distendens brachia nodis Caesariem excussit: motae sonuere colubrae. Metam. IV v. 43 1 . V. Boettiger Dissertazione sulle furie. ( 294 ) che s’ affaccia in sulla soglia, quasi chiamalo a udire il lamento che da Oreste si faceva per la sua morte, ed affinche fosse presente e desse animo si a lui, e si a Pilade nella prossima loro impresa, e molto opportu- na a chiarire cio che colie altre figure siasi voluto significare. Nel dire quesle cose non inteiido di sce- mare per nulla la lode che aequistossi al sig. Arnoldo Heeren,allorche pel primo riusci aspiegare nel 1786 (1) come nella fronte del sarcofago Barberini, nel hassori- lievo Giustiniani (2),e in qucllo della villa Borghese ( 3 ) il parricidio di Oreste si rappresentasse. La qual lo¬ de io credo che piu. cliiara gli torni dall’ avere Ennio Quirino Visconti seguito l’interpretazione sua, e confer- mata come vcra e ben rispondente al subbietto , nel dichiarare quello stesso bassorilievo , che dal palazzo Barberini fu poi collocalo nel Vaticano ( 4 )* E molto meno intendo di soltrarre cosa alcuna all’ onore che procacciossi PEckbel ( 3 ) nel cogliere il vero senso di ( 1 ) Commentalio in opus cael. antiq. Mus. pio - clem. ( 2 ) Il bassorilievo sta di presente nel cortile del palazzo. (3) Ora nel museo di Parigi. V. Clarac Descript, des antiq. n. 388 pag. iG5. (4) Ennio Quirino Visconti,Museo pio - cleraentino tom. V pag. 42 . (5) Chiox de pierres gravees du cabinet de l’empereur a Vienne, tav. XX. ( ) un pari effigiamento inciso in una gemma della im- periale raccolta di Vienna. Nel discorrere della quale, due annidopo la pubblicazione dell’operelta dell’Heeren, s’abbatte a scorgervi la morte di Egisto e di C'ilen- nestra , senza cbe , per quanto anclie il Visconti (i) saviamente argomenta , gli fosse pervenuta a notizia la interpretazione dell’ alemanno scrittore. Ma anzi credo che per quest’urna, ove , oltre alle cose dette del bas- sorilievo principale, s' aggiungono ancbe sul copercbio varie sculture degli avvenimenti di Oreste , s’ abbia a tenere piuccbe mai per certa la seritenza deli’Heeren, e quella deU’Eckhel. Diro pertanto che essendo stato ucciso a tradimento Agamennone (2) , la moglie di lui Clitennestra , impadronitasi del regno di Argo , tolse in matrimonio Egisto , e gli die la signoria del rea- me , che col tradire e col mettere a morte il suo ma- rito s’ aveva usurpato. E perclie il figliuolo,cbe di Aga¬ mennone e di lei era nato , cresciuto cbe fosse in eta non avesse punito la madre ed Egisto delle loro enor- ( 1 ) Mus. pio - clem. tom. V pag. 43. ( 2 ) Aeschyl. Agamemn. et Choepli. • Sophoci.Electr. - Eu ripid. Orest, et Elcctr. - Senec. Agamemn. * ( 29 1 2 3 * * 6 ) mezze , cercarono di farlo morire (i). Ma riuscito es- sendo ad Eletlra di lui sorella di poterlo salvare (2), lo aveva ella mandato nella Focide a Strofio re degli or- comeni , perche quivi si educasse , e ia sicaro si stes- se dalle trame della madre e del padrigao. Talche per- venulo Oreste agii anni della giovinezza, andossene in Delfo per sapere dall’ oracolo quello che di lui fosse per avvenire : e allora per comandamento del nurae, yenuto clie fu in patria con Pilade suo amico , uccise la madre insieme con Egisto. Sebbcne in cio avess’egli ubbidito a quanto Apollo comandato gli aveva di fare, nulladimeno fu assalito subitamente dalle furie, che, come parricida , non cessavano di tormentarlo ( 3 ). Per la qual cosa ebbe ricorso ad Apollo , e nel tem- ( 1 ) Di Pilade che albergo die ad Oreste, Che Arsinoe rmtrice Di lutto. apporlatrice Dalla destra sottrasse della madre Che le voglie aveva pronte all’ atto here, Mentre la vita si toglieva al padre. Pindaro Pit. XI. ( 2 ) Ditte di Creta,VI 2 , narra che fosse salvato da Taltibio scudiere di Agamennone. (3) Aeschyl. Eumenid. - Eschilo fu il primo a rappresen- tare le furie coi serpi sul capo. Paus. Descr. grec. Attic. 28 . Nel coro della tragedia delle eumenidi si noveravano cinquanta persone tanto orribilmente divisate , che gli spettatori ne rima- sero. atterriti. ( 297 ) pio e presso 1’ altare di quella divinita s T ando a ri- coverare , pregando che gli desse aiuto , e da quelle angustie lo liberasse. Le furie allora,non avendo ardire d’ avvicinarsi a lui che in luogo sacro s' era rifuggito, si posero ivi in guardia cotanto da vicino, che Oreste non potesse levarsi di la, e uscir loro delle mani. E cosi stando, caddero in profondissimo sonno. Ma in quel punto stesso che era per iscampare dal messogli agguato, vennero deste dallo spetlro di Clitennestra , e nuova- mente si diedero a perseguitarlo. Ecco quanto nella fronte di questo avello e stato scolpito. Dal fin qui delto si fa manifesto, che piu fatti vi stiano uniti: i quali cosi disposti in un piano, ove non per gradi ma di tratto si scorgano, furono per avventura la cagione che insorger facessero, nel tentare di spiegarli , alcun che d’ ambiguita e d’ irabarazzo. Anzi cio che fece maravigliare anche 1’ interprete alemanno, dopo che n’ ebbe investigato il concetto , fu di scoprire che yi avessero diviso ( il che nel nostro marmo medesi- mamente vien praticato) quella parte di rappresen- tazione che contiene le furie addormeutate in pros- simita del tripode. Imperocche una di queste, invece di essere di costa , e stata collocata cosi dormente nel lato opposto. La ragione di cio viene moslrata opportunamente dal Visconti (i) T giudieando che sia (i) Loc. cit. ( 298 ) cio intervenuto dall’ esseryi stato copiato un qualche disegno clie avesse servito in ornamento di un’ ara, o di un piedislallo rotondo , e meglio ancora di una coppa. Sicche le figure stando in cerchio , non apporta confusione il percorrere da lino in altro caso della yita di qualcuno : poiche non lutto viene esposto alia vista in un punto solo. E d’ onde poi trasportare vo- lendone su di un piano le varie effigie , gli e assai facile di abbagliarsi nel dividere quello che va sepa- rato , o acconciaraente collocare cio clie unito dee rimanere. Chi slimasse clie il disegno fosse preso da una lazza , avrebbe prova di cio in molta parte di vasellamento etrusco , ove si veggono posti all’ intorno non uno,ma piii avvenimenti, clie ad una sola persona si riferiscono : come , per tacere di tante altre , e quella coppa in cui le figlie di Pelia per inganno di Medea menano alia morte il padre loro, tenendo per fermo di ridonargli la giovinezza : o come Taltra, clie serba le dipinture di Achille quando uccide Ettore , e quando uccide Mennone (1). Ed avrebbe a citare eziandio , in contrassegno del costume invalso appo gli anlicbi di fregiare i nappi di tetre e orribili storie, quella pregliiera che fa Anacreonte all’ artelice , pe > clie quello da lui allogatogli non contenga immagini cbe muovano a dolore. Oltre le quali cose gli stessi ( 1 ) Queste tazze sono al Vaticano. ( 299 ) casi di Oreste erano spesse fiale rappresentati sulle tazze e sui vasi, essendo state di gran valore quelle due lavorate da Zopiro , ove il giudizio ch’ egli ebbe a sostenere vi era effigiato (i), e rimanendo anche a’ di nostri nel palazzo Gorsini un vaso di argento con ciscllature d'argomento simile condotte d’attorno (2). Hayvi inoltre di quelle tazze, ove Oreste scontrasi in Elettra non lontano dal sepolcro di Agamennone ( 3 ). E credo mi discosterei assai dal proposito mio se numerare volessi tutte le stoviglie, die con belle e variate dipinture della brama ch’egli ebbe di ven- dicare lo sparso sangue del padre suo , e de' modi (1) Plin. Hist. nat. XXXIII , 12 . ( 2 ) Winckelmann Monum. ined. pag. 20 3 . - Raoul-Ro- chette Monum. ined. pag. 199 not. 3 , tieue per cosa certa cio die sospettava il Winckelmann, die il vaso di argento de’principi Corsini sia una copia delle due tazze sculte da Zopiro. Parmi piu sicuro il dire, che sia finora l’unico monuraento, in cui piu. ampiamente venga distesa la storia di questo giudizio , al quale Oreste fu sottoposto nell’areopago : imperocche gli altri effi- giarnenti, clie a cio fanno allusione , o sono espressi colla sola Pallade in atto di dare il suffragio , o appena con qualche altra figura. V. la corniola pubblicata dall’ Eckhel , Cboix de pierres gravees tav. XXI. I disegni di alcune lampade nel Bellori Lucern. 64. Il cameo posto nei Monum. ant. del Caylus pag. 2 o3 , e alcuni bassorilievi della galleria Giustiniani II, i 32 . ( 3 ) Etrusco museo cbiusino part. II pag. 196. ( 3 oo ) die vi tenne , sono state lino ad ora disotterrate (r). Ma per tornare d’ onde mi era diparlito, che piu fatti doe stiano net nostro bassorilievo raccolti , parmi do- vere avverlire che essendo stati primi i verseggiatori e gli scrittori delle tragedie a raccogliere le narrazioni di codesti eventi, e a ordinarle per servire alia scena, e ad abbellirle coll’ intervento degl’ iddii, furono poi seguiti dagli artefici , i quali certamente non imtna- ginarono ne che la rauuauza degli dei mostrasse di avere a cura il castigo di Egisto (2) , ne che Apollo desse oracoli affinche insieme coll’ usurpatore fosse pu- nita anche la donna ( 3 ), ne che Pallade assolvesse (1) Uno dei piu riguardevoli vasi e che rechi dipinte co- deste storie, si e quello del museo di Napoli: Millingen: Vases peints pi. XIV. Un altro di buoa disegno s appartiene al conte di Pourtales , e fu priraa pubblieato dal Maisonneuvre, e quindi dal Raoul - Rochette Mon. ined* pi. XXXI A. Vedesi Oreste assalito dalle furie in un vaso della raceolta di Hamil¬ ton tom. II , e in quello disegnato nell’ opera del Millingen, Vases grecs pi. XXIX n. 1. I casi di Oreste sono anche di- pinti in alcuni vasi della raceolta di Gargiulo tav. 55 , - di Lamberg , Laborde I. 8, - dell’ Hancarville II pag. 122 e 123 . V. il Millin , il Panofka, e 1 ’Inghirami Monum. etr. (2) Horn. Odyss. 1 . 35 . ( 3 ) Aeschyl. Coeph. v. 276 et seq. Eumenid. v. 597 - Euripid. Orest, v. 590 , et Electr. v. 1269. ( So i ) I’ uccisore nelP areopago (i). E per risfringerrni in poche parole, quell’apparato di soprannaturale in cui e inyolto 1’ indegno operare di Glitennestra, e la sfre- nata vendetta del figlio, credo che debbasi ripetere in buona parte dalle sceniclie rappresentazioni (2). Per cui mantenendosi viva la memoria delle azioni, cbe soventi volte dovevano essere unite colla gloria 0 colla faraa di queipopoli, erauopoi quelle cbe piu tornavano in grado della moltitudine tolte percio dagli arte- fici per fame argomento de’ loro lavori ( 3 ). Cosicche essendo in cio le opere dell’ arte succedute ai compo- nimenti de’tragici, e beii naturale che come in quelli (1) Aeschyl. Eumenid. v. 744* Questo giudizio avvenne ne.ll’ areopago allorche regnava in Atene Demofonte , siccomc si trae dal marrao fatto trasportare di Grecia in Inghilterra dal conte di Arundel. V. Notae in Aesch. Eum. Thom. Stanleii tom. II pag. 849. Bianchini, 1 st. univ. pag. 3 q 4 - A seconda dell’ iscrizione scolpita nel qui sopra citato marmo, Oreste fu accusato da Erigone figliuola di Egisto. (2) Eschilo fu il primo a far comparire sulla scena i fan- tasmi. Vita Aesch. edit. Robertelli apud Stanl. Basti citare la tragedia delle eumenidi per mostrare come le divinita fossero mischiate nella rappresentazione V. Euripid. Electr. et Iphig. in Taur., in fine. ( 3 ) Per tacere di altre veggasi come Eschilo nelle eume¬ nidi, ed Euripide nella Elettra, seppero trarre partito da’ casi degli Atridi per innalzare con lodi f areopago e gli ateniesi. 38 ( 302 ) s’ attendesse a porre insieme piu avvenimenti, cosi in queste si facesse (i). La scultura principale dell’avelio e pertanto divisa in tre storie. E per indicare il pro- cedimento loro, che pare distribuito in ordine di tempo, incomincero da quella che manca in tutti i detti basso- (i) In conferma del mio dire potrei allegare il racconto che fa Luciano , De domo pag, 909 , di una pittura nella quale era ritratta Clitennestra rnorta , e Oreste e Pilade sul punto di uccidere Egisto , e vi aggiunge che sembravagli averne il pittore tolta 1 * idea da Euripide e da Sofocle , che descris- sero uii’ immagine a questa simile : Ou r 0 apyzrvnov 0 •ypsqjsug Trap Ey pimdou >7 2 o(pvx).eov$ fiov&i [j.oi Xafizw. Oltre questa testimo' nianza e manifesto, che le storie di Oreste venissero condotte o coi colori o sul marmo , dopo che furono rappresentate sul tcatro : imperocche gli spettri, le furie e le allegorie de’numi, che vi stanno mischiale, sono immagini tutte de’poeti. Potreb- besi dunque sospettare che tali effigiamenti de’ casi di Oreste avessero cominciato dopo Eschilo, Sofocle ed Euripide, ovvero fra 1 ’ olimpiade 80 e la 93 : imperocche Eschilo, secondo l’o- pinione dcllo Stanley, Not. in Aeschyl. pag. 704, e del Barnes nella vita di Euripide, che s’ attengono ai marmi d’ Arundel , mori nel primo anno della olimpiade 80. Ed Euripide che visse nel tempo medesimo di Sofocle , anzi fu suo emulo , Athen. lib. XIII pag. 604 , mori nell’ olimpiade g 3 , come asserisce Suida. Il Winckelmann, Storia delle arti del disegno lib. V cap. 4 , inclina a credere che anche nelle opere dell’arte fossero osservate le regole poste da Sofocle sul teatro circa il numero delle persone. ( 3 o 3 ) rilievi, e che mostra 1 * ombra di Agamennone , la quale fassi air uscio del sepolcro, dinanzi a cui stanno Oreste e Pilade. Questo coraponimento non rassomiglia punlo agli altri che pur si scorgono dipinti sui vasi etru- schi : imperocche qui non e la tomba solamente , ma si apparisce lo spettro del principe; ne i giovani vi s’appressano mesti, ma pieni di baldanza e di fidu- cia. Ond’ e cbe non F arrivo loro in Argo , o il pianto , o F offerta della chioma che Oreste fece al padre (i) , ma si bene F ordita e F imminente yen- detla mi sembra di vedervi. E qui rappresentato il fine della scena (2), nella quale Oreste ed Elettra hanno chiamato F anima del padre perclie li soccorresse nel pericoloso cimento, ed hanno scongiurato la Terra 011- de permettesse a quell’ ombra di vedere la pugna (3) (1) Aeschyl. Coepli. in princ. - Sono varie le opinioni degli scrittori, se Oreste per venire in Argo si partisse dalla Focide o da Atene. Eustatb. ad Horn. Odyss. V. ( 2 ) 2s toi Xs-yw i-uy-yeyeu , noatp , ptkoiw Eya 5’ zxpSsyycuat xsxXaup.sva Iracrcg 5s mxyv.ocvcg srripfsSst A y.ovocv zg yuog Suv 5s ysvju izpog zySpovg Choeph. v. 454 et seqq. (3) Q -yStt 9 TTStTSjS STICTITSU COCt fJLOC/VJV. ( 3 o 4 ) elevando il capo dal suolo. Infatti alle loro preghiere sta ella per uscire dal sepolcro, involta coin’e in ara- pio panno che tutla la cuopre (i), eccetto il volto che per la lunga barba e per le sue fattezze raostra essere di uomo avanzato in eta (2). Ho avuto agio di osservare, che serbando ancora il bassorilievo non poche tracce di colore , gli occhi di Agaraennone sono dipinti di (1) Le ombre si solevano rappresentare cosi velate dagli antichi. Alleghero in esempio quella di Protesilao scolpita nel sarcofago dichiarato dal Visconti Mus. pio - clem. V 18. (2) Il sepolcro di Agaraennone era in Micene , come narra Pausania, Corinth. II 16. Anche nella Laconia vien fatta menzione di tin monumento di quel principe : ma esser dove- va una memoria soltanto. V. Nota 180 del Ciampi, tom. II pag. 317. A’di nostri alcuni lianno immaginato di scoprire questo sepolcro nel luogo ov* era Micene : il che puo riscontrarsi nell’itinerario di Parigi a Gerusalemme del signor de Chateau¬ briand tom. I. Il Dodwell , Classical and topograph, tour through Greece I , 286, par che sia d’ avviso che il monu¬ mento, appellato comunemente il tesoro di Atreo , dehba ri- putarsi il sepolcro di Agamennone. Le due citta poi di Argo e di Micene, che erano le principali del reame degli argivi, non istavano discoste 1’ una dall’ altra piu di circa cinquanta stadi: Cellar. Geogr. antiq-tom. I pag. 986. - Chandler, \ ojages en Grece tom. Ill chap. 55 . E per questa loro vicinanza as- serisce Strabone, Geogr. lib. VII, che da’poeti s’usasse scam- bievolmente or il nome dell’una, or quello dell’altra por di' notare la medesima citta. Cosi Euripide nell’ Ifigenia e nell’ ( 3 o 5 ) rosso : il che essendo anche adoperato nelle faci e nei capi de’ serpi delle furie , ho creduto che si volesse con cio dinotare lo sdegno clE egli aveva concetto con- tro gli uccisori suoi. Alla fine dello scambievole ecci- taraento all’ impresa e dell’ invocazione dello spirito del padre, che lo scultore ha qui messo in raodo che si vegga visibilraente avere accolto i voti de’ figli , Oreste ordina alia sorella di andare a provvedere che tutto sia custodito in guisa per entro della casa, che non abbiano impedimento i loro disegni (i) : ed egli con Pilade s’ inyia per cogliere alia sprovveduta Egisto , il quale poco dopo sopraggiunge e viene ammazzato. E questo e quanto dall’ artefice e stato rappresentato : iinperocche essendo gia partita Elettra , stanno i due giovani per iscostarsi dal mausoleo, rinnovellando la Oreste le da quando il nome di Argo, e quando quello di Mi- cene. Forse per cio tanto i greci quanto i Iatiui solevano ap~ pellarle in plurale. A1 tempo della guerra, che ebhero i ro- mani coi macedoni,rimanevano ancora alcune loro vestigia.Polyb. Excerpt, lib. XVI pag. y 3 ed. Vales. Fra le altre ruine di Mb cene, che duravano nell’eta di Pausania , egli descrive, Corinth, lib. II. 16 , la porta su cui stanno i lioni , la quale con parte delle mura esiste anche a’ di nostri. Specimens of antient sculpture. Lond. pag. 17:81; - W. Gell. itinerary of Greec. Argolis, Lond. 1810, p. 35 seq. pi. 8. g. 10. (1) V. 5 77 . ( 3 o 6 ) proraessa della vendetta che or sono pronti a cora- pire (i). Oreste e quegli che mostra desiderio mag- (i) Cio intervenne sette anni dopo la morte dl Agamen- none. Imperocche per l’autorita di Omero Odyss. lib. V, e di Yelleio Patercolo Hist. roin. I. i, Egisto tenuto die ebbe per soli sette anni il governo di Argo fu morto da Oreste. In Eusebio pero, Chronicor. Canon, lib. prior pag. i 32 ,si trova scritto die il suo regno durasse^ per diciassette anni. II che parmi che sia un errore dell’amanuense: primo, perche Sincello, citato nella notanum. i , ponendone la durata in cinque anni, si approssiina piu al computo di Yelleio e di Omero ; secon- do , perche lo scoliaste di Sofocle, neH’argomentc della trage- dia nell’ Elettra, narra che Oreste fosse nell'anno ventesimo dell’ eta sua quando uccise Egisto. Cosicclie se questi avesse regnato diciassette anni j Oreste ne avrebbe avuti trenta all' epoca di questa impresa ; essendo egli nato prima che Aga- raennone partisse alia volta di Troia , siccome si puo trarre manifestamente da Euripide nell’Oreste v. 377 e 378, in cui Menelao dice che, innanzi la partita dell’armata navale, lo aveva lasciato fauciullo in braccio di Clitennestra: e neU’Ifigenia in Taunde , quando la sorella si rammenta , che mcnata venen- do in Aulide per esservi sacrificata , egli era ancora in custo- dia della nutrice. Di piu, se Oreste visse novant’ anni , e ne regno settanta ( \ elleio Parter. loc. cit.) deesi tenere per piu accurato il novero degli anni di Omero e di Patercolo : e v’e ragione di credere che amanuense di Eusebio abbia per av- ventura errato nello scrivere il numero. L’ altro errore poi in- eorso nel comento di Pindaro, Pyth. XI 25 , che Oreste avesse ( 3o 7 ) giore di soddisfare al padre , e Pilade gli e alquanto indietro tenendo la spada nascosta di sotto la cla- mide: coa che viene indicato l’inganno clie dovevano usare coll’ usurpatore (i). Non saprei dire se la spada, che e gittata in terra, debbasi raccogliere da Oreste, o sia un'arme che spetti a quella furia dormente, la quale per quello cbe abbiarao discorso, e mal collocata da que- sta banda. I due giovani non hanno indosso cbe una clamide : e parmi cbe da que’ loro movimenti cavare in certo modo si possa un’ iinmagine dello spirito, con cui questa scena di Escbilo doveva essere rappresen- tata. Tornando poi all’ apparizione del fantasma di Agaraennone, e cio opportuno non solo alle parole cbe Escbilo fa proferire ad Oreste e ad Elettra, ma anclie a quelle di Euripide, il quale avvedutosi forse deirelfetto cbe nasceva dall’invocazione che il figlio fa dello spettro del padre onde vegga spargersi il sangue del suo nimico, tre anni allorche rimase orfano del padre, e stato corretto da Me- ziriac,Epistres d’Ovide tom. Il pag.257, inostrando che vi si debba leggere tredici. Per le quali cose par cbe sia provato, cbe Oreste fosse salvato da Elettra nell’eta di tredici anni, e tornasse a liberarlo dai mali trattamenti del padrigno in quella di venti.. Il Biancbini, 1 st. univer. dec. Ill pag. 4 01 ? annovera nel se- colo XXIX il regno che egli consegui in progresso in Argo e in Isparta. (1) Sofocle dice, cbe Oreste, per coinandamento dell’ora- colo, dovesse usare la frode e 1 ’ inganno nel condurre a ter- mine la sua impresa. ( 3 o 8 ) Io ha imitafo nell’Elettra (i). Ne stimerei discostarmi molto dal verisimile pensando che si nell’una, e si nell’ altra tragedia il morto principe si facesse comparire. Non mi dilunghero dalla spiegazione che , siccome ho dello , e stata data dall’Heeren per le due storie che ora seguono , le quali , quantunque avvenga di mirarle soventi volte ritratte , come ne* bassorilievi gia da me citati , e in un frammento del Valicano inciso ne’monumenti inediti del sigaor cavaliere Raoul- Rochette (2) , pure si per ialuni particolari espressi con migliori fogge, e si perche non sono ne logore ne spezzate in parte veruna , debbono aversi in ispezial conto. La prima adunque di queste due storie, la quale e quella congiunta all’ altra dell’ apparizione di Aga- mennone, contiene 1 ’ uccisione di Clitennestra e di Egisto. A riguardare la donna caduta supina e quasi nuda ( imperocche un panno solo le copre la parte inferiore del corpo), ben chiaro si ravvisa ch’ ella sia morta ( 3 ). Siccome dagli ocelli ancora aperti di Egisto, e dal menargli che fa Oreste un colpo di spada, si comprende che sebbene sia stato sospinto dal trono reale di Argo , e riversato in quello col capo in ter- (r) V. 677 et serj. (2) Tav. XXV nnm. 2. _( 3 ) Tanto I’Heeren quanto l’Eckhel sono d’avviso che Cli¬ tennestra sia stata effigiata col seno scoperto, affinche si dino- ( 3 og ) ra , pure non e morto ancora (i). Talche E artefice ha declinato per poco da Eschilo , che sembrami avere tasse con cio ch’ ella togliendone il velo porse suppliche al figlio , perche mirando il seno che lo aveva allattato, si mo- vesse a compassione, e non la uccidesse. Aeschyl. Coeph. v. 894. - Anlhol. Epigr. (1) In un bassorilievo, inciso nell’opera del museo pio- clementino tom. V lett. A, viene rappresentata, secondo la in- terpretazione di Ennio Quirino Visconti , la morte di Egisto. 11 cavaliere Raoul - Rochette, Mon. ined. pag. 147, stima che in questa scultura ( che e quella del palazzo Circi ) sia invece ritratta la morte di Agamennone. Una delle ragioni, per le quali il dotto archeologo francese segue altra sentenza da quella del Visconti, si e il vedere che Tassalito principe e rappresentato colla barba : il che dice egli non poter conve- nire ad Egisto. Quindi aggiunge che le armi, delle quali viene ornato il trono su cui siede, dichiarano che non possa essere quello dell’ usurpatore. A queste due obhiezioni si puo rispon- dere, che in questo nostro monumento mostrandosi la figura di Egisto con in viso la barba , ne deriva che sia stato sculto cosi non solo Agamennone, raa il suo oppressore eziandio.il trono poi stiinerei che fosse non quello di Egisto , ma quello del re di Argo che fu occupato da lui , siccome si trae da Eschilo Coeph. v. 569. Inoltre Agamennone fu ucciso in un convito, ove non sedevasi su di un troiao guarnito di armi. Seguendo nel bassorilievo , appellato de’ Circi , 1 ’ opinione del Visconti, rimane anche piu naturale lo scorgere una furia nella figura allegorica. 3s ( 310 ) piu d’ ogni altro fornito 1’ argomento qul sculto : per- che nella tragedia, di che piu volte abbiamo fatto men- zione (i) viene prima ferito Egisto e poi Clitennestra: il che medesimamente interviene nell’ Elettra di Euri- pide, il quale anzi conta questo avvenimenlo in mode vario dagli altri. Piuttosto adunque crederei che l’auto- re, che il funesto spettacolo ha disegnato, s’abbia tolto ad imitare Sofocle, il quale prima alia regina, quindi a colui, cui ella s’era sposata, fa incontrare la morte (2). E la ragione che lo movesse a cio fare potrebbe per avventura essere quella medesima che, v’ indusse quel dipintore di questi atroci fatti, che secondo ne dice Luciano ( 3 ), fu quella di allontanarsi da quanto v’era di scellerato, limitandosi a manifestarlo come atto gia compiuto. Non accade disputare che de’ due giovani non sia Oreste quegli, che mira a colpire lo straraaz- zato Egisto: laddove l’altro, che e Pilade, gli strappa la clamide di dosso , 0 sia che per cio voglia indicare che costui non sia degno da morire cogli ornamenti reali , ovvero perche denudandolo abbia Agamennone (x) Coeph. v. 890 et seq. (2) Elect.v. 1437.-Ditte di Creta VI. 3 , e della stessa opi- nione di Sofoele : imperoeche racconta che prima fosse trafitta Clitennestra, e quindi Egisto, il qualeessendo caduto in un ag- guato tesogli da Oreste , vi rimase morto. Leggendo Igino cap. CXIX par che fossero colti ambedue 1 2 3 ' » ( 3 ) De domo, pag. 909. • ( 3 .. ) a grado di mirare le ferite, e il sangue che ne spiccia(i). Hanno ambidue nella destra la spada sguaiaata , e Oreste nella sinistra tiene la guaina , siccorae appunto viene descritto da Escbilo. Quella vecchia che ha il capo coperto da un velo quadro e ripiegato all’ indietro (2), e che sta in atto d’ inorri- dire alia vista dello spaventoso speltacolo, e Gelissa la nutrice di Oreste ( 3 ). Varia poi e l’appellazione che dassi non solo a quello, che sta seduto in terra vicino al rnorto corpo della regina , ma anche al mobile che le toglie di sotto il capo ; iraperocche sono al- (1) Ho reputato d’interpretare cosi quest’atto di Pilade, piuttosto che seguire la spiegazione che vi ha dato I’Heeren, il quale stima che togliesse la veste dal corpo di Egisto per mostrarlo nudo agli spettatori; e vi sono stato indotto dal verso 477 della tragedia delle Coeph., ove dicendosi che Aga- mennone non mori convenientemente ad un re , fa presumere che si cercasse poi di oltraggiare anche 1’ uccisore di lui : e da quei versi della tragedia stessa, ne’quali si chiama l’ombra a mirare la pugna. (2) Ho fatto menzione di questa acconciatura del capo favellando della nutrice dei figli di Niobe. ( 3 ) La nutrice di Oreste vien chiamata Gelissa da Eschilo. Pindaro Tappella Arsinoe, e Ferecide, citato dal suo scoliaste, Laodamia. L’Eckhel crede ch’ ella non sia la nutrice di Ore¬ ste , ma si bene di Clitennestra. 39 * ( 312 ) • cuni di parere ch’egli sia il pedagogo di Oreste (i) , e che l’ara de’ numi sia cio che leva alquanto in alio per timore che non abbia a rimanere maccbiala dal sangue degli uccisi. Altri poi avvisa cbe sia uno de 1 2 3 4 servi, cbe accompagnarono Oreste nell’impresa (2) , e che abbia nelle mani, non un’ara, ma uno scabello cbe ba scansato dal corpo di Glitennestra , che attraver- sato vi giaceva sopra. A riguardare questo marrao v’ apparisce chiaramente la foggia di uno scabello ( 3 ): e se voglia attendersi alia reverenza che mostra Elettra pel pedagogo del fratello allor quando lo riconosce (4), vedrassi cbe sarebbe stato sconvenevole cbe posto si (1) Ouesti e il pedagogo, a cui Elettra aveva affidato il fratello. Sophocl. Electr. v. 1 365 , perche a Strofio che avea tolto in matrimonio Astioehe2 , o secondo altri Cindragora figlia di Atreo e sorella di Agamennone, il conducesse. Hygin, cap. CXVII. (2) Che Oreste avesse seco de’servi, vien detto da Eschilo Coeph. v. 710. Pare a Ditte di Greta, loc. cit., che venisse accompagnato da bande armate di ateniesi e di focesi: ma cio non e confermato- da verun altro scrittore. ( 3 ) Questa scultura, che non ha veruno acconciamento,mo¬ stra che il servo non levi in alto l*ara,che teneasi in casa, e che Eschilo Agam. v. 978 appella igxiow , ma uno scabello. ( 4 ) Xoccp ’ w nano ( rratspa 7a0 swpav ). Sophocl. Electr. v. 1377. ( 3.3 ) fosse a rappresentare codesta persona un giovine ve- stito da servo. Havvi in questo bassorilievo, del pari cbe negli altri che lo rassomigliano, il panno detto il peripelasma (i) , il quale viene cosi disteso alio indietro per indizio cbe il fatto intervenga in luogo cbiuso (2). E IuDgo questo panno s’inoltrano le furie ; anzi una di queste , il cbe e nuovo nel no¬ stro bassorilievo, lo lia gia trapassato, e s’ avanza fu- ribonda e ratta quanto mai su di Oreste, ed un serpe gli avvicina al volto, mentre la sua compagna, cbe e ancora al di la del drappo, fa il medesimo con una face ardente ( 3 ). Euripide nell’ Oreste ( 4 ) finge che il giovine non venisse travagliato dai rimorsi su- bito dopo il commesso delitto : ma nell’ Elettra ( 5 ) viene nell’ istante medesimo in gran dolore e in di- (1) Mus. pio-clem. V. 44* (2) L’ artefice con buon accorgiraento non ha messo Elet¬ tra nel luogo ove Egisto e Clitennestra furono aminazzati: im- perocche ella non poteva esservi presente, dovendo attendere alia custodia della casa. Aescbyl. Choeph. v. 5 76 , Euripid. Orest, v. 1218 , Soph. Elect, v. 1420. ( 3 ) Le furie sono appellate coll’ epiteto di r avvnstiocg da Sofocle, Aiax v. 853 , per indicare la speditezza con cui cami- nano per assalire i colpeveli. E cosi spedite c pronte nel corso sono qui messe dallo scultore. ( 4 ) Orest, v. 4°2. ( 5 ) Euripid. Electr. v. 1190. ( 3i4 ) sperazione. Eschilo poi (i) fa che le Erinni. gli si mo- strino, e lo aggravino di mali appena diyenuto reo della gravissima colpa di avere attentato ai giorni della madre. La qual cosa e stata qui effigiata: giac- che non si tosto e spirata la donna , ch’ ei cade in potere dei mostri (2). (1) Choepli. in fin. (2) In questi giorni mi e stato donato, con parzialissima cortesia dal signor principe di Canino, il disegno di uno spec- cliio di metallo cli’ egli ha trovato negli scavi ordinati nei se- polcri diVulci, Vi e incisa la storia di Oreste, che avendo af* ferrato pei capelli la madre , e gettatala quasi in terra e sul punto di ferirla. II giovanc ha il capo cinto dalla taenia, e l’ar- madura in dosso. Clitennestra ha lo stesso ornamento del capo, ed e vestita di una tunica con ivi sopra un peplo, del quale pero non si sveste come dice Euripide , Electr. v. 1206 , ma cade solamente in atto di supplicare il figlio. Dietro del quale vedesi una larva co’capelli irti e rizzati sulla fronte, e che stringe un serpe per mano scagliandosi piena di furore su di lui. Ad ogni figura e apposto il nome : talche vi si legge AOA^esn, CM0/WAVi0fl, e presso alia larva e incisa 1 ’ appellazione di Di sotto, d’onde si spicca l’intrec- ciamento di edere , che cinge la storia, e Oreste incalzato da un ferocissimo serpente da cui cerca difendersi colla spada, e sopra v’ e questa iscrizione BEl/q/VVV\ , che parmi potersi spiegare per uz vuv ; ossia una interiezione onde esortare Apollo a recargli soccorso. ( 3.5 ) Facendosi ora luogo a parlare della terza storia, egli e manifesto che vi stiano raccolti gli avvenimenti medesimi, che dauno principio alia tragedia delle Eu- menidi di Eschilo. Imperocche in quella rappresenta- zione, continuando a mettersi sulla scena quanto occor- se ad Oreste dopo ch’ ei fa assalito dalle furie, viene egli, cosi balestrato da quelle , a ricovrarsi nel tem- pio di Apollo , avendo le mani ancora lorde di san- gue , e brandendo una nuda spada. E cosi squallido e pien di mestizia avvicinatosi all’ara, s’appalesa alia sacerdotessa , cbe lo vede altresi circondato da orri- bilissime donne , ma addormentate tutte (t). E quan- do Apollo era per salvarlo da quel loro perseguita- mento, vengono elle deste dallo spettro di Clitennestra, che a vieppiu incrudelire contro del figlio le stimola. Or qui e sculto il tripode dell’ iddio, a cui Oreste era andato supplichevole (2), e dal quale egli sta in punto (1) Aeschyl. Eumenid. v. 4^ et sef I- (2) I tempi e le are degli iddii servivano di asilo ai col- pevoli. Euripid. Ion. v. i3i2. Non e ben cevto se la prima di codeste franchigie fosse quella cbe gli eraclidi posero in Atene , ovvero 1 ’ altra di Cadmo fondatore di Tebe. Furono pero levate via da Tiberio. ,, Abolevit et ius moremque asylo- rum quae usquam erant. Svet. Tib- XXXVII. ,, Qui e rap- presentato il tripode, e alquanto piu indietro e piu in basso parmi esservi 1’ per dinotare il luogo sacro del tempio di Delfo , $ £ 7 t c cj ncpocla [xzv avdpa 3so/Jtu<7>j.Aescbyl. Eumen. ( 3.6 ) di staccarsi, movendosi colla destra armata ancora del¬ la spada per fuggire, e tentare di passare occultamenle per mezzo delle sopite erinni , le quali stanno sedate 1’ ana quasi a pie del tripode , 1* altra dal canto op- posto , ma con errore dell’ artefice, siccorne abbiamo gia notato. Terrei in miglior conto 1 ’ avviso dell’ He- ren (i), che il ramuscello avviticchiato al tripode non fosse dell’ alloro , che al mime era consacrato , ma bensi quello di ulivo, che, secondo Eschilo (2), ebbe il reo nelle mani nell’ andare a supplicarlo , e che ora nel partirsene ha lasciato costi. Ne recar dee mara- v. 4 1* Del qual terapio, V. Iustin. Hist. lib. XXIV : e dell’ antra ov' era il tripode,Strab. Geogr. lib. IX. Dell’oracolo di Delfo, oltre Pausan. lib. X, e Diodor. Sic. lib. XVI, discor- rono copiosamente , Giulio Gesare Bulengero De oraculis ct vatibus lib. I; Robinson Antiq. Grecq. tom. I pag. 4 ° 9 : Chan¬ dler Voyage en Grece tom. Ill chap. G6 - Rrondsted Voyages. (1) Loc. cit. (2) Aeschyl. Clioeph. in tin , at Eumenid. v. 4 ^* Apollo avea purificato Oreste della contaminazione ond’ era macchiato per lo spargimento del sangue materno, $£ Eumenid. y. 576 9 e in cotali pnrgamenti usavasi un ram* di alloro , ovvero uno di ulivo. ,, Idem ter socios pura circumtulit unda , ,, Spargens rore levi , et ramo felicis olivae, ,, Lustravitque viros . . . Virg. Aeneid. VI 229. ( Si7 ) viglia il vedere eke le furie siano armale della bi- penae: imperocche davasi loro quest’ arrae, siecome a donne eke andassero in caccia de’ colpevoli per tor- mentarli. E per questa medesima allegoria tengono clle quegli usattini a’ piedi, che erano propri de’ cac- ciatori (i). Quanto fossero vagki gli artefici di rappre- sentare codesti fatti , puo dedursi dalle cose fin qui dette : e se o Pausania nel darne contezza della dipin- tura di Oreste eke uccide Egisto, e eke ornava un pic- ciolo tempio in Atene (2) , 0 Plinio nel far menzione della tayola dipinta da Teodoro ( 3 ) , alcuna cosa di quelle coraposizioni avessero narrato , avremmo per avventura la cognizione di altri particolari o di altri concetti, eke in siffalle rappresentazioni saranno stati senza dubbio seguiti. Avendo discorso de’bassorilievi scolpiti nella fronte dell’ avello , e tempo ormai che alcun poco v’ intrat- tenga su que’ due , eke stanno in su i fianchi. Havvi (c) Molte di queste Megere veggonsi scolpite suile urne etrusche: il die puo riscontrarsi nelle opere del Demstero, del Gori , e del Passeri. Gli etruschi posero soventi volte sulle arche de’ morti le storie di Oreste, siccome con isquisita dot- trina discorrono I’lnghirami Monum. etr. torn. I: ed il cavaliere Raoul-Rochette Monum. ined. (2) Paus. Descr. Gr. Attic. 1 22. ( 3 ) Plin. Hist. nat. XXXV. 11. 4-0 ( 318 ) in uno,Tav. Ill lett. H, una donna di viso crucciato,che regge una face colla man destra, e ha un serpe nella sinistra , la quale , a ben considerare cio che narrasi della Discordia, che con hruttissima faccia era rappre- sentata sulla cassa di Cipselo in mezzo a Ettore e Aiace(i), parmi che yoglia dinotare la schifosa im- magine di lei, che s’ appresti a versare il suo veleno nel petto di Oreste. E tanto piu nPinduco a credere che questa figura indicar voglia la Discordia , in quanto che da questa banda dee ravvisarsi ii cominciamento della funesta impresa ,, siccome nelP allra il fine , e la gia consumata vendetta si mira scolpita. Imperoc- che stansi di costa due ombre, Tav. Ill left. G , e fa- cilmente si giudicano per tali dal velo che dal capo scende a coprirne la persona tutta (2), le quali 1’ una vicino alP altra s’ avviano sconsolate in vista alle ripe (1) Paus. Elid. V. 19. Heyne Dissert, sulla cassa di Cipselo. La Discordia appellata E<3«g era effigiata sull’ egida di Pallade. Horn. Iliad. V. v. 74° > e sullo scudo di Achille. Horn. Iliad. XVIII. v. 535 . Omero stesso Iliad. IV v. 44 ° l’appella Epsg cx.[xoto') txiu.avioc* (2) Ho gia mostrato r parlando deljo spettro di Agaraen- none, come codeste larve di uomini solessero rappresentarsi ve- late. Secondo quello che avverte il Alillin discorrendo di un vaso della sua raccolta, I , 297, lo spirit© di Clitennestra che apparisce nella tragedia di Eschilo, Eumen. v. 93 e segg., era distinto da un veloj che lutto lo ammantava.. ( 3(9 ) dell’Ackerontc, ove il nocchiero in female sta per ap- prodare colla sua barca (1), onde levarle di la , e tra- giltarle al tartaro, che nell’altro lalo del flume a guisa di caverna e stato efflgiato. E queste due ombre sono quel¬ le di Egisto e di Clitennestra , che come furono uccisi insieme, e insieme sepolti (2) , cosi nel tempo mede- simo s’ e immaginato di farli trapassare alia dimora (1) Non e nuovo l’esservare Caronte dar de’remi nell’acqua, e avvicinare la barca alia ripa , onde accogliervi le anime, V. bassorilievo inciso nell’Admiranda num. 76. Credo pero che que- sta scultura sia la prima , che, senza poterne dubitare, recbi le ombre di Egisto e di Clitennestra. 11 Caronte e qui effi- giato quasi come lo descrive Virgilio Aeneid. VI v. 298: ,, Portilor has borrendus aquas et flumina servat ,, Terribili squalore Caron : cui plurima mento ,, Canities inculta iacet : stant lumina flamma : ,, Sordidus exhumeris nodo dependet amictus. ,, Ipse ratem conto subigit , velisque ininistrat, ,, Et ferruginea subvectat corpora cymba , ,, lam senior , sed cruda deo viridisque senectus. Molte cose sono state dette circa il Caronte dagli espositori delle urne etrusclie, cbe assai lungo sarebbe il riferire. (2) Euripide, Electr. v. 1276, facendo comparire Castore e Polluce, fra le altre cose cbe il primo predice ad Oreste, gli annuncia che il cadavere di Egisto sara seppellito dagli argivi, e quello di Clitennestra da Menelao e da Elena. Pausania poi. 4o * ( 320 ) delle anime. Molto avrei ad arrestarmi innanzi di giun- gere alia spiegazione delle tre storie , che in sul co- perchio dell’ avello stanno scolpite , se ordinatamente percorrere volessi tutto quello clie occorse ad Oreste dalla partita ch’ei fece di Argo, fino all’arrivo sno in Tauride : e molto piu a intrattenere v* avrei se ten- tassi di togliermi il difficile carico di seguire in que- ste cose piu la storia o ii verisimile , che la favola. Ma gran parte di queste sono rinchiuse nel discorso di Castore nel fine della tragedia dell’ Elettra , e in quello di Oreste nell’ atto IV dell’ Ifigenia in Tauri di Euripide ; altre raccolgonsi nell’ Oreste , nel quale componimento piu la storia che la narrazione favolosa e stata da Euripide serbata (i) ; altre da Eschilo (2), da Igino ( 3 ) , e da Pausania , il quale racconta che in Trezene fosse espiata la colpa di lui ( 4 ) ; che nella Corinth. II 16 , narra ch’ eglino avessero sepoltura alquanto fuori delle mura di Micene : imperocche non furono reputati degni di stare nella citta ove giaceva Agamennone. (1) Euripide era appellato il filosofo del teatro : Euseb. Praep. Evang. i\.nzi dicesi aver misehiato nelle sue tragedie le opinioni di Anassagora suo maestro: Casaubon. et Menag. in Diog. Laert. II 10. Apollo stesso lo giudico piu saggio di Sofocle : Zofog Sofoxhjg , Gcpcorzpcg y Evpmidyg, Suidas in voce Zccpcg. (2) Eumenid. ( 3 ) Cap. CX 1 X , et CXX. ( 4 ) Corinth. II ai. ( 321 ) via che da Megalopoli conduceva in Messenia, un rao- numento stesse in ricordo de’ raali suoi e della sua guarigione (i) , e che nell’ Areopago avesse innalzato un altare a Minerva Area dopo che vi fu assoluto (2). Fermandomi dunque a ragionare delle sculture poste in sulla fronte del coperchio deH’avello, Tav. Ill lett. F, diro che denotano gli ultimi travagli , che per comanda- mento dell’ oracolo di Delfo ebbe Oreste a sostenere , affine di liherarsi interamente da quanto per la morte della madre aveva fino allora patito. Eragli pertanto stato ingiunto di andare nel Chersoneso Taurico , che governavasi per Toante padre d’ Issipile , e quindi ra- pirne il siraulacro di Diana: il che pericolosissima cosa era ad imprendere per 1’ uso che avevano quei bar- bari di sacrificare alia dea gli stranieri , che nella (1) Arcad. VIII 34 . (2) Attic. I 28 - V. Ellanico Scliol. Euripid. ad Orest, v. i 643 , e il Meursio Areopag. cap. 10, sul giudizio che subi Oreste in Atene , e in qual modo ne uscisse salvo. Parmi essere all uopo di avvertire, che Demostene neU’orazione contro Ari* stocrate dice che i dodici dei sedettero nell’Areopago, e giu- dicarono della contesa fra Oreste e le furie. Credeasi adun- que che gli dei avessero giudieato in questo luogo innanzi all’ eta di Solone , che , secondo Plutarco , fu il primo che istituisse il senato dell’Areop&go. Circa 1 ’accusatore di Oreste sono varie le sentenze , perche altri vuole che fosse Tindaro, altri Erigone figlia di Egisto e di Clitennestra , ed altri le furie. ( 322 ) loro terra capitassero (i). Pure Oreste, avendo in cio per compagno 1 ’ amico suo Pilade , messa in pronto una nave andossene in quei luoghi , ne’ quali pero essen- do prestamente ravvisati si egli che il compagno per istranieri , furono da’ pastori presi e menati al re , che ad Ifigenia sacerdotessa di Diana (2) li fece con- durre, affinche alia dea li sacrificasse. Questo e l’argo- mento della prima delle tre storie, die guarniscono ilco- perchio : ed e quella posta nel mezzo , ov’ e ritratto Toante che in segno della dignita sua regia tiene lo scellro, e una lunga tunica. Evvi disegnata una porta per significare che fuori della citta fossero i prigioni dali ( 3 ) Di questo oracolo reso da A polio onde Oreste liherato venisse anche da quelle furie , che s’ ostinavano a tenerlo in travaglio, quantunque gli fosse stata rimessa la colpa nel giu- dizio dell’ Areopago , fanno menzione Tzetze in Lycophr. - Hy- gin. cap. GXX. - Euvipid. Iphig. in Taur. in princ. - e Cedreno spezialmente, che ne rende le medesime parole del nume. (2) Pindaro dice che Ifigenia fosse immolata sull’Euripo, Pith. XI. Variano pero le opinioni degli autori s’ ella fosse uccisa nel sacrificio, ovvero liherata dalla morte. V. Schol. Ly- cophron. 1 83 . Simonide avea composto uno scritto sugli avve- nimenti d’ Ifigenia, che e andato smarrito : Suidas, L’ opinione piu comune si e ch’ ella fosse salva, e condotta a Toante nella Tauride , e quivi eletta sacerdotessa di Diana. Hygin. cap. XCVIII, e le note nella ediz. Mythogr. Lat. 1681. Serv. Aen. II 116. ( 323 ) ad Ifigenla, i quali colie mani legate per di dietro (i) e solto la scorta di uno scita, le soao guidati dinanzi (2). Prima di procedere a parlare delle altre due storie, non debbo tacere di un vaso di Basilicata, su cui sono dise- gnati Oreste e Pilade condotti avanti alia sacerdotessa di Diana cosi presi e legati dagli sciti ( 3 ) : siccome in pari modo appariscono incatenati nel sarcofago Acco- ramboni ( 4 ). Nella seconda storia, cbe sta in sulla de- (1) Cosi medesiinamente vengono descritti da Euripide Iphig. in Taur. v. 47 °* veggasi anche Luciano, Toxar. in prine. (2) Oui gli sciti sono divisati coll’abito barbarieo ccjtxEjjpu 9 siccome di loro scrive Ovidio : ,, Pellibus et laxis arcent mala frigora bracis. ( 3 ) Raoul - Rochelte., Monum. ined. planch. XLI. ( 4 ) Winckelmann, Monum. ined. pag. 149. Millin , Galer. Mythol. CLI. 626. Oltre questo monumento dell’ arte roma- na , cbe rappresenti i fatti di Oreste nella Tauride, debbo an- noverare anche i due bassorilievi del palazzo Grimani pubbli- cati dal Millin, pi. Ill e IV. 5 il bassorilievo Alhani , Zoega bass. tom. II tav. LYI pag. 9; Guattani, Monum. ant. iried. anno 1786 novembre e diceinbre , e la pittura di Ercolano, cbe contiene Oreste cbe viene da IGgenia, riconosciuto, tom. I tav. II. II Winckelmann loc. cit. fa menzione anche di questi avvenimenti incisi in una gemma del museo Stoscb: Descr. des pier. gr. du cab. p. 387. Infra i vasi poi mi limitero a cita- re'quello recato dall’Hancarville torn. II pag. 123 , cbe rap- presenta Oreste legato sull’ara: poiche non posso persuadenni che 1 ’ altro effigiamento, dicbiarato nel tomo V pag. no, vo- glia indicare Oreste e Pilade in sul pun to di rapire 1 ’ altare. ( 324 ) stra , e il tempio , se non come lo descrive Euripide fprtificato da alte mura , cogli ornati de’ triglifi , e chiuso da porte di bronzo (i) , pure distinto per gui- sa da poterlo agevolmente ravvisare. Nel di fuori poi del tempio sorge 1’ ara accesa con ivi in terra alcun eke di vasellamento da servire al sacrificio. Che l’ara stesse al di fuori, lo dickiara lo stesso Euripide allorche pone sulla scena i due greci a speculare il modo di penetrare nel sacro edifizio e rapirne il simulacro , i quali s’avveggono altresl delEaltare , de’ miseri avanzi delie vittime , e del sangue da cui ogni cosa e brut- tata (a). Il fuoco acceso indica l’imminente sacrificio, nel quale, dopo che gli stranieri che vi s’ immolavano erano scannati, si facevano consumare dalle fiamme ( 3 ). (1) Iphig. in Taur. in princ. Ovidio, de Ponto lib. Ill epist. 2, descrive medesimamente questo tempio: ,, Est locus in Scythia, Tauros dixere priores , ,, Qui getica longe non ita distat humo. ; iy ij. _ 1 ()» " I• £) ° i r 111 v Al i! r i ^ ; j • • • • ,, Templa manent hodic , vastis innixa columnis, ,, Perque quater denos itur in ilia gradus. • .. * : 0nc(ntsi{aaiW II LI vs# (2) Se il Carli avesse veduto questo bassorilievo non avrebbe incolpato Euripide d 1 2 3 inavvertenza nel far visibile l’ara di Diana. Osserv. sulla Ifig. in Taur. vol. 17 pag. 349 * ( 3 ) Euripid. Iphig. in Taur. v. 626 e 11 25 .-Cassiodoro Var, V. 42 chiama questa Diana taurica avida di sangue umano, perche con umani sacrifizi credeyano che si rendesse benevola. ( 3 2 5 ) Or venendo alle persone che quivi sono raccolle , sembra che lo scultore abbia avuto in animo di copiare in marmo il riconoscimento d’ Ifigenla e d’Oreste, che Enripide ha posto neil’ atto quarto di quella tragedia. Imperocche i due prigioni s’ appressano sciolti all* al- tare , siccome gia divenuti sacri pel prossimo sacrifi- cio che di loro persone doveva essere offerto alia dea : e la sacerdotessa innanzi di procedere al sanguinoso rito, avendo appreso ch’ eglino fossero greci, avea di- visato di spedirne uno in Argo , affinche una sua let- tera ad Oreste recasse. E nel palesare a Pilade , che fu seel to per essere il messo , quello che la lettera contenesse , affinche, se per avventura andasse smar- rita , sapesse darne in voce la novella , si svela per quella stessa figlia di Agamennone che teneasi per sa- crificata in Aulide (i). Per la qual ccsa Pilade, adem- piendo in quel punto medesimo il suo messaggio col porgere il foglio ad Oreste, la conduce a scoprire che il prigione fosse il fratello di lei ( 2 ). Scorgesi adun- (1) Winckelmann loc. cit, ravvisa questa lettera nel bassori- lievo Accoramboni in quella tavoletta gittata a pie dell’ albero. (2) Non istimerei di seguire l’opinione di alcuni clie la nudita de’ due giovani sia segno dell’ imminente loro sacrificio : imperocche in questo marmo vien cio provato dall’ara ardente, e dai vasi sacri; ond’ e che veggendoli sempre effigiati o nudi, e presso che nudi in tutte le loro azioni qui rappresentate, ( 3*6 ) que Ifigenia vicino all’ ara in alto forse di udire Ie risposte de’ due giovani , che del loro essere la ren- devano eerta, ovvero di convenire con essoloro sul mo- do di fuggirsene e lornare in patria col simulacro della dea (i). II che argomentandosi che potesse loro venir fatto se Ifigenia riuscisse ad ingannare Toante col fargli credere che gli stranieri fossero macchiati di enorrae delitto , sicche avessero contaminato per- jfino il simulacro di Diana , a purgare ii quale e a render monde le vittime fosse mestieri lavarle nelle acque del mare , seppero si bene condurre queste lo¬ ro macchinazioni , che avuto agio di andare al lido, e Iungi dalle guardie che accompagnati gli avevano, fu loro facil cosa di scampare e di giungere alia nave, che armata era , e montarvi sopra colla statua della dea, nel cui rapimento era riposta la salute di Ore- crederei anzi che fosse cio un distintivo della greca scuola, d’onde queste opere derivano. (1) Nella dipintura di Ercolano, loc. cit., Oreste e vestito appunto per mostrare la malattia che lo consumava: della qual cosa non e indizio in questo marmo. In quanto al soldato scita che sta ael luogo ove Ifigenia riconosce il fratello, non parrebhe inverisimile il credere che vi fosse posto per segno, che essendo gia fra loro ordinato il modo di fuggirsene, deb- bano gli stranieri essere rimessi in catenef per venire eondotti alia marina. Euripid. Ipliig. in Taur. sle (1). Ma quantunque fosse bene ordita la frode, non pole tanto stare occulta che non s’ avvedessero gli sciti (i) Hygin. cap. CXX- Ovid, de Poato III 2. Dopo che fuggirono dalla Tauride , ed ebbero percorso vari luoghi, siccome racconta Cedreno , pervennero nella Siria , ove andati al tempio di Vesta, dall’oracolo stato gia indicato loro, e fatti quivi de’ sacrifizi, ebbe Oreste la tanto bramata sanita: Tzetze in Lycophr. Sail poi in tanto culto il simulacro di Diana tau- rica, che molti popoli si vantavano di ritenerlo, e infra gli al- tri quei di Comana e quei di Castabali , che dato le aveano il nome di Diana Perasia per significare che venuta fosse d’ oltre mare, Strab. Geogr. lib. XII. E cosi altre genti dell’ Asia s’ attribuivano similmente la gloria che stesse appo di loro: talche fra quelle, che percio contrastavano, vengono 110- verati da Pausania, Lacon. XVI, i cappadoci , e i lidii che avevano il tempio di Diana Anaitide. Gli ateniesi tenevano per fermo che 1 ’ immagine di Diana taurica fosse stata recata da Oreste in Brauronc : laonde Euripide, nella fine della tra- gedia dell’Ifigenia in Tauri, per allettarli fa comparire Pallade, che di deporla cola ne dia eomandamento ad Oreste. Ma Pau¬ sania, Lacon. XVI, rigetta le millanterie degli ateniesi, allegamlo buone ragioni in favore degli spartani, che riputavano che il simulacro di Diana Ortia , cli’eglino adoravano, fosse quel me- desimo, che ai barbari della Tauride era stato involato. Ne’ racconti delle peregrinazioni di Oreste trovasi pure ch’ egli approdasse in Sicilia, e vicino a Siracusa un tempio fabbri- casse in onore di Diana, e if simulacro, che della Tauride seco condotto aveva , vi collocasse , che dall’essere stato ehiuso in un fascio di legna , fu causa che si desse a Diana il nome di ( 328 ) della fuga : cosicche corsero ad assalire i greci nell 5 istante che stavano per imbarcarsi (i) II quale avve- nimento e condotto neirullimo riquadro, ma con alcu- na dissiraiglianza dal bassorilievo Accoramboui (2); per- che in quello apparisce prima Ifigenia che sta in mezzo a’ combattenti, e poscia in salvo sulla nave, cbe e prori- ia a salpare: laddove ella qui e sculta solamenle sulla nave, e de’ suoi compagni l’uno combatte ancora i bar* bari gia mezzo vinti, e 1’ altro si volge per salire sul ponle del vascello cbe galleggia sulle onde, cbe quivi sono dipinte di ceruleo. Deesi anche osservare la figura d’lfigenia cbe ha ii simulacro di Diana nelle mani e il capo coperto da un velo, percbe meglio da Toante si prestasse fede al mentito di lei consiglio di placare Fascelide : Donat. Virg. vita., Serv. Acn. II v. 116 , Hygin. cap. CGLXI. Pero alcuni scrittori latini narrano che il simu¬ lacro fosse deposto vicino alia citta di Aricia , e che le fos- sero sicrificati i servi: ma poi cambiate quelle micidiali offerte, ne teneva il sacerdozio un servo fuggiasco, finche da altro di simile condizione non fosse vinto in un combattimento. Solin. cap. VIII, Hygin. loc. cit., Serv. Aen. VI v. i 36 . Questa Diana dicevasi anche Dittinna ed Orsiloche. Serv. Aen. II v. 116. Ammian. XXII. (1) Euripid. Iphig. in Taur. in fin., Lucian. Toxar. (2) Winckelmann loc. cit. ( 32 g) la dea con suppliche e con voti (i). In quale maniera fossero condotti i due dipinti di Timoraaco nell’uno de’ quali dice Plinio (2) essere stato colorilo Oreste , nell’altro Ifigenia in Tauri, non puo indagarsi atteso il breve dire dello storico : cosicche non e possibile di scoprire se il disegno di queste sculture a quelli si assomigliasse. Egli e certo pero che essendo di per se stesse notabili , tutte quelle che de’ casi di Oreste ne danno , benclie partitamente , alcana memoria , sara viemmaggiormente a tenersi in pregio quest’ area , nella quale a preferenza delle allre che sono lino a noi pervenute , in si buon numero vi sono raccolti. Queste tre urne poi , siccome abbiamo avvertito, sono serbate al luogo loro, e poste ognuna sovra due mensole ornate di Atlanti in bassorilievo. Ma stante che i coperchi furono trovati alquanto mossi , dee credersi che, insieme a qualche doreria de’ defonti, sia stata rubata qualunque altra suppellettile, che stesse nel sepolcro. Imperoccbe, guardando suit 7 arco delf uscio, si veggono rimanervi alcuni ferri confitti nelle pietre, (i) Le preghiere solevansi fare col capo coperto: ,, Invocat deos immortales, ut sibi auxilium ferant, ,, Manibus puris , capite operto . . . Plaut. Amphit. V. I. 4 (i) 2 > (2) Hist. n&t. XXXV. 11. ( 33 o ) a’ quali dovevano stare appese le lampade (i). A chi spettasse questo monumento non si e potuto ancora indagare, poiche niuna iscrizione e apparsa raai nelio scavarvi ; ond’ e che mirando nell’ interno un incavo quadro , e sembrato ad alcuni che quivi stesse un’ iscrizione , che per essere incisa in sul bronzo sia stata rapita, Nell 7 impronta pero dei mattoni staccati dalla volfa apparisce il nome di Domizia Lucilla (;i), che in altri marchi di tal sorta vedesi medesimamente menzionato ( 3 ). E questa Domizia Lucilla o Calvilla fu madre delC imperatore Marco Aurelio ( 4 ). Cosicche rifleltendo che nell’ eta degli Antonini fosse invalso 1 ’ uso di lavorare ]e fronti degli avelli copiandovi le dipinture o le sculture, che in maggior fama fossero salile: e apparendo dalla maniera con cui le storie sono scolpite e la tomba e costruita, che siano opere condotte nel tempo sopradetto ; potrebbe il nome , che ne’ marchi de’ mattoni sta impresso, seryire a con- fermare viemmaggiormente questo giudizio. (1) Saccus sei’vus meus et Eutychia et Hirene ancillae meae omnes sub hac conJitione liberi sunto , ut monumento meo alternis mensibus lucernam accendant, et solemnia mortis peragant. Modestinus leg. 44 Maevia D. de manumissis teslam. (2) EX • PRE • DOM • LVCIL. ( 3 ) Nibby, Analisi della carta de’ dinlorni JiRoma tom. Ill pag. 726, ( 4 ) Iul. Capitol. M, Ant. Phil, in principio, et Casaubon, ad Capitolin. pag. 125. d \ f ■ ■ 'V-*- frEoat ?sr-£ Ms? 3 • - i / CBfTER