( GETTY CENTER LIBRARY DELLA ORIFICERIA ITALIANA DISCORSO AUGUSTO CASTELLANI. L jW ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA • ■) DELLA ORIFICERIA ITALIANA DISCORSO DI AUGUSTO CASTELLANI. •'vaj uVlfLP JVlA/ ^ ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA Via dei Crociferi ‘IT, 1S72. A MICHELANGELO • CAETANI CARO • E • VENERATO ■ MAESTRO QUESTE • BREVI• PAROLE INTORNO • 1/ OREFICERIA • ITALIANA CON • GRATO • ANIMO AUGUSTO ' CASTELLANI OFFERISCE / PARTE PRIMA. Digitized by thè Internet Archive in 2018 with funding from Getty Research Institute https://archive.org/details/dellaorificeriaiOOcast I. La nuova oreficeria surta in Roma è la per¬ fetta imitazione dei lavori antichi in oro, in ar¬ gento, in bronzo ed in gemme, disposti ed or¬ dinati secondo le età diverse dell’arte italiana ; per modo che dallo stile di ciascun lavoro o gioiello si riconosca a qual tempo esso debbasi riferire. Le ricerche dei più dotti archeologi non basta¬ rono insino a qui a sollevare il velo ond’ è celata Rprigine dei primi abitatori d’Italia. Noi dunque ci contenteremo solo ricordar di volo questo esser noto, aver essi avuto comune la culla con gli altri popoli d’Asia che di là migrarono in tutte le parti del mondo. La qual cosa ci è resa manifesta •così dall’appartenere le lingue italiche alla grande famiglia delle indo-europee, come dalla somiglianza ■dei monumenti, i cui avanzi si ritrovarono e si vanno tuttodì discoprendo in diverse e lontanis¬ sime contrade. 8 — Le mura pelasgiche, le tombe di Preneste, le piramidi egizie, le tombe di Tliarros in Sar¬ degna, le mine di Ninive, i templi indiani ed i giganteschi ruderi, clic in alcune parti del Mes¬ sico da non molto in qua si rinvennero, presen¬ tano al riguardante mirabile analogia di forme, di stile e di metodo nell’opera della costruzione. Onde ci è forza inferirne l’unità del genere umano, tutto disceso da una sola famiglia, e cresciuto in popoli e nazioni diverse che si distesero per vie differenti, molte delle quali resteranno sempre ignote, su la faccia del globo. Questa unità pri¬ mitiva ancor meglio che dai grandi monumenti ora viene confermata dai più minuti oggetti di oreficeria e di ceramica. I)i questa sorta lavori negli ultimi anni si rinvennero tanto a Preneste e nelle più antiche necropoli delle vetustissime città d’Italia, quanto fra le mine di Ninive, in Crimea (la Colchide antica), nella bassa Italia e nell’Egitto, contrade civili già al tempo di Omero. Di vero chi oggi non concede che in Oriente nascesse la civiltà? Solamente coloro i quali vogliono l’uomo nato ogni dove a guisa di fungo, ovvero lo fanno discendere dalla scinda. Noi ci teniamo alla tradizione vetusta; ma non è compito nostro indagare qui di che modo, nè in quali età diverse le stirpi umane si spandessero nei continenti e nelle isole più anticamente abitate. — 9 — II. Fin presso ai tempi nostri si è universalmente creduto che il primo popolo in Italia giunto ad un grado alto di civiltà fosse il popolo etrusco ; ma già la scoperta e lo studio delle mura così dette ciclopiche o pelasgiche, delle arginature dei fiumi nell’alta Italia, dei tumuli e di altri monumenti consimili, fecero supporre che innanzi allo splen¬ dore dell’Etruria un altro grande popolo fosse in Italia civile. Questa supposizione fu poi confermata e re¬ cata ad evidenza dalla scoperta di moltissimi utensili e ornamenti così in oro, in argento e in bronzo, come in ambra, in argilla, in avorio ed in vetro, i quali per la squisitezza del lavoro possono considerarsi di miglior gusto che non gli etruschi. Si domanderà forse da taluno quali prove possiam noi recare, che i gioielli e gli altri ar¬ nesi, de’quali teniamo discorso, non sieno etruschi, e si riferiscano ad una così grande antichità. Rispondiamo : 1 0 Che questi ornamenti e utensili non si trovano negli avanzi delle città, le quali gli antichi istorici asserirono essere state potenti e civili fra quelle della confederazione etrusca. 2° Che bensì si rinvengono nelle necropoli delle — 10 — antichissime città italiche, come Preneste, Cere, Clima e Ruvo, e nelle tombe che si scopersero a caso in parecchi altri siti della penisola nostra, le quali attestano essere ivi state città di cui s’ignora affatto l’origine, il nome, la storia e la po¬ tenza, ma non offrono caratteri di arte etnisca o greca. 3° Che di tai lavori si trovano non solamente in Italia, ma in molti altri paesi, specialmente in quelli posti su le sponde del Mediterraneo e del Mar Nero, come sarebbero la Crimea, la Fenicia e l’Egitto. 4° Che opere di tanta bellezza e somigliantissime rispetto al principio d’arte che le informa, rin¬ venendosi, come si è detto, non solo in Italia ma altresì nelle contrade sovra nominate, mostrano essere state prodotte da un popolo largamente sparso su le più felici coste marittime. In quella vece i lavori etruschi portano un carattere spe¬ ciale che non è comune ad altri popoli, nè si rin¬ vennero altrove che in Italia e nelle tombe di tali città, quali furono certamente soggette al¬ l’etnisca confederazione , perchè il nome di esse è rimasto celebre ancora nelle storie dei Ro¬ mani , a mo’ d’ esempio, Tarquinia, Videi e Chiusi. Come chiameremo noi il popolo di cui dopo tanti secoli si vanno adesso discoprendo così glo¬ riose vestigia ? — li — Potremmo chiamarlo pelasgo, concedendo molti che i Pelasgi abitarono e dominarono in Italia prima degli Etruschi ; ma perchè questo nome dà luogo a mille controversie non ancora riso- Iute, noi vogliamo piuttosto chiamarlo Tirreno : dappoiché senza dubbio quel popolo, il quale diede il nome al mare che bagna le sponde occidentali della penisola, doveva esser civile e potente. Alcuni confondono i Tirreni con gli Etruschi, e chiamano i bei lavori di cui discorriamo etrusco¬ arcaici; ma senza entrare in quest’altra disputa, che ci sembra oziosa, riteniamo il nostro nome di Tirreni, e non ci peritiamo risolutamente af¬ fermare essere stato quello di un popolo più an¬ tico e molto più largamente sparso in Italia e fuori d’Italia, che non fu il popolo etrusco. In ogni modo gli eruditi concedono oggi vo¬ lentieri l’Italia, avanti la romana, abbia avuto tre splendidissime civiltà, cioè quella che noi di¬ ciamo tirrena, l’etrusca e la greco-italica, pecu¬ liare alla Sicilia ed alla Magna-Grecia. O III. I Greci, volendo attribuirsi verso di noi il vanto di tesmofori, chiamarono barbari i prischi italiani ed asserirono che una mitologica progenie di eroi greci avea per la prima volta trapiantato in Ita- iia la civiltà, la quale era perciò tutta ellenica. Onde la storia, le arti e i costumi dei Tirreni, dei Siculi, degdi Umbri, degli Osci e degli Etru¬ schi furono posti in oblìo ; e questo non dispiacque ai Romani , perchè meglio fra le città rivali grandeggiasse Roma. Così col volger dei secoli si venne perdendo insino alla tradizione italica, e dei popoli primi¬ tivi non altro mantenne alcuna languida ri- cordanza che i sepolcri, i quali, rinvenuti e sca¬ vati di tempo in tempo, offersero agli sguardi curiosi dei tardi nepoti alcun vestigio del genio, della religione e delle costumanze degli scono¬ sciuti progenitori. IV. Anteriormente ai tre splendidi periodi di ci¬ viltà tirrenica, etnisca e italo-greca, di che ab¬ biamo toccato, ci restano indizi di un’ arte, per così dire, fanciullesca rispetto agli ornamenti mu¬ liebri e sacerdotali, alle armi, alla ceramica ed ai bronzi che si rinvengono in alcuni luoghi, dove probabilmente furono le più antiche abitazioni delle genti in Italia vissute. Le cose di cui fo cenno appartennero senza meno a popoli semi-barbari, come quelle che non mostrano veruna finezza nè artificio di arte; anzi — 13 fanno manifestamente vedere difetto, non che altro, degl’ istrumenti necessari a cotal sorta di lavori. Perciò ai tre periodi sunnominati che trascor¬ rono innanzi all’età della grandezza romana fa mestieri aggiungere un altro, il quale è primo in ordine di tempo ; onde si potranno disporre così : Periodo primo — Antichissimo » secondo — Tirreno » terzo — Etrusco » quarto — Italo-greco A questi va finalmente congiunto il quinto ed ultimo periodo dell’ arte antica, dico sempre quanto all’oreficeria, ai bronzi ed alla ceramica ; ed è il romano. Y. La barbarie, che per alcuni secoli durò in Europa appresso la caduta dell’ impero d’Occidente, spegnendo al tutto le antiche tradizioni, ha reso difficile il riconoscere quali, fra gli arnesi, utensili ed ornamenti degli abitanti del Lazio, fossero ve¬ ramente propri di questo o di quel secolo, lungo il tempo in che si svolge la storia del popolo latino. Nondimeno gli studii e le ricerche più re¬ centi dei dotti ci hanno fatto abili di sentenziare — 14 — che 1' oreficeria romana fu nel suo massimo splen¬ dore sotto gli Antonini. L’ arte che fioriva in Roma stessa al tempo della repubblica, era nei primordi etnisca e, dopo le guerre puniche, greco¬ italica, non già veramente romana. Ciò è chiara¬ mente dimostrato non meno dalle cose ritrovate nei colombari, nei sarcofagi di marmo e fra lo mine delle sontuose ville , che dalle escavazioni fatte a Pompeia, dove i pochi gioielli in oro i quali si rinvennero principalmente nella casa detta di Diomede, quantunque di lavoro inferiore agli etru¬ schi, ai tirreni ed agl’ italo-greci della Sicilia, por¬ tano tuttavia impresso lo stesso carattere ; ed altro non sono fuorché imitazioni rozze dell’arte più antica. Ma è da osservare che il periodo romano, o imperiale che voglia dirsi, quanto al principio ond’ era informato, si mostra inferiore a tutti gli altri antecedenti e fino ai lavori pompeiani di cui. abbiamo accennato qui sopra. VI. Quando un corpo si guasta, non uno ma tutti i principii e gli umori ond’ è informato si cor¬ rompono. Così venendo di più in più a dissolversi e ad approssimarsi all’ ultimo sfacimento il ro¬ mano imperio, si corrompeva sempre maggiormente — 15 — insieme al costume e alla virtù militare e civile ogni disciplina ed ogni esercizio di buone arti. Dal terzo al sesto secolo dell’ era volgare i lavori spettanti all’ arte di che discorriamo sono facilmente riconoscibili, perchè in essi molto più di valore ha la materia che 1’ opera dell’ artefice. E fu il tempo che si fecero anella, armille ed altri ornamenti in oro di peso gravissimo, anzi al tutto straordinario. Si riponea lo sfoggio della ricchezza nella quantità del metallo prezioso, non già nella finezza del lavoro e nell’ eleganza della forma. Per questa medesima cagione si ritrovarono pochi di tai gioielli nei secoli posteriori, essendo stati sempre avidamente cercati e rapiti dai bar¬ bari; i quali, venuti cento volte a correre e saccheg¬ giare le nostre terre, cento volte carichi di bot¬ tino si ritornarono nelle selve e su le montagne native. VII. I Cristiani della Chiesa primitiva, ancora glo¬ riosi e benedetti per la povertà loro e per l’ar¬ dore divino col quale esercitavano l’apostolato delle verità eterne e della umana libertà, non eb¬ bero modo nè desiderio alcuno di usare arredi e ornamenti d’oro e di gemme. Gli altari erano guerniti di terre cotte e di bronzi ; il pane eu- — 16 — caristico e le reliquie de’ martiri spesso eran chiuse nel cuoio e nelle bulle di rame; ed i pochi gio¬ ielli che si trovarono nelle catacombe, serbando nelle forme somiglianza con quelli del basso im¬ pero, sono così privi di ogni arte che si possono paragonare alle più rozze cose dell’età primitiva. Sopra cotali ornamenti erano per ordinario ru¬ vidamente incisi simboli cristiani , e forse le te¬ che, gli anelli e le fibule (poche in oro e in ar¬ gento, molte in rame e in bronzo) servivano ai fe¬ deli di riconoscimento nei giorni della persecu¬ zione e del pericolo. Vili. Lo stile orientale che da Bisanzio si propagò per tutto l’Occidente , portò sostanziali cangia¬ menti nelle arti di ogni maniera , e 1’ oreficeria italiana perde il suggello di che l’avea rivestita la tradizione antica. Ravenna fu centro della nuova scuola, e quando questa città venne scadendo sotto le dominazioni barbare, Venezia ne serbò il ca¬ rattere fino a tempi assai tardi. IX. Passato il millenario dalla nascita di Cristo e dissipati per sempre i timori che avea fatto sor- — 17 — gere la credenza di un prossimo finimondo, fon¬ data sopra vecchie profezie, gli animi si trovarono disposti a ripigliare con novello vigore 1’ uso, a dir così, della vita e la ricerca, il lavoro e lo studio di quelle cose che servono a farla o meno incre¬ sciosa o più allegra e dilettevole. Così le arti cominciarono, non dirò a ritornare in fiore, ma ad essere di nuovo coltivate, promet¬ tendo a se stesse più splendido avvenire. Ebbe allora nascimento l’oreficeria per gli ar¬ redi episcopali ed ecclesiastici, la quale, coltivata essenzialmente nei claustri, mescolò la tradizione antica con lo stile degli Arabi. Da ciò nacque un’ arte nuova, rozzissima e di gusto non buono, quantunque assai ricca e fastosa ne’ suoi medesimi primordi. Questa poi diede origine al risorgi¬ mento delle arti in Italia, o a meglio dire, fu quasi come la matrice che nel proprio seno teneva in¬ volta, non ancor viva e palpitante, un’arte migliore, come si vede nella palla d’oro di San Marco in Venezia, nei bei reliquiari di Colonia e di Aquis- grana ed in tutti gli arredi sacri. Poco sappiamo degli artefici di questa età, ma conosciamo che circa il 1200 fioriva un monaco, che si chiamò Teofilo, il quale scrisse un buon libro intorno al modo di lavorare i metalli pre¬ ziosi. La sua scuola fece a poco a poco avanzar l’arte della oreficeria, che si andò lentamente spo¬ gliando della rozzezza acquistata nei secoli di bar- — 18 — barie : insino a che nel secolo XV rifulse sotto nuovo aspetto pel valore di un’ altra scuola ita¬ liana, creatrice di non più veduti prodigi; a capo della quale furono Maso Finiguerra, il Caradosso e Benvenuto Celimi. X. I valenti maestri orafi nel secolo XV aveano affatto smarrito la tradizione delle scuole antiche, e non poteano aver sottocchio gli ori di Preneste, Vulci, Cervetri, Toscanella, Perugia e Chiusi, i quali erano tuttavia sepolti nelle tombe ignote de’ loro prischi possessori ; e però dilungandosi in¬ teramente dal vecchio stile italiano, e solo gui¬ dati dal loro proprio ingegno, fondarono una nuova maniera di operare in quest’arte, accordan¬ dola con le forme imitate dagli antichi monu¬ menti, sotto le quali risorgevano le arti sorelle. Fecero dunque studii ed usarono metodi al tutto diversi. Si valsero del getto, della cesellatura, del bulino, del niello e dei più svariati e vividi smalti, sicché le opere loro riuscirono vaghissime, dove, come in antico, la materia preziosa era vinta dal lavoro libero e spontaneo dell’artista, senza che punto ricordasse nè i disegni nè i metodi propri dell’antichità. — 19 — XI. Ma insin dal tempo di Michelangelo Buonarroti •cominciando a corrompersi la pittura, la scultura, e l’architettura, anche l’oreficeria seguitava lo stesso andazzo.Sul finire del secolo XVII essa era già in gran decadimento e perdeva ogni qualità e, direi così, ogni rimembranza di buon gusto sotto la funesta dominazione degli Austriaci e degli Spagnoli. I quali, come altresì fecero più tardi i Francesi, in¬ troducendo negli Stati da loro con la violenza sol¬ datesca sorretti le pessime leggi che oggi si dicono di protezione governativa , sottoposero l’esercizio del¬ l’arte a tirannica disciplina, fino ad arrivare alla bollazione coercitiva ; la quale dette all’oreficeria quel crollo che poi doveva, per così dire, annien¬ tarla. Infatti, essa venne peggiorando a mano a mano in tutto il secolo decimottavo. Sotto il primo impero napoleonico meritò non pure il dispregio ma la derisione per quella specie di romanismo al¬ lora dai francesi messo in voga, cioè dire, per la goffa imitazione dello stile architettonico ro¬ mano in opere d’arte. Così, perduto ogni carattere artistico, divenne fino a tempi nostri schiava della moda oltramon¬ tana, e si tramutò in solo e misero traffico: dal quale abbietto stato la fece risorgere dapprima più che altro il caso. — 20 — XII. Le scoperte di Ercolano, Clima e Pompei fin dai primi anni del secolo presente avean fatto nascere in molti ricchi stranieri il desiderio di aver copia delle cose ivi rinvenute, fra le quali massime degli ornamenti muliebri in oro, mera¬ vigliosi anche ai non intendenti per la finezza del lavoro comparato con la rozzezza dei gioielli francesi. Allora il napolitano Sarno pensò di trar guadagno dalla imitazione di quegli antichi orna¬ menti, e tanto bene riuscì al suo fine che molti altri orefici si posero all’opera stessa, abbando¬ nando la goffa maniera che prima usavano. Alcuni anni dopo, allorché i sepolcri di Cere, di Cervetri e di Yulci, renderono alla luce i te¬ sori quivi ascosi, in Poma per amore dell’arte an¬ tica il giovane Michelangelo Caetani, poi Duca di Sermoneta, e mio padre, che già da più anni eser¬ citava l’oreficeria, conferendo insieme i loro stridii, tentarono non pur d’imitare ma di copiare per¬ fettamente i lavori etruschi. Questo fu il cominciamento della nuova scuola romana, che dopo trent’ anni di non intermesse fatiche è giunta a riprodurre con estrema esattezza ogni maniera di ornamenti e lavori in oro e in gemme, tali quali erano propri non solo di uno ma di tutti — 21 — i menzionati periodi storici dell’arte italiana. I quali adunque, aggiungendo a quelli dell’ evo antico gli altri dell’ evo medio e moderno, vengono ad essere sette; cioè, oltre ai cinque già divisati: due seguenti: 1. — antichissimo 2. — tirreno 3. — etrusco 4. — italo-greco 5. — romano, 6. — del medio-evo 7. — del risorgimento. i PARTE SECONDA. Abbiamo per sommi capi tratteggiato la sto¬ ria dell’orifìceria in Italia, e l’abbiamo divisa in sette periodi. Rimane adesso che in questa se¬ conda parte diamo i caratteri generali di ciascu¬ no di essi, e nella terza specifichiamo le varie qua¬ lità degli ornamenti rispetto ai periodi dell’evo antico, note essendo abbastanza le varie forme e lo stile degli ornamenti nell’ evo medio e nel mo¬ derno. I. ORIFÌCERIA antichissima. La maggior parte degli ornamenti di questo periodo si rinvenne nei sepolcreti di Preneste, di Vejo e di Cere. Erano stati considerati sempre come tirreni od etruschi fin che non ne furono scoperti se non frammenti, ma si riconobbero di epoca anteriore — 26 — allorquando si trovarono in più grande quantità nelle tombe di Preneste e di Bologna. Generalmente si compongono di poco oro, più argento e moltissima ambra. Il lavoro dei metalli rozzissimo, e le forme si riferiscono agli usi pri¬ mitivi, poiché riproducono spesso quelle degli utensili più necessari e degli animali in mezzo a cui viveano gli uomini di età sì vetusta. Filiere di piccole asce veggonsi usate in qualità di collane; e in qualità di amuleti, scinde ed animali che ora non si rinvengono più nella fauna italiana : questi lavori sono in ambra. Alcune sottili piastre di oro tro¬ viamo impresse con linee rette e incrociate ; gio¬ irai etti aneli’essi di ambra talvolta frammischiati ad altri di oro e di argento infilzati a guisa dei nostri rosarii servivano pure per collane, ovvero come armille. Notevole è il fatto che oggetti simili a quei di Preneste si ritrovarono nella Norvegia, nella Svezia e nelle lande messicane. II. ORIFICERIA TIRRENA. I gioielli che appartengono al massimo splendo¬ re del periodo tirreno sono facili a riconoscere, per ciò che nei tempi posteriori mai più gii artefici non seppero riprodurre nè imitare la perfetta ele¬ ganza e bellezza delle forme, nè la squisita finezza del lavoro, che in essi ragionevolmente si ammi¬ rano. II rimbalzo a cesello, il disegno a minutissimi grani, le frastagliate e sottilissime cordelle, le figu¬ rine, gli smalti sull'oro si congiungono leggiadra¬ mente a corretto e puro disegno. Le parti sono in guisa mirabile armonizzate fra loro, e nel tutto l’eleganza non va mai scompagnata dalla semplicità. Se quegli ornamenti sono riguardati da presso, paiono stupendi per forbitezza ed artificio ; e ri¬ guardati da lungi, mostrano graziosa e bella l’unità del concetto, senza che nulla venga per nessun modo a interromperla nè a turbarla. ■ Ti pare che quegli antichi orafi avessero cogni¬ zione e facessero uso di agenti chimici e di stru¬ menti meccanici a noi del tutto sconosciuti, poiché essi aveano facoltà di separare e riunire l’oro in particelle regolari quasi ad occhio nudo impercet- — 28 — tibili; la maniera di lor filiere e saldature, anco esaminando sottilmente e con ogni sentimento d'arte quei lor finissimi lavori, resta per noi, come dire, un problema, il quale ci costringe a confessare die l’arte dell’orificeria conobbero ed esercitarono assai meglio di tutti gli artefici die loro sono infino ad oggi succeduti. Tale complesso di cose e la maniera in ge¬ nere dell’operare, insieme con la qualità speciale del disegno, dei meandri e il carattere proprio delle figurine, ci fanno abili di riconoscere e di senten¬ ziare con sicurezza die questi o quegli oggetti appartengono al periodo da noi chiamato tirreno. È cosa poi da recare grande meraviglia che il metodo stesso di operare, lo stesso principio di arte e, fino ad un certo punto, il carattere mede¬ simo di figure e di ornati si rinvenga nelle cose pertinenti all’ orificeria scavate fra le ruine di Ninive e ritrovate nei tumuli della Crimea, nelle piramidi d’Egitto e nelle tombe italiche. Notevole è pure che appresso gl’ Indiani anche oggidì si fanno lavori che hanno non poca somi¬ glianza con quelli antichi dei Tirreni; il disegno dei quali apparisce declinante verso il cattivo gusto, perchè esercitato da un popolo da lunga pezza decaduto; tuttavia ancora vi si scorge la stessa maniera di saldare sovrapponendo alle lastrine finissime di oro i granuli, le cordelle e gli smalti lavorati al modo che facevano i Tirreni. Sappiamo 29 — inoltre esservi ancora di presente colà artefici i quali facendo vita nomade, e portando seco ogni loro strumento, mettono bottega di orafo ovunque sia dato ad essi lavoro, e talora veggonsi accovac¬ ciati nella cucina o nel granaio di alcun ricco nababbo , dove con lunga pazienza, quale hanno da natura, adoperando un piccolo mantice e certi fer- ruzzi o cannucce, trasformano alquante monete d’oro, secondo patrie e vetuste tradizioni, in orna¬ menti cordellati e granulati, quali si è detto di sopra. L’ artefice indiano ci fa dunque per qualche guisa congetturare qual fosse il tirreno. Egli operò forse senza regole ferme, liberamente, aiutato da pochi strumenti, ma guidato dalla buona tradi¬ zione, e non semplice operaio, ma più veramente artista ingegnoso. OREFICERIA ETRUSCA. L’arte etnisca si distingue assai chiaramente dalla tirrena, dalla quale forse fu originata, per essere un corrompimento di quella; e potrebbe farsi tra f orificeria dei Tirreni e degli Etruschi quel paragone che si fa tra la pittura italiana del se¬ colo XY e quella dei secoli successivi che precede- rono il nostro. In fondo il metodo di lavorare è il medesimo, ma lo stile, diventato di poco buon gusto, è, come si direbbe oggidì, barocco. Non più i minutissimi granuli, le sottili cordelle e gli ele¬ ganti meandri, ma una maggior larghezza e ro¬ tondità di forme che tende manifestamente al falso ; la purità delle linee dà luogo all’artificiato e al ri¬ gonfio, v’è nel tutto insieme maggior appariscenza con assai minor fatica e finezza d’ esecuzione. L’orificeria etrusca si divide in due generi di¬ versi essenzialmente distinti, cioè ornamenti di uso e ornamenti funebri: i primi solidissimi e tali che il portarli non dovesse per lunghi anni guastarne punto la struttura, laddove i secondi sono d’ini¬ mitabile leggerezza. È maraviglioso l’osservare a qual grado di sottigliezza fossero giunti a battere l’oro per farne le corone di fava che cingevano la testa dei ricchi e nobili trapassati. — 31 In ambidue questi generi ai vetri colorati, alle ambre, all’ avorio, agli smalti usati nel pe¬ riodo antecedente, si veggono sostituite le granate, le prasine, gli onici e le corniole. Fra gli orna¬ menti di uso sono gli amuleti in agata in forma di scarabeo, gli anelli di oro assai gravi, le bulle a forma di lenti o di anfore ed anche di figure umane, le fìbule e le borchie grandissime, e i pen¬ denti da orecchie assai svariati nella forma e nella dimensione; in tutti i quali ornamenti è manifesta, come si è detto, la declinazione dell’arte e la gon¬ fiezza dello stile. I principali lavori di questo periodo ci provengono da Vulci, Chiusi, Orvieto, Tarquinia e Monteromano. La tradizione delTorifìceria etnisca si conservò in certa guisa fino a noi per essere stata conti¬ nuata attraverso i secoli negli Appennini centrali, ove i vezzi di oro e di argento, di che si fan belle le montanine, conservano in gran parte so¬ miglianza con lo stile di quegli antichi. I rozzi orefici di quelle remote contrade, separati del tutto dal commercio dei cittadini accolti nelle grandi metropoli, esclusi, per così dire, dal contatto delle cose moderne, fabbricano filze di margarite dorate, corone di fìlograna e pendenti di forme speciali con metodi che non dubito chiamare etruschi. Di questa sorta sono, non rispetto al carattere dello stile, ma sì al metodo di esecuzione, anche i lavori in fìlograna di Genova e di Malta. IV. OREFICERIA ITALO-GRECA. In questo periodo, che per ordine di tempo succede all’etrusco, noi ritroviamo il filo della tra¬ dizione tirrena che si era conservata in alcune parti della Magna-Grecia e nella Sicilia, dove non giun¬ sero le colonie nè la dominazione etnisca. Perciò i gioielli italo-greci sono nel disegno più eleganti assai degli etruschi e più somiglianti, come ab¬ biamo detto, ai tirreni, de’ quali sono certamente una derivazione. Ma la finezza del lavoro vi fa difetto e, cosa non inutile a ripetersi, tutti i tempi di nuova civiltà che succederono a quell’antichis¬ sima del popolo da noi chiamato, senza voler entrare in dispute archeologiche, tirreno, non ci hanno mai più. donati ornamenti in oro e in gemme di lavoro tanto squisito e perfetto. Ben pochi esempi dell’ orifìceria italo-greea giunsero fino a noi, poiché quella misera contrada fu prima devastata dagli Epiroti, poi dai Cartagi¬ nesi, appresso travolta dall’ insaziabile cupidigia de’ romani proconsoli, e finalmente saccheggiata dai Saraceni; non ebbero gl’italo-greci il costume degli ornamenti funebri nelle pompe mortuarie e nei sepolcri, nè sappiamo che per anco si siano b — 33 — ritrovate necropoli sicule simili a quelle dei Tir¬ reni e degli Etruschi. Tali sono le ragioni che rarissimi rendono i gioielli italo-greci; la massima parte dei quali è di presente nel museo napolitano. Le linee rette e le graziose curve onde si compongono i disegni di quegli ornamenti, sono formate da fili d’oro e da cordelle; non però vi si veggono riportati i minutissimi granuli e le fini vetrificazioni dell’arte arcaica. Ma il carattere dell’ oreficeria italo-greca ci è meglio conservato dalle statue, dalle monete e dalle dipinture della Magna-Grecia, che ci mo¬ strano figure ornate di collane bellissime, di ar- mille e pendenti da orecchie, il cui disegno è cer¬ tamente assai vago. Inoltre Plinio ci ha tramandato la descrizione di corone molto ricche in oro e perle appartenenti senza verun dubbio a questo periodo, poiché ci narra egli che trentatrè corone di perle furono portate, fra le altre spoglie, nel terzo trionfo di Pompeo dopo che ebbe riacquistata la Sicilia. V. ORIFICERIA ROMANA. Roma non ebbe arte romana se non dopo il secolo d’ Angusto. L’apogèo dell’arte romana rispetto all’orificeria, fu a tempo degli Antonini : e nondimeno a compa¬ razione dei gioielli tirreni, etruschi e della Magna- Grecia, quest'arte può dirsi rozza, benché sia molto ricca e fastosa per gran copia di oro e di gemme. La purezza dello stile vi fa totalmente difetto ; non più le leggiadre cordellature, le belle figurine e gli ornati a granuli finissimi, bensì il valore della materia è sempre superiore alla bellezza del la¬ voro. Armille di enorme peso in oro, collane con grossi zaffiri, smeraldi, ametiste, onici ed agate, anelli delle più svariate forme con intagli in agata, in vetri e sul metallo stesso, con iscrizioni e gemme; molti dei quali sono in ferro, in pretto rame, in argento o in bronzo rivestito di una lamina di oro : monete imperiali legate in pesanti monili, corone a grossi fogliami, gravi diademi, coppe, scettri, specchi ingemmati; tali erano gli utensili e gli adornamenti di questo periodo che volgeva neces¬ sariamente al goffo e al grossolano, fino a spegnersi nel più bastardo stile orientale. VI. ORIFICERIA. DEL MEDIO EVO. Dal sesto all’undecimo secolo corse in Italia quell’evo, in che, spentala civiltà latina, dominò la più scura barbarie fino al risorgimento della civiltà nuova e moderna, ingenerata dalla libertà dei Co¬ muni. Ogni avanzo di tradizione romana rispetto ai- fi arte era smarrito; gli artefici nostri furono con¬ tenti a fabbricar rozzi utensili in bronzo ed in rame, o tutto al più ornamenti di servi in qualche vile metallo rivestito esteriormente con lamine di ar¬ gento o di oro. Fecero essi ancora teche di argento e di bronzo con rozzi lavori di smalto ; fìbule ed aghi crinali pure di vile materia; ma in così fatti ornamenti fi arte loro si dimostra affatto bambina e da uguagliarsi a quella del periodo anteriore al tirreno, che abbiamo chiamato antichissimo. Ciononostante fiorificeria era in Italia eserci¬ tata, per coloro che tenevano i gradi più alti nel- l’ordinamento feudale del tempo, da artefici, il più, venuti di Grecia e di Oriente, i quali, recando fra noi fi arte ancora esercitata nella imperiale Bisanzio, furono cagione che a quella si desse il nome di bizantina. -se- ll carattere di tale arte, che tiene del more¬ sco e del greco tralignato, è noto pei monumenti che di essa ci rimangono. E poiché rispetto al- l’Italia potea considerarsi come forestiera, veg- giamo non aver qui avuto vita propria, ma esservi portata e trapiantata dalle dominazioni straniere. Risplendè quindi in due tempi dell’ evo di cui si discorre fra loro diversi e lontani, cioè primiera¬ mente nell’ottavo secolo a Ravenna per cagione dell’esarcato, altrove ricondottavi forse dalla pre¬ ponderanza de’ Carolingi, cui l’aveano insegnata nel tempo delle loro conquiste i Saraceni, e dalla potenza degli Arabi nella Spagna e nella Sicilia. In secondo luogo nel secolo undecimo per cagione delle crociate, e altresì pel commercio e le conquiste delle repubbliche di Genova e di Venezia in Oriente. Ma h apogèo di quest’ arte bizantina in Italia fu senza meno il tempo dell’esarcato, cioè massime, come si è detto, l’ottavo secolo. Dai musaici delle chiese di Ravenna, di Ve¬ nezia, della Sicilia, e di Roma si può rilevare come lo stile bizantino fosse insieme ricchissimo, fasto¬ sissimo e non privo di una certa eleganza. Nelle immagini sacre (alcune delle quali, piuttosto che vergini, sante martiri e Madonne, erano forse ri¬ tratti di principesse o donne di alto affare, po¬ tenti presso i papi o i re d’allora) si scorge grande splendore di vestimenti e di gioielli muliebri; i quali veggiamo in tutto simili a quelli eseguiti — 37 — contemporaneamente e che per ventura rimasero sino ad oggi intatti nel paludamento imperiale di Carlo Magno, conservato ad Aquisgrana e nelle corone votive scoperte a Guarrazar ed ora custo¬ dite a Cluny. Da quanto si è detto può chiaramente inten¬ dersi come l’orificeria nel medio evo fosse in due modi assai diversi esercitata: l’uno paesano e bar¬ baro che comincia con la corruzione dell’ arte ro¬ mana e diventando ognora più rozzo, cessa al tutto df essere arte e diventa grossolano mestiero : l’altro forestiero, che prese il nome di bizantino, perchè da Bisanzio venivano principalmente gli artefici che in Italia lo recarono, e che sebbene non rag¬ giunga il pregio artistico dei lavori antichi, non¬ dimeno potè nel duodecimo secolo dar, come dire, un punto di partenza agli artefici nostri per ini¬ ziare l’orificeria del Risorgimento. I lavori bizantini adunque dell’ ottavo e dei- fi undecimo secolo sono fra loro somigliantissimi, sebbene questi ultimi alquanto inferiori a quei primi ; il che dimostra che la parabola dell’ arte bizantina volgeva al basso, quando lo spirito nuovo italiano da lei movendo, ma pigliando altro indi¬ rizzo, la fece al tutto perire. Nei gioielli che ad essa appartengono e negli ornamenti delle vesti, nei reliquiari, negli indumenti sacri e nelle pale d’altare (tra le quali è celebre quella di S. Marco in Venezia), si vede come fosse in uso grande sfarzo di gemme e come il disegno fosse per lo più vago, sempre ingegnoso e di carattere chiaramente orien¬ tale, ma bizzarro e privo di purità e correttezza rare vi sono le cordellature ; le figure e le inci¬ sioni vi mancano affatto. Il tutto insieme è di gusto tra barbarico ed elegante, e ci rammenta i costumi arabi e il tempo della cavalleria. VII. ORIFICERIA DEL RISORGIMEMTO. L’orifìceria del Risorgimento comincia con Teo- filo. La scuola da cui egli prese le mosse fu quella dei chiostri, i quali, come separati dal mondo cir¬ costante, aveano serbato molti segreti della ci¬ viltà latina e alcune forme tradizionali. Nondimeno un principio nuovo, quello dell’arte chiamata go¬ tica e a cui forse presso di noi meglio sarebbe dare il nome di longobarda, informando tutte le altre arti rinascenti, diè anche speciale carattere alla orifìceria, in principal modo rispetto al di¬ segno. Sotto questa nuova forma adunque appar¬ vero gli smalti incastrati, le cesellature a sbalzo, l’incisione e i lavori di niello. Il fasto chiesastico e la pietà dei fedeli fece sì che gli orafi da principio si dessero interamente agli utensili ed ornamenti sacri. L’oro e l’argento erano scarsi; però più spesso che in questi metalli facevano essi in bronzo reliquiari, incensieri, croci, calici e candelabri; ma con tale accuratezza e abi¬ lità di mano, con tanto gusto d’ invenzione da chia¬ ramente dimostrare la verità di quell’ asserto, che ne’bei tempi dell’arte più si guarda e si pregia l’es- quisito lavoro che non la preziosità della materia. — 40 — A mano a mano clie le industrie e i commerci venivano crescendo, e maggior potenza acquista¬ vano gli Stati diversi onde si componeva l’Italia, con la ricchezza delle grandi famiglie nelle Re¬ pubbliche e con lo splendore delle Corti nei Du¬ cati, nei Marchesati e nelle Monarchie, 1’ orificeria ebbe campo ad esercitarsi in molti e diversi modi, adoperando l’oro, 1’ argento e le gemme, princi¬ palmente nelle vesti e negli ornamenti femminili quanto si richiedeva non pure alla eleganza, ma sì anche alla magnificenza ed al fasto. Così ella prese, come si dice, maggior sviluppo, ora segui¬ tando lo stesso principio d’ arte da cui fu origi¬ nata nei primi tempi del Risorgimento, ora mo¬ dificandolo ed innestando all’arte nuova la imita¬ zione dell’antica. Perciocché sulla fine del secolo XIV e per tutto il XV si andarono scoprendo infinito numero di statue, sepolcri e monumenti di ogni maniera spettanti all’ antichità romana, i quali, avendo di quella innamorato i letterati e gli ar¬ tisti, così nelle arti del disegno come nelle let¬ tere, furono cagione di quel secondo periodo del Risorgimento italiano, il quale più propriamente si chiamò Rinascenza. Sorsero in questo periodo Maso Finiguerra e Benvenuto Celimi, il quale ultimo, più grande che tutti gli altri orafi del suo tempo, impresse ai- fi orificeria quel carattere che si dice ancora cel- linesco. nè importa qui descriverlo per essere a tutti — 41 — conosciutissimo. Perciò noteremo solo che con lui e con gli altri artefici del cinquecento, l’arte di cui teniamo discorso imitò e riprodusse in pic- ciole proporzioni le linee, gli ornati, le figure e tutte le altre parti per quanto concede la diver¬ sità del fine, che sono proprie dell’architettura e della scultura, e che gli scultori e architetti stu¬ diavano allora su i monumenti romani del tempo degli Antonini; sebbene adattassero i loro conce- pimenti allo spirito nuovo, ai costumi e alla ci¬ viltà di quel secolo. Così molti scultori divennero anche orefici, e il Celimi da orefice diventò, come tutti sanno, scul¬ tore e fonditore di statue in bronzo. Essi non si attennero, circa la esecuzione dei lavori spettanti all’ orificeria, alla maniera tecnica degli antichi; ma con altri metodi fecero elegantissimi gioielli e utensili diversi, come, a mo’ d’esempio, quello del Celimi per la tavola del re di Francia, dove il 'pregio dell’invenzione va congiunto a impareg¬ giabile squisitezza di lavoro. Negli ornamenti mu¬ liebri e così ancora negli arredi sacri e nelle co¬ rone regali, i più graziosi meandri furono sbalzati a cesello; e figure di uomini, di animali, di sirene, di fauni, di cavalli marini e va dicendo, o incise o fuse, ovvero a basso e talvolta ad alto rilievo. Quindi le linee architettoniche cederono il luogo agli splendidi smalti che imitavano gli effetti della pittura ed ai finissimi arabeschi intagliati in oro. Ma tale rigoglioso fiorire di tutte le arti del disegno non ebbe lunga durata. 11 sacco di Roma e la presa di Firenze per le armi degl’imperiali, portando la guerra, la distruzione e la violenza soldatesca nelle due città, le quali se non sole erano le due stanze più care e propizie agli artefici di ogni ragione^ disperdendo quelle loro confraternite, accademie, ragunanze e brigate; mandò, per così dire, in esilio ancora l’arte medesima, o per lo manco il genio italiano e la perfetta eleganza delle scuole in cui s’era incarnato. Il predominio poli¬ tico degli Spagnoli recò in Italia la gonfiezza e l’ampollosità di quella nazione, e noi, non meno soggetti per fiacchezza e volontà nostra che per forza altrui, ripudiammo le tradizioni italiche per imitar l’abito e il carattere spagnolesco. Però in¬ sieme con le arti sorelle rapidamente 1’ orificeria declinò e decadde ; si fece frastagliata, manierata, presuntuosa, tanto più appariscente di prima quanto men bella e delicata, finché, peggiorando ognora di più, precipitò in quello stile che diciamo barocco : dopo questo perde fino al secolo presente valore e insino al nome di arte. Dal quale abbassamento, anzi annichilamento, dovea farla ri¬ sorgere in Roma la scoperta e lo studio dei gioielli più antichi e più finamente lavorati fra quelli delle molte civiltà, che sì maravigliosamente le une alle altre successero in questa nostra Italia. PARTE TERZA. v. Divisati i periodi in cui l’arte dell’ orificeria fiorì, e descritti i caratteri diversi di ciascuno di essi, veniamo a indicare gdi ornamenti vari die nei cinque periodi antichi furono in uso; poiché, siccome dicemmo, inutile crediamo far menzione dei gioielli usati nell’ evo-medio e moderno, di cui tanta copia si trova e son perciò noti abbastanza. I. CORONA. Fin da tempo immemorabile ebbe incomincia- mento il festevole e gaio costume d’intrecciar alle chiome tralci e fogliami; e la ghirlanda ( corona ) fu ornamento ambitissimo. Sembra che i Tirreni, come anche gli Etruschi, la dessero in premio delie geste eroiche, e quegli che la otteneva avesse il diritto di essere deposto nella tomba decorato della sua corona. — 46 Tanto nei tumuli tirreni quanto nelle tombe etnische, si ritrovano svariatissime corone di oro. Quelle tirrene sono ammirabili per finitezza di la¬ voro e per eleganza: gentili meandri, variopinti vetri e leggiadri smalti spesso vi fanno incompa¬ rabile effetto. Le corone etnische sono general¬ mente funerarie e notevoli per la sottigliezza dei- fi oro ond’ erano formate le foglie di edera, di fava, di quercia e di lauro. Sappiamo che i Greci ed i Romani portavano nelle feste e nei banchetti la ghirlanda, e la con¬ ferivano al sapere, al valor militare ed alla virtù civile. Essi usarono pure quella corona funerea che dai Romani si disse corona funebris o sepulcralis : questa era sempre formata da foglie a gruppi, di¬ sposte successivamente e prese da alcuna di quelle piante che simboleggiavano l’immortalità. I Romani ebbero diverse specie di corone e di varia forma pei fini diversi a cui le fecero servire ; quali per esempio la trionfale che era di alloro, la civica che era di quercia, la graminacea che si dava a chi primo avea oltrapassato il vallo nemico, e molte altre, noverandone gli eruditi insino a venti dissimili di nome, di grandezza e di forma. II. DIADEMA Si disse dai Greci diadema (chao\jp.a) una bianca zona di lana o di tela, usata anticamente per cingere la testa, e che i Romani chiamarono poi fascia alba. Diodoro Siculo e Plinio narrano che Bacco {Pater liber) la inventasse e la usasse qual rimedio contro il dolor di capo, eli’ egli provava per l’abuso del vino, ed in effetto tutte le antiche immagini di quella divinità hanno tale ornamento, il quale vediamo nondimeno comune anche ai simulacri di Giove e di altri Dei. Primi furono i re d’Oriente a portar la benda candida qual segno di lor dignità regale; e furon pur essi che incominciarono a guernirla di em¬ blemi, di oro, e di gemme: un aspide era sul dia¬ dema dei Faraoni egizi. I re di Persia la resero una fasciatura di tutto il capo, su cui girava una zona di oro e l’arricchirono di gemme: Alessandro il Macedone se ne adornò dopo la conquista. Gl’imperatori romani fino all’epoca degli An¬ tonini usarono la corona civica e la trionfale; ma in appresso veggiamo nelle monete con 1’ effìgie degl’imperatori, aver essi in capo il diadema con — 48 — punte rialzate, poco dissimile da quello che usa¬ rono i re barbari del medio-evo. Tra gli ornamenti muliebri greci e romani veg- giamo anche una sorta di diadema, che prese forse origine dalla fascia alba , ma che fu poi di forme svariate come si vede negl’idoli di Giunone e di Venere e nei ritratti delle imperatrici romane. III. SPILLONI. Gli spilloni (acus crinqles ) che erano fatti sì di metallo come di osso, di avorio e di legno, diversi per grandezza e per forme, servivano alle studiate acconciature nella istessa guisa che le forcinette ai nostri giorni. Fra gli adornamenti rinvenuti a Palestrina e Fervetri vi sono alcuni lunghi spilloni che sem¬ brano esser di quelli chiamati latinamente — cìi- scernicula. -—- Questi erano talvolta di bronzo, tale altra di osso o di avorio, e servivano a sostenere panni e veli, forse tali quali sono quelli usati anche oggi fra le montanine degli Appennini San- nitici. Acconciare i capelli con gli aghi crinali è co¬ stumanza conservata in Italia fino al presente; ed abbiamo prova della vetustà di tale uso in una bella capigliatura muliebre perfettamente accon¬ ciata che si rinvenne in una tomba romana e che ora si può vedere intatta nella Biblioteca vaticana. Marziale accennò allo spillone muliebre quando nell’epigramma « Tenuta ne madidi violent bombgcina crines Figas acus tortas sustineatque comas. » — 50 descrivea unti e profumati i capelli e rilegati e adorni di nastri. L’ago crinale fu, occorrendo, pure istrumento di punizione, poiché sappiamo che le donne romane adirandosi contro le schiave, quando non sapessero bene intrecciare i capelli o adattar loro le vesti- menta, con esso le pungevano e talor fino al sangue. IV. PENDENTI DA ORECCHIE. * Nelle contrade di Oriente tale ornamento era usato da ambo i sessi, e massimamente presso i Lidi, i Persiani, gli Assiri, i Libi ed i Cartaginesi. In Occidente esso fu portato più specialmente dalle donne. I Tirreni e gli Etruschi pare che si attenessero a questo costume piuttosto che a quello orientale. Plinio, parlando delle orecchie, dice: « nec in alia parte fceminis majus impenclium, — In Oriente quidem et viris aurum gestare eo loci decas existimatur. » Yarii autori asseriscono che Annibaie e Giu- gurta portarono gli orecchini. I Greci ed i Romani seguirono V esempio dei loro antenati, ed ancor dopo le conquiste di Oriente ritennero sempre gli orecchini qual vezzo mulie¬ bre, poiché nelle rappresentazioni degli usi che di loro ci pervennero nelle pitture e su i marmi, mai non si veggono figure di uomini con tale or¬ namento. I primi cristiani riprovarono l'usanza di mar¬ toriare le orecchie delle povere fanciulle quale avanzo di paganesimo, però non si conoscono orec¬ chini che fossero usati da essi. — 52 Ripreso il generale costume di portarli nella corruttèla dei tempi di mezzo, forse per cagione delle invasioni barbariche, sempre si mantenne poscia in Occidente. In ogni tempo i pendenti da orecchie furono soggetto di lavoro fino ed elegante, come quelli che porgono modo a grande varietà di forme e possono agevolmente arricchirsi di gemme preziose. Ed appunto per la maniera di lavorarli furono assai pregiati gli artefici tirreni éd etruschi, che in tal genere arrivarono alla maggior perfezione possibile, tanto pel disegno quanto per la esecu¬ zione. Fra gli adornamenti tirreni ed etruschi ve ne sono alcuni che furono creduti sempre orecchini, quantunque di forma diversa e di maggior gran¬ dezza che gli altri, cioè grossi, rotondi e senza un¬ cinetto; ma bene osservati, si scorge non esservi modo che possano regger alle orecchie forate ; par quindi invece che gli aggiustassero su le tempie presso all’ angolo della fronte facendoli pendere a guisa di orecchini da qualche treccetta di ca¬ pelli ; a conforto di tale opinione si potrebbe re¬ care che alcuni viaggiatori asseriscono le donne arabe usare anche oggi questa sorta di pendenti attaccati ai capelli su le tempie. Y. BULLA. Si chiamò dai Romani Bulla aurea un meda¬ glione di forma lenticulare in oro, sorretto da una fascia ripiegata, direi come in forma di piccola sella, pure di oro. Alcune volte la fascia è abbel¬ lita di cordelle, spesso è liscia, e ve ne sono al¬ cune che sulla lente hanno lettere sovrapposte, le quali formano o nomi o inscrizioni. La bulla d’oro era simbolo di nobiltà, portan¬ dola solo i patrizi: i plebei la usavano in bronzo ed in cuoio, e conteneva qualche amuleto. Quindi passò nell’uso dei primi cristiani che la fecero in metallo o in cuoio per custodia del pane eucari¬ stico o per conservarvi alcuna reliquia di martiri. La tradizione fece poi giungere insino a noi tal costume trasmutando la bulla in quelli che furono detti abitini di santi. Presso i Romani la bulla era lasciata dai gio¬ vinetti all’età di diciassette anni allorché prende¬ vano là toga, e spesso allora veniva consacrata agli iddìi lari o ad altra divinità. In quel giorno la fa¬ miglia solea fare gran festa con invito di congiunti e di amici: Plinio il giovane narra di aver assistito ad una di tali feste nelle sue lettere (IX. XVII). 54 — Non è dubbio che i Romani prendessero l’uso della bulla dagli Etruschi: si diceva da essi che primo Tarquinio prisco ne avesse fatto segno di nobiltà ornandone il collo dell’ adolescente suo figliuolo. Innumerevoli sono le bulle trovate nelle tombe tirrene e nelle etnische, come ne abbiamo prova certa in quelle che sappiamo rinvenute a Preneste, a Cere, a Vulci ed a Tarquinia. Nei vasi e nelle terre cotte etnische sono effigiate figure di ambo i sessi con più bulle appese al collo, spesso per un laccio solo, alcune volte in doppio ordine : la bella statuetta in bronzo la quale è ora al Vati¬ cano fa testimonio eh’ era usata dai giovinetti di Etruria per segno di nobiltà come dai Romani. Ma la maggior maraviglia di questi medaglioni è la varietà delle forme di quei che trovansi nelle tombe tirrene, poiché ve ne ha con teste umane in rilievo, con teste di animali, con ghiande, con¬ chiglie e lenti, alcuni di forme fantastiche ed altri a granuli finissimi; dal che si può con certezza raccogliere che furono anche ornamento muliebre prediletto in quella età vetustissima. VI. COLLANA. Presso le nazioni barbare e presso i popoli che ebbero più antica civiltà, quai furono gl’indiani, gli Egizi ed i Persiani, le collane si portarono dagli uomini come dalle donne. I Greci ed i Romani ne fecero più specialmente uso negli sponsali; le donne tirrene e le etrusche se ne adornarono con fasto orientale, e ce ne por¬ gono larga testimonianza quelle svariatissime che ci conservarono i loro sepolcreti. I Romani dissero monile baccatum quelle filze di margarite di oro, di pietre e di vetri, di che si abbellivano le abitatrici de’sette colli. Nelle antiche tombe e disegnate sulle meda¬ glie, sopra i vasi e sulle statue tirrene, etrusche e della bassa Italia, ritroviamo gran copia di tali ornamenti in forme ricchissime ed eleganti. VII. T OR QUA. È la torcjua ( torques ) un ornamento di oro for¬ mato o da un filo incavato a linee spirali a fog¬ gia di vite, oppure da un fascio di fili sottili rin- torti a spira sopra un altro filo che li sostiene, ed in ambo i casi, presenta la forma quasi di una cordicella fatta per cerchiare il collo : termina sem¬ pre o con due uncinetti di svariate forme, o con due semplici cappuccetti che sembrano quasi teste di chiodo. Della torqua fecero uso come segno di onore i Persiani, i Galli ed altre nazioni asiatiche e bo¬ reali. Essa era chiamata Tordi dai Brettoni e dagli antichi Irlandesi. Virgilio, descrivendo un ornamento che por¬ tavano i giovani Trojani, dice : «. In pectore summo Flexilis obtorti per collimi circulus auri. » I Romani conferivano la torqua a chi più si fosse coperto di gloria nelle battaglie, onde il nome di Torquato che assunsero molti di essi. Spesso rinvengonsi tombe di guerrieri su cui è scritto il numero delle torqùe guadagnate nelle vittorie, ri¬ portate sugli eserciti dei Celti e dei popoli orientali. — 57 — Non si deve credere che i Romani avessero dai Galli tale ornamento: se la statua così detta del Gladiatore morente, che ora si conserva nel Museo Capitolino, ci fa testimonianza che la torqua fu ornamento di alcuni popoli barbari, è certo che gli Etruschi altresì la usarono, come si vede in molte opere di plastica tra quelle che ci sono pervenute : e ciò è provato in più special modo dalla figura semigiacente in bronzo scavata nella necropoli di Perugia e dalle torque in oro del già Museo Campana rinvenute in Etruria. Vili. FIBULA. È questo un ornamento degli antichi popoli d’Italia, i quali lo ebbero comune coi Celti e con gli Scandinavi, La fibula è composta di un lungo ago attac¬ cato ad un mezzo anello rigonfio, spesso guernito con figure fantastiche di chimere, di sfingi e si¬ mili, e terminante in una specie di canaletto, il quale serve di custodia alla fine dell’ago per fer¬ marlo ed acciocché non punga. Generalmente si usò in bronzo, ma se ne trovano pure di oro e di argento. Le fibule più antiche son quelle di bronzo a semplice anello rotondo e rigonfio, grafito di rozze linee : se ne rinvengono tanto nelle tombe tirrene di Preneste e di Marabotto, quanto in quelle etni¬ sche di Vulci, Tarquinia e Cervetri. Più rare sono altrove, ma comunissime a Preneste quelle d’uguale forma in oro, in ambra, in osso, in argento, miste di bronzo e pure grafite. I Tirreni ebbero ancora una fibula rotonda in forma di borchia con uno spillone al di sotto : se ne rinvennero nelle loro tombe di quelle ricchis¬ sime con lavoro di granuli e cordelle. Anche presso — 59 — gli Etruschi quest’ornamento fu comunissimo e eli grande uso, poiché se ne trovano di ogni forma e di svariate dimensioni. Le donne romane si servivano della fibula per l ’amìcius e per l ’indutus : gli uomini per l ’indutus e per la clamide. Alcune volte le donne le porta¬ vano su le due spalle, ma per 1’ ordinario sovra una sola. La fibula in progresso di tempo fu al¬ tresì da esse posta a fermare e sorreggere la tu¬ nica sopra il ginocchio. Spesso le donne etnische e le matrone romane ne avevano una filiera giù per le maniche della tunica per maggior ricchezza e leggiadrìa. IX. ARMILLA- Quest’ornamento dagli antichi era usato ai polsi e alla parte superiore del braccio, tanto dagli uo¬ mini quanto dalle donne. In Oriente vi furono popoli che ne portarono ancor ai garetti, costume che vediamo mantenuto insino al dì d’oggi presso le donne arabe ed in Egitto. È noto che fra i popoli orientali furono i Medi ed i Persiani quelli che più sfoggiarono nelle ar- mille: le portarono guernite di gemme ricchissime oppure semplicemente formate di grosse filze di perle, che si univano con piccoli dischi di oro tempestati di gemme. » Tanto negli oggetti di oro, di argento e di bronzo, quanto nei lavori fìttili abbiamo esempi bastevoli per poter asserire che i Tirreni e gli Etruschi usarono ricchissime armille : ne ebbero per i polsi e per le braccia e forse ancor pei ga¬ retti: ne portarono a larghe fasce, certe in forma di grossi anelli ed altre fatte a spirale. Nelle loro necropoli si trovarono armille tanto di quelle che sono per uso dei viventi, quanto di altre senza meno destinate unicamente ad ornare i cadaveri nell’esequie e ad essere seppellite con essi. Alcune — 61 - poi singolari se ne rinvennero in oro guernito di granuli e cordelle, in argento ed in bronzo, le quali per essere assai piccole non pareva che po¬ tessero aver servito neanché per bambini : si cre¬ dettero armille dedicate agl’idoli, ma egli è da osservare circa questo speciale ornamento che in Plinio si legge: « trovasi in Omero che gli uomini » cingessero i loro capelli raccolti coll’oro, ma non » saprei dire se tal costume sia più antico negli » uomini o nelle temine. » A me sembra dunque che di così fatte armillette si servissero le donne tirrene ed etrusche, per costringere le loro trec¬ ce in quella maniera medesima che oggi le nostre temine fanno di certi nastri per riunire e legare i capelli dietro al capo e disporli quindi nei modi più svariati. I Sabini portavano gravissime armille di oro al braccio sinistro, e ne abbiamo a riprova la domanda e la morte di Tarpeja. Intorno alla medesima epoca gii abitanti di Sarno ne usarono ricchissime nelle solenni feste che celebravano in onore di Giunone. I Galli ne tenevano al braccio ed al polso. In Grecia ed a Roma si usarono le armille quale ornamento muliebre e come premio di va¬ lore nelle guerre e nei giuochi. Le donne greche, che tanto amarono la vaghezza degli ornamenti, aveano armille di ogni genere, di varia materia, di stile diverso e diversamente gemmate. In una commedia latina che Plauto scriveva secondo il — 62 — costume greco, le armille sono descritte in un corredo muliebre, ed alcune di esse distinte dalle altre col nome di sphinter , termine greco derivante dal verbo crcpr/yu (costringere), la quale appella¬ zione viene spiegata da ciò, che l’ornamento così nominato si adatta comprimendo il braccio di chi se ne adorna: e in effetto tali armille o son for¬ mate da un’ intera zona di metallo che stringe l’antibraccio, ovvero imitano ora cordicelle spirali, ora una fascia a foggia di serpente: laddove quelle che si pongono ai polsi, benché ve ne siano al¬ cune di fattura simile alle suddette, pure general¬ mente si usava chiuderle con uncinetti o fermagli. Festo parla di armille per guernire i polsi e di sphinter per ornare il braccio, ma sembra che questa divisione fosse sol propria dei corredi muliebri. Nei colombari e fra le ruine delle città latine si trovano armille di oro, di argento e di bronzo. Spesso leggiamo nella istoria che furono donate armille di oro ai valorosi guerrieri : così Livio, descrivendo una battaglia, termina col dire che finalmente il Console dopo la vittoria distribuì co¬ rone ed armille di oro a due centurioni e ad un manipolo di astati ; ad altri che erano o troppo giovani, o stranieri, o di condizione inferiore, do¬ nava cornetti ed armille di argento. 1 Plinio attesta che le corone e le armille di oro erano date al cittadino romano e non ai barbari ed ai forestieri. 2 * X, XLIV. 12 II, X, XXXIII. — 63 — Valerio Massimo ci conservò la formula usata al¬ l’epoca imperiale nel conferir quei premi, ed è: « Imperator te argenteis armillis donat. » I lottatori ed i soldati usarono armille di bronzo, ma certo non fu per semplice ornamento, avendo esse forma tutta particolare, manifestamente in¬ tesa a coprire e salvare il braccio dai colpi del¬ l’avversario. Alcune di queste erano in forma di strisce spirali die dal polso salivano fino alla spalla; altre più corte per ricoprire il solo pesce del braccio. L’induzione esposta è confermata da alcuni bassorilievi antichi rappresentanti gladiatori in atto di combattere, che hanno al braccio destro le dette spire, e da ritratti con due armille so¬ spese al collo per una lunga fascia quasi a mo’ di torqua gladiatoria. Le donne romane usarono anche le armille per sostenere amuleti, e Plinio nota diverse maniere di rimedi che consistevano nell’inserire certe so¬ stanze particolari entro quelle che si portavano di continuo. Nerone, per consiglio di Agrippina, spesso portava sul braccio destro un’ armilla di oro che celava le spoglie di un serpente. Le donne di alto lignaggio usarono armille di gran pompa la cui zona metallica era ornata di gemme. I doni di ambra ( succino, grandia ) che, secondo Giovenale, venivano inviati alle dame nei giorni loro nata¬ lizi, erano probabilmente armille. X. ANELLO. Tutti i popoli antichi usaron gli anelli, come ne abbiamo certo indizio e dalla storia e dalle scoperte fatte a Nini ve, nelle Piramidi, a Preneste ed in tutte le tombe tirrene ed etnische. Si legge nella Genesi che il patriarca Giuda consegnava all’ ignota Tamar T anello, il bastone e P armilla : che con P anello reale Faraone con¬ feriva a Giuseppe parte del suo potere : che As¬ suero per onorar Mardocheo gli pose al dito un anello. Scrive Tucidide che i re persiani onora¬ vano i sudditi donando loro anelli coi ritratti di Dario e di Ciro. E si crede che in Asia fosse universalmente usato. I Tirreni e gli Etruschi fecero anelli di gran pregio ; se ne trovarono di ogni genere e ne pos¬ siamo vedere con targhe di oro, con gemme, con scarabei, con agate incise e con vetri di rara bel¬ lezza ; è incerta l’epoca in cui si principiasse presso quei remoti popoli ad usare anelli con gemme in¬ cise quali sigilli : è ben probabile che la incisione dei segni e degli emblemi fosse da prima eseguita sul metallo stesso di cui era formato l’anello : co¬ stume che vediamo poscia conservato in ogni tempo. — 65 — Sembra che i Greci descritti da Omero non ne portassero, poiché quel divin pittore dei tempi eroici e mitologici non ne fa cenno. Dicesi che i Lacedemoni non altri che anelli di ferro usassero in ogni tempo, e in nessun’ altra parte della Grecia si restringesse come presso di loro 1’ uso di tale ornamento a questo o a quel ceto di cittadini. Al tempo di Solone il portare gli anelli e l’arte di fal¬ sificare i segni ond’ erano incisi era cosa comune, posciachè Diogene Laerzio parla di un ordinamento di quel sommo legislatore che proibisce agli arte¬ fici di falsare il suo proprio anello. Dopo tale epoca sappiamo che in Grecia ogni uomo libero ebbe 1’ anello non pure come ornamento, ma altresì ad uso di suggello. Pare che le donne greche non usassero tanto comunemente gli anelli quanto gli uomini, e che i loro fossero meno costosi. Sebbene Plinio dica che i Romani prendessero 1’ uso degli anelli dalla Grecia, e altri autori asse¬ riscano dai Sabini, narrando la tradizione che que¬ sti portavano anelli gemmati di straordinaria bel¬ lezza, io seguo Floro che dice tale uso essere stato recato a Roma dalla vicina Etruria sotto il regno di Tarquinio prisco. Ma sembra fuori di dubbio che i primi Romani, sia per povertà o per rigi¬ dezza di costumi, non portassero se non anelli di ferro, i quali erano destinati allo stesso ufficio che quelli dei Tirreni, dégli Etruschi e dei Greci, avendo ciascun cittadino romano diritto di usare il suo sigillo. — 66 — Nei primi tempi della repubblica erano sol¬ tanto gli ambasciadori presso i popoli stranieri che ricevevano un anello di oro, sojira cui erano forse incisi emblemi allusivi alla dignità loro ed alla repubblica ; ma così fatti anelli non erano usati se non pel cerimoniale ; in privato l’ambasciatore era cittadino romano ed usava solamente l’anello di ferro. In progresso di tempo Fanello d’oro fu tenuto dai senatori, dai magistrati ed infine da ogni cavaliere, dove la plebe non avea che anelli di ferro. Questi nondimeno furono conservati pur fino all’ ultimo tempo della repubblica da quegli uomini nobili che si dicevano amanti della sem¬ plicità antica. Mario portava l’anello ferreo quando trionfò di Giugurta, e molte famiglie patrizie se¬ guitavano tal costume e non usarono mai anelli di oro. Al cader della repubblica furono gl’imperatori investiti della facoltà di concederne l’uso. Tiberio fece una legge suntuaria con la quale ordinò non potersi portare l’anello di oro, se non che da quelli die avessero sempre posseduto per due non inter¬ rotte generazioni quattrocento mila sesterzi : ma questa legge ebbe l’effetto di ogni legge proibitiva, e l’ambizione di avere il diritto ad usare V annulus aureus divenne irresistibile. Nelle lunghe vicissi¬ tudini dell’ impero romano troviamo che Severo ed Aureliano conferirono ai soldati, principale so¬ stegno della loro possanza, lo jus annuii, ed infine — 67 — che Giustiniano concesse a tutti i cittadini dell’ im¬ pero un tanto ambito onore. Gli antichi ogni volta che uscivano di casa aveano il costume di suggellare con l’anello le porte delle camere in cui tenevano provvigioni, e le ciste e gli scrigni in cui riponevano le cose preziose, sospettando forse non meno dei loro propri schiavi che delle persone avveniticce ; i segni che si facevano sopra gli anelli erano in tal caso svariatissimi, come ne abbiamo prova in quelli che giunsero fino a noi. Simbolo e previlegio della somma potestà presso gl’ imperatori romani era una sorta di anello o sigillo di Stato, che al¬ cune volte essi concedevano di usare a chi fosse temporaneamente assunto a far lé veci loro : un senatore a ciò destinato lo tenea in custodia e ne era detto curator. 1/ anello nuziale, che alcuni dissero cingulum , ed altri chiamarono vinculum, era generalmente di oro purissimo: ne ho, nella mia collezione, di tirreni, di etruschi e di romani. Kirckmann asserisce che in Roma eravi costume di consegnare in mano alla sposa novella 1’ anello in oro nel punto me¬ desimo in cui un altro anello di ferro s’ inviava alla casa de’ suoi genitori qual ricordo di mo¬ destia e frugalità casalinga ; ancora sappiamo che si usava presentare alla sposa anelli di ferro o di bronzo su cui era una piccola chiave, quale investitura di supremazia nelle cose familiari. 68 — I Romani aveano pure anelli con ritratti eli antenati o di amici, con monete incastonate o con iscrizioni incise; in alcuni casi esprimevano allu¬ sioni simboliche alla storia reale o mitologica della propria famiglia. Siila avea un anello ove era in¬ ciso Giugurta fatto prigioniere. Pompeo ebbe un anello su cui erano incisi tre trofei; ed Augusto prese per emblema prima una sfinge, poi il ri¬ tratto d’ Alessandro il grande e finalmente il ri¬ tratto suo stesso, uso che fu in seguito di molti imperatori. Nella maggior corruttela dei costumi si predilesse tra gli ornamenti in ispecial modo l’anello: le donne sfoggiarono nella varietà e quan¬ tità di essi: gli uomini portarono anelli fino a coprirne tutte le dita; si misero ancliè ai bam¬ bini, e se ne vedevano alle dita degl’ idoli. Nei conviti usavano anelli dove era inserita una punta di diamante che serviva a scrivere sopra i bic¬ chieri di cristallo il nome di coloro a cui si pro¬ pinava : si portarono anelli di grandezza smo¬ data; vi furono per ciascun giorno della settimana col nome del giorno inciso, sì che potessero servire da calendario; anelli gravi per l’inverno, anelli leggieri per l’estate, come se alcune granirne di più o di meno valessero ad alleviare il caldo ed il freddo. Molte superstizioni andarono congiunte agli anelli, e ciò fu più in Oriente ed in Grecia che a Roma : non pochi fecero traffico lucroso col ven- — 69 — dere anelli fabbricati dagli abitanti dell’ isola di Samotracia; poiché si credeva che avvessero po¬ tenza magica e facoltà di render salvi nei peri¬ coli quelli che ne portavano ; questi anelli erano fatti di materia vilissima, dacché trovasi che co¬ starono una dracma, ed erano usati dai supersti¬ ziosi di ogni ordine di cittadini. L’uso degli anelli fu accolto dai primi cristiani, ai quali Clemente Alessandrino nel secondo secolo dice: « Noi dobbiamo portare un solo anello al » mignolo perchè ci serva da sigillo. » Fin dai più remoti giorni del medio-evo tro¬ viamo che la investitura episcopale facevasi sim¬ bolicamente per mezzo di un anello d’oro con un zaffiro od un rubino, che portavasi al quarto dito, costume d’ignota origine, ma che forse pro¬ viene da un uso romano ai tempi dell’ impero, quello cioè di dare un anello al tribuno militare per atto d’investitura. Erano poi segno delle su¬ preme dignità ecclesiastiche certi anelli grandis¬ simi, fatti di bronzo dorato e guerniti di smalto. XI. ARREDI SACERDOTALI. Può dirsi che i popoli antichi ponessero tutte le loro ricchezze nelle pompe sacerdotali, essendo le preghiere, i sacrifìci, gli oracoli, e i vaticini cose che si riferivano non meno allo Stato che ai singoli cittadini, anzi sovra a queste ceremonie era fondata ogni antica monarchia o repubblica, che da principio fu senza fallo teocratica. Quindi quanto più lo Stato era prospero, ed esteso l’im¬ perio, tanto più le funzioni di cui si discorre creb¬ bero in magnificenza, come ci rivelano i paramenti, i simboli, gli utensili e i gioielli per uso di sa¬ cerdozio che giunsero sino a noi. Il Micali dice che « la macchina di tutto il go- » verno etrusco era fuor di ogni dubbio d’istituzione » sacerdotale. » Ma gli scavi tirreni e quelli etru¬ schi che negli arnesi, nelle pitture, nelle terre cotte e nelle sculture tanto ci hanno serbato degli an¬ tichi ornamenti sacerdotali, presso che nulla ag¬ giunsero al poco già noto circa al nome ed all’uso di essi. Possiamo congetturare che siano arredi ed ar¬ nesi spettanti alla religione il grande pettorale e gli altri ornamenti di oro che sono nel museo 71 — etrusco del Vaticano, i due bellissimi stalli clie erano nel museo Campana, i pettorali di oro, di argento e di ambra trovati a Preneste, tutte le collane di grandezza straordinaria e le grandi bulle e fibule di forme e dimensioni svariate che veg- gonsi in molti cimelii, come pure le patere e gl’ in¬ numerevoli vasi in argento e in bronzo rinvenuti ne’ sepolcri. Così gran quantità di arnesi può dare qualche indizio della frequenza e diversità delle funzioni sacre e dei tesori che doveano racchiudere gli an¬ tichi templi. XII. G E M M E. I popoli d’Oriente fecero sempre grande uso, per cagione di adornarsi nelle feste, nei conviti ed in ogni altra solennità, di gemme preziose, che sono ricchezza della terra loro; e gli abitatori del continente europeo doverono o per via di conquista o di mercatura da essi pigliarle, imitando il fasto e le pompe orientali. Le grandi fiere della Siria fornivano all’ Occi¬ dente insieme con gli altri prodotti delle Indie anco le gemme. E di una di tali fiere Annidano così parla: « Batra, municipio di Antemusia, fon- » data dagli antichi Macedoni, posta a picciola di- » stanza dall’Eufrate ed abitata a quel tempo da » ricchi mercatanti, è luogo dove in occasione della » grande festa che annualmente vi si celebra al » principiar di Settembre, si aduna in fiera gran- » dissima turba di gente di ogni diversa concli- » zione, a fin di comperare le merci là inviate da- » gl’Indiani e dai Cinesi, e tutte le altre cose die » sogliono ivi portarsi e per terra e per mare. » Gli antichi usarono le gemme così nello stato loro naturale, come anche pulite, sfaccettate, la¬ vorate in diverse maniere, incise, e intagliate a — 73 — basso o alto rilievo. Così nominarono e distinsero le pietre preziose diversamente da quello die fac- ciam noi. Ma il trattare di questo argomento coi necessari confronti fra le antiche età e la moderna, e con le analoghe notizie di mineralogìa porte¬ rebbe un discorso troppo più lungo che non con¬ viene a questa operetta; ed anche passerebbe i termini dell’ arte per entrare in quelli della scienza. In un libro a ciò particolarmente inteso e intito¬ lato « Belle Gemme » io mi sono provato di rac¬ cogliere tutto 1 quanto può essere di utile cogni¬ zione agli orafi e di qualche diletto ai curiosi, perciò ad esso libro rimando i lettori. Riguardo a quelle incise, io ritengo che ge¬ neralmente parlando è impossibile stabilire norme e regole certe a fin di riconoscere l’epoca a cui appartengono. A ciò principalmente fa mestieri non l’esercizio dell’arte ed il gusto, ma piuttosto una lunga esperienza: sebbene da questa medesi¬ ma io abbia appreso a non mai asserire con si¬ curezza che questa o quella pietra sia indubbia¬ mente antica. Però stimo che l’orafo debba su ciò usare una scrupolosa riserva, accontentandosi dar giudizio sulla maggiore o minor bellezza del¬ l’incisione, anziché sulla maggiore o minore anti¬ chità. Nondimeno osserverò solamente che le gem¬ me incise di grandezza maggiore di quelle che si potessero incastonare in un anello, non sono presso che mai antiche veramente, imperocché solo gli — 74 — artisti dell’età moderna ebbero costume d’incidere e lavorare pietre di gran dimensione quando in¬ tendevano di far opera eccellente, lasciando le piccole per le persone meno intendenti e meno fa¬ coltose; laddove il contrario succedeva presso gli antichi. Io credo fermamente che la frode in questo genere di cose possa facilmente ingannare anche i più esperti, e in ogni modo è d’uopo riposarsi sulla fede e sull’onestà di chi ha trovato la pie¬ tra, poiché io non saprei dare altro sicuro segno dell’antichità di un’ incisione fuorché una certa morbidezza ed apparenza, direi come di materia vellutata, che la superfìcie delle gemme acquista dopo lunghissimo tempo. Tuttavia mi pare che più dell’antichità vera o fittizia e sempre incerta, si abbia a pregiare la bellezza e squisitezza del lavoro, come quella che si manifesta da sé stessa e non può ingannare alcuno. Ciò che si è detto delle incisioni può sotto altro rispetto dirsi ancora de’ carnei ; essendo che riesce estremamente difficile il giudicare quali sieno antichi e quali no. Di certo sappiamo che vasi e tazze in agata di magnifico lavoro in ri¬ lievo fqrono eseguite dagli antichi, e ne abbiamo prova nella stupenda coppa che si conserva al reai Museo di Napoli; e frammenti di altre simi- glianti si rinvengono spessissimo fra gli avanzi de’monumenti romani. Quanto agli altri diversi — 75 carnei piccoli o grandi, può ritenersi che quelli di più finito lavoro non sono antichi, ma più pre¬ sto eseguiti dai valenti artefici del secolo decimo- sesto e decimosettimo, i quali si diedero a imitare i carnei dell’ epoca romana, e forse per dare al¬ l’opera loro maggior pregio, tutto riprodussero eccetto cfye una tal quale rozzezza o sprezzatura che sempre si vede nei contorni dei carnei più probabilmente antichi. Di tutte le pietre incise e lavorate, quelle che senza fallo abbiamo cagione di credere anti¬ che, sono gli scarabei in corniola rossa e in altre agate, perchè oltre al sapere molte volte dove fu¬ rono rinvenuti o averli di presenza veduti cavare da sepolcri vetustissimi, quella morbida apparenza di materia vellutata, che dicemmo indizio di an¬ tichità, è più facilmente riconoscibile in queste gemme, le quali d’ ordinario risalgono ai periodi che precederono il romano. COMMIATO. Giunto al termine di questo breve lavoro, potrà forse nascer dubbio in chi legge, se da esso possa trarsi qualche utile ammaestramento a fin di ri¬ condurre T arte dell’ orifìceria italiana all’ altezza che tenne nel passato. Io non mi arrischierò in¬ dicare il punto al quale debbono gli orafi nostri affissarsi per conseguire la medesima lode che me¬ ritarono gli artisti dell’antichità, del medio-evo e del risorgimento ; ma bene oso affermare che l’arte nostra non sarà mai per rilevarsi dalla bassezza in cui la vedemmo caduta fin quasi a questi giorni, s’ella non ritorna prima allo studio ed alla imi¬ tazione amorosa dei mirabili gioielli antichi e mas¬ sime dei più antichi. In ciascuno dei sette periodi dei quali ho tenuto parola si fecero lavori (e ce ne sono rimasti esempi) dove si può scorgere, oltre alla grande sottigliezza e forbitezza delhesecuzione, un concetto artistico, degna materia d’invidia agli artefici moderni, che per lo più si contentano di operare senza proporsi un disegno corrispondente all’uso cui deve servire l’opera loro ; e per esempio con sola differenza di grandezza adattano la forma — 77 — della fìbula ai pendenti di orecchie, i pendenti di orecchie alle collane e via dicendo. Nè questo è il loro solo difetto, chè principalissimo è la nes¬ suna eleganza delle forme, per modo che i gioielli moderni più non meritano il nome di opera d’arte. Gli svariatissimi stili dei ripetuti sette periodi of¬ frono alFingegno artistico ampia materia da svol¬ gere sotto mille forme diverse i proprii concetti. Ed in questo modo solamente potrà a mano a mano l’arte venirsi trasformando ed essere iniziato un ottavo periodo non meno splendido dei già tra¬ scorsi. A ciò, ridiciamolo, è mestieri abbandonar del tutto Timitazione e la copia de’ gioielli fran¬ cesi, peste introdotta fra noi dall’avidità mercan¬ tesca. Rifiutata questa come tante altre servilità, ritorneremo all’indole nostra e ci sentiremo capaci di riprodurre cose belle. Io, secondo le mie poche forze, a fin di preparare questo rinnovamento, per lo spazio di oltre vent’anni, proseguendo lo studio iniziato da mio padre, dal duca di Sermoneta e da mio fratello Alessandro, mi sono ingegnato di copiare con ogni possibile fedeltà ed esattezza gli ornamenti in oro ed in gemme di tutte le trascorse civiltà italiche e di mettere in vista massimamente quelli tirreni ed etruschi, dove risplende un gusto ed una finezza di arte incomparabile. Ottobre 1872 . YALE. *. , • INDICE, %• Parte Prima. I sette peiiodi dell’Oreficeria Italiana. . .Pag. 5 Parie Seconda. I. Orificeria antichissima .. 25 IL Orificeria Tirrena. 27 III. Orificeria Etnisca. 30 IV. Orificeria Italo-Greca. 32 V. Orificeria Romana.34 VI. Orificeria del Medio-Evo. 35 VII. Orificeria del Risorgimento. 39 Parte Terza. I. Corona. 45 II. Diadema. 47 III. Spilloni. 49 IV. Pendenti da orecchie. 51 V. Bulla. 53 VI. Collana. 55 VII. Torqua. 56 Vili. Bibula. 58 IX. Armilla. 60 X. Anello.,. 64 XI. Arredi Sacerdotali. 70 XII. Gemme. 72 Commiato 76 ....