C2 a )ozh{> 7b 84-B 10064 SANTA MARIA DEL FIORE PROPRIETÀ LETTERARIA PIETRO FRANCBSCHINI SANTA III I FI DA ARNOLFO A BRUNELLESCO NOTIZIA STORICA NÈ TRICUSPIDALE Ni BASILICALE DIALOGHI CRITICI FIRENZE Tipografia Coppini e Bocconi Via dell'Orivolo, 33 1887 ALLA MEMORIA DEL CAPOMAESTRO FRANCESCO TALENTI NEL RINNOVAMENTO DEL TEMPIO DI SANTA REPARATA TRIONFATORE MODESTO E GRANDE DEGLI ARTEFICI PIÙ SEGNALATI QUESTE PAGINE DEBITO CONTRIBUTO ALLA RIPARAZIONE DI UN INGRATO OBLIO NEL DI CHE IL MONUMENTO SQUISITAMENTE SUPERBO CON NOVELLA FRONTE SI COMPIE L' AUTORE REVERENTE CONSACRA Signori Coppim e Bocconi TIPOGRAFI Stampino -pure se "Loro -piace l'articolo che scrissi sulla istoria del Xenipio di Santa Chiaria del j^iore *J fino dal perduto settembre; ma se vogliono farmi cosa grata ristampino anche i cinque dialoghi del mio Nuovo Osservatore Fiorentino, concernenti la nuova facciata del medesimo X cm plo. ^Ce avrei piacere perchè con la convinzione che ho di essere stato in essi per- fettamente nel vero sarebbe in modo più diffuso antivenuta la critica straniera, che potrebbe far credere che nessuno fra noi avesse veduto e ten- tato in anticipazione di riparare gli errori che saranno ora per veder tutti. 'Di Loro affe^ionatissìmo PIETRO FRANCESCANI. *) Questo articolo era stato composto per essere inserito nel volume col- lettivo che le tipografie toscane dovevano mandar fuori nella occasione dello scoprimento della facciata di Santa Maria del Flore; volume che non ha avuto più luogo. ello è il vedere come sul chiu- dersi del secolo decimoterzo il popolo fiorentino, cresciuto in ric- (^Mj) cnezza ' P ensasse a d affermare la ;*We>V propria dignità col grandeggiare Sf? sugli emuli vicini per la maestà dei pubblici edifizi ; fine da esso raggiunto rapi- damente, sia col togliere la sua rappresentanza dai privati locali e le sue assemblee dalle chiese, col mezzo della residenza superba che anche oggi ha nome dalla Signoria, sia col largheg- giare di sussidii per la edificazione dei templi di S. Maria Novella e di S. Croce, con lo slar- gare la cinta delle turrite sue mura, e sopra tutto coli' affidare ad Arnolfo di Cambio lo ampliamento, o rinnovazione, del tempio di Santa Reparata, ordinando con largo animo a questo artefice insigne che la trasformazione del tempio stesso dovesse rispondere dal fin — io- di ridurlo il più onorabile di Toscana; e poco di poi che Santa Reparata, rinnovata anche nel nome, perchè dedicata nel nuovo concetto a Santa Maria del Fiore, divenisse non solo il più bel tempio della nostra regione, ma di ogni paese cristiano altresì, che allora era quanto dire di tutto il mondo civile. Arnolfo aveva dato principio all' ingrandi- mento di Santa Reparata nel 1294 con un concetto allora affatto nuovissimo e con una pianta che non aveva e non ebbe l'eguale; pianta che resistè quasi intatta a tutte le innovazioni che subì la chiesa di poi e per la quale il nome di lui non andò disgiunto mai più dalla istoria di Santa Reparata e di Santa Maria del Fiore. iotto ed Andrea Pisano avevano conti- V_J nuato l'ingrandimento incominciato da Arnolfo; ma morto Andrea nel 1345, la fab- brica ebbe per dieci anni quel fermo che diede agio e coscienza ai Fiorentini di poter tentare opera ancora più sontuosa e più bella. Francesco Talenti, capomaestro a Santa Reparata, doveva essere l' interprete del pub- blico voto, e nel 3 maggio 1355 accettava — II — egli dagli operai l'incarico di fare un modello di legname perchè potesse servire siccome esempio del come dovessero stare le cappelle al di là delle navate, come le finestre di que- ste; ed egli ne uscì per modo che i due gruppi di maestri, consultati separatamente dagli Ope- rai nel 15, 16 e 17 luglio di quell'anno, non ostante che fra di essi fossero artisti come frate Jacopo Talenti, Neri di Fioravante, Gio- vanni di Lapo Ghini e Taddeo Gaddi, non si trovò in quel modello che da lodare quanto egli aveva fatto. L'ideale però che si era cominciato a va- gheggiare dai Fiorentini non era questo, giac- ché per quel modello tutto restava in piedi il già fatto con la selva delle colonne che Arnolfo vi doveva aver poste, non atte certo a prestarsi a quel fare largo e magnifico che si era introdotto nell'arte di edificare dopo la morte di lui. Dall'esame del modello de 1 Talenti pas- sarono due anni prima che si venisse ad una risoluzione, ma questi erano stati sufficienti a dimostrare che per far cosa veramente degna dei tempi e della grandezza cui era giunto il popolo fiorentino era necessario cambiare so- stanzialmente di via. — 12 — d Arnolfo, Giotto ed Andrea Pisano, come /V si è veduto, erano succeduti in Firenze altri maestri, i quali senza distinzione ven- nero chiamati a partecipare ad un nuovo di- segno del tempio, a dare Y indirizzo della Santa Maria del Fiore, a discuterne le mo- dalità a concorrere alle parziali membrature ed ornati, a quanto insomma era necessario a tal fine ; e per dimostrare che il tempio do- veva essere cosa affatto nuova, di nuovo e con la massima solennità si gettava nel dì 5 luglio dell'anno 1357 la prima pietra dove ave- vano deliberato i maestri consultati di fon- dare un pilastro e precipuamente nei fonda- menti di quello che primo si incontra nel tempio e spicca isolato sulla destra di chi vi acceda per la porta maggiore. Arnolfo, Giotto ed Andrea Pisano, così per la capacità del tempio come per la deco- razione dell' interno del medesimo erano dun- que posti da parte, giacché delle costruzioni a loro dovute si lasciava in piedi la sola pa- rete frontale, già incominciata a far bella da Andrea, ed i muri laterali prossimi alla me- desima, in parte soltanto già rivestiti. - 13 — ,er dimostrare la prontezza del concepire 1 e dell'eseguire dei nostri vecchi maestri, diremo che dalla idea della ripresa dei lavori al Duomo al getto della prima pietra non corse che un mese; e questa deliberazione era dovuta a frate Jacopo Serlupi, architetto, do- menicano di S. Marco, a frate Jacopo Talenti di Santa Maria Novella, a Riccardo di Fran- ceschino degli Albizi, chiamato non come ar- tista, ma come uomo di buon gusto nell'arte; a Neri di Fioravante, architetto, ad Andrea Orcagna, scultore e pittore, a Giovanni di Lapo Ghini, raro maestro di muramenti, gente tutta il cui nome in proposito del Duomo per oltre quattro secoli non apparve mai nell' istoria avendo la tradizione non combattuta dal Va- sari, ma raccolta da lui, in onta alla verità e alla giustizia lasciato ogni merito del dise- gno di Santa Maria del Fiore quale la ve- diamo, ad Arnolfo. l principio dunque a discutere di Santa Maria del Fiore, non vediamo che pochi soggetti; ma non era appena fermata la di- mensione delle navi e la spaziatura che do- — 14 — veva intercedere fra pilastro e pilastro che insorgevano le dispute fra i Commissari sulle forme da darsi alla chiesa; e bella, dramma- tica, e piena di ammaestramento è la discus- sione sorta non appena gettato il fondamento del primo pilastro, dalla quale scaturisce la necessità di fare il modello del pilastro me- desimo; modello del quale accettano la prova Andrea Orcagna e Francesco Talenti, previa solo la quantità del gesso necessaria a cia- scuno a formarlo. Si ordinò dunque ai maestri suddetti che il modello del pilastro non oltrepassasse il braccio e mezzo della misura fiorentina, perchè fosse facile agli Operai della fabbrica collo- carlo dove loro fosse meglio piaciuto; ciò che fu dai Talenti e dall' Orcagna eseguito, ed in così breve spazio di tempo poterono essi adempiere al voto dei Commissari che dopo soli quattordici giorni posero in grado gli Ope- rai di riunire di nuovo la Commissione già udita, perchè con piena libertà potesse ciascuno giu- dicare quanto Andrea ed il Talenti avessero presentato. I più fra coloro che ebbero parte in quel- l'adunanza si mostrarono favorevoli al modello dell' Orcagna, ma Giovanni di Lapo Ghini, il costruttore che vedremo tener sempre testa in questa fabbrica a Francesco Talenti, che gli sarà dato a compagno nel dirigerla, ed anche lo sopravanzerà per l'audacia, interrogato sul merito di quei modelli, rispose temerariamente essere ai due egualmente contrario per non piacergli cioè, e per credersi adatto lui stesso a farne uno migliore. Gli adunati però e gli Operai non tennero conto di tale iattanza e diedero la preferenza al modello dell' Orcagna a condizione che egli togliesse dal modello medesimo i taber- nacoli che goticamente lo tritavano, e ne in- gagliardisse la base. Legale era la deliberazione degli Operai; ma i cittadini di Firenze che se in generale non potevano avere voto deliberativo in pro- posito, pure amavano che nulla fosse trascu- rato onde il nobile decreto della Repubblica divenisse una realtà, tanto pressarono gli Ope- rai stessi, che questi ; persuasi al pari del po- polo potere il Ghini riuscire ad oltrepassare col proprio genio anche l' Orcagna, ordinarono fosse ammesso anche egli alla prova, purché — ró- si assoggettasse a presentare il proprio mo- dello dentro tre giorni, perchè soli tanti ne avevano assegnati all'Orcagna per correggere il modello secondo i consigli avuti. Ma se T Orcagna aveva vinta la prima prova ed il Ghini prometteva lasciarlo indie- tro nella seconda, Francesco Talenti, il capo- maestro di Santa Maria del Fiore, che aveva dovuto cedere, non si dava per vinto; e fa- cendo suo prò del tempo e dei voti dati, tor- nava pur egli a cimentarsi, con un modello che, guadagnandosi alla prima il favore dei delegati intervenuti al giudizio, trionfò per unanime voto sugli altri ed a maggiore sod- disfazione per lo stesso voto di Giovanni di Lapo Ghini, che prima si era vantato di vin- cere ogni già presentato modello. Parrebbe oggi che chi era preposto alla fabbrica di Santa Maria del Fiore avesse fatto anche troppo il proprio dovere e si fosse po- tuto senz'altro passare alla esecuzione del- l'opera giudicata. Ma così non procedevano i nostri maggiori, sapendo come ogni opera umana sia suscettibile di perfezione; e per- ciò gli Operai deliberarono che il modelletto di Francesco Talenti venisse esposto per otto giorni sul fondamento sul quale il pilastro -17- avrebbc dovuto sorgere; facendo collocare sotto al medesimo un cartello a grandi lettere, nel quale era dichiarato che chiunque trovasse da apporre a quel modello qualche difetto potesse presentarsi liberamente dentro il termine as- segnato agli Operai, o chi per loro ; che di qualunque condizione egli si fosse sarebbe graziosamente ascoltato. Fatta e chiusa la mostra del modello alla , quale oltre al popolo in generale aveva con- corso particolarmente invitato dagli Operai ogni artefice ed ogni cittadino avente fama di buon gusto, nessuno avendo opposto, o mossa critica di sorta, fu confermato dagli Operai il giudizio già legalmente espresso a favore del modello del Talenti, e fu dato in accollo il pilastro nella base e nel fusto, riser- bandone il capitello al suo autore, scultore ed architetto ad un tempo. irancesco Talenti fu confermato capomaestro 1 della Santa Maria del Fiore, come lo era stato già di Santa Reparata, dandogli a com- pagno l'emulo Giovanni di Lapo Ghini, al- trettanto esperto negli avvedimenti e nella — i8 — scienza del murare, quanto Francesco era fe- lice nel disegnare con maestà, congiunta alla grazia più corretta e squisita. Come si è veduto procedere col cauto con- siglio per i pilastri, si era proceduto per la misura della distanza che da un pilastro al- l'altro doveva intercedere, e per lo slancio del saettare degli archi; ma inalzati quei valichi e prese le disposizioni circa le volte delle navi fu necessario riunire ancora i savi e gli artisti per trarne nuovi sostanziali consigli, per in- tendere cioè come si dovessero decorare i muri sovrastanti alla nave maggiore, per de- finire, se le luci da praticarsi nei muri mede- simi dovessero avere forma arrotondata od allungata. E meritevole di osservazione la cura degli Operai perchè il muramento riuscisse perfetto; fine che essi reputavano raggiungere imponendo fino da principio la continua assistenza del capomaestro Francesco Talenti alla costruzione dei pilastri, la pena della perdita di una lira per ogni pietra degli stessi che venisse mu- rata lui assente. Si procedeva bene, ma len- tamente, ma in tali opere non si può precipi- tare, e quasi cinque anni occorsero solo ad arrivare a quella chiusura d'archi, che doveva — 19 - far necessitare la discussione del punto dove dovessero collocarsi i peducci a sostegno della volta maggiore a prendere la deliberazione opportuna per arricchire 1' interno della chiesa con la ricorrente terrazza, sorretta da becca- telli che sovrasta le arcate; quella terrazza che il Boito è di parere sia dovuta per il concetto all' Orcagna e per la forma al Ta- lenti; senza che però, almeno per ora, alcun documento pubblicato dimostri se anche per essa fu aperta la nobile gara. Operai ed ar- tisti, religiosi e secolari si riunivano nel 17 settembre 1 363 per i lavori ora enumerati ; molti volevano allora che i peducci della volta maggiore che muovono a breve distanza dai capitelli dei pilastri si ergessero alquanto al disopra, e fra questi Taddeo Gaddi, ma Piero di Migliore, Giovanni Gherardini, Fran- cesco Salvetti ed Andrea Orcagna, che ave- vano sostenuto e vinto il partito per le luci tonde piuttosto che per le allungate da altri proposte, ottennero che il ballatoio sostenuto da beccatelli e con davanzale a tratoro ve- nisse collocato subito al disopra degli archi e si spiegasse a tempo opportuno ad eguale alzato al di là della nave in tutto l'aggregato delle tribune. — 20 — Prendendo cognizione dei documenti che si riferiscono allo svolgersi così naturale e conseguente del monumento di Santa Maria del Fiore, vien dato di domandare come mai fin oltre alla metà del presente secolo abbia potuto sussistere la tradizione che la Santa Maria del Fiore, quale la vediamo, sia l'opera di Arnolfo. Viene da meravigliare come un architetto qual fu lo storico dell'arte Giorgio Vasari non venisse in sospetto della falsità della tradizione e la traducesse in istoria ; da meravigliare ancor più che oggi in tanta luce di documenti messi fuori da uomini beneme- riti, il tempio di Santa Maria del Fiore da Arnolfo si seguiti a intitolare; mentre quello che colpisce nell' interno di questo tempio è la purità, cioè la quiete, la mirabile armonia nascente da quelle linee che seppe imprimervi Francesco Talenti, coadiuvato da quella sin- golarissima accolta di ingegni, che si sono veduti interloquire nel lavoro; quiete e gran- diosità che lo stato dell'arte ai tempi di Ar- nolfo non ci avrebbe potuto dare. — 21 — irancesco Talenti nel 1364 per cagioni di A scrupolosa disciplina veniva sospeso dal sopraintendere alla costruzione di Santa Maria del Fiore; ma se Giovanni di Lapo Ghini poteva succedergli per la parte statica dell'edi- fizio non lo valeva certo per la parte estetica, nè questo artefice ebbe perciò sul tempio la balìa che era stata conceduta a Francesco; il che è dimostrato dal vedersi appunto da quel giorno sottoposto il lavorìo di Santa Maria del Fiore alle visite mensuali di una Commissione di artisti e di cittadini che veniva col capo- maestro ad assumere per così dire la responsa- bilità della difficile costruzione. el luglio del 1 366 gli Operai vennero av- 1 1 visati che alcuni cretti si erano mostrati nelle volte delle navi laterali, non condotte allora oltre la seconda arcata; e gli Operai, per nulla fidandosi del loro capomaestro e di chi li faceva sicuri, riunirono attorno a sè ottanta cittadini perchè in caso tanto impre- veduto esaminassero la cosa e porgessero loro consiglio. Figurarono fra questi quel Neri di Fioravante, a cui è dovuta la costruzione della CJKa- — — 22 — loggia della Signoria, quel Benci di Cione, espertissimo, che aveva avuto voce nel Con- siglio del 1357; Francesco Salvetti, Giovanni Gherardini ed Andrea Orcagna. Il disegno di massima che servì a dar principio ai lavori nel 1357 si disse che non portava che tre arcate per nave, cioè che tre valichi per lato nel lungo delle navi mede- sime, mentre nessun documento sta a provarlo ed alla ragione contrasta; perchè la lunghezza della parte anteriore del tempio non avrebbe avuto sviluppo convenientemente proporzio- nato alla larghezza, e tanto meno una estetica corrispondenza col grandioso aggregato delle tribune, che dovevano formare la parte più eletta del tempio stesso, quella riservata alle cappelle all'altare maggiore ed al coro; ma sta in fatto che, nonostante che nel 1366 due soli fossero i valichi compiti, cinque, e non tre, ne erano destinati a precedere la tribuna, constando per documenti che i pilastri neces- sari a quei valichi in quel tempo erano già stati tutti inalzati. Il discutere dei cretti, che fortunatamente non avevano importanza, fu una occasione di tornare sulla convenienza di correggere il disegno di massima approvato dai deputati del 1357, anche per sottrarre il lavoro alla oscillazione di dover procedere pezzo per pezzo e fargli prendere da allora in avanti più ra- pido e più naturale indirizzo. Gli Operai anche questa volta vollero porre al coperto la loro responsabilità col chiamare a Consiglio i Consoli dell'arte dei medici e speziali e quelli dell'arte di Por Santa Maria o della seta; mentre quei consoli inviavano a rappresentare le loro corporazioni, i primi un numero di pittori, l'altro di orefici. Gli orefici furono interrogati i primi e come presi da un preconcetto consigliarono che le navate della chiesa per quel momento non si dovessero proseguire; e per aver agio di studiare quanto occorresse ad assicurare e cor- reggere la parte già fatta si ponesse subito mano allo svolgimento delle tribune, fra mezzo alle quali doveva campeggiare l'aitar maggiore. In questa sentenza scendevano essi sopra tutto perchè non erano convinti che la parte costruita avesse l'alzato conveniente; che le finestre giottesche, mantenute dopo la trasfor- — 2 4 — mazione sostanziale dell' interno non potes- sero più convenire, essendo necessario per la maestà dell'edificio che una sola ne campeg- giasse al centro dei muri di ogni arcata; (i) perchè dei valichi credevano essi fossero suf- ficienti quattro, onde tutto venisse a comporre con quella corrispondenza felice, con quella vera grandiosità della quale per loro era difetto nel disegno fino a quel punto seguito. L'arte dei medici e speziali, come si è detto, aveva delegato a rappresentarla pittori, e quando si sappia che fra questi erano Tad- deo Gaddi, successore di Giotto, e l'Orcagna avremo già la misura con quale lodevole cri- terio avesse proceduto. I pittori domandarono da principio un mese di tempo per poter mo- strare in disegno quanto avrebbero essi con- sigliato per la prosecuzione della fabbrica, ma letto ad essi il voto degli orafi a quello fe- (i) E dire che dopo questa solennissima sentenza, nota oramai da anni per il documento pubblicato nei lavori del Cavallucci, del Boito e del Nardini Despotti Monspignotti su Santa Maria del Fiore, si è avuto il coraggio di proporre al Governo la riapertura di queste stesse finestre. È credibile ? Pure è così. E dire che coloro che propongono cose di tanto rilievo possono vantarsi di veder dipendere dal loro capriccio la sorte di tutti i monumenti toscani! — ai- cesi prontamente adesione, concordando pure che la prosecuzione del lavoro avesse prin- cipio dall'aggregato delle tribune. ccolto dai preposti all'opera il consiglio degli orafi, convalidato da quello dei dipintori, composero essi una Commissione, nella quale ebbero parte dodici maestri nel murare, e fra questi i soliti Neri di Fiora- vante e l'Orcagna, e undici pittori che veni- vano a così dire capitanati da Taddeo Gaddi, come ciascuno sa, pittore e architetto. Un mese di tempo, quanto ne aveva do- mandato l'altra accolta di pittori sentita in concorso degli orafi, fu assegnato alla pre- sentazione del disegno dei maestri riuniti, ed il giorno 1 3 agosto 1 366 gli Operai del tem- pio, unitamente ad otto notabili cittadini che essi avevano creduto conveniente di aggiun- gersi, si portarono nel tratto già murato di Santa Maria del Fiore per prendere cogni- zione del disegno ordinato e dell'altro di Ja- copo figlio del capomaestro Francesco Talenti, perchè fossero esaminati in confronto del mo- dello che si vedeva già murato nella chiesa m 3 — 26 — medesima; modello che fu attribuito a Gio- vanni di Lapo Ghini, ma che lo spassionato esame della lettura dei documenti farebbe credere non fosse che quello che di concordia con i maestri vi aveva Francesco Talenti mu- rato fino dal 1357. E vero che un documento parla di un mo- dello murato di Giovanni di Lapo Ghini, ma è vero altresì che quel modello per volontà degli Operai non fu condotto a fine; e senza documenti che chiaramente lo provino noi non saremmo parati ad ammetterlo. iovanni di Lapo Ghini fu il primo ad es- V_ J sere interrogato dagli Operai sul merito dei tre disegni. Ci parrebbe assai strano che se egli fosse stato direttamente uno dei con- correnti a lui si dovesse dar la parola, mentre Jacopo Talenti, che pure si presentava con un disegno, non veniva sentito. E che cosa ri- spose il Ghini? Rispose che il modello murato della chiesa gli piaceva più, perchè slargava meno, era di maggior numero di gente ca- pace e aveva le cappelle e le sagrestie più larghe; ed anche perchè non conoscendo l'al- . — cmh- — - 27 — zato cui sarebbe giunta la costruzione dei maestri architetti e pittori, non era certo della sua solidezza. Il Ghini, come si vede, qui non fa scuse relativamente al disegno che sceglie a causa della paternità, ma discorre come di cosa che a lui fosse estranea. Udita la risposta del capomaestro rivol- sero gli Operai la stessa domanda ai maestri delle arti che avevano operato collettivamente ed agli orafi, chiamati pur essi a questa adu- nanza ; e Benci di Cione per i maestri e pit- tori, Pietro di Migliore per gli orafi, risposero a nome di tutti il disegno fatto dai maestri essere più bello, utile e forte degli altri, e come tale essere parati a sostenerlo con chiare ra- gioni e difenderlo da chi opponesse in contrario. Venne la volta del collega del Ghini, di Francesco Talenti, cui tanto doveva la sezione del tempio eseguita; il quale, nonostante l'amor proprio in conflitto e l'esser padre di quello Jacopo che si presentava a contrastare ai mae- stri e forse a lui stesso, sentenziava in modo da mostrare la vera e leale grandezza di un animo degno che se ne tenga memoria : cioè il disegno dei maestri e dipintori essere più bello, utile e forte che ogni altro non fosse. - 28 - Tutti gli artisti, parti più o meno interes- sate nell'opera, avevano svolto il loro consiglio, ma se si concede accettare le parti liberamente a discutere non è ammissibile che le sentenze che possano da loro emanare deb- bano passare senz'altro come cosa giudicata. Perchè questo avvenisse erano necessari altri giudici e questi avevano scelti gli Operai in un numero di cittadini e di artisti, i quali, de- finita la grandezza e numero delle cappelle e ritenuto essere quello dei Maestri il più bello ed onorevole disegno da essi veduto, e per la fidanza loro data di essere suscettibile di venire slanciato quanto occorresse senza vi- sibili catene, consigliavano a reverenza di Dio e della Vergine Maria che il disegno dei mae- stri fosse preferito e si procedesse con la scorta di esso alla perfezione della chiesa e nel modo il più possibilmente sollecito alla ripresa della edificazione. 1 deputati all' opera resero conto a chi se- deva in quel momento al Governo della Repubblica del resultato del concorso, e plau- diti dal Gonfaloniere e Priori della medesima - 2Q - per la prudenza con la quale si erano essi condotti, deliberarono in prima che la chie- setta fatta per modello si distruggesse, e pro- cedettero quindi alla elezione di otto maestri perchè eseguissero il modello nuovo sul dise- gno approvato, scegliendo a tal fine Neri di Fioravante, Francesco Salvetti e Benci di Cione architetti, Taddeo Gaddi, Andrea di Bonaiuto, Niccolò di Tommaso, Neri di Mone e Andrea Orcagna, qualificati tutti come semplicemente pittori. Il modello che avrebbe surrogato quello che si atterrava doveva mostrare di essere su- scettibile di quella solida costruzione che Gio- vanni di Lapo Ghini aveva posta in dubbio. li otto maestri si erano accinti all'opera, Vj ma Giovanni Ghini non si era dato per vinto; e considerando la propria virtù nella pratica dell'edificare e il raro buon gusto del pieghevole collega Francesco, nulla curando le ordinanze degli Operai, insieme ad esso si apprestò a contrapporre un nuovo modello a quello al quale il collegio de' maestri attendeva. Nel 31 maggio 1367, a nove mesi di di- — 30 — stanza dal concorso descritto, il modello del Talenti e del Ghini era alla presenza degli Operai: Francesco Talenti aveva accondisceso a lavorare col Ghini, ma a lui aveva lasciata la responsabilità della presentazione. Il primo giudizio su questo nuovo e for- zato concorso fu a vantaggio del modello dei maestri; se non che gli Operai ad esuberante cautela avendo desiderato che più Commissioni dovessero consigliare, una ne riunirono nel 24 di luglio, una nel giorno seguente ed altra nel 31 di quel mese, le quali dettero tutte resultati a vantaggio del modello del Talenti e del Ghini e non perchè fosse disconosciuto da alcuno essere il modello degli architetti e pittori più maestoso e più bello, ma perchè era comune parere fosse nell'altro maggiore garanzia di solidità. La differenza sostanziale fra i due modelli consisteva fino da principio in questo ; che mentre il Talenti ed il Ghini svolgevano i bracci della croce del tempio al di là di cin- que valichi, in un aggregato di vani dove in cinque tribune potessero capire in ciascuna tre — 3i — sole cappelle, gli architetti e pittori in modo più sontuoso e magnifico, siccome al presente si vede svolgevano il loro piramideggiante aggregato al di là di quattro valichi soli, su tre invece che su cinque tribune, dotate di cinque cappelle ciascuna, atte egualmente a sostenere una cupola della dimensione di quella ideata dal Talenti e dal Ghini. Rinunziare alla bellezza per tema della solidità quando artisti come Francesco Sal- vetti e Benci di Cione protestavano che i difetti notati nel modello degli Architetti e pittori apparirono solo perchè il modello stesso non era stato eseguito ad esatta norma del disegno, non poteva che dolere, giacché il fine della Repubblica o del popolo fioren- tino era stato sin da principio quello di avere un tempio il più perfetto e sontuoso possibile; e perciò gli Operai ricorsero ancora ai con- soli dell'arte dalla quale emanavano (i) per ottenere nuovamente consiglio ; ma la rispo- sta fu che essi Operai trovassero modo che con ogni sollecitudine si facesse il lavorìo della chiesa, bello, utile, forte ed onorevole per il Comune ; risposta insufficiente per gli Operai (i) Santa Maria del Fiore era in guardia dei Consoli dell'Arte della Lana. — 32 — zelantissimi, da che essi non avevano mai pen- sato a fare altrimenti e si trovavano astretti perciò a convocare ancora una volta nel 9 di agosto del 1367 un nuovo Consiglio, dove i commissari che furono Niccolò di Francesco da Barberino, Frate Jacopo di San Marco, Frate Benedetto dal Poggiuolo e Taddeo prete di San Pier Maggiore dichiararono solenne- mente prendere essi impegno di rendere con i loro studii forte il disegno che era univer- salmente piaciuto (1). M. Francesco Talenti e Lapo Chini erano vinti ; ma restavano nel loro ufficio di capomae- stri per la continuazione della fabbrica. Paghi una volta gli Operai del definitivo disegno, vollero che d' allora innanzi si fosse certi che il tempio per cagione di mutazione di forme non avesse più il fermo ; e richiesero ai Consoli quel decreto che prontamente di- (1) Si sa che questi valentuomini nulla modificarono alla esterna decorazione del modello degli otto maestri che garantivano- rendere solido al pari di quello del Talenti e del Chini ; e che poco o nulla variarono per l' interno ; il che dimostra che erano nel vero Francesco Salvetti e Benci di Cione quando, protestando in favore del modello degli otto maestri dicevano che se si riscontrava in esso difetto di statica egli era stato eseguito a perfezione, secondo le idee degli autori. — 33 - steso ordinava che il modello murato di Santa Maria del Fiore, approvato nel dì 15 dicem- bre 1368 dovesse essere considerato dai ca- pomaestri delegati al lavorìo come il tipo esatto al quale dovevano attenersi, imponendo al proprio notaro di dar giuramento a questo fine ai maestri medesimi, che si sarebbero se- guiti nell'opera fino al suo compimento, sotto- ponendo a pena pecuniaria lo stesso notaio quando il giuramento non lo avesse deferito, ed ai consiglieri preposti al lavoro e al capo maestro egualmente una multa e la pena più grave di essere cassati dall'ufficio tenuto. l chiudersi del secolo decimoquarto tutti coloro che avevano avuto parte al nuovo modello di Santa Maria del Fiore erano per legge di natura spariti ; e l'edifizio era ancora ben lontano dall'essere compito. Ma che vale per noi l'avere notizia del come procedesse quell'opera quando dal 1368 in poi il suo di- segno doveva essere eseguito sopra un modello giurato? Si erano inalzati i giganteschi piloni le immense faccie in pietra battuta dell'otta- gono. Si erano cavalcati gli spazi delle navi — 34 - e delle tribune con volte che sembravano adatte a sostenere tutto ciò che l'uomo avesse potuto immaginare di grave, e se le tribune non erano ancora chiuse ciò non voleva dire non si fosse tanto innanzi da non poter pro- cedere al muramento del tamburo e della cu- pola stessa che sorge staticamente indipen- dente dagli aggregati delle cappelle, le quali non concorrono al sostegno di essa che per la apparente solidità. Noi troviamo infatti che nel 1409 è già inoltrato il tamburo che sottostà alla cupola, e che solo nel 1421 si chiude l'ultima tribuna; segno palese che l'una costruzione è indipen- dente dall'altra. m Strana è la questione di questo tamburo della cupola che la tradizione e il Vasari avevano fin qui attribuito a Filippo Brunel- leschi, mentre per il documento citato del 1409, e per essere sopra al detto tamburo una cor- nice quale avrebbe potuto convenire al mo- dello giurato, cioè a quello dei maestri, viene ad essere negato ad esso Brunellesco (1). (1) Questo valentissimo rilievo é dovuto all'egregio critico d'arte signor Nardini Despotti Mqnspignotti, altrove citato ad onore. — 35 — La prima volta che i documenti ricordano la ingerenza del Brunelleschi al preordina- mento necessario a costruire la cupola di Santa Maria del Fiore è nel 141 7; ma è nel 141 7 che egli è sentito la prima volta per Santa Maria del Fiore, o piuttosto fu egli in grado di avere influenza su questo edifizio prima e quando non si era ancora inalzato il tamburo ? Perchè tornato in patria da Roma con fama di avervi sapientemente studiato non poteva aver esso fatto accettare alcune modificazioni al vecchio disegno, quando si vede che oramai esattamente non ci si interessava a star più al vecchio modello, come lo dimostrano le balaustrate sulle estreme linee del tamburo all' interno ? Bisogna togliersi oramai dalla mente che il Brunelleschi sia l'autore del modello della cupola di alcuna sua modificazione se non decorativa, perchè continuando a tener lui per l'autore della medesima bisognerebbe credere che nè Francesco Talenti nè Giovanni di Lapo Ghini avessero pensato a cuoprire la parte mas- sima del Tempio, o non vi avessero pen- sato nel loro disegno i maestri, mentre, come abbiamo veduto, dalla istoria della chiesa gli uni e gli altri avevano preordinato le otto - 36 faccie della tribuna maggiore a sostenere un tamburo quale ora si vede, e la cupola in forma acuta, siccome quella che ci ha il Bru- nelleschi inalzata. onfutate vittoriosamente sono oramai per virtù dei documenti le favole del famoso concorso mondiale che il Vasari scrisse essersi tenuto in Firenze nel 1417 (1); e solo resta di vero che bandito nel 19 aprile 141 8, uni- camente nella città di Firenze, un concorso, non già per un modello di cupola, ma per modelli dell'armatura e ponti necessari alla costruzione della medesima, non vi corrispose alcuno che non fosse toscano, o più precisa- mente, che non abitasse allora fra noi, senza che nulla accenni all'aver preso parte al concorso medesimo alcuno artista straniero. Il documento pregiato che concerne questo cimento, che è oggi di pubblica ragione e si con- serva nell'archivio dell' Opera, a maggior chia- rezza del fatto dà i nomi dei concorrenti, che furono : (1) Su questa bella questione si vedano i documenti pubblicati dal Comm. Cesare Guasti nella sua pubblicazione sulla cupola ; ed il lavoro critico sul tema del già ricordato signor Nardini Despotti Monspignotti . - 37 - Filippo di Ser Brunellesco - Manno di Be- nincasa - Maestro Giovanni dall' Abbaco (uno dei più insigni matematici del suo tempo) - Andrea di Giovanni - Giovanni d' Ambrogio - Matteo di Leonardo, detto Matteaccio - Vita da Pisa - Lorenzo Ghiberti - Piero d' Antonio detto Fannulla - Piero di Santa Maria a Monte - Bruno di Serlupo - Leonarduzzo di Piero - Forcore di Niccola di Luca Spinelli - Ventura di Cuccio - Matteo di Cristoforo - Bartolommeo di Jacopo - Simone d' Antonio da Siena - Mi- chele di Niccola Dini - Giuliano d'Arrigo, detto Pesello. Il Brunelleschi però nella presentazione del suo modello aveva avuti a soci Nanni di Antonio di Banco e Donatello suo compagno negli studii delle anticaglie in Roma. Il Brunelleschi e i soci ora detti si pre- sentavano con un modello murato ; in quanto promettendo easi di edificare la cupola senza armatura, più facile e pratico pareva loro poter dimostrare con chiarezza il proprio concetto. Non è nota la importanza delle proposte di ciascuno dei tanti concorrenti ; ma dimo- strano i fatti che quel Lorenzo di Bartoluccio Ghiberti, orefice, cui dobbiamo le porte del Battistero, avesse valorosamente tenuto testa - 3» - al Brunelleschi, ad Antonio di Banco e a Do- nato ; giacché dopo la elezione fatta dagli Operai di quattro commissari per la costru- zione della cupola dopo ai consigli dei più esperti concorrenti ai progetti per la medesima già nominati, veniva egli scelto ad associare la propria opera in un comune intento a quella del Brunelleschi per la esecuzione di un mo- dello definitivo. el 16 aprile del 1420 noi troviamo Fi- 1\| lippo Brunelleschi, Lorenzo Ghiberti e Giovanni di Antonio capomaestro, eletti prov- veditori per la costruzione della cupola, con uno stesso onorario. Quando essi ascesero la Santa Maria del Fiore per dedicarvi 1' opera collettiva la cupola era già stata incominciata a inalzare, giacché fino dal 141 3 abbiamo do- cumento che si era ordinato si ponesse al muo- vere della cupola stessa quella grande cornice che serve nelP interno di ambulatorio e di or- nativa, come già l'altra eseguita prima del- l'anno 1409, e che sta a base al tamburo; e sopra di essa si era murato quel legame di macigni e quella cornice ancora di disegno - 39 - medioevale già ricordata, dalla quale doveva prendere le mosse il muramento nuovo, al di- sopra cioè di sei braccia della interna cornice. La critica moderna ha posto in dubbio con solide ragioni che il Brunelleschi possa essere autore in luogo dei maestri del 1367, ed anche di quelli del 1357, di una cupola internamente praticabile, o doppia ; lasciando i critici a dis- putare sopra una contesa che forse solo i documenti potrebbero esser sufficienti ad estin- guere, convien tener conto che egli fu rico- nosciuto in realtà il più sapiente fra coloro che gli ufficiali avevano preposto alla difficile costruzione, che fu lui che di continuo vi attese, lui che in fine fu gratamente riconosciuto come unico capomaestro ed a vita per la colossale impresa del compimento di Santa Maria del Fiore con quella lanterna o tempietto che la corona ; la quale se è in contradizione mani- festa con lo stile che informa l'opera di Fran- cesco Talenti e dei maestri è, e resterà pur sempre nel suo anacronismo per la elegante sua forma, modello veramente mirabile. DIALOGHI 4 r. dirti il vero, Pietro, credevo di trovare nel primo numero del tuo Osservatore qualcosa sulla facciata del Duomo. Ti sei forse dato per vinto ? — Ah ! Lei fa per farmi can- tai tare, eh, signor Filippo ? Mi sono ar- rabbiato poco dietro a questo bello argomento, ha ragione di farmici tornar sopra! — Pensi alle arrabbiature, e pubblichi un giornale ? — Io non dico che Ella abbia torto, ma oramai che vuol che riprenda quella gatta a pelare ? O non è una questione risoluta ? Non lo sa tutto il mondo che contro le mie opi- nioni stanno i voti di rispettabili accademie, di circoli artistici e infine del plebiscito ? Non sa- rebbe un'audacia il contradire a manifestazioni tanto solennemente espresse? Il popolo, in fatto di lingua e di gusto artistico, è re! — 44 — — Via, via, trova altre scuse ; codeste non reggono, giacché io non vo' discutere nè di ac- cademie, nè di circoli, nè di plebisciti; ma credo che su mille che hanno messa la firma per il voto cui alludi, non ve ne sarebbero dieci che ne saprebbero render ragione. Vedi... mi sono trovato io stesso in una nobile conversazione dove un buon galantuomo, credendo di fare opera santa, tirò fuori la sua brava nota in vantaggio del sistema basilicale, e dopo una perorazione dimostrativa che questo era l'unico partito cristiano e guelfo da adottarsi, ottenne la firma della maggior parte dei componenti il ritrovo, di tre fanciulli, una cameriera, due serve, lo sguattero ed il portiere, mandati a posta a chiamare ; ed avrebbe ottenuto con la stessa facilità quella del cuoco, del cameriere, del cocchiere e dello stallone, se non fossero in quel momento stati fuori di casa. Perciò se hai ancora qualche cosa da dire, di' pure.... Che plebiscito ?.... Nelle cose estetiche il ple- biscito?! fammi il piacere! è vergogna anche a ricordarlo ! — Che vuole? ! quando incominciai a trat- tare la questione della facciata mi pareva di essere in una botte di ferro e di non avere che a persuadere il De Fabris, che altra volta aveva piegato alle mie disinteressate ragioni. Ma lui morto : guarda, dissi, che l'affare peg- giora ! La Commissione esecutiva ed il succes- sore scolare crederanno offendere la degna memoria di lui, condiscendendo alla minima — 45 — variante e non otterremo nulla di nulla. Infatti il Comitato esecutivo della facciata nell'annui!- ziare che al valent'uomo si era decretato un busto e la coniazione di una medaglia avente nel rovescio le tre cuspidi da lui ideate, chiarì che non si era nel falso pensando a quel modo. — Me ne ricordo ; e, se non sbaglio, con- sigliasti che in luogo di un busto in tutto tondo, fosse posto alla memoria del De Fabris un me- daglione in basso rilievo, simile a quelli che già sono in Duomo per Arnolfo, Giotto e Bru- nelleschi da collocarsi precisamente nel luogo ora occupato da quello a ricordo dell'orga- nista Squarcialupi.... (i) dico bene? — Sta benissimo ; ma v' è di più : che io allora feci rilevare la sconvenienza di fare inci- dere la medaglia con la facciata a tre cuspidi quando appunto si stava per fare esperimento dei controversi sistemi ; e fui preso in consi- derazione come sempre ! con questo di ram- marico : che la corbellerìa rimarrà documento perpetuo della pochezza dei Commissari, nella storia del monumento e nei medaglieri. Ma, caro signor Filippo, ecco gente. Abbia pa- zienza un momento, e se lo desidera conti- nueremo. — Fai pure il tuo comodo. (i) Il busto del De Fabris si voleva mettere in luogo distinto dagli altri, fra due porte della parete di facciata, ma prevalse in fine il con- siglio dell' Osservatore, benché non per intiero, perchè questi voleva il ritr.uto a medaglione, e non un busto in tutto tondo; e proponeva che il busto dello Squarcialupi fosse posto in una delle cappelle della tri- buna, il che non fu fatto, - 46 - — Dove siamo rimasti ? — Non te ne rammenti? Alla famosa medaglia. — Va bene. Si deve ricordare che fino dal 1876 quando raccomandai con tanto calore ai miei concittadini la facciata De Fabris (1) pregai il bersagliato autore a non stancarsi a studiare per ogni via la parte controversa, cioè la questione delle cuspidi, certo, come io gli dicevo, che se fosse potuto arrivare a persua- dersi che una cuspide sola avrebbe potuto conciliare le esigenze dei tricuspidali e dei ba- silicali avrebbe giovato se non altro ad otte- nere una tregua per procedere senza interru- zione alla costruzione del resto. — Sta bene, e molti dei nostri amici con- fortarono la tua opinione. — Ed egli pure accettò di tornare per quella parte allo studio, promettendo lasciarla impregiudicata fino che i lavori non fossero giunti all'altezza dei ballatoi ; ma era uomo e non poteva star quieto tutto il tempo che sa- rebbe stato necessario ad arrivare a quel punto, e quando meno me l'aspettavo ricevei una di- mostrazione sul soggetto con tanto di grazioso indirizzo autografo del valente maestro; la con- clusione della quale era che il suo credo non variava di una sillaba insistendo sempre più sulle tre cuspidi, specchio veridico, secondo lui, della interna struttura. (1) Si vedano i miei Appunti di argomento fiorentino. Firenze, 1875. - 47 - — Parlava tanto bene che le parole non gli saranno mancate, eh? — Tanto era eloquente e persuasivo che molti cambiarono bandiera ; e senza il riflesso, fatto da tutti coloro che capivano qualcosa, che una facciata prima di tutto deve essere in perfetta armonia con le parti esteriori degli edifizi, anzi nascere da quelle, sviluppandosi da ciascuna e tutte per così dire riassumerle, sarebbe riescito vittorioso, ed invece per quel- l'opuscolo l'opposizione si rese più manifesta e più grave, sussidiata anche dai pochi, ma seri, che non essendo nè tricuspidali nè basilicali avrebbero voluto essere piuttosto con l'egregio maestro che con gli avversari di lui. — Il De Fabris non aveva dunque molta prudenza. — Noi ne avremmo avuta di più? Io non glie ne faccio un torto; fatto è che egli pare sentisse molto altamente di sè e questo sen- timento lo accompagnò al sepolcro; giacché mai sul proposito delle cuspidi volle cedere in nulla e quello che è peggio dopo la pub- blica approvazione di ogni altra parte del suo progetto non si dichiarò sazio, volle tornar sopra capricciosamente sull 'opera propria la quale siffattamente sconciò da rimpiangere che per il suo buon nome e per il tempio non sia tornato all'Eterno sei anni prima. — Ricordo che quando si scuoprì la fac- ciata non ti peritasti a far conoscere la tua opinione su questo particolare. - 48 - — Alzai la voce, ma fu tutto fiato gettato. Non ricorda che cosa scrisse di me Pietro Fan- fani ? « In un paese dove tutto si fa per titoli e per nomea non è possibile si ascolti la voce di un librainccio o meglio di un rivenditore di libri vecchi. » — Che vuoi ! è così.... e siamo in tempi di democrazia ! — Fatto sta che, ascoltato o no, io non ebbi incensi per alcuno e dissi la verità nuda e cruda valesse quel che valesse. Incominciai col confrontare il progetto approvato con quello eseguito e fui costretto a lamentare che l'opera da me lodata nel 1875 non la ri- conoscevo più ; che vi era sparita quella quiete, cagione prima della universale simpatia ; che i piloni non erano più quelli smussati, meglio concordanti col campanile, diverse le formelle loro e le edicole ; che la lunetta della porta principale nella tela del 1875 era meglio pro- porzionata e di maggiore effetto per il fregio sull'architrave segnato in rosso; che gli sguanci della porta medesima erano straziati dalla nuo- vità delle edicole, fatte unicamente per sodi- sfare al desiderio di uno scultore, tanto grande nell'arte sua quanto meschino in quella di edi- ficare; (1) che i pinnacoli o edicoiette finali dei piloncini di questa porta in luogo dei due angeli in piedi avevano grottesche figure, as- sise non si sa come, i più dicono sopra pre- (1) Questo scultore era Giovanni Duprè. - 49 - delle ; le cuspidi delle porte minori non più sormontate da angeli ad ali metalliche come nel progetto ; non più ricorsi del ballatoio sulle navi minori ; le cuspidi perduta la cara semplicità di quelle approvate, non più circo- scritte da vaghe tarsìe ed ornate sui fondi loro da un solo angioletto nelle laterali, da due figure nella centrale, le une e le altre ideate dal professor Gatti con quattrocentistica grazia; ma sostituite alle semplici tarsìe bianchi e stri- dentissimi smerli, ai sobri ornamenti centrali vere e proprie storie in piena contradizione al buon gusto che avea presieduto alla terza mo- dificazione del progetto. I pinnacoli, decora- zione degna della vetrina di un pasticciere, resi esosi egualmente ai partigiani di tutti i sistemi ; la riquadratura dell' occhio massimo pur essa cambiata, fatta ridicola da brutte fi- gure sporgenti e battezzate per tanti uomini illustri ; l'allineamento degli apostoli inelegante per la fattura delle singole edicole troppo lar- ghe e perciò troppo riavvicinate e con trian- goli in disarmonia con le cuspidi e quello che è peggio col ballatoio che pure, come è avve- nuto, poteva sovrastarle; insomma un tale ammasso di errori che io non seppi giustifi- care e volli indicati perchè si sapesse che se oggi il paese in fatto d'arte ha molti ciechi, v'era qualcuno che vedeva, mi si scusi la pre- sunzione, anche per gli altri. — Ma sai che è strano che sieno state la- sciate fare tante varianti senza che si sia sa- - 50 — puto nulla di nulla e che nessuno di quei si- gnori che stavano attorno al De Fabris, non abbia trovato il modo d' impedirle ? — Si formalizza lei ? Nel paese nostro (non so se anche negli altri) va così. Per creare le Commissioni generalmente non si cercano le persone più idonee all'ufficio che dovrebbero suffragare con le loro cognizioni, ma fra quelle che hanno certe ottime qualità senza curarsi se elleno sieno o no adatte; dal che è avve- nuto ed avviene che quando come nel caso presente, la persona che debbono invigilare si accorga che i commissari messile attorno non abbiano i numeri per tenerla in riga, se ne rida, se li prenda per il naso, e senza un fine minimamente cattivo faccia quel che le piace ; io, senza mancare di rispetto ad alcuno, non saprei che spiegarla così. — Ma per bacco ! non esservene nemmeno uno che abbia avuta la coscienza del proprio dovere, denunziando tante corbellerie, è troppo! — Pare anche a Lei, eh?... ma se me lo permette riprenderemo il discorso un' altra volta, giacché la bile non ragiona, ed io amo di aver digerita quella che mi sento, senza mancare ai doveri verso di alcuno, e dar fine con piena calma e coscienza ad un ragiona- mento nel quale, Le parlo sincero, non ho avuto gusto ad entrare. 18 gennaio 1883 II. iprendendo il discorso della Fac- ciata devo dirle che quando ebbi messo fuori quel cumolo di rilievi, vedendo che nessun giornale mi aveva seguito, dubitai d' averne dette delle grosse, tanto più che essendomi rivolto alla Commis- sione esecutiva di quel lavoro perchè sospen- desse il ricuoprimento dell'opera e rimettesse fuori la tela del Gatti affinchè il pubblico avesse avuto agio di farne il confronto, non mi si era dato il minimo ascolto. — O non te lo dicemmo subito che non ne avrebbero fatto nulla perchè proponevi la loro condanna? — ■ Confesso che io avevo avuta sempre piena fiducia nella lealtà di quei gentiluomini, nè alle mille miglia pensavo al pulcino che - 52 - Ella mi messe in testa; fatto sta che a me non ritornò il fiato in corpo fin tanto che non ebbi la gradita sorpresa di vedere entrare nel mio negozio sorridente come al solito, indo- vini chi ? Nè più nè meno che l'autore della bella tela invocata, il prof. Annibale Gatti ! ■ — O che veniva a fare? — Veniva a stringermi la mano, a congra- tularsi meco per la franchezza spiegata e senza la quale, diceva Lui, sarebbe rimasto ancora sotto l'incubo di qualcosa che l'opprimeva senza che egli riescisse a liberarsene. « Ma che si gira? esclamava: lei non può avere una idea del come io sia restato quando ho ve- duto scoperto il lavoro che è costato a me pure tanti studi concordati col De Fabris; io non lo riconoscevo più. Nel tempo della ese- cuzione avendone sentito qualcosa, all'amico e collega avevo domandato schiarimenti; alla qual domanda fattosi serio rispose la prima volta a denti stretti e senza concludere; un'al- tra volta nulla! e allora, non ostante ci ve- dessimo spesso a motivo della Commissione delle Gallerie, su quell'argomento, per non es- ser costretto a romperla affatto, non si tornò mai più; finalmente il responsabile era lui, ma non avrei mai potuto credere che si sarebbe indotto a tradire 1' opera propria fino a tal punto ! » Questa spontanea testimonianza, unita a quelle di uomini di incontestato buon gusto, che già avevano suffragato i miei rilievi, mi diedero coscenza a non abbandonare quell'ar- ~ 53 - gomento ed a tenermi pronto a riprenderlo quando da un momento all'altro se ne fosse presentata occasione. — O perchè non declinasti immediatamente il giudizio del Professor Gatti? — Lo tentai, non ostante che per la timi- dità e nobile modestia di quell'artefice egregio fossi sicuro che gli avrei procurato un momen- taneo disgusto; ma le colonne dei vari giornali aperte a tutti.... a parole, furono chiuse erme- ticamente a me, che non stando agli estremi ma al centro, cioè nè con i fautori della tri- cuspide, nè con i basilicali fui messo addirit- tura fuor della legge, (i). — E tutto in omaggio alla libertà della di- scussione, eh ? — Lasciamo andare. Fu allora che la De- putazione per la facciata con una virtù che io non le invidio, fece quella mirabile giravolta; e quello che accadde è inutile io lo ripeta (2). La proposta da me fatta, e forse da me solo sostenuta, di dare alla facciata una cuspide unica, quella del De Fabris quale l'aveva dipinta il Gatti, ma senza le foglie rampanti e senza i pinnacoli, non fu nemmeno ricordata non che discussa nella famosa Assemblea legislativa su (1) Nemmeno la Gaietta d' Italia, che aveva pubblicati i miei arti- coli sulla istoria delle facciate, volle accettare quello con gli apprezza- menti sulla facciata eseguita. (2) Un solo commissario fu pienamente coerente nel suo voto al passato, il senatore Leopoldo Galeotti, oggi defunto, senza che per questo io intenda dire che egli avesse fatto cosa lodevole prima. - 54 - questa faccenda; ma quello che è peggio non si tenne il minimo conto delle censure, nè poche nè lievi da me poste in luce circa le parti di questo lavoro già condotte a fine e riparabili con sacrifici lievissimi (i). I giornali seguitarono a pubblicare articoli in favore delle tre cuspidi della basilicale cucinando i sistemi nelle salse più disparate ; il resto fu posto all' indice tutti pari. — O dunque che nascerà da tutta questa confusione? — Non ricorda lo spirito del discorso del- l'onorevole Presidente della Commissione in- nanzi di passare ai voti? Il popolo ha mani- festata la sua opinione, il popolo paga, dun- que sia fatta la volontà del popolo ! — Mi pare che qui si potrebbe fare come 1 legali ; opporre una brava pregiudiciale, giac- ché a quanto suonano i cartelli che si leggono sulla paracinta dei ponti dell'opera in costru- zione in questo nobilissimo accatto il popolo mi pare c'entri per poco, ma per pochino dav- vero ! e che il voto a domandato lui non abbia che quel valore che ti ho dimostrato sul prin- cipio delle nostre chiacchiere (2). — Quello che sarà per uscire dalla bella deliberazione presa chi potrebbe dirlo ? Chi (1) La Deputazione per ia facciata accettò il voto fatto nelP Assem- blea generale convocata per il finimento della facciata medesima, col quale veniva invitata a tener conto delle censure apposte al lavoro, ma n fatto la Deputazione non tenne conto del minimo rilievo. (2) 11 concorso pecuniario del popolo si è fatto di tutto per non averlo, come occorrendo si è pronti a dimostrare. - 55 - ne sa nulla ? Chi si cura saperlo ? Per poterne dire qualcosa bisognerà aspettare che l'opera sia compita e allora a chi non piace la sputi. Io sono un pettegolo, uno sfacciato, un pec- catore impenitente, ma metterei pegno che non ne uscirà nulla di buono e non per difetto di virtù in chi vi attende, ma perchè repu- gnano troppo fra loro gli stili che si vuol co- stringere l'artefice a far concorrere al compi- mento di un'opera che nella fronte non doveva dispiegare che una perfetta ed elegante unità. — Temo che tu non dica male (i). — Ha veduto chi ha emesso a suo tempo giudizj sulla facciata del De Fabris? General- mente quelli che avrebbero dovuto tenersi in disparte, quelli che o nei concorsi, o con la parola, o con gli scritti gli furono, per una ragione o per l'altra, perpetuamente contrari. Quelli che avevano dato bello esempio nei disegni loro dei ballatoi orizzontali, da me con fede e costanza sostenuti sempre, non si fecero vivi, gli altri che avevano messi i ballatoi ram- panti sulle navi minori usciron fuori a preten- dere che le loro minchionerie venissero a im- parentarsi con l'opera del maestro che li aveva vinti, in somma ogni emulo si fece avanti a (i) Se l' Osservatore dicesse male lo mostri il fatto compiuto. Si os- servino nella facciata le delineazioni delle navi minori del Duomo in corrispondenza con l'alzato della nave centrale, e si consideri quale mo- struosità non sarebbe stata per Santa Maria del Fiore, sia il far salire i ballatoi od anche semplicemente il porre sui ballatoi orizzontali i non- sensi degli sproni tanto vagheggiati dai fautori del coronamento bal- silicale - 56 - dire la sua onde apparisse anche più chiaro che disgraziatamente non è il solo senso este- tico che è in ribasso ma che il senso morale è qualche cosa più giù. — Questa non l'avevo avvertita. — Del resto torto marcio da tutte le parti ; i tricuspidali a volerci regalare le tre cuspidi come in Siena ed Orvieto, i basilicali a voler compiere il Duomo Fiorentino con il corona- mento del San Carlo, (i) delle cattedrali di Monza e di Prato ; i primi tenendo a base la filosofia, gli altri la storia dell'arte : tutte cose bellissime ma inutili affatto alla questione, giac- ché dove vi ha il monumento che si vuol com- piere conservato come fortunatamente il no- stro, l'una e l'altra sono affatto oziose tanto per discorrerne quanto per operare. E inutile che si confondano ; il Duomo fiorentino fra i tanti monumenti della sua età sparsi in Eu- ropa va solo, può avere lontane parentele con altri sacri edifici ; genitori o fratelli, no certo. Può compiacersi, anzi andare orgoglioso, di essere riguardato come una cosa singolare, pavoneggiarsi della sua meravigliosa ghirlanda, sprezzando egualmente la triplice corona ed il romano fastigio. Ma chi la intende così? Facciano dunque quello che vogliono ; tanto, anche ad aver ragioni da vendere, fu e sarà sempre tutto fiato sprecato. / febbraio 1885 (1) L' Oratorio di S. Carlo in Firenze costituito da una sola nave. III. che punto siamo con questa fac- ciata ? — E questione di mesi : forse prima della fine del prossimo anno sarà definitivamente scoperta, (i) — E delle correzioni da te pro- poste non se ne farà alcuna ? — Precisamente nessuna. — Dunque resteranno anche i famosi ve- scovi alla predella e le edicole della porta maggiore condannate da tutti? (2) — Perfettamente. — Ma non vi è alcuna autorità in Italia capace ad impedire che si compiano simili corbellerie ? (1) Si credeva allora che si sarebbe scoperta nel 1886. (2) Le edicole della porta maggiore, con le figure, come lo chiamò il popolo dei bigliettinai, verso la metà del 1886 si piegava a levarle, ma questa resipiscenza non ebbe luogo per essere stata impedita la cosa dalla autorità superiore. - 5 8 - — Lo scrissi già: contenti i nostri guidaioli, contenti tutti ; tanto più che essendo noi gli Ateniesi d'Italia e standocene quieti, il Go- verno ha tutta la ragione di credere che di quanto si fa a Santa Maria del Fiore nulla lasci a desiderare. — Male, ma male assai, perchè anche quando l'arte era tutta cosa dei Fiorentini e gli artisti veri si contavano a centinaia non trovo che il Governo di questo popolo libero si tenesse estraneo a quanto si faceva dagli artisti stessi, per quanto essi fossero soprav- vegliati direttamente dai Consoli delle arti ; ma il Governo delegava il fiore della cittadi- nanza in ogni parte del sapere per essere certo che ne sarebbero usciti illuminati con- sigli. E di che quei delegati fossero capaci lo mostra Santa Maria del Fiore, monumento discusso parte per parttr, senza riguardo a nomi, fossero essi quello di Arnolfo, al quale si diede di frego, del Talenti, del Fioravanti, di Giovanni di Lapo Ghini, di Taddeo Gaddi e dello stesso Orcagna che dovè stare sulla breccia, pago nella grande opera di vedere adottato il suo consiglio soltanto per la forma delle luci della nave e forse per il modello della ghirlanda famosa. — Codesti erano i plebisciti artistici ai quali ricorreva la repubblica di Firenze. Oggi si va per un'altra via; delle menti illuminate non ci si cura affatto e si conferisce il potere a tre o quattro che nella materia non cono- - 59 - scono nulla di nulla, o si invoca il popolo, il quale darà oggi diecimila voti per la fac- ciata del Matas, domani applaudirà al disegno del De Fabris, essenzialmente diverso, per por- tar quindi le proprie simpatie sopra il mo- dello del Lasinio, il quale, in arte, non può considerarsi come una cosa seria, ma come una aberrazione. — E come si rimedia? — Lasciando andare le cose come vogliono, tanto più che il gridare oggi è ozioso perchè come si disse altra volta il fatto è compiuto. — O se è compiuto non ci deve rimanere nemmeno la soddisfazione di protestare? Mi meraviglio che tu sì caldo per le cose del paese, dopo di aver posta audacemente la mano sul vivo, abbia sì presto abbandonata la lotta. — Avrei durato anche troppo, ma quando ho veduto che il combattere era inutile ho cessato. — Hai fatto male : in codeste cose cedere il campo è danneggiare il paese. — Il paese!... Ma che si cura il paese di quello che si faccia per lui ? Il paese è buono di venire a dirvi : voi fate delle questioni per- sonali - attaccate il De Fabris perchè l'avete con lui - attaccate il suo successore perchè lo avete in uggia (i). (i) All'autore preme di dichiarare di non conoscere che per fama il Professore Luigi Del Moro e che, morto il De Fabris, non avrebbe saputo a chi meglio affidare il compimento del lavoro di lui. — 6o - — Hai ragione : fra noi è così ! Guai a chi tocca al popolo gl'idoli dell'oggi ch'egli si è creato ; mentre poi esso è il primo a sacrifi- carli quando non fanno miracoli ; e sai non li prende garbatamente e ne sostituisce altri alla venerazione ; ma sconsideratamente li rovescia e li mette in men che si dice in frantumi... E, dimmi, dunque fu deciso che il coronamento sarà quello che si forzò il De Fabris a dise- gnare contro la sua volontà, cioè il basilicale? — Sarà basilicale, ma non quello ideato dal De Fabris. — O non fu statuito che si dovesse ese- guire quello ideato da lui? — Fu stabilito ; ed il successore del De Fabris aveva detto che si sarebbe scrupolo- samente attenuto al disegno lasciato dal vene- rato maestro ; ma venuti all' ergo lo prese la smania di imparentarsi con l'opera del mede- simo qualcosa meglio che come assistente e scolare, e quindi disegnati e fatti dipingere sopra un muro del cantiere il progetto del co- ronamento basilicale De Fabris modificato da lui ed altro tutto proprio, sottomesse questi e quello genuino del maestro ai componenti la Commissione esecutiva della facciata, i quali compresi tutti di altissima stima per lo sco- lare, quanto lo furono già ciecamente per il maestro, si trovarono al caso di non sapere che pesci si prendere, o a meglio dire che cosa deliberare. — Bellina I — 6i — — Fu allora che il disprezzato Osservatore si trovò tratto contro sua volontà da un illu- minato e ricco contribuente della facciata a vedere quei tre disegni. — Diversificavano molto quelli del signor Del Moro da quello del De Fabris, o erano questioni di varianti ? — In uno erano questioni di varianti, nè saprei dire precisamente se in meglio (i) ; ma l'altro tanto era sostanzialmente diverso da quello del De Fabris e da quanti se ne pos- sono immaginare che io non potei trattenermi dal qualificarlo per una cosa stranissima. Le basti che le linee finali convergenti erano spez- zate da tanti gradini, formati come ella può intendere da sezioni traforate della famosa ghirlanda, sostenuti al vertice dagli archetti rampanti. (2) — Non si può dire che codesto progetto mancasse di originalità! Quei gradini fossero ideati per collocarvi dei vasi ? Si tratta di un tempio dedicato a Santa Maria del Fiore... e (1) Ricorda 1' Osservatore di essere stato preso da grandissimo sde- gno nell' intendere che si voleva ad ogni modo porre le cornici di base degli archetti in faiso, cioè con l'andamento saliente e raccomandò si facesse di tutto perchè ciò non avvenisse; si fece notare a\Y Osservatore che si era fatto a quel modo con la scorta di esempi ; ma che im- porta appoggiarsi sopra esempi quando questi sono errati e la istoria dell'arte ci fornisce esempi contrari, razionali e felici ! (2) Si intese di rimediare rilegando i gradini con una cornice finale, ma la vagheggiata idea dei famosi gradini è restata visibile perchè i triangoli fra la cornice ora detta e le sezioni del ballatoio si sono la- sciate vuote ; errore che farà riuscire anche più meschino il corona- mento insensato. — 62 — non mi farebbe caso che si volesse mettere lassù una bella selvetta di gigli !... E come ne escisti tu ? — Dissi che essendomi mostrato aperta- mente avversario del coronamento basilicale non avrei potuto dare uno spassionato giudizio su quanto vedevo ; ma che senza entrare nel merito del sistema non trovavo corretto che si sostituisse nel sistema stesso un disegno diverso da quello lasciato dall' autore della restante facciata. Quanto al frontespizio a gradini ve- devo inutile di porlo in discussione, certo che non si sarebbe trovato nessun Commissario di così poco senno da favorirgli il suo voto. — E come è finita? — Messi i cani al bosco dall'amico influente che mi aveva condotto là e si era persuaso della enormità del progetto a gradini, nacque nei componenti la Commissione esecutiva una corrente contraria al progetto stranissimo ed anche una certa opposizione a che si com- piesse l'opera del De Fabris con i criterii dello scolare ; ma mentre la Commissione ese- cutiva rigettava senza discussione il lavoro originale e con un voto di maggioranza quello modificato, la Commissione consultiva dei mo- numenti con un voto di maggioranza in senso contrario riportava a galla il progetto modi- ficato che è quello che per quel voto ha oggi esecuzione : e si noti che quel voto fu gettato nell'urna da chi sempre avea sostenuto il De Fabris approvandolo in tutto. - 63 - — Il morto non poteva più patrocinare la propria causa ed è naturale che sia finita in questo modo (i). — Ma che cos'è allora questa ipocrita ve- nerazione per il De Fabris quando, se torna, si tratta così ? Ella si deve ricordare che tre anni fa feci nascere un decreto per il quale ogni novità di quel maestro attorno alla vec- chia fabbrica di Santa Maria del Fiore, fosse severamente assoggettata alla Commissione consultiva e che fu ingiunto al maestro me- desimo che cessasse immediato dalla rinnova- zione ed alterazione degli sproni delle tribune ; lavori che l' Osservatore aveva provato esser fuori d'ogni ragione e di pieno danno all' in- sieme del monumento. Quel decreto fu conse- gnato in proprie mani al De Fabris il 27 aprile 1882, ma corso egli a Roma e veduto il giorno dipoi il Ministro della Pubblica Istruzione ot- tenne che l'opera condannata non fosse a pre- giudizio della propria riputazione immediata- mente abbattuta ; ma il De Fabris è morto da due anni e la innovazione iniziata da lui attorno alle tribune di Santa Maria del Fiore resta ancora ; e sa perchè ? Perchè si dice che dallo scolaro non si osa di cancellare l'opera infelice del venerato maestro ! Ma il corre»"- gergli il disegno della parte finale della fac- ciata, anzi contrapporgli un progetto tutto (1) E poi il Professore Del Moro non è membro anche egli del consesso che doveva giudicarlo ? Cane mangiò mai cane ~i - 6 4 - originale, è un complimento che si fa alla me- moria di lui ? (i) — Lo scrivesti altra volta tu stesso : se l'arte è in ribasso, il senso morale lo è molto di più. Mi ricordo, a proposito di codesti sproni, che tu innanzi di ricorrere pubblicamente al Ministro Baccelli ti eri rivolto umile e rispet- toso allo stesso De Fabris e che per tutta risposta non fece egli che una correzione alla ripetuta cimasa del piedistallo dello sprone modello, mentre altra volta dei tuoi consigli aveva fatto saviamente suo prò, e se non sba- glio, per cose relative alla fabbrica stessa. — Sette anni prima lo avevo esortato di non portare ad atto una identica decorazione e per allora non ne fece altro. Ma la decorazione allora fatta per prova in calcina la lasciò, perchè non ebbe il coraggio di annientare la bella idea, dalla parte di via Ricasoli, e vi re- sta ancora (2). Si affrettò il novatore maestro a cancellare le corbellerie fatte alle finstre at- tribuite a Giotto dal lato del campanile rimet- tendo le finestre stesse siccome le aveva tro- vate; e quando del tempo sacrificato ad oc- (1) La questione della decorazione di questi sproni dopo dodici anni si è portata oggi al giudizio della nostra accademia, vedremo che cosa sarà per uscirne. (2) Questa del rinnuovamento della decorazione degli sproni delle tribune è la grande fissazione dello scrivente. Oggi nei medesimi si hanno tre tipi : gli antichi, ancora coperti di embrici che rilegano divi- namente per la statica apparente con le cupolette e la cupola grande; quello in calcina dipinta, fatto nel 1875, e che si trova dal lato di via Ricasoli ; e quello in marmo dato per definitivo dal De Fabris, che guarda la via del Proconsolo, -6 5 - cuparmi delle cose del mio paese non avessi ritratto che questo vantaggio mi sembrerebbe di aver guadagnato abbastanza, giacché quelle varianti erano a sufficienza per poter dire che le antiche decorazioni del Duomo nostro erano variate. — Il signor De Fabris sarà stato un egre- gio artista per opere originali, ma a quanto sento non era certo un corretto restauratore. Ma la Commissione consultiva, o il Governo, perchè non obbligano l'opera di Santa Maria del Fiore a rimettere i due sproni con le brave tegole come stavano prima? Non c'è voluto il consenso di alcuno per denaturare codeste parti e sarà necessario oggi di riunire il Con- siglio superiore delle Belle Arti per ottenere codesta riparazione? ■ — Che cosa pensi su tale questione e quello che abbia fatto in proposito lo zelante Ispet- tore dei monumenti nostri e la Commissione consultiva non so ; ma so bene che al succes- sore del De Fabris fu detto in un orecchio da chi lo poteva: « Maestro, quelli sproni, modello De Fabris, sul Duomo non possono stare, li levi sollecitamente » e so che quel personaggio si è anche adontato perchè il consiglio sporto ufficiosamente non è stato ascoltato. — Bene ! E quel personaggio si lascia me- nare per il naso ? — Le dirò.... non vorrà fare un passo falso; sarà anche lui, come i componenti la Commis- sione esecutiva della Facciata, compreso di — 66 — reverenza, e credendo di trovarsi a fronte un novello Arnolfo, un Giotto, un Francesco Ta- lenti, un Orcagna, un Brunelleschi, o che so io, anderà coi piè di piombo per non incor- rere nel pubblico biasimo (i). — Bada, v' è da pensarvi veh ! a mettersi in urto con codesti colossi.... ti gira! architetti di Santa Maria del Fiore, di San Giovanni, di Santa Croce e della chiesa egualmente monu- mentale della Madonna di Loreto, permio ! debbono essere artisti di merito ! a tale da doversi credere che essi stessi non possano non avere inalzate importantissime fabbriche... A proposito, vorresti aver la bontà di ripor- tarmi alla memoria qualcuna di quelle archi- tettate dal De Fabris o dal suo successore, perchè io possa farmi un' idea della loro scienza e del loro buon gusto? — E una enumerazione che si fa presto, e che sono persuaso non sarà per escirle fa- cilmente dalla memoria. Il De Fabris, oltre la facciata, ha fatta la tribuna di Michelangiolo (2) all' Accademia di Belle Arti e.... — E che altro. — .... e con quella ha principiato e finito. — Per una vita sì lunga è anche poco. (1) Che i continuatori dell'opera di quei grandi debbano essere grandi al pari di loro e riprova la memoria decretata al De Fabris per la quale egli è posto quarto dopo il senno grandissimo di Arnolfo, di Giotto e del Brunelleschi ; e dire che di Francesco Talenti è grazia se si trova oggi il nome nei documenti ! (2) La descrizione critica di questa tribuna è nel Nuovo Osserva- tore Fiorentino a pagina IJI. - 6 7 - — Lo scolaro per ora ha inalzato il tem- pietto sepolcrale per la famiglia Ridolfi a San Miniato al Monte. — E non altro ? — Di opere dove l'architetto possa fare sfoggio del proprio sapere non credo. Ma guardi che il criterio delle fabbriche non fatte non lo crederei un criterio giusto per giudicare della forza di un artista: sono pochi gli uomini di merito che hanno egregiamente studiato e non sono mai riusciti ad applicare il loro sapere ? Gli artisti che non hanno la fortuna di prodursi, guardiamoli piuttosto nelle proposte che fanno e se queste sieno savie e dieno coscienza che se non hanno fatto sarebbero degni di fare. — È giusta. — Ora, vede, il signor Del Moro, secondo ne hanno dato l'annunzio i giornali, sta matu- rando col concorso della intelligenza dello Ispettore Marcucci, un disegno che se riesce a condurlo a buon fine è sicuro della immor- talità. — E riguarda? — Il riordinamento dell'interno del Duomo. — O che c' è da riordinare ? — Lasciamoli in quiete, il raccoglimento in opere di tale importanza non è mai troppo, quello che meditino lo sapremo a suo tempo. — Diamo retta a te, lasciamoli fare, e con- fidiamo che torni a dare nell' occhio a qual- che autorevole persona lo sconcio di quei ma- ledetti sproni e gli errori rimediabili della — 68 — Facciata da te segnalati ; però è bene di stare all'erta e tener d'occhio alle proposte che su quel monumento potrebbero venir fuori da un momento all'altro, per esser pronti a com- batterle. — Stia tranquillo e non la prenda di petto perchè il progetto di riordinamento del Duomo ho ancora a vederlo porre in discussione ; quanto a me, non tema, son certo che se la questione si presenterà non mi si troverà impreparato... ma a ridere (i). jj febbraio i88j. (i) Chi ami prendere notizia delle preziose proposte per il riordina - mento del centro di Santa Maria del Fiore, può vedere il giornale sopra citato a pagina 161. IV. «4^ ARO Osservatore, affila pure le armi chè la battaglia è vicina. — Che vi è di nuovo? — Come non hai inteso la mia allusione? Lo scoprimento della facciata di Santa Maria del Fiore 1 — Non avevo capito ; e forse perchè è un pezzo che per codesta questione ho riposta la spada nel fodero col sentimento di non occuparmene più. — Da capo 1 Diserteresti il campo sul più bello? Me ne dispiace, perchè contavo che in questa circostanza ti saresti sfogato a buono. — Riduce lei la questione di un' opera d' arte allo sfogo delle bizze? — No, non dico questo: mi pareva natu- rale però che una volta che uno in una que- stione è entrato, debba far di tutto per dimo- strare fino da ultimo che non vi si è impegnato - 70 — a caso e mi pare che tu nelle questioni sia ab- bastanza tenace. — Quando la tenacità possa essere utile, sì, ma quando si debba ridurre a un semplice pettegolezzo, no. Le pare che io sia stato coc- ciuto fin qui ? — Non saprei... ma forse in codesta que- stione della facciata v' è qualcuno che può aver creduto di sì. — Può darsi che, avendo tutti qualche lato debole, io sia caduto appunto in questo, e sarei troppo presuntuoso se intendessi negarlo; ma per quanto io abbia pensato più volte se avessi fatto bene o male ad entrare in quella questione sempre la coscienza mi ha risposto che ho fatto bene. — Sarà. — Vede, non so se gliel'ho detto altre volte ; che ho cominciato a scrivere della facciata del Duomo è da avanti il 1870. Presi la penna allora per difendere il progetto De Fabris, che era stato definitivamente approvato, e lo feci prima perchè era una questione di vera giu- stizia ; quindi perchè se si aspettava che gli artisti e il paese concordassero tutti in un voto , la facciata non si sarebbe certo ve duta mai. — Non sapevo davvero che tu avessi scritto su questo tema fino da quel tempo. — Era difficile che ella potesse saperlo. — Perchè? — Perchè, non ostante il gentile intervento — ?! - dei professori Pietro Stromboli e Giuseppe Ri- girimi, non si trovò giornale che mi fosse cor- tese d'ospitalità. E la sa la cagione? — No. — Perchè allora nessuno voleva sapere del progetto De Fabris, per l'armeggìo che face- vano gli emuli di lui. — Questa è bella davvero per la istoria dell'arte! — Bella o brutta, è così ; come è così che l' Osservatore, giusto sempre nel lodare o bia- simare il De Fabris secondo che il buon nome di lui e l' interesse della patria lo imponessero è oggi riguardato come uno dei suoi detrattori; mentre i nemici di un tempo del bersagliato maestro sono divenuti i consigliatori al suc- cessore del De Fabris della resistenza ai savi consigli, ed anche delle variazioni al compi- mento di un' opera dalla quale per ogni ra- gione avrebbero dovuto tenersi lontani, — Di questo mi pare tu abbia dato un cenno altra volta e convengo che hai perfet- tamente ragione. — Dove stia, e in che consista, il mio mal' animo contro la memoria del De Fabris e contro il suo successore, non so; dovevo plau- dire, o star quieto, quando lodato un disegno, quel disegno nella esecuzione 1' ho veduto va- riato tanto in peggio da non riconoscerlo più in molte delle sue parti migliori ? Non dovevo indicare il modo di correggere gli errori che mi pareva di scorgere nelle varianti, quando - 72 — v'era la fortuna di poter proporre di riparare, tornando l'opera con lieve dispendio alle mo- dalità del vecchio disegno? Non procuravo col vantaggio dell'Opera la riabilitazione della fama dell'artista rimpianto? — Mi pare. — Gli errori da me notati nell' 'Appendice al mio libretto sulla istoria delle facciate (i) convengo che non saranno stati proprio tutti da passarmisi senza discussione ; ma che nem- meno uno dei tanti errori da me segnalati non fosse degno di esser preso in considerazione, non me ne persuado. — Il Comitato a non rimettere dopo le tue censure sotto gli occhi del pubblico il disegno al quale il De Fabris doveva conformare la esecuzione del suo lavoro, ha fatto molto ma molto male ; cosa della quale ciascuno avrebbe sempre il diritto di domandargliene conto; e ap- punto questa è la causa che mi pareva dovesse stimolarti ad uscir fuori ancora una volta. (2). — Fino che ho creduto che il combattere potesse essere utile al perfezionamento del- l'opera l' ho fatto ; ora non voglio saperne più. — Il giorno che si scuoprirà la facciata, tutti i giornali ne parleranno, e il tuo solo re- sterà muto? (1) Vedi appendice alle facciale di Santa Maria del Fiore di Fi- renze, presso l'autore 1884. (2) Gli amici della fama del De Fabris sarà necessario domandino oggi quello clic inutilmente tante volte chiese Y Osservatore : la nuova mostra cioj della tela clic sopra. — Propriamente così. Se X Osservatore vorrà ancora prendere la parola sopra un argomento che è nel diritto di tutti, lo farà, ma solo quando il frastuono sarà quietato, e la pacata discus- sione potrà prendere il luogo delle esagera- zioni che prò o contro non mancheranno di manifestarsi in quella circostanza solenne. — E delle feste che si propongono per quella occasione che ne dici ? — Che cosa ne vuol dire quando non si sa ancora in che cosa consisteranno ? — ■ Intendevo di domandare se in massima approvi che si facciano feste. — Se avessi la coscienza che la facciata, almeno per il suo insieme, potesse riuscire una bella cosa, applaudirei a queir idea : ma sic- come questa coscienza non l'ho, amo che si batta la gran cassa il meno possibile, e se una disillusione vi deve essere sia intima; giacché più solennità daremo alla cosa, più sarà il concorso e maggiore la presunzione della va- nità nostra di aver fatto un'opera straordina- ria quale altri non avrebbe saputo fare; men- tre per tutto il mondo vedendosi oggi cose stupende non v'è nulla di più facile che di rimanere irrisi da quelli ai quali reputiamo di esser sempre maestri. — Tu sai che per la ricorrenza del cente- nario della nascita di Donatello, gli artisti si sono proposti di far qualche cosa, e siccome la onoranza a Donatello s' intende di farla coincidere con lo scuoprimento della facciata, — 74 ~ così i festeggiamenti che si facessero potreb- bero essere giustificati. ■ — Questo sarebbe un argomento buono; ma io, lo sa, fino a che il paese non mostri di onorare gli uomini grandi con i fatti, per i centenari non vi sono. Ci empiamo la bocca giornalmente dei nomi dei nostri artisti più fa- mosi che sono ad un tempo fra i più famosi del mondo, ma come teniamo le opere loro? Ho detto più volte degli edifizi ; ponga ora mente alle opere di scultura fatte da essi, ai simulacri che abbiamo loro eretti, e mi dica come li teniamo, perchè si possa plaudire allo sperpero della moneta nei festeggiamenti. — ■ Hai ragione ; le statue in particolare sono tenute fra noi in modo che fanno pietà. — A questo dovrebbero pensare gli artisti ! alla manutenzione delle opere d'arte, e non alle feste. L' Osservatore offrì, in occasione del cen- tenario di Michelangelo, di ripulire a sue spese le statue degli Uffizi e di Or San Michele; Ubaldino Peruzzi, quello stesso, che forse senza suo desiderio si è eletto oggi a presidente del comitato delle feste per lo scoprimento della facciata, come sindaco, fece la gira della let- tera dell' Osservatore a chi di dovere, e le statue furono senza di esso pulite. La stampa è un pezzo che domanda inutilmente per quelle statue un simile provvedimento : il Comune e il Governo, non vogliono consentire al giusto desiderio ? Facciano gli artisti quello che si era offerto di fare l' Osservatore, ricerchino quindi - 75 - la tomba di Donatello nei sotterranei di S. Lo- renzo e l'adornino per modo da forzare il cit- tadino e lo straniero a peregrinarvi, e per ono- rare Donatello, senza confondersi in altro, essi avranno fatto abbastanza. — Non sai che il Circolo Artistico ha stan- ziato una egregia somma per porre a Donatello una nuova lapide in luogo della presente, sulla casa dove egli tenne lo studio? — L'ho inteso dire, ma non l'approvo. — Perchè? — Perchè se si fosse trovato il luogo della nascita del grande artista, nonostante vi sia già un ricordo per lui nella casa all'estremo di via Calzaioli, presso la loggia del Bigallo, direi: passi; ma mettere una iscrizione alla casa Naldini, già Tedaldi, oggi residenza del Circolo Artistico, perchè nel 1443 vi tenne egli la sua bottega, come già l'aveva tenuta in via Calzaioli, e più tardi nella via degli Spadai, oggi Martelli, e ancora due volte lun- gamente dove è oggi il palazzo Riccardi, nello stesso isolato che comprendeva il palazzo Te- daldi, e chi sa mai prima in quanti altri luo ghi, a me pare un fanatismo da farci deridere e nulla più. — Ho inteso dire che v'è chi propone di annettere a questa iscrizione un busto (1). (1) 11 busto e l'iscrizione sono già al posto, vuol dire che quello che scriveva 1' Osservatore non meritava ascolto ; ma poi ne avremo un'altra più bella : mentre il Circolo Artistico prende impegno di fare un monumento onorario a Donatello in San Lorenzo nella cappella - 76 - — Tanto peggio, perchè la città ha dedi- cata a Donatello una statua nel portico degli Ufizi, e mi pare che basti. Un medaglione, o un busto dell'insigne scultore, possono porlo gli artisti, purché sia degno di lui, dove ho detto, nel sotterraneo di San Lorenzo, dove oggi l'unico segno che lo ricordi consiste in una lapide sempre coperta da una pedana. — Pare anche a me: dunque, niente iscri- zione. — Di iscrizioni, lo ripeto, per me basta quella che vi è : In queste MURA, dice la pre- sente, Donatello e Michelozzo come fra- telli -- LA SCULTURA ESERCITAVANO INGEN- TILIVANO. Cosa vuol dire di più ? Ritenga che se si incaponiscono nel fare una nuova iscri zione sprecheranno più parole e più marmo, ma più bella non la faranno dicerto. — ■ Lasciar passare una occasione così so- lenne senza far proprio nulla è impossibile. — Faranno anche troppo sia sicuro, ma avremo delle feste, delle mostre d'arte, ecc. come oggi ne può fare ogni città di provincia; non v' è da aspettarsi di più. — Che dirai mai I — Io credo di esser nel vero quando dico così. Non si ricorda che cosa diceva il nostro Martelli, l' Accademia delle Belle Arti altro simile ne promette per Santa Croce, mentre il luogo di sepoltura che non può variarsi, resterà quale è, cioè una sconcezza. — 77 - carissimo amico Giuseppe Tassinari ? Diceva che chi ci guida appartiene a quella scuola che di Firenze ha fatto Firenzuola, e se questo sia falso, i fatti giornalieri mi diano torto. — Non consenti nemmeno che per lo sco- primento della facciata si faccia un po' d' illu- minazione? — Questa sì, perchè del resultato felice di veder compiuta quell'opera che onora chi l'ha de- siderata e largamente sovvenuta, la città è sem- pre in diritto di gioire e la illuminazione della piazza del Duomo e dei principali edifizi citta- dini la consento, purché non fatta con gli ac- catti, non da qualcuna delle solite combriccole, ma dal Comune, perchè è il solo Comune che ha il diritto e il dovere nelle grandi circo- stanze di rappresentare la città. — Il Comune è povero; non lo hai inteso anche per la bocca del nuovo Sindaco ? — Il Comune è vergognosamente gretto e, non mi perito a ripeterlo non conosce la pro- pria dignità ; e per conseguenza abbassa quella del paese che rappresenta. Quindici o venti- mila lire, quante potessero occorrerne per la illuminazione che io dico, non graverebbero che per dodici o quindici centesimi a testa la nostra cittadinanza; e sono sicuro che non vi sarebbe il più miserabile cittadino che si la- gnasse per cotesta cosa di un simile dispendio: è giusto che per esonerare da una così mise- rabile quota la cittadinanza si permetta che vengano frecciati i cittadini da coloro che si - 7» - propongono di festeggiare l'avvenimento con una delle solite collette ? (i) — Hai ragione ; ma sai che cosa ci rispon- deranno a sostenere codeste idee ? Che lo fac- ciamo per non metter mano alla tasca. — E noi, che per le cose utili e decorose non ci siamo rifiutati mai, li lasceremo dire, 23 maggio 1886. (1) Dopo 1' Osservatore prese la parola su questo argomento il va- lentissimo scrittore Pietro Coccoluto Ferrigni, sotto il nome di Yokick, e diede un bel crollo alle grettissime idee che dominavano in Palazzo Vecchio, ma le collette non cessarono e duravano ancora il giorno che il Consiglio Comunale, finalmente persuaso che con quel mezzo non avrebbe potuto fare nessuna cosa con garbo, si è lasciato andare a stan- ziare per le feste, che l'opera non potrà giustificare, la somma di Lire trecentocinquantamila. Sempre così da un estremo all'altro, e l'accatto non si vide cessare ! V. — Protesto che nelle mie chiacchiere di mira non prendo mai alcuno; costretto spesso a parlare degli uomini o dei magistrati nelle cui mani è la pubblica cosa, astraggo sempre 1' uomo dall' artista o dal magistrato, a meno che non sia per rendere qualche testimonianza che io creda di far pubblica perchè in van- taggio della persona acquisti valore. — Lo so, lo so che ti comporti così; fa- cevo per costringerti a far due parole, per trascinarti ancora sopra ad un argomento che hai protestato più di una volta esserti venuto in uggia. — 8o — — Guarda che anche Lei viene oggi a di- scorrermi del Duomo ; ve ne sono stati pochi ! Non sa che per togliermi alle dispute, avevo fatto proposito in questi giorni di prendere un po' il largo da Firenze, per non tornarvi che a cose deliberate? — Dove vuoi andare ? credi che sentendoti fiorentino non ti perseguiterebbero per tutto con la stessa questione ? Via via.... resta a casa e convieni che hanno fatto un bel tiro. Ti gira ! Quando nessuno se lo aspetta, quando tutti i Comitati, grossi e piccini, stanno fa- cendo i conti a soldi e centesimi di quei pochi che hanno raccolti con le questue per poter mostrare al mondo che Firenze sa ancora fare le cose alla grande e con dignità, eccoti il ministro del tesoro del Comune che chiusa la Cassa forte, mostrando la chiave, promette, mediante la sua scienza cabalistica, di far ca- dere su Firenze una pioggia di lire così grande non solo da supplire alle spese delle feste, ma Dio sa a quante altre belle cose, compreso un centomila lire di regali che con generosità tutta nostra sapremo spandere, oltre che sul- l' Italia, quando lo si desideri, anehe su tutta la superficie del globo. Sorridi e non replichi? Sei divenuto un egoista anche tu? Ti sarebbe venuta in uggia anche l'umana felicità? — Sorrido perchè non mi sento forza di ridere; non parlo perchè non saprei che cosa dire. — Via non fare il burbero! Convieni almeno - 8i — che è una bella trovata. Ti gira! Quando per le proprie necessità non si vogliono spendere i denari che si hanno in borsa, il poterne avere dalle borse degli altri tanti da poter fare i nostri comodi rimettendo uno a chi ci ha dato cinque, lasciando arcicontento chi ce li ha fatti scivolar per le mani, non è una bella cosa? — Bellissima.... ma io incomincerei dal do- mandare se è morale. — Finalmente tu parli; apri la questione! Mi basta.... non sai che oggi è ammesso ge- neralmente che lo Stato, un ente qualunque, ed anche un individuo che per qualche ra- gione possa ridersi delle leggi, la società nulla trova a ridire se esso raggiunga il fine che si propone anche con immoralità di mezzi ? Ora via, una volta che lo Stato concede ai nostri amministratori di fare una lotteria per- chè per essa venga tenuto alto il nostro de- coro, mi pare che condannare una tale opera- zione sia eccessivo. — Decoro! Che cosa è il decoro? E decoro, secondo Lei, i' invitare il mondo a venire nella nostra città, ad ammii are i nostri sfarzi, quando per farli non si è stati contenti di battere ad ogni casa dentro la nostra cinta, ma con la ciarlataneria dei giornali si è tentato sorprendere la dabbenaggine degli italiani e degli stranieri perchè ci forniscano il denaro necessario a fare i vanitosi ed i grandi? (i) (i) Anche questo argomento fu trattato dopo l'Osservatore ecia for- tuna dal Ferrigni, e di prestito non si parlò più. — 82 — — Eh... ma... — Lasci stare gli eh e i ma. Bello è nei grandi infortuni di città o provincie valersi dei mezzi delle collette e delle lotterie che io sono costretto qui a condannare, concedendo codesti vantaggi a società che abbiano il fine di un qualche servigio internazionale od uma- nitario, come ad esempio il soccorrere a spe- dizioni di arditi viaggiatori o a Società filan- tropiche, come quelle della Croce Rossa, ed anche è bello che lo Stato aiuti quelle città che, come di recente hanno fatto Torino e Milano, sappiano chiamare tutta la nazione al cimento onde si abbia per esse lo specchio dei progressi delle scienze e delle arti, oltre che della città che si propone la mostra, della na- zione tutta ; ma è decoroso che noi, che nel momento non possiamo accampare nulla di serio, domandiamo privilegi al Governo per il solo fine o di sprecare il prodotto in po- chi giorni, o di vantarci per esempio di aver fatto in bronzo le porte del Duomo, mentre tutte queste cose non si farebbero che col de- naro degli altri ? Dignitoso quel popolo ospitale come egli si annunzia da sè sui canti di tutte le vie! che si propone le feste, prima per mun- gere i denari dalla Nazione, quindi per far pagare lo scotto a chi venga a vederle, giac- ché anche per le proteste di coloro che ama- vano che le feste si facessero sollecite il fine precipuo è dimostrato non esser che quello di fare un largo interesse ! - 83 - — Avrei scommesso la testa che avresti concluso così. — Io non ho concluso nulla ; perchè prima di arrivare a prendere una conclusione mi sa- rebbe necessario di fare una requisitoria da non finirla più. — Veniamo al fatto. Oggi a tutti è venuta la manìa delle feste e i danari non vi sono ; ergo ? — Quando vengono le voglie e mancano i mezzi si fa come le donne incinte; ci si tocca dove è bello il tacere, e tutti lesti. — Sempre Spartano tu. — Ma venga qua Lei, che per ironia e tanto per farmi ciarlare parla di decoro ; non sa che se le Casse del Municipio rigurgitassero d'oro, sulle feste dello scuoprimento della facciata, ripeterei sempre quello che ho già stampato, cioè, nulla feste? — Impenitente 1 — Sì, nulla feste ; perchè l'opera per la quale si fa tanto rumore è imperfetta e si do- vrà correggere con scapito grande della fama di buon gusto che godeva il nostro paese: (i) (i) L'autore ripete qui la sua ferma convinzione che unico mezzo per restituire alla facciata la sua bellezza sia il far getto del presente coronamento, ritornando al disegno De Fabris approvato nel terzo con- corso, meno che per le cuspidi delle navi minori e per i pinnacoli, dei quali non é a parlarsi più ; non si illudano i fautori ad oltranza del co- ronamento basilicale ; a Santa Maria del Fiore non è possibile che un coronamento saliente secondo le leggi dell'architettura ogivale, giacché se i loro triangoli ottusi su questa fabbrica posassero anche dicci metri più in alto, invece di accrescere grazia e maestà al gigantesco lavoro non servirebbero che a renderlo più sproporzionato e più gofto. La cuspide - 84 - nulla feste perchè chi ha negato all'opera i mezzi di esecuzione è ridicolo venga fuori con le collette per fare una baldoria. — Bada che non ti sentano ! Non vedi che su tutte le cantonate non si parla che di que- sto lavoro della più grande opera d'arte del secolo, come cosa dovuta al popolo ? — Ma che popolo? Del popolo si può dire il tempio di Santa Maria del Fiore, non la facciata: ben inteso però che per popolo s'in- tenda il Comune, perchè quando si lavorava al monumento superbo non si collcttava o quo- tava per esso alcun singolo cittadino, ma la repubblica, che aveva data in guardia la sua cattedrale ai consoli dell'arte della lana e vi provvedeva con la borsa di tutti per le gra- vezze che a quell'oggetto aveva accresciute ai suoi dazi. — Dunque a spese di chi diremo che è fatta questa magna facciata? — Le spese dei concorsi per la medesima credo uscissero dalla soscrizione fatta dal po- polo fiorentino nel 1858; ma nella facciata propriamente detta credo che il popolo stesso non ci stia che per una decima parte della somma che essa è costata; giacché un altro decimo di quella somma fu sottoscritto da disegnata dal De Fabris e vagheggiata dallo scrivente dovrebbe essere liberata dalle foglie rampanti delle quali egli l'aveva adorna ed essere ingrandita dello spazio che queste avrebbero occupato, per scendere di- retta nelle sue pendenze al riscontro delle linee interne dei grandi pilastri togliendo cosi la inginocchiatura che il maestro era stato costretto a dare alla base del suo triangolo per rilegarlo con i pinnacoli. - 85 - Vittorio Emanuele, e gli altri otto decimi sono stati sopportati dall'aristocrazia del sangue o del denaro, la quale ha assistito l'opera in modo che senza sospensione di un* ora ha potuto giungere al suo compimento. Ora do- mando io, questo popolo che non ha avuto la costanza dopo di essersi consociato di con- durre l'opera oltre il suo iniziamento, è bello che concorra o contribuisca a festeggiare il compimento dell'opera stessa come se fosse una cosa fatta proprio da lui, con una somma destinata ad andare in fumo e nient'altro ? — No. In questo avevi ragione fino da prin- cipio quando ti opponesti agli accatti, e consi- gliasti che se pur qualcosa si voleva fare si facesse a pubbliche spese. Dimmi un poco ; ora che hanno deliberato che le feste sieno rimandate al I887 come si fa a rimediare a quelle che pur dovevano aver luogo in onore del quinto centenario della nascita di Dona- tello ? — Lo sa Lei con precisione in che anno è nato Donatello? Nel 1427 facendo egli la sua portata per mano del compagno e socio Michelozzo ci dice che allora egli era nella età di anni 41, ma non esistendo di quel tempo atti di nascita, non è difficile che qualcuno ci venga fuori col dubbio che Donato abbia te- nuto conto nella denunzia dei mesi che poteva avere in più ai 40 anni compiti ed entrato nell'anno abbia detto 41, e allora si tornerebbe in perfetta regola e le feste di cui discorriamo — 86 - potrebbero aver luogo egualmente nel 1887 a quel modo che si era proposto per il 1886. — Mi torna. — Eppoi se non torna a Lei certe cose vi è sempre chi pensa a farle tornare, quando si sono potute inventare e porre in un documento pubblico una serie di bugie come quelle ado- perate per condurre l'affare del Canale Maci- nante.... (1) — Si può far tornare ogni cosa, eh? Ca- pisco. E il bello si è che questa volta a pro- posito di Donatello gli accomoda tutto si pos- sono servire come vogliono, perchè lui non protesta davvero ! — Stia tranquillo che con la gente con la quale l'abbiamo da fare anche se i morti fos- sero in grado di protestare sarebbe lo stesso. — Dimmi un poco, tu che avvicini tanta gente e di tutte le classi: è vero ciò che ho letto in alcuni dei più reputati giornali di Fi- renze che la cittadinanza in generale ha ap- plaudito alla proroga dello scoprimento ? — Io posso dirle che nel giorno che si sparse quella notizia e nel successivo, sono stato ricer- cato da cento persone della cagione della pro- roga stessa, e che non ne ho trovata una sola che non si sia mostrata scontenta di tal fatto. — Codesta notizia fece impressione anche a me, parendomi che in faccia al mondo si facesse la figura di burattini ; giacché nel 1884 (1) Vedi Nuovo Osservatore Fiorentino, pag. 321. -8 7 - si era fatta correr voce che nel maggio del 1885 avremmo avuta la facciata scoperta, mentre nel- l'avvicinarsi a quel tempo si fece sapere che sarebbe stata scoperta nel maggio di questo anno, e quindi non più a maggio, ma definiti- vamente ad ottobre. E vero che fin dal giorno che si prese questa definitiva deliberazione certi signori vennero fuori a dire che il tempo era troppo breve perchè la cosa potesse aver luogo con quella pompa solenne che essi, senza avere i denari, pare avessero nella fan- tasia dovesse riuscire; ma è vero altresì che il tempo a dar vita alle sciocchezze immagi- nate da loro sarebbe stato anche troppo , come è vero che più denari ci fossimo trovati a disposizione e più tempo, gli uni e l'altro non ci avrebbero potuto servire che a farci canzonare di più. — Sarebbe stata una sciocchezza anche l' idea della esposizione regionale ? — Per Firenze, ed in questo tempo, a me pare di sì ; perchè Firenze può fare la sua mostra regionale in tempi ordinari, e non quando essa invita in casa sua tutto il mondo, avvezzo a vedere ben altre cose. Torino e Mi- lano ce ne hanno dato l'esempio. Firenze che gode la fama nel mondo di Torino e Milano, dopo la volta di Roma a cui ora spetta una mostra mondiale, deve tendere ad una mostra italiana. Quello che essa valga nelle sue indu- strie e nelle sue arti, quello che valga la re- gione in proposito non è mancato fin qui il — 88 — mezzo di farlo conoscere in Italia ed altrove. Perciò io ritengo che in una mostra regionale dove Firenze non può a meno di avere la pre- valenza, e dove essa non sarebbe cimentata ai grandi confronti ella non farebbe mostra che di una non lodevole vanità (i). — In questo mi pare che tu abbia ragione, perchè il conseguire una medaglia d'oro od anche un diploma d'onore in una mostra re- gionale, per quanto meritato, mi pare che agli occhi dei più debba equivalere ad una meda- glia di bronzo ottenuta in uno di quei cimenti nazionali di cui ora hai parlato. — Meno male che siamo d'accordo in questo. — Ora che le feste sono prorogate e cre- devo di vedere andare tutti i piccoli Comitati a rifascio, hai veduto eh come si sono impen- nati ? Ve ne sono di quelli che come altrettanti Comitati di Salute pubblica, si sono dichiarati in permanenza; protestandosi più zelanti di prima a cercare di togliere dalle tasche di quanti potranno arrivare, il più che sarà loro possibile, per giungere al fine glorioso di dar delle feste da non avere invidia a quelle che nelle grandi circostanze si sogliono fare a Sca- ricalasino, a Santa Fiora e a Turicchi ! (2) — Peccato che tutto questo zelo i bravi signori che fanno parte oggi dei Comitati, non lo abbiano spiegato quando facevano difetto i (1) Anche questa idea fortunatamente non ebbe seguito. (2) Questo articolo ed altro del citato Ferrigni fecero sparire anche tale sconcio. -89- danari per mandare innanzi più alacremente i lavori della facciata, e non abbiano impedito col mezzo delle sottoscrizioni paesane, ma con quel mezzo soltanto, che il più dispendioso ornamento della facciata, la Vergine scolpita dal Sarrocchi, non resultasse fatta a spese di chi si vanta ancora loro Granduca, da Ferdi- nando IV! ■ — Qui veramente del decoro ce n'è stato pochino ; ma che vuoi ? le cose oramai sono così inoltrate che volendo darti ragione anche in questo sarebbe inutile ; vero è che più vi si pensa e meno s' intende come la cosa abbia potuto finire così. — Si è detto che noi differiamo le feste per cagione del serpeggiare del colera, per non dire che si rimettevano, prima perchè sono mancati i denari che si sperava potessero uscire ancora dalle borse dei cittadini, di continuo per simili tiri spremute e quindi perchè protraen- dole esse avrebbero potuto prendere la im- portanza di un avvenimento nazionale; il co- lera che non ha impedito l'agglomeramento della moltitudine in Genova è sperabile non lo avrebbe impedito nemmeno in Firenze e la festa dello scuoprimento della facciata non sa- rebbe stata meno nazionale nel senso di que- sti signori a ottobre che a maggio se il savio consiglio li avesse soccorsi, come li soccorsero oggi i mezzi meschini : le feste in Italia diven- gono nazionali per la presenza del capo dello Stato, il quale non si muove che per cose che - QO - riflettano il decoro di tutti ; ma è lui che fissa il tempo che crede opportuno di presenziarle, mentre qui lo hanno fissato i nostri rappre- sentanti e quindi lo hanno con massima scon- venienza invitato. — Cornei possibile che a Firenze si sia stati dimentichi di un simile dovere? — Creda che è propriamente cosi. — Bravi ! — Io non so se Ella abbia osservato in tutto questo bel pasticcio delle feste per la facciata una cosa: la parte meschina che si è ridotta a fare la deputazione promotrice per la ese- cuzione della medesima. Essa che si era as- sunta con abnegazione fino a questo momento ogni responsabilità, a un tratto si è lasciata esautorare dal Comitato creato per coadiu- varla nella occasione solenne, fino al punto da trattare esso per lei anche il tempo dello sco- primento, invertendosi fra i due enti esatta- mente le parti. — Di cotesto mi ero accorto fino da quando prendesti ad esaminare il programma del Co- mitato centrale. — Ebbene non ostante che i signori del Co- mitato esecutivo fossero presso che tutti del parere che lo scuoprimento non si dovesse oramai rimandare dal giorno stabilito, hanno dovuto inghiottire la pillola, ed accettare quello che si era intavolato per loro, col solo fine di non fare scandali, per quanto con quella — Qi — acquiescenza non potessero esser sicuri se al paese avrebbero fatto più male che bene (i). — E ora o bere od affogare, eh? Come ne usciresti, tu? — Io? — Sì tu; parla franco come al solito. — Io nella questione dello scuoprimento della facciata sono sempre del parere che ho espresso con la stampa e che ho ripetuto ora a Lei: cioè che la Facciata una volta sco- perta bisognerà tornare a cuoprirla e perciò che si debbano remuovere al più presto pos- sibile le abetelle e le stuoje senza pompe d'in- viti e come cosa di famiglia, per poter giudicare l'opera con calma e correggerla col confronto del progetto solennemente approvato, che ten- gono sotto chiave; rimettendo non solo la festa profana, ma anche il Te Deum al 1889 a facciata propriamente finita. — Se metti fuori codesta proposta ti farai deridere come un pazzo 1 Cosa vorresti fare in codesti tre anni di tempo ! — Che vorrei fare? Poco; ma tanto da rendere giustificato l'intervento del capo dello Stato ad una di quelle feste a cui nessun Ita- liano potesse negare il carattere nazionale. — Sentiamo, sentiamo. — Invece di domandare un vergognoso privilegio allo Stato, vorrei che i nostri rap- presentanti si portassero in Roma a racco- (1) 1 benemeriti Signori della Deputazione per la facciata, dopo questo articolo ripresero coscienza della loro autorità. — 9 2 - mandare all'onorevole Ministro per la Pub- blica Istruzione che certi lavori che sono ini- ziati da tanto tempo, o che alla città sono stati promessi, si compiessero in questo triennio. — E sarebbero? — La sistemazione del fianco di S. Croce, lavoro che vergognosamente è fermo da oltre un anno ; il restauro della Loggia della Signo- ria, del quale si ordinò la perizia ed i calchi senza che si sia visto più nulla ; la sistema- zione dell'oratorio di San Michele, onde la loggia elegantissima ed il mirabile tabernacolo riprendessero gli splendori di ogni loro ele- ganza ; che si compia e senza tergiversazioni, il restauro di Santa Trinità, quale fu iniziato dal Prof. Castellazzi ; si ripari il musaico di San Giovanni, non si tardi più l'ordine del compimento del Vestibolo della biblioteca Lau- renziana, di cui in bilancio furono già stanziate le somme ; che si conceda al Capitolo di San Lorenzo di poter esso con le lire quindicimila che gli sono dovute, far restaurare la superba sagrestia della chiesa, dove rifulgono presso che in uguale misura le virtù di Brunelleschi e di Donatello ; e quindi passando agli altri, che non sono lo Stato, si consigli a tutti questi Comitati che hanno raccolte somme per una festa che oggi non può riuscire nazionale che per la loro immaginazione, di depositare in luogo fruttifero le somme incassate, per ripren- dere, oramai che iniziata, la sottoscrizione a tempo opportuno, certi che per una festa ve- — 93 - ramente nazionale, concorreranno tutti con una spontaneità che è mancata fin qui ; che si crei una Commissione a quel modo che già proposi nel mio giornale, per la ricerca delle ossa di Lorenzo il Magnifico e per il compi- mento della parete della cappella Medicea a cui il Buonarroti le aveva destinate. — Vorresti ancora qualche altra cosa ? — Codesto che ho proposto finora se non vi fosse altro, sarebbe un nulla, per dare alla festa titolo di veramente nazionale. Vorrei che nel triennio che intercede si portasse come si ha l' idea, la salma del Rossini in Santa Croce, per onorarla nell'epoca designata, insieme al Puccinotti, di monumento, e che si sciogliesse allora quella dimenticata promessa, fatta dal Municipio nostro, di apporre nel tempio me- desimo le memorie a Massimo d'Azeglio e ad Alfonso La Marmora. — Cotesta sarebbe cosa santissima, ma ve- drai che non se ne farà nulla. Hai finito? — No; vorrei che per quell'epoca il Mu- nicipio, rotto alla fine un vergognosissimo in- dugio, avesse dato agio alla ricostruzione della piazza del quartiere del centro, che si deve riordinare, perchè si potesse in essa inaugu- rare la statua equestre votata al Gran Re, nel tempo che in altre parti della città si inalze- ranno contemporanei i monumenti a Bettino Ricasoli ed a Giuseppe Garibaldi, cittadini a cui dopo il Cavour ed il Re, l'Italia deve tanto per il conseguimento della sua unità. — 94 — — Se i fiorentini dessero retta a codeste cose, convengo che per il tempo da te desi- gnato, potrebbero avere una festa nazionale veramente invidiabile e tale da sodisfare con dignità il loro amor proprio, come oggi non lo potranno dicerto; ma credi, a costo di farsi can- zonare, di tutte codeste belle cose non ne fa- ranno nulla di nulla. — O io che lo vado a dire a loro? Ella ha voluto far due chiacchiere ed io ne ho fatte dieci, ecco tutto. Io li lascio fare liberamente quello che credono; li lascio promettere al mondo quello che non possono mantenere; e se anche il nostro paese dovrà subire per que- sto indirizzo una nuova umiliazione mi chiuderò in me, tranquillo nella coscienza di non avere partecipato alle comuni follìe e tanto meno di averle per qualsivoglia modo approvate. 20 agosto 1SS6, \ 1