Digitized by the Internet Archive in 2016 https://archive.org/details/vitedeipittorianOOsmar AL LETTORE LA SOCIETA TIPOGRAFICA DELLA MINERVA II sornmo pregio in che si devono tenere ie Vite de’ Pittori antichi scritte da Carlo Ru berto Dati con tanta grazia di stile, e citate dalla Crusca come testo di lingua, e cosi no- to a chiunque abbia anche la pin breve noti~ zia delle. buone lettere italiane, che non oc- corre che noi facciamo alcuna parola al fine di raccomandare la presente ristampa al fa- vor c del Pubblico. Percio ci limitiamo sol- tanto a ricordar brevemente quello che si e per noi fatto all- oggetto di renderla ben ac- cetta al colto lettore. Si e ricopiata esattamente la milanese edi- zione del 1806, in 8., eseguita dalla Socie- ta tipografica de Glassici Italiani, ch’ e la piu ricca di ogni altra finora impressa. A maggior comodo del lettore, abbiamo inserito nei ri- spettiyi luoghi ai quali appartengono, tutte le postille dell’Autore, che nella milanese si leg- gono solamente in fine del volume ; e profit- tando della conosciuta gentilezza del ch. sig. ab. bibliotecario Francesconi, abbiamo pota- to arricchirla dell’ Indice ( gia noto Moce- nigo ) di tutte le voci citate nel Vocabolario della Crusca. Si e cercato di eseguire la cor- rezione con la diligenza maggiore, e voglia- mo credere che questa nostra edizione otter- ra percio il pubblico aggradimento. Nel 3 o maggio 1821. ELOGIO D I CARLO RUBER TO DAT I XJft esempio deH’uomo dilettere, considerate in qualita di cittadino , di cui 1’eloquente sig„ Thomas con piacevole energia ha descritto i de~ lineamenti, si presenta nella persona del nostro Carlo Ruherto Dati ; ne altro scopo ayra il suo elogio, che di dipingerlo tale, mentre cid ha- stantemente lo fara comparire meritevole delle lodi che ha riscosse dai suoi contemporanei, e della stima che ottiene tuttayia da chi e giusto giudice delle azioni altrui , quantunque la sua yita semplicissima * conyeniente pero alia sua professione , non somministri cose grandi e In- xninose. Nacque egli in Firenze il di 2 otto- bre 1619 da Camillo di Jacopo Dati > famiglia fregiata di tutte le ciyili distinzioni piu onore- yoli (0 , e troyo ch’ era per lui una specie di (1) La famiglia Dati, ascritta nel Qua rtier di S. Spirito Gon- falone F erza , lia avuto un Gonfaloniere , cinque Priori , un Senatore , e molti altri soggetti distinti per inerito e per im- pieghi, siccome apparisce dalEAlbero Geneaiogico che nel 1699 Dati, Vite de’ Pittori, 1 2 ELOGI 0 debito Fattendere alle lettere, giaccbe fra i suoi antenati ne poteva contare un buon numero, il Home del quali in questa camera si era reso glo- rioso. Due fratelii specialmente, nel XV secolo, erano stati celebri per il loro sapere, cioe Gre- gorio,, o Goro di Stagioj gonfaloniere della Re- pubblica fiorentina nel 1428, ed istorico (0, e compilo il P. Lorenzo Maria Mariani in un volume ms. Ella e poi mancata nella persona del sig. Francesco di Cammillo del nostro Carlo Ruberto , morto il di 23 novembre 1767. Il qual Carlo ebbe per rnadre la Fiammetta di messer France- sco Arrighetti, che a dire di Ferdinando Leopoldo del Mi- gliore nella sua Firenze Ilhistrata, pag. 446> sta sepolta nella ehiesa di s. Michele degli Antinori con fama di santita. (1) Nacque egli fanno i363, ed in eta molto avanzata mori 1’anno i436* il di 12 settembre. Fu anche nella Repubblica dei Priori 1’ anno ed ebbe successivamente quattro mo- gli, dalle quali gli nacquero piii figliuoli , e fra questi Anto- iiio , che accasatosi con Piera di Giovanni Salvetti, propago la linea diritta del nostro Carlo Ruberto . IS el suo Gonfalonie- rato si riaperse lo Studio fiorentino, e si aecrebbe il numero dei pubblici lettori. Scrisse in dialogo diviso in IX libri la Storia del Conte di Virtu, Giovanni Galeazzo Visconti, pri- me duca di Milano > delle guerre ch’ebbe con i Fiorentini, e di altre cose attenenti alia nostra citta , la quale sopra un co- dice copiato 1’ anno 1 4^8, che fu del canonico Salvini , com- parve in luce in Firenze nel 1735, in 4-°> con delle annota- tion! e con la prefazione del D. Giuseppe Bianchini di Prato, che in essa ha inserite queste ed altre notizie di Goro. Egli da molti e creduto ancora autore di un’opera intitolata : Sphcera Mundi, composta in ottava rima, e percio dal Poccianti , dal Verino , dal Crescimbeni e da altri ti caratterizzato per poeta; raa quando non se ne trovino altri riscontri, cio non sussiste , poiche il detto libro appartierre a F. Leonardo sup fratello, come di.remo nella seguente nota. Per questo ancora raanca il titolo per riporre Goro fra quei Tcscani che coltivarono la Astronomia s come ha fatto il P. Leonardo Ximenes nelfopera 3 ELOGIO fra Leonardo j uno dei piu illustri dottori dei suoi tempi in sacra teologia , Generale dell’Or- dine domenicano , e carissimo ai suoi concitta- dini, che di lui si servirono in molte oceor- renze M. Un altro Leonardo di Pietro di Gior- del vecchio e nuovo Gnomone Fiorentino , pag. 99 delPIn- troduzione istorica. Lascio bensi il detto Goro un libro di Ri- cordanze domesticbe dai 1 384 - al 1428, che in un codice in cartapecora grande, mancante in mezzo di due pagine, si tro vava in casa Dali . (1) Questo celebre soggetto vesti Pabito di s. Domenico nel convento di s. Maria Novella di Firenze , si esercito con molto applauso nella predicazione j fu maestro del Sacro Palazzo, e nel i 4 oo uno dei deputati nel Concilio di Costanza, a eleg- gere , per 1 ’ abolizione dello scisma , il Pontefice. Domenico Buoninsegni, nelle Storie di Firenze, pag. 8 ( edizione di Fi- renze Ae\ 1637), narra come in Un capitolo tenuto qua nel- 1 ’agoSto 1 4 1 4 d 3 * suo * religiosi in gran nuiliero adunati, fu scelto Leonardo per generale ; ed il Ciacconio, nelle Yite dei Pontefici, tom. II, pag. 865 , asserisce che fosse creato cardi- nale nel 1426 di giugno : la qual cosa non e vera, perche il Dati mori nell’ aprile dell’ anno i 425 , trovandosi alle riforma- gioni dei registri di detto anno (e su questa testimonianza in- controvertibile assicurandolo X Ammirato il Giovane nelle sue aggiunte alle Istorie del Vecchio, lib. 19., par. I, pag. 1020), Pordine della Repubblica di pagare dei danari per onorare le sue esequie a spese pubbliche, come benemerito della patria <, e per la sua bonta e valore. Yero e pero che la medesima Repubblica ( dalla quale venne adoperato nel 1409 con ispedirlo ambasciadore al Re di Boemia, nel 1 4 1 ^ a Sigismondo impe- ratore con altri, nel 1 4 1 8 a papa Martino Y, come capo di una solenne ambasceria, nel 1422 alio stesso Pontefice; di che ha il Mariani nel mentovato Albero Genealogico, pag. 26 e segg., riportate le testimonianze) nel detto anno 1422 lo raceo- mando come soggetto degno della Porpora in primo luogo , scrivendo nel di 21 novembre a Bartolommeo dei Bardi, che risiedeva in Roma ambasciatore dei Fiorentini [ Ex Archivio Reformat. Ex lib. Ser Pauli Ser Landi ah anno 1422 ad 4 E L 0 G I O gioj che yisse dal 1408 al 1472, essendo stato segretario di quattro pontefici , canonico do- re iiti no e yes goto di M asset j fn uomo facondo 5 annum 1427). I! sepolcro di questo soggetto vedesi in s. Ma- ria Novella in un lastrone di bronzo lavorato in basso rilievo da Lorenzo Ghiberti , rappresentante Pintiera figura di Iui, con iscrizione che Iralasciamo per brevita, Quello pero cbe non si deve tacere, e essersi attribuito a Goro suo fratello la Sfera, quando e certo essere opera di fra Leonardo. Infatti fra i codici esistenti in casa Dati, uno se ne ritrovava cartaceo in foglio col segnente titolo di carattere rosso. ■ — Spera di fra Leonardo di Stagio Dati. Comincia il prirao libro sopra f pianeti del cielo. Al Padre , al Figliuolo , alio Spirito Santo Per ogni secol sia gloria e onore, E benedetto sia suo nome quanto ec. E fmisce con un’ottava, P opera essendo tutta composla in ot- taya riraa, il cui principio e: II detto Lito torna in ver Ponente Col canal detto in verso Tramontana , Poi son dugento miglia rittamente ec. Nel codice yi sono sparsamente miniate diverse figure del ma- re, dei pianeti e di alcune fabbriche. E poiche in altro codice posseduto dalla stessa famiglia, e scritto nel i 46 o da Ranieri di Gio. di Arrigo Sassolini, che comincia: Proemio di quelle debbo trattare in questo libro iscritto e cofnpilato per me Goro di Stagio Dati ec. , vi e copiata senza il nome dell’au- tore ancora la Sfera, e cosa assai verisimile che quelli che da questo esemplare trassero il mentoyato poema senza vederne I’ origine , a Goro lo attribuissero, pel trovarlo unito nel co- dice stesso in cui era trascritta la sua cronica. Sono il se- condo a dare al pubblico questa osservazione , essendo stato prevenuto per una leggiera combinazione dalP erudito nostro sig. Manni, nelle note al tom. Ill della ristampa del Baldinucci , pag. 44 ? quantunque sieno mold mesi che me la fece fare il gendlissimo sig. Giovanni di Poggio Rahlovineiti , che ha in E L O G I O e poeta latino elegaiitissimo C 1 ) ; e Giuliano di Domenico di Bardoj morto in Roma latino i 52 /{., yescoyo di s. Leone ^ fu caro ai pontefici Giu- lio II e Leon X specialmente per la .sua dot- trina ( 2 ). Ogni uomo che nasce non deye restare mano i mentovati codici , essendo stato uno degli eredi del nominato Francesco Dati sno cugino, e che altro assai bello ne vide l’anno 1753 ifella libreria dei monaci Camaldolesi di Classe in Ravenna , scritto in caratteri d’argento sopra la car- tapecora , il quale contiene la Sfera Astronomica , attribuita pure a Goro. (1) Questo fu figliuolo di Piero di Giorgio Dati , il quale Giorgio fu zio di Goro, rammentato sopra, onde era cugino, non nipote, come da alcuni viene scritto, di fra Leonardo. Nac- que circa Fanno i 4 io, e morl Fanno 1472 in Roma. Il canonico Salvino Salvini , essendo stato Leonardo canonico della Me- tropolitana fiorentina , lia scritta con molta diligenza la di lui vita; il che risparmia a noi la pena di parlare piii lungamente di lui; tanto pin ch^e stata impressa questa Yita nel 1743 dab Ferudito' sig. abate Mehus avanti le lettere del medesimo Leo- nardo, stampate in un libretto in 8 .° in Firenze. Il prete Ma- riani , formando il mentovato Albero Genealogico, di un sol Leonardo ne fece due, supponendo esservene stato uno poeta, figliuolo di Goro , di cui parlasse il Poccianti ed il Verino , ed un altro, che fu vescovo di Massa, e cbe nacque da Piero, morto nel i472;quando al secondo convengono tutti gli enco- mj che al primo si attribuiscono, e nella poesia latina Valse assai, come prova il Salvini *cbe parla delle sue opere , ed in ispecie del comento al poema notissimo di Matteo Pahnieri , suo grande arnico, intitolato: La Nuova Cittd di Vita. (2) Egli e sepolto in Roma nella chiesa dei santi Silvesiro e Dorotea, con onorevole epitaffio, riferito dal padre Mariani nel citato Albero, ove si dice ancora cbe con altri fu uno dei fondatori dell’ Oratorio di s. Andrea della Valle in delta citta. Fra gli uomini di lettere della casa Dati si pud aggiungere Giorgio di Nicolo Dati , cbe tradusse Tacito , versione stam- pata dai Giunti dopo la sua morte nel i 565 , e cbe fu amico 6 E L O G I 0 inutile. L’ignoranza, da cui sorgono lutt’imali, e un mostro che ha hisogno cli essere dehellato dalle persone di lettere, le quali percio si ren- dono nella societa niente meno necessarie dei magistrati, dei guerrieri, dei ministri della reli- gione, che consacrano i loro sudori a difenderla dai delitti, dai nemici, dall’errore. Mess. Romolo BertinOj buon poeta lirico latino e toscano (0, introdusse negli studj di umanita il nostro Dati il quale percio arricchitosi delie scienze piu necessarie e delle lingue piu erudite , pochi eguali ebbe nella yolg'are eloquenza ; e fino da giovinetto nelle accademie della sua patria si fece conoscere, e con applauso si esercito ( 2 ). In qualita di uomo di lettere ed insieme di c it ta- el i mess. Benedetto Varchi, come apparisce da un sonetto a pag. 149 fra le sue poesie impresse in Firenze nel i 555 ; e Giulio di Jacopo di Michele Dati, zio del nostro Carlo, il quale si crede aver distesa la storia inedita delle coinpagnie dei Piacevoli e Piattelli, inventate in Firenze dalla bizzarra gioventu, verso Panno 1692, secondo i costumi di que’ tempi. (1) Quest’ ecclesiastico, che fu cappellano del principe Leo- poldo dei Medici prima che fosse cardinale, e lodato dall’av~ vocato Coltellini nel Cittadino Accademico , dal Redi nelle note al suo Ditirambo, dal padre Negri ec. (2) Piu volte lesse nell’Accademia fiorentina, di cui fu con- sole 1 ’anno 1649, * n quella degli Apatisti , della quale era luogo-tenente pel Gran-Duca alia sua morte. All’ Accademia della Crusca (in cui prese il nome lo. Smarrito, e 1 ’ impresa di un covone di paglia aoceso alfaria bruna, col motto cavato dalla canz. 19. del Petrarca, Che mi mostra la via ) fu ascrilto nel 1640 d’anni 21, ed in essa coir assiduita per due anni nel 3648 sede arciconsole, e sostenne 1 ’incarico di segretario. (Can. Salvini , Fasti Consolarij pag. 543 e 544 * ) E L 0 G I 0 7 diiio, Carlo di buon’ora conobbe la patria essere la prima che doyeya esigere il frutto delle di lui applicazioni ; e tutto il sapere acquistato ri- yolse percio alia lingua nostra , e di lei fece la sua delizia ed il suo maggiore impegno. Quindi a questo scopo indirizzando le letterarie faticbe, non solo resto adoperato nelle private funzioni delle dette Accademie, e nelle pubbliche feste e di letizia e di duolo (0, ma il Discorso ancora deU obbligo di ben parlare la propria lingua distese ( 1 2 ), la raccoita delle Prose F iorentine im- inagino, per somministrare agli amatori del no- stro idioma in tutti i generi di scritture esempj purgati, e sicuri da leggere e da imitare ( 3 4 ); ed altre cose compose, nelle quali mai si diparti dal fine di seryire a’ suoi coneittadini o ami- ci (4), e di essere, allombra del solitario suo ga- (1) Salvini, 1 . c., oye si pud vedere ancora il catalogo delle sue opere impresse e mss. (2) Comparve iu luce la prima volta nel i 65 ^, e fu piu volte ristampato. Carlo pero in seguito lo muto ed amplio assai , con animo d’inserirlo nelle sue Veglie. ( 3 ) Cosi si espresse il Dati nella -prefazione del primo vo- lume che, dedicato al principe Leopoldo di Toscana , usci a! pubblico in 8.° nel 1661. Aveva in animo Carlo di distribute questa pregievole l’accolta in piu parti ; ma prevenuto dal co- raune destino degli uomini, o impedito da varie occupazioni, non pote avanzare il suo disegno ; onde ad altri resto il me- rito di proseguire le sue tracce, pubblicando nel 1716 il volu- me II, e fino il XVII, in piu tempi dandone fuori, che poi furono ristampati a Yenezia in quattro tomi in 4 ° ( 4 ) Ci e la lettera di Timauro Anziate a Filaleti della vera storia della Cicloide , e della famosissima esperienza delb ar- gento vivo, stampata in Firenze nel i 663 , per difendere la faraa 8 E L O G I 0 jbinetlo, letterato utile e seguace della virtu (0, Le tracce di un uomo, quale fu il Dati > sono quelle clie calpeslar deve chiunque fonda la deli 5 immortale Evangelista Torricelli , suo maestro ed ami- co, non meno che quella del gran Galileo ; 1’ Orazione in lo- de del commendatore Cassiano dal Pozzo , con cui ebbe stretta corrispondenza, che usci nel i664; l e V'ite dei Pittori antichi , che fanno testo di lingua , e che servirono assai al Giunio per 1’ opera De Pictura Veterum , e non poche altre cose. TJtili per altro sopra tutto e curiosi sarebhero stati quei Suoi componimenti, i quali ad imitazione di Gellio chiamo Ve- glie Fiorentine, come si vede dai titoli riportati dal suddetto Salvini, pag. 556, se gli avesse potuti terminare ; e di non mi- nor piacere sarebbe riuscita la raccolta di tutte le iscrizioni e antichita che in Firenze si trovano, che meditava nel i654 { Salvini 1. c. pag. 55o): di che pero non abbiamo oggimai a dolerci, avendo T instancabile proposto Gori , da me altamente rispettato fin quando era in vita pei molti obblighi che gli professava, supplito a cio con le sue magnifiche opere. (i) II soggetto delle sue lezioni latine, che nello Studio fio- rentino recito, senza piu lo dimostrano, mentre vi prese a spie- gare fra le altre cose i versi di Pittagora e la vita di Altico ( Salvini 1. c. pag. 554). Egli poi prowide che non perisse la celebre opera di Michele Mercati , intitolata : Methallotheca Vaticana 5 comprandone il ms. con tutt* i rami intagliati per scudi oltre a 200, con pensiero di farla stampare, come si vede dalle sue lettere all’ab. Ottavio Falconieri, le quali sono impresse in principio dell’ opera che dopo la morte del Dati venne in luce per la munificenza di Clemente XI, sotto la cura del celebre Lancisi in Roma, nel 1719, in fol. (pag. 34? ed in app., pag. 9.). Da Carlo fu ancora tirato innanzi per gli studj il nostro Ma- gliabecchi, e fatto conoscere a’ suoi so.vrani, senza sdegnare non ostante di averlo solo in qualita di amico carissimo, siccome lo cliiama nelle Vite dei Pittori antichi, pag. 180. Queste sono le generosita, di cui devono gloriarsi coloro che con la nascita e con le ricchezze s’ innalzano sopra il volgo, anzi che vantare uno splendido, ma frivolo lusso, di cui la sorpresa per poclii momenti solo abbaglia i deboli, se non produce peggiori effetti. E L O G I O 9 sua yera gloria nelF adoperare i proprj talenti, e le cognizioni comprate con le yigilie in van- taggio del genere umano, e disprezz^ la caduca rinomanza che per breye istante ottengono quei begli spirit!, i quali, senza curare di essere og- getto di scandalo o di compassione ai posteri, e cittadini perniciosissimi (conlestrane opinioni che impongono mediante la novita o la singola- rita di che riempiono i loro scritti, e col zelo di estirpare i pregiudizj ) fanno asprissiraa micidial guerra alleterno vero, Fimpero dell’errore pro- teggendo e distendendo sopra la terra. Ne la yir- tu di Carlo poteva restare senza premio , quan- tunque ne ayido di lodi, ne di ricchezze si di mostrasse egli mai; contento nell’ attendere ah Feconomia domestica ed alle famigliari face e ri- de, di rilevare dal patrimonio quello che gli bh sognaya per yiyere convenientemente al suo ran- go, pin che ai suoi limitati desiderj (0. Ma lutte due queste cose egli le ottenne; poiche sparsa la fama di lui, ed acquistato il nome di primo let- terato di Firenze ^ mold colmarono di encomj il suo nome, eternandolo nei proprj scritti; fra i quali, lasciando i nostri, Egidio Menagio ( 1 2 ), (1) Egli attese sempre al negozio di battiloro, die aveva aperto in via di Por s. Maria presso Mercato Nuovo, e com- bino le occupazioni letterarie con le mercantili, dividendo eco- nomicamente il suo tempo a profitto della sua privata famiglia e della letteraria repubblica con rara ed ammirabile costanza. (2) Fra le sue poesie latine vi e un’ elegia scritta al Dati , e nelle sue Mescolanze in rnolti luoglii sono ripetute le sue 10 E L 0 G I 0 Ezechiello Spanehemio (0, Nicolo Einsio W, Pietro Lambecio P), Miltortj ornamento grandis- simo delle isole britanne (4), Tommaso Bartoli- ni (5), Nicolo Visten (6), d e Monconis ( 7 ), il Cro - novio (8) padre, ed assai piu che noioso sarebbe lodi, mostrando essere intrinseca 1’ amicizia die passava fra questi due letterali. ( 1 ) Nella celebre sua opera De proestantia veterum numismatum (2) Egli a lui dedico il secondo libro delle sue poesie la* tine, facendo nelle medesime al Dati un nobile elogio , ed ai letterati fiorentini suoi contemporanei. (3) Nel I yoI. della Biblioteca Cesarea. (4) Il famoso Milton ebbe carteggio col Dati, siccotne s’ ira- para dal Salvini 1. c. pag. 554, e encomio nelle sue poesie latine ; ond’ e che nella Vita di lui, scritta da Tommaso New- ton, premessa alPediz. in 8. Q del Paradiso perduto, colie note di varj, fatta nel i^So, parlando del soggiorno che il Poeta fece per quattro mesi in Firenze con molto suo diletto, e del- Pottimo accoglimento che vi riceve, conta Carlo fra i suoi par- ticolari amici, e dice che scrisse di lui un elogio in latino, e che fu suo corrispondente dopo il ritorno in Inghilterra. (5) Nella Gent. IV del YEpist. mediche, indirizzandogliene alcune. (6) Nella sua opera fiamminga del Reggimento ed ornato delle navi. (7) Ne’ suoi Viaggi. (8) Nelle note alia Storia Naturale di Plinio. Queste testimo^ nianze giustificano Francesco Redi, che nel dedicare a Carlo le sue esperienze intorno alia generazione degl’insetti, gli scrive : ALLA MAESTA CRISTIANISSIMA DI LUIGI XIV RE DI FRANGXA E DI NAVARRA SIRE 1 V on e V ultima fra le glorie deli invitlis- simo Domatore delVOriente , die sotto il suo imperio, per lo suo nobil genio e per la sua generosa protezione , dalle mani e dalV in- gegno de Greci pilture, statue, fabbridie al piii elevato grado eccellenti fosser condotte . Conferma e cresce commendazione alVegre- gio costume d’ Alessandro V autorevole esenr plo della M. V la quale in compagnia del- V eroiche sue virtu non isdegnb d J accogliere il diletto e 7 patrocinio delle belV arti , per cui ne diviene pin comoda e piii adorna la i6 terra . iVe r ester a, s K io non erro 9 oscura e ne - gletta fra gli eterni e chiari trofei delVincon- trastahil valor e di M. V Accademia del Di segno eretta in Parigi ; e Tarti medesime , per sua generositii ridotte in Francia alia suprema perfezione, sapranno hen erigersi memorie indelebili die ridiranno alia po- sterita quai furono gli alti pensieri della divina sua mente. E se non altri y la vasta Regia > die per li proprj or n amend e piii per Talma luce del suo Signore rechera in- vidia e scorno a quella del sole * mostrera quanto possano e quanto vagliano la pittu- ra y la scultura e V architettura fomenfate ■dal- la potenza e favorite dal£ amor e d 7 un Mo- narca , il cui ricchissimo erario resta di gran lunga superato da 7 tesori del cuore . Queste consider azioni porgono ardire alVanimo mio ? disfrancato per altro dalla propria fiacchez- za ? d 7 offerire umilmente alia M. V. questa mia imperfetta opera } in cui si tratta del- Tandca pittura ; sperando die la gentile zz a della materia sia per drare a se gli sguardi reali die henignamente rimirano T opere e i professori di si bell 7 arte, E dovendo io pure in qualche guisa palesare al mondo il mio ri- ver entissimo desiderio di non vivere ingrato verso la beneficenza di da cui mi veil- 1 7 gdnd cosi potenti stimoli a ben operare , mi persuasi die la curiosita del titolo , se non V erudizione della scrittura , esser potesse a tanto ufjicio maggiormente proporzionata , die per avventura non sarebbe qualdie pieno e dotto trattato di pin grave scienza: in quel- la maniera die per donarsi da privata per- sona ad un Principe grande, torna assai me- glio di una quantita di' or o qualdie lav aria ingegnoso deWarte , o pure qualdie delizioso parto della natura *• To gia so die questo li- bretto non ha in se ne V uno pregio ne V al- tro , ma bensi il piit e 7 meglio die nascer possa dal mio povero talento e lav or ar si dal mio debole studio ; e che tutto , benche poco e manchevole > e dovuto alia M \ Z 7 '., annove- randosi non meno tra V ampie entrate dei Grand i le ricolte di sterile che di fecondo terreno . Se quest a mia fatica avra la fortuna e honor e di condursi non abborrita alia real presenza di V. M., forse che un giorno ella vi tornera meno inculta e maggiore $ avendo per ora stimato meglio ch 1 ella vi compari- son ben tosto e con qualche difetto, chd mi- gliorata per lungo tempo ; a fine di soddis fare con piit prontezza alV impaziente brama die mi consuma dinchinarmi profotidamen - te , benche da lungi , ai piedi della M* V*? e Da.xi. Fite de‘ Pittori . 2 i8 pregarle dalla bonta divina a pro delV uni- verso tutte quelle prosperita maggiori die sappia concepirsi unci mente ossequiosa e divot a. DI Y. M. CRISTIANISS. Fiorenzcij il di 20 luglio 1667. tlmiliss. obbedientiss. obbligatiss. servo Carlo Dati. I ( <9 ZOPPA i quali yorrebbero collocaryi Zeusij che es~ sendo stato' scojare di uno dei due nominati ar- teficij dovette necessariamente fare la sua figura alcune Olimpiadi dopo; e Plinio si sara fonda- to sopra V is crizione che Demofilo fece in Ro- ma pingendoyi parte del tempio di Cerere . Ma, ALLA VITA Dl ZEUSI 2 9 non e ben cer to che il Demofilo che si duhita maestro di Zeusi y sia il Demofilo che dipinse nel tempio di Cerere con Nesea . Plinio pare che gli abbia distintiy assegnando la patria al primo ; e tanto piu se si rifletta a queste parole : Ante lianc aedein ( Cereris ) tuscanica omnia in aedibus fuisse , auctor est M. Varro ( Plin. xxxv. 12 . ) , sembrera che V epoche non conven gano esattamente , sebbene pub anch’ ess ere che le pitlure siano posteriori d assai al tempio j o che veramente i Romani niun edifizio o dip into } se non toscanoj prima di Zeusi avessero. Alcuni voglionOj colV autoritd di Plinio j che Zeusi facesse anche modelli di creta ; il che pro - bahilmente giovogli per imitar bene i contorni; e Arpocrazione lo caratterizza per V A ristotele tra i pittori delb eta sua : e per verita non sola ~ mente grande g gib sopra di essi^ma ad imitazio ne di quel Filosofo diede un aspetto di no vita alV arte, 1 1 Dati ( vedi pag. 35 ) scrive cli egli fu notato « perche e J facesse le teste un t ant in » grandettej e le membra massicce e muscolose ^ y» per acquistare una certa forza e grandezza » imitando in cib Omero . » A me pare che traducendosi Plinio nel seguente modoj s'intenda meglio la taccia data a Zeusi : « E perb ripreso di aver fatte le teste piu grosse e piu risen - » lid i muscoli. # Mi si dir a che il Dati a un di presso traduce nello stesso modo ; ma oltreche grandezza piu alb alto che al grosso si riferiscej parlando delle figure j la grossezza e il vizio ap~ 3o P.KOEMIO puntOj nel quale cadde Zeusij facendo le figure quadrate, come dice Plinio al gusto degli an- tichi ^ per una smania di eniulare Omero. Poi » che Eufranore , che prima di tutti cerco le pro- porzionij fu nel tqtale delle figure se c chino j dando alle teste e ai muscoli maggior grandez - za ( Plin. xxxv. ii.);( notisi che Plinio parlando delle teste alle loro figure date dai due Artefici . , si serve della stessa fra.se > capitibus grandior, tentando e V uno e V altro di dare alle teste j che sonOj per modo di direj il centro e il regolo delle proporzionij quella maggiore o minor mole che alle altre parti meglio si confacesse ) Eufranore , dico j che tentollo il priniOj fuit in universitate corporum exilior, e cercando la sveltezzaj diede nel secco. Zeusi > dice Quintiliano ( 1. xu.c. io. ) 5 plus membris corporis dedit ..... Homerum se- en tus ec., per evitare la laccia data ad Eufra- nore , inciampo tielV op post a > di avere troppo in- grossate le teste ec.^ e data alle figure e alle loro membra la forma pressoche quadrata degli an* tichi. Il vanto al quale questi generosi Artefici meritamente aspiraronoj era riserbato a Parra - siOj, che il primo fu a promulgarne i veri pre- cetti: primus symmetriam picturae dedit ( Plin xxxv. io. ). Eliano nelle seguenti parole definisce la som - ma del danaro pagata dal re Archelao a Zeusi 9 che dal Dati (pag. 38 ) s* indie a colla frase ge- nerica di gran somma : Antea tamen (pictum^ Pana ) ab eodem Archelao acceperat quadra ALLA VITA DI ZEUSI ginta minas in merceclem doinus picturis exor- natae. (Franc. Jun. in catal. ad Zeuxidem.) II Dati dubita che PliniOy s.crivendo che Zeusi fece per quei d' A grigento una tavola che essi volean dedicare nel tempio di Giunone Laviniay o abbia errato gravemente oppure ne sia corrot- to il testo ; dacche altri scrittori attestino che lo stesso pittore fece la sua Elena da cinque belle Crotoniate. Ma chi ci assicura che egli non ab- bia fatto lo stesso in AgrigentOy che poi fece in Crotone? Cio si arguisce daU elegante discorso dello stesso Cicerone ( lib. 11. de Inven. ) il quale nota lo studio che egli faceva assiduamente sopra il vero : e dalla dwozione che i Greci sin al tempo suo ebber a quel tempio ^ lasciandovi in - tatte parecchie pitture * propter fani religionem 5 potevano indursi quei d J Agrigento a fargli fare una Venere o ultra figura in quel modoj e man- darla in dono al tempio della Dea de J Croto- niati. In fatti Zeusi nulla voile dell Alcmena da esso data agli Agrigentini / ma per V Elena ri - cavo moltissimo danarOy facendosi pagare da co- loro che volevano vederla in casa sua y dove te- nevala rinchiusa : per la qual cosa da alcuni Greci di qiiel tempo questa pittura di Zeusi fu detta Elena meretrice. ( Ved. iLlian. Var. hist, lih. iy. c. 12.) Abbiamo nelV Antologia Greca (lib. iy. c. 18.) un epigramma in lode del colorito e della grazia delle opere di Zeusi; poiche il Poeta vedendo in un vetro V immagine di Arsinoe fatta in pic - P R O E M I O 32 colo j ma pure somigliantissima alt originate j canto a un tli presso cosi : Le grazie ed il color sono di Zeusi; Pur Satureo que’pregi in piccol Yetro Espresse, ritraendo Arsinoe Leila Si, che di lei neppur manca un capello Varj soggetti pinti da Zeusi e da altri famosi artefici antichi si vedono ricopiati o dipinti dai pittori piu moderni in varj luogbi* come dalla preziosa raccolta fattane dai dotti Accademici ErcolanensL F. G. D. 33 VITA D 1 Z E U S 1 3N iuna cosa piu chiaramente palesa la simi- glianza delluomo con Dio, che I’invenzione, potiendo ella quasi in buon lume la bellezza e la virtu dell’anima nostra. E la cieca Gentilita fu molto da compatire , la quale agl’ in ventori di cose o necessarie *o comode al vivere umano decreto sacrificj ed onoranze divine, attenta- mente considerando come 1’inventare sia pros- simo e quasi succedaneo di quell’ammiranda e incomprensibil maniera che nel creare usa ad, ogni momento 1’ Onnipotenza. Ben e vero, che providamente dalla bonta dell’Altissimo furon conceduti alia nostra fiaccHezza molto limitati e bassi i voli dell’ inventiva, mettendo il freno all’ alterezza inortale: onde chi prima invento, sempre fu rozzo e imperfetto ne’suoi principj ; chi succedette, i trovamenti miglioro de’pas- sati, molto’ lasciando da migliorare; chi ridusse le arti men lungi dalla perfezione, ottenne pre~ gio di accuratezza piu che di noyita, e per molto Date Fit a de’ PUtorL 3 34 V I T A ch’^ltri poi si avanzasse, non reslo mai da niuno occupato il posto eminente della suprema ec- cellenza. Stando adunque le cose in tal guisa disposte , non perdettero i primi , tuttoche su- perati da’susseguenti , l’onore dell’inyenzione , e a’ posteri resto la speranza di yincer tutti i passati, senza tor loro il yanto d’ essere stati i maestri. Questa diyersita di principj,di progressi e di gradi pin die in altro magistero ben si rayyisa nella pittura , di cui yeramente io non so se Pingegno e la mano potessero unitamente immaginare e formare per ornamento del mon- do opera piu galante e piu degna. Oh quanto fu ella, a dir yero, rozza e imperfetta, e pur nfa- rayigliosa nel nascer suo! Quanto lentamente sail, dilungandosi dall’antica goffezza, e pure in tutti i suoi passi ebbe compagni gli applausi e lo stupore ! Quanto si fu ella finalmente stu- penda nella sua piu sublime perfezione, se pero creder yogliamo die alcuno de’ professori piu eccellenti ascendesse a quella sommita, sopra di cui piu non e da salire ! Gloriosi adunque sempre resteranno i primieri inyentori della pit- tura , che la messejro al mondo ; ne meno glo- riosi saranno coloro, i quali anzi quest’arte per- fezionarono, che alcuna cOsa inventassero ; sen- do il campo della gloria cosi spazioso, che ben puo passeggiarlo francamente ciascuno senza recare sconcio al compagno. Tra questi second! in primo luogo son* da riporre Zeusi, Parrasio, Apelle e Protogene , de’ quali per ora mi son D I ZEUS I posto a scriyer le Vite; perche quantunque essi debbano molto di lor sapere a’piu antichi, niuno v’ha che non yolesse essere piuttosto Zeusi di- scepolo, che Demofilo, Nesea, Apollodoro, ben- che maestri. Ayeva quest’ultimo gia disserrato largamente le porte alia professione della pittura, quando Zeusi d’Eraclea, negli anni del mondo 3587 e 897 ayanti al nascer di Cristo Redentor nostro, dentro a quelle se n’entro a render glorioso il pennello che gia cominciaya a operare con qualche ardire. Ne si creda a* coloro che fal- samente lo pongono yentiquattro anni ayanti , quando saria di necessita che fossero yiyuti De- mohlo Imereo e Nesea di Taso , duhitandosi di qual di loro egli fosse scolare. Onde Apollodo- ro , il quale liori /^o 5 anni prima della nostra salute, sopra di lui fece que’yersi, ne’ quali si accennaya che Zeusi rie portaya seco l’arte a lui tolta. Non pertanto fu reputato interamente li- hero da’difetti e dalle durezze degli antichi, ne si stimo in esso 1’arte esser ricTotta al grado piu eminente. E benche a lui si attrihuisca l ayer bene intesa la disposizione de’ lumi e dell’ om- bre, fu pero notato perche e’facesse le teste un tantin grandette, e le membra massiccie e mu- scolose per acquistare una certa forza e gran- dezza, imitando in cio Omero, a cui piacque anche nelle femmine la bellezga rohusta. E forse non fu egli da biasimare, se non presso a colo- ro, agli occhi de’ quali dilettano le figure dili- Plin. 1 . 55 . c. 9. III. Plin. 1 . 35 . c. 9. iy. Cic. Brut, n. 18. Li- ban. t. 2. 48o. Quin til. lib. 12. c. 10. Plin. 1 . 35 . c. 10. Y. 36 VITA Vi. plin. 35 . 9 . Plin. 35. 10. Antol. 1-4" c-4- ep.23. Plin. 35. 10. cate e gentili, e che biasimano. le manlere ri- sentite e gagliarde , perche non intendono le finezze dell’arte. Certo e, ne alcuno puo reearl o indubbio,ch’e’ s’ayanzo nella professionetant’ol- tre, ch’egli merito degnamente d’essere antepo- sto dagli scrittori a tutt’ i passati, e con molta gloria connumerato tra’piu celebri del suo tem- po. Coetanei e concorrenti furono Tiniante,An- drocide, Eupompo e Parrasio. Ma fra quest’ulti- mo e lui in particolare fu tanta emulazione, che si venne al cimento. Dipinse Zeusi cosi felice- mente alcuni grappoli d’uva, che gli uccelli ad essi volarono per mangiarne. A quest’uya dipin- ta pare che alludesse quel greco poeta in quei yersi : da color i ingannatOj Quasi la mano a prender l J uv a io stesi. Porto, all’ incontro, Parrasio una tayola, sopra cui era dipinta una tela cosi al yiyo , die .gon- fiandosi Zeusi per lo giudicio degli uccelli, fece instanza a Parrasio, che rimossala tela,mostrasse la sua pittura. Ayyedutosi dell’errore e yergo- gnatosi, cede liberamente la palma, perche se egli ayeya ingannato gli uccelli, Parrasio ayeya ingannato l’artefice. Dicesi inoltre ch’egli dipi- gnesse un fanciullo , il quale ayeya in mano dell uya, e che ad essa pure yolando gli uccel- li, con la medesi^ia ingenuita s’adiro con l ope- ra, e disse: io ho fatto meglio l’uya che il fan- ciullo, perche se io l’ayessi ridotto a perfezio- D I ZEUSI 3 7 ne , gli uccelli ne doyeyano ayer paura. Altri scriyono, che non egli, ma uno degli spettatori disse : die gli uccelli stimavan poco buona la ta- yola, perche non yi si sarebbero gettati, se il fanciullo fosse stato simile al yero; e che Zeusi caneello V uya , serbando quel ch’ era meglio nel quadro, non quel ch’ era piu simigliante. lo per me inclino piu yolentieri al secondo rac- conto , essendo certo che Zeusi era anzi ambi- zioso ed altiero, che modesto ed umile; come T ayerebbe dimostrato la sua schietta confessio- ne.'E che cio sia yero ce n’ assicura l’elogio che egli fece di se stesso in quei yersi: E mia patria Eraclea e Zeusi ho nome : Chi si tien giunto di nostr arte al colniOj Mostrandol vinca, io non sard secondo. Ne sia chilo difenda con dire, che altri per ay- yentura fu che glfcpose quell’ inscrizione ; per- che ne egli la ricuso come troppo gonfia , ne comando ad alcun de’suoi scolari, dopo ch’ella fu scritta, il darle d’intonaco. Non fu meno fa- stosa quell’ altra ch’ egli scrisse sotto all’ Elena fatta in Crotone, di cui parlerassi a suo luogo , ne quella ch’egli fece alia figura d’un Atleta, del quale tanto si compiaceya, ch e’ yi . scrisse quel yerso per lui fatto notissimo : Fia chi V invidii piu, che chi Timiti . Imperciocche era egli per le molte opere di- yenuto si ricco } e per gli applausi talmerite su- Sen. Con- ti’. 1. 5. 5, Aristid. d. Ris - Spr. a 552. Plin.35.g» YII VIII. IX. X. Elian. Var. St. 1 4. 17. XI. Gic. 1. 2. d. Invenz. in prine. Dionis. A- lic. Giud. d. Scr. Gr. Proem. 38 VI T A perbo , che per far mostra di sue ricchezze in Olimpia, portaya nel mantello a lettere d’oro intessuto il suo nome. Giunse final men te a tanta presunzione, ch’egli comincio a donare l’opere sue, dicendo che non y’ era prezzo che le pa- gasse, coni’ egli fece d’ un’ Alcmena al cornune di Gergento, e d’ un dto Pane al re Archelao , da cui fu condotto in Macedonia per gran som- ma a dipignere il palagio reale , il quale per le pitture di Zeusi resto talmente adorn ato , che fin dalle parti piu remote concorreyano le genti a yederlo. Mossi da si gran fama di questo ar- tefice, che in quell’ eta ayanzaya ogn’ altro di yalore e di stima , i Crotoniati, per la gran co- pia d’ ogni hene reputati i piu felici popoli dei- 1’ Italia, lo chiamarono con largo stipendio ad ahbellire con le sue insigni pitture il tempio di Giunone Lacinia, da loro tenuta in somma ve- il era zione. Fece adunque Z^isi in detto luogo huon numer-o di tayole, alcune delle quali yi si conservarono assai, stante la devozione e il rispelto del tempio. Ma desiderando di fame una che rappresentasse la piu perfetta idea della helta femminile , si dichiaro di yoler dipignere un’ Elena. Volentieri ascoltaron questo i Groto- niati, che ben sapeyano quant’ egli sopra tutti fosse prode in dipigner femmine ; e si diedero a credere che facendo egli uno sforzo in quello in che egli yaleya molto, ayerebbe laseiata in quel tempio un opera segnalatissima. Ne s’in- gannatono ; posciache Zeusi to Che tutte le bellezze erano in lei. Val. Mass. Dopo ayer terminata quest’ opera , conoscen- \rlstii T done 1’eccellenza, .non aspetto che gli uomini 5. a 552. ne giudicassero , ina tosto y’ a.ppose quei yersi d’ Omero-: Iliad. 1. 3c v. 1 56. Degno ben fu che i Frigi e i for ti Acliivi Soffrisser per tal donna un lungo affanno : Folto ha simile alV immortali Dee. Tanto arrogo alia sua mano questo artefice , ch’egli si stimo d’esser giunto a comprendere in quella figura quanto Leda pote partorire nella sua grayidanza celeste, e Omero esprimere col XII suo ingegno diyino. Egli e di piu da sapere che da quest’ opera Zeusi cayo molti danari, perche oltre al prezzo che da’ Crotoniati gli fu shorsato, prima d’esporla in pubblico non ammetteya cosi DI ZEUSI 41 ognuno a yederla , ne senza qualche mercede. Che pero facendo egli , corae si dice , hottega sopra questa pittura , i Greci di que’ tempi la chiamarono Elena meretrice. Nicomaco pittore yeggendola resto sbalordito per lo siupore: ac- costossegli un certo goffo, e interrogollo perche ne facesse tanti miracoli. Non me ne domande- resti, diss’ egli, se tu ayessi i miei occhi: piglia- li, e parratti una Dea. La stessa Elena, o un’al- tra del medesimo artefice, fu collocata in Roma nella loggia (0 di Filippo. Una altresi ne fu gia in Atene al portico detto Alhtopoli, che . noi chiameremmo delle Farine. Tra l’opere di lui fu parimente molto stimato un Gioye sul trono, a cui gli altri Dei stanno attorno. Bellissimo fu anche tenuto Ercole in culla, strangolante i dragoni, sendo iyi presenti Amfitrione e la ma- dre Alcmena, in cui si scorgea lo spayento. E se questa non fu la medesima tayola, simigliantis- sima bra ella almeno a quella che ci descriye il gioyane Filostrato nelle Immagini. Scherzaya nella culla il bambino Ercole, quasi che si bur- lasse del gran ciinento ; e ayendo preso con am- be le mani l’uno e l’altro serpente da Giunone mandati, non si alteraya punto ne poco in ye- der quiyi la madre spayentata e fuori di se. Gia le serpi erano distese in terra, non piu rayyolte in giro , e le teste loro infrante scopriyano gli acuti denti e yelenosi. Le creste erano diyenute i.i ) Meurs. J. 6. c. 19. Lez. Att. xm. Plin. 35 . 10. Eustath. in Iliad. 1 . 11. 3 Ieurs. A- th. Att. 1 . 1. c. 3 . XIV. Plin. 55.9. f. 84 1 • ed. d. Morel. PIm.35. xv. 4.2 V I T A cadenti e languide sul morire, gli occhi appan- nati, le squaine non piii yiyaci per la porpora e per 1’ oro, ne piu lucenti nel moto , ma sco- lorite e livide. Sembraya che Alcmena dal primo terrore si riayesse; ma che non si iidasse ancora degli occhi proprj. Imperciocche non ayendo riguardo d’ esser partoriente, appariya che per la paura gettatasi a trayerso una yeste, si fosse tolta di letto scapigliata, gridando a mani alzate. Le camerifere stordite mirandosi dicean non so che l’una alPaltra. I Tebani con armi alia mano erano accorsi in aiuto d’ Amhtrione , il quale al primo romore , col pugnale sguainato s’ era quiyi tratto per intendere e yendicar l’oltraggio. Ne hen si distingueya s’ era ancora atterrito od allegro. Aveva egli pronta alia yendetta la ma- no ; raffrenayala il non yedere di chi yendicar- si, e die nello stato presente piii tosto abbiso- gnaya di chi spiegasse 1’ Oracolo. Scorgeyasi appunto Tiresia , che yaticinando presagiya il fato del gran fanciullo, il qual giacea nella cul- la. Era egli figurato pieno di spirito diyino, e agitato dal furor profetico. Tutto cio si rappre- sentaya di notte’, illuminando la stanza una tor- cia, perche non mancassero testimonj alia bat- taglia di quel bambino. Non meno marayigliosa fu la Penelope del medesimo artefice, in cui pareya proprio ch’egli ayesse dipinto i costumi , perche in lei risplen- dea la modestia non meno che la bellezza. Onde io noa so rinyenirmi per qual cagione Aristo- D I ZEUSI 43 tile negasse a Zeusi cosi doyuta prerogative , cioe T espressione de’ costumi. E mentovato da- gli antichi di man di esso un Borea e un Tri- tone, come anche un Menelao in Efeso, il quale tutto hagnato di lagriine spargeya liquori fune- rali al fratello. Fu anche in grande stima il Cupido coronato di rose, che si vedeva in Atene al tempio di Venere, del quale fece , s’io non sono errato, menzione Aristofane negli Acarnesi in quei yersi: Come un qualche Cupido a te congiunsemij Simile a quel che mirasi nel tempio Coronato di rose. Egualmente ammirata in Roma fu la tayola di Marsia legato nel tempio della Concordia , co- me anche molt’ altre pitture di sua mano, che nelle gallerie di quella nobil citta, senza punto cedere all’ offesa del tempo, con gran yenera- zione si conseryarono. Leggesi ch’ egli facesse de’ chiariscuri di bianco, e delle figure di terra, le quali sole furon lasciate in Amhracia, quando Fulyio Nohiliore trasporto a 'Roma le Muse. Altrettanto spiritoso e sensato nelle parole fu egli, di quel ch’ e’ si fosse ingegnoso e diligente nelle pitture; e di lui si raccontano detti argu- tissimi. Una yolta che Megahizzo lodaya alcune pitture ass’ai rozze e anzicheno dozzinali, e ne hiasimaya altre con gran maestria lay orate , i fattorini di Zeusi, che macinayano la terra me- lina, se ne rideyano ; laonde Zeusi gli disse: Poet, c. 6. Lucian, in. Tiinon. a. Gio. Tzet. Chil. 8. v. 3 99- Aristofan. Acar. A. 4- Sc. 3. ivi. it Chios. Svid. in Zeusi Meurs. At. Att.1.2. 1 1 . Pliu. 35. 10. Petron. n. 43. xyi. xyn. Pint, in Pericle a 309. Plutar. d molt. d. gillie. 94- Suid. in Jacobus. In Zeus, a 33o. mentre in stayi cheto, questi ragazzi, yeggendo le tue yesti e i tuoi ornamenti, t’ammirayano ; ma da che tu hai coininciato a parlare della professione, ti burlano. Ora per non perdere di reputazione tieni la lingua a te, e non dar giu- dicio dell’ opere e dell’arte che non e tua. Glo- riandosi Agatarche in presenza di esso di di- pingere con gran facilita e prestezza, diss’egli: e io adagio ; accennando per ayventura che la facilita e la prestezza non arrecano all’ opere lunga durata o perfezione , ma che il tempo , congiunto con la*fatica, le rende eterne. E che questo fosse il suo concetto si scorge chiaro da quanto egli rispose a coloro, i quali lo hiasima- Tano perche egli dipingesse adagio. Confesso egli di consumare assai tempo in dipignere, per- che yoleya che assai tempo durassero le sue pitture. Non e pero che quantunque questo ar- tefice dipingesse con diligenza, che 1 opere fos- sero condotte a stento, poiche yien riferito che e’ layoraya di yena, ed era nelle inyenzioni spi- rifoso e bizzarro al piu alto segno. In proya di che, ayendo 1’aceurata penna di Luciapo traman- data all’ eta nostra la descrizione puntualissima d’un’opera molto ingegnosa fatta da lui, della quale egli yide la copi^ in Atene, la porro in questo luogo trasportata nel nostro idioma, qua- si proporzionato sigillo del mio racconto. Venne a Zeusi capriccio d’uscir dipignendo della stra- da battuta, come quegli che mal yolentieri e di rado applicaya il p^nnello a cose ordinarie e DI ZEUS I 45 trivial!; e percio risolyette di figurare una sto- ria di Centauri femmine e maschi, piccioli e grandi. Fece adunque in una macchia fronzuta e piena di fiori una Centaura con la parte ca- yallina tutta colcata in terra in modo che sotto alia groppa se le yedeyano i piedi di dietro. La parte donnesca gentilmente si solleyava appog- giandosi al gomito. 1 pie dinanzi non istayano distesi, come se giacesse sul franco ; ma l’uno staya come inginocchiato con l’unghia ritirata in dietro e in se stessa rivolta ; l altro, allincon- tro, s’alzava posando in terra, giusto come quan- do un cayallo fa forza per sollevarsi. Eranle appressd due Centaurini , che uno ne teneya ell a nelle braecia, ponendogli la maihmella mu- liebre alia bocca, e nutricandolo all’uso 11 ma- il o ; l’altro allattaya con fa poppa cayallina, co- me fanno le cayalle i puledri. Nella parte piu alta del quadro scappaya fuora , come da una yedetta, un Centauro, che era il marito di essa, e yerso lei guardava ridendo; ne si lasciaya ye- der tutto, coprendo la meta della parte oy’ era cayallo; e tenendo nella destra un lioncino, pa- reVa che lo solleyasse , per far cosi burlando paura a’ Centaurini. Questa pittura anche nel- 1’altre parti, nelle quali agl’ ignoranti dell’ arte non si palesa l eccellenza e l’industria, era tut- tayia condotta con so mm a accuratezza, cioe a dire, con tratti e colpi regolatissimi , con mi- schianza e composizione di colori fatta con giu- dicio, e con opportuna colloca^ione e disegno. XVIII, Oltre a cio erano 1’ ombre bene mtese, e man- tenuta la proporzione e laccordamento in tutje le misure dell’opera. Le quali tutte cose soglio- no ammirare i professori che molto ben le co- noscono. Ma quello che piu faceya palese il valore e l’industria di Zeusi, era che in una me- desima storia, considerata la diyersita, s’era ac- comodato per eccellenza a mostrare, secondo il bisogno, le differenze dell’arte. Vedeyasi il Cen- tauro orrido e torvo e alquanto zotico , con la zazzera rabbuffata , con la cotenna scabrosa e ispida, *non solamente ov’era cayallo, ma anche nella parte umana ; avendo sopra le spalle rile- yate formato il yiso, ancorche ridente, tuttayia bestiale, salyatico e crudele. Tale era figurato il maschio. La femmina era fatta a seinbianza di una cayalla bellissima,, e quali principalmente sono quelle indomite di Tessaglia ancor non use a portare. La meta cbe donna appariya, era delineata con yaghezza straordinaria , trattene pero l’orecchie, le quali sole lascio rozze e dif- formi. Ma Lattaccamento e la commessura ove la parte donnesca s’ uniya e si congiugneya al cayallo , non in un tratto , ma a poco a poco scendendo e insensibilmente digradandosi, tra- passaya si dolcemente dalTuna nell’altra, che gli ocelli de’riguardanti non se iT addayano. 1 Centaurini erano di colore simigliante alia raa- dre. Uno di essi pero era tutto il padre nella rozzezza, e gia in eta benche tenera ayeya aspet- to burbero e spayentoso. Ma quel che parea JJI ZEU S I 47 smgolarmente ammirabile , era il yedere come 1’artefice ayeya bene osseryata la natnra e 1 costume, facendo che essi fanciullescamente ri- guardassero il lioncino senza staccarsidalla pop- pa. Ayendo Zeusi in questa tayola tali cose rappresentate con singolare artificio, gli yenne concetto per la squisitezza ed eccellenza del- 1’arte d’ayere a far trasecolare cbiunque la ye- deya ; e cosi diceva oghuno che sarebbe avve- nuto , perche in yerita come poteya altrimenti fare chi s’ abbatteya in cosi raro spettacolo ? Tutti adunque con applausi alzayano al cielo queir opera per l’inyenzione pellegrina e per la noyita del pensiero, che non era giammai ad alcuno altro pittore yenuto in fantasia. Quando Zeusi s’accorse che solamente la noyita del con- cetto rapiva i riguardanti, e non lasciaya loro contemplare le finezze dell’ arte , in guisa che niente stimassero l’esattissima espressione delle cose, riyoltatosi al suo scolare disse: orsu, Mic- cione, leya la pittura, rinyolgila e portala a ea- sa , perche costoro lodano il fango e la feccia dell arte nostra , ne si degnano’ di considerare la leggiadria di quelle cose che la rendono ador- na , e che son condotte da maestro ; talmente che appresso di loro Eeccellenza di quest opera e superata dalla singolarita del pensiero. Cosi parlo egli non senza ragione, ma per ayyentura troppo risentitamente. Questa pittura fu conser- yata lungo tempo e con grande stima in Atene, Silla, lasciandoyene la copia, insieme con mojfe VITA D1 ZEUSI xx. Verr. FI. app. Festp in Pictor. V. le note. XXI. 48 altre cose di gran yalore lie inyio a Roma lori- ginale; il quale insieme con tiitto il rimanente ando male , avendo il yascello da carico fat-* to naufragio a Capo Mallo, promontorio della Morea. Del padre e della madre di Zeusi non ritroyo i nomi. Ne meno si sa s’ egli ayesse moglie o figliuoli. Occulto e parimente quali fossero i suoi allieyi nell’ arte. Ihcerta pure e la lun- ghezza della yita ; assai strayagante si fu la mor- te. Aveva egli dipinto una yecchia, la quale poi attentamente riguardando, rise tanto di cuore, ch’e’ si mori, come anche d’altri si legge essere addiyenuto. Sono mentoyati dagli scrittori al- quanti del medesimo nome, di tutti i quali po- ca e la fama in rispetto di quella che si gua- dagno questi solo con la squisitezza di sue pit- ture. 49 P0ST1LLE ALLA VITA D I ZEUSI I. Zeusi d’ Eraclea. Plinio 1. 35. c. 9 . Ah hoc ( cioe da Apollodd- ro ) art is fores apertas Zeusis Heracleotes intravit , Olympiadis nonagesimce quintce anno quarto, audentem - que yam % aliquid penicillum ad magnam gloriam per- duxit. Elian. Var. Stor. L 4- c. 12 . 1. i4- 17 - e 46. Cicer. 1. 2 . d. Invent, in princip. Aristid. t. 3., a 552. E da questi tutti i moderni. Solamente Gio. Tzetze, riella Cliil. 8 . st. 196 . n. 388., lo fece d’ Efeso. Molte furono le citta nominate Eraclea in Grecia , in Sici-^ lia, in Calabria, onde il determiriare qual fosse la pa= tria di Zeusi e molto difficile; ne si pud cosi faciL mente conghietturare, avendo egli in tutte queste pro- vince fatte molte pitture. II. Negli anni del mondo 3 8 5 7 . e 897 . avanti al na- seer di Cristo. Plinio nel luogo sopraccitato lo pone nel quarto anno dell 1 Olimpiade q5. Lo stabilire in qual anno del mondo cadesse la prima Olimpiade e negozio. diffici- lissimo, e non vi e cronoiogo celebre ebe non abbia i suoi fondamenti, tuttoche non convenga con l 1 altro. ISon creda adunque alcuno che io pretenda, quando dico che Zeusi fiori negli anni del mondo 3807 , di saper di certo che in tale anno cadesse appunto l’anno quarto dell 1 Olimpiade q5,, perche io ho posto detto Dati. Vite de Pittori* 4 5o P O S T I L L E anno per dir qualcbe cosa , seguitando il calcolo del P. Dionisio Petavio, che a me e paruto molto aggiu- stato e verisimile , senza obbligarmi a mantenere. E cio sia detto per qualunque volta mi verra occasione e bisogno d’ esprimere anni del mondo. Yedi Petav. Rational'. Temp. part. II. 1 . i . c. 11. , dove insegna il metodo degli anni Olimpiaei , i quali essendo 1 ’ era de’ Greci in quest'e Yite, spesgo ci verranno alle mani. Questa difficolta clie $ in contra in calcolar le Olim- piadi e ridurle agli anni del mondo, non si trova nel determinare i medesimi tempi avanti agli anni di Cri- sto, perche gli scrittori sono concordi, o di poco dif- ferenti in affermare in qoale Olimpiade cadde la Na- scita del Redetotore. Cioe nella ig 4 . Onde pin volen- fieri ci v a nemo di questo termine del Natale di Gesii Cristo Signor nostro anehe per esprimere i tempi a quello precedenti, e in particolare quelli de’ Greei, no- tati per Olimpiadi, e come pin sicuri e come pin adat- tati all’ intelligenza comune di noi Cristiani, sapendo molto bene che quest! avTcrtimenti agli uomini dotti appariranno soverebi. Facendo adunque ritorno all’ eta di Zeusi, colloeata tla Plinio nell’ Olimpiade 9 5 ., osser- viamo cbe ii medesimo nel segnente eapitolo lo fa egua- le a Parrasio. E Quintil. 1 . 12. c. 10. Post Zeuxis, clique Parrhasius , non multum cetate clistantes, circa Pe- loponnesia amho iempora . La guerra del Peloponneso comincio nell Olimpiade 87. e lini nella 93., per detto de’ piii gravi scrittori. Suida in Zev^ig lo fa eoetaneo eV isocrate, il quale nacque nell’ Olimpiade 86., e torna bene a fiorire nella 90. Cerio e cbe ne’ tempi d’ Iso- crate e di Platone e di Senofonte era egli di gia fa- rnoso, facendone tutti tre menzione onoratissima. Lo slesso cbe Suida asserisce Arpocrazione a 1 3 5 ., dove, per non pigliare qualcbe .errore, veggasi .1’ emendazione del Maussaco a *88 Alla vita di zeusi 5i tlon gran ragione adunque soggiunse Plinio 1 . 35 . 9. M quibusdam falso in LXXXIX. Oljmp. positus etc. ; e inolto piu se si leggesse col. ms. della Vatic. LXXIX. E palese errore e quello d 1 Eusebio nella Cronica , il quale all 1 anno primo dell 1 Oiimpiade 78. dice cosi : Zeuxis prceclarus pictor agnoscitur , ex cujus nonnullis imaginibus , quas plurimas apud diversas civitates fece- rnt , lavacrum Byzantinum arbitrantur appeUatum. Dove lo Scaligero, al num. 1 549 •> nota che nel testo greco d Eusebio non vi si trovano se non !e prime parole. Anzi non vi si legge se non ZeOf iq gaypafpoq iyxm &to f. 53 . num’. 1 4-, e che tutto it restunte del bagno di Costan- tinopoli, detto Zeusippo, e giunta di san Girolamo. Non pud questo bagno esser denominato dalle pitture di Zeusi, perche tal fabbrica fu fatta a tempo di Severo Augusto, per quanto ne scrivono Codino e Zonora : di esso veggasi lo Sealig. num. 858 . sopra Eusebio, e Pie- tro G1IU0 1 . 2. c. 7. della Topogr. di Costantinopoli (1). Oltre agli scrittori citati da questi due, ne fa men- zione anche san Gregorio Nazianzeno, Oraz. 2 5 .$ dove Jacop. Bill, nelle note a 889. Mi vien qualche dubbio che Mario Vittorino intendesse erroneamente delle pit- ture del Zeusippo, quando egli scrisse, nel Comento al secondo lib. dell 1 Invenz. di Cicerone, num. 120. Pinxit Zeuxis multa , quae usque ad nostrum memo - riam man ent. Perche essendo Vittorino fiorito neHanno del Signore 35 o. incirca , se fosse vero quello ch egli dice, le pitture di Zeusi averebbero allora avuto 750. anni e piu. Onde non sarebbe occorso che Petronio piu di tre secoli avanti esagerasse tanto altamente: Nam Zeuxidos maims vidi nondum vetustatis injuria victas. So che mi saranno opposte diverse pitture sco- (1) Vedi l'Autore Inc. nella Raccolta delle cose GostantinO’ politane del Padre Combehs, num. 57. P O' STILLS 5 2 perte in Roma a’ nostri tempi, le quail si suppongoiio d’ assai piu lunga eta. Di queste a luogo e tempo op- portuno nel Trattato della Pittura antica. Ma ripigliando per la-seconda Yolta il discorso della vera eta di Zeusi* e da notare cbe i.cronologi mo- dern i, ingannati forse dalle varieta degli antichi, pre- sero qualche errofe, non esaminando la piu sicura , e particolarmente Seto Caluisio, ehe all’ anno del mondo 348i. serisse : Zeuxis prceclarus pictor floret. E poi 73 . anni dopo, all’ anno 35 54- Zeuxis pictor insignis etc. Floret hac Oljmpiade. Se cio possa stare, senza dir altro, ognun sel vede. III. Demofilo Imereo e Nesea di Taso. Plin. 1. 35. c. 10 . Cum fuisse necesse est Be - mophilum Himerceum , et JSeseam Thasium , cjuoniam utrius eorinn discipulus fuerit ambigitur. Di Demofilo piu avanti al cap. 12 . Plastos laudatissimi fuere Da - nrophilus et Grprgasus, iidemquce pictores, qui Cereris cedeni Romce ad Circum Maximum utroque genere ar- tis suae excoluerunt , versibus inscriptis graece } quibus sighiflcaverunt a dextra Damophili opera es$e , a p'arte Iceva Gorgasi. Dove alcuni anticlii mss. leggono Demo- philus. La prima edizione di Plinio, stampata in Parma nel i48o., e quella di Parigi nel i53a. di Pietro Bel- locirio, hanno Dimophilus; ond’io non so risolyere se quest! sia il medesimo, benche io lo creda. IV. Che Zeusi ne portava seco T arte a lui tolta. Plin. 1. 35. 9 . Artem ipsis ablatam Zeuxim ferre secum. 11 ms. Vat. Artem ipsius ablatam. L’ Adrian!, lettera al Vasari: V arte, sua toltagli portarne seco Zeu- si. E veramente a cbi puo riferirsi la yoce ipsis? Onde a me ancora e piaciuto conseryare ipsius. V. Fu pero notato ec. Plin. 1. 35. c. 9 . Reprehenditur tamen ceu gran - dior in capitibus 3 articulisq. 3 cosi m e piaciuto di ALLA VITA DI ZEUSI 53 leggere col ms. Vaticano, benche comunemente si leg- ga : Deprehenditur tameji Zeuxis grandior etc . Rc- -prehejnditur per conghiettura lesse anche il Dalecam- pio ; ma senza la particella ceu non par ch’abbia for- za. Paolo Pino nel Dial. d. Pitt, a i/\. Fu Zeusi dan - nato 3 cli e formava le figure curve con i capi troppo grandi. La prima taccia non so donde se la cavi. Uso la medesima maniera Plin. 1. 35. ii fJ parlando di Eu- fra n ore : Euphranor primus videljir usurp asse syrnrne - triam } sed fuit in universitate corporum exilior 3 capi - tibus , articulisque grandior. Par che difenda Zeusi dalla seconda nota Quintil. 1. 12 . c. 10 . Zeuxis plus mem - bris corporis dedit 3 id amplius , atque augustius ra- ins , atq. ( ut existimant ) 3 Homerus secutus 3 cui va- lidissima quceque forma etiam in fceminis placuit. VI. Merito degnamente d’ essere anteposto dagli scrit- tori a tutti i passati. Fanno di Zeusi gloriosa rnemoria ogni volta cbe vien loro occasione di nominarlo la maggior parte de- gli scrittori ; ma specialmente , oltre agli altri citati in questa Vita, Platone nel Gorgia , ediz. del Serr. a 45 1 . Senofonte 1. 1 . de’ Memorabili a 72 5. Iso- crate nell’ Orazione della Permutazione a 3 10 . Dionigi Alicarnass. nel Giud. Sop. Tucid. Luciano nel Dialog. dell 1 Immag. e nel Zeusi. Dione Crisost. Oraz. 12 . Se-? sto Empir. Contr. i Matem. a 32 5. San Greg. Naz, Oraz. 34- a 555. Aristide Platon, p. 'per la Retor. 36i* Mass. Tirio Disc. 16 . e 3q. in Princ. Olimpiodoro Sop, il 1. 1 . delle Meteore aliquanto ante fuisse , Hjgiam 0 n tem 3 Di nian, Charman, et qui primus in pictura marern fcelni- namque discredit, Eumarum Atheniensem figures omnes imifuri ausum , quique inventa eius excoluerit 3 Cimo- nem Cleoneum . A 1 cap. 9. , dove parla di Zeusi : Pinxit, et monochromuta ex albo. E Petronio, descri- vendo una galleria, menziono i monocromati di mano di Apelle al n. 282. Jn Pinacoihecam perveni vario ge- nere tabularum mirabilem. Nam Zeusidos rnanus vidi nondum vetustatis iniuria victas ; et Protogenis rudi - inenta , cum ipsius Jtaturce veritate certantia , non sine quodam horrore tractavi. Jam vero Apellis quam Grceci Monochromon appellant , etiam adoravi. lo so quante sieno lie varie lezioni e le conghietture de* Critic! sopra questo luogo , le quali non e qui tempo d* esaminare : forse una volta in piu comoda occasione diro il mio parere. Basti per ora che leggasi Monochroon , o Mo- nochromon , o Monochromaion 3 come a me piace pin col Gonzales: tutto pu-6 voler dire d’un solo colore. Da tutte le precedent! notizie e’ mi pare di poter con cludentemente dedurre che i moaocromati di Igienonte Datx. } r ite de 5 P Uteri. 5 PO STI LLE 66 e di Dinia fossero molto diyersi da quei di Zeusi e di Apelle. Imperoeche quei primi dipingevano con un color solo, perche non sapevano dipinger con piu ; ma i secondi si yalevano d’ un solo per mostrar forse mag- gior arte, benche ne sapessero maneggiar molti. E que- sto appunto pare che significhino quelle parole : Secun- dum singulis colorihus, et Monochromaton diet am, post- quarn operosior inventa erat ;■ duratque talis etiam nunc . Era adunque la prima pittura d 1 un color solo fatta quasi per necessita e mal distinta ; la seconda per ele~ zione, e con arte e con rilievo e con forza ; ne altro, a mio credere, erano i monocromati ben lavorati dagli artefici grandi, cbe i cbiariscuri simili a quelli d’ Ab berto, d' Andrea, di fra Bartolomeo, di Polidoro e d’altri celebri pittori del passato e del corrente secolo, i quali benebe veramebte sieno d’ un color solo, v. g. bianco, giallo, rosso, azzurro, per mezzo de’ lumi e dell’ ombre e de' chiari e degli seuri acquistano distinzione e rilievo, Lodovico di Mongioioso nel suo breve Discorso della Pittura, stainpato in Anversa con la Dattilioteca d’ Abram Gorleo, cbe la prima volta fu pubblicato in Roma col titolo : Gallus Romaz Hospes , non solamente chiama monocromati le pitture d’ un color solo, ma di piu co- lori ancora, purche non sieno mescolati fra di loro. Come v. g. quei delle carte da giuocare, le quali si dipingono con diversi color! per via di carta pecora o di latta traforata ; e come tingonsi anche i rasi mac« cbiati e i bambagini turcheschi. In prova di che porta un luogo di Plinio, 1. 35. c. 1 1 . Pingunt et vestes in Aegypto inter pauca mirabili ■ genere. Candida vela post- quam attrivere illinentes non coloribus , sed colorem sorbentibus medic amentis . Hoc cum fecere , non appa - ret in velis, sed in cortinam , pigmenti ferventis mersa, post momentum extrahuntiir picta. Mirumque cum sit unus in cortina color, ex illo alius atque alius fit in ALLA VITA DI ZLUSI 67 veste accipientis , medicamenti qualitate mutatus. Ripo> nendo Plinio , die’ egli, tra i generi di pittura questa maniera di tignere, certo e che non puo ridursi se non sotto i monocromati, per essere ogni coiore separate e distinto. A 1 che io replico che Plinio chiama dipi» gnere questa tintura per una certa simiglianza , ma non gia strettamente. Passa poi a dlscorrere della pit- tura di due colori, die appresso di lui e quella che valeridosi del fondo della carta 0 della tavola, da i) rilievo alia figura con Fombre, riconosce'ido un colore nel fondo e uno negli scuri. A questa spezie, secondo lui, si dovrebbero ridurre i disegni di matita o rossa o nera ; quei di gesso sopra la carta azzurra i farnosi cartoni di Micbeiagnolo e d’altri pittori insigni, e quel ritratto ch-e Apelle principio col carbone sul muro alia presenza di Tolomeo : e sopra tutto le stampe intagliate in legno e in rame con tanta finezza ne’ tempi nostrL Io pero non mi guarderei dal chiamarli monocromati,, perche finalmente quello scuro che da il rilievo , non fa essere la pittura di colori diversi , ma .d’uno pin o meno scuro. Pi dico che F arte, valendosi del fondo , con un solo colore sa fare, i lumi e Fombre come sfc fossero diversi. E qui mi sovviene dun bellissimo luogo d 1 Orazio, il quale ci describe, anzi ci rappresenta quella sorta di disegni rossi e neri mentovata di sopra, 1. 2, sat. 7. v. 97. Jut Placideiani contento popYite miror Prcelia rubrica picta , aut carbone, velut si Revera piignent , ferianl, vitentque moventes Anna viri? Ne meno escluderei da 1 monocromati quelle pitture , le quali egli chiama di tre colori , benche veramente sieno d uo color solo, distinto non da altro che da’ lu- mi e dalF osobre, cioe da’ chiari e dagli scuri ; perche 68 P O S T I L L E questi non fanno diversita se non nelFessere, v.' g., il rosso o il giallo piu o men'o pieno , restando pero nella medesima scala del rosso o del giallo. E siccome io non crederei che alcuno dicesse mai, che un basso riiievo di mar mo o una medaglia di bronzo fossero di piu colori, perciocche mediante lombre apparissero dove piu chiari e dove piii seuri ; cosi non istimo cbe sia da dire diverso essere il colore cbe nel dipignere i medesimi esprime questa sola varieta di chiaro o di scuro. E a dft:e il yero, io non istarei fanto a sottiliz* zare sopra quelle parole di Piinio, 1. 35. c. 5. Tandem se ars ipsa distinxit i et invenit lumen atque umbras 3 differentia colorum alterna luce se se excitante. Perche siccome io tengo per fermo che i primi monocfomati fossero d 1 un sol cdlore uniforme per tutto; Cosi ho per costante che quei di Zeusi e d’ Apelle fossero fatti con ogni maggiore artifizio, ne mancasse loro la distinzione e la forza de’ lumi e delF ombre, de’ chiari e degli scu- ri, e cio non ostante si ebiamassero monocromati. Fa- vorisce a maraviglia la mia opinione un luogo di Quin- til., 1. ii. c. 3., dove egli biasima il recitare nel mede- simo tuono, e c 1 insegna che debbono farsi a tempo al- curie gentili e moderate mutanze di voce , in- quella guisa che fecero quei pittori , i quali si valsero d’ un color solo, dando alle lor pitture dove riiievo e dove profondita : TJt qui singulis pinxerunt colorihus , alia tamen eminentiora alia reductiora fecerunt , sine quo ne membris quidem suas lineas dedissent. Ma prima di passare ad altro piacemi di portare per chiusa di que- sto capitolo un luogo singolarissimo di Filostrato, 1. 2 . cap. io., dove, Apollonio discorre sottilmente- della pit- tura, con occasione di vedere in India, nella reggia che fu di Poro, alcune figure di riiievo di varie materie e coiori , talmenteche participavano e della scultura e della pittura. Doyc il Tianeo moatra di credere che quella sorta di pittura, la quale II Mongioioso nomina Licolore, non si debba ne anche chiamar colorita. In questo,' disse Apollonio, siamo d'accordo ambiclue, che la facoltd d imitare sia da natura, e il saper clipignere venga dalV arte ; e il medesimo penso die debba dir si dello scolpire. Ma io m immagino die tu creda die la pittura non consista puramente necolori, giacche agli antichi bastb un color solo , quei die succedettero si valsero di quattro, e poscia di giorno in giorno piii e piii s accrebbero. Ma oltre a questo si dipigne talora con alcuni. tratti e lineamenti senza color veruno ; la quad pittura non $i pub dire che sia altro die lumi ed ombre. Imperciocdie in essa veggonsi la simiglianza, la bellezza, il pensiero, la vergogna } V ardire } tuttoche que- sti affetti non abbiano veramente colori. E se ella non pub esprimere il sangue, e un certo die di Jlorido die e nelle chiome e nella barba di primo pelo ; nella sua simplicity e composizione d' una sola maniera } rappre- senta tuttavia la sembianza dC jin uomo biondo e d 1 un bianco . Anziche se noi con questi lineamenti bianchi disegneremo un Indiana,, apparira egli come nero a ri- guarAanti. Imperciocdie il naso schiacciato , i capelli crespi, le gote rilevate, e una tale stolidita nella guar- datura, in un certo modo anneriscono quel die si scorge bianco, e mostrano, a chi allentamente lo considera , il dipinto essere un Indiana. Perloche non sara detto a sproposito , che a chi riguarda unci pittura fa di me - stieri di quella facolla imitativa che noi dicemmo. E qui seguita a trattare acutarnente di quella forte im- maginazione cbe ci fa vedere vive e presenti le cose imitate nella pittura. Il cbe per ora non fa punto per noi. Queste parole d Apollonio mi richiamano a eon- templar non senza stupore 1’ artificio delie stampe e degl’ intagli moderni , ne’ quali tanto ben si ravvisa la materia e 1’opera de’ vestimenti , il colore delle cavna^ / 70 POSTILLE gioni, delle zazzere e delle barbe, e quella minutissima poivere cbe sopra i capelSi a bello studio si sparge; e quel cbe piu importa, Feta, Faria e la simlglianza vivissima delle persone, ancorche altro non vi sia che il nero delF inchiostro e il bianco della carta, i quali non fanno ufficio di colori, ma di chiari e di scuri. Tutto questo sopra ogn’altro s 1 ammira ne' bellissimi ritratti dell’insigne NantueiL Considero altresi la forza d’alcuni tratti ben collocati, e massimamente nelle carte del fanioso Callot, i' quali semplicemente accennando rappresentano intero e finito quel cbe veramente non v’ e, e con pocbi e piccolissimi freghi esprimono le fat- tezze belle e brutte d’ un volto : arte che recherebbe, s’io non m’ inganno, invidia e stupore agli antichi. XYIL Una volta che Megabizzo ec. Un simi! caso d Apelle con Alessandro, ovvero con lo stesso Megabizzo, si rafcconta nella Yita di quel pit- tore, e si conaidera nelle postille, dove pure lunga- mente si parla de Megabizzi sacerdoti e de 1 soldati. Eliano, Yar. St 1. 2 . c. 2 ., che narra questo fatto di Ze usi, dice che i fattorini di esso macinavano la terra melina. Di questa nel Trattato della Pittura antica , ove si parlera de’ colori. XY11I. Una Gentaura ee. Cosi ho tradotto le parole di Luciano SyjXslojV I'chtto- xtvtavpov per proprieta di nostra lingua , ia quale di- versilica per lo piii negli animal i la femmina dal ma- schio. E dove la greca dice 6 StfXvq itcutoi; , cavcillo femmina, e noi cavalla, b §vjXvq opsvg, mulo femmina , e noi mula, e * cosi altri. JNoto pero che Filostrato, nel F 2 . delle Immagini, per esprirnere le figliuole de’ Gen- tauri formo il patronimico, Kevr avpideq^ e nel numero singolare uso Xei)xb] K evvcLvpiq^ la bianca Centaura. Ho voluto avvertire questo particolare, perche forse ad al- cuno giugnera nuoyo. E con tale occasione mi dichiaro ALLA VITA DI ZEUS! 7 1 che in queste Yite , nel portare descrizioni di alcune opere cavate dagli antichi, non mi sono soggettato a rigoroso e puntuale yolgarizzamento , particolarmente quando ho stimato, pigliandomi qualche liberta, di rac- glio e piu evidentemente rappresentare. Luciano nel descrivere i Centauri par che concorra con Zeusi che gli dipinse ; onde merita d’ essere in questa parte illustrato. Yeggasi Callistrato nella statua del Centauro a 880., e Filostrato nel 1 . 2. delle Im- magini, dove descrive le Ceritaure a 783, Ambedue ci pone avanti agli oechi Ovid. 1 . 12. v. 398. JYec te pugnantem tua , Cyllare , forma redemit , Si modo naturae formam concedimus illi. Barba erat incipiens : barbce color aureus: aureaque Ex humeris medios coma dependebat in armos. Gratus in ore vigor: cervix , bumerique %i manusque 9 Pectoraque artificum laudatis proxima signis ; Et quacunque vir est : nee equi mendosa sub illo, Beteriorque viro facies. Da colla } caputque ; Castore dignus erit. Sic tergum sessile , sic stant Pectora celsa toris : toius pice nigror atra. Candida cauda tamen ; color est quoq. cruribus albus f Mullce ilium petiere sua de gente ; sed una Abstulit Hilonome : qua nulla decentior inter Semiferas altis habitavit fcemina silvis. Hcec , et blanditiis, et amando , et amare fatendo Cyllaron una tenet. Cultus quoque quantus in illis Esse potest me mb r is ; ut sit coma pectine Icevis ; Ut modo rore maris 3 modo se violave , rosave Implied : interdum candentia lilia gestet : Bisque die lap sis Pegasece vertice silvae Fontibus ora lavet : bis flumine corpora tingat . Nec, nisi quoe deceant eleclarumque ferarum Aut humero, aut lateri prcetendat vellera Icevo Par amor est illis etc . P OS T I t L E 'fjQ XIX. Ma I’ attaccamenlo e la comrnessura ec. Luciano celebra grandemente Zeusi per aver espresso a maraviglia il trapasso dall’uomo al cavallo nel Cen- tauro ; il che parimente benissimo descrisse Filostrato nel secondo delle Imraag., ove parla di Chirone educatore d’ Achilie a f. .782. Chirone e dipinto veramente come Ccntauro ; ma V attaccare il cavallo alV uomo non e gran cosa . E hen da valente pittore il commettere ed unire e collocare il fine e ’Z principio d ’ amendue in maniera, che se altri ricerca ove termini Vuomo, V oc- chio non lo ritivenga. XX. Aveva egli dipinto una vecchia. Festo Pompeo alia Y. Fictor. Pictor Zeuxis dum ridet effuse pictam a se anum ypavv. Cur hoc relatum sit a Vcrrio cum de signifcatu verhorum scribere pro - posituni habuerit , equidem non video , cum versiculos quoque addere . . . iulerit, et ineptos pati,-sed nullius Prcetori$ prcetesto nomine, qui tamen sunt ii. ISam quid modi faclurus risu denique? Nisi pictor fieri vult , qui risu martuus est . Sopra le quali parole incite sono le varie lezioni de’ mss., e pariicolarmente de’ frammenti Farnesiani, le quali veggansi nelle migliori edizioni da cbi n’ avesse vaghezza. Solainente osservo cbe lo Scalig. leva la voce anum come soverchia, e cbe forse fu po- sta per chiosa della voce greca ypavv^ cbe cosi an- drebbe corretta. Leva inoltre la voce P rector is , la quale altri leggevano Aucloris o Poetoe , e legge : Sed nullius prcetexto nomine. Trovasi questa voce in tutti gli stampati e mss. *, e quel cbe importa, negli stracci deiranticbissimo testo Farnese, Qnd’ io mindurrei piii tosto a correggere cbe a cancellare, benclie io sia molto nemico deli’ usanza moderna di emendare cosi ardita- mente per congbiettura ; e direi : Nullius pictoris prcE- tcxlo nomine. Perebe vero e cbe de’ due versi citati non si pone l Autore; ma egli e ancbe vero cbe in ALLA VITA DI ZEUS! 73 essi non si legge il nome del Pittore che si mori per le risa. Ma lasciamo la critica, e torniamo alia storia. Come d’altri ancora §i legge essere addivenuto. Di Crisippo lo racconta Laerzio a 209 . DiFilemone, Yal. Mass. 1. 9 . c. 12 . Di P. Grasso, Tertull. d. Anim. n. 52. Yed. E. Menag. nelle dottiss. Osserv. a Laerz. a 200 ., Ant. Laurent, de Ris. 1 . 2 .,Elpid. Berrettar. deRis.c.io. La morte stravagante di questo artefice mi diede gia occasione di Comporre il presente sonetto : Nacque piangendo , al jin ridendo muore Chi dar vita a colori ehhe ardimento : Dunque q grave cordoglio il nascirrienio E conforto la morte y e non dolore. Ma se l riso e mortale, e quad terrore Portera seco il pianto ? e qual contento % Se gli arreca il gioir jiero tormento , Potra sperare in questa vita un core ? Misero chiamerem dunque chi ride, Fortunato chi gli occhi a perse at pianto , Se da V essere il pianto j e 7 riso uccule. Anzi folle direm chi si da yanto Di non pianger vivendo ore omicide , Folle chi ride 3 ed ha la morte accanto. XXI. Sono mentovati dagli scrittori alquanti del me- desimo nome. 1 . Zeusi scultore, discep. di Silanione. Plin. 1. 34* c. 8 . 2 . Zeusi filosofo. Laerz. in Tim., e in Pirrone nel fine. V. quiyi a 2 55. l’eruditiss. Osserv. di Egid. Me- nagio, che lo reputo il medesimo che il medico. 3. Zeusi medico, citato piu volte da Galeno, e fa- cilmente er il medesimo che quello mentovato da Stra- bone nel fin. del lib. 12 . Enea Silv. Min. c. 61 . a f. 34i. 4* Zeusi ambasciadore d’Antioco a’ Romani e pre- fetlo di Lidia. Liv. 1. 37 . 45* Questa medesima amba» POSTILLE ALLA TITA DI ZEUSI 74 sceria si trova fra quelle cavate clalla St. di Polib. n. 2 . 4 - del meclesimo Zeusi governatore della Lidia. Gius. Ebr. L T2. c. 3 . Di Zeusi, generale d’ Antioco M., fa memoria piu volte Polib. 1 . 5 . di sua St., e. negli Spo- gli del 1. 16. mandati in luce dal dottiss. Enrico Yales, a 69.; e Appian. nella Guerra Siriaca a 108. Non e pero cosi facile il determinare se tutti questi scrittori parlino veramente del medesimo Zeusi, benche sia molto verisimile. 5 . Zeusi Biaudenio, mentovato da Gic. 1 . 1. epist. 2. a Q. frateiio : Quarum altera est de Biaudenio Zeuxide etc . Qui mi si porge occasione d’ illuslrare Stefano delle cilia: BXavSoq y n oTjiq (fipvyiag^ dirb B XavSov rov top Tonov evpovToq^ tig MsvexpdTViq. to sSrixbr , BLmvSvjvog : Blaudo citta di Frigia ec. It nome della gente , Blau- deno . Abrarno Ortelio nel Tesor. Geogr. pare cbe du- biti cbe non si debba leggere E havdoq , ma BXooyJog ; della quale citta fa inenzione Antonino neli Liner. Ma perche questo, se Strabone, 1 . 12. a 567., nomina Blaudo come citta della Frigia? tovtov tfv (ppovpiov Ayxvpa^ dutowpoq tv n pbg AvSlav irep'i B/l avdov iro%i%vn (ppvyitL- xn ; Gastello di essi fu Ancira, del medesimo nome , con una piccola citta di Frigia che e verso Lidia presso a Blaudo. E di tal citta, per niio credere, fu questo Zeusi, percib detto Biaudenio da Cicerone, presso il quale io non dubito punto che si debba ritenere questa lezio- ne,* benche per avventura a poehi sia nota cotal citta. Anzi il non esser ella molto famosa favorisce la mia opinione, soggiugnendo Cicerone poco dopo, in parlando del medesimo Zeusi Biaudenio : Eum prcesertim homi- nem, quem ego , et ex suis civibus f et ex multis aliis, quotidie magis cognosco nobiliorem esse, prope , quam civitatem suam . Ed essendo Blaudo nella Frigia, cer- tissimo e ch' ella era sotto la giurisdizione di Q. Cicer. allora prefetto 0 proconsolo dell’Asia Minore. PROEMIO ALLA VITA D I PARRA 310 COMPILATO DAL P. M. GUGLIELMO DALLA VALLE MINOR CONVENTUALE P er non aggiunger note e postille alle non po - che del ch. Datij direrno qui alcune cose da noi riputate opportune per illustrare maggior- mente la vita di uno de* piii rinomati pittori della Grecia. Il Datij dopo aver riferito il Dialogo di Socrate e di ParrasiOj cerca « per qual cagione » un vizioso e ribaldoj le cui iniquita sono da noi vtanto abborrite j ci diletti in vederlo o in sen - » tirlo ben imitare. )» E soggiunge nella nota «a » questa domanda par proprio che-risponda Plu - » tarco neW opuscolo : Come debba il giovane » ascoltare i poeti ? ec.n La cagione j a parer miOj e la stessa che produce universalmente della P R 0 E M I O 7 6 compiacenza in chi vede punito il vizioso e it ribaldo. A tal effetto s introduce tra le scene per esempio allrui. Che se un poeta si avvisasse di rappresentare un tiranno o un ribaldo che in fine trionfasse delV innocenz a e della giustizia, , sarehbe preso a s ass ate j, come il quadro di un pittore che simil cosa esprimesse col pennello . Che se si vedono e si serbano nelle gallerie e ne J gabinetti i loro riirattij cio e in grazia della storia e del pennello j e in vederli non si ha al- tra compiacenza che quella ( se pure pub Vuomo compiacersene J di vedere i loro teschj recisi date umana giustizia . Plutarco nel citato opuscoloj parlando delle pitture oscene o indecenti: « $ J avvezzi dice, il j) giovane ad imp ar are che non lodiamo Vazione » rappresentatQj ma Vartedi colui che ingegno ■* )> samente espresso quel fatto. » Ma ripiglio io x qual lode pub meritarsi un artefice che dipinga al vivo ., ed esponga agli occhi di ognuno unazio- ne che Vuomo onesto s anzi qualunque non bar- baro affatto si vergognerebhe di commettere in pubblico ? Non vedo pero che tali piltori con si fatte pitture seducenti e nemiche del buon co- stume altra lode si meritinOj fuori di quella che riscuote da suoi simili il vizioso piu libertino e sfrenato. Nel luogo stesso rijerendo le parole di PliniO; che attribuiscono a Parrasio il vanto di avere il primO espresse le arguzie del volto e la parola argutia tradotta in galanteria, e il Daf vi fa sopra un lungo discorso per mostrare la ALLA VITA DI PARRASIO 11 difficolta di renderne fedelmente il vero senso nella nostra lingua . N-el che ognuno che ci si provij trova anche maggiori difficolta e motivi di dubitare. XJnicamente mi dispiace che • quel grand* no mo per una soverchia dijfidenza di se stessOj siasi poi appigliato alia galanteria, che meno di altro vocabolo esprime il sentimento di Plinio. Mi serviro delle cose stesse da esso citate per confer metre la mia asserzione. Cicerone neU TOratorc parla dell J arguzie delle dita; ma avyer- tcisij die eglij che yerisimilmente son qnegli stre- piti che per disprezzo o almeno in segno di poca stima si soglion far colle dita. Ma come medj se nel r. delle Leggi dice occhi arguti, nel hi. de Orat. mani argute, e nella Diyina- zione lib. n. interior! arguti? E egli probabile che Tullio permetta all* oratore de J gesti inde - centi ? Plinio parlando di Lisippo_,Yib. iii. c. 8., scrive cost : « Proprie di questo artefice son V arguzie » delVopere custodite anche nelle menome cose;» e QuintilianOj Orat. Iiistit. lib. xii. c. io., osserva^ ad yeritatem Lysippum et Praxitelem accessisse optime affirmant Ora se la voce arguzia signi- ficcisse qualche cosctj non dico viziosa ma capric - ciosa negli attij, nelle vesti e nelle parti della figuraj il giudizio de J Greci di quel tempo j, i quali cercavan j per modo di dire ^ il pelo nelV uovo A non avrebbe certamente convenuto nel dire che Lisippo non meno delV irreprensibile Policleto accostossi ad esprimer il vero : ne questo vero PROEMIO 7 8 essi restringevano a qualunque imitazione di sen- timenti e di atti plebei o insignificantly ma ali imi- tazione della naturay abbellita dai loro concetti filosoficiy e sublimata sin al hello ideale in ogni benche menoma parte ; nel che attendevan anche al giudizio del popolo. Infatti Plinio istessOy lib. xxxiv. c. 8., scrive che Lisippo moltissimo confer), alia statnariay esprimendo al vivo i capelliy jacendo le teste pin piccole che non le fece.ro gli antichi y i quali dando alle loro figure ed alle loro membra una certa quadraturay avevan la sembianza di lozze e pesantiy Lisippo lefece piu gracili e pin asciut - tey onde le sue statue apparvero piu svelte. Ed ecco che cosa intese egli per arguzia, tutta cioe V elegante energia ed espressione data anche alle piu piccole parti delV opera ; poichey par- lando di Euticrate suo figlio e discepolo y sog- giunge : « Egli emulando piuttosto la costanza » del padre y che non Telaganza, amo meglio di - j» stinguersi collo stile austero che non piace- » yole. » Uniamo tutte queste espressioniy e ve- dremo per le ragioni istessey per le quali ilDati traduce le arguzie in galanteria, che esprimono solamente tutto cio che ha spiritOy vivezzay gra - zia e leggiadria , Con ragione perb Servio a quesia parola usata da Virgilio in piu df un luo- gOy come in quello dove descrivendo un bel ca- valloy dice argutum caput, e altrove argutu bo- sti, jiota : « Arguto dice Virgilio tutto cio che » ha una certa convenienza ed eleganza . » ALLA VITA DI PARRASIO 79 iS da avvertire pero^ che la galanteria al tem- po del Dati non aveva forse tutta quella signifi- cazione che i moderni simbolici le hanno data; egli adunque cosi s’. intese. « Significa dunque j » a \nio credere j, presso Plinio la voce argutise » quelle gentile zz e quella grazia j quel garbo y » quel brio che risulta nella pittura dalla biz - » zarra unione delle parti e da qualche colpo » maestro che perfeziona V opera ec. » Si vede che il ch. scrittore si avvicinava a dare nel se- gno riferendone la stessa spiegazione di Plinioj, il quale scrivendo delle pitture di Ludio _> dice ^ che egli jece moltissime di tali arguzie e face- tissimi sali; alludendo ai vaghi suoi dipinti di paesaggio ; ma, sia detto colla venerazione che si dee ad un tant'uomo± nella sua stessa erudi- zione egli confondevasi per la critica non ab - bastanza raffinata nelVeta sua> e per non essersi ancora analizzata V arte y come dopo Winkel mann si e incominciato a fare. Ma tornando al - V arguzie dell* arte j non e dubbio che per esse Plinio intenda anche cio che quelle conferisco - no al disjcorso; poiche nel medesimo citato capo dice : non habet latinum nomen symmetria ; e serve si della parola arguzia, come di parola latinaj che in prosa in versij, in pittura ec. si- gnifica lo stesso ; ma non mai potra adattarsi alia bizzarra unione cielle parti, come vorrebbe il Dati ; poiche i facetissimi soli e le arguzie di Plinio non possono aver luogo dov entra hizzar- ria / e molto meno nei dipinti di Parrasio che 8g PROEMIO fu lino de 3 piu severi imitatori del hello e del ve* ro. E per conchiudere con esempio j dico che Vuomo che da capo a piedi sia vestito con tutta eleganza e decenza e che avert do ingegno e spi- ritOj sappia regolare ogni suo gestOj, moto e pa- rola con un certo brio e salej senza affettazione o bizzarridj cosi che tutte queste cose sembrino a lid adattate dalla mano islessa della natura quel tale potra dirsi arguto in tutte le sue cose ; come lo e la donna che sa ilmeglio acconciarsi il capo e vestirsi gli abiti che le accrescono leg- giadria ec. Quindi io non vedo nelle moderne ^ che Janno parata di bizzarrie e di stravaganzej quelle arguzie che nelle acconciature e nelle vesti delle buone statue antiche ammiro. senza eccezione. Le parole di Plinio : extrema corporum fa- cere, et desinentis picturae moclum includere, sono tradotte dal Dati cosi : nil fare V estremitd » de J cor pi e porre i termini alia pittura ov J ella » ha da finire. » Avrei desiderato che la seconda parte del testo fosse piu estesamente tradotta ; perche Plinio non vuole che si vedano i termini della pittura j, ma sic come V ultimo punto del cir- colo non si distingue dal primoj e se cogli altri inchiude della cir confer enzaj ossia nella co.nti - nuazione dei punti che lo circoscrivono ; cosi il pittore nelle linee estreme de J contorni dee ope - rare con tanta sottigliezza ed artificio > che l J oc * chio non trovi dove il pennello incomincio e dove fuii ; cosicche abbagliato dalP ombre e dai ALLA VITA DI PARRAS! 0 8 1 lamij non meno che dalle curve oppqrtunamen - j te segnate riceva V impressione apparente di ij cio che la natura e il vero sogliono in esso ec - citare. Inoltre nel luogo stesso : alia multa gra- pliidis vestigia extant in tabulis et merabranis j eius, traduce: « molt’ altri vestigj del suo dise- » gno rimasero nelle tavole e nelle carte » ; e alia postilla XI. « da cjuesto luogo soggiunge , par | » che si cavi che gli antichi disegnassero in carta . » Non e dubbio che gli antichi disegnas- sero in cartapecoraj ossia in membrane e in ta- vole incerate j nelle qualij senza tante mollichelle e lapis e carta ^ anche i moderni allied potreb- bero linear e j, emendare ec. molto tempo colla medesima tavola i loro disegni. Molti di tali di- sc gni di P arras io conservavansi ancora al tempo di PliniOj siccome Arbitro ( Satyric. ) dice che si teneva con gran riguardo il Monocmenon di 'Apelles et Protogenis rudirnenta cum ipsius na- turae veritate certantia. Cosa notabile e il ri- tratto colossale di Nerone di 120 piedi > dipinto per la prima volta in panno lino. Plinio lib. XXXV. c. 7. Altrove pure si legge: « dip ins e oltre a cio » con biz'zarra maniera il Qenio degli Ateniesi » rappresentandolo egualmente variOj collerico „ » ingiustOj instabile j, pieghevole clemente j pie - » toso j altierO j ambizioso mansuetOj feroce e » pauroso ad un tempo. » E nella postilla XVI. « Con qual arte o invenzione Parrasio potesse » esprimere tanta varieta d J inclinazioni e d? af~ Dati. Vita de" Pittori, 6 8 2 PROE M I 0 v>feitij io certamente non saprei dire. » Per ve - es p rimer e tutto cib in una figura e impossi - bile ; ma chi rifiette al gusto di que* tempi per il simbolico j e cii molti e giudiziosi loro ripie- ghij non parra difficile che Parrasio vi sia riu- scitOj come lo Scultore che il Genio di Roma e le sue conquiste espresse col globo nella sini- stra j e colt* invitta lancia nella destra di una quasi Minerva sedente. Lo scudo di questa Dea di Fidiaj e lo stesso Giove OlimpicOj avevano i loro simboli; e sic come j a purer mio> nulla me- glio esprime i varj ed opposti affetti del popolo Ateniese j che il mare „ dagli antichi riputato e venerato come> o poco menoj degli Dei ; il pit- tore avra per avventura fatto sorger dal mare il Genio del popolo Ateniese a quello somigliavte. Le parole di Plinioj argument© ingenioso, pyre che indichino qualche cosa simile ^ se non que- sta. Giova qui rilevare uno sbaglio ridicolo del Sandrartj che di questo Demonioj ossia Genio AtticOj, creo un piitorej e ne regalo di piii il ri- tratto , che e di un villano ben tarchiato. 1 1 De- monio anticamente era dai pittori rappresentato con una figura atteggiata nel modo piii atto ad esprimerne V indole ^ e talora anche con i suoi attributij come il Como di Filostrato ( Icon. 2 . lib. i.) ? in cui si vede la figura di questo Genio stessOj, e la turba dei Baccanti da esso eccitata alle soglie del letto nuziale ; donde nacque il proverbio : andare a Como (Vedi gli Eruditi a^ lib. iv. Od 1 . d Qrazio : Ateneo ed altri, al rife ALLA VITA DI PARRA SI (3 83 rir del Buddeo ) ; e nelV immagine di Bosporo i condottieri di Como o per dir meglio i suoi rappres'entanti, altri su nave cerulea , altri do* rata o pintaj con varj abiti e panni presentarsi: ma la donna per espugnare la cui resisienza ad amare va la turba_, schernisce Como , e la tur* ba degli amanti infastidita fugge, Se si attende a cib che scrive Filostrato prin cipalmente nelle immagini di Como e del Bospo rOj alcuni antichi pittori non erano tanto scru - polosi nelV osservare l J unita del soggetto_, massi - mamente emblematic o ; e poiche Como aveva i suoi attributi caratteristici pareva superflua la. turba che lo seguitava e che poteva essere in - tesa e confusa con quella di Bacco ; ne per rap* presentare il Bosporo era d* uopo pingervi la serie degli avvenimenti benche lontanissimi e diversij con tutti gli esercizj peschereccij non esclusa la pesca del tonno j che non e uua par * ticolarita del luogo. Pausania nel libro primo osserva j essere stato comune ai pittori ed agli scultori il rappresen - tare il popolo Ateniese con un particolare si* mulacro ; e parlando delle pitture che Eufra - nore fece nel Ceraunico : « In fine del muro j, » dice , A e dipinto Teseo e la Democrazia in - » sieme col popolo. Questa pittura allude alVaver » Teseo • stabilito tra gli Ateniesi un governo » equabile.n Del Genio Ateniese fa un bel qua- dro Plutarco nel principio del trattato De ad- min. Rep. « Quod Iiabet yirilem yultum et gra- PROEMIO » yitatis quandam speciem , istiusmodi DaeiiK)- » nem decetpotius, quam delicatum et molle. » Dion. Chrisost. Orat. iv. de Regno. In altro luogOj dove parla del MercuriOj e da notarsi un passo di TemistiOj, Orat. xiv. « Dico- » no che Parrasio j avendo egli preso a pinger » Mer curio ^ fece nella tavola il suo ritratto, e )> restava buona gente ingannata dal nome se- » gnato sotto alia pittura > perche pensava che » Parrasio con questo donativo avesse voluto » onorare e venerar M er curio ^ lontanissimo stan- » dosi dal concetto dell arte . Tinperciocche il » pittorej, per evitare la taccia d* inetto e d’arro- » gantej abuso del nome altrui per fare il pro - » prio ritratto j> ed ess ere come un Nume vene- » rato. » Finalmente dove parlasi dei quadretti lascivij e da notarsi un passo di Svetonio in Tiberio c. 44 * <( U na tavola di Parrasio ove Atalanta » ha sembianza di accondiscendere a MeleagrOj, y> fu a Tiberio lasciata per legato j a condizione » che se egli dal soggetto era offeso j, in vece di » quella avesse mille sesterzj ( decies H. S.). Ti- » berio non solo preferi la tavola al danarOj ma » la dedico al suo gabinetto . » Parrasio fiori nelV Olimpiade novantesima - quinta. j intorno ai tempi della maggior energia de’ Grecij, ma non ancora nella perfezione del - ! arte j che tuttavia mancava nel disegno e nelle proporzioni e nelV espressione e nel colorito. L J emulazione di Zeusi fece si che Parrasio ALLA VITA DI PARRASIO 85 supplisse in alcuna parte a tutte queste man - caUze. Approfittandosi della fdosofia di Socrate ^ conobbe di quanto ornamento fossero alVarte la simmetria nella composizione V esattezz'a nei contorni ^ la diligenza nelV animare per mo- do di ^ire j le pin piccole cose j con dar loro una certa arguzia e si adopro tra i primi per esprimerlej se non eccellentemente come fece- ro Apelle e i tre suoi colie ghi_, aim eno con tale corwenienzaj che nessuno prima di esso fece. F. G, D, 86 V I T A D I PARRASIO 1 )i rado o npn mai si da yalore eccessiyo senza gara o senza cimento, perche mal s’accorge di potere esser yinto chi corre solo ; e non s affret- ta, ne sa d’ayer possanza di camminar piu ye- loce chi correndo non si yede alcuno ayanti, o non si sente alcun dietro. La niente umana per suo naturale instinto ha dell’ altiero, e mala- mente sopporta superiore ; talmenteche per non restare al di sotto non sente fatica, ne conosce pericolo. Ma se non ha di che temere, tosto si infingardisce, ne cerca la perfezione # , purche su- peri gli altri con la semplice rnediocrita. Molto adunque e tenuta la yirtu all’ emulazione , che la syeglia quand’ella dorme, la sprona quand’e restia , e se ayyilita appena si muoye branco- lando per terra, le presta l’ali per gire al cielo. Eyidentissima riproya di questo yero si e, che niuna arte o scienza mai giunse al col-mo, se da molti e rnolti nel medesimo secolo non fu pro- fessata con ardentissima competenza. E cio chia- 1)1 PARRASIO 87 ramente si scorge nella pittura, in cui non fiori giammai Talente maestro che ne’ tempi suoi fosse solo. AKbiamo udito nella Vita precedence quanta fosse l’eccellenza di Zeusi, il quale per ayyentura mal si sarebbe condotto a si alto se- gno senza la concorrenza con Parrasio, del quale pur ora imprendiamo a parlare; ne egli sarebbe I. divenuto tanto eccellente, senza la temenza di restare addietro a Timante e agli altri famosi artefici dell’ eta sua. Nacque Parrasio in Efeso, tuttoche alcuni er- II. in. roneamente lo facciano Ateniese. Fu egli figliuo- IV. lo e discepolo di Evenore, anch’egli pittore illu- stre, il quale yisse 4.20 anni in circa avanti alia redenzione del mondo. Onde torna benissimo y, quel che dicono gli scrittori, che Parrasio fiorisse ne’medesimi tempi di Zeusi e di Timante, cioe a dire 2 5 anni dopo. Del gareggiamento tra Zeu- si e lui distesamente parlato abbiarno nella Yita passata. Resta a dire, quanto segui fra lui e Ti- mante. Dipinse Parrasio in Samo in concorrenza pi. 35. 10. di Timante, maestro egregio, la contesa el giu- ^lianYar. dicio dell’armi d’Achille fra LJlisse ed Aiace: Aten. 1. 12. ed essendo per yoti tutti concordi dichiarato odiw-LiT. perdente , disse argutamente ad un suo amico, il quale si condoleya con esso lui, cli egli niun conto faceya della yittoria, ma ben assai gli pe- saya, che il poyero ligliuolo diTelamone, gia due volte nella causa medesima ne ayesse ayuto il peggio da un indegno ayyersario. Conferma l’eta yi di Parrasio V esser egli stato amico di Socrate ? Senof. 1. 3. M-einoral., Stob. Ser. 58. 88 VITA ii qual filosofo essendo mol to universale, anche in ragionando con gli artefici recava loro giova- mento e lume nella professione. Laonde , per detto di Senofonte , un giorno fra gli aitri da lui venuto si prese a dire : la pittura, o Parrasio, non e ella unimitazione delle cose che si veg- gono? imperciocche voi rappresentate per via decolori i corpi concavi e i rilevati, gli scuri e i chiari, i duri e i morbidi, i ruvidi e i lisci, i nuovi e i vecclii. Tu di’ il vero, rispose Par- rasio. E Socrate: cpiando voi pigliate a imitar forme belle, perche non e cosi facile abbattersi in un solo uomo in tutte le sue parti incapace d’emenda, raccogliendo da molti quello che in ciascuna e bellissimo, fate si che tutti i corpi totalinente belli appariscano. Cosi facciamo, clisse egli. Ma per questo, soggiunse Socrate, imitate voi anche la sembianza dell’animo, per- suasiva , dolce, grata, desiderabile , amabile ol- tre rnisura? o pure inimitabile e cotal cosa? In qual maniera, Socrate mio, disse allora Par- rasio, puoss’ egli imitare quel che non ha ne proporzione, lie colore j ne alcuna di.quelle qua- lita che tu poco fa mentovasti , ma oltre a cio a niun patto si puo vedere? Non si da egli alle volte il caso , replied Socrate , che aitri guati alcuno con viso giocondo o con burbero? Cosi ini pare , diss’ egli. Adunque, seguito Socrate, negli occhi e un non so che possibile ad espri- mersi. Del sicuro, riprese il Pittore. Indi il Fi- losofo: ma negli accidenti prosperi o sinistri de- DJ PARRASIO \ gli amici parti egli che abbia il medesimo sem- biante chi e impensierito e chi no ? No , sog- giunse laltro, perocche allegri nelle cose felici, e mesti nelle ayyerse diyengono. E Socrate ri- piglio: anche queste cose sono di quelle che si possono rappresentare imitando. Chi nedubita? disse Parrasio. Anziche, seguilo il Filosofo, nel yolto e nel portamento degli uomini, 0 fermi 0 moyentisi, traspare il genio e l’in dole magnifi- ca, e la nobile e la yile e la gretta e la conti- nente e Payyeduta e la sfacciata e Y enorme. Yerissimo, disse il Pittore. A 1 che Puno: posson dunque esprimersi a forza d’ imitazione. Senza dubbio, rispose l’altro. Ma quali cose pertanto, soggiunse Socrate, credi tu che altri yegga pin yolentieri, quelle che i costumi gentili, buoni ed amabili, o pure quelle che le maniere sozze, scellerate ed odiose ci rappresentano ? Grain dif- ferenza, o Socrate, disse allora Parrasio, troyasi tra le cose proposte. E qui resto troncato il di- sc or so , forse per non entrare in piu lunghe e difhcoltose quistioni ; la prima delle quali, a mio giudicio, opportunamente stata sarebbe: perqual ^ cagione an yizioso e ribaldo, le cui iniquita sono da noi tanto abborrite, ci diletti in yederlo o in sentirlo bene imitare ; in quella guisa che uno, il quale fatto brutto dalla natura non pos- siamo riguardar senza noia, con estremo piacere damano industre rimiriamo dipinto. Ma per tor- PI. 35. io. nare a Parrasio, il quale, a dire il yero, fu un gran pittore, e stabili molte cose nell’arte , egli VITA 9 ° VIII. fu il primo che ritrovo liella pittura le vere IX. proporzioni, la galanteria del sembiante, la ya- ghezza del capello, la yenusta della bocca, ayen- do, per confessione de’professori, ne'dintorni ri- X. portato la palrna. Questa nella pittura e la finez- za maggiore. Imperciocche il dipignere i corpi e i mezzi delle cose e senza fallo operazione Jaboriosa, ma pero tale che in essa molti ne ot- tenner lode; il fare l’estremita de’ corpi, e porre i termini alia pittura oy’elF ha da finire,e cosa che nell arte e riuscita bene a pochissimi. Con- XI ciossiacosache il dintorno dee circondar se stes- so, e terminare in maniera che quasi prometta altre cose oltre a se, e in un certo rnodo mostri eziandio quel ch’ egli occulta. Questa gloria a lui concedettero Antigono e Zenocrate , i quali scrissero della pittura;. ne solamente l’attesta- XII rono, ma ne fecero encomj. Molt’ altri yestigj del suo disegno rimasero nelle tayole e nelle carte, mediante i quali gli artefici molto s’ap- profittarono. Tuttayia, ben che insigne in og ni operazione , rassembro egli di gran lunga infe- riore in paragorie di se stesso nell’esprimere i mezzi delle figure. Conoscendo Parrasio il pro- prio yalore, se ne gonfio e ne divenne arrogan- te; ne yi e state giammai pittore che con eguale impertinenza si sia preyaluto della gloria del- Xin. 1’ arte. Imperciocche egli si pose diyersi sopran* nomi, chiamandosi Abrodieto , che e quanto a dire Delizioso. Onde non manco chi, stomacato di si vana appellazione, con poco mutamento la DI PARRASIO 91 trasformo, e pose, in luogo d’Abrodieto, Rabdo- dieto, traendo lo scherzo e la puntura dalla yerga, la quale sogliono adoperare i pittori. Oua- drava pero quel titolo per eccellenza alia vita delicata ch’egli teneva, essendo dispendiosissimo ne’ vestimenti, i quali per lo piu erano di por- pora; portando in testa corona doro, e trapas- sando col suo lusso e morbidezza oltre al deco- ro, e sopra la condizione di pittore, perche ap- poggiavasi ad una mazza avvolta di strisce spi- rali anch’ esse d’ oro, e strignevasi le fibbie dei calzari con auree allacciature. Ma quel cbe mo- veva piii a sdegno, spacciavasi per solenne ania- tore della virtu, scrivendo sot to alle sue opere piu perfette: Uom dilicato e di virtude amante ParrasiOj a cui fu p atria Efeso illustre ? Dipinse ; ne tacer gid voglio il nome Del genitore Evenore_, che nacque In Grecia., e fu tra prof ess or i il primo. Soleva anche talora appellarsi il Principe della pittura da se perfezionata ; onde usava pa- rimente sottoscrivere quegli altri versi: lo diro talj che non sard .chi I creda. Per opra di mia man V ultimo segno Toccato ha V arte j e trapassar pin oltre Altrui non lice. Ma niente adopra Senza taccia veruna alcun mortale. Soprattutto si vantaya di venir dal ceppo di Apollo, e d’aver figurato TEreole diLindo quale Elian. Yar. St. 9. hi. Aten. I.12. Y. Sclieff- fer in Elian. 1 76. XIY XV.; PI. 35 . 20., Aten. I.i2. VITA Qumtii. 1. 12. IQ. XVI. Pausan. 1 . 2 . 23 . , Bleurs. 25. XYI1 Autolog. I. 4. c. 8. epigr. 26. 92 appunto veduto 1’ avea spesse hate dormendo. Di qui e che sotto a delta immagine si leggeyan quel versi: Quale a Parrasio in mezzo al sonno apparve Soventej ora qui tal mirar si puote. Laonde non e da marayigliarsi che tutti gli altri pittori, come se fosse stat-o di mestieri, lui seguilarono in ritrarre gli Dii e gli Eroi, l’effigie da esso falte imitando. E per venire ormai a far memoria dell’opere , che furon molte , sendo egli stato veramente un fecondissimo artefice, ana delle prime cose, di cni resti memoria, do- vette facilinente essere quanto egli color! nello scudo della Minerva' di tronzo fatta da Fidia, scultore di gia provetto e*famoso, quando Par- rasio era ancor giovane e principiante. Dipinse oltre a cio con hizzarra maniera il Genio degli ■Ateniesi , rappresentandolo egualmente vario , collerico, ingiusto , instabile, pieghevole, cle- auente, pieloso, altiero, ambizioso , mansueto , feroce e pauroso ad un tempo. E mentovato an- ehe il Filottete, i travagli del quale rappresento col pennello stupendamente. E sopra questa pi t- tura si legge un bellissimo epigramma di Glau- co da me largamente tradotto: TPide Parrasio gV in finiti affanni Di Filottete e color ir gli elesse. Sorde lagrime jan lunga dirnora NelVasciutte palpebrej e dentro chiusa DI PARRAS I O Aspra cura mordace il cor gli rode. Saggio Pittorej e perche fare eterno II duol di questo Eroe che ben dovea Dopo tantl travagli aver quiete ? Conservossi in Rodi una tavola, in cui eran dipinti Meleagro, Ercole e Perseo. E fu grande stupore che essendo sino a tre volte awampata da’fulmini, non restasse tnltavia cancellata. Son celebri altri gruppi di figure simili a questo, cioe Filisco' e Bacco, sendo iyi presente la Vir- tu : Enea, Castore e Polluce; e parimente in- sieme uniti Telefo, Achille, Agamennone, IJlisse. Ne furono in minor pregio uti capitano di nave armato di corazza; due fanciulli, ne’quali chia- ramente appariva Finnocenza e la sicurezza di quell eta libera da’ travagli; un sacerdote, a cui assist eva un giovanetto con la navicella dell’ in- censo e con la ghirlanda, e una balia Candiotta col bambino in braccio. In Corinto dipinse un Racco bello a maraviglia in concorrenza d’ altri pittori. Veggendo il popolo che Popere de’con- correnti erano appetto ad esso men belle, escla- marono: chf han da jar queste con Bacco? Onde per avventura nacque il proverbio. In Efeso fu veduta da Alessandro M. di mano del medesimo, non senza gran commozione d’ affetti, la hgura d’un Megabizzo, per tale accidente commen- data dagli scrittori. Bizzarro concetto fu quello di figurare la finta pazzia d’Ulisse, bisognando ^rtificio non ordioario per far distinguere che Plin. 1 35* 10. PI. 35 . i© XYIII. XIX XX., Tzetz. Cliil.8. St. 19 8^.399. XXL Plot. d. Ascolt. Poet. 1 8. Temist. Orat. i4. a 34 . XXII. XXIII. xxiy. VI 55.10. XXV. Plutarc.d. Glor. d.A- teniesij in princ. 94 VITA quell’ Eroe faceva il pazzo , e non era. Bel ca- priccio altresi mi par quello che gli yenne di fare il proprio ritratto , mentre doyea rappre- sentare un Mercuric ; perche in cotal guisa in- gannd i riguardanti, i quali si credettero ch’egli ayesse dipinto la tavola in onore di quel Dio , doy’ egli procaccio la propria gloria scansando la taccia di troppo affezionato a se stesso, ben- che solto altrui nome si fosse mal seryito della pittura. Nobilissime fra tutte Paltre furono due figure d’uomini armati: Tuna di battaglia, che pel corso appariya sudata ; l’altra che nel posar Tarmi si sentiya anelante. Dipinse rArcigallo, cioe il Principe de’sacerdoti di Cibele; la qual pittura tanto piacque a Tiberio , che molto ap- prezzandola , se la rinchiuse in camera. Il me* desimo Imperadore fece lo stesso d un altra ta- yola pur di Parrasio, nella quale Meleagro ed Atalanta eran dipinti in maniera ch’ assai hello e tacere. Questa a lui fu lasciata sotto condi* zione , che se egli si scandalezzasse dell’argo*- mento , in quella yece ottenesse grossa somma di contanti. Ebbe gran fama anche il Teseo, che si conseryo in Roma nel Campidoglio. Non posso gia affermare se questo fosse diyerso da quello, il quale era anticamente in Atene, e che yeduto da Eufranore e paragonato col suo , disse che quel di Parrasio s’ era pasciuto di rose, e 1 suo di earne boyina. Per detto degli scrittori, quel di Parrasio era layorato per eccellenza, e tanto o quanto simile all’altro; ma chi yedea quel di M PARRASIO 9 5 Eufranore era forzato a dire ad onor degli Ate- niesi : Popolo del magnanimo EretteOj Cui gid Palla nutrij figlia di Glove. Certo e che bellissima e necessario che fosse anche P opera del nostro Artefice, poiche in Alene si ayeya in solenne yenerazione la ricordanza di Silanione e di Parrasio, per ayere seolpito e dipin to Teseo. E cio forse fu la cagione che questi ottenesse per privilegio la cittadinanza di Atene, giacche col supposto ch’egli fosse Ate- iiiese si narra il prossimo ayyenimento. Yolendo Parrasio figurare un Prometeo tormentato, e desiderando di yederlo dal naturale, si diede appunto il caso che Filippo re di Macedonia yendeya i prigionieri d’Olinto, onde egli ne com- pro uno assai yecchio, e lo condusse in Atene. Ouiyi fieramente tormentandolo, ricayo da esso nn Proineteo. Il prigione si mori fra’ tormenti; onde ponendo egli questa tayola nel tempio di Minerya, fu accusato d’aver grayemente offesa la maesta della repubblica. Rella occasione diede questo accidente agli oratori di mostrar decla- mando la lor facondia. Fuvvi uno che comm- ciando esabrutto , disse in cotal guisa contro a Parrasio. Povero yecchio ! yide le royine della patria distrutta; strappato dalla consorte, calpesto le ceneri dell’ arsa Olinto; ed era tanto afflitto, che ben parea snfficiente a rappresentare un Iliad, v. n. 54y- Plutarc. Yit. Tes.. in princ. Seneca Contr. 34. XXVI. Da Senee. 3.5. Contr. 34 . VITA 9 6 Prometeo. Cosi non parve a Parrasio. Adunque non e a bastanza afflitto un prigione cl’Olinto, se non e sell la vo in Atene? Parrasio, vuo’ tu dar- gli maggiori affanni? Rimenalo a vedere la pa- tria desolata, ov’egli resto priyo di casa, di figli. di liberta. Parmi clie tu mi dica: basterebbe ad esprimer P ira di Filippo, ina non quella di Gio- ye. Cbe yuoi dunque, Parrasio? Si percuota, si scotti, si laceri. Cio non fece Filippo inimico. Muoia fra’ tormenti. Ma tanto non voile ne an- cbe Gioye. Chi vide giammai fare affogare gli uomini per dipingere un naufragio? Fidia non yide Gioye , e pur lo fece tonante : non ebbe ayanti a gli occhi Minerva , e tuttayia col suo spirito, proporzionato a si grande artificio, con- cepi ed espresse gli Dii. Che sara di noi s’ e’ ti yien capriccio di dipignere una battaglia? Biso- gnera dividers i in varie squadre, e impugnar Parmi a yicendevolmente ferirci ; sicche i yinti sieno incalzati, e insanguinati tornino i yinci- tori. E perclie la mano di Parrasio non ischerzi co’suoi color! a sproposito, s’ ha da temere una strage. Adunque non si puo dipignere un Pro- meteo senza ammazzare un uomo? E tu non 10 sai figurar moribondo, se non lo yedi mori- re? E perche non piu tosto dipignesti Prome- teo allor ch’ e’ faceya gli uomini e dispensaya 11 fuoco celeste ? Perclie non lo ponesti anzi fra’ ministeri che fra’ tormenti? Vero e che Pro- meteo fu tormentato media nte gli uomini; ma tu tormenti gli uomini per cagion di Prometeo, D I PARRA S 1 0 9 1 Ne son pari i tormenti , perche piu patisce il fin to Prometeo se lo dipigne Parrasio, die non soffre il vero se lo punisce Giove , parendoti sca^s a ogni pena se non uccidi. Quanto sia lesa l’umanita, non che la repuRblica, ciascun sel vede. Un Olinzio ehe per tuito si credea d’aver pace dove non era Filippo, e che appresso lui yisse disciolto, fu poscia incatenato, tormentato ed ucciso in Atene. Diensi dunque a Parrasio giustamente quelle pene ch’egli ingiustamente diede al yecchio d’ Olinto ; e nella persbna del crudelissiino pittore rappresenti giusto earned- ce e col ferro* e col fuoco quel Prometeo che egli desidero tanto di hen esprimere eo’ suoi pennelli. ]Non soddisfatto, soggiunse un altro: Mentre io mi pon go, o Giudici , a descrivere il fuoco, le percosse, i tormenti d’lin infelice yecchio di Olinto, voi forse vi crederete ch’io mi sia per quei;elar di Filippo. 0 Parrasio, mandinti pure in malora gli Dib^-perocche in tuo paragone hai fatto diyenir Filippo clemente. Se a te si crede, in questo fatto imitasti Gioye yendicato- re; se a. noi, superasti Filippo sdegnato. Alla fine quelFempio carnefice della Grecia non fepe altro che yenderlo. Fu esposto quel nohil yec- chio, macerato da tante e Si lunghe miserie, con occhi incayati, piangenti e riyolti alia patria, e si maninconico, che sembraya gia tormentato. Piacque a Parrasio sembianza tanto dogliosa , ayendo assai di Prometeo anche innanzi a’ tor- Datj. Vite de' Pittori \ g& , V I T A mend. Fasserenossi alquanto nel yedersi con clur yerso l’Attica; ma quand’ egli si yide aeco- star le catene, pien di marayiglia e d’ orrore esclamo: e che ci han da far quest e ? Se iofossi prigione altroye , fuggirei in Atene per ayer li- berta. Adunque piu di me, fortunati son qnei die servono in Macedonia? irrtal guisa in Ate- ne si ricettan gli Olinzii? Mentr’ egli cosi dice- ya, si pose Parrasio da una banda, ayendo in mano i colori, dall’altra il tofmentatore co’ fla- gelli e col fuoco. Cio yeggendo gridaya lo syen- turato : io non sono Fu derate , io non son La- stene, io non ho tradito la patria. Ateniesi, se io sono mhocente, soccorretemi ; se no, rirn.an- datemi a Filippo. Fra tanto Parrasio, non so se piu disposto a dipignere, oyyero a incrudelire , dicea : perenoti, tormenta per tal maniera bar- baramente temperando i colori ; e non soddis- fatto: seguita , tormenta ancora : cosi sta be- ne; mantienlo in questo state: tale appunto es- ser dee il ycrlto d’un lacero e dun moribondo. Ma questo, o Parrasio, e fare e non dipigner Prometeo. Anzi se costui si muor fra- tormenti, e un passar di la da Prometeo ; e piu incrude- lisci tu nel dipignere, che Gioye non incrudeli nel punire. Ma dimmi: se tu ayeyi necessita di straziar qualcheduno, perche prenderlo d’Olin- to? perche un ihnocente , e non piu tosto un reo, pigliando e dando in un. tempo il natifrale e la pena? Ne ii suffraga il dire: io Y lio com- perato, e mi preyaglio di iiiie ragioni. Sendo tu m PARBASIO 99 d Atene, ed egli d’ Olinto, non Thai compero, ma riscattato. E poi, perche mettere in pubbli- co questa tavola, quasi trofeo della tua crudel- ta , tormentando con si fiero spettacolo gli oc- elli di tutta Atene? A che effetto collocarla in ! quel tern pio, dove facilmente furon firmati gli strumenti della confederazione fra Olinto ed Atene? in quel tempio in cui s’offeriscono agli Dii sacrificj e YOti in pro degli Olinzii? Che pin si desidera, che piu si cerca per mettere in cliiaro ,clie da Parrasio fu lesa la repuhblica, la quale difende e conserva, e non tormenta e non uccide gli amici e i confederati? Qual castigo si convenga a chi palesemente e reo di tanto delitlo, a me non tocca, o giusli e sayj Giudioi, il dirlo, per non far torto alia Yostra dirittura e alia Yostra prudenza. Dopo i due accusatori parlo il terzo oratore in difesa. Oil quail to e sottoposla aglinganni la mente umana nel ben discernere il Yero, men- tre questo non Pe mostrato al Yivo lume della ragione e con le giuste maniere , e che la per- spicacia allrui resta offesa ed abbagliata dalle passioni, e il diritto giudizio dall’apparenze tra- Yolto! LeYiamoci, o Giudici, dinanzi agli occhi le nebbie e terghiamo gli umori , ne riguar- diarno il fatto che Yien proposto per mezzo di speccbi e di colori inganneYoli, ma riconosciamo nell oggetto reale ignuda e pura la Yerita. Viene accusato Pdrrasio di lesa repuhblica per aYer tormentato un uomo perche quest! era Olinzio ; per aver imitato i supplicj degli Dii nella sua pittura, e per aver posta la tavola nel tempio di Minerva. In che offese Parrasio la repub- blica? perche tormento un uamo; anzi possiamo dire un cadavero , cosi era egli macilente, mal condotto e vicino a spirare; e talmente mise- rabile, che bramava la morte come ristoro. Ne vi crediate che Filippo venduto l aves se ^ s’ e’ non si fosse accorto che il vivere gli era pena. Perche dunque lo comperb Parrasio ? Perchb tale appunto lo cercava per esprimer Prome- teo. Ned egli l’uccise, ma ben si valse della morte di lui che per natura nioriva. E poi, quand’ anche I’avesse comperato per valersene ne’solili ministeri, giacche costui era moribondo e volentieri moriva ? che mal fece Parrasio a ca- vare quant’ egli piu poteva da quel cadavere, servendosi di lui per lo natural di Prometeo ? In che dunque fu lesa la maesta della repub- blica? Parmi d ascoltar ehi mi dica: bisogna dir tutto; 11 vecchio ch’ egli ha straziato era Olin- zio. Ponghiamo ch’ e’ fosse Ateniese. Certo e che se io ammazzerb anche un senatore d’Ate- ne, non saro accusato di lesa repubblica, ma di omicidio. Sara per ayventura soggiunto', che cib pregiudica al buon concetto d’Atene, e. che gli Ateniesi sono in riputazione per la clemen- za. E quando mai fu corrotta la fama pulablica dall’ operazioni d’ un solo ? II Buon concetto che s’ ha degli Ateniesi e cosi ben fondato, che non pub distruggersi per aver altri torinentato DI PARRASIO 1.0 i un prigione. E poi, dira Parrasio, qnesti e mio schiavo , e per ragione di guerra da me com- prato. Mette conto a voi, o Ateniesi , mantene- re il jus della guerra ; altrimenti bisognera tor- nare agli antichi confini, e restituire tutti gli acquisti. Voi mi direte : costui puo esser servo d’ognaltro compratore , che d’ imo Ateniese. Pretenderebbe Parrasio forse ii medesimo s’egli avesse comperato da Filippo un cittadino di Atene ? egli molto ben sapeva cbe gli Olinzii erano nostri confederate Ma Parrasio a questo replicherti : volete voi vedere che gli Olinzii potevano anche presso a noi esser servi? Egli e stato poi fatto un decreto da voi Ateniesi, nel quale si dispone Gh’ e’ sieno liberi e cittadini. E perche si da loro questo jus, che gia secondo i miei avversarj essi avevano ? Di piu , non si determina in questo decreto che gli Olinzii sieno liberati, ma che si stimino liberi. Si sta- bili, direte voi , che gli Olinzii fossero nostri cittadim, e cosi coiui eziandio era nostro citta- dino. Signori no: il decfretd risguarda il future e non il passato. Ne volete la prova? Non chiun- que ha servi d’ Olinto sara accusato di tenere in servitu un cittadino. Ma fu accusato Parra- sio per averlo mal trattato ed ucciso. Potrebbe egli essere accusato d’ingiuria chi servendosi d’un suo schiavo ne’ soliti ufficj lo percuotesse? Per quanto s’ appartiene alia- ragione non e dif- ferenza veruna dall’ammazzarlo al percuoterlo. Imperciocche se non lece 1’ucciderlo, ne rneno Y I T A 1 02 lece il bastonarlo. Non fa male aclunque chi ri- tien per servo un Olinzio , che tale era avanti al decreto, e di lui si vale come di servo che egli e, e come servo lo tratta. In che dunque, torn© a dire,*fu lesa la repubblica da Parrasio? Forse per aver fatto una cotal pittura crudele, e poscia per averla posta nel tempio? Offendo- no la repubblica coloro che le tolgonoj non rpiei che le danno ; quei che rovinano, non quei che adornano i tempi i. Errarono a dunque an- che i sacerdoti che ricevettero la tavola. Ma perche dovevan non riceverla? Sun dipinti gli adulterj degli Dii, ci son pitture d’ Ere ole, ucci- sor de’figliuoli, e mill’altre peggiori ; e non e’e chi se ne scandalezzi. Molto dee alcuno chia- marsi offeso da questa , in cui si punisce la te- inerita di Prometeo, e si rappresenta la giusti- zia di Giove? Non si dia per tanto , o Giudici, alcun gastigo a Parrasio , ma bensi premio ed onore, il quale non offese la repnbblica , ne fu crudele in prevalersi d’un servo ; anzi con Parte sua reco ornamento alia* citta nostra , e terrore ggli empj, perche non ardiscanq da qui avanti opporsi al voler degli Dii, e veggano come si puniscono i trasgressori delle leggi divine. Qual esito avesse questa causa , non saprei dirlo , perciocche presso agli scrittori non se FL 35. io. ne trova memoria. Ma avendo oramai raccolto quanto si legge dell’ opere in grande piii cele- bri di questo Artefice, non debbo tralasciare, ch’ egli dipinse ancora in piccoli quadretti atti I) I PARRASIO io3 meno che onesti , eleggendosi questi scherzi sfacciati per sua ricreazione dalle fatiche mag- giori, tra le quali usava trattenersi senza noia e senza stanchezza, alleviando il peso dell’arte sua cosi gentilmente sotto voce eantando. Di XXVII. queste piccole pitture intender yolle , a mio XXYHf credere, Properzio quando egli disse: In piccolo Parrasio ha preso il luogo. E pertanto da credere che menando Parra- sio vita deliziosa e gioconda * e per lo suo va- lor ee fama onorata, fp$se il piu felice pittore de’ tempi suoi PGSTILLE ALLA YITA DI PARRASIO (i) I. He egli sarebbe divenuto tanto eccellente ec. Grandi encomj di Parrasio fanno molti scrittorL dicer. I. i. d. Tuscul. in princ. Orazio 1. 4- od. 8 . Donarem pateras ■, gratoque cojnmodus 3 Censorine meis cera sodalihus . Donarem tripodas, prcemia for limn Graiorum : neq\ie tu pessima munerum Ferres, divite me, scilicet artium , Quas, aut Parrhasius protulit , aut Schopas , Hie saxo; liquidis ille coloribus Sellers nunc hominem ponere 3 nunc Deum. Giovenale sat. 8 . v. 102 . Ft cum Parrhasii tabulis, signisque Myronis Phidiacum vivebat ebur , hecnon Polyeleti Multus ubique labor : rarce sine Mentore mensce L’ Irnperad. Giustin. Inst. 1. 2 : d. Rer. Diyis. Ei - diculum est enim picturam Apellis , vel Parrhasii in accessorium vilissimee tabulae cedere. Columel. Praef. , 1. 1 . Diodor. Sicil. Egl. del 1. 26 . a 884-, S. Greg. Hazianz. Oraz. 34-, Imerio presso a Fozio a ii23.. ( 1 ) Vedi quello dhe nota sopra questa materia e sopra il luogo di Plinio, Alberto Rubens, lib. 1 . cap. 10 ., de Re Ve- sliaria, yeduto da me dopo la pubblicazione di questo libro. POSTILLE ALL. A VITA DI PARRASIO Io5 Animadv. ) : die allora riesce 1’ opera difficilissima, quan- do s’arriva a levar per appunto. Ma questo non torna bene, perche Plinio discorre delle estreme linee , che cosi chiama i dintorni , e Policleto intendeva del dar 1’ ultima mano e il pulimento alle figure o di terra o di stucco. 11 che forse meglio s’ accoppierebbe con quel che usava dir * Prassitele presso a Plinio 1. 35. n. Bio est' Nicias de quo dicebat Praxiteles interrogatus , quce maxime opera sua probaret in marmoribus, quibus Ni- cias manum admovisset : tantuni circumlitioni ejus tri- ALLA VITA DI PARRASIO Il3 buelat. Dove circumlitio . a mio credere, vale una eerta lisciatura e ultimo rinettamento che ragguagli e tolga via ogni scabrosita del lavoro ; parendomi assai diver- samente usala da Seneea nella Pistol. 86. per incro - statura di pietre commesse : Nisi illis undique operosa , et in pictures modum variqta circumlitio prestexitur . XI. Gonciossiacosachc il dintorno dee circondar se stesso ee. Plin. 35 . io. Ambire enim debet se extremitas ipsa : et sic desine re , ut promittat alia post se : ostendatq ‘ eiiam quae occultat. Una simil cosa piii a basso trat- tando di Apelle : Ejusdem arbitrantur manu esse, et in Antonies templo Herculem aver sum , ut ( quod est diffi- cillimum j faciem cjus ostendat verius pictura quam promittat. XII. Molt’ altri vestigj del suo disegno rimasero nelle tavole e nelle carte ec. Plin. 35 . io. Alia multa graphidis vestigia extant in tabulis , ac membranis ejus , ex quibus proficere di- cuntur artifices. Da questo luogo par cbe si cavi cbe gli antichi* disegnassero in carta ; ma di cio piii esat famente nel Trattato della Pitt. ant. , dove si parleiA del disegno e del modo di disegnare. L’ ultime parole mi fanno ricordare de famosi cartoni di Micbelagnolo, i quali furono per un pezzo la scuola e ’1 cimento di chiunque desiderava di far passata nell’arte. XIIL Imperciocche egli si pose diversi soprannomi , cbiamandosi Abrodieto. Plin. 35 .. io. Namque , et cognomina usurp avit , Habrodicstum se appellando. E tale appunto si ehiamo neir iscrizione portata intera da Ateneo, della quale piii avanti afipodiaiTofr cioe che vive delicatamente , che fa vita delizipsa. Cbe Parrasio fosse tale, e mani= festo da quel cbe narrano Elian. 1 . 9. c. 11. Yar. Stor. ? Aten. I. 12. E ben da avvertire cbe lo scherzo di quel- Dati. Fite de' Pittori. 8 P O S T I L L E Fingegnoso spirito, che scandaiezzato di Parrasio, il quale per esser buon pittore , avesse ardimento d’ ap pellarsi Abrodieto e amadore della . virtu , in questo epigramma vario il prineipio dfipoSiaiTog dvvjp in pdfiSoSiairog dvvjp , non si trova ne pur accennato nella traduzione del Dalecampio, come noto e*suppb I’ eruditissimo- Gasaub. 1. i5. c. io. sopra Ateneo. Son pero da scusare il Dalecampio e Natal Gonti, i quali non poteyano porre nelle loro versioni latine quel che non era nel testo greco, atteso che tanto nelF edizione. d 1 Aldo del i5i 4? quanto in quella di Basiiea del i 535., la quale adopero il Dalecampio , manca tutto questo racconto, di poi aggiunto e inserito dagli antichi mss. in quella del Gommelino, unita di rincontro. alia ver- sione del Dalecampio, la, quale se non e una volta da qualche dotto critico riscontrata, emendata e supplita col testo greco , apparira e sara sempre in questo e in molti luoghi manchevole. Gerto e che riegfi antichi mss. d’ Ateneo esser dovea quanto e stato supplito, poi- che Eustazio, sopra 1’ Odissea 1. 8. a i tocca la medesima cosa come cavata dalle Cene de 1 Savj. E in due testi a penna d 1 Ateneo , ancorche di non grande antichita, i quali si conservano nella famosa libreria Eiorentina di S. Lorenzo, tutto compiutamente si legge. Ma per tornare alia voce pdfidoSicurog , la quale ver- rebbe a significare un che vive di verga, detta da’ Greci pdpdog, il medesimo Gasaubono par che fondi tutto lo spirito di questa parariomasia , o com’ altri dieono an - nominazione , sopra Y asticciuole de’pennelli, e sopra quell 1 altre verghette che i Latini dissero viricula , mas- serizie pur da 1 pittori. Non per contraddire a letterato si grande , ma per soggiunger qualche cosa di piii in questo particolare, siami lecito propOrre la mia opinio- ne. Io non sarei lontano dal credere che il motteg- giatore di Parrasio alludesse piii tosto a quella bao ALLA VITA Dl PARRASIO I l 5 chetta che adoprano i nostri pittori per appoggiare e tener salda la mano ; della quale e molto verisimile che si valessero anclie gli antichi, stante il grande e quasi neeessario comodo che ne risulta. E cio mi persuade un luogo singolarissimo di Plutarco nel fine del Di- scorso sopra coloro che tardi son gastigati da Dio : xai tl f>a,$SioV) cioitep ^aypdcpoi^ dtaTuvpov urpooaysiv. E gli porse una bacchetta da pittori infocata : le quali pa- role malamente possono intendersi de’pennelli. E tanto basti d’ avere con ogni riserbo accennato cosi alia sfug- gita, per discorrerne altrove piu distesamente e, come si dice, a posato animo , dove si trattera degli arnesi pittoreschi. E per dir qualchc cosa eziandio della ma- niera di questo scherzo, consistente in trasposizione o mutamento di lettere, cangiando dSpodiouTog in pd@So- di'cuToS) a fine di cavarne dileggiamento e puntura , simiiissimo e quello che si legge appresso Cicerone nei 1. 4* delle Verrine : Retinere ccepit tabulas Theomna - stus quidam , homo ridicule insanus , quem Syracusani Theoractum vacant : qui Ulic ejusmodi est, ut eum pueri sectentur, ut omnes cum loqui cccperit irrideant (i). E quell’ altro riferito da Svetonio in Tiberio c. 4 (i) 2 - Ei castris tiro etiam turn propter nimiam vini aviditatem pro Tiberio JSiberius , pro Claudio Caldius, pro Nerone Mero vocabatur ; e confermato da Sesto Aurelio Vit- tore : Iste, quia Claudius Tiberius Nero dicebatur 9 ele - ganter a jocularibus Caldius Biberius Mero ob vinolen - tiam nominatus est. Chi altri ne volesse, ricorra al dot- tissimo Gher. Gio. Vossio nelle Instituz. Orator. 1. 5. c. 5. , non volendo io perder tempo in accumulare esempli d’un’ arguzia da me riputata assai fredda con Quintil. 1. 6. c. 3. Et hcec Lam frigida, quam est no- (i) Cicer. 1. i . d Divin. Zeno Crysippam nunquam nisi Cresippum vocabat. V. a q. 1. P V Qscalopcrio, a i5. n POSTILLK r 1 6 minum fictio adjectis , detractis , mutatis litteris : ut Aci - sculum , quia esset p actus , Pacisculum : et Placidum nomine , quia is acerbus natura esset , Acidum : et Tul- lium cum fur esset, Tollium dictos invenio. JOV.- Uom dilicato e di yirtude amante ec. Veggasi questo epigrarama presso Ateneo 1 . 12. a 543 . e 1 . 1 5 . a 687., e sopra esso il Casaubono nelle Animadvers., afipooi'aiToq veraraente yale, che vive delicatamente ; ma per comprender tutto in una parola, mi son preso sicurta di tradurre dilicato x e poco sopra delizioso. Notisi in- oltre che Parrasio si cliiamo ama- dore della virtu ; e ne fu motteggiato a ragione, peroc- che non dovea abusar questo titolo cosi nobile , adat- tandoio al pregio della pittura, degna bensi di laude , ma che non puo agguagliarsi a quella vera sapienza che rende l 1 uomo in terra quasi celeste. Questo mede- simo errore commetton coloro, i quali nella nostra lin- gua appellario virtuosi i musici, i pittori e altrettali uo- mini eccellenti nell’arti loro, quando si gloriosa deno- minazione non si conviene ne anche a ’ filosofi, se ve- ramente non son giusti, forti e prudenti. Potrebbon pero questi tali difendersi con un luogo d’Aristotile, registrato nel 1 . 6. c. 7. delle Morali, dove s’ afferma che Fidia e Policleto erano chiamati savj nellarte loro: del che veggasi il Mureto e il Cifanio ne’ Goment. XY. lo diro tal,.che non sara chi 1 creda ec. Leggesi questa inscrizione in Aten. 1 . 12^-e in Aristide t. 3 . 658 . nell’ Oraz. Ylepizov Uap&tfSeyfiaTog ; e qualche parte di essa appresso Eustazio sopra il 1 . 8. dell’ Odiss. a 1593. Le versioni latine di Natal Conti, del Dalecampio e del Gantero tutte svariano , e s’io non m’ inganno , s’ allontanano dal vero sentimento di chi fece questi versi. Io non VQglio qui registrare una lunga diceria, rendendo ragione del mio volgarizzamento, ma rimettermi in prime luogo a quel che osserya il ALLA VITA DI PARRAS I a II 7 Gasaub. 1> 12 . c. 11 . sopra Ateneo, e secondariamente al giudicio degli eruditi e discreti lettori , i quaii ben avvertiranno le difficolta ch’ io posso ayere incontrate, e quel che m’abbia mosso ad accettare piu una lezione che un’ altra; e quando cio non mi sia accaduto felice- mente, compatiranno anche me. Di questo epigramma al sieuro intese Plin. 1. 35. 10 ., dicendo che Parrasio si nomino Aliis verbis principem artis , et earn a se consumatam. XVI. Sendo egli veramente stato un fecondissimo artefice. Plin. 35. 10 . Fcecundus artifex, sed quo nemo in- solentius et arrogantius sit usus gloria artis. Gio. Bat- tista Adriani dovette legger facundus, giacche tradusse : False ancora neU" arte del ben parlare. Ritengo con tutti i testi a penna e stampati fcecundus^ perch’ e ma- niera familiare di Plinio, 1. 34- 8. di Lisippo : Plurima ex omnibus signa fecit , ut diximus , fcecundissimce ar- tis. E 1. 35. 10 . di Protogene: Summa ejus paupertas initio, artisq ; summa intentio , et ideo minor fertilitas. Diversamente pero espresse il medesimo concetto al c. 11 ., facendo menzione d’ Antidoto scolare d’Eufra- nore : Ipse diligentior, quam numerosior. XVII. Dipinse egli oltre a cio con bizzarra maniera il Genio degli Ateniesi ec. Plin. 35. 10 . ( 1 ) Pinxit et Demon Atheniensium argumento quoque ingenioso. Volebat namque varium , iracundum , injustum , inconstantem : eundem exorabi- lem , clernentem , misericordem , excelsum , gloriosum , Jiumilem, ferocem] fugacemque , et omnia pariter osten- dere. Con qual arte o invenzione Parrasio potesse espri- mere tanta varieta d’ inchinazioni e d’ affetti, io certa- mente non saprei dire ; e sin ora confesso ingenuamente ( 1 ) V. Gio . Meursio l. 1 . c. 1 . d. Lez. Attiche , POSTILLE x 18 di non me l’esser saputo immaginare. Ma chi si conten- tasse di vedere in cambio della pittura una bella de- scrizione del Genio d’ Atene , ricorra * a Plutarco nel princ. de’Precetti per amministrar la repubblica. Pau- san., nelle cose dell’ Attica , dice che Leocare scul- tore fece la statua del popolo Ateniese e nel primo 3. a 3. dice che Lisone scultore fece la statua del po* polo;epoco sopra aveva detto che insieme con Teseo era dipinto il popolo e la citta popolare. Non e da .tacere che nelFlndice Pliniano degli Au- tori nel 1. 35. e nominato Parasius. Forse andra cor- retto in Parrhasius , e sara il nostro che avra scritto qualche cosa dell’ arte. Del tempio del popolo Ateniese' ( Giuseppe Ebreo, Ant. Giud. 1. 1 4. 1 6 ., Meurs. 1. 2 . 11 . Aten. Att. ) Ari- stolao, figliuolo e scolare di Pausia , dipinse la plebe d Atene, Plin. 35. ii. Imago Atticae plcbis ; ma que- sta forse fu una cosa simigliante a quella frequenza di donne dipinta pure in Atene da Atenione Maronita , del quale poco sopra il medesimo Plinio : Athenis fre- cjuenliam quam vocavere Poljgyncecon * XVIII. Filisco e Bacco, sendo ivi presente la Virtu. Plin. 35. 10 . Philiscum et Liberum patrem , acl- $tante Virtute. Il Dalecampio osserva che molti ebber norae Filisco, e crede che il dipinto da Parrasio sia quegli di cui parla Eliano, Var. Stor. 1. i4- c. ii., il quale avyerti Aless. M. ; e questi appunto e certo che non puo essere, perche Parrasio lion molt’ anni ayanti all 1 eta di quel Principe. XIX. E una balia Candiotta con bambino in brac- cio . Plin. 35. 10 . Pinocit, et Cressam nutricem , infan - temque in manibus ejus. Monsignor Pelliserio nelle note mss. : forte , infantesque in mammis ejus , ut sit illud quod Virgil . /. 5. Aeneid. v. 38 /j. canit ; ALLA VITA DI PARRASIO ”9 Olli serva clatur , operum Jiaucl ignara Minervae 9 Cressa genus Pholoe, geminique sub ubere nati. Se per qualche autorita si provasse che le balie Candiotte fossero per ordinario tanto abbondanti di latte, che per loro costume desser poppa a due bam- bini ad un tratto, loderei questa mutazione ; ma restando- cio senza prova, io non so vedere il bisogno d’emen- dar Plinio, per far si che la pittura di Parrasio s’ ac- cordi co’ veTsi di Yirgilio. XX. In Corinto dipinse un Bacco ec. Racconta cio Suida, citando Teeteto nel lib. del Proverbio, Cent. n. 20 . Y. quivi A. Scotto. E al- trove sopra Zenob., Cent. 5. 4°- Erasino a 90 . Prov. Nihil ad Bacchum. II medesimo che Suida Mich. Apo- stolio, Centur. 1 5. pr.ov. i3. XXL Bizzarro concetto fu quello di figurare la finta pazzia d’ Ulisse. Espresse la medesima anche Eufranore. Plin. 1. 35. 1 1 . Nobiles ejus tabulae Ephesi ; Ulioces simulata vesania bo~ vem cum equo jungens. XXII. INobilissime fra tutte l’altre furono due figure d uomini armati ec. Plinio 35. 10 . Sunt et duce picturce ejus nobilissimae Hoplitides etc. II Turnebo, secondo che nota il Dale- campio, corresse Hoplitce, dichiarando che questa voce vale uomini armati. Ben fatto, perche Hoplitides signi- ficherebbe femmine armate ; il che mal s’ accorderebbe con le seguenti parole. La medesima emendazione venne in mente al Pinciano ; ma per variar meno ripose , Hoplitce duo. Di questi corridori armati, detti percio bnXiToSpopoiy Pietro Fabbro nell’ Agonistico, e Erasmp Smid sopra Pindaro. XIII. Dipinse TArcigallo, cioe il Principe de’ Sa cerdoti di Cibele. 120 POSTILLE Plin. 35. io. Pinxit et Archigallum , quam pictu - ram amavit Tiberius princeps : atque , ut auctor esi De- cius Eculeo, lx. sextertiis cestimatam , cubieulo suo in - chisit. Dell’ Arcigallo Tertull. Apolog. c. 2 5. Archival- lus ille sanctissimus die nono calendarum earundem , quo sanguinem impurum lacertos quoque castrando li- babat, e altrove. Si vale anche di questa voce Giulio Firmico, ma piu universalmente per castrato, 1. 3. c. 6. Astronom. Archigallos faciet , et qui virilia propriis sibi amputent manibiis. XXIV. 11 meclesimo Imperadore ec. Chi vuol sentir questa storia intera, legga Svetonio nella Vita fli Tiberio, cap. 44- Fu ben semplice colui che fece di questo legato T alternativa, e riputo scru- poloso Tiberio. Non doveva esser egli informato di Caprea e delle Spintrie, de’ quali vituperi, al parer di alcuni antiquarj, restano ancora nelle medaglie vergo- gnose memorie. XXV. E qhe veduto da Eufranore e paragonato col suo, disse ec. Plinio 35. n., dove, parla d’ Eufranore : Opera e jus sunt equestre prcelium xii. Dii : Theseus in quo dixit , eundetn apud Parrhasium rosa pastum esse } suum vero carne. Mons. Pellisserio, vescovo di Monpelieri, nelle sue dotlissime note mss. a Plinio, in vece di rosa legge rore pastum esse , e soggiugne : Nimirum uti cicadce ; atque ob id gracilior, slrigosiorque , et quod supra idem de Eufranore ipso dixerat, exilior universitate corporum. Cicadce au>tem .rore, et propemodum Here vesci , aucto- res sunt Aristoteles , Theocritus , Virgilius , Plutarchus , Philo, Gregorius Nazianzenus ; et medicamCnti vim ha- bere abstersoriam satis liquet, ob id in alvo earum ex- crementi nihil esse. Teseum autern Parrhasii e contrano quod carne pastus esset, habitiorem , obesioremque videri probabilim fit. E da avvertire che ii Pellisserio non ALLA VITA DI PARRASIO I 2 I lesse attentamente il luogo di Plinio, perch’ egli dice che il Teseo cf Eufranore era quello che appariva pa- sciuto di carne, e quel di Parrasio di rose; il perche le parole da lui citate, exilior universitate corpovum , non favoriscono altrimenti 1 J emend^ionc, la quale ven- ne in mente anche al Pinciano , e percio disse : Com - modior lectio rore quam rosa, notis Theocriti versibus , et aliorum Poetarum , apud quos macra animalia ca- villo sunt , quod rore pasccintur , ut cicadce. Quanto e pericoloso, nellemendare gli autori antichi, lasciarsi tras- portar dall 1 ingegno, e compiacersi soverchiameate delle proprie correzioni, senza aver per iscorta T amor della verita ! Chi crederebbe che si ingegnosa e ben appog- giata lezione non fosse vera ? E pure e falsissima, e cer- tissima la comune ; dicendo Plularco nel principio d. Opusc. cL Gloria degli Aten. a 346. qjksp TLvQpdvcop tov Svjasatj tov eavrov r&TIappaoiov hsyav zov piv ixetvov poSa fisfipaxhcu , tov S' eai/Tov x psa fiostatj- Come Eufranore , il quale paragonando il Teseo da se dipinto con quel di Parrasio , disse , che questo s' era pasciuto di rose , e il suo di carne boccina. E voile dire, per quanto io stimo, che il colorito del Teseo di Par- rasio era sforzato e come di rose , e la tinta del suo, naturale e di carne. Nel quale errore cadono molti pit- tori modern!, facendo carnagioni che non si trovano in naturale per crescer vaghezza all’opere, scemano loro molto di forza. To non posso contenermi in questo luogo di non m’ opporre alia temerita di certuni, i quali contenti della sola apparenza, mediante la semplice vi- vaeita e leggiadria delle lacche, degli azzurri e degli altri colori nuovamente messi in uso, si pensano d’oscu- rar la gloria di Michelagnolo, d’ Andrea, di Raffaello, di Tiziano , del Correggio e d’ altri artefici di questa lega , i quali per la forza del disegno e dell’ ombre e deTumi, con poche tinte, ma vere e naturali, e com’io 122 P O S.TI LLE soglio dire, non lisciate, ma sucide, hanno fatto quelle maraviglie dell’ arte che ci fanno trasecolare. Con essi pare appunto che parli Plinio 1. 35. 7 . Qua contempla- tione tot colorum tanta varietate subit antiquit atem mi- rari. Quatuor coloribus salis immortalia ilia opera fe- cere , ex albis melino, ex siliaceis Attico , ex rubris si- nopide Pontica , ex nigris atramento , Apelles , Echion , Melanthius, Nicomachus , clarissimi pictores y cum tabulae eorum singula e oppidorum venirent opibus. Nunc f et pur - puris in parietes migr antibus , et India conferente flumi- num suorum limum 3 draconum et elephantorum saniem nulla nobis pictura est. Omnia ergo tunc juere cum minor copia. Ita $st y quoniam , ut supra diximus , rerum non animi pretiis excubatur. Le quali uitime parole emenda ii Pinciano : Res non manupreciis extimabantur . Io pero nianterrei la lezione comune, per essere tutte. 1 edizioni e i mss. concordi, e la maniera piu eonforme al genio di Plinio, ill quale inoltre si riferisce al detto di sopra: Quoniam. ut supra diximus , rerum etc . E il luogo del quale egl’intende, a mio credere e nel cap. 1 . del me- desimo libro, dove dope quelle parole onorevolissime per la pittura, soggiugne : Nunc vero in totum mar mo - ribus pulsa , jam quidem , et auro etc. Ecco il valore delle cose e delle materie preferito al pregio dell’ in- gcgno e dell 1 arte. XXVI. Volendo Pprrasio dgurare un Prometeo tor- mcntato ec. Seneca Retore, nell’ argomento della Controv. 34-, racconta questa. storietta. Il P. Andrea Scotto, nelle note, dubita se F accidcnte sia vero o finto per eser- cizio del declamatori • come assolutamente non ha per vera la Voce che corre del nostro Michelagnolo Buo- narotti, ch’ egli ponesse in croce tin uomo e lo vi la- sciasse morire, per esprimere al vivo Fimmagine del Salvador Crocelisso, A questo aggiungo, che essendo ALLA VITA DI PARRASIO 123 fiorito Parrasio intorno all’ Olimpiade 9 5 ., e la presa e desolazione d’ Olinto nella 108. ; poteva questo arte- fice a quel tempo ben esser vivo, ma pero decrepito : la qual cosa cresce assai di dubbio alia verita della storia. Tuttavia a me e paruto , pero senza pregiu- dizio del vero , di non tralasciare cosi curioso rac- f conto ; e da’ concisi pareri de’ sofisti, raccolti da Seneca, ho formato per ornamento di questa Vita le declama- zioni continuate contro e in favore a Parrasio. Una si- mil causa propone Ermogene nelle Partiz. pez. 7., cioe un pittore aceusato d’avere off'eso il comune percbe dipinse naufragj, e quelli espose nel porto; onde spa- ventandosi i naviganti, ne restava il traffico danneg- giato. XXVII. Cosl gentilmente sotto voce cantando. Ch egli si trattenesse cantando per ischivar noia e fatica, lo dicono El. Var. Stor. 9. 11., Aten. 1 . 12., e lo accenna Eust. sopra 1 ’ Odiss. lib. 11. a 1 6 5 5 . E veramente e molto naturale il canterellare mentr’ altri lavora. Virg, 1 . 1. v. 293. Interea longum cantu solata laborem Arguto conjux percurrit pectine telas , Ovid. 1 . 4 - Tr'ist. i Hoc est cur cantet vinctus quoque compede fossor ; lndocili numero cum grave mollit opus ; Cantet et innitens limosce pronus arence , Adverso tardam qui velit amne ratem ; Quique referet pariter lentos ad pectora remos , In numerum pulsa brachia versat aqua. E molti altri che per brevita si tralasciano. XXVIII. Di queste picciole pitture ec. Properz. 1 . 3 . eleg. 8. ovvero 9. Parrhasius parva vindicat arte locum . 124 POSTILLE ALLA VITA DI P AURAS 10 II Beroaldo muto Pyreicus parva, fondato sopra lc parole di Plinio 1. 35. io. Namque subtext par est minoris pictures celebres in penicillo ; e quibus fuit Py- reicus arte paucis postferendus : proposito nescio an de- struxerit se f quoniam humilia quidem secutus , humilita- tis tamen summam adeptus est gloriam. Lo Scaligero ritiene co’mss. Parrhasius , ina varia parva in parta , quasiche egli, seeondo Plinio, perfezionasse 1’ arte della pittura ; di che abbastanza neila Post. XVI. II Passe- razio sostiene V antica lezione, e inclina a credere che quella che Plinio chiarao in Parrasio summa subtili- tas, sia qui detta parvitas ; nel che mi rimetto, ma non ne yo soddisfatto. Anzi dico , il luogo di Properzio potersi intendere di pitture in. piccioio fatte da Parra- sio, del quale Plinio lib. 35. io. Pinxit et minoribus tabellis libidines } eo genere petulantis joci se refeiens . PROEMIO ALLA VITA D I APELLE COMPILATO DAL P. M. GUGLIELMO DALLA VALLE MINOR CONVENTUALS Mi questo nobilissimo Pittorej cio che di Qmero e d J altri uomini singolari accadde che o per averli diverse citth onorati e adottati come figlij o per che appartengon essi all* inter a societa degli uomini colti che adornarono colie nobilissime loro produzioni> non si sa precisamerite la pa- tria. Una tur.ba di scrittori moderni si affolla dietro al Becichemio e al Turnebo (0^ abba - gliati da alcuni versi di OvidiOj il quale forse .(i.) In primum Nat. Hist, librum observ. Collect. Paris t 1019, lib. xvni/ c. 3 r. degli Avvers. Turneb. PROEMIO 126 neppurpenso alia patria diApellej scrwendo i se- guenti versi: SiVenerein Coiis nunquam pinxis- set Apelles etc. ; poiche alcuni vogliono che si debba leggere : Si Venerem Cois etc. ; la qual le- zione oltre ad essere piu conform e alio stile de - gli anti chi C tr a quali Plinio che dice: inchoa- verat aliam Y'enerem Cois etc.., e Cicerone (0 Coae Yeneris earn partem etc .) ^pare che piu si confaccia al particolare d J Ovidioj che la princi- pal gloria delle opere ai luoghi e alle persone alle quali sono dedicate che non agli auiori di quelle j riferisce: Arcis ut Actaeae vel efourna vel aenea custos Bellica Phidiaca stat Dea facta manu Sic ego pars rerum non ultima, Sexte, tuarum Tutelaeque ferar manus opusque tuum (2) . Cosi Rodi era fdmosa pel GialisOj Gnido per, la V enere ^ e Tespi pel Cupido piu quasi che non erano i loro artefici. Per queste ragioni io non mi dijfanderei piu oltre in questa. ricercaj se non fosse che i lodati Becichemio e Turneboj in gra- zia della loro opinione hanno probabilmente ade - rito a cor romp ere un testo di Plinio in vece di emendarlo j come essi pretesero . Ecco il testo: « Verum omnes prius genirtoSj futurosque postea » superavit Apelles leousque Oljmpiade CXIE (1) Cicer. de Off. m. n. 2. (2) Lib. iv. de Ponto, cleg. i. ALLA VITA DI APELLE » provectus^ ut plura solus prope j quam cceteri » omnes j contulerit > volumihibus etiam edltis yt qua? doctrinam eorum condnerent. » Il'Tur- nebo legge: Apelles Cous, qui Olympiade CXIL sic proyectus ; cost il Becichemio. II Dad trova la loro lezione contenere una conge ttura non so- lamente ingegnosa, ma certa. Accuso ladebolez - za della mia vista j che non ci vede ne V una ne V altr a di tali prerogative ; poichd lasciando nel testo la parola eousque, come si trova nella mag - gior parte dei codici e delV edizioni lodate , il senso corre da per se ; ma facendogli to sfregio del Cons qui, ha bisogno della stampella sic per reggersi in piedi. Per queste ragioni e da farsi poco conto delV autoritd di F erdinando Pin - ciano e di alcuni altri moderni prodotti dal Dati che con qualche codice alia mano vorrebbero ad ogni mode far dire a Plinio che Apelle fit di Coo. Al Pinciano pero fecero scrupolo tali aggiunte e scrisse : Cetera redundant ; scribi autem posset non propinayit, sed prope in aeyis. Farebbe qui al proposito quelV ottava del lepi- dissimo Passeroni, colla quale scongiura i lette- rati presend e futuri a non incomodarsi afargli su dei commend; perche questa parola confirm colla bugiaj colle favole e co’ sogni. Sebbene a che trattenerci sopra le belle pa- role di un poeta e di alcuni moderni che vor- rebber fabbricarvi sopra la torre della confu- sionej qualora noi abbiamo degli storici dntichi e accredited i quad terminano la quisdone ? 128 PRO EM 10 Strahone (0 ci assicura che Apelle fu di Efeso j come lo furono Parrasio ed Ipponace ; Lucia- no ( 1 2 3 4 ). non solamente scrive che fu di Efeso y ma adduce ancora la ragione che ne ha ; Tzetze (3) • ed altri parimente dichiaranlo di Efeso ; Suida poi lo giudica nato in Colofone efatto cittadino di Efeso. Noth il ch. Dati il peso-di queste au- toritd j onde conchiuse : « non potendo credere » che tanti autori s J inganninOjinclino' a stimare » che egli fosse natwo di Coo e cittadino di Efe- » so » ; ma pesando V a utorita di quelli alia im- parziale 'bilancia della vera critica > avrebbe con- chiuso pin ragione volmente stiiliandolo natwo di Efeso e cittadino di Coo, La qual congettura air essersi egli nel colmo della gloria j e quando gli arteficij riputando non potersi apprezzare le loro opere donavanlej, pare non mal fondato ; voiche grandissimo prezzo riscosse per la V e- liere da quei di Coo la prima volta; e for se in benemerenza della conferita cittadinanza pose mano alia secondaj con animo di superare se stessOj 7ion che . la prima. Finalmente avverto es - sere acc-aduta la stessa confusione intorno alia patria di Paimasio > che accadde intorno a quella di Apelle che Plinio asserisce di Efeso ; poiche un commentatore d ’ Orazio (4) incomincio a sup - (1) Strabo lib. xiv. p. 6^2. (2) Ljician. Dial, de Calumn. ( 3 ) Tzetze Chil. vm. sfc 197. ( 4 ) Acron. ad Horat. Carm. od, yhi. Jib -iy. ALLA VITA DI APELLE porlo Ateniese.j dacche Seneca (0 lo erode talc contro la evidente testimonianzd di Slrahone* di : Suida e di altri scrittori di maggiore autorita . \Perb il giudiziosissimo Giunio ( *) •conchiiise. da par suo : «' non dee parere strano ad al-cunOj sc : » noi dicessimo die gli Ateniesi fecero Parra - » sio loro cittadino , assicurandoci Pluiarco (3) » aver avuto gli antichi Ateniesi in particolar » venerazione Silanione e P arrasio , i quali rap * » presentation V imriiagine di Teseo. » E io finiro questa omai -lung a discussione con Plinio istes- so: Pictor res communis terrarum erat (4L Apelle aveva tra le opere sue favorite V Ales- \ sandro fulminantCj, col quale voile adulare il Ma - cedonCj che al sentirsi dire pin d" una volta die egli era figliuolo di Giove egli stesso incoriiin- cio a credersi anche erede e padrone del fiilmi- ne ; ripreso percib da Lisippo il quale sosteneva non doversi dare ad un mortale gli attrihuti del * la Divinithj e tneglio assai del julmine convenire ad Alessandro V asta^ colla quale erasi reso im~ mortale. Contuttocio ne il Principe ne V Arte* fiCe si ritrattarono della loro compiacenza ; anzi questi soleva dire j due essere gli Alessandri : uno di Filippo invincibile j, V altro di Apelle inimita- bile ; e quegli sebbene difficilissimo nel chiamarsi pago delV opera de J suoi ritrattisti f avendo seve^ (1) Senec. Retfror. v. io. (2) Fr. Junius Cat. Apelles . ( 3 ) Pint, in Teseo. ( 4 ) Plin. xxxv. 10. Datx. Viie de' Pitt or i. % P R 0 E M J 0 1 3o ramente vietato ad altri, fuorche agli eccellen- tissimi j il ritrarlo J, in grazia del fulmine per - dono ad Apelle V error e notato da Plutarco di avergli con d'elle tinte scure ojfuscato il bian- co e roseo colore, onde principalmente risplen - deva nel volto e nel 'petto M : quantunque pero potesse essere artifizio cib che a Plutarco parve errorej assicurandoci Plinio che le dita della mano parevan dirilievOj e il fulmine uscire dalla tavola; il che senza tiiite gagliarde e contrappo- sto di luce e di ombre ben compartite non si ottie - ne. Della compiacenza del Re per questa tavola? j fanno fede il prezzo esorbitante pagato per essa al Pittore ^ e il magnifico tempio di Diana in EfesOy ove fu dedicata. Cib non ostante alcuni sono d ’ avviso che il quadro prediletto d* Apelle siu stato la Teener e di Coo., detta Anadiomene, cioe emergente dal marej appoggiati al verso di P roper zio^ lib. in. eleg. g. In Veneris tabula summam sibi ponit Apelles, e a varj epigrammi dell* A ntologi a Gre - caj, che V esaltano sopra le stelle. Certamente il consenso della Grecia , allora di gusto squisi- tissimOj la f am a che concilio a quei di Coo che. la dedicarono al tempio d J EsculapiOj e il prez- zo esorbitante che costo ad Augusto per arric- chirne Roma, comprovano la sua eccellenza . Il Dati lascia indeciso, se di Campaspe oppur di (i) Magnus Alexander, nec non Augustus habentur • Concepti serpente Deo . . Sidon. Apoll. in Ant. pan. ALLA VITA Dl APELLE f 3t Frine servito Apelle si' fosse per modello del quadro ; ina Ateneo (?) ci assicura die si servl di quest* ultima ^ allorquando cdebrandosi le fe- ste Eleusinej sciolte le trecce e deposte le vesti- mentaj al cospetto di tutta la Grecia s * immerse nel mare: Apelle attese il momento di ell 'a emer~ gevaj e ne fece il disegno ; anzij a pesar bene le parole df Ateneo j pare die siasene servito di modello andie nel colorirla.. E poiche di tal pit tura a noi non pervenne die qualche abboz - Z 0 j o per dir meglio qualche pennellata nei poe- tic raccogliamola in grazia dell' eccellentissimo arte/ice, Antipatro Sidonio (-) cosi canto in sue lode: Ecco Ciprigna clai materni flutti Ora emergehte, opra immortal cli Apelle. Oh qftal, molcendo il crin nel mare immerse 5 La hianca man ne spreme il salso finite! Non *di bell.ezza pin moyeran lite, Se la yedran, Minerya e Lalnra Giuno. Ovidio (3) ne loda la chionia sopra quella di Apol- lo e di BmccOj e dieg che era dipinta in atto di sostenerla % colla mano bagnata e di spremerne V ac qua colle dita (4) ; le quail cose cost bene seppe esprimere il Fittore ^ ' Cdie sorta appunto allor dai mar parea.* (1) Athen. lib. xiii. c. 6. (2) Antliol. Graec. lib. iv. tit. 12. ( 3 ) Ovi'cfc de Art. lib. 1. eleg. i/f, ( 4 ) Trist. lib. 11. v* 59 , 6 -* PR0EM10 Non so precisamente a quali versi greci^ fatti in lode di questa Venere ^ alluda Plinio ^ scriven- do : « Teener em exeuntem e mart .... versibus » greeds tali opere ( dum laudatur J victo sed il- » lustrato, » lib. xxxy. c. io. Certa cosa e peral - trOj, che i poehi versi a noi pervenuti non com - pensano il desiderio di tale opera che doveva avere un rnerito t reale > rinnovando al vivo uno spettacoloj al quale concorse il fiore della Gre - cia. Se richiamiamo alia mente cio che. Ate - neo (0 racconta di Laide ancor fanciulluj dagli amici di Apelle a prima vista con risate e scher - no ricevutaj eppure da esso conosciuta per un bellissimo modellOj a cui in seguito concorsero tutti i pittorij, convien dire che Apelle avesse un oCchio p enetr antis simo ; e non e improbabile che egli stessO; accendendo nello spirito donnesco la vanita di rappresentare la Dea della bellezza * V inducesse a prescindere dal solito suo conte- gno di non ap par ire in pubblico se non ben chiusa nella veste. E siccome nessuno fa motto di altro simile soggetto., toltone forse la seconda Fenere^ lasciata dal Pittore*imperfetta j pare fuor di dubbio che da Frine^la quale sola$ per quan- to sappiamOj diede di se quel pubblico spettaco - Io,, ne prendesse Apelle Videa e che V immagine di Pacate fosse copiata da Campaspe > che per la maravigliosa sua bellezza voile Alessandro (i) A then. lib. xm. c. 6. ALLA VITA DI APELLE 1 33 che fosse da Apelle ritratta al vivo (0. Strabo - ne M ci assicura che il quadro della Venere , Anadiomene fu dedicato da quei di Coo nel tern- pio di EsculapiOj posto nel sobbor'gOj e celebre gib per V Antigono dello stesso Pittore. Del co- lorito della Venere , scrive Cicerone (3) ; « In Ve- » nere Coa corpus illud non est> sed simile cor- » pori_, nec ille fusus et candore mixtus rubor n sanguis est ^ sed qucedam sanguinis similitudo . » Il'Dati : con sode ragioni sostiene j contro il BuddeOj doversi leggere in Plinio : Docuit ne- minem minoris talento anriis decern ; poiche ri- ducendosi il talento attico circa a 6oo scudi^ e riflettendo alle op ere importanii che Apelle j, di gia* bene innoltrato nelV esercizio delV arte/avea fatto o dato di mano appena entrato alia scuola di Panfilo., non e se non grandissimo stipendio quello che Apelle pagb con un talento e con le opere di died anni. Era V altre pitture nelle quali ebbe mano nel detto spazio di tempo j, e la famosa di Aristrato sopra un carro trionfale co- rcfnato dalla Vittoria. E in altro hVogo dove si parla del prezzo pagato da quei d y Efeso ad Apel- le per V Alessandro fulminant e ^ le parole di Pli- nio ik) : Immane pretium ejus tabulae accepit in nummo aureo, mensura non numero il ch. (1) Plinio xxxv. io. (2) Strabo lib. xiv. pag. 657. ( 3 ) Lib. 1. de, Nat. Deor. ( 4 ) Plinio xxxv. 10. 1 34 PROEM 10 Dati traduce : in monete d oro a misura, non a novero ; ineli va enumerando tutti *i modi nei quali cio siasi eseguito. Diro anch* io cio che me ne pare. Plinio ha due espressioni relative al prezzo di questa tavola j cioe immane pretium ; e poco prima Vaveva ristretto a yenti talenti cl’ oro, che forse era la somma del danaro datogli a misu- ra. A da notarsi che Plinio colV aggiunto di oro al talento voile confer mare V esorhitante prezzo che costo ; e siccome hegli altri luoghi narnina assolutamente il talento, convien dire Che il ta- lento d* oro valesse assai piu; altrimenti Plinio> che delle pitture di quel tempo e dei loro prezzi che • uguagliavano V entrata di un paese j ognora mostrasi esatto indagatbre non avrebbe esage - rato sul prezzo di questa, non avendolo fatto di altre che Cos taro no somme grandissime C 1 ). Dalle memorie che abbiamo ■ di AugustOj ri- sjbdta che nonfu V amor e deli arte che V indusse a far acquisto a sr caro prezzo della Venere Anadiomene, ma pri/icipalmente la vahita sua non inferiofe a quella di Alessandro j di dar pe- so all* adulazi one de cortigiani che dalla Dea piu bella ne finsero la discendetiza. A tal effetto miravano V apoteo si e il tempio di Giulio ' Ce- sarej eretto nell* istesso palazzo imperials ( 2 ) : e (1) Soggiugnero un mid dubbio, ed e, che invece R.immanc pretium, si debba leggere manipretium , msato da Plinio in piu d J un luogo. • (2) Ovid. Trist. 1 . 2. v. Scilicet in domibus vestris etc . ALLA VITA DI APELLE i35 qual richiamo migliore di una pittura , alia quale concorrevano dalle piii rimote contrade gli am - miratori? Strabone (0 infatti con severita da sto - rico si ristringe a dire, Venere avvocata della stirpe di Cesare. Plinio ( 1 2 3 ) ci as si cur a, senza spiegare il come « che la parte inferior e di que- )> sta pittura andata a male non ebbe un artefice » che osasse risarcirla, ma lo stesso suo danno » ridondo ad onore dell J artefice. Invecchio la ta- » vola dal tarlo consunta, e un’ ultra in suo luo- )) go, dipinta da Doroteo , sostitui JVerone essen* do imperatore . » Se cio fosse accaduto a giorni nostri, la tavola di Apelle non uno, ma cento restauratori avrebbe ritrovato : tanta e la pre- sunzione di costoro. Giova anche dire qualche cosa del cdrattere di un si famoso artefice. Plinio (3) ne scrwe co- si : Apelles et in cemulis benignus. « Certo e, )) dice il Dati, che in tutte le sue pitture e in )> ogni suo portamento si riconosce il ritratto m della ‘gentilezza e dell J innata sua cortesia. » E nella postilla a queste parole si riferisce alle poc anzi accennaie di Plinio e ad altre del me - desimo scrittore (4) relative a Prcissitele che fece di sua mano il cocchiere ad una quadriga di Ca- lamide, eccellente nelV imitar cavalli, acciocche (1) Lib. Xiv. pag. 65i. ( 2 ) ' Lib. xxxv. 10 . (3) Ivi. (4*) Lib. xxxiv. 8. P R 0 E M I 0 i 36 non apparisse migliore nelV ' effigiare la figura di qssij die non quella dell 3 4 5 6 uoriio ; e pero esprime cost questo tratto d* dmicizia: Habet simulacrum et benignitas ejus. Non e pero da jondarcisi tanto.j die se ne possa dedurre il car after e ; poi- che Plinio soggiunge dello stesso C al amide : Seel ne. videatur in hominum effijne inferior ; • . ■ O 5 . Alcmena nullius est nobilior : e sebbene Quin- tiliano (0 e Cicerone ( 1 2 ) trovassero non troppo morbide le sue opere nonostante Dionigi d’ Ali- carnasso (3), vi conimendo la sveltezza e V el e- ganz'a ; siccome Luciano (4) nella Sosandra che egli fece per gli Ateniesi vi lodo an che la vere- cohdiaj il risino contenutOj e il vestire semplice e modesto : parti difficili dell' arte. JAediamo pero di formare il efirattere di Apel- le da tuttocio che Tie sta scritto nei buoni au- tori. Plinio (5) prosiegue a dire di esso : Fuit au- temnon minoris simplicitatis quam artis. Il Dati mterpreta il vocabolo di semplicita schiettezzu d’ aniniOj die cede nelV alt re parti agli' emulij riservandosi esclusiv'amente la grazia ; adducendo in favor suo V autorita delV A driani (6) /il quale asserisce che Apelle fu d’animo semplicissimo e molto sincero. Convengo con questi scrittori (1) Quintil. 1. xii. c. io. ( 2 ) De Claris Orat. (3) In Isocrate/ (4) In Imagfnib*. (5) Lib. xxxv. 10 . (6) Verlila nel Vasari file ec . ALLA YITA DI APELLE che Apelle fu uomo schiettOj ma non cosl buono come si e- creduto da alcuni. 1 fatti e i detti di esso debbono pi it delle. parole di uno scrittore privato ponderarsi. Nessuno piu di esso 'aspir'd all* eccellenza ed alia gloria j e nessuno ebbe tanti doni dalla natura e dai Mecenati per con- seguirla. Nel disegno era cost esercitatOj, che da esso nacque il proverbio-: Nulla dies sinelinea; e Petronio slrbitrOj descrivendo una famo'sa gal- leria di pitture rarissime j nomina come sacro il famo so Monocnehion di Apelle da esso ado- rato per la sottigliejzza delle linee quasi espri - menti oggetti incorporei. Quanto al colorito ci assicura Plinio dei tentativi da lui fatti per imi- tare il bello della natura , e il ritrovantento suo di quell’ ainmirabile vernice che temperava il brillante del rosso e V abbagliante del bianco ravvivando i,l buio dell’ ombre a tin di presso cred'iOj come i moderni velano i loro dipinti ; siccojne appunto fa nell’ ap rile rugiadoso il sol nascentej che senza punto offender V occhio di - pinge la natura co' vaghi e temperati suoi raggi. Delle magie del colorito d’ A pelle fanno fede il nitrire che fecerOjapreferenza degli altrijCil suo dipinto i veri*eavalli J> e t Alessandro fulminant e_, di cui vedevasi lamano uscire dal quadra ;*e final - mente doveva parer viva quella V^enere che non solamente agito le vene dei poetij ma accese a lodarla tutte le penne degli storici. NelV espres- siorie egli fu maraviglioso j, restandosi Plinio ed altri dubbiosi nel decide re quale ne avesse piiij i38 PROEMIO- massimamente tra le immagini s pi r anti . Nel- V ide ale tocco al piu alto segno con Diana in un coro di vergini sacrificanti e colla Guerra in^a- tenata. Inoltre nessuno che io sappia taccio ne suoi dipinti la disposizione_, per cui Anfione era celebre o le proporzioni che distinsero Asclepiodoro. La sua Calunnia e nel simbolico ion capo d’ opera. Lodava egli le opere degli emuli j e vero e giovo anche a far rispettare da quei di Rodi il loro mal .< conosciuto . Protogene ma non senza suo utile e venuto al contrasto delle famose li- nee jfece vedere di non voler esser vinto nep- pure in quel privato contrasto. Loclo il Gialiso j, ma in modo j che ne toglieva il pregio migliore della graziaj che a se solo riserbava esclusiva- mentej avendone percio dipinta V immagine^ che quei di Smirne collocarono poi nel loro tempio sopra gli stalli del cantoris e associate le Gra- zie alia Fortuna ( x )_, per indicar forse che nulla mancava alia sua grandezza. Insofferente d’ es- ser e ancor paragonato ad alcuno degli emuli nel concorso del cavallo al paragone dipinto j, dal sentimento dei giudici richiamo a quello dei cavalli veri ; e ad Alessandro il quale fredda- mente lodava un suo quadro j, in buon volgare dissej, che di pittura meno egli dei cavalli s’ in- tendeva. Per le quali cose io credo che il senso di quelle parole: fuit autem non minoris sim- (i) Liban. Ecir. iv. ALLA VITA DI APELLE 1 3 9 plicitatis quam artis, allusivo si a alia semplicita. della natural cosi felicemente da questo pittore emulaia ne suoi dipinti > i quali tanto piu prege- voli sonoj quanto pel loro grandissimo artifizio non apparente semhrano nati spontane ament e e fatti senza fatica e. senza studio . Finalmentc per compire V idea del carattere vero di Apelle qui da me abbozzatOj coiichiudero con un piccolo com - mento alle seguenti parole di Plinio : Fu Apelle cogli emuli cortesej qualora questij come Proto - I gene fece ^ gli cedevan il primato nelV arte. Que- sto gli stava tanto a cuore che Plinio (0 ci assi- cura aver eglv tentato non solamente di superare gli altri nelle parti che concorrono a formare una pittura eccellente > ma di averne di piu in - granditi i confini pingendo cio che pare non potersi dipingere : a Apelles pinocit et quce pingi » non possunt tonitrua . . . fulguraq ue: Brontem )) Astrapen j Ceraunobolon appellant* ; e altro - * ve ( 2 ) ; « Inventa Apellis et cceteris profuere in n arte : unum imitari nemo potuit etc. * ; e- nel ci- » tato capo decimo : « praecipua Apellis in arte * venustas juit „ quorum opera cum admirentur j » collaudatis omnibus A dees-se iis imam illam Pe- jj nevem . . . caetera omnia contigisse ^ sed hac soli * si'bi neminem parem. * Lo stesso dice a un di presso Quintiliano (3) . (1) Lib. xx-xy. 10. (2) lb. c. 6 . ( 3 ) Lib. xu. 10. i4o PROEMIO « E molto verisimile* dice il Dati_, che egli fa- a cesse anche delle pitture in cera „ avendo ap- a preko cjuesta maestria degli ahtichi da Panfilo » suo ins e gnat or e ; e par che V accenni Stazio in a quel verso : a Te disian figurar cere Apellee. Ma queste sue parole non fanno che accendere il desiderio di sapere in che consistesse questo modo di pittura. Rimettendo chilegge questo no- stro scritto alia prefazione nostra •, ove esponia- mo brevemente le opinioni de moderni letterati e i tentativi de’ no stri artefici per rinvenirlo ; ri- feriremo qui di passaggio una nostra congettura j, fondata sopra due passi di antichi scrittori onde dubitiamo che oltre alia pittura all’ encaustOj di che Plinio ed altri scrissero ultra ve ne fosse j nella quale si servisser anche della cera parti- colarmente preparata. Seneca ( r ) e Karr one M ci b aster anno per ora. Questi cosi enunciasi: uPictores loculatas magnas habent arculasjitbi » discolores sunt cerce. » Dovevari essi adwiquej a minor incomodo delle persone che volevan ri- trarre j e ancora per aver minore impedimenta nel se guitar e i voli della fantasia e nelV es primer e gli affetti dai quali eran essi agitati aster e in una cassa varie caselle j nelle quali j come i mo- derni pel pastello j tenessero le cere di varj co- il ) Ep. 121. (2) De R. Pv. lib. 2. ALLA VITA DI APELLE *41 lori infette e preparate al bisogriOj per operare con prestezza maravigliosa come ci assicura il citato Seneca : « II pittore^dic eglij posti dinanzi » a se i molti e varj colori atti a fare un ritratto » somigliante j prestissimamente ne fa la scelta_, et > inter ceram opusque facili vultu et manu com- » meat: » le quali ultime parole se non errOj, al - ludono alia disinvoltura di volto e di mano negli arteficij servendosi delle cere color ate per ri- trarre a sontiglianza. Diodor o di Sicilia (0 espri- me probabilmente questo meccanismo servendosi della frase pittorica di temperare i colori ; e in una antica pittura disotterrata in un jondo di S t . E. il sig. principe Chigi alcuni anni sono , il ch. signor dottor Martelli con un>suo segreto pregevolissimo trovo il modo ^forse era il flogi- sto , di espellere dai pori delV intonaco ov J era l-a pittura appena visibilej tutte le fecce delVaridj delV ac qua e della terra in essa fissatej e resti- tuirle lo. smarrito splendore ; onde si vedeva di - pinta con certe pennellatej che le loro tracce segnavano. con un rilievo di un non so che di lucido e pingue^ che dal color semplice e senza ceru difficilmentd si otterrebbe. T^ediamo se col- V autoritd di altri anticlii potessimo accrescere la luce della piccola face che in tanto buio di cose ci fa scorta a indovinare piu che a sap ere j quest* artifizio. Plauto ( 2 ) : a Se io credessi alle j> tue parole j il mio cuoio sarebbe cost bello che 1 42 ' P.ROEM I 0 » meriterebbe di esser ritratto da Apelle e da » Zeusi pigmentis ulmeis. » E Stazio (0 ; Quid referam yeteres ceraeque aerisque figuras Si quid Apellaei gaudent animasse colores etc, Ut yel Apellaeo yultus .signata colore. • * Lo stesso aulore altrove pare che accenni net colpi del pennello de % dip inti a cera color ala V inerzia di questa materia: . : . Artificum ye- teres cogrioscere ductus ( 1 2 3 ). Non ignoro che gli antichi avevano anche i ritratti di cera colorita nella superficie a somiglianza del vero > e che non solo di essi ridondavano gli citrj e i fune- ralij ma come noi co no stri putti costumiamOj de* fantocci *e delle immagini avevano per Ira - stullo de loro bambini , le quali &ssi chiamavano pupCj donde i nostri popazzi. Esichio dice :. : icun- cula cerea, pupa cerea, alcune coloritej altre le quali dalle zitelle nelV uscire dalla fan- ciullezza eran . dedicate a J^enere y quasi indi - cando loro esser tempo di far giudizio : quindi Persio P) canto: * . . . Veneri donatae a yirgine pupae. Ma non e di questa e molto meno dell* encausto moderno che io m* intenda di parlare j ma delle (1) Silv. i. 5 . et 2. 2. (2) Stat. lib. iv. Silv* 6. ( 3 ) Sat. 11. v. 69. E vero ancora die Stazio par\a della pe- rizia di Vindice nel conoscere le inaniere tauto dei pittori, come degli scultori. ALLA VITA DI APELLE 143 pitture a cera colorita ossia temperata con varj e separati colori ; la quale mistpra o tempera servisse a fare com prestezza principalmente i ritrattij ai quali pare che ci richiami Stazio con questi versi : .... Apelbese cuperent te scribere cerae. Vincere Apellaeas audebit pagina ceras. E come ( griderannocontro di me i pittori J_, come potevan essi rendere cosi Jluida la cera che $enza difjicoltd col pennello se ne servisse lartefice? lo rispondo j, che se il sap essi j, non mi diffonderei nel fare indovinelli. Plinio il gio- vine (0 e Ausonio ( 1 2 3 ) parlano del meccanismo delle varie cere coloritej e ora molli soltanto ed ora fluide pel pennello. Il Salmasio P) trova un err.ore gravissimo' in tutte le edizioni di Soli- no j, che h anno Apollinis manu insignem, per- che dovrebbesi leggere Apellis manu insignem, per una qualche tavola di Apellej per difender la quale sospendessero quei di Pergamo lo sche* lelro di un basilisco da essi comperato a caro prezzOj e preservarla con tal mezzo dagli au- gelli e dai ragni che quell' animale abborrisco- no. Peraltro a me pare che per difender una. tavola chiusa in un tempio non facesse d* uop a di tanta spesa ^ ma bensi trattandosi di difender e ( 1 ) Lib. vil. ep. o. (2) Ida. 7. ( 3 ) Pag. 9 . 63 . -edit. Traject 1689. PROEMIO 144 dalle sozzure di detti animali le pitture che Jos - sero state fatte pe* muri del tempio , coni' e pro- habile j avendo i Pergameni chiuso lo scheletro in una reticciola d J oro, e sospesala in mezzo al tempio . Nota inoltre giudiziosamente il Salmasio, die amplo sestertio f per le quali parole spiegare dissero tante belle e brutte cose gli antiquarj J non dltro significa che a caro prezzo^ sic come anche noi diciamo : costa un bel danaro. E da avvertire che nel testo di Solino, pubblicato dal medesimo SahnasiOj si leggono le proprietd del basilisco, infesto a tutti gli altri animati j Juori che alia donnola ; e benche morto, lo abhor ri- scono mold di essi : per la qual cosa « quei di y> P'ergamo le reliquie di esso . comperarono a » caro prezzo ; e acciocche in quel tempio, fa- » moso per la mano di Apelle , lie i ragni vites - » sessero le loro tele, ne gli aitgelli enti;o vi vo- » lassero, il cadavere di quello in una reticella » sospeso vi collocarono.. » Donde apparisce, che trattandosi di una tavola solamente , senza ricor - rere al basilisco , con minore spesa guardata avrebbero dalV immondezza de ragni e degli augelli. Finalniente e da notare che Solino ri~ ferisce la grave spesa de* Pergameni al compe* rato basilisco , e non alia tavola di Apelle , co- me suppone il Salmasio (0. ( 1 ) Yed. le sue Esercitazioni Pliniane , come sop. pag. 58, ALLA VITA DI APELLE 145 Luciano (0 dopo aver descritt'o la tavola della Calunnia figurata da Apelle : % Su via^, dice , an- » che noij se piace a norma delV artefice Efesino j> esaminiamo le propriety della delazione ^ non » avendola noi senza un certo fine descritta . » Jo valnto moltissimo questo passo di Luciano per indovinar meglio la patria vera di Apelle j poi- che egli scriveva in un tempo , che la Teener e Coaj, per la quale probdbilmente fu an cK egli detto CoOj erh stata fatta Romana ; e oltre a cib essendo positivamente asserito da uno scrittore critico greco , viaggiatore diligente ed esattOj e non tanto distante da Apelle j e quasi evidente che una particolaritd cosi inter essante del pill famoso artefice vissuto tielV Olimpiadi pin illu~ stri della Grecia^ non e stata detta a caso. II citato Salmasio nelle sue Esercitazidni Pli- niane (2 )si lagna di Solitio che abbia corrotto il testo di Plinio dove parla del disegno : Sicut ergo qui corporum formas aemulantur, postpo- sitis quae reliqua sunt, effigiant modum capitis; scrwendo ante omnia effigiant ( met in tin com - pilatore come Solino cib e tin nulla J ; e prose- gue dottamente j mostrando che Plinio nelle se - guenti parole j nec prius lineas destinant in alia membra etc.., che queste linee devono intelidersi per vere pennellate del pittore j il quale prima finisce il viso ; come dalla seconda Venere Coa (1) T. hi. p. i 55 . Amstelodami 1 74 ^ (2) Pag. 4 - edit. Traject. 1689. Dati. Vite de ’ Pittori. PROEMIO 146 di Apelle race oglie si j, che tiro una linea pen - nefleggiando con i colori V altre membra. Egli pofta in conferma di cio il racconto di Plinio del contrasto lineare seguito tra Protogene e Apelle_, che fa realmente di linee colorite diver- samente. Plinio parla di una tavola avidamente da se contemplata ; e ci vuole tutto il coraggio del Mongioioso per dare una mentita a Plinio j il quale non solamente ha in favor suo l* auto- vita dei Greci scrittori contemporaneij ma il giu- dizio costante de Romani e massimamente arti- stic i quali piu di ogn altro intendendo la diffi - colta di quel contrasto ne rest av an incantatij come di cosa sopra leforze dell’ in gegno umano* Le ragioni poi del Mongioioso sono del valore medesimo delle sue fantastiche congetture. Chi osera escludere dal pennello il segnare qualun- que linea con i colori? Che altro sono i linea - menti del viso e dell’ altre membra se non linee colorite? Quindi Apuleio (0 descrivendo gli scherzi che il vento lascivetto faceva nella veste sottilissima della Dea j dice che accollandole alle membra queste graphice lineafeL, e lineando si contornan le membra ; nel che Plinio stesso ( 1 2 ) giudiziosa - inente asserisce consistere il piu difficile dell’ ar- te; e Quintiliano nell’ esporre tale contrasto , sic- come Arnobio e Dioscoride parlando della pit - (1) Lib. x. (2) Lib. xxxv. 10. ALLA VITA DI APELLE x4 7 turcij, e la coloratae la lineare promts cuamente usurparonoj, persuasi non esscrvi ambiguita nellu espressione : e chi sostiene il contrario dovrcl anche contrastare al pennello il poter imitclre un capello ed altre cose sottilissinie ^ nelle quali non urio solo de moderni „ non che riiolti degli antichi riusciron maravigliosi come i Bellini j, il Duvero j alcuni scolari del Perugino j ed al- tri ; e conchiude cost: « Jam vero illud quale » estj quam frivolum quod illos pictores non a? de subtilitate line arum certasse vultj sed de » commissuris et transitu coloruritj quam har- » mogen dicebant . . . non potuimus facere quin » Plinium ab inscitice et ahlipsice crimine, quod villi imp actum ivit MonjocosiuSj v indicar emus, # F. G. D, *48 VITA D l A P E L L E V iyendo sempre Pnomo fra cose imperfette e finite, marayiglia non e che con intelletto difet- toso ed angusto non comprenda ne quel per- fetto che non si puo migliorare, ne quell’ infi- iiito che non puo crescere. Di qui e che hene spesso egli crede e chiarna ottime quelle cose , delle quali mai non giunse a yederne migliori, e immense quelle che a sua notizia son le piii grandi. Ma poi yenendogli sotto l’occhio qual- che oggetto o pin eccellente o maggiore, e sfor- zat'o a mutar concetto e credenza della perfe- zione e dell’ immensita , accorgendosi per le replicate esperienze, ch’ogni cosa mortale puo sempre riceyere miglioranza e grandezza senza mai giugnere a quell’estremo termine incapace d’ aumento, che solamente in Dio si ritroya. Ayeano la natura e 1’ arte in diyersi soggetti fatto ogni loro sforz«b per solleyar la pittura a c|uella suprema altezza di perfezione, alia quale arriyar potesse la mano e l’ingegno dell’uomo. E se ayessero in Zeusi e in Parrasio e in Ti- D 1 A P E L L E 49 ' mante fermati i progressi loro , ciascheduno senza dubbio ayrebbe stimato che meglio di costoro non si' potes.se operare. Ma quando aili- bedue in Apelle s’ unirono, dotandolo d’ uno spirito e d’ una grazia che pareya trascender la umanita, e con lungo, assiduo e diligente eser- cizio ]o corredarono d’una pratica e d’un amo- re che franchissimo lo rendeyano e indefesso ; e che per terza a fayorirlo s’aggiunse la fortuna di quel felicissimo secolo, in cui furono in tanfo pregio le scienze e Parti piu nobili ; chiaramente si yide che tutti gli altri, i quali senza questo paragone appariyan perfetti, erano stati studj ed abbozzamenti per disegnare e colorire questo vi- yo ritratto della perfezione, celebrato e magnili- j cato dagli scrittori di tutti i secoli, perche non ebbe Fantichita, bench’egli pure fosse in yerita superabile, niuno che giammai E agguagliasse. Apelle fu natiyo di Coo: altri lo fanno d’ efe- II. III. so; e y’e chi afferma ch’egli nascesse in Colo- IV. fone, e poscia acquistasse la cittadinanza Efe- sina. Pizio ebbe nome suo padre; Tesioco il fra- Suida in tello, e fu anch’qgli pittore. Da principio fu sco- Rodion lare d’Eforo Efesino, e di poi ebbe per maestro J iz.c.38. Panfilo Amfipolitano, celebre pittor di quei tern- V pi. Questi non insegnaya per meno d un talento yi. in dieci anni, & tanto gli diedero Apelle e Me- lanzio. Non manca chi dica che Apelle, di gia Plutar. in famoso nell arte, si trasferissein'Sicione, tiratoyi Aiat0 dal grido di Panfilo e di Melanzio , acciocche. stand o con esso loro, slim a a lui ne yenisse, Ed VITA f 5o e farna cli egli layorasse su quella celebre ta- vola di Melanzio, in cui era dipinto Aristrato, tiranno di Sicione, sopra il carro trionfale della Vittoria. Avendo Arato dopo la liberazione della patria levate via tutte quante le immagini dei tirarmi , stette molto perplesso sopra questa di Aristrato, essendo opera cosibella, eh’ egli si sentiva muover dall’artificio ; ma prevalendo 1’odio contro i tiranni, comando che questa pur si le vasse : e dicono che Nealce, pittore assai confidenta d’Arato, pregasse piangendo per que- sta tavola- ne movendolo, soggiugnesse , che quivi s’ayeva a far guerra a’ tiranni, e non a’ri- tratti loro. Lasciamo star dunque , diss’egli, il carro e la Vittoria ; io faro che Aristratp si ritiri : e acconsentendo Arato, cancell 6 Aristrato, fa- cendo in suo luogo una palma; ne altro s’ ardi d 5 aggiungervi. Sotto maestri cosi celebri fece Apelle quegli studj, i quali poi nell’ Olimpiade R3£ io. CXII., cioe 334. anni avanti a quel di nostra sa- lute, lo portarono a si alto segno di squisitezza, a cui niuno o prima o dopo giammai peryenne. Non pecdono a fatica, ed ebbe per costume in- yiolabile, che, per oecupatissimo ch’egli fosse, non passo giorno, nel quale egli non tirasse qual- che linea, per mantenersi su 1’esercizio, e non infingardirsi la mano. Onde nacque il proyerbio: VII. ' niun giorno senza linea. Dopo aver -condotte VIII. lopere, usaya metterle. a mostra sopra lo sporto, non a pompa, perclFera modestissimo, ma per ascol tars', stando dietro, i mancamenti censurati D I APEL L E ibi dal volgo, da lui stimato miglior giudice di se medesimo. E si dice, che notandolo un calzolaio, per aver fatto ne’calzari un orecchino o fibbia di meno , insuperbitosi perche Apelle tale errore avesse emendato, il giorno seguente cavillo non so che della gamba. Sdegnatosi Apelle, s’affaccio e disse : il calzolaio non passi ollre la scarpa : che pure ando in proverbio. Non contento di* questo , anche in quell’ opere si ben condotte, che fecero stupire il mondo, soleva con iitolo sospeso e imperfetto scrivere: Apelle faceva, come se fossero sempre abbozzate, ne inai fini- te, lasciandosi un certo regresso ajl’emenda. E fix atto di gran modestia, che quasi sopra tutte scrivesse, come se fossero state l’ultime , e che sopraggiunto dalla morte non 1’ avesse potute perfezionare , giacche di radissimo o non mai vi pose: Apelle fece. Aveva n r el dipingere uiia certa sua particolar leggiadria ; e benche fossero ne’suoi tempi grandissimi maestri, de’quali egli ammirava 1* opere; dopo averli celebrati, usava dire che ad essi altro non mancava, che quella vaghezza e venusta, la quale i Greci e noi To- scani chiamiamo grazia: tutte l’altre preroga- tive esser toccate loro, ma in questa lui esser unico e non aver pari. E forse diceva troppo di se parlando,ma pero vero; perciocche in quel secolo fiori la pittura in molti soggetti, ma con diverse virtu. Furono insigni Protogene nella diligenza, Panfilo e Melanzio nel fondamento, Antifilo nella facilita, Teone Samio nelle fan- IX. Val. Mass, lib. 8. i^2. Plin. 1. 35. c. io. Adag. a 162. i Plin. n Prelaw. X. PI. 35. 10 . Quintil. 1. 12. 10. VITA 1 5a tasie, o yogliamo dir ne’concetti, il nostro Apelle nello spirito e nella grazia, cTi cui egli, ma non PI. 35. io. senza ragione, si pregiaya assaissimo. Ne cio di- XI. pendeva da presunzione, essendo in lui la schiet- tezza deiranimp eguale all’eccellenza dell’arte. Laonde cedpya ad Anfione nella disposizione e nel concetto, ad Asclepiodoro nelle misure, cioe a dire nelle proporzionate distanze e nella sime- tria, in essa spezialmente ammirandolo. Stimo sopra ogni altroProtogene, e con lui fece stretta amista , portandogli , come dirassi altrove , per quanto egli seppe, utilita e riputazione. Quando XII. yide il Gialiso, nel fare il quale Protogene ayeya consumati sett’ anni, perde la parola e rimase stordito in contemplare quell’accuratezza ecces- siya : poi yoltatosi addietro, esclamo : gran layo- ro! opera mirabile! artefice egregio! ma non c’e grazia pari a* tanta fatica : se non mancasse questa, sarebbe cosa diyina. Protogene in tutte le cose m’ agguaglia , e facilmente mi supera , xni. rna non sa levar le mani di sul layoro: e con quest’ ultimo parole, insegno che spesso nuoce la diligenza soyerchia. Non erano meno graziosi PI. 35, io. delle pitture i tratti e le maniere d’ Apelle, onde essendosi guadagnato l’affetto d’ Alessandro Ma- gno, frequentemente fu da quel Monarca, be- iiigno quanto grande , yisitato e yeduto layo- rare; e la piccola bottega d’ Apelle spesse bate in se raccoise quell’ Eroe, al quale pareya angu- sto termine un mondo. Si compiacque talmen- te Alessandro de* layori di questo artefice , che D I APELLE j 53 per pubblico editto e sotto grayi pene comando che non altri che Apelle potesse ritrarlo in pit- lura. Onde notissimi so no que’versi d’ Orazio: Per editto vieto cl l altri che Apelle Pingesse-j od altri che Lisippo in bronzo Scolpisse il volto d Alessandro il forte ; come quegli che bramava di fare esprimere al yiyo la robustezza guerriera , la nobilta mae- stosa e quell’aria gentile e quasi diyina che nel sembiante gli risplendeya. Riusciva tutto que- sto facilmente ad Apelle,, si per la squisitezza dellarte, si anche per ay erne coloriti molti ri- tratti, come ne fece in gran numero eziandio del re Filippo, in grazia forse dello stesso Ales- sandro. Tra quelli il pi h famoso fu V Alessan- dro fulminante nel tempio di Diana Efesina, 11 cui prezzo fu venti talenti d’ oro. Oui, oltre al rappresentarsi la maesta d’un Gioye* terreno , yedeyansi rilevar le dita, e il fulmine non senza terrore de’riguardanti uscir fuori della tayola. Piacque tanto quest’ opera agli Efesini, che da essi Apelle ne riceyette prezzo esorbitante in inonete d’oro a misura, non a noyero. Egli pure se ne pregiaya; ond’era solito dire che due era- no gli Alessandri, uno di Filippo inyincibile, 1’altro d’ Apelle inimitabile. Sopra di che, forse per astio, prese occasione d’appuntarlo Lisippo, celebre maestro di getto, privilegiato anch’egli di fare in bronzo i ritra*tti del nredesimo Prin- cipe; e disse che poco ayyedutamente ayeya XIV, 1. 2 . ep. i. Apuleio Florid, i. PI. 35 io Cicer. in Verr. 1. I Plin. 1. 55. c. io. xv. Plutar.Or, 2. d. Vit. d’Aless. Plutar. d. Isid. Osir, Pier. Val. Gerogl. 1. 45. c. 27 . Sinesio E- pist. 1 . XVI. Plut. in Alessand. Pi. 35- io, pni. Pint. d. Oiff. am. adul e d. Tranq. d. anim. xyin. operato a ligurarlo col ful mine-, quand’egli l’avea rappresentato con l’asta, vera e propria arme di quell’ Eroe che per essa sara sempre immor- tale. Non manco gia* chi difendesse e commen- dasse il concetto d’Apelle. -E di pin fuvvi chi scrisse che questi due professori non furono al- trimenti emuli, ma cari amici, scambievolmen- te mostrandosi l’opere loro. Fu hen tacciato in questa tavola per aver fatto Alessandro bruno di carnagione, quand’egli era hianchissimo , e massimamente avendo la facgia e 1 petto che parean latte e sangue. Ma poco danno recar po- teano cosi fatte censure a lui oramai divenuto tanto favorito e famigliare di quel Monarca per altro stizzoso e superho , che stando egli un giorno a vederlo lavorare, e discorrendo anzi- che ne poco a proposito della pittura, lo consi- glio piacevolmente a tacere, additandogli i suoi macinatori che malamente poteano tener le ri- sa. Altri affermo che cio gli avvenne con Me- gahizzo Persiano, il quale in hottega di lui vo- lendo pur cicalare delle linee e dell’ ombre, Apelle fu necessitate a dirgli alia libera : hno a che tu tacesti, questi fattorini ammirarono in te la porpora e l’oro; ma quando hai comin- ciato a parlare di quello che tu non sai, di te si ridono. Narrasi un altro cast), che veramente non so s’io mi debba crederlo, almeno io non posso lodarlo. Vide Alessandro in Efeso la pro- pria immagine a cavallq, di mano d’Apelle: la eonsidero. ma la lodo freddantente; Un destriero D I APELLE *55 quivi condotto anitri al dipinto, come ayreb- be fatto ad un yero ; perloche Apelle si lascio scappar di bocca : o Re, quanto piii sintende di pittura questo cayallo! Ma la dimostrazione singolarissima d’ affetto straordinario che ad Apelle fece Alessandro, rende credibile qualsb sia strayaganza. Comando il Re ch’ egli dipin- PI. 35. io. gesse nuda Campaspe Larissea, la piii bella , la pin cara delle sue concubine ; e accorgendosi che nell’operare Amore ad Apelle l’avea dipinta nel cuore, la gli dono : grande in cotal pensie- ro , maggiore nel dominio # di se medesimo , e non minore in questo fatto, che per qualche segnalata vittoria, Vinse allora se stesso, e pe]c arricchirne interamente l’artefice , gli rinunzio in un purjto e la dama e l am ore. Ne lo ritenne il rispetto della giovane amata, perche ora fosse d un pittore colei che fu poco dianzi d un re. Non trovo gia presso i primi della corte tanto favore, quanto egli ebbe con Alessandro; e spe- PI. 35. 10 . zialmente non fu gran fatto in graz^ia di Tolo- meo, a cui nella divisione della Monarchia toc- co per sua destrezza l’Egitto. Per la qual cosa assai curioso ayyeniinento fu quello che ac'cadde al nostro pittore in Alessandria, doye fu trabaL- zato da fojrtuna di mare. Appena arriyo nella reggia, che gli emuli, subornando unbuffone, lo fecero inyitare a cena col Re. Venne adunque, e sdegnandosi percio Tolomeo, Apelle si scuso con dire d essere stato inyitato da parte di S. M. Ghiamati i regi inyitatori, perche dicesse da VITA PL 35. ic. Lucian, d. Calunn. XX. j56 quale, ne sapendo Apelle tra essi yederlo, preso un carbone dal focolare, nel muro lo disegno, e dalle prime linee Tolomeo lo riconobbe (0. Questo fatto rende credibile quanto di lui la- scio scritto Apione gramatico, cioe che un di coloro che dal sembiante indoyinano, dettiMe- toposcopi', sopra i ritratti di rnano d’ Apelle prediceya il tempo della morte o futura o pas- sata. Doyette pertanto con questo artificio non solamente giustificarsi , ma per ay ventura gua- dagnarsi la grazia di Tolomeo, poiche da quanto si dira chiaramenfe si rinyiene ch’ e* rimase al seryizio. Ben e yero che in quella corte a lui non mancarono trayersie; perciocche un certo Antiblo, suo riyale nella professione,inyidiando- gli il favore del Re , e yeggendo di non potere scayalcarlo con reccellenza deU arte , penso di farlo cadere per altra yia. Gli appose adunque ch’ ei fosse complice di Teodata nella congiura di Tiro , tutloche egli non fosse mai stato in Tiro, e non ponoseesse Teodata se non per fa- 311a, come goyernatore di Tolomeo in Fenicia. Non per tanto il perfido accusatore affermo di a.verlo y*eduto trattar con esso alia domastica, *mangiare e parlare in segreto; e che indi a poco ejasi Tiro *ribellalo , e per consiglio d’ Apelle prese Pelusio. A’ tale ayyiso Tolomeo, uomo per sua natura leggiere e guasto dall’ adulazione , (i) V. fr . D. Franc. Bisagno, Tratt. d. Pijtt. a che narra an simile avvenimento. d’ Antonio da Vercelli assai curios o. D I APELLE jS? per si fatte bugie si leyo tanto in furia , che non cercando migliore informazione del fatto 9 ne curando di chiarirsi del yero, non s’accorse che il calunniatore'era concorreiUe e nimico di Apelle, e che questi non era in posto da poter far congiure ne tradimenti, oltre all’ esser he- neficato sopra tutti gli altri pittori. Non doman da s’ egli sia giammai stato in Tiro, ma di posta lo giiidica degno di inorte. Meite sossopra il pa- lagio, chiama Apelle misleale , ingrato , reo di lesa maesla, traditore e ribelle. E se uno del congiurati, di gia prigiorie, non potendo soffrire la sfacciata scellerafezzV d’Antifdo, e compa- tendo la disgraziata innocenza d’ Apelle , .non avesse deposto e provato che questi non aveva che fare nella congiura , certo che con la yita ayrebbe pagato la per\a delfa ribellione di Tiro, senza ne pur saperne il perche. Ritornato per- cio Tolomeo in se stesso, cangio pensiero, e dopo ayer ristorato Jargamente Apelle, condanno alia catena Antifilo calunniatore. Apelle, ricordeyole della corsa burrasca, si yendico in cotal guisa della calunnia. Dipinse egli nella destra banda a sedere un uomo con orecchie lunghissime , simiglianti a quelle di Mida , in atto di porger la mano alia* Calunnia che di lontano s’inyiaya yerso di lui. Stayangli attorno due donnicciuo- le, ederano, s’io non erro , l’lgnoranza e la Sospezione. Dall’altra parte yenia la Calunni-a iutta adorna e lisciata , che nel fiero aspetto e nel portamento della persona ben palesaya lo VITA 1 55 sdegno e la rabbia ch’ella chiudeva nel cuore. Portava nell-a sinistra una baccola, e con Faltra mano strascinava per la zazzera un gioyane , il quale eleyando le mani al cielo, chiamava ad alia yoce gli Dii per testimonj della propria in- nocenza. Facevale scorta una figiira squallida e l'orda, vivace ed acuta nel guardo, nel resto si- migliantissima ad un tisico marcio ; e facilmente ravvisavasi per Plnvidia. Poco meno che al pari della Cal un nia eranvi alcune femmine , quasi dainigelle e compagne, il cui ufficio era incitare e metter six la signora, accanciarla . abbellirla ; e„ s’ interpretava che fossero la Doppiezz# e V In- sidi^. Dopo a tut.ti veniva il Penthuento, colmo di dolore, rinvolto in lacero bruno, il quale ad- dietro volgendosi, scorgea yenir da l.ungi la Ve- rita, non meno allegra che modesta, ne meno xnodesta che bella. Coti questa tayola scherzo Apelle sopra le proprie sciagure, mostrandosi egualmente yaloroso pittore e bizzarro poeta in esprimere favolosamente i veri effetti della ca- XXL lunnia. Ingegnoso e bel ripiego fu anche quel- 10 ch’ egli prese in ritrarre Antigono cieco da un bcchio, facendone l’effigie in proffilo, accio 11 mancamento del corpo apparisse piu tosto della pittura , con esporre alia vista solamente quella parte del volto, che poteva' mostrarsi in- tera : e per tal modo penso a cel are gli altrui difetti , come quegli che ben conosceva esser piu laudabile occultare i vizj dell’ amico , che P a l esar l e virtu. Euvvi nondimeno chilotaccio DI APELLE i5g in questo come adulatore d’Antigoiio , il quale fu da lui dipin to eziandio armato col cay alio appresso. Ma un altro a cavallo fu giudicato da’periti nellarte forse la piil bell’opera ch’egli facesse. E questa per ayyentura fu la medesima tayola che lungo tempo si conservo nel tem- pio d’ Esculapio, posto ne’sobborghi di Goo. Di eguale stim'a fu riputata una Diana in mezzo ad un coro di Vergini sacrificanti, le quali essendo tutte bellissime, disposte in yarie attitudini e gra- ziosamente vestite, e^ano tuttayia superate dalla bellezza e dalla leggiadria della Dea, a tal se- gno che restayano inferior*! a questa pittura i Versi d’ Omero , ch’ una simil cosa descrivono : T^aga d’avventar dardij i monti scorre Diana e sul Taigeto e V Erimanto Prende piacer di lievi capri e cervi: Con leij prole di Giovej agresti Ninfe S cherzano j onde a Latona il cor ne gode: A tutte colla fronte ella sovrasta , Chiaro distintaj e pur ciascuna e bella, Fece a Megabizzo sacerdote la solenne pompa di Diana Efesina ; Clito a cay alio, che s’ affretta per la battaglia, e lo scudiere ch’halui doman- dante porge Eelmetto ; Neottolemo pure a ca- vallo in atto di combatter co’ Persiani; e Arche- lao in compagnia della moglie e della figliuola, Dipinse anche un eroe ignudo, nel quale parye che gareggiar volesse con la n’atura. E riputato altresi di sua mano un Ercole riyolto, posto gia PL 35. io, XXII. Strab.l.i 2 . PI. 35. io. Odiss. 1. 6, V. 102. XXIII. PI. 35. io, xxiy. Pausan. 1 . 9. 3 09. fin. PL 35 . 10, Tourn. 1 . 10. 1 1. Av. Eneld. 1. v. 298. PI. 35 . 10. 160 V I T A nel tempio cf Antonia, in maniera tale, cosa dif- ficilissima, che la pittura raostri la faccia, anzi che prometterla. Molti altri luoghi si pregiano* e sono insigni per le di lui pitture. xi Smirne, nel tempio di Nemesi, ov’era la cappella dei musici, vedevasi una delle Grazie. I Samii am- mirarono FAbrone, i Rodiani il Menandro, re della Caria, e FAnceo. In Alessandria ritrovossi il Gorgostene, recitator di tragedie; in Roma Gastore e Polluce eon la Vittoria e Alessandro; parimente la Guerra incatenata colie mani alle spalle, e Alessandro sopra il carro trionfale. Que- ste due tayole avea dedicate Augusto nelle parti piu riguardeyoli del suo Foro, ma pero sempli- cemente ; Claudio, vie piu stimandole, crebbe loro ornamenti , ma le stroppio, devando in amendue il volto d’ Alessandro per riporyi quello d’ Augusto. Vogliono alcuni che Yirgilio ay esse in mente questa immagine della Guerra quando fece quei yersi: Chiudrassi a Giano il tempio ^ e dentro assiso Sopra V armi spietate empio Furore ^ Da cento ferrei nodi al tergo avvintOj Orrido jremercLj di sangue Unto. Fu veramente eccellentissimo in dipinger ca- yalli, avendo , come udito abbiamo, rappresen- tati sopra essi molti principi e soldati grandi. Ma cio meglio si conobbe in quello ch'egli di- pinse a concorrenza ; quando accortosi che gli emuli ayeyang il fayor'e de’giudici, s’ appello D I A-PELLE 161 ilagli uomini alle Leslie, e facenclo yedere a’ca- Talii yiyi e veri Popere di ciascheduno artefice, essi solamente anitrirono a quel d’Apelle; laonde fu poi sernpre mostrato in proya di sua grande arte. 11 die quanto porto di reputazione ad Apel- le, tanto -reco di yergogna agli uomini appas- sionati , die in far la giustizia restarono addie- tro agli animali senza ragione. Fu egli tultayia censurato per ayer fatti a un cayallo i peli nelie palpebre di sotto, i quali secondo i Naturali ye- ramente yi mancano. Altri dicono die non Apei- le‘, ma Nicone, pittore per altro eccellente , fu iiotato di tale errore. Bellissimo e il caso che gli ayy.enne in delineate un altro destriero; e do si racconta pur di Nealce. Erasi egli inesso in testa di figurare un corsiere che tornasse ap- punto dalla Lattaglia. Fecelo adtmque alto di testa e surto di collo, con orecclii tesi, occhi ardenti e yivaci, narici gonfie e fumanti, e come se proprio uscisse di zuffa, ritenente nel sem- biante il furore conceputo nel corso. Parea che Lattendo ad ogni memento le zainpe, si diyo- rasse il terreno, e incapace di fermezza sempre balzasse^ appena toccando il suolo. Raffrenayalo il cayaliere, e reprimeya quell’ impeto guerrie- to, tenendo salde le briglie* Era ornai condotta rimmagine con tutti irequisiti, sicclie semhraya spirante. Null' altro inancayale che quella spu- ma, la quale mischiata col sangue per l’agita- zione del morso e per la fatica, suole abbondar nella bocca a’destrieri, e gonfiandosi per 1’ane- Dati. Vite cle 1 Pittori. 1 1 Mars. Fie. d.Immort. d. a n. 1. 1 3. c. 3. Eliari. St, d.Anim. I. 4- c. 5o XXY- 162 VITA Causs. 1. 12. 4 o. S. Simbol. Marz. 1 . 1. ep. 22. PL 35 . 10. XXYI. PL 35 . 10. Antol. I.4. r, 6 .epig.i. xx\% lito, dalla varieta de’reflessi prende yarj color i. Piu d’un.a yolta, e con ogni sforzo ed applica- zione, tento di rappresentarla al naturale ; e non appagato, cancello la pittura, tornando a rifarla; ma tutto indarno : onde sopraffatto dalla colle- ra, come se guastar lo volesse, ayyento nel qua- dro la spugna, di cui si serviya a nettare i pen- nelli, tutta intrisa di diversi colori; la quale an- dando a sorte a percuotere intorno al morso, lascioyyi impressa la schiuma sanguigna e laol- lente similissima al yero. Rallegrossi Apelle, e gradi P insolito beneficio della fortuna, dalla quale ottenne quanto gli fu negato dall’arte, essendo in questo fat to superata dal caso la di- ligenza. Talmenteche alia rnano di lui puossi adattar quel yerso fatto per la destra di Sceyola: Ell’ avea fatto men j se non evrava. Fra le pitture del medesimo lodatissime fu- rono certe figure di moribondi , nelle quali fe- cegli di mestieri d’una grand arte per esprimere i dolori dell agonia. Conservaronsi lungo tempo per le gallerie alcuni chiariscuri tenuti in gran pregio. Dipinse fin quelle cose che paiono in- imitabili: tuoni, fulmini e lampi. Credesi che egli facesse il proprio ritratto ; onde si legge presso i poeti greci quel yerso: Ritrasse il volto suo V ottimo Apelle. Certo e che in lutte le sue pitture e in ogni suo portamento si riconosce il ritratto della D I APELLE i63 gentilezza e delhinnata sua cortesia. Ma P opera piu celebre di questo artefice insigne fu la Ye- nere di Coo, detta Aiiadiomene, cioe emergente o sorgente dal mare; della quale i poeti dissero si bei concetti, che in un certo modo supera* rono Apelle , ma lo resero illustre. Vedevasi per opera degP industrl pennelli alzarsi dall’on- de la Leila Figlia del Mare, e piu lucente del sole, con folgoranti pupille accender fiamme neh l’acque. Ridean le labbra di rose, e facea si bel riso giocondare ogni cuore. Colori celesti espri- mean la bellezza delle membra divine, per farsi dolci al cui soave contatto, detto avreste di ve- der correre a gara Ponde, eccitando nelia calma del mare amorosa tempesta. Sollevavan dal- 1’acque. le mani candidissime il prezioso tesoro di bionda chioma, e mentre quella spremeano, parea die da nugola d’oro diluviasse pioggia di perle. Si stupenda pittura dedico Augusta nel tempio di Giulio Cesare, consacrando al padre 1’origine e l autrice di casa Giulia ; e per avetla da’cittadini di Coo, rimesse loro uento talenti dell imposto tributo. Essendosi guasta nelia par- te di sotto , non si trovo chi osasse restaurarla: onde tale offesa ridondo in gloria d’ Apelle. I tarli finalmente affatto la cons]umarono, parendo che il cielo invidiasse cosi bella cosa alia terra; e Nerone nel suo principato in vece di quella ve ne pose una fatta da Doroteo. Alcuni asseriscono che il naturale di questa Dea fosse cavato da Campaspe; altri da Prine, famosissima mere- xxvm,. PL 35.10 Sfrak l 13 . PI. 35. to, PL 35. xo, VITA 164 Aten. J.i 5 . trice, la quale per ordinario non mai lasciandosi R^odig. 14. ve( j ere ignnd-a, nel gran concorso che si faceya presso ad Eleusi per le feste di Nettuno , de- poste le vestimenta e sparsi i capelli, a yista di XXIX. tutti sen’entraya nel mare. Comincio un’altra Cicer /i Venere a’medesimi di Coo, della quale fece la epistol. 9. testa e la sommita del petto, e non piu: e cre- desi che ayrehbe yantaggiato la prima; ma la morte inyidiosa non la gli lascio terminare. Tut- tayia non fu meno ammirata perche fosse im- perfetta, e succedette in luogo d’ encomio il dolor della perdita, sospirandosi quelle mani Cicer.l. 5 . mancate in mezzo a si nobil layoro. Non fu al- d. Uffic. euno cbe s’ attentasse d'entrare a finir la parte abbozzata, perche la bellezza della faccia toglie- * ya la speranza d’ agguagliare il rimanente del corpo. E cosa notabile ch’ egli in far quest’opere XXX. tanto marayigliose si seryisse , come alcuni af- fermano, di quattro colori senza piu, facendo yedere a’ posteri, i quali tanti ne inyentarono, cbe non il yalore delle materie, ma quel del- E ingegno operaya si, che le pitture di lui appena potessero pagarsi colle riccbezze d’ un 5 intera citta. Non ostante che per lo gran prezzo dei suoi layori fosse yerisimilmente ricchissimo ,• yiyeya assai positivo, e nelle pared e nell’ incro- statura della sua casa non si vedeya pittura ah PI. 35. 10. cuna. Molto gioyo all’ arte co’ suoi ritroyamen- ti, e piu colEopere ch’egli scrisse della profes- sione, indirizzandole a Perseo suo scolare, piu cognito mediante il maestro cbe per se stesso. D I APELLE 1 65 II medesimo si puo dir di Tesiloco, solamenle nominato, perche fu allievo d’Apelle. Messe in uso il nero d’ ayorio abbruciato. Adopro una certa yernice, la quale niuno seppe imitare. Questa daya egli all’ opere dope ayerle finite, in modo che la medesima le rayyiyava e le di- fendeva dalla polvere , ne si vedeya se non da presso. Metteyala in opera con tanto giudicio , die i colori accesi non offendeyan la yista, yeg- gendosi come per un yetro da lungi, e le tinte lasciye acquistayano un non so che d’austero. E molto yerisimile cb’ egli facesse anche delle pitLure di cera, ayendo appreso questa maestria degli antichi da Panfilo suo insegnatore ; e par che l accenni Stazio in quel yerso: Te disian Jigurar cere Apellee. Fu molto arguto e alia mano; e si racconta che mostrandogli un pittore certa sua opera, e protestandosi d’ ayer layorato in fretta , egli ri- spose che cio hen si yedeya, e marayigliarsi che nel medesimo tempo non ayesse fatte di tal sorta assai piu. Domandato per qual cagione ayesse dipinta la Fortuna a sedere, rispose equivoca- mente : perche mai non ista. La medesima Deita dipinse unita alle Grazie, significando per ay- yentura • quanto graziosa sia la Fortuna yersu coloro ch’ ella piglia a fayorire. Il di che altri forse prese occasione d’ affermare, che il nostro artehce facesse anche il simulacro del dio Fa- yore. Veggendo Elena, dipinta da un suo scolare, PJ. 35. u. PI. 35 . 6. e io. XXXI. 1 . 1. Selv.i. Plutar. d. Educaz. Stob.serm. io3. a 563. XXXII. Liban. Di- sc. d. Bel- lez. t. 2. a 709. GiraJd. d. Dis. Gent, Sint. 1. iG6 EITA DI APELLE Clem. Aless. Pe- dag. 1. 2 . 12 . i i. el. 2. Aten. I 1 3. Ateu. l.i 3. Aristen. 1. i. ep. i. XXXIII. tutta adornata d’oro e di gioie, lo motteggio , non sapenclo egli farla bella, l’avesse fatta ric- ca; come quegli che per suo costume era nimi- cissimo di si fatti ornamenti , amando la bel- lezza scbietta e sincera. Onde Properzio della sua dama canto : Delle gemnie a fulgori La bellezza non deve il bel sembiante Che splende al par degli dpellei color i. Era di natura fortemente inclinato ad amar le feminine; che percio, oltre all’ amor di Campa- spe, narrasi che veggendo egli Laide, ancor pul- zeila, portar l’acqua dal Pirene, fonte yicino a Corinto consacrato alle Muse, e parendogli bella oltre modo , condussela in un conyito d’ amici. Beffato da essi , perche in yece d’ una donna di mondo ayesse menato una fanciulla, rispose: non yi fate le marayiglie, ch’ ei non ci andra tre anni , ch io ]a faro donna e maestra. E da credere cb egli se neyalesse pe’naturali, essendo ella bellissima nelle mammelle e nel seno, per lo qual disegnare a lei yeniyan molti pittori. Troyansi mentoyati molti altri di questo nome. Del nostro non si legge ne doye, ne quando morisse ; ma pare assai yerisimile ch’ egli man- casse in Coo, sua patria , mentre dipi'gneya la seconda Venere, la quale rimase imperfetta, ma che forse non potea ineglio perfezionarsi , che chiaramente mostrando non potersi passar piii oltre da ingegno umano. P0ST1LLE ALLA VITA D I APELLE I. Celebrato e magnificato dagli scrittori di tutti i secoli ec. Pochi yeramente sono gli scrittori insigni , a’ quali yenga occasione di trattar di pittura, che non facciano onorevolissima ricordanza d’ Apelle. Cicer. nel Bruto : At in Apelle jam perfecta sunt omnia. Yarrone 1 . 8. d. Ling. Lat. Pic tores Apelles, Protogenes, sic alii artifices egregii. Yitruvio, 1 . i. c. i., avendo per eccellenza a no- rainare un pittore, elegge Apelle, dicendo che l’archi- tetto non dee saper di pittura quanto Apelle, ma ne meno esser ignorante del disegno. Luciano, nel Dial. d. Immagini e altrove, preferisce Apelle ad ogni altro. Lo stesso fa Dionigi d’ Alicarnasso nel Giudic. sopra Tu- cidide, accoppiandolo con Zeusi e con Protogene ; Dio- doro Sicilian© nell 1 Egloghe del lib. 26. a 884 - con'Par- rasio ; Petronio Arbitro con Fidia ; Teone sofista, Pro- ginn. 1., con Protogene e con Antifilo ; Marziano Ca- pella 1 . 6. in princ. con Policleto ; Sidonio 1 . 7. epist. 3 . con Fidia e con Policleto ; Columella prefaz. d. 1 . 1. con Protogene e con Parrasio ; Giustiniano Imper. Iyst. 1 . 2. d. R. Divis. eon Parrasio; Origene contro a Celso a 389. con Zeusi, riponendolo tra gli artefici, P opere dei quali arrivano alio stupore. Clemente Alessand. nel- FAmmoniz. a’ Gentili f. l\\. menziono t&s %&pag raq kneoXhxh.fr le quali diedero alia materia hgura di bei- i68 POSTILLE lezza divina, e mill’altri. I poeti anch’ eglino, dovendo mentovar pitture, tosto si vagliono d’ Apelle. Marziale 1. 7 . ep. 83. Casibus hie nullis, nullis delebilis minis } Vivet Apelleum , cum morietur, opus. E lib. 11 . ep. 10 . Claims fronde Jovis , Romani fama cothurni , Spiral Apellea redditus arte mem or. Slazio, selv. 2 . 1. 2 . Quid referam veteres cerceq; cerisq; Jiguras 3 Si quid Apellei gaudent animasse colores . E selva p. 1. 5. Ut vel Apelleo vultus sign at a colore, Phidiaca vel nata manu reddare dolenti. Plauto nel Penulo, atto 5. sc. 4, parlando di bella donna : 0 Apella, 0 Zeusis pictor, Cur numero eStis mortui ; hinc exemplum ut pingeretis, IS am alios pict ores nihil moror hujusmodi tract-are exempla. E neir Epidieo, atto 5. sc. 1 . ■Ex tuis verbis meum futurum coriurn pulchrum prcedicas : Quern Apelles, atq. Zeusis duo pingent pigmentis ulmeis. I moderni sarebbero molti, ma per tutti basti Lo- dovico Ariosto, Fur. c. 33. st. 1 . Timagora , Parrasio, Polignoto , Protogene , Timante, Apollodoro , Apelle piii di tutti questi noto, E Zeusi e gli alti'i cli a quei tempi foro. S’ io dovessi paragonare ad Apelle alcuno de' mo- derni, non cambierei Raffaello, parendomi di riconoscere ALLA VITA DI APELLE *69 io iui non tanto Feccellenza dell’ingegno, quanto la finezza dell' arte', ma di piii quelle medesime maniere e quegli stessi costumi che resero l’uno e V altro grati oltre modo a’principi deli’ eta loro. Ambidue cortesi , arguti, graziosi , di grande inventiva e fantasia, amici della gloria e inclinati agli amori ; tutti due premiati , onorati, amati, ammirati. II. Apelle fu nativo di Coo. Cosi tenne Ovidio 1. 3. d. Art. d’ am. v. 4oi. Si Venerem , Cons nunquam posuisset Apelles , Mersa sub cequoreis ilia lateret aquis. Che cosi legge da’ mss. anlichi nelle sue dottissime note Nicolo Einsio , a cui tanto son tenute le Muse Latine, si per la correzione degli antichi poeti, si per i eleganza de suoi versi, a’ quali non manca altro d’ an- tico che l tempo. Alcuni senza bisogno yeruno lessero : Si Venerem Cois nunquam etc. conform a ndosi forse con quelle parole di Plinio, 1. 35. c. 10 . Apelles irtclioaverat aliam Venerem Cois. Ma non puo dubitaysi dell’opinione di Ovidio, se 1. 4- el. 1 . di Ponto disse : Ut Venus artificis labor est } el gloria Coi, JEquoreo madidas quce premit irnbre comas. E questa credenza e seguitata quasi, da tutti i mo derni. Non ha dunque Ovidio bisqgno d’ esser difeso dal Mazzoni, 1. 3. c. 16 . d. Difesa di Dante, per averlo chiamato di Coo, e non di Chio, come dice per inav- vertenza il Mazzoni; perche Plinio, che in raccogliere queste notizie fu diligentissimo, anch’ egli lo fa di Coo, ancorche per difetto de’ copiatori ne’ suoi libri cio non si legga. II prjmo ad avvertire questa verita fu il dot- I -o POSTIL LE tissimo Adriano Turnebo (i) nel lib. 18 . c. 3i. degli Avvers., dove emenda quelle parole di Piinio 1. 35.c. 10 ., le quali eomunemente si leggono : Verum omnes prius gemtos , juturo-sque posted super avit Apelles , eousque Olympiade CXII. in pictura provectus , ut plura solus prope, quam cceteri omnes contuler it, in questa maniera : Apelles Cons Olymp . CXII. in pictura sic provectus. Coniettura non solamenfce ingegnosa , ma certa ; imper- ciocehe, quantunque il Turnebo non la confermi con alcuna ragione o antica scrittura, egii e da osservare die Piinio e puntualissimo in riferire la patria degli artefici piii ignobili, non che de’ piii illustri; e se in questo luogo, dove appunto comincia a parlar d’ Apelle, non si leggesse cosi, egli in tutto il restante dell' opera non ne direbbe la patria, che a me parrebbe un gran- dissimo assurdo. Gonferma V emendazione del Turnebo un testo antieo di Ferdinando Pinciano, benche per al- tro corrotto : Apelles Cous Olympiade CXII. pictures plura solus propinavit, quam cceteri omnes 3 contulit. Dove il Pinciano: Caster a redundant', scribi autem posset, non (i) Non aveva il Dati, quando cio scrisse, veduta ancora 1’ opera del Becichemio da Scutari, letta la quale, si credette in debito di aggiungere a questa sua postilla le seguenti parole: Avanli al Turnebo osservo e corresse il medesimo errore Ma- rino Becichemio da Scutari nell’ Opera intitolata : In primum Naturalis Histories librum Qbservationum Collectanea, stam- pata in Parigi nel i5i 9. Di questo libro mi fu data notizia, e fatto comodita di vederlo da Antonio Magliabecchi fiorentino, mio amico carissimo , il quale per la maravigliosa cognizione e fondata intelligenza d’ ogni sorta di libri puo giustamente chiamarsi viva libreria, come da altri fu detto. Dice adunque il Becichemio a 119. Apelles Cous (ut scribit Plinius) omnes prius genitos futurosque postea superavit , pluraque prope contulit pictured, quam cceteri omnes . Dalle quali parole chia- ramente si vede o che egli conobbe 1’ errore, o che egli si servi di qualche ottimo testo a penna. ALLA VITA DI APELLE l 7* provinavit } sed , prope in cevis , ut loqui alias Plinius consuevit. Meglio assai il testo della Vaticana, in cui si legge : Apelles Cous Olymp. CX1L picturce plura so- lus prope , quam cceteri omnes, contulit ; di dove si cava la vera lezione di questo luogo, mutando semplicemente Eousque in Cous qui ; cioe : Verum omnes prius ge* nitos } futurosque , postea superavit Apelles Cous , qui Olymp. CXI I. picturce plura solus prope , quam cceteri omnes , contulit. E quest’ ultime parole sono maniera usata tnolto da Plinio, 1. 34- c. 8 . di Lisippo : Statua- ries arti plurimum traditur contulisse ; 1. 35. c. 9 . di Po- lignoto : Plurimumque picturce primus contulit ; e di Apol- lodoro : Primusqne gloriam penicillo jure contulit. III. Altri lo Tanno d’ Efeso. Strabone, 1. i4- a 642 ., e da lui Enea Silvio Piccol. Stor. d. As. Min. cap. 57 .; Luciano, Dial. d. Calunn. a 877 .; Eliano 1. 4* c. 5o. degli Anim. ; Gio. Tzetze, Chil. 8 . st. 197 . v. 193 . Onde non potendo credere che tanti autori s’ingannino, inclino a stimare che egli fosse nativo di Coo e cittadino d’ Efeso. IV. E v’ e chi afferma ch’ egli nascesse in Colo- fone ec. Suida in A.its)ehrif lo fa di Colofone e cittadino d’ Efeso; e da lui Rodig. 1. i3. c. 38., senza mento- vare Suida , dove accenna tutte le diverse opinioni. !Non debbo in questo luogo tralasciare che il Gesnero nella sua Libreria pone che Plinio scriva che Apelle fu di Taso, perche tra gli autori, de’ quali egli si e valuto nel lib. 32., vi e Apelles Thasius. Io per me sti- mo che o questo Apelle non sia il nostro, o che quel Thasius sia un altro nome separato da Apelles. Imper- ciocche neli’ indice del lib. 3i. e del lib. 35. vi e Apel- les senza aggiunta di patria. Io pero credo che sola- mente quello del lib. 35. sia il nostro Apelle pittore, giacche in detto libro si tratta della pittura , della quale POSTILLE 172 egli scrisse ; e che Faltro sia un medico, come si dira ptii chiaramente nel Catalogo degli Apelli. Che stima far si debba di quest 1 Indice degli Scrittori posto avanti a Plinio, yeggasi Tommaso Reinesio nelle sue dottis- sime Yarie Lezioni 1. 2 . e. 6., dove osserya particolar- mente questo luogo, in cui si nomina Apelle Tasio. Y. Ebbe per maestro Panfilo Anfipolitano. JPl'imo in piii d’ un luogo, lib. 35. 10 . Eupompusr Pamphilum Apellis prceceptorem, cap. 11 . Pamphilus quoque Apellis prceceptor. Lo stesso afferma Plutarc'o nella Yita d’ Arato, Suida in e lo Scoliaste d' Ari- stofane, il quale erra facendolo Ateniese. Egli fu d' Anfi- poli, citta posta ne 1 confini della Macedonia e della Tracia, e percio da Plinio fu cbiamato Macedone. Suida fa mcnzione d’ un Panfilo Anfipolitano fiiosofo, il quale scrisse della pittura e de 1 pittori illustri. Non saprei di certo affermare 0 negare se questo fu il medesimo che il pittore. Delle opere di esso yeggasi Plinio 1. 35. c. 10 ., e Plutarco in Arato. Aristofane nel Pluto, atto 2 . sc. 3., fa menzione d’ una storia de figliuoli d Ercolc, imploranli Faiuto degli Ateniesi contfo Euristeo, di- pinta nel Pecile, cioe nel Portico Yario. Quivi piii diffusamente le cbiose. Quintiliano lo celebra fra’pri- mi professori, accoppiandolo con Melanzio : ma di esso piii largamente nel Catalogo degli Artefici. Non so con qual fondamento Marcantonio Maioraggio , nel Cora- mento sopra f'Oraz. di Cicer. a 11 ., dicesse che Apelle fosse scolare di. Zeusi, quando tra F uno e Faltro corse Feta d’ un uomo. VI. Questi non insegnava per mefio d 1 un talento in dieci anni. Cosi Plinio 1. 35. c. 10 . Docuit neminem minoris talento annis decern ; quam mercedem et Apelles et Melantius ei dedere. Plutarco nella Vita d Arato a io 32. anch’ egli dice che la mercede fu un talento. Questa ALLA YITA DI APELLE ■i I 7J al Budeo, nel lib, 2. cl. Asse, pare pochissimo, e ricor- renclo a’ testi mss. cli Plinio da negli. eccessi. La coti- cordia di Plinio e di Plutarco appresso di me vale assai piu clie 1’ autorita d’ un ms., quantunque anche il Pineiano legga in un suo testa annuis decern, come yorrebbe il Budeo ; al quale se un talento in dieci anni par poco, dieci per anno- mi paion troppo, come pure parvero a Bastiano Corrado, sopra il Bruto di Cicerone a 129., dove sostiene la lezione vulgata di Plinio d’ un talento solo in dieci anni. E notisi che quando appresso gli scrittori s’ incontra talento senz’ altra giunta, si dee intenclere, come c’ insegna in piii d’ un luogo della sua diligentissima opera de Sestertio P eruditissimo Gro- novio, del talento attico, il cui valore era 6000. de- nari, cioe 600. scudi in circa*, la quale a me non pa-, re: e non e finalmente remunerazione cosi meschina, come stima il Budeo, e massime per andar semplice- mente, secondo Plutarco, a lavorare in bottega di Pan- fdo. Ma in cio mi rimetto agl’ intelligenti d’ antichita nuinmaria, nella quale mi confesso interamente novizio, YII. Niun giorno senza linea. Cosi comunemente viene espresso questo prover- bio. Le parole di Piinio, 1 . 35 . c. 10., son queste : Apelli fuit alioquin perpetua consuetudo nunquam tarn occu~ patam diem agendi , ut non lineam ducendo ex erceret artem ; quod ab eo in proverhinm venit . Il Collettor de’ proverbj lo trasformo,. portandolo cosi in greco. T vipzpov ovdepiav ypappvjv tfyayov. °gg> niuna linea ho tirato. Non so gia onde se lo cavi. Non lascOro di avver tire in questo luogo, che Claudio Salmasio, grandissimo critico dell’ eta nostra, nelle Dissertazioni Pliniane so- pra Solino a 5 ., in confermazione di questo proyerbio, 174 1 * O & T i L h £ fidandosi troppo della* memoria , come bene spesso egli fece, cita un verso d’ Orazio : Nulla dies abeat , quin linea ducta supersit : 11 quale non e, cb’ io sappia, ne d’ Orazio , ne d altro poeta Latino antico, ma forse uno di quei versi pro- verbiali che vanno per le bocche degli uomini, senza sapersene V autore. VIII. Sopra lo sporto. Plinio 1. 35. c. io. Idem perfecta opera proponebat in pergula transeuntibus etc . (*). Ho tradotto sporto , non avendo meglio. Pergula presso gli antiebi era quasi un terrazzino, poggiuolo, loggetta, ringbiera o galleria cbe sporgeva in fuora, come notarono Giuseppe Scalig. Auson. lez. 2 . c. 12 ., e il Passerazio sopra Properzio 1 . 4 el. 5. Gotai luogo era attissimo a mettere in mo- stra le cose vendibili, essendo esposto e alquanto sol* levato, onde era proprio de’ pittori. Lucilio Sat. 1. 20.5 citato da Lattanzio 1. 1 . c. 22 . Pergula pictorum , veri nihil, omnia ficta. • Nel codice Teodos. 1. i3. tit. 4 - de Excusat. Ar - tific. n, 4 . Picture^ professores, si modo ingenui sunt etc. Pergulas et officinas in locis publicis sine pensione obtineant , si tamen in his usum proprice artis exer- eeant . Sopra le quali parole e da vedere Jacopo Got- tofredo nel suo amplissimo Comentar. t. 5. a 55., il quale e di parere cbe perguld in questo luogo altro non signifiebi che bottega. IX. Volgo da lui stimato miglior giudice di se me- desimo. Plinio 1. 35. 10 . Vulgum diligentiorem judicem , quam se, preeferens. Parra s.trano ad alcuno cbe Apeile ( 1 ) Yedi Marcello Donato sopra Svet. in Aug-, c. g4- p- 537. ALLA VITA DI APELLE 1^5 tanto deferisse al volgo ; mar fmalrncnle e' bisogna con- fessare esser yerissimo ii nostro proverbio : veggono piu quatlr-occhi che due; e che ognuno e cleco in giudicar delle cose proprie. I pittori banno questo svantaggio , che imitando quel che da ciascuno si vede , possono esser censurati da chi che sia , pur- eh 1 egli non sia privo degli occhi. ■ Ne ad essi vale il dire : chi non e professore stia cheto ; fondati sopra di quel detto di Pliuio il giovane 1. i. ep. 10 . Ut enim de pictore } sculptore , fictore , nisi artifex judicare, it a nisi sapiens non potest perspicere sapientem. Se non vo- gliamo le censure degF imperiti , perche gradischiamo le lodi loro ? Careret quippe fama magnorum virorum celebritate, si etiam minoribus testibus contenta non es - set , disse Simmaco 1. 8. ep. 22 ., e l. 1 . ep. -23. Licet alienas spectare virtutes. Nam et Phidice Olympium Jo - vem, et Myronis buculam , et Polycleti canephoras, ru - dis ejus artis hominum pars magna mirata est. Intelli - gendi natura indulgentius patet . Alioqui prceclara re rum paucis probarentur, si boni cujusque sensus etiam ad impares non veniret. Molto diverso e il fare e i! dar giudicio del fatto. Mirabile est ( Cicerone nel 3. n. 5 1 . d. Oratore ) cum plurimum in faciendo intersit inter doctum et rudem 9 quam non multum dijjerat in judicando. E nel lib. d. Ottirn. Gener. d. Oral. n. 4“ Ad picturam probandam adhibentur etiam inscii faciendi cum aliqua solertia judicandi. Non milita sempre quel detto di Donatello a Filippo: to’ del legno, e fa tu ; perche V altro potra rispondere : io non so far meglio ? ma tuttavia so distinguere che tu fai male. Bellissimo a questo proposito e un luogo di Dionigi Abcarnasso nel Giudicio sopra la Storia di Tucidide: Non per que~ §to } die’ egli. perche a noi manca quella squisitezza e quella vivezza d ingegno , la quale ebbero Tucidide e gli altri scrittori insignia saremo .egualmente privi dcJJrz POST ILL® 176 facolta che essi ebbero nel giudicare. Imperciocche e pur lecito il dar giudicio di quelle professioni 3 in cut furono eccellenti dpelle 3 Zeusi e Protogene , anche a coloro i quali ad essi non possono a verun patto ag- guagliarsi; n'e fu inter detto agli altri art e fie i il dire il parer loro sopra T ofiere di Fidia, di Policleto e di Mi- rone, tuttoche ad, essi di gran lunga fossero addietro . Tralascio che spesso avviene c\ie un uomo idiota, aven- dosi a giudicare di cose sottoposte al senso , non e in- feriore a periti. Al detto di Dionigi potrebbesi aggiu- gnere esser verissimo che le finezzex dell' arte le go dono e le conoscono solamente gli artefici, uia gli er~ rori son considerati anche dagl’ ignorami. E questi ap- punto cercava di emendare Apelle , facendo gran ca- pitale di quanto ascoltava dire dalla moltitudine, senza alcuna passione. Onde Giusto Lipsio, Epist. MiscelL Cent. 2. 88. (1), si vale di questo esempio di Apelle per significare il frutto che si trae per l’eraenda dal sentire il parere altrui. Quel che fece Apelle , pri- ma di lui l aveva fatto anche Fidia, del quale racconta Luciano, nella Difesa delle Immag. a 6 o 3 ., che dopo aver condotto a fine il Giove Olimpio, e quello raesso a mostra, stava dletro alia porta a sentire quel che di- ceva il popolo, del cui giudicio faceva stima piu che ordinaria. Questi due fatti d" Apelle e di Fidia pare appunto eh’ avesse in mente Cicerone quando scrisse nel 1. 2. degli Ufficj n. l\i. Ut enim pictores , et ii qui signa fabricantur , et vero etiam poetce, suum quisq. opus a vulgo considerari yult , ut si quid reprehensum sit a pluribus, id corrigatur.; hique et secum, et cum aliis quid in eo peccaium sit exquirunt : sic aliorum judicio permulta nobis et facienda , et non facienda , et (1) Onvnis enim advert'd quod eminet et exstat , come disse Plinio 1 . 9. ep. 26., suggerito dal Priceo. ALLA VITA Dl APfcLtE tjj mutanda , et corrigenda sunt. Da qiiesti gran cl 1 artefici ed eccellenti scrittori impari chi vuol uscire dell ordi- nario a non fidarsi di se meclesimo, ed a sentire e sti- mare il giudicio altrui. A questi esempli antichi pia- cemi d’ accoppiare un moderno , raccontatomi non ha gran tempo da un mio carissimo amico. Avea Gian- bologna, scultore insigne, finito e messo su 'il cavallo di bronzo, il quale si vede in Firenze nella piazza del Palazzo Vecchio, sostenente sul dorso il simulacro del serenissimo granduca Gosimo I. , e dopo esser levati i palchi e le tende, non avea per aocora disfatioFas- sito posto attorno alia base. Slava egli adunque la en- tro racehiuso, ascoltando quel che diceva il popolo concorso a vedere la statua equestre nuovamente aco- perta. Fuvvi tra gl’i altri un contaclino, il quale avendo ben riguardato il cavallo, disse che lo scultore avea tra- lasciato una cosa che tutti i cavalli sogliono avere. UcK- to cio Gianbologna , che attentissimo stava, osservb chi. fosse stato colui che Favea notato, e facendone gran conto, ancorche fosse un uomo della villa, quand 1 egli si parti, andogli dietro, e a lui accostatosi, cortesemente interrogollo qual cosa fosse quelld ch’ egli poco avanti avea detto ess.ere stata ammessa dalio scultore nel suo cavallo. Al che rispose il contadino, ch’ ei vi mancava quel callo, il quale tutti hanno dalla parte interna alle gambe dinanzi, sopra Fannodatura del ginoechio, e molti anche di sotto alle gambe di dietro , cagionato , come per alcuni si stima, da’ ritoccamenti deli’ unghie in su ripiegate mentr’ essi stanno in corpo alia madre. E di- cesi che Gianbologna non picciol grado ne seppe ai villano, perche non solamente, rimessi i palchi, emendo F opera co’ tasselli, come si vede, ma F aVvertimentq largamente ricompenso, dotandogli una figliuola. A que- ste finezze conduce altrui i amor verso F arte e F ope- rar per la gloria. Dati, Vite de 1 Pitt art P O S T I L L E 178 X. Soleva con titolo sospeso e imperfetto scrivere ; APELLE FAGEYA ec. Tutto qnesto luogo e cavato da Plinio nella pre- fazione alia Stor. Natur. Et ne in totum videar Grce- cos insectari , ex illis nos. velim intelligi pingendi fin- gendique conditoribus , quos in libellis his invenies , ab- soiuta oprera, et ilia quoque, quce mirando non satiamur , pendenti titulo inscripsisse : ut APELLES F AGIEBAT , aut POLYCLETUS, tamquam inchoata semper arte, et imperfecta , ut contra judiciorum varietales superesset artifci regressus ad veniam, velut emendaturo quidquid desideraretur , si non esset interceptus. Qu.are plenum yerecundice illud est, quod omnia opera tamquam novis- sima inscripsere , et tamquam singulis fato adempti. Tria non amplius , ut opinor , absolute traduntur inscripta , 1LLE FECIT, quae suis locis lieddam : quo apparuit summam artis securitatem auctori placuisse , et ob id magna invidia fuere omnia ea. Non mi e ignoto che sopra queste parole il Renano, il Turnebo e molt’ ab tri eritiei fan no diverse riflessioni e conghietture per ridurle alia vera lezione. Ma di questo piu opportuna- mente quando avro meglio esaminato questo luogo, e conferito con gli antichi mss., de’ quali aspetto le va- rieta dagli amici eruditi di diversi paesi. Per ora pro- porro solamente una diffieolta senza seioglierla. Dice Plinio : Tria non amplius, ut opinor, absolute trac[un - tur inscripta , 1LLE FECIT, quce suis locis reddam . Nelle quali parole pare che 1’ autore prometta di vo= lere a suo luogo specificare quali fossero le tre opere d’ Apelle e di Polieleto singolarizzate col FECIT. Ma questa promessa non si tro’va mai adempiuta , poiehe ne dove parla di Polieleto, ne dove tralta di Apelle, ne in alcun altro luogo sc ne - incontra cenno veruno. Ma alia diffieolta da me proposta s’ ingegna di sod- disfare il medesimo Becichemio nel luogo sopraccitato , y ALLA VITA DT A^ELLE *79 illustrando quelle parole di Plinio: Tria non amplius etc. della Prefazione, con quell 1 altre del 1. 35. c. io. bfujus quae sint nobilissimce pictures s clixit Plinius , non esse facile enumerare ; memorat tariten tria ilia , quae abso- lute et perfects inscrip ta traduniur : imaginem Generis e mari exeuntis ; Castorem et Pollucem cum Victoria et Alexandro Magno ; imaginem Belli , restricts post terga manibus , Alexandro in curru triumpnante. Io noil so yeramente quali sieno le parole di Plinio, che dan- no motivo al Becichemio d’affermar questa cqsa , per*- die se yeramente si sapesse quali fossero state le pit- ture d’Apelle contrassegnate col FEGE , non avYcbbi! avuto occasione di dubitare quali meritassero il nonie di nobilissime. Anzi da questo numero io escluderei assolutamente F ultime due, lasciando solamentC la Ve*- nere y e vi riporrei quell 1 altre, delle quali egli scrisse - Peritiores .artis praeferunt omnibus eundem Regem ( cioe Antigono ) sedentetn iii equo; Dianam sacrifcan tium vir« ginum choro mistam etc . Resta adunque la mia diffi- colta in vigore , e non altrimenti disciolta ; ne Pli- nio dice in alcun luogo quali fossero le tavple, nelle quali Apelle si compiacque di’porre il FEGE. Al qua! proposito* non lascero che il gran Tiziano, nel lavo- rare la tavola della beatissima Yergine Annunziata per S. Salvadore di Yenezia, accorgehdosi che chi gli aveva dato F orcline non era soddisfatto della per- fezione di quell 1 opera , per clnarirlo e confonderlo vi scrisse : Titianus fecit , fecit. Gav. Ridolfi, parte I. a 1 85» • ]N T el discorso delle Inserizioni a 117 ., dopo Finscrb zione di Glicone nell 1 Ercole del palazzo Farnese, agg. presso al GruteFo a f. XLII. n. 12 ., si legge la seguente; ©EHI AAEEIKAKOI* FAYKON) posta sotto a certe figure di Monte Cavallo, clove non saprei affermare se Glicone fosse Fartefice 0 il dedicante P O S T I L L E i 8o Molto avrei che dire sopra 1’inscrizione APELLE FACEYA; ma per non avere a ripetere le medesime cose, porro qui un capitolo del Trattato della Pitt, an- tica, .dove si discorre pienamente di tal materia, e in- tanto servira per un saggio. Costume degli artefici antichi di scrivere nelV opere i norni loro (i). Essendosi parlato ne’precedenti capitoli di quelle in- serizioni, le quali dagli artefici furon poste nell’ opere loro per cagione di chiarezza , per notizia di storia, e "jaer ornamento e per lode altrui , discorreremo adesso di quelle, le quali non ebbero altro fine che la gloria propria, il cui desiderio e si altamente radicato ne’ cuori umani, cbe nulla est-tanta humilitas, qua? dulcedine glo- ria? non fcingatur. Onde non e punto da maravigliarsi che G. Fabio, nobil romano, dilettandosi oltremodo della pittura, dopo aver dipinte le pareti nel tempio della 'Salute , vi volesse porre il suo nome , come racconta Valer. . Mass., 1. 8. c. \[\. n. 6., con qualche derisione e strapazzo, ma a mio credere senza ragione. Warn quid sibi i voluit, die’ egli, C. Fabius nobilissimus civis ? qui curii in cede Salutis , quam C. Junius Bubulcus dedica- verat , parietes pinxisset , nomen is suum inscripsit . Id demum ornamenti familice , consulatibus et sacerdo- tiis et triumphis celeberrimce , deerat. Coeterum sordido studio deditum ingenium, qualemcunque ilium laborem suum silentio obliterari noluit : videlicet Phi dice secutus exemplum , qui cljpeo Minervce efjigiem suam. inclusit : qua convulsa } tota operis colligatio solveretur. Piii discre- (i) Anclie i vasellai ponevano il nome loro, o della fabbrica. Vedi la lettera del Falconieri sopra la Roma del Nardini, a me diretta, e una lucerna antica di terra figurata appresso il ser card. Leopgldo, dove e scritto AOTKIOT. ALLA VITA DI APELLE l8l tamente ne parlo Plinio 1. 35. c. 4- Apud Romanos quoque honos mature Tiuic arti contigit. Siquidem cogno- mina ex ea pictorum traxerunt Fabii clarissimte gentis, princepsque ejus cognominis ipse cedem Saluti pinxit , an- no urbis conditce CCCCL., quce piptura duravit ad nostrum memoriam , cede Claudii principatu exusta. L’ ultime pa- role di Valerio Massimo, dev’ egli parla di Fidfa , mi rammcntano l’industria di questo grande scultore usata nella struttura della Minerva piu celebrata d’ Atene, in cui non gli essendo lecito porre il suo nome , colloco nello seudo la propria immagine in guisa collegata con 1 ’ altre parti, che chi volesse levarla, scomponesse tutta la statua. Onde Cicerone nel i. 1. del. Tusc. n. i5. Opifices post mortem nobilitari volant. Quid enim Phi- dias sui similem speciem inclusit in clypeo Minervoe (0* cum inscribere non liceret? E nel Perf. Orat. presso alia fine n. 71 . Sed si quos magis delectant soluta, se~ quantur eo sane modo , sie ut quis Phidice clypeum dis- solveret , collocytionis universam speciem sustulerit, non singulorum operum venustatem . Aristotile, o chi sia l’au- tore del libro del Mondo* secondo la *versione del Bu- deo : Fama esl, Phidiam ilium statuarium , quum Miner- vam ill am , quce est in arce , coagmentaret , in medio ejus scuto faciem suam expressisse , oculosque fallenti artificio ita devinxispe simulacro , eximere inde ut ipsam si quis cupeyet, minime posset , aliler quiclem certe, quam ut ipsum solveret simulacrum , opusque ejusmodi com- pactile confunderet. E piu brevemente Apuleio : Phi- diam ilium, v.idi ipse in clypeo Minervce , quoe arcibus * Atheniensibus prcesidet, oris similituclinem eolligasse , ita ut si quis olim artijicum voluisset exinde imaginem sc~ ? ( 1 ) Sopra questo duogo di Cicerone vedi una letters del Pri- eeo,, dove leggerebbe cum nomen inscribere non liceret. POSTILLE IU2 parare x soluta compcige (i ) } simulac totius incolumitas intern et. Plutarco nella Vita di Pericle a .i 69. viene ai particolari, raccpntando che Fidia nello scudo della Mi- nerva, nel quale * era figurata la battaglia delle Amaz- zoni.,. aveva espressa la propria effigie in un vecchio calyo sostenente in alto un sasso con ambe le mani ; ma non pprche gli fosse yietato porvi il suo nome, avendo detto di sopra a 160. che nella base della Mi- nerva d’ oro falta da Fidia , la quale io stimo la me- desima che quella di cui si parla, era il nome dell’ ar- tefice. E.questo e xnolto verisimile che egli desiderasse, e anche 1’ ottencsse, avendo sempre avuto gran premura di collocarlo neH’ opere piu singolari •, tra le quali ri- pone Luciano, nel Dialogo delle Immag. a 588., la Mi- nerva Lemnia, anzi ad ogni altra la preferisce, sola- mente perche Fidia si degfio di scrivere in essa il suo nome. E Pausania nel l. 5*. narra che a 1 piedi del Giove Olimpio era scritto : OEIAIA2 XAPMlAOT TI02 A0H- NA102 M’‘EnoiH2E. FIDIA FIGLIUOLO DI CAR- MIDE ATEN1ESE MI FECE. Ma sia detto cio di passaggio, pe-r.trattarne esprofe'sso nelle Yite degli Seal- tori. Ripigliando il filo del nostro discorso, ingegnosa invenziorie fu parimente quella di Saurone e Batraco architetti , i quali non potendo di se lasciare inscritta qualche memoria nel tempio, che gia fu nelle logge di Ottavia, vi cpllocarono animali che i nomi loro espri- mevano. Plin. 1. 36. 5 .Nee Sauron A atq. Batrachum obliterari conyenit , qui fee ere templa Octavice porticibus inclusci } natione ipsi . Lacones'. Quidarn etopibus pree- potentes fuisse eos piitant, ac sua impensa construxisse , inscriptionem sperantes. Qua negata , hoc tamen alio loco (1) Io ho sempre creduto che debba leggersi simulcicri ; ma per essere tuiti d’ accordo, non m’ arrisicai* a fbiutarlo. Trovo che> Elmenorstio legge, contro la comune, simulcicri ^ non simulaq ALLA VITA DI ZEUS I l83 et mo do usurp assey Sunt c€rte etiamnum in columnar rum epistyliis insculpta nominum eonim argumenta ; ra- na , atque lacerla . Simigliante artifieio, benche diver- so, per ottenere il medesimo intento uso Sostrato Gni- dio, architetto della torre eretta nel Faro d’ Alessandria, per quanto e riferito da Luciano nel lib. del Modo di scriver la Stor., verso la fine. Dubitando questi che non gli fosse permesso porvi il suo nome, scolpito cho r ebbe in pietra, lo ricoperse d’intonaco, e inscrissevi sopra quello del Re , avvisandosi, come avvenne, cbe indi a non gran tempo scortecciandosi la parete, cade- rebbero con la calcina V ultime lettere , lasciando sco- perta 1’altra inscrizione, la quale diceva : 202TPAT02 KNIA 02 AEH10AN0T2 0EO12 2aTHP2IN YITEPTON IUGIZO HENAN. sostrato DI DESSIFANE GNI- DIO AGLI DII CONSERYATORI PE’ NAY IG AN- TI. E pero da notare cbe Strabone, 1. i 7 . a 791 ., por- tando la medesima inscrizione,- nomina Sostrato fonda- tore del Faro, non come architetto, ma come amico del Re, senza far parola dell’ inganno detto di sopra ; e che Plinio, diversificando dalfi uno e dall’altro, 1. 36. C. 12 ., disSe : Magnificatur et‘ alia turns a JRege facta in insula Pharo , portum obtinente Alewandrioe , quani constitisse ' octingentis talentis traclunt. Magno animo, nc quid omittarnus Ptolemoei Regis, quod in ea permiserit Sostrati Gnidii architecti structured ipsius nomen inscribe E per venire oramai alia forma delle inscrizio- ni , delle quali gli antishi professori usarono di porre il nome loro, oominceremo da quelle, le quali conte- nevano il puro nome senz’ altra giunta ( 1 ). Avvertasi ( 1 ) Il signor Francesco Cajnmelli mi scrisse di Roma con lettera de’ 7 . settembre 1671 . d’aver veduto appresso a M. Cherchemarch, antiquario francese, che una gemma pareva contenere il furto del Palladio fatto da Diomede col nome di P O S T I L L E l84 pero che molle, e forse la maggior parte dell’opere, non avevano ne anche questa semplicissima ; cnrle faceva di mestierl conoscer le pitture' e le ^culture dalla ma- niera. E per tal cognizione vien da Stazio lodato Vin- dice, 1 . 4 - selv. 6 , Quis namque oculis certaverit usquam Vindicis , artificum veteres agnoscere ductus, Et non inscriptis auctorem redderc s ignis P L’ Ercole Epitrapesio di Lisippo , lodato appunto da Stazio nella sopraddetta selva, doveva esser di quelle Statue, alle quali T artefice aveva aggiunto il semplice fiome 1 che percio Marziale 1. 9 . ep. 45. Alcides, modo Vindicem rogabam , Esse't cujus opus , laborque felix, Risit ; nam solet hoc: levique nutu Greece nunquid, ait, Poeta, nescis P Jnsc'ripta est basis, ihdicatque nomen : KvainnH lego , Pliidioe putavi. Tale per avventura era V Apollo di Mirone, mento- vato da M. Tullio nella 4- Verrina n. 43.. Agrigento nonne ejusdem P. Scipionis monumetitum , signum Apol- linis pulcherrimum , cujus in femore literulis minulis ar- gent eis nomen Myronis erat inscriptum , ex JEsculapii religiosissimq fano substulisti P Qui torna molto a pro- posito* il far menzione di quanto si legge nella Yita del famosissimo Peiresc, 1. 1 . g. 85., a cui essendo mo- strata la testa di Solone, intagliata eccellentemente in ametisto , con alquanti piccolissimi fori, la quale si conserva tra le prezi'ose anticaglie del Re Cristianis* Policleto, per quanto io credo diverso dallo scultore, intagjia- tor di gemme : Uo?jVh2j£ITOv e Y inscrizione. Con altra lettera de’ 28 . noveinhre dice mandarmi il zolfo di dette gioie. ALLA VITA DI APELLE 1 85 simo, acutamente investigo clie in quei fori fossero in- seriti dall’uno all’altro filetti d’ oro, i quali formassero caratteri greci ;* e venendosi alia prova, cio si conobbe esser yerissimo, perche ne apparve la figura di lettere cbe con ordine inverso dicevano AI02K0YPIA0Y (i), cioe DI DIOSCORIDE. Questi’fu un intagliator di gioie moltd celebre a’ tempi d’ Augusto , e di lui fan- no meinoria Plinio 1. c. i., Syetonio in Augusto cap. 5o. Di mano del medesimo si trovano sino a’ di nostri altre gioie figurate , per quanto avvertisce Gio. Fabro nel Comenlar. alle,Im 4 g. degli Uomini Illustri di Fulvio Orsino, num.- 3g. num. 87 . Tra queste va collocata anche F inscrizione della. bellissima Yenere, clie si conserya in Roma, nel giardino del sereniss. Granduea di Toscana, mio signore, alia Trinita de’ Mon- ti , benche oltre il nome dell’ artefice contenga il padre e la patria: le quali cose a me non pare cbe facciano yariazione. KAEOMENH2 AITOAAOAQPQY A0HNA1O2. CLEOMENE J)’ APOLLODORO ATENIESE. Oltre al puro nome fu cbi aggiunse qualche allra cosa. E si* legge in Plutarco nella Ybta d’ Isocrale, che nella statua di questo oratore postagli da Timoteo era questa inscrizione : • • AEOXAPOY2 EPrON, OPERA DI LEO CARE. • * ( 1 ) Ved. una lettera del sig. ab. Pietro Seguin, decano di S. Germano, colla quale mi manda P impronto d’ una' gioia an- tica, nella quale e una testa reputata d’ Augusto, per esservi il nome dell’ artefice SiooxovpiSov . Egli pero ne dubita, per- cbe sembra piii grasso, che non lo rappresentano le medaglie. Ouesta gioia si conserva in Francia nel gabinetto del signor X)\ica di Yernovil. GJi antiquarj di Roma Phanno per moclcrna P-OSTILLfi i86 del quale scultore fanno onorata memoria Plinio e Pau- sania in piu d’ un luogo. Tale si leggeva facilmente in quella celebre tavoja di Eilocare, della quale Plin. 1. 35. c. 4* Alterius tabulae admiratio est, puberem fi- lium seni pcitri similefn esse , salva cetatis differentia , supervolante aquila draconery complexa . Philochares hoc suum opus esse testatus est. Delle si fatte molte , s ? io non m’inganno, s’incontrano in Pausania (i), Altri artefici passarono dal nominar l 1 opera all’ ope- razione, e di questa sorte pare a me che fos*se quella di Nicia. Plinio I. 35. <5. 2,. Jdeni ( cioe Augusto ) in Curia quoque , quain in Comitip consecnabat , duas ta~ hulas impressit parieti , Nemeam sedentem supra leoiiem, palmigeram ipsam , adstante cum baculo 'sene, cujus su- pra caput tabula bigoe dependet. Nicias scriifsit, se inus- sisse : tali enim usus est verbo. E quell’ altra di Lisippo. Plinio 1. 35. c. ii. Lysippus quoq. , JEginos pictures suae inscripsit dvd^avoev^ quod profecto non fecisset , nisi encaustica inventa . Alcune etlizioni leggono scritto eon letter.e latine encausen. Ma queste due -inserizioni si sono di gia ponderate in trattando delle pitture a fuoco. La maniera piu comune di scrivere ii suo nome nel- (1) Appresso al serenissimo P. Cardinal Leopoldo si con- serva una testa intagliata in corifiola, ma con rilievo, creduta di Druso, A Xs^ardpoq swots 1, fatlami vedere da S. A. R e dal signor Francesco Cammelli. II medesimo mi disse die «nel pa- lazzo de’ signori Colonnesi e un basso rilievo, trovatq a Ma- rino,. con'tenente P apOteosi*di Omero, intagliato da Giovambat- tista Galestruzzi fiorentino ; e mi mostro la stampa il sig. Ba-- lat Ancbieo dove e il name dell’ artefice : . apxshaog awoX'L&viov sw oiyas xrpiyivsvq. ARCHELAUS APOLLONII FECIT PRIENEUS. ARCHELAO D’APOLLONIO PRIENEO FECE. Di Priene vedi Stefaiio in vg%i$vSt) citta di Jonia, e i lessici g£ografim ALLA VITA DI APELLE 187 Fopere, mi do ad intender io che fosse: IL TALE FEGE, usata da Fidia, come abbiamo udito, nel Giove Olimpio, e da altri ancora ; e moderata da Policleto e da Apelle, come diffusamente racconta Plinio nella pre- fazione all’ Imperador Yespasiano, con ridurla a FA- CEYA. Questa fu poi seguitata quasi da tutti gli al- tri. E per darne qualche esempio, Angelo Cini da Mon- tepulciano, che tale e il vero casato di quel nobile in- gegno , nelle Miscellanee al cap. 4b. asserisce d’ aver veduto in Roma in casa Mellini in una base di mar- mo la seguente inscrizione. 2EAETK02 BA2IAET2 AT22mH02 EEIOIEL SELEU.CO RE LISIPPO FACEYA. E perclie il medesirno afferma che per Roma se ne tro- vavano allora dell’altre su questo andare, ne addurro alcune, che in diverse statue al presente si leggono, la maggior parte delle quali mi ha cortesemente trasmesse Ottavio Falconieri, gentiluomo fiorentino, nel quale il pregio minore e la nobilta de’ natali ; e questa, co- me ognun sa , e grandissima. Nell’ Ercole del palazzo Farnese. FATAH N A0HNAIO2 EriOIEI. GLICONE ATEiNIESE FAGEYA. N el torso dell’ Ercole di Belvedere. An0AA0NI02 NE2T0P02 A0HNAIO2 E IlOIEL APOLLONIO DI RESTORE ATENIESE FAGEYA. La medesima si legge in uu altro torso in casa Mas- sing. Nella Pallade del giardino de’ Lodovisi. . . . TI0X02 IAAI02 FTOIEl ANTIOCO D’lLLIO FAGEYA. 1 88 POSTILLE In due teste di filosofi greci, nel giardino degli Al- dobrandini a Monte Magnanapoli : AINAH AAEHANAPOT EIIOIEI. LINAGE D’ ALESSANDRO FACEVA. In due statue congiunte d’ una madre e d’ un figliuolo, che si stimano esser simbolo dell 1 amor reciproco : MENEAA02 2TEGAN0T MA0HTH2 EIIOIEI. MENELAO DISCEPOLO DI STEFANO FACEVA (i), Questa e singolare, ed io ho stimato che Stefano sia piu tosto nome del maestro che del padre. In una gemma, nella quale e intagliata la testa di Marcello, nipote d’ Augusto, fra 1’ effigie degli uomini illustri di Fulyio Orsino al n. 87 . BniTTrXAINOS EnOIEI. EPITINCANO FACEVA. II nome del quale artefice si legge ancbe in altre gioie, e particolarmente in quella, doy’ e intagliato Germani- co , come avvertisce il Fabro nelle note a [\i. E si conghiettura ch 1 egli fiorisse nell 1 imperio d’ Augusto. Sarebbe errore il tralasciare che alcune di queste inscrizioni furono fatte dagli artefici in versi, simiglianti a quelle che si adducono nelle Vite di Zeusi e di Par- rasio. Ne dissimile esser dovea quella di Damofilo e di Gorgaso, mentovata da Plin. 1. 35. c. 12 .. Plastce laudatissimi fuere Damophilus et Gorgasus, iidemq. pi- ctores, qui Cereris cedent Romce ad Circum Maximum utroque genere artis suce excoluerunt , versibus inscriptis grcece , quibus significaverunt , a dextra Damopluli esse, a parte Iceva Gorgasi. Galantissimo e 1’ epigramma scol- (1) Nel giardino de’Lodovisi, per avvertimento del signor Cammelli, lettera del di 28. noyenxbre 1671. ALLA VtTA DI APELLE I 89 pito da Prassitele nella base del suo famoso Cupido ; e si legge presso Ateneo nel 1. i3. a 591 ., e nel 1. 4* c. 12 . epigr. 53. dell’ Antologia, attribuito a Simonide con qualche diversita di lezione. Non si debbon tacere i versi latini posti nella pittura di Marco Ludio , del quale Plinio 1. 35. c. 10 . Becet non sileri, et Ar.dea- tis templi pictorem , prcesertim civitate donatum, et car- mine, quod est in ipsa, pictura his versibus : Bignis digna loca picturis condecoravit Jlegince Junonis supremce conjugis templum Marcus Lucidus Biotas JEtolia oriundus, Quem nunc , et post semper ,ob artemhanc Ardea laudato Jta sunt scripta antiquis Uteris latinis. Dicemmo .in principio cbe il fine di tutte queste iscrizioni era la gloria d’egli artefici. A questo potreb- besi aggiugnere un altro, cioe la sicurezza cbe l 1 opere non fossero scambiate e attribuite a diversi professori. Non fu pero possibile ovviare a tutti gli errori seguiti o per ‘ignoranza o per fraude. Di quelli per ignoranza basti un esempio moderno cbe mi par vergognoso, cioe cbe i due colossi e cavalli situati a Roma nel Quirinale fossero con pubbliebe inscrizioni' attribuiti a Fidia e a Prassitele, come fatti a concorrenza per ligurare Al-essandro M. cbe domava Bucefalo : il quale errore fu in parte, ma non del tutto, emendato. Per fraude sempre si sono falsificate iscrizioni e cifre, yen- dendo opere moderne per anticbe e d’ qccellenti mac- -stri. Onde Fedro nel principio del lib. 5. Ut quidam artifices nostro faciunt sazculo , Qui pretium operibus majus inveniunt, novo Si marmori adscripserunt Praoc\teletn } suo . Mjronem argento. Plus vetustis nam favet Invidia mordax- } qiiam bonis prcesentibm. POST! L. L E I 9 0 Che cosi legge questo luogo, per quanto mi clisse degh anni addietro, parte per conghiettura e parte segui- tando gli antichi mss., Marquadro Gudio, giovane eru* ditissimo e di giudicio ammirahile. Ii qual luogo in quelle parole, Myronem argento, mi suggerisce un co- rollario per concludere questo lungo discorso ; ed 6 questo , che anche nel vasellame d’ argento figurato per mano di artefici illustri, come y. g. sarebbe stato Mirone, usava mettersi il nome di chi l’aveva lavora- to. Onde oltre a questo testimonio di Fedro, si legge in Seneca 1. 1. c. 1. d. Tranq. d. An. Placet mini- ster incultus, .et rudis vernula, argentum gi'ave ruftici ptitris, sine ullo opere , et nomine artifieis. E nella Con- solaz. ad Elvia cap. 8 . Si desiderat aureis fulgentem vasis. supellectilem, et antiquis nominibue argentum no- bile. Non mi par giusto il terminare questo capitolo senza dar notizi.a d’un altro inganno di Fidia, riferito da Tzetze nella Ciliade, 7. Stor. 1 5-4- v- 9^0., cioe che questo scultore si compiacque di scrivere in aleune sue statue il nome d’ Agoracrito, suo scolare favorito. # Il medesimo .accenna Plinio 1. 36. e. 5. Ejusdem di- scipulus fuit Agoracritus Pardus, ei cetate gralus. Jtaq . e suis operibus pleraque nomini ejus donasse fertur. E tanto basti per ora aver detto in questa materia. XI. Essendo in lui la schiettezza deU’animo eguale all’ eccellenza dell 5 arte. Plinio 1. 35. 10. Fait autem non minoris simplici - tatis , quam artis. Ho preso simplicitas per. sincerita, schiettezza, come spesso 1’ usano i Latini, bench’ io sap- pia che per avventura potrebbe cotal voce in questo luogo riferirsi aeconciamente alia semplicita non affet- tata e senza ornamenti soyerchj , la quale era nelle pitture d’ Apelle, come dirassi a suo luogo ; e cosi ver- rebbe la semplicita, dvvero la naturalezza, ad esser con- trapposto deli’ arte; ma le parole precedent! e le sus= ALLA VITA DI ZEtJSl *9 X seguenti mostrano che cio torna meglio applieato al- lanimo d’ Apelle che alle pitture. Aveva egli dato il giudicio sopra Protogene* il quale peccava per troppa accuratezza. Seguita : Fuit autcm non minoris simpli- citatis, cjuain artis. E poi : IS am cedebat Amphioni de dispositions, Asclepiodoro de mensuris , hoc est {}) quan- tum quid a quo distare deberet. Plinio, a mio parere, vuol mostrare che Apelle «i pregiava della grazia, per- che si conosceva in questa parte superiore, ma pero era schietto e sincero, nam cedebat etc. Nello stesso modo fu inteso questo luogo dalT Adrian!, il perch e nella sua lettera scrisse : fu costui non solamente riel- V arte sua maestro eccellentissimo , ma d? animo (incora sempflicissimo e molto sincero. So benissimo che Lodo- vieo di Mongioioso nel sua trattatella. della pittura legge non' cedebat , ma senza renderne alcuna ragione ; e che il ms. Vatican© ha nec cedebat , e cosi IVaritica edizione di Parma. Tuttavia non muterei cosa alcuna, fondato sopra le parole del medesimo Plinio piu a basso, dove parla d’ Asclepiodoro : Eadem estate fuit Asclepiodorus , quem in symmetria mirabatur Apelles . La simmetria, la quale lo stesso Plinio disse non aver nome latino, 1 . 34* e. 8 ., non habet latinum nomen symmetria, non viene circoscritta in quelle parole, in mensuris? Or s’ egli F ammirava nella simmetria, co- me non gli cedeva? XII. Quando vide il Gialiso ec. Questo racconto e cavato da quanto dicono Pli- nio, 1. 35. c. io.; Plutarco, nella Vita di Demetrio a 898 .; Eliano, Var. Stor. lib. 12 . c. 4 1 -, le parole del quale non mi paiono a bastanza espresse dal Rodigino, ( 1 ) Vedi una lettera def Priceo sopra questo luogo di Ph nio , quantum quid a quo. t> 0 S T i L L E I 9 2 lib. 21. c. 37. delF Antiche Lezioni. Di questa pitturs lungamente in Protogene. XIII. Ma non sa levar le mani di sul lavoro : e con queste ultime parole ec. Plinio 1 . 35 . 10. Sed uno se prcestare, quod ma - num ille de tabula nesciret tollqre. Memorabili prcece - pto nocere scepe nimiam diligentiam. A questo detto alluse Cicerone nell 1 Orat. n. 22. In quo Apelles pi- ctores quoq . peccare dicebat, quod non sentirent quid esset satis. Di questa smoderata diligenza abbiamo due esempli riferiti da Plinio, 1 . 34 - 0. 8 f Ex -omnibus aii- tem maxime cognomine insignis est Callimachus , sem- per calumniator sui , nee finem habeas diligenticb , ob id Cacizotechnos appellatus , memorabili exemplo ’adhi - bendi curce modum. Huju-s sunt saltantes Lacence, emen- datum opus , sed in quo gratiam omnem diligentia ab- stulerii. IS on mi fermo a ricercare il vero cognome di Callimaco. Y. Yitruvio 1 . 4 - c. 1., e quivi Guglielmo Filandro. Ritorno a Plinio ehe nel medesimo capo disse d’ Apollodoro : Silanion fecit Apollo'dorum fictorem et ipsum , sed inter cunctos diligentissimum ariis , et ini- micum sui judicem (^) , crebro perfecta signa frangen - tern, dum satiare cupiditatem nequiv artis , et ideo in- sanum cognominatum. E pur questa pazzia naseeva da troppo sapere, il quale passando piu la di queli*o che potesse operar la mano, fece rompere’ a Michelagnolo la Pieta, che dagli altri e stimata bellissima , benche non soddisfacesse a quel gusto troppo squisito. Questa medesima incontentabiiita , siami lecito cost chiamare il vizioso desiderio della perfezione, ha tolta la dovuta gloria a due grandissimi pittori della mia patria , e questi sono, Cristofano Allori, detto fl Bronzino, e An- (1) V. il Paiero in una sua lette.ra, dove leggerebbe iniquum sui judicem . ALLA VITA DI APELLE i 9 3 drea Commodi , i quali non trovando la mano obbe- diente alia loro grandissima intelligenza dell’ arte , fe- cero pochissimOj e per conseguenza non e conosciuto e celebrato quanto merita il lor valore. Ma torniamo, come si dice, un passo addietro, per bene dichiarare quelle parole di Plinio : Manum de tabula tollere , delle quali si vale Gio. Serrano, celebre traduttor di Pla- tone, largamente traslatando un luogo bellissimo del sesto lib. delle Leggi, a 671. An ignoras idem hac in re quod in pictorum arte contingere? llli enim nullum in pingendis animalibus Jinem habere videntur : sed subinde colores inducunt , vel subducunt , sive alio quovis voca - bulo pictores id soleant signijicare , nunquam desinit pictura ornamentum quoddam adhibere , neque solet ma- num de tabula tollere. Novae enim continuo rationes in mentem pictoris veniunt, quae ad absolutiorem , cumit- latioremq; operis pulchritudinem et perspicuitatem per - tinere possunt. Dallo stesso luogo di Plinio, Erasmo cava il proverbio , Manum de tabula. Ma avvertasi che la medesima dicbiarazione non puo tornare a quelle parole di Cicerone, 1 . 7. epist. 2 5 . Sed Iieus tu , ma- num de tabula. Magister adest citius quam putaramus ; parendomi piu acconcia V esplicazione. del nostro Vet- tori, nelle Castig. a Cicer. p. 73., dal quale il TuP~ nebo negli A. v vers., e Paolo Manuzio nel Coment. ab P Ep. di Cicerone, senza ne pur mentovarlo, o saperne a quel buono, nobile e dolto vecehio grado ^veruno. Chi volesse ritrovare i fondamenti di questo enim- ma tulliano riputato oscurissimo , vegga Rodig. 1 . 12. c. 17., Salmasio sopra la Storia Augusta a Ba- silio Fabro alia voce Catonium , e altri ; bastando a me che Manum de tabula , tanto appresso Plinio, quanto appresso Cicerone, sia usato con metafora presa dalla pittura, ma pero diversamente applicato. E per non tralasciare cosa veruna, Ausonio Popma, sopra i Ffam- Dati. Vile de Pittori . i3 P O S T I L L E menti di Yarrone, a 24 i-, illustrando le segucnti pa role del Prometeo, citate da Nonid alia voce satias per satietas : Cum sumere ccepisset , voluptas retineret , cum sat haberet , satias manum de mensa toller e , sti- ma che in esse si alluda al proverbio, Manum de ta- bula. Avrei che dire, ma basti averlo accennato. XIY. Che per pubblico editto e sotto gravi pene com an do ec. Plinio 1 . 35 . io. Nam ut diximus ab alio pingi se vetuit edicto* E 1 . 7. 37. Idem hie Jmperator e dixit , ne quis ipsum alius , quam Apelles pingeret, quam Pyr- goleles sculperet, quam Lysippus ex cere duceret. Ora" zio, 1. 2. epist. 1. Edicto vetuit , ne quis se, prueter Apellem Pingeret, aut alius Lysippo duceret cera Foitis Alexandri vultum simulanlia. 'Cicer. 1 . 5 . epist. 12. Neque enim Alexander ille , gratice causa ab Apelle potissimum pingi, et a Lysippo fingi volebat ; sed quod illorum artem cum ip sis , turn ctiam sibi glorias fore putabat. Yaler. Mass. 1 . 8. c. 11 Quantum porro dignitatis a rege Alexandro tributum arti existimamus , et qui se pingi ab uno Apelle, et fingi a Lysippo tantummodo voluit. Apuleio 1 . 1. de’ Flor. Sed cum primis Alexandri illud prceclarum: quod imaginem suam, quo certior posteris proderetur , noluit a multis artificibus vulgo contaminari ; sed edixit universo orbi suo, ne quis effigiem Begis temere assimularet cere, co- lore, ccelamine : quin scepe solus earn Policletus ( scam- bia di Lisippo ) cere duceret, solus Apelles ccloribus delinearet , solus Pyrgoteles ccelamine excuderet. Procter hos tres , multo nobilissimos in suis artificiis, si quis uspiam reperii etur alius sanctissimi imagini Begis ma- ims admolitus, baud secus in eum, quam in sacrilegum vindicaturus . Eo igitur omnium metu factum , solus ALLA VITA DI APELLE i 9 5 Alexander nt ubique imaginum summus esset , utique omnibus statuis , et tabulis } et toreumatis vigor acerrimi bellatoris, idem ingenium ma'ximi honoris , eadem forma virvdis juventce > eadem gratia relicince frontis cernere - tur. Plutareo, riel lib. della Fort, e della Yittu d 1 Aless. a 335., tocca qualche cosa d’ Apelle e di Lisippo, co- me anche Imerio sofista presso a Fozio, a n38., e da questi antichi mill’ altri nioderni , i quali tutti trala- «ciando, addurro solamente il Petrarca, son. 197. Vincitore Alessandro l- ira vinse } E fel minor in parte y che Filippo ; Che li val se Pirgolele o Lisippo V intagliar solo } ed Apelle il dipinse? XY. Piacque tanto ec. che da essi Apelle ne ri- cevette prezzo esorbitante in monete d oro a misura, non a novero. Plinio 1. 35. 10. Jmmane pretium ejus tubulce acce - pit in nummo aureo , mensura non numero. Cosi leg- gerei col testo Yaticano, e non manipretium, com 1 hanno alcuni stampati ; o vero come l 1 edizione di Parma, quella del Bellocirio, e quella d’ Aldo : humane pretium tabuloe accepit aureos mensura , non numero . Poco so- pra avea detto che il prezzo di delta tavola fu venti talenti d’ oro. lo non voglio qui stare "a calcolarlo e ragguagliarlo col Budeo alle monete correnti, con pen- siero di farlo in un discorso de prezzi dellc pitture presso agli antichi. Quel che pin m 1 importa in questo luogo e sapere quel che significhino le parole mensura , non numero. Io ci ho pensato molto, ne mi sono giammai interamente appagato. Mi venne sino in pensiero che gli Efesini avessero coperto di monete d 1 oro tutto lo spazio che teneva la tavola d' Apelle, e cosi non aves- sero fatto il prezzo a numero , ma a misura. Ma cio non sarebbe stato prezzo smoderato, e poteva esser piu POSTILLE 196 e meno secondo la grossezza delle monete. Considerai eziandio che i Latini dissero nummos modio metiri , co- me appresso Petronio della moglie di Trimalchione, e Orazio 1. 1. sat. 1. Dives , ut metiretur nurrimos. Ma que- ste sono §sagerazioni iperboliche : qui, che si parla sto- ricamente, non posso credere che gli Efesini misuras- sero le doppie per non contarle ad Apelle. S’ io tro- vassi pur una yolta mensura usata per peso, direi forse che gli Efesini dessero ad Apelle tant’ oro quanto pesaya la tavola ; verilicandosi in questo fatto le nostre maniere : pagare a peso d ’ oro ; e d’ una cosa eecellente : ella vale tant ’ oro, quant ’ ella pesa. E se veramente ella fu pagata il prezzo che dice il Budeo nel 1. 2. d. Asse, sarebbe assai verisimile ; tanto piii che non manca 1’esempio d un’altra pittura pagata in detta maniera. Plinio medesimo 1. 35. c» 8. In confesso est Bularchi pictoris tabulam, in qua erat Magnetum praelium, a Can - daule Bege Ljdice Heraclidarum novissimo , qui et Mjr - silus vocitalus est, repensam auro. E 1. 7. c. 38. Can- daules Bex Bularchi picturam Magnetum exitii haud mediocris spatii, pari rependit auro. Cosi crederei che • si dovesse leggere con la prima edizione di questo Au- iore stampata in Parma , stimando necessaria la nega- tiva haud, esclusa da tutte 1’altre edizioni. L’intenzione di Plinio in questo luogo e di magnificate il prezzo di questa tavola a peso, d’ oro, e perciodice: haud medio- cris spatii; perche s’ ella fosse stata piccola , non sa- r.ehhe paruta cosa da fame maraviglia. Se poi la locu- zione, rependere auro , sia piena e significante senza la voce pari, e che questa sia superflua, io non voglio stare a disputarla col Budeo, doy’ egli adduce un luogo di Cicerone e un altro di Plinio, trattanti del capo di C. Graeco, repensum auro : basta che 1’ effetto fu che la pit- tura di Bulareo fu pagata dal Candaule a peso d’ oro, eioe dando tant’ oro, quanto pesaya la tayola ; siccome ALLA YITA DI APELLE *97 fa pagata da Opimio consolo la testa di C. Graeco a Settimuleio , il quale , per quel che narrano Plutarco e Valerio Massimo, per aver piu oro infuse piombo strutto nel cranio. Potrebbe ancbe dirsi che gli Efesini avessero dati ad Apelle tanti pesi d’ oro , senza espri- mere il numero preciso delle monete, come si costuma in qtialche luogo nel pagar somme grandissime. E s’io non m’ inganno, un luogo similissimo si legge in Plu- tarco negli Apotemmi di Ciro Minore, ov egli promise di dare a ’ soldati argento ed oro a peso, non a nume- ro : dpyvpiov Se xcu %pvalov tfx apiSpov ct/M-a qaSpbv tuecrScu. E tutto sia detto per modo di dubitare, senza mai affermar cosa veruna. XVI. Scambievolmente mostrandosi V opere loro. Questo si cava dalla prima epist. di Sinesio,.la quale finisce cosi : Jit* zovto Kvomiroa ArrsX^ijp elq Tag ypafdg uorjye , xcu Avamnoy Atub'L'L *}$. Il P. Petavio traduce : Ob id Lysippus Apellem ad tabellas admittebat, et Apel- les Lysippum. E nota cbe Sinesio dovette scambiare , ponendo Lisippo statuario in luogo di qualche pittore amico d’ Apelle, che al parer di lui fu Protogene, per- cbe la voce ypafidg, la quale serve all’ uno e all’ altro, non puo intendersi se non di tavole e di pitture. Un simile errore osserva nel primo lib. delle Tusculane di Cicerone : An censemus , si Fabio nobilissimo homini datum esset, quod pingeret } non multos etiam apnd nos futuros Polycletos et Parrbasios fuisse P perche Policleto fu statuario e non pittore. Siami lecito il rispondere ad ambedue 1’ opposizioni di questo grand’ uomo, a dire il vero, troppo sottili. E cosi gran parentela e simi- glianza fra la pittura e la scultura , die non sarebbe gran fallo, in parlando di loro, confondere qualche ter- mine. E di fatto nel caso nostro al cap. 32. n. 4- deb F Esodo, dove i Settanta hanno, xal inhcuFep dvzd dp zn ypatftSi) leggesi nella Vulgata, formavit opere fusorio. POST. ILLE 198 Oltreche disegnando tanto gli statuarj quanto i pittori prima di scolpire e di colorire F opere loro , pote- vano Risippo ed Apelle reciprocamente mostrarsi i dise- gni, i quali non dubito punto che possono intendersi per la voce usata da Sinesio. Chi volesse sot- tilizzare, potrebbe anche dire che Lisippo dipinse ( Plin. 1 . 35 . c. 11. in princip. ). In secondo luogo, non essendo mai fiorita la pittura, che non sia stata in pregio an- che la scultura, voile faeilmente dir Cicerone, che se Fabio fosse in Roma stato onorato per aver dipinto , si sarebbero trovati altri nobili Romani, i quali atten- dendo al disegno, sarebbero riusciti non solamente ec- cellenti pittori, ma anche perfetti statuarj, quanto si fossero i Greci. Ne per aver nominato de’ Romani so- lamente Fabio pittore, dee Cicerone esser notato, se de 1 Greci nomina anche Policleto scultore, non si es- sendo egli legato a eosi stretta comspondenza. E F ejpe- rienza ci mostra essersi spesse volte dato il caso, che alcuni valenti scultori sieno stati da principio introdotti al disegno sotto Findirizzo di qualche bravo pittore. Difendesi Cicerone in altra forma dal Recichemio neb F Opera di gia mentovata 120. Error est in -prima Tu~ sculanorum , ubi de pictoribus agens Cicero , scrip turn reliquit : An censemus , si Fabio nobilissimo homini laudi datum esset quod pingeret , non multos etiam apud nos Juturos Polygnotos et Parrhasios : ubi pro diction e Poly - gnotos, facili librariorum lapsu , scriptum est Polycletos ; neque enim not a Ciceroni inurenda est , ut cum de pU ctoribus loquitur , statuarium Polycletum adducat. XVII. Lo consiglio piacevolmente a tacere ec. Plinio 1 . 35 . 10, Sed et in ofjicina imperite multa disserenti, silehlium comiter suadebat , rideri eum dicens a pueris , qui colores tererent. Plutarco dice che cio gii avvenne con Megabizzo ( D. Differ, d. adul. all’amico. ). Ma Eliano, Var. St. 1 . 2. c. 2., attribuisce il caso di ALLA VITA DI APELLE iqg Megabizzo a Zeusi. Vedi Poliz. Miscell. c. 48 . ; Frein- sem., Supplem. a Q. Curzio 1 . 2. 6. 29. e 3 o., il quale non crecle assolutamente che cio avvenisse ad Apelle con Alessandro M. XVIII. Narrasi un altro caso, che veramente io non so s’io mi debba crederlo, II racconto e d’ Eliano, Var. St. 1 . 2. c. 3 . Non lo crede ne anche Gio. Freinsemio nel suo Supplem. a Curzio, 1. 2. c. 29., come cosa non conveniente alia maesta d’ un Re si grande e tanto erudito, ne alia mo- des tia d’ un pittore si giudizioso. Gio. Scheffero, sopra Eliano 1 . 2. c. 3 ., reputa che questo avvenimento sia il medesimo che quello, il quale da me si riferisee piii avanti, quando Apelle s’ appello dagli uomini a’ cavalli. (Plinio 35 . 10.); ma io 1 ’ ho per diverso, non si facendo qui alcuna menzione dell’ immagine d’ Alessandro. E perd da notare che Apelle non parlo saviamente, ne secondo i fondamenti dell’ arte in alcuno de’ due casi ; imperciocche non si dee chiamare meno perito della pittura chi piii facilmente si lascia ingannare dall’ arte ; anzi per lo contrario e ben piii stimabile quell’ opera, la quale pin facilmente inganna i medesimi, o uomini o bestie ch T e’ sleno, e piii assai quella che inganna gli uomini (1). Onde Zeusi ingenuamente si confesso vinto da Parrasio, perche se egli inganno gli uccelli con F uya dipinta, Parrasio col finto velo inganno lui pro- fessore ( Plinio 35 . 10 ). Ne doveva Apelle far si gran conto dell’ inganno de 1 cavalli , cosa molto piii facile che 1’ ingannare gli uomini ; come non fece molta sti- ma Protogene della pernice dipinta nella tavola famosa del Satiro , la quale veggendo le pernici addomesticate ( 1 ) Benche, come disse Filostrato il giovane nel proemio dell’Im., in tal materia e giocondo 1’ inganno, ne 1’essere in- gannato reca vergogna. Suggerito dal Priceo 200 POSTILLS pigolare , la cancello , perche s' aceorse che il volgo stima piu queste bagatteile che la sostanza dell’ arte. Strahone, 1 . i 4 * a 652 ., e Valerio Mass, appunto nel caso nostro, 1. 8. c. ii. 4, dopo aver narrato che la bellezza della Venere di Gnido, fatta da Prassitele, pro- voco a libidine un tal giovane, soggiunse : Quo excu- sabilior est error equi , qui visa pictura equce, hmnitum edere coactus est • et canum latratus aspectu picti ca- nis incitatus ; taurusque ad amorem, et concubitum ceneaz vaccce Sjracusis nimice similitudinis irritamento com- pulsus. Quid enim vacua rationis animalia arte decepta miremur , cum hominis sacrilegam cupiditatem muti la- pidis lineamentis excitatam videamus ? Celio Rodig. 1 . 2, c. 17. applica ad Apelle quanto dice Valer. Mass, della cavaila e del cane. Di si fatti inganni ed apparenze yeggasi Gio. Paolo Lomazzo, 1 . 3 . c. 1. della Pittura. A gloria dell 1 arte e dell artefice , debbo sinceramente confessare quanto avvenne a me nel salone lerreno, che e nel palazzo del serenissimo Granduca di Tosca- na, mio signore. Aveva io sentito che in quella nobile stanza, dipinta la maggior parte da Giovanni da San Giovanni, erano alcuni bassirilievi tanto simili al vero, che ingannavano chiunque gli riguardava. Con tale av- viso vi entrai la prirna volta, per riconoscere quali fos- sero j e quelli veggendo e veri eredendoli, andava at- tentamente ricercando i finti, giacche tra essi alcuno non mi si presentava al guardo che vero non mi paresse. Mi accostai adunque pian piano al muro, quand’ io mi cre- detti d‘ esser meno osservato, per chiarirmi se veramente avevan rilievo , e allora m accorsi che, non ostante il precedente avvertimento, era anelT io restato all’ inganno. XIX. Comando il Re ch’ egli dipignesse nuda Cam- paspe (j). (1) Gampaspe, Raff. Borg. Riposo 1 . 1, a 34 -, I. 3 , a 275, ALLA VITA DI APELLE 201 Plin. 1. 35. io. Namque cum dilectam sibi ex pal- lacis suis prcecipue nomine Campaspem nudam pingi oh admirationem formce ab Apelle jussisset , cumq ; turn pari captum amore sensisset, dono earn dedit. Magnus animo, major imperio sui , nee minor hoc facto , quam victoria aliqua. Quippe se vicit, nec torum tantum suum , sed etiam affectum donavit artifici : ne dilectae quidem respectu motus , ut quce modo regis fuisset, modo pi- ctoris esset. Nelle quali parole e da avvertire che il ms. Yaticano e uno del Pineiano leggono : dum pa - ret, captum amore ; il qual sentimento a me sembra piii galante del coraune. Eliano, I. 12 . c. 34, la nomina Pancaste, e la fa Larissea, seguitato dal Freinsemio nel Supplem. a Curzio, 1. 2 . e. 6 . n. 28 . Nota la diffe- renza il Turnebo, 1. 18 . c. 3. degli Avvers., ma legge in Plinio Campsaspem. Forse fu errore di stampa, quale io stimo che sia presso al Passerazio sopra Properzioj, a 1 48., dove e nominata Campaste, e nella lettera del- FAdriani, dove e chiamata Cansace. L’ eruditissimo Scheffero pare che stimi corrotto queslo norae presso a Plinio, e che piii tosto sia da sostenere quello d’Elia- no, cioe Pancaste. Io sono stato assai tempo indiffe- rente, non avendo piii ragioni per F uno che per l’al- tro ; ma dopo aver osservato presso a Luciano un luogo singolarissimo, inclino a seguitare Eliano. Nel Dialogo intitolato le Immagini, a 690 ., volendo egli figurare una bellissima femmina, dopo aver prese diverse bellezze da’ piii famosi scultori , elegge quattro pitted , Eufra- nore, Polignoto , Apelle, Ezione , a ciascuno de’quali assegna la parte sua. Eufranore vuole che dipinga la chioma, com’ egli la feee a Giunone ; Polignoto le so- pracciglia e le guance, quali egli le figuro nella Gas- sandra .di Delfo ; il restante del corpo lo perfezioni Apelle, imitando il simulacro di Pacate ; le labbra le colorisca Ezione, simili a quelle ch’ egli fece a Rossan©, 202 POSt'ILLE Di qui si cava che il ritratto di Pacate, fatto da Apelit, fu la piu bella effigie di femmina cli egli giammai di pingesse. Di questa Pacate non c’ e memoria veruna : ond’io tengo per fermo eh’ ella sia la medesima che la Campaspe di Plinio e che la Pancaste d’ Eliano; e per aver questa un certo suono e simiglianza di composizione piu eonforme al genio della lingua greca, dovendosi di questi tre nomi elegger per vero un solo, inclinerei a mantenere piu tosto Pancaste , che alcuno degli altri. Gonferii questa mia opinione con Bartolommeo d’Er- helot, gentiluomo francese, in ogni sorta di letteratura, ma specialmente nelF erudizione orientale, oltr’ ogni cre- dere eminente, il quale concorse circa l’emendar Lu- ciano da Eliano, mantenendo anzi Pancaste (i) che Pacate ; ma Campaspe di Plinio gli parve troppo di- verso e trasfigurato. Onde con ogni riservo mi pose in considerazione, che forse Pancaste potesse essere il no- ine proprio di questa dama , e Campaspe 1’ appellati- ve, e che Plinio avesse trascritto questo racconto da (i) Le v-Oci di Pancaste e di Pacate paiono corrotte l’una dall’ altra : mi piacerebbe piii quella di Pancaste di Eliano , per I’anaiogia della composizione greca. Quanto a quella di Campaspe che si trova in Plinio, pare molto diffe rente e lontana dalle altre, per essere il come della medesima donna ; se non fosse per avventura cbe gli autori , da'quuii Plinio ha trascritto questa istoria, avessero preso il nonie appeliativo dato a quella donna da J Persiani, in vece del proprio. Cbe i Persiani avessero potuto chiamare quella donna la Campaspe di Alessandro, si fa noto dall’ essere chiamata dagli autori sua concubina, e appunto Camase e Camaspe si= gnifica il medesimo in lingua persiana ^alla qual voce, traspor- tata nelle nostre lingue, s’ e inserita la lettera P, quel che e ordinario dopo la lettera M. Per provare che dopo V M s J inse- risce talvolta il P., vedi il Passer, cl. litter ar. inter sb cogn. et permutat. i3o. agg. Demo, demptum. j Interimo, interemptum ; .Contemno, contemptum ete. ALLA VITA DI APELLE 203 autori in cio seguaci de’ Persiani, presso i quali questa donna fosse nominata la Campaspe d’ Alessandro , cioe la concubina, quale ella veramente era, per detto di Pli- nio e d’ Eliano *, perche appunto Camase e Camaspe tanto significa in lingua persiana (i). Per ridurre questa voce intera e quale ella si legge in Plinio, credo non esser lontano dal verisimile che in passando ella alle lingue d’ Europa,* in essa fosse poi*inserita la lettera P dopo la M, come segui in raolte altre : per esempio, camus in lingua arabica e punica , cequor , pianura ; di qui cam- pus de’ Latini, e non d?rd tov xapn jsiv y come vogliono alcuni : semecl e semer presso gli Qrientali, eterjiitd ; di qui facilmente semper. Di mamre ebraico, i Set- tanta fecero mambre. Di camera, i Francesi chambre : e notisi che la 5 e lettera rnolto simile e del mede- simo organo che la P. Da ramulus , forse litaliano ramp olio ; da amula, facilmente ampulla. Imperciocche presso L Latini frequentemente dopo la M viene ag- giunta la P. Sumo, sumpsi, sumptum : Demo, dempsi, demptum : Contemno , contempsi, contemptum : Interimo , interemptum ; come osservo anche il Passerazio nel li- bretto intito’ato : De litterarum inter se cognatione el permutatione , a i3o. E questo e quanto lume ho po tuto accendere in tanta oscurita coll aiuto di quel chia- rissimo ingegno -( 2 ). (1) V. Riposo di R. Borgh. 1 . 3 . a 277. (q) Per corroborare la sua ingegnosissima conghiettura, che il liome, anzi P appellazione di Campaspe possa venire dal persiano Camaspe colla giunta della lettera P dopo la M, Bar- tolommeo d’ Erbelot s’ e per sua gentilezza degnato d’ arricchir-^ mi con altri esenrpli tratti dal copioso tesoro della sua erudi- zione, e sono i segueuti. Dal caldaico Mamula, i Latini han- no fatto Mamphula. Dal persiano Camest Scia, i Greci e i Latini Cajnbyses; come da ^Ard Scir Scia, Arta^erses. Marco Postil le 204 XX. Perciocche un certo Antifilo, suo riyale nella professione, invidiandogli ec. Antifilo pittor famoso, nato in Egitto, fu coetaneo e concorrente d’ Apclle. Di lui e dell’ opere fatte da csso, nel Gatalogo degli Artefici. Dell’ accusa data ad Apelle e deH’immagine della Calunnia e da veder Lu- ciano, il .quale con lo spirito e con la grazia a lui propria tutto deserive. Volgarizzo gentilmehte questo racconto Gio. Battista Adriani nella. lettera at Yasari; onde a me poeo e restato da variare, per non parer di trascrivere . Aecenna succintamente il medesimo Gioyan Tzetze nella Chiliade 8. st. 197. y. 3 g 3 ., e Lilio Gr. Girardi, sint. 1. degli Dii de 1 Gentili. Federico Zue- chero rappresento mirabilmente in pittura il concetto d’ Apelle ; la qual opera si ritrova in potere del Duca di Bracciano e fu gia intagliata in rame da Gornelio Cort. Fiammingp. V. il cav. Gio. Baglioni, Vita di Feder. .Zucc. a 123 . ; Gio. Paolo Lomazzo, Tratt. d. Pitt, 1 . 7. c. 28. a 662. Un 1 altra ne fece a imitazione di questa il medesimo Zucchero, ma pero variata secondo le sue passioni, e adattata a proprj accidenti, la quale espose in Roma in luogo e tempo di gran concorso ; e perch’ ella yeramente conteneva una pungentissima satira, fu necessitato a fuggirsi. Era Federico molto dedito a simili bizzarrie, andando attorno di sua mven- zione e disegno un altra carta stampata in Firenze nel 1579., rappresentante una Fortuna s con assaissimi sim- boli misteriosi. XXI. Ingegnoso e bel ripiego fu anche quello ch’egh prese in ritrarre Antigono cieco da un occhio ec Polo dal tartarico Gamiu, o Camion, cittd della Tartaria; e dair arable o Camsu e Gamson i moderni hanno fatto Cam- pson, nome del penultimo Sultano de' Mammalucchi. ALLA VITA DI APELLE 12 05 Quintiliano I. 2 . c. i3. par che dica che Apelle fa- Cesse questo ritratto in proffilo : Habet in pictura spe - ciem lota facies : Apelles tamen imaginem Antigoni la- tere tantu/n altero ostendit , ut amissi oculi deformitas lateret. Da Plinio, 1. 35. c. to., si cava piu tosto eh’ egli lo facesse in mezza faccia, o, come dicono altri , in mezz’ occhio : Pinxit et Antigoni Regis imaginem altero lumine orbam , primus excogitata ratione vitia condendi : obliquam namque fecit, ut quod corpori deerat, pictures potius deesse videretur ; tanfumque earn partem e facie ostendit , quam totam poterat ostendere. Parra forse ad alcuno che in questa seconda maniera fosse difficile occultare il difetto d’ Antigono ; ma pero e possibile : ed io ne ho veduto in Firenze un ritratto bellissimo che in cotale attitudine asepnde il medesimo manea- mento d 1 un occhio , mantenendo la s.imiglianza, senza lasciar che desiderare a chi ben conobbe quel buon cavaliere e bravo soldato , per cui egli e fatto. Ma- raviglioso e parimente il ritratto di monsignor Tom- maso Fedra Inghirami, bibliotecario della Vaticana e segretario di Giulio II. , il quale essendo talmente guer- cio, che nappariva deforme, fu da Raffaello d’ Urbino figurato in simil postura, che proprio sembra spirante, e quanto apparisce dello scompagnamento degli occhi, non gli reca bruttezza. Questo al presente s’ ammira nella nobil conserva di pitture, di statue e d’ anticaglie, raccolta dalf ottimo gusto e magnificeriza del sereniss. principe Leopoldo di Toscana, insigne per la prote- zione delle Belle arti e per la cognizione deile pin sublimi scienze. Non si debbon passare senza qual- che riflessione quelle parole di Plinio : Primus ex- cogitata ratione vitia condendi. Furono altri avanti ad Apelle , che ci avean pensato. Plutarco racconta, che avendo Pericle il capo auzzo , tutte le statue d esso eran fatte coll’ elmo. E soggiugne : coprendo , P O S T I L L E 206 per quanto 1 10 credo, gli artefici in cotal guisa questo difetto. XXII. ?da un altro a cavallo fu giudicato da’ periti dell’ arte forse la piu bell’ opera ch’ egli facesse. Plinio 1. 35. 10 . Peritiores artis prceferunt omnibus ejus operibus eundem Begem sedentem in equo. Alcune finezze dell’ arte non sono iatese se non da’ professori o dagl’ intelligent della professione. Onde Mecofane, per detto di Plinio, 1. 35. c. 11 ., piacque ad alcuni diligen- lia, quam intelligant soli artifices. E Cicerone 1 . l\. d, Quist. Accad. Quam multa vident pictores in umbris , et in eminentia , quce nos non videmus ? V edi in que- sto proposito quant.o dice e da altri raccoglie Franc. Giugni, 1. 1 . c. 5. della Pitt, ant, XXIII. Fece a Megabizzo sacerdote la solenne pompa di Diana Efesina. Plinio lib. 35. c. 10 . Pinxit et Megabyzi sacerdo - tis Diance pompain ; alcuni leggono : Pinxit et Mega - bizo sacerdoti Diance pompam ; cbe non mi dispiace , perclie la solenne processione era di Diana, e non di Megabizzo. Questa si legge descritta da Senofonte Efe- sio, nel primo libro delle cose Efesine citato da Poli- ziano, Miscell. c. * 3 i. Agebatur autem iis locis Diance fe- stum ah urbe ad templum, quce sunt stadia omnino septem. Celebrare pompam virgines omnes indegenas oportebat , splendicle in primis ornatas. Prceterea ephebos, Abrocomi cequalis , qui turn annum decimum septimum agebat , et cum ephebis aclerat, velutique primas in ea pompa fe- rebat. Magna autem vis hominum spectaculo intererat , vel popularium , vel hospitum. Siquidem mos habebat, ut in ea celebritate , et sponsi virginibus , et ephebis uxores invenirentur. Procedebat ergo ornatim pompa, primo sci- licet sacra , faces, canistra, et suffimenta, turn putem equi, canesque , et venatoria arma, nonnullorum quoque bellica , sed pleraque tamen pacalia . Fceminarum se ALLA. VITA DI APELLE 20 7 qufcque veluti ad amatoris oculos composuerat , virgi « numque ordinem ducebat Antia . Sin qui porta il Poli- ziano cli questo scrittore, il quale, ch’ io sappia, non e stampato, ne so dove sia manoscritto , ne dove egli se lo vedesse. Secondo Suida, scrisse un opera di dieei li- bri, intltolata epeciaxa^ contenente gli amori d’ Abro- como e d’ Antia, che appunto e la sopraccitata ; della citta degli Efesii, e altro. 1 1 Gesnero nella sua Libreria dice il medesimo: aggiungendo trovarsi quest’ opera ms. in piu d’ un luogo, e particolarmente in mano d 1 Arrigo Stefani. Il Vossio, 1. 3. Stor. Gr. a 4 2 4 » trascrive sem- plicemente Suida. Nell’ Indiee di libri ms. non mai stam- pati di Scipione Tetti napoletano, posto dal P. Filippo Labbe per supplemento II. della sua nuova Biblioteca ms., si legge : Xenofontis Ephesii libri octo in Florentina . Questi facilmente dovette vedere il Poliziano. In qual libreria di Firenze si sieno adesso, io non lo so : che cio e quanto posso dire e dell’ autore e del ms. Ma tornando al proposito nostro, Megabizzo era il nome , o piu tosto il titolo del sacerdote di Diana Efesina tempo per tempo, come si cava da Esichio, dove parla di questa voce scat 61 vvjq oprepidog iepelq 5 e da Ap~ piano Aless., 1. 5. d. Guerre Civili a 676 ., e da molti altri scrittori, i quali in diversi tempi sempre cbiamano Megabizzo il Sacerdote di Diana Efesina ; eome pure lo chiamo Diogene Laerzio nel princip. della Vita di Senofonte ; benche Senofonte medesimo nel 1. 5. d. Spe- diz. di Ciro, a 3 5o., raccontando appunto lo stesso av- venimento, non lo chiami sacerdote, ma guardiano e custode del tempio di Diana : scarf/tisra napd tw Tijq hpTepidoq veoxopa ; e Plinio 1. 35. 10 ., trattando dell opera di JNicia : Ephesi .vero est Megabyzi sacerdo- ti Diance Ephesice sepulchrum. Questi Megabizzi furono eunuchi, come gli Arcigalli di Gibele. Di che veggasi Eraclito nella lettera ad Ermodoro citata dal Poliziano. 2o8 P O S T T L L E Miscell. c. 5 i., Strabone I. i 4 - a 64.I-, Quintil. 1 . 5 . c. 12 e altri. Strabone pero non gli nomino Megabizzi , ma Megalobizzi , come anche Plauto nelle Bacchidi, atto 2 sc. 3 ., secondo il Pareo. Nos apud Theotimum omne aurum deposuimus , Qui illic Sacerdos est Diana? Ephesice. NS. Qui istic Theolimus est ? CH. Megalobuzi jilius, Qui nunc in Epheso est . Epilesiis carissimus. Benche il Turnebo, 1 . 18. c. 3 i.d. Avvers., legga Me- gabjzi filius , seguitato dal Meurs. p. 1. a. 128. delle Esercit. Critic., dove egli muove una difficolta, come Teotimo poteva esser figliuolo di Megabizzo sacerdote di Diana, il quale, secondo Strabone e altri, doveva es- sere eunuco; e a mio credere non la risolve. Ma da quanto dice Strabone, vien chiarito ogni dubbio : cioe cbe il tempio di Diana Efesina aveva sacerdoti eu- nudhi, chiamati Megalobizzi, i quali da piu parti am- bivano questa dignita , e meritandola n erano onorati. Erano questi in grande stima , e per loro compagne aver dovevano alcune vergini ; e che a suo tempo di tali ordini alcuni erano in osservanza, altri in disuso. Poteva pertanto non osservarsi allora ch’ e’ fossero eu- nucbi, come anche al tempo di Plauto, e percio pote- yano aver fi^liuoli. Sarebbe detto a bastanza, se non troppo, de’ Mega- bizzi ; ma essendosi in questa Vita medesima fatto men- zione d’un altro Megabizzo persiano, il quale, per detto di Plutarco nel Disc, della Tranq. d. animo a 47 2 -> e nei Disc, della Diff. dall’ aniico all’ adul. a 57., fu cor- retto dal nostro Apelle, fa di mestieri di questo ancora qualche cosa soggiugnere. Furono molti Megabizzi per* siani condottieri d eserciti, a segno tale che Esichio par che dica che questo fosse piu tosto un nome della ca- rica : zal 01 arparriyo t tov mpocov ALLA VITA DI APELLE 209 non ostante die Suida lo reputi nome proprio : M«- ovofia xvpiov. Onde non senza quaiche fonda- mento Cel. Rodig. 1. 7 . c. 6 . asseri, che presso i Perslani Megabizzo era chiamato quegli che aveva il comando dell’ ar'mi. Erodoto in diversi luoghi menziona diyersi Megabizzi generali di Serse e di Dario, e uno in par- ticolare differenziato dagli altri, detto Megabizzo di Zo- piro, 1. 3. in fin.* il quale guerreggio con gli Aleniesi; e forse e il medesimo che da Tucidide e chiamato Magabizzo di Zopiro. La qual differenza e da nolare anche in Giustino, 1. ' 7 . 3., dove chiama Megabazzo quel medesimo che da Erodoto nel 1. 5. n. 16 . 17 . fu detto Megabizzo. Di questo, s io non erro, per relazione del medesimo Storieo, 1. 4- n* i43., intese Dario, quand egli disse nel mangiare una melagrana , che piu tosto ave- rebbe voluto avere tanti Megabizzi, quanti acini in essa erano contenuti, che soggetta tutta la Grecia. Di Me- gabizzo, capitan generale d’ Artaserse , Diodoro SiciL nel princip. del 1. 12 . e altrove. D un altro che ser- viva Dario, fa menzione Plutarco nella Vita d’ Aless. M. a 689 , ; e altri per avventura se ne incontreranno, leggendo attentamente le storie. E ben da nolare che il dottissimo Freinsemio, nel Supplem. a Curzio, 1. 2 . c. 3o., non distinse il Megabizzo persiano soldato dal sacerdote di Diana Efesina. Dopo aver falto queste os- servazioni , presi consiglio dal medesimo d Erbelot , a lui ricorrendo come ad oracolo nelle notizie e ne’ mi- sterj orientali, e ne ottenni questa cortese e ben fon- data risposta : lo non posso in qualsivoglia tempo pro- mettere a V . S. se non poco ; ma oggi, nella mancanza di libri e delle mie carte t con una memoria assai de- bole , non posso esibirle altro che V anitno prontissimo a servirla. Quanto a Megabizzo , non ho dubbio veruno che si scrivesse alia persiana MGVS, e che i Greci f avendo apposte a queste quattro consonanii le vocali Dati. Fite de' Pitt or L i4 210 P 0 STILLE ■piii acconce al genio della loro lingua , lo pronuncias- sero Me Ga YiS, o Me Ga BiS, che e tutt'uno, e poi gli aggiugnessero la terminazione greca masculina 02. Hanno di piii cost vocalizzate le due prime consonanti , perche la parola che n usciva era Me Ga, signijicante nella lingua greca e solita di ritrovarsi nel principio di mold nomi, come Megasthenes, Megadorus ec. Ora questa parola persiana MGYS significa Andsdte e Sa- cerdote della religione Zoroastrica , o sia degli ado- raiori del fuocOy che tale era quella de' Per siani ; e que- sd Sacerdod e Dottori di tal legge vennero a tal se- gno di potenza , che pensarono di usurpcire la dignita regia dopo la morte di Cambise ; onde ne segul poi la Magofonia y che libera la Persia da questa congiurazione. Quesd sono i Magi della Persia } che non erano altri- mend stregoni , ed il Magismo era una religione come il Maometdsmo ec. Alcuni Orientali pronunciano ancor oggi questa parola persiana Megiusci e Megiusc, dalla quale alcuni Greci hanno derivato il loro M &yo<;, e i La- tini Magus, altri Meyafivgoq e M eya^^oq . Sopra quest! fondaraenti gettali con tanta dottrina pare a me che restino stabilite due conciliazioni : la pri- rna, per qual ragione questo nome Megabizzo fosse attri- buito egualmente a’ sommi sacerdoti e a generali dell ar- mi ; ia seconda, che veramente Megabizzo e Megabazzo sieno il medesimo nome, e che la diversita della vocale dipenda da’ Greci, i quali in apporre le vocali mancanii nel persiano , fossero diversi , chi collocando nella terza sillaba un Y , e chi un A. Ma passiamo piu ayanti. XXI Y. Molti allri luoghi si pregiano, e sono insi- gni per le di lui pitture. Essendosi da noi fatto memoria di molti luoghi, ne’ quali si conservavano pitture d’ Apelle, non par da tralasciare che Solino al c. 27,, secondo F edizione e la correzione del Salmasio, trattando dell’ Africa, e piii ALLA VITA DI APELLE 211 specialmente del basilisco, disse: Vis tamen ne defun- cto quidem deest. Denique basilisci reliquias amplo se- stertio Pergameni compar aver ant. Vt azdem Apellis rnanu insignem , nec aranece intexerent , nec alites involarent , cadaver ejus , reliculo aureo suspensum, ibidem locarunt . Avvertasi pero, che noil ostante si legga concordemente in tutti i manoscritti e stampati al cap. 3o. : TJt cedem Apollinis rnanu insignem ■, perche in alcun testo lesse notato al margine: Apellis rnanu insignem, cosi decreto quel gran Critico , sotto pena di grave fallo , doversi riporre in questo luogo. Io non saprei veramente nega- re, quando pure io volessi, che la locuzione in quesla maniera non sia piii piena e piii facile. Di piu, e molto venerabile appresso di me in queste materie di umana erudizione la dottrina e l 1 autorita di cbi la ridusse in cotal forma ; ma nienledimeno 5 per tor via ogni repu- gnanza, avrei desiderato o qualehe testo a penna de’ piii antichi, o qualehe altro scrittore che la fianchcggiasse. A questo fine ricorsi a vedere un anlichissimo ms. della libreria di Santa Croce di Firenze , al principio del quale si legge quella singolarita notata pur dal Salma- sio ne’ Prolegomeni a Solino : C . JULJ SOL1N1 POLT- HlSTOJi , ah ipso editus et recognitus. Ed in questo luogo, che adesso appunto si esamina, trovai come in tutti gli altri : TJt cedem Apollinis mcinu insignem ; la qual cosa mi fece andar piii lento e rattenuto al cor» reggere, mentre si possa sostenere la comune ed antica lezione. E ch’ ella possa mantenersi senza errore e chia- rissimo , perche presso i Latini Manus si piglia non solamente per opera di pittura e di scultura, in quella guisa che noi Toscani usiamo dire, di mano di Baf- faello , di mano di Michelagnolo , ma anche per la tavola e per la statua medesima, come osservarono Gio. Pas- serazio sopra Properzio a 532., Cl. Salmas. Dissertaz, Plin. a 372 ., D. Mod. Usur. a Sqi., Nicol. Rigalz. in 212 POSTILLE Artemid. a 7. e a 18. e molt’ altri. Onde Virg. 1. 1 En. v. 4^9- Artificumq. manus ; e Marziale 1. 4- ep. 3 q. Solus Praxitelis manus , Schopceque ; e il medesimo valeva la voce greca %eip. Giulio Polluce, Onoraast. 3. 9. c. 4- a io5. 5 cat IIo/l vxXeivov %e\p , to aya/tfta 5 scat A’mshhov %itp , 17 ypacpv/ ; cioe, e itiano di Policleto la statua, t mano d Apelle la piltura. Ma di piu, non sarebbe errore Y usare Manus per pittura o per iscul- tura assolutamente , senza nominare artefi.ce , imitando Properzio, 1. 3. eleg. 20. Aut eerie tabulce capient mea lumina pictce, Swe ebore exacted , seu magis cere manus. E qui mi par ben fatto osservare cbe il sentimento e 1’uso di questa voce Manus trapasso dalla pittura e clalla scultura anche all 1 architettura , pereiocche disse Ausonio nella Mosella v. 3o8. . . . hie clari viguere Menecratis artes , Atque Ephesi spectata manus ; alludendo, siccome io stimo, al tempio di Diana Efe^ sina, ovvero al disegno di esso fatto da Tesifonte, o fosse Chersifrone architetto. Stimerei dunque potersi senza nota veruna ritenere in Solino : JEdem Apollinis manu insignem ; cioe, Tempio d' Apollo insigne per la pittura ; particolarmente non si trovando negli autori antichi cenno alcuno , cbe Apelle facesse pitture in Pergamo. E quando io m’avessi a indurre a far muta- zione in Solino per semplice conghiettura , che forse non mai la farei, leggerei piu tosto: Mdem Apollodori manu insignem ; del quale ariefice Plinio 1. 35. c. 9 Hie primus species exprimere instituit , primusque glo- riam penicillo jure contulit. Ejus est Sacerdos adorans > et Ajax fulmine incensus ; qui Pergami spectatur hodie : ALLA VITA DI APELLE 2l3 neque ante eum tabula ullius ostenclitur , quae teneat oculos. XXV. Bellissimo e il caso che gli avvenne in cle- lineare un altro destriero ec. Raccontano questo caso della spugna come seguito ad Apelle, Dione Crisostomo, Oraz. 64- della Fortuna a 5qo., e Sest. Emp., 1. i. c. 12 . dell’ Ipotesi Pirronie. II medesimo, ma senza nominar 1’ artefice, narrano Plu- tarco , d. Fortuna a 99 ., e Yaler. Mass. 1. 8 . c. 11 . n. 7 . Plinio, I. 35. c. 10 ., dice che cio avvenne a Nealce nel figurare parimente un cavallo , e a Protogene nel dipignere un cane. XXYI. Conservaronsi lungo tempo per le gallerie alcuni chiariscuri ec. Da Petronio : Jam vero Apellis , quam Graeci Mono* chromaton appellant, etiam adoravi. De’ chiariscuri vedi la post. XYI. alia Yita di Zeusi. XXVII. Certo e che in tulte le sue pitture ec. Si riferiscono queste parole a quanto disse Plinio 1. 35. c. 10 . Apelles et in aemulis benignus, imitando un altro luogo del medesimo scrittore , dove parlo di Prassitele, 1. 34- c. 8 . Habet simulacrum et benignitas ejus : Calamidis enim quadrigae aurigam suum imposuit, ne melior in equorum effigie defecisse in homine cre- dere tur. XXVIII. Ma I’ opera piii celebre di questo artefice insigne fu la Venere di Coo, detta Anadiomenc. Cicerone L 2 . epist. 21 . ad Attico : Et ut Apelles si Venerem , aut si Protogenes Jalysum ilium suum cceno oblitum videret, magnum , credo, accipbret dolorem . E nella Yerr. 4- Quid Gnidios, ut Venerem marnioream f quid ut pictam Coos P Plin. 35. 10 . Quce autem sint nobilissima non est facile dictu. Venerem eoceuntem e mari Divus Augustus dicavit in delubro patris Ccesaris, quae Anadiomence vocatur ; versibus greeds tali opere dum POSTILLE 2l4 laudatur victo , sed illustrato etc. Di questa celebre pit- tura, come quegli che V ebbero avanti agli occhi, fecero spesso memoria i poeti Latini. E Oviclio in particolare, per esser ella dedicata da Augusto nei tempio di Giu- lio Cesare, dopo aver detto > 1 . 2. Trist. v. 52 1. Scilicet in domibus vestris etc., poco che Petronio (1) Plut. in Demetrio . (2) Pausan. lib. 1. ( 5 ) Plin. lib. xxxv. c. 10. ALLA VITA DI PROTOGENE 225 Arbitro giudiziosamente disse germaria dell’ani- me dabbene. Tale appare questo Pittore in tutto il cor so della sua vita; e il solo atto generoso di recarsi a volo in traccia del superbo emulo siiOj, il quale intersecando sottilissimamente la sua li - nea,, che' egli privo di fama e di fortuna proba - bilmente segno sopra la precedente di Apelle per secondare lo scherzo di questo > voile in certo modo confondcrlo , dimostra la sua mode stia e il suo buon cuore ; di che non piccolo argomen- to ju il sopportarsi in pace la critica fatta dal - V emulo sopra il GialisOj opera int or no a cui fatico sett* annij campando di lupini e d’ acqua solamente y e che V imparziale posterity collocb vicino alia f^enere di Coo (0. Convien dire che il suo maestro fosse di poco meritOj poiche per testimonianza di Dione ( 2 ) tenevasi conto dei mae- stri de piii irisigni uominiy venerati meritamente al par dei genitorij e vieppiu nelt eta piu lumi - nosa dell J arte. PlihiOj attest gli oscuri principj di Protogene ; riferi quel poco delle sue opere che ne diceva il volgoydi essersi egliycioe J 7ie > pri- mi cinquaiit’ anni dell’ eta sua trattenuto a pinger navi , per la ragione che negli ornati del famoso ParalOj dipinto neWantiporto di Minerva in Ate - nCj ritrasse alcune navi lunghe_, quasi accennan- do i bassi principj delt opere suej che saliron poi al sommo della rinomanza. Peraltro questa ra- (1) Cic. de Ora tore sub. init. (2) Dio Chrysost. Orat. lv. Din. Fite de Pittori , 220 PROEMIO gione e cosi debole^che non basta non solamen- le per asserire che Protogene fino alt eta di cm - quant anni si trattenne a pinger navi_, ma ne an - co per credere che in tale eseycizio., sebben po - vero egli fosse j trattenuto si sia piii che tantOj quanto il bisogno di viver a giornata V avesse costretto. D i cio io dubitOj atteso l J amor suer co - stante per • acquistar nome> a segno di vivere di lupini i sett anni da lui spesi nel GialisOj il mot to tempo che impiegdva in ogni quadro ^ e il luo~ go nobilej ov egli a ritrarPe Paralofu condotto dagli Ateniesi. Certamente anche prima di ve - dere Apelle era egli conosciuto fuori di Rodi e al suono del suo nome Apelle stesso recossi a questa citta per ammirarne le op ere ; e la gran tavola che Protogene aveva sul cavallettOj nella quale segui il contrasto delle lineej, e finalmente le altre che Apelle compero al prezzo di cin- quanta talenti per rivenderle con profitto^ dimo - str.ano che quegli in tutt altro impiego i miglio - ri suoi anni > che in pinger navi. Ne io con cio intendo smentire del tutto la voce da Plinio ri- feritane. 1 1 lusso del Greci era a quel tempo sa- lito al sommOj e non e improbabile che rielle navi ancora j come anche i nostri cosiumano j V opera degli artefici anche di gran merito ab- biano collocatOj considerando quelli come sacre alcune navi. Ma di cio altrove. Il Dati produce una serie di scrittori per indovinare che cosa mai si fosse il Paralo e le altre picture di Proto gene in Atene ; i quali ALLA VITA DI PROTOGENE 227 colle loro diverse opinioni lo fanno pressoche di- ventare una chimera ; ma siccome i piit antichi e giudiziosi convengono in assicurarci che era una bellissima figura d* uomo da Cicerone (0 posta tra V opere piit rare degli Ateniesij che allora erano il Bacco in mar mo ^ il Paralo di- pintOj e la VaQca in bronzo^ io non esitero nel- V ass er ire che il dip into da Protogene rappre- sentasse V inventor e della nave lunga j che da es- so fu delta Paraloj, come 00 ' altre navi o da altri uomini o da citta o dal loro impiego ebbero il nome; poiche le navi lunghe dal pittore a ggi an- te alia figura j e il nome di Paralo dato dagli Ate - niesi ad una simil navej, a questa interpretazione pare che ci richiamino piit che non alV eser- cizio delV art efice in pinger navi. Abbianio inol~ tre piit d’ un esempio della gelosia degli antichi neli imp e dire che . gli artefici ponessero nelle opere pubbliche nome o cosa che rulondasse in loro lode ; e seppure ilfecerOj come Fidia nello scudo di Minerva], era con dei ripieghij i quali meritaronsi dei riguardi dalla stessa severita de- gli emuli della loro gloria: ma se Protogene con quelle navi lunghe da esso aggiunte alia figura di Paralo in un luogo cosi rispettatOj avesse vo- Into indicare da quali principj era salito al sommo deir arte_, sarebbe stato come uno scioc- co viiuperato dagli Ateniesi dull' ira de quali (1) Cic. iv. in Verr. n. 60. (2) Ulpian. Comm. Orat. Demost. in Mid. 228 PR0EM10 per consimile ardimento append salvossi Fidia. Se poi diciamo che essi volessero con tali navi indicare il motivo pel quale decretarono quel momimento a ParalOj svanisce ogni difficolta e le cose camminano del pari con ragione. La fi- gura compagna del Paralo ju di Emionida_, che alcuni dicono essere JYausicadj figlia di Alcinoo re de’ Feaci_, la quale trovandosi alia spiaggia del mare allorche il naufrago Ulisse vi approdbj di abiii provvistolo , impetrogli dal padre gra- zioso accoglimento . E probabilmente con que- sta immagine i saggi Ateniesi vollero onorare Minerva benefica a quell’ Eroe e insieme alia gioventu { spirare sentimenti di compassione ef- fettiva a pro di simili sventurati. Tutti pero con - vengono con Plinio gli scrittori nell’ asserire che il Gialiso fosse il capo d’ opera di Protoge- ne j e come tale venerato dai Romani net tern- pio della Pace. Ritorna il Dati in campo con molte citazioni per indovinare che cosa fosse questo Gialiso ; e sebbene sia rispettabile l’ op i- nione di Suiddj addotta dal medesimo per asse- rire che esser potesse la figura di Bacco., io pre- ferisco quella di Dione ^ di Cicerone e di altrij che rappresentasse V Eroe di quel nome discen - dente dal Sole ; a cuij come cacciatorej il cane con la spumd alia bocca ed ansante appostoci dal Pittore (0 piu che non a Bacco conviensi. V olle Protogene in essa far vedere lo sforzo del - (i) Piin, 35 . iu. ALLA VITA DI PROTOGENE 229 V arte sua a segno j che Apelle ( 0 ^ come riferi- scono Plutarco ed Eliano_, al contemplare resto cost stupitOj che mancogli la parola : Qpere con- spec to, tam vehementer obstupuisse, ut vox eum deficeret; e sebbene in se rinvenutOj finalmente togliesse buona parte del merito inseparabile dal - V eccellenli opercj di esser privo cioe il Gialiso delle grazie, pel favore delle quali i suoi dipin- ti salivano aVle stelle non e questo secondo giu- dizio di un rival e da paragonarsi all* impressio- ne che gli fece dapprima e al comun sentimento degV imparziali conoscitori dell' 3 antichithj che la riconobbero ed onoraron costantemente come opera eccellente. Huic pic tune quater colorem induxit subsidio iniuriaa et vetustatis, ut dece- dente superiore, inferior succederet, dice Pli- nio ( 2 ); e il Dati traduce: Quattro volte color! questa tavola per assicurarla dal! ingiurie del tempo, accio mancando il color di sopra, succe- desse ilvdi sotto. Ma e il testo e la traduzione poco si confanno alia netta espressione di cib che dee aver fatto il pittore per render la sua tavola superiore dll 3 ingiurie degli anni e delle sventure. Avrct egli abb ozzato dapprima la ta- vola j e dopo averla in certo mo do saturata di colori, fa.vra lasciata del tempo in disparte C n on essendo probabile che sette anni di continuo vi (1) Plut. in Apof, reg. et imp., ed ./Elian, lib. xn. c. 4 1 ’ Var. Hist. (2) Plin. 35. 10. PROEMIO 2oO tenesse sopra il pennello J; poi tor nando altre due volte a rinjrescare le parti prosciugatej fi- nalmente avra colie rriezze tinte accordati i co- lorij e tra di loro congiunti in modo e ricchi di tintej, che pot.essero reggere molto piu che 4 di - pinti meno diligentatij come dicono i pittori mo- dernij non f anno : e mi sovviene d* aver letto in Plinio stesso , che una tavola con simile diligen- za colorita resse a varj colpi di fulmine. II Gia- liso fu la salvezza di Rodi ; poiche temendo di non guastarla Demetrio non batte la citta dalla parte piu debole j dove ne era riposta Vim-mag^ nej> e percib gli fuggi di mano la vittoria. E da notarsi cjuello. che Mengs scrisse dei dipinti del Correggio. (0: « Le sue tavole sono ridijnnte piu » volte s ebb ene terminate e studiaie. » Onde al parere di un giudice competentej l* espressione simile di Plinio per il Gialiso non merita la iaccia di paradosso' datale da alcuni moderni. Ridipinto pub dire ritoccato . Plinio ( (l) 2 ) descri- vendo la tranquillita di Proto gene che stavase- ne dipmgendo hella sua casuccia in mezzo alle nemiche schiere del re Demetrio 3 dice : Dispo- su it ergo Rex in tutelar eius stationes, gaudens quod posset manus servare, quibus jam peper- cerat. La traduzione del Dati di questo passo non e troppo felice : Il Re, die* e gli , godendo di con- seryare quelle mani clie sin allora eran salye (l) Yas. ediz. Sanese tom. Y. p. 3. (a) PI in. lib. 35. io. ALLA VITA DI PROTOGENE 23 l Le guar die poste dal Re all ab it uro del Pittore riguardabano la sicurezza della sua persona e del lavoro ch* egli avevd per mano ; e le parole se - guenti: quibus jam pepercerat, significano i ri- guardi avuti dal Re alia citta di Rodi in grazia del Gialiso di Proto gene. Percib a me piace di tradurre Plinio in questo modo: « Dispose adun- » que il Re de' picchetti di soldati in dijesa di » essOj rallegrandosi seco stesso di poter salva - » re quelle mani 3 all* opera delle quali gia ave- » va egli perdonato ; e per non distorlo piu dal » lavoro j spesso recavasi ad esso spontaneamen- » te il Re nemico, *e tralasciando di far voti per » la vittoria, tra V armi e le batterie delle mura y) si tratteneva ad ammirare Vartefice. J^ive con » la pittura una voce di quel tempo 3 che Proto - » gene la facesse con la spada alia gola e que - a sta pittura rappresenta il Satiro 3 a cui fu po~ » sto il nome di imperturbabile ; e per indicare » tutta quanta la sicurezza delV art efice quando )> il pinsCj gli zufoli posegli in mano. » Tradus- *si la parola anapayomenon imperturbabile, per - che parmi che meglio renda il significato del nome imposto al Satiro 3 che non il Riposantesi del Datij il quale narra che la pernice dipinta per uno scherzo pittoresco sopra, una colonna 3 piacque tanto all' universale j che il SatirOj an- corche molto studiato 3 ne scapitava. Questo viene dal Giunio ristretto al volgo ignaro 3 scrivendo ( l ) : (i) Franc. Jun. Calal. p. 1 85. PROEMIO ^uxerunt liunc imperitse turbae stuporem cicu- res perdices introduclae etc. ; altrimenti i pre- fetti del tempio j a cui era dedicata la tavola non avrebber permesso a Protogene di cassarvi la pernice ; e gV intendenti tra i Rodiani non avrebber costantemente dato il vanto a questa figura dopo quella del Gialiso. Ne deve far ma- raviglia che il volgo e le perhici vive si com- movessera vedendo la pernice dipinta con tale artificiOj che V occhio era in certo rnodo costret - to a riferire alV intelletto esser cosa viva ^ e al - V opposto non ammirassero il Satiro ; poiche ol- tre a non esser questo sogg&tto cosa reale e ve- ra_, per comprender la quale basti il meccanis- mo deW occhio j ci vuole una qualche dose di filosofia per comprender V art ificio del pittore che due specie d animali compose in una solUj di modo che e difficilissimo 3 e senza quasi di- stingue p si come .parte della figura d* uomo inne- stasi in qitella della fiera. Tale era la Centau- ressa di Zeusi ^ alia vista della quale certamente non avranno amiitrito i cayallij, come al cavallo * pinto da .. dpelle . 1 1 discernimento adunque dei muti animali e del volgo j che in tale giudizio di poco supera quelloj deve restringersi alia loro s/era: e pero con ragione Apelle ^ per far vedere che il suo cavhllo era dipinto meglio e piu al vivo di quello drgli emulij dal giudizio degli uominij che egli temeva preoccupato ^ app ell-os- si alia natura istessUj che non sa mentire e non f in g anna senza grandissiin arte e al ciabat- 233 ALLA VITA DI PROTOGENE liriOj, il quale della lezione data al pittore qua- si gonfiOj alzo il capo a portare giudizio di cosa sup eriore alia sua sf era ^ diede quella gran ri- sposta : Ne sulor ultra crepidam. Plinio tra le pitture di Proto gene annovera la Cidippe famosa per i natali, ma piit per la bellezza : di lei innamorato Acanzio temendo un rifiuto nel chiederla in isposdj lascio cadere al di lei piede un vago pomo_, in cui erano scritti quest i versi: Per l’Ara sacra di Diana io giuro D’essere a te compagna e fida sposa. Raccolse il pomo Cidippe j ed imprudentemente obbligo la sua fede ad Acanzio j di cui si credet- te mallevadrice la Dea. Ritrasse anche Tlepole- mOj figlio di Ercole e di Astioche j il quale con nove navi fu alia guerra di Troja_> e da Sarpe- done ucciso. Pausania (0 fa inoltre menzione di alcune figure da esso dipinte nel Senato dei Cin- quecento in Atene ; e Plinio riferisce che la ma- dre cV Aristotile j di cui egli fe.ee' il ritrattOj con- si gliavalo a ptngere i fatti d* Alessandro Ma- gno per aver parte nella sua immortalith / e sog- giunge il motivo perche nol fece : Impetus ani- mi, et quaedam art is libido in haec potius eum tulere: quest* imp eto d’animo e tradotto dal Dati in un certo furore; dal Giunio si fugge la diffi ~ (i) Pans. lib. i. p. & PROEMIO *34 colt a, paragonandolo a Nicofane impetuosi ani- mi ; e il Sandrart la finisce piu presto copiando Plinio alia lettera. A me par the a Protogene tutt* altro convenga die il f urore „ non essendovi esempio di pittore piu paziente dello stento e del lavoro ; e per la stessa ragione non regga il paragons di Protogene con Nicofane „ il quale per V appunto vetusta opera pingebat propter seternitatem rerum, che per esser egli delle sue forze consapevole a se stesso_, non segui Proto- gene ; poiche il modo che egli tenne esattissimo nello spendere degli anni in una sola figura , , non ammette quell* entusias mo che accende V im- maginazione dell* arte fice^ suggerendogli impre- ss grandiose j e accorciandogli la via di condur- le a perfedone : questo e un certo furore > che nohilitando le storie di Nicofane ebbe pochi uguali (0^ facendo suoi proprj il coturno e la gravita dell* arte* In fatti Protogene non fece che quadri d’uno o due figure ; e pero se non e alter ato il testo PlinianOj, per lasciare coerente a se lo scrittorej la parola impetus animi inter - preterei forza d’ inclinazione , che meglio s* a c- corda con le seguenti parole: et quaedam artis libido in haec potius eum tulere. Plinio ( (i) 2 ) lo ripone in serie ancora tra coloro che si distin- (i) Plin. lib. 35. io. in fine. (q) Lib. xxxv. 8. Saida dice amaioriam ejus diligentiam ad artis confinia .deducentem artifices 3 percio pericoloso ad inu- la rsi. 235 ALLA VITA DI PROTOGENE sero in gettare statue di bronzOj e altri credo- no che egli modellasse di creta died anni / il che non e improbabile. Rimane a dire alcuna cosa sopra il celebre contrasto di Apelle con Protogene seguito in ca- sa di questo in Rodij dove recdtosi Apelle per osservarne le opere j vide sul cavalletto una gran tavola preparata ad esser dipinta. Apelle in atto di annunziarsi a Protogene segno col pennello ■ sulla tavola una tinea e partissene. Tomato a casa il padrone vide to scherzo di Apelle ^ e se- guitolloj, segnando con altro colore in bed mezzo la line a d’ Apelle. Ritornato questi^ arrossi d* es- ser vinto da Protogenej, e posto mano al pennello , con tal sottigliezza interseco la linea stessa di Protogene che gli tolse per cost dire il modo di venire alia seconda prova. Il Sandrart voimebbe che queste linee fossero i contorni di qualche te- sla j o simile ; e il Tassoni da inconsiderato dice insipide quelle linee (*■)_, e pare che propenda nel sentimento del Sandrart. lo pero con France- sco Giunio ,( 2 ) e col Salmasio sostengo trattarsi di pure linee probabilmente rette: Non me la- tet, diro col Giiinio', quam multi passim Plinia- ni hujus loci longe aliam faciant mentem; mi- ll im e tamen movent, ut verba hseC aliter acci- pienda putem quam de nudo linearum suspen- sa manu subtilissime ductarum certamine. E chi (i , 'i Aless. Tassoni Pensieri. (‘ 2 .) Jun. de Piet. vet. lib. n. c. n. Salmas, f. 5.‘ Diss. Plin 236 P'ROEMIO dice insipide tali linee^ o indegne di tali profes - sorij non ne comprende la difficolta e il pregiOj die Supera di molto quello di una testa o di una manOj come fecero parecchi con un solo colpo di penna; poiche in tali operazioni vi e sempre V arbitrio in favore delV artefice^ ancorche o di - lati o restringa la curva con cui esprime la te- sta ec.; e non e da far le maraviglie se uno scri- vano fa di bellissimi tratti di penna anche rego- lari e figuratij giacche sempre vi ha luogo l J ar- bitrio e un certo aiuto della mano o del gomito che gli serve di centro come il compasso. Ma e ben diver so col pennellOj, di cui la punta cedej segnare in una tavola grande una linea sottilis- sima e retta : quindi con altri colorij, che non confondansi a vicenda > dividere e suddividere in due parti uguali la medesima line a j e un impresa da far sudare RaffaellOj Michelagnolo j e quanti sono e furono pittori italiani. Io S0j che dopo averci meditato sopra piu d? una volta_, ne feci motivo di dialogo nella privata Accademia che a mia e altrui istruzione tengo ogni domenica con varj artefici ; ed essersi questi spaventati al considerar meglio quelle linee che a prima vi- sta sembran cosa da fanciulli. Sentiamo cosa ne dissero gli antichi. Placuit sic earn tabulam po- steris tradi, omnium quidem, sed artifigum prjeci- pue MiRAcuLo avide a nobis spectatain, spa- tiosiore amplitmline nihil aliud eontinentem quani liiieas visum effugientes , inter egregia multorum opera inani similem, et eo ipso alii- ALLA VITA DI PROTOGENE aSy cientem, omnique opere nobiliorem. Plinio 3 che nolle cose da esso non vedute o non abbastanza conosciutej modestamente suol riportarsi all* au- torita di altri scrittori o alia voce corrente ^ qui francamente esprime il consenso dei Greci e dei Latihi.nelV ammir are una gran tavoluj nulValtro conbenente che tre sottilissime linee appena visi - bili ; la qnal tavola collocata poi nella galleria de J Cesarij in mezzo a tante altre dipinte da pi it celebri maestri faceva la figura del vuotOj e non- ostante era da tutti ma specialmente dagli ar- te ficij ammir ata come un prodiglo. In essa galle- ria saranno stati dei disegni degli abbozzi e dei monocromi : eppure di nessuno di questi si dice che sembrassero al niente ; poiche una curva^, che segni il semplice contorno d J una testa di due braccia ec.j, e pur qualche c osa nella pittu- ra e nel disegno ; ma la linea retta non e altro che una successione di punti ins ignific anti per se stessij, ma che esige un Apelle per segnarla come si e detto. Giova a questo proposito tradur- re alcuni sentimenti di Lodovico Demonziosio scrittore altronde giudizioso : « Non posso in - » durmi a credere ^ dice (f ) j che Plinio abbia » scritto cost come si legge nel testo stamp ato^ » perche la quantita della distanza di una cosa » dalV ultra appartiene a quella parte del dise- (i) Lud. Demontiosius de Piet. Antiq, Vid. Tei. antiq.. grcec. edit. J, B. Pasquali, Venetiis pag. 793. 238 P R 0 E M I 0 » gno j, che Plinio col suo nome proprio di dispo - *> sizione distingue da tutte le alt re parti ; e net- V architettura la disposizione lineare mostra il » luogo in cui ogni cosa dee collocarsij e quan- » to una parte esser distinta dalV altra ; come » Con quale intervallo le col-onne debbauo col - » locarsij e con quale V altre parti delVedificio. » Di poi viene la simnietria a dare le sue leggi; » essa_, a prorporzione delVedificiOj mostra le, pro- » porzioni relative di tutte le parti: finalmente )) le misure di tutto V edificio devono prendersi }) dull ottica accio gradiscano all* occhio. Ne » gid la misura e una solaj ma infinite tendenti » in un punto; da cui tutia V imp or tanz a. delVot- » tica dipende. Che la cosa stia cosij lo dimo- » stro con Plinio j dove parla in varj luoghi di » queste tre parti del disegno. Ma se la misura » consistesse nelld quantita della distanza di una cosa dalV altra j domandereij quali sono le parti » della disposizione ? perche deline ando si un edi - j> flew, il primo oggetto e deterrhinare la distan - )> za reciproca delle' parti ; e chi disegna figure y ha la stessa sollecitudine : ma se cio si attri - » baisce alia misura che resterd alia disposi- » zione? Misura e nome generico che serve e » alia disposizione e alia sinimetria ; ma come a costituente una specie distinta ^consta delle pro- » prie misure j per le linee collimanti in un pun - » to ; e certamente se prendiamo le misure in » generate > esse alia geometria appartengono j s) ne V architettura pub appropriarsele . Ma a ALLA VITA DI PROTOGENE 289 » che perder tempo? Disporre che altro signi- fica se non porre ogni cosa al luogo suo? 1 1 » proprio della simmetria e tener dietro alia mi- » sura delle parti ; ma essa non avendo nome la- )) tinOj Plinio le sostitiii quello di misura. Stan - » do adunque scritto cost: non cedeva ad Anfio- i> ne circa alia disposizione, cioe quanto una » cosa clovea stare dall altra lontana ; ad Ascle- » piadoro circa alle misure, alcuni ignoranti sti- » maron che questa interpretazione appartenes- » se alle misurej giudicando meglio convenir alle » medesimej che non alia disposizione. Vercib » rimettendo il memhro slogato al suo sitOj, leg- » giamo cost: non cedeya ec. (0. M. Lodovico nostro { pag. 795 . e seg. iyi), seen- dendo ad esaminare in che consistesse il cele- bre contrasto delle linee d J A pelle e di Protoge- ne , da a Plinio del visionario > poiche con gli occhi' d’ Argo e della lince non avrebbe potuto \>edere le linee surriferite. Diamo pure che Pli- nio in grazia di attri scritto abbia di aver ammi- rato cio che non esisteva piu : eran forse visio- narj i Greci che l J ammirarono al tempo d’ A pel- le e 'dopo ancora Roma tutta che diceva lo stes - so ; i Cesari che la custodivano come un tesoro ; e gli artefici eke piu di tutti n erano incantati? Chi disse mai al Demonziosio che non si possa cio fare con i colori? Ma egli qui saltar il fosso e decide: certum est in pictura colorata nullum (1) Di cio vedi la Vita d’ Asclepiadoro. P R 0 E M I O 240 esse prorsus linearum usum. Qui non si tratta di pittura j ma di un qwadro vuotOj in cui altro non era che quelle linee : ora supponiamo die Apelle abbia nel quadro segnata una linea col color bianco j e Protogene divisa V abbia con ai- tra piu sottile di color bigioj e finalmente Apel- le con ultra sottilissima di nero ; non vedrebbon- si insieme queste tre linee suddivise ? Prosiegue V A utorcj dicendo die ne MichelagnolOj ne Raf- faello od altri hanno mai affettata simile sotti- gliezza di linee ; e che tutti i colori della pittura assoluta riduconsi a trej, cioe alia luce j all’ om- bra e alio splendore ; ma soggiungo io „ con que- sti tre colori non pub essere stata decisa la lite? SianOj ripiglia egli: che ha che fare nella pittu- ra line are il pennello ? Ripeto io: quello appunto che fece la marayiglia della Grecia e del Lazio ; poiche essendo difficilissimo segfiare con il pen- nello una lunga linea retta e dividerla e -suddi- viderla in due parti egualij Apelle e Proto gene il jecero per la somma loro perizia. nella grafi- ca e nella pittura. Il citato Autore parlaj.ido della vernice x con cuij al riferire di Plinio, nobiiitavansi le pitture da Apelle queste parole di Plinio ^ ad manum intuenti* clemum appareret, vorrebbe leggere: numen intuenti deimim appareret. Per verita e piu da temersi la penna di un letterato ardi- mentosoj, die non quella di un copista ignorante. quando si tratta di corruzione di un testo anti- 00 ; poiche questi opera per meccanisino , e non ALLA VITA DI PROTOGENE 241 .Ya nemmeno quello che copia ; quindi i siloi er- rori facilmente si comprendono e si correggono$ ma non cost e del letterato • che sa anche con delle ragioni difendere e render probabile la sua correzione ’> o diro meglio inter polazione del ve- ro senso e genuino delV antor e. E perb non do- vrebbesi mai da nessun privato por rnano nolle carte altruij e principalmente degli anti chi i quali senza fallo ne sepper pin di noij, e scrisser delV arti con i termini tecnici, da noi per lo phi non bene intesi. Percio lascerei come sta il testo interpretandolo inquesto rnodo : « A pelle adVope* V re finite dava una mano di vernice nera cost » sottilej, che battendovi soprada luce ^ ravvivava » la forza de* color i e le custodiva dalV immon- » dezze ; e Jinalmente si scopriva da chi_, presa » in mano la pittura^vi fissava dentro lo sguar - » do. » Puol adunque Plinio con queste parole indicare V imp ortanza di questa vernice chef non a somiglianza ' di molte moderne j, le quali impa - sticciano le pitture e appena le rendon visibili J coll-a sua fine zza accordava e avvivava i color i Jt guardandoli dull’ immondezza 3 senza che appa~ risse se non a chi ben da vicino la ricercava col guardo. Ma tornando a Protogene nulla di pre- ciso ci si dice dell’ eta sua: solamente abbiamo da Plinio ^ che V ultima delle sue op ere fu Ales* sandro e Pane : noyissime pmx.it et Alexandrum et Pana. Avilto ri guardo al divieto di quest’ Eroe^ di non voler esser dipinto che dal solo Apelle j, sembra che Protogene gli'sia sopravvissuto. Quin - 16 Dati. Vita de Pittori. 242 P R 0 E M I 0 tiliano (0 conferma questa mia congettura: *Fio- » ri die eglij intorno cii tempi di Filippo e si- ft no ai successori d Alessandro principalmente ft la pittura ; imperciocche si distinse per la di- ft ligenza Protogene ec. » A me pare che non a caso egli abbia dipinto Alessandro con Pane dagli antichi espresso con le coma in fronte perche egli invento il tnodo di schierare lajalan- g.e in due colonne_, adottalo poi e migliorato da Alessandro. Abbiamo nei libri de Maccabei me- moria di capitani dei Pie successori del M ace do- ne ^ i quali j, come Alcinoo e B ac chide „ attacca- rono Vesercito del nemicOj facendo due alej, che coma chiamavariOj, destro e sinistro. Polieno fa motto di tale invenzione ( (i) 2 )_, di cui sono imma - gini le colonne de J moderni eserciti. Del Gialiso di Proto gene cosi sc rive Plutar - co nella Vita di Demetrio: « A r dev a il Re di ft voglia di vendicarsi delV oltraggio ricevuto da ft quei di Rodij i quali ave van gli intercettato il ft comedo della mogliej ma senza scordarsi mat ft dell’ animo suo generoso. Poiche essendosi De- ft metrio impadronito di alcuni edifizj pubblici ft postifuori della citta y ne quali era riposta Vim- ft magine di Gialiso con artej sebbene non eccel- » lente j, pur maravigliosaj, da Protogene Caunio y* dipinta ; i Rodiani spedirongli sul campo un ft messOj con molte suppliche ^pregandolo che per (i) Lib. xii. c. io Orat. inst, (a) Lib. i Straiagemm. ALL A VITA DI PROTO GENE 24?, 3) la grande sua clemenza perdonasse a questo j> capo d’ opera; a cui dicesi che Demetrio ri - » spondesse: Prima lascero che si spezzi la sta- i> tun del niio genitore, che il Gialiso, egregio » monumento dell’arte e della fatica, soffra dan- » no e si distrugga (0. lr)iperciocche e fama che » Protogene vi faticasse sett’ anni nel dipingerla » e nel ritoccarla > e che Apelle rimirandola co- » si finita j rimanesse fuori di se e muto. sino a » che rinvenuto soggiunse > che a quella stupen- )> da e faticosissima piltura mancava la grazia ... » Questa tavola > portata poi in Roma ^ peri con » altre in un incendio.n Plutarco esalta il genio straordinario di que- sto Principe nel disegno ed esecuzione di mac- chine militari ammirate dagli stessi nemici ; on- de sarei inclinato ad inserirne il nome tra i Gre - ci maestri j se lo stesso Plutarco lodandolo per le anzidette macchine opportune ad un Genera - le d J ar mat a j non vituperasse quasi injami altri principi datisi di proposito al disegno : « Gran - » de uomo j dice era Demetrio e non dedito a » vani e puerili esercizjj come altri molti Re dei » quali taluno al Jlauto applicossij altri alia pit- » turaj, altri al torno ec. » j Dell’ inconte ntah ile diligenza di Protogene in terminare e rifinire i suoi dipintij son da vedersi ( 1 ) Plinio, lib. vii. c. 58., pare non si accordi con Plutarco* scrivendo: Rhodian noti incendit Demetrius . . . ne tahulam Protogenis cremarei a parte ea muri locata . P R 0 E M I 0 244 le pugg. i 45 e 146 . precedenti ove si riferisce un passo diPlatone dal quale abbiamOj che quel - lo era lo stile dei pittori contemporanei a questo filosofoj all’ eta del quale la pittura doveva sptni- gliare V italiana sul fine del secolo XV.j nella quale si vede una diligenza incredibile anche nelle minime parti . 245 VITA DI PROTOGENE JR-esta ancora indecisa la celebre e curiosa qub stione, quale delle due cose preyaglia, o la na- tura o l’arte, nel comporre yersi. Quel che si ricerca nella poesia e parimente necessario in tutte quelle professioni che yogliono essere eser- citate e perfezionate con applicazione e con ve- na, particolarmente nella pittura, arte similissi- ma alia poetica. Non ha principio di dubbio che senza Finstinto della natura e yano ogni sforzo della diligenza e della fatica ; e che senza lo studio e i precetti dell’ arte, il genio e l’inclina- zione res tan sottoposti a infinite diffalte. Tal- mente che 1’ arte non puo in modo yeruno sol- ley arsi alia marayiglia, tolte l’ali della natura; e la natura non puo scansare i precipizj dell’er- rore, rimosse le briglie dell’ arte. Sarebbe adun- que la natura imperfetta senza Fassistenza del- 1’arte, e l’arte. infelice senza F aiuto della natu- ra, se ciascuna di loro pretendesse di pigliare in mano i pennelli scompagnata dall’ altra. Abbia- ino considerati in Apelle gli* stupori e della na- tura e della grazia, dote a lui propria, ma cobti VITA x. 35. io II, nr. IV. 246 yati dall’arte: restano da contemplare in Pro- togene P eccellenza dell’ arte e della fatica, di cui egli fu singolarissimo, ma non abhandonate dalla natura Imperciocche non avrebbe potuto questo artefice dipignere con diligenza lanlo ec- cessiva e tollerare si gravi e lunghi disagi, pri- yo dell amore e del gusto nell’operare, che pro- cedono dal genio ; ne si sarebbe con taut’ arte applicato ad occultar l’arte medesima, ed a fug- gir nelle sue pitture la secchezza e lo stento, se dalla naiurale inclinazione non fosse stato porta to a bene iniitare , e in un certo niodo a superar la natura. Protogene fu di Cauno, citta della Caria, sog- getta a Rodi; benche altri lo facciano di Santo, citta di Licia. Yisse e fiori ne’ medesinii tempi che Apelle, di cui fu concorrente, e quel cbe par maraviglioso, anche amico. Da principio fu povero in canna, e tanto applicato e diligente nell’arte, cbe poco gli comparivail lavoro, non sapendo veramente., come di lui disse Apelle, mai levarne le inani. Non si sa di chi egli fosse scolare. Credettero alcuni che per un pezzo egli dipignesse le nayi, e lo cayarono dall’ayer egli (allorache dipigneya l’antiporto di Minerva in Atene, doye fece il famoso Paralo e rEmionida, da certuni detta Nausicaa ) poste alcurie piccole nayi lunghe tra quelle cose che da’ professori son dette giunte; acciocuhe si yedesse da die bassi principj fosse-ro ascese V opere di lui al col- mo della gloria e della rinominanza. Tra tutte DI PROTOGENE 247 queste porto la palma il Gialiso di Rodi, il qua- le fu poi dedieato in Roma nel tempio del] a Pa* ce, e da tutti ammirato per uno sforzo marayi- glioso dell’ arte. Raccontano che Protogene in dipigner quest’ opera si cibasse di lupini indol- citi, si per saziare in un tratto e la fame e la sete , si per non ingrossare i sens! colla soayita de’ sapori. E cio sarebbe stata gran cosa, perche si legge che in condurla consumasse sett’ anni. Quattro yolte cplori questa tayola per assicurar- la tlalr ingiurie del tempo, accio mancando il eolor di sopra, succedesse il di sotto. In essa era quel] a pittura die fece stupire Apelle , benche non yi troyasse grazia eguale alia diiigenza ed alia fatica. Fu sempre in dubbio e si disputa ancora di quel che fosse rappresentato in Gia- liso: chi crede la yeduta d’una citta o d’ una contrada di Rodi, chi l’immagine d’ un caccia- tQre,.chi di Racco e chi d’altri. Io per me in tan- ta yarieta e dubbiezza inclinerei a credere che in quella tayola si scorgesse effigiato un bellis- simo gioyane rappresentante l’eroe Gialiso, fon- datore d’una delle tre citta di Piodi da esso de- nominata; o pure il Genio tutelare e 1 ’ ideal sem- bianza della medesima. Di certo sappikmo es- servi stato un cane fatto di marayiglia, sendosi accordati a dipignerlo l’arte e la fortuna. Non giudicaya Protogene di potere esprimere in es- so la schiuma originata dall’ansamento , essen- dosi egliin ogn’altra payte, il che era difficilissi- mo, pienamente soddisfatto. Dispiaceyagli Parte Elian.Var. St. 12. 4 i. YI. VII PI. 55. io. 248 VITA Flip. 8,38. PI. 35. io. Plu tar. A- p ole in. a 1 83. jDemetr. a 898. A. Gell. 1. 1 5 - c. ult. medesima, ne sapeya come scemarla, parendo- gli troppa e lontana fuor di misura dal vero , perche la schiuma rassembraya dipinta, e non nasceya nella bocca dell' animate. Ouesto a Ini recava trayaglio non ordinario, bramando la ve- rita, e non il yerisimile nella pittura. Ayeya percio spesse date nettati e mutati i pennelli, non piacendo a se stesso. Finalmente sdegnatosi coll’ arte che si scopriva, getto la spugna in quel luogo della tayqla, il quale gli era quasi yenu- to a noia, ed ella quivi ripose i colori poco ayan- ti levati, come appunto av rebbe yoluio la dh ligenza • siccbe la fortuna in dipignere fe’da na- tura. Dicono alcuni che Demetrio Espugnatore non diede fuoeo a Rodi per non abbruciar que- sta tayola posta dalla parte delle mura, oye do- yeya attaccarsi l’incendio; e che non potendo impossessarsi altronde della piazza, per ayer ri- spettato quella pittura perdesse l occasione del- la yittoria. Altri aggiungono, che avendo pre- so Demetrio i sobborghi di Rodi, s’ impadroni di quest’ opera dipinta e quasi perfezionata da Protogene, perloclie i Rodiani mandarono amba- sciadori a pregarlo ch’egli perdonasse al Gialiso, ne lo guastasse. Al che Demetrio rispose, che pin tosto ayrebbe abbruciate e guaste 1’ imrna- gini di suo padre, che cosi degno layoro. Assai meno fondata e la storia di chi scrisse che De- metrio, insignoritosi d’ alcuni edificj mal guar- dati addiacenti a Rodi, ne’ quali era la celebre immagine di Gialiso , si preparaya per abbru- D I PROTOGENE 249 ciarli , come quegli che essendo forte sdegnato co’ Rodiani., inyidiaya loro la bellezza e l’eccel- lenza di quell’ opera singolarissima ; e che essi al Re inviarono messaggi parlanti in questo te- nore:E per qua! ragione yuoi tu inandar male questa figura dando fuoco alle case? Se tu di tutti noi resterai yincitore , e prederai la citta nostra, quella pure intera e salva sara tua. Se con l’assedio non ci potrai superare, preghia- moti a far considerazione, se a te sia brutta co- sa , che non a yen do potuto yincere i Rodiani , abbi fatto guerra con Protogene morto; e che cio ayendo udito Demetrio , leyato V assedio , perdonasse alia pittura ed alia citta. Per molte. ragioni non e da prestar fede a questo racconto, ma particolarmente dicendosi che Protogene fos- se gia morto per V assedio di Rodi, essendo cer- tissimo ch’ egli era yivo. Anzi abitando, come era suo costume , in una casetta congiunta al- Porto poco lungi da Rodi, doy’appunto erasi ac^ campato Demetrio, non si mosse, ne per gli as- salti leyo mano dall’ opere hicominciate. Chia- inollo il Re , e interrogatolo con qual conliden- za dimorasse fuor delle mura , rispose che ben sapeya lui ayer guerra co’ Rodiani e non con P arti. Lao.nde quel Principe generoso mise gen- te a guardarlo, godendo di conservar quelle ma- ni che sin allora, erano state salye. E per non lo scioperare, egli stesso andaya soyente da lui, e lasciando i desiderati progressi della vittoria, tra 1’armi e tra le batterie stayasi a yederlo la- Suida, Platar. iu Demetr. 898. PI. 35. 1 os 200 VITA Strabone l 14. YIII. vorare per passatempo. La tayola ch’egli allora faceya ebbe questa fama , cbe Protogene sotto la spada la dipignesse. Questa fu il Satiro detto per soprannome il Riposantesi, cbe per maggior- mente mostrare la sicurezza di quel tempo, le- neya in mano gli zufoli. Ouesto e sicuramente quel Satiro che altri scrissero yedersi in Rodi appoggiato alia colonna , sopra cui era posata una pern ice. Essendo questa tavola messa fuori di fresco, piacque tanto all’ universal e la perni- ce , che il Satiro , ancorche molto studiato , ne scapitava. Accrebbero la meraviglia le pernici addomesticate portatevi dagli uccellatori, per- che postele a dirimpetto, elle pigolavano yerso la dipinta , dando spasso alia brigata. Il perche Protogene, accorgendosi cbe V opera principale restaya addietro alia giunta, con ayerne prima ottenuta facolta da’ superiori del tenipio, yen- ne e casso quell’ uccello. E celebre I’ayvenimen- to e la gara d’Apelle e di Protogene. Dimora- ya questi in Rodi, doye sbarcando Apelle, ansio- so di yedere colui, il quale non alirimenti co- nosceya cbe per fama , di presente s’ inyio per troyarlo a bottega. Non y’ era Protogene, ma so- lamente una yeccbia cbe staya a guardia d’una grandissima tayola messa su per dipignersi. Co- stei da Apelle interrogata, rispose che 1 maestro era fuori ; indi soggiunse : e che debbo io dire chi lo cerchi ? Questi , replico Apelle : e preso un pennello, tiro di colore sopra la tayola una sottilissima linea. Racconto la yeccbia tutto il \ DI PROTOGENE 231 seguito a Protogene, e dicesi che egli tosto, con- siderata la sottigliezza della linea, affermasse es- servi stato Apelle, perche niun altro poteva far cosa tan to per fetta ; e che con di verso colore ti- rasse dentro alia medesima linea un altra piu sottile, ordinando nel partirsi che fosse mostra- ta ad Apelle se ritornasse, con aggiugnere che questi era chi egli cercava. Cosi appunto avven- ne, perciocche egli torno, e vergognandosi d es~ sere superato, sego e divise le due linee con nil terzo colore, non lasciandopih spazio a sotligliez- za veruna; laonde Piotogene chiamandosi vin- to, corse al porto, di lui cercando pei alloggiarlo. In tale stato, senz’ altro dipignervi, fu Iranian- data quesia tavola a posteri, con grande stu- pore di tutti,e degli artefici massimamente. Ab- brucio ella in Roma nel priino incendio del pa- lazzo cesareo, dove per avanti ciascuno vide avi- dam ente e consider 6 quell’ amplissimo spazio, altro non contenente che linee quasi invisibili. E pure collocata fra tante opere insigni, lirava a se gli occhi di tutti , piu bella e piu famosa perch’ era vota. In questa congiuntura fecero IX. stretta amista questi due artefici, essendo Apeb le cortesissimo eziandio co’ suoi poncorrenti. An- pi. 2 5. io. zi egli fu che messe in credito Pjotogene appres- so i suoi, sendo egli in Rodi, cojne spesso avvie- ne delle cose domestiche, poco dimato. Doman- danclogli adunque per quanto egli desse alcune opere che fatte avea , e da lui .^entito un prez- zo bassissimo , le pattui per cinquanta talenti, VITA Pausania 1. i. a 33. X. XI. Suida. q52 spargendo yoce di comprarle per riyenderle per sue. Questa cosa fece a’ Rodiani conoscere il lo- ro pittore, e se rivollero i quadri da esso fatti, bisogno che alzassero il prezzo. Di quello che fosse in essi figurato non s’ ha notizia. Leggesi bene ch’ egli dipignesse Cidippe, Tiepolemone, Filisco, scrittor di tragedie, in atto di pensare, im Atleta, il re Antigono. Fece in oltre il ri- tratto di Festide, madre d’Aristotele filosofo, il quale soleva esortarlo a dipignere i fatti d’ Ales- sandro M. per 1 immortalita; benche io creda ch’ egli a questi fosse portato da un certo furo- re e da un amore yeementissimo yerso Parte. Nell’ ultimo dipinse un Alessandro e un dio Pane. In Atene al consiglio de’ Cinquecento di- pinse i Legislator! ; e sino a’ tempi di Tiberio si conservarono per le gallerie di Roma i disegni e le bozze di questo artefice che faceya yergo- gna all’ cfpere yere della natura. Getto anche delle figure di hronzo , sendo stato statuario e formatore eccellente, Scrisse due libri della Pit- tura e delle Figure, dando alia posterita nelle tayole gli esempli , e nelle scritture i precetti dell’ arte. Ne paia strano ad alcuno che di si gran pittore cosi scerso sia il numero dell’ opere e delle memorie, perche forse queste ci furono in\olate dal tenpo ; e quelle doppiamente raris- sime per V ecce>siya diligenza colla quale furon fatte, rubarono a Protogene il tempo , ne lo la- sciarono operarmolto; ma tuttavia per la loro squisitezza furcrl bastanti a donargli V eternita. POSTILLE ALLA VITA DI PROTOGENE I. Protogene fu di Cauno ec. Plin. 1. 35. c. 10 . Simul, ut dictum est, ProtogeneS floruit . Patria ei Caunus , gentis Rhcdiis subjected. Tale e chiamato pur da Plutarco nella Yita di Demetrio , e da Pausania ncl lib. p. delle cose Attiche. Suida pero fa Protogene di Santo in Licia. Uporoysvviq gaypdfpoq, EdvSiog lx Xvxiaq, Di questa citta fa menzione Ero- doto, 1. i. n. 1 . 76 ., come posia in Licia, ma non di- stante da Cauno. La conformita degli autori soprac- citati m" induce a credere che Protogene fosse veramentc di Cauno , la quale convengono gli scrittori che fosse in Caria, yieina e soggetta a Rodi. Onde Strabone, 1. 1 4 a 65 1 ., dove lungamente parla di Rodi, dice che i Caunj gia si ribellarono da’ Rodiani, e che per sen- tenza de’ Romani furono di nuovo a’medesimi sottopo- sti. Nota di piii che i Caunj parlavano la medesima lingua de 1 Carj ; che pero parrebhe potersi dubitare se Gauno fosse in Caria. Ma Erodoto, 1. 1 . n. 172 ., leva ogni dubbio, dicendo che i Caunj pretencLvano d’ es- sere venuti di Creta. Ben e verb che essendosi i Caunj accomodati alia lingua di Caria , 0 quei di Caria alia lingua de 1 Caunj , ambidue parlavano lo.itesso idioma Livio, 1. 45. n. 2 5., ne fa menzione ecme di sudditi de’ Rodiani ; ma dalle parole di lui nop si distingue se fossero in Caria o in Licia. Dione Grisost., Oraz. 3 j «' Rodiani, rammenta i- Caunj come vissalli di Rodi. a POSTIL LE 2 5 /j- 349* Pomponio Mela, 1 . 1. c. 16., e Stefano delle Citta, pongono Cauno nella Caria. II. Da principio fu povero in canna, e tanto appli* cato e diligente neil arte, che poco gli compariva ec. Plin. 1 . 35 . c. 10. Summa ei pauperfas initio, ar - tisque summa intentio , et idea minor fertilitas. Proto- gene e lodato per la gran diligenza. Quintiliano, 1 . 35 . c. 10., afferma essere stato insigne cura Protogenes. Troppo note sono le fatiche e i disagi da lui sofferti nel dipignere il Gialiso. Non e pero da credere che questa gran diligenza cagionasse nelle di lui piiture secchezza : mentre si leggono in Plinio quelle parole ad esso attenenti : Impetus animi , et qucedam artis li- bido in hcec potiui eum tulere. III. Credettero alcuni che per un pezzo egli dipi- gnesse le navi ec. Plin. 1 . 35 . c: 10. Quidam, et naves pinxisse usque ad annum quinqupsgesimum argumentum esse, quod cum Athenis celeb erritao loco Minervce delubrd propileeon pingeret , ubi fecit nobilem Paralum , et Hemionida , quam quidam Nadsicaam vocant, adjecerit parvulas na- ves longas in iis, quce pictores parerga appellant , ut ap- pareret a quibus initiis ad arcem ostentationis opera sua pervenissent. II medesimo fu detto d Eraclide al cap. 11. Est nomen et Heraclidi Macedoni , initio na- ves pinxit (1). IY. Dove fece il famoso Paralo e 1 'Emionida, da cer- tuni detta Nausicaa, Non e cosi facile il determinare che cosa fosse il % Paralo di P"otogene da Plinio chiamato nobile ; tanto piii che le parole seguenti non ci danno alcun lurae , come ben si vede nella precedenie postilla. 11 Dale- (i) Y. Gio. Metis. 1 . 2. c- 7. d." Lez. At!. ALLA TITA DI PROTOGENE 255 campio porta opinione che il Paralo di Protogene fosse quella nave sacra d’Atene, di cui si fa inenzione da Plutarco in Lisandro, e da Demostene nella 4- Filip- pica. Questa per lo pin serviva a- condurre in Delfo i messaggi, e per altri importanti affari. Onde secondo Suida era delta per altro nome Ssapiq. Di essa fanno menzione Senofonte nelle Stor. Greche, 1. 2 . a 456., rac- contando la rolta che gli Ateniesi ricevettero da Lisan- dro, nella quale si salvo questa nave con poc’ altre. Plutar. nelP Opusc. : Se i vecchi debbano amministrar la Repub. ;*Demost. nell’ Oraz. contr. a Midia ; Tucid. in piii d un luogo ; lo Scoliaste d’ Aristof. spesse volte , e spezialmente sopra gli Ucceili, a 548. ; e tutti gli an- tichi compilalori de’ greci Yocabolarj. E io inclino a credere con Celio Rodigino, 1. 12 . c. 12 ., che la nave, la quale annualmente si mandava d’Atene in Delo, fosse la nave Paralo o Teorida; giacche quella solennitii de scritta dal divino Filosofo nel principio del Fedone.. facilmente dalla spedizione de’ Teori si chiamb deopiav j se pero la nave che andava in Delo, non fosse stata per avventura la Salaminia, delta anche Delia secondo Ulpiano sopra Demostene. Goinunquc cio sia, la nave Paralo, o la pompa di essa, credesi per alcuni che po- lease essere dipin ta da Protogene nel Portico di Mi- nerva eon la giunta delle navi lunghe. Altri all’ incon- tro, e tra questi in primo luogpo Ermolao Barbaro, par che tengano che il celebre Paralo di Protogene rap- presentasse figura d’ uomo , e che fosse quel Paralo eroe, dal cui nome quasi tutti i Gramatiei greci fanno derivare V appellazione della nave Paralo. Del che veg- gasi Suida in Tldpa^og'-, il grande Etimologico, a 695 .. deH’ edizione Silburgiana; Arpocrazione nel Dizionario alia voce YldpaXog ; e Ulpiano sopra Demostene. Fa voriscc cotal credenza un luogo di Cicerone nella 4< V errina n. 60 . Quid Athenienses . Ht toe marmore .lac- a56 P 0 S T I L L £ chum, aut Paralum pictum, aut ex cere Myronis hucu lam ? dal quale si comprende che questo Paralo di- pinto , cosi famoso in Atene , non poteva essere aitro che un uomo , se pero non ve n’ erano due diversi egualmente stimati. Conferma fortemente si fatta opi- nione Plinio medesimo, 1. 7 . c. 56., dov’ egli dice: Longa nave Jasonem primum navigasse Philostephanus auctor est , Egesias Paralum. Onde torna benissimo che nella pittura di Paralo eroe fossero per giunta in qualche veduta o lontananza di mare dipinte le navi lunghe , deile quali 0 egli fu l’inventore, o il primo che F ado- prasse. Ne per ultimo e da tacere quel ehe osserva' da Eustazio il Meursio nel 1. 5. della Greeia Festiva, cioe che to- Uapd/Ua erano feste dedicate a Paralo eroe.. Con queste notizie adunque resta ugualmente dubbio quel che rappresentasse la pittura del nostro artefice * 3 e per chiarire questa difficolla fa di inestieri passar piii avanli , potendo forse dalle parole seguenti di Plinio restare sviluppato questo nodo intrigatissimo : V hi fecit nohilem Paralum, et Hemionida , quam quiclam Nausi- caam vacant : cosi leggpno la maggior parte clegli stam- pati. Alcuni mss. hanno Hermionida ; e il Meursio legge in questa maniera al capitolo 3o. della Rocca d : Atene , stimando che tanto Paralo quanto Emionida fossero navi. Il Dalecampio sostiene questa lezione, aggiugnen- do che la nave Ermioftida fu cosi detta da Ermione, citta di Lacedemonia , della qual nave fa memoria Tu- cidide, come afferma anche il Rodigino, 1. 8 . c. 9 . E verissimo che Tucidide nel p. 1. f. 84. dell ediz. d Ar- rigo Stef rifcrisce che Pausania Laeedemonio se n’ ando privatamente in Ellesponto eon una trireme Ermionida, cosi chiamata , dice lo Scoliaste, da Ermione, citta di Lacedemonia. Ma perche dipigner questa nave in Atene, la quale forse non aveva tal nome, ma fu da Tucidide delta Ermionida-, cioe di Ermione, coxae si direbhe AtLA VITA DI PROTOGEN& ^'5 liave genovese , nave livornese , eioe di Genova o di Livorno? Non par dunque da lasciare la comune le- zione Hemionida, sostenuta e illustrata da Ermolao Bar- baro nelle Gastigaz. Pliniane con un luogo singolaris- simo di Pausania, il quale si legge nel 1 . 5 . a 167., ed e questo : IlapS’fWt’g Se ini Vjptovov y 1 r/V pev s%ovgOj 1> TTjv Si tmxEiptvriv xdXvpfia, iiri rvj xscpa^rj^ Naf- aixdv re vopi^ovatv eivan xvjv A'^xtvov^ x\ tyjv Sepdncu- My, tXavrovaaq tm zovq tt Xvvovq ; il quale cosi inter- pretd i’ Amaseo colla emendazione del Silburgio: Jam vero insidentes mulis j vel mulari curriculo virgines duas , quarum altera habenas tenet , altera vero velato capite sedet , Nausicaam Alcinoi filiam esse putant , cum an - cilia ad lavacra contendentem. Da queste parole io ben comprendo clie le due fanciulle sono da Pausania dette Emionie, perdi’ ell’ erano sopra un carro tirato da muli, e cbe la prima era opinione che rappresentasse Nausi- caa; il quale accoppiamento d Emionia e di Nausicaa fa un gran romore per esser tanto simile alle parole di Plinio ; onde molti si daranno a credere che P Emio nida, da alcuni delta Nausicaa, dipinta in Atene da Protogene, fosse la medesima figliuola d’ Alcinoo, e che per conseguenza anche il Paralo del medesimo artefice rappresentasse l’eroe Paralo, e non una nave. Ma se poi si considera che Pausania descrive in questo luogo alcune storiette intagliate dentro ad un’ area, posta nei. tempio di Giunone in Olimpia, che posson elleno aver che fare colle pitture d’ Atene ? Tanto piu che la voce '/ipiomv presso a Pausania non e assolutamente deno- minazione di quelle donzelle e particolarmente di Nau- sicaa, ma serve solamente ad esprimere che esse erano sopra un carro tirato da muli, quale appunto ce lo rap* presenta Omero nel sesto dell’ Odissea, poco Ionian dal principio. Che percio la simiglianza di questi due luo* ghi di Plinio e di Pausania non mi persuade punto ne Dati. Vite de' Pittori. iq P OS T i L L t a5o poco che F Emionida cli Plinio sia la medesima cbe la Nausicaa cli Pausania. Ma forse mi sara detto ch'io non son buono se non a confutare F altrui parere, ed a ren- der pi u oscuro un luogo oscurissimo : Utinam tam fa- cile vera invenire possem, quam falsa convincere , diro eon Cicer. 1. i. n. 32. d. Nat. degli Dii, avanti di pro- porre il proprio concetto al mio solito senza affermare. E prima non lascero cF avvertire che alcuni testi a penna di Plinio hanno Hammionicla , altri Hammoniaclem, F an- tica edizione di Parma Hammoniadam , e un libro ms. nel Pinciano Amodiada ; de 1 quali tutti io emenderei Hammoniada , ovvero Ammodiada , nomc di una nave atenicse destinata anch’ella, come il Paralo, alle biso- gne della Repubblica, com’ erano parimente la Salami- nia , l’Antigonia, la Demetriaca , clelle quali speeificata- mente parlano Suida in JJdpaXoq,, e il grande Etimo- logico a 6gg. E questo mi persuade Ulpiano nel suo Commento sopra l’Orazlone di Demostene contro a Mi- dia, a 686., dove dopo aver parlato delle due navi sa- cre cF Alene, Salaminia e Paralo, soggiugne varepov §£$ xai dXXat rpug iyc'vovro ? Att tyovig xai UToXepaig^ xai Appovidq* ixeidvi A’pxon di dvTvjq tcl q Svalag eusp- %ov> Gioe : Olive a queste , se ne fecero tre alire , V An - tigonia, la Tolemaide e V Ammoniada , nella quale si man- davano. le vittime a Giove Ammone. Resta , a mio cre- dere, con questo luogo d’ Ulpiano dichiarato l’altro di Plinio, e stabilito cbe essendo F Ammoniada una nave, ancbe il Paralo nominato in primo luogo fosse una nave, dipinte ambedue da Protogene nelF antiporto del lempio di Minerva in Atene, quando forse erano in punto per qualche pompa o funzione della Repubblica, Non mancbera qualche stitico , il qualec per avventura non s’ appaghera di tanta evidenza , se io non lo sod- disfo, dicbiarando percbe questa nave Ammoniada fosse, come dice Plinio, da alcuni chiamata Nausica, o Nau- ALLA YITA DI PROTOGENE 2 5$ sicaa, ovvero, come leggono altri, Nassia o Nasslca. So- pra questo io non parlero, non mi sovvenendo cosa che non sia stiracehiata ; ne credo gia che le pefsone di- screte metteranno in dubbio la prima appellazione pen- cil’ io non so spiegar la seeonda. Rimetto adunque il lettore a quel che dice il Turnebo, 1. 18. c. 3i., degli Ay vers. Quis tamen mihi vitio vertet , si suspiciones rneas sequutus, quiddam in Plinio eodem in capite emen- date coner ? Minime profecto fraudi esse debet juvandi studium , quod amplexi, obtrectatores contemnimus , scri- bit igitur, ubi fecit nobiiem Paralum, et Hermionidem, quam quidam Nausicaam vocant. Legendum suspieor, nec injuria : Hermionidem, quam quidam Nausicaam vocant Legendum suspieor, nec injuria , Hermionidem quanl quidem Naxiam vocant, vel Naxicam. Nomina navium sunt , non hominum. Altri forse intendera i misterj di questo gran Critico nascosti alia mia ignoranza. V. Tra tutte quesie porto la palma il Gialiso di Rodi. Plinio 1. 35. c. io. Palmam habet tabularum ejus Jalysus, qui est Romce in templo Pads: quern cum pin- ger-et, traditur madidis lupinis vixisse , quoniam simul famem substineret et sitim , ne sensus nimia dulcedine obstrueret. Eliano e Plutarco alle somme lodi aggiun- gono, che Protogene in far questa pittura consumasse sett’ anni; e V ultimo, nella Vita di Demetrio, asserisce ch’ ella fii portata a Roma , dove abbrucio. Sicehe , secondo Plinio, al tempo di Vespasiano era in essere ; per detto di Plutarco, sotto Traiano era gia con sum a la. dal fuoco. Cicerone sempre la pone tra Topere mara- vigliose. Nel principio dell' Oratore a Bruto : Sed ne i artifices quidem se artibus suis removerunt , qui, aut Jaljsi , quam Rhodi vidimus, non potuerunt, aut Cock Veneris pulchritudinem imitari. Nella quarta Verrina n. 6o. Quid Thespienses ut Cupidinis signum 3 propter POSTILLE 260 quod unum visuntur Thespioe ? quid Cnidios ut Vene * rem marmoream ? quid ut pictam Coos? quid Ephesios ut Alexandrum ? quid Cizicenos ut Ajacem , aut Me - deam ? quid Rhodios ut Jalysum? quid Athenienses etQ, E 1 . 2. epist. 21. ad Attico : Et ut Apelles si Ve- nerem, aut si Protogenes Jalysum suum cceno oblitum videret, magnum credo acciperet dolorem. Oltre a quello che ge dicono Gellio, Strabone e altri. VI. Quattro volte color! questa tavola ec. Plinio 1 . 35 . c. 10. Huic pictures quater colorem induxit subsidio injuries et vetustatis , ut decedente su- periors, inferior succederet. Come cio possa farsi , mi rimetto a’ professori. Pare che Plinio intenda che Pro- togene in un certo modo facesse quattro voile questa pittura Tuna sopra l’altra, acciocche consumata l'una. V altra venisse a scoprirsi. E se tale e il sentimenta di Plinio, mi arrisico a dire che questo non sLjpuo fare. Credo bene che Protogene , volendo dare un buonissimo corpo di colori a quest’ opera, nell’ abboz- zarla e nel finirla la ripassasse, e sopra vi tornasse sino a quattro volte, sempre migliorandola e piii mor» bida riducendola, come se proprio di nuovo la dipin- gesse. E questo e certissimo che molto giova alle pit- ture per conservarsi fresche e vivaci. VII. Fu sempre in dubbio e si disputa ancora di quel che fosse rappresentato in Gialiso. Tutti gli antichi, i quali parlano di questa pittura, non dicono tanto che basti per chiarir questa difficol- ta. Da Suida solamenle si cava che il Gialiso esser potesse una figura di Bacco , affermando che Proto- gene, secondo le storie, dipinse il Dionigi di Rodi, quel- F opera maravigliosa, la quale anche Demetrio Espu* gnatore sommamente ammiro quando per due anni continui assedio Rodi con mille navi e con cinquan- tacinque mila soldati. E perche cio si racconta pur ALLA YITA DI PROTOGENE 26l del Gialiso, si deduce che il Gialiso e il Bacco fos- sero la medesima cosa. A questo parere tanto o quanto aderisce il Corrado sopra il Bruto di Cicerone, a 128 , Tocca anche questa tra 1’ altre opinioni Marcantonio Maioraggio, sopra 1’ Oratore di Cicerone, a 11 .; ma pero stima la migliore e la piii sensata quella di chi reputa che il Gialiso di Protogene rappresentasse una delle tre contrade o citta di Rodi. E tal concetto pare a me che avesse anche Ermolao Barbaro sopra Pli- nio, 1. 35. c. 10 . lo non voglio in questo luogo rin- venire la vera genealogia dell’ eroe Gialiso, ne meno la denominazione della citta che da esso ebbe 1 ’ ori- gine e il nome, per farlo una volta con piii agio e con piii maturo consiglio. Basti per ora leggere quanto diffusamente ne serissero Bernardo Martini, 1. 4- c. 20 . delle Var. Lez., e Lelio Bisciola, 1. 3. c. i3. dell’ Ore Sussecive, i quali di proposito esaminarono quel che veramente fosse figurato per lo Gialiso. L’ ultimo di questi tiene, che in essa tavola fosse rappresentata la citta di tal nome con diverse altre cose; il primo pure la citta, ma sotto sembianza d’ un bellissimo giovane; dalla quale opinione io non sarei lontano, benche per avventura piii mi piacesse, come piacque eziandio al Dalecampio, che in quel gioyane fosse espresso l’eroe Gialiso, per detto di Pindaro , di Cicerone, di Dio- doro, d' Arnobio, e d’ altri discendente del Sole. Questo mi muove, anzi mi sforza a credere il non sapere immaginarmi artificio maggiore nella pittura^ che il ben delineare figura umana, E tale mi pe^suado che fosse quanto in quella tavola dipinse Protogene, accennato da Plinio con quelle parole, quern cum pin- geret y e diehiarato da Gellio con quell’ altre, memora - tissima ilia imago Jalysi ; la quale immagine fu sem- pre da Cicerone accoppiata con la Venere d’ Apeh le, come abbiamo sentito nella V, postiila di questa 2 6 # P 0 S T I L L E Vita. Onde a me parrebbe sproposito il paragonare le fabbriche d’ una citta ben dipinte alle fattezze gentil- mente delineate d’ una bellissima femmina, e molto ra- gionevole il mettere di rincontro alia figura d' un leg- giadro garzone la piltura d’ una vaga donzella. E ari- che da avvertire 1’ errore del Martini, il quale a con- fermazione di cosa a mio giudizio veriss.ima, porto per ultimo una falsissima congbiettura quand’ egli disse : Benique mecun Main de Protogenis Jalyso opinionem penitus jirmat TtipLvjyvjascig Dionysii commentator , et in - terpres Eustathius, qui de Bhodo agens, de Colosso in~ genti, deque rebus aliis insignioribus , quce ibi viseban - lur, addit : exei, Se xcu 6 xclK 6q 7t£pdi% y v\v to tov npo- Toyevovq vuvovuevov spyov. Ubi nepdi^^ opinor , sumi debet pro delicatulo et Jormosulo puelio. Ma donde cava egli, per vita sua, ehe oxcuddoq nspdi* significhi un deli- cato e bel giovanetto ? Dice Eustasio, che fra l’altre co- se celebri in Rodi, eravi la Pernice di Protogene, cosi ben lavorata, cbe si contrapponeva al Colosso. E questa e quella Pernice, di cui parla Strabone nel 1. i4- a 652., e da lui il Piodig., 1. 29 . c. 26 ., dove il Geo- grafo, dopo aver mentovato il Gialiso, fa menzione del Satiro appoggiato o vicino ad una colonna, sopra la quale era la Pernice, di cui nella Vita di Protogene abbiamo parlato a sufficienza. E ben vero che in leg- gere il luogo di Strabone averei desiderato maggiore attenzione nel Bisciola, ponendo egli il Satiro sopra la colonna, dov’ era veramente la Pernice e non il Sa- tiro. E cio sia detto per avvertimento a’lettori, non per censura. VIII. E eelebre I’avvenimento e la gara d 1 Apelle e di Protogene ec. Tutlo questo da Plinio, 1. 35. c. 10 . Scitum est inter Protogenem et eum quod accidit. llle Bhodi vi- vebat ; quo cum Apelles adnavigasset , avidus cognoscendi ALLA VITA DI PROTOGENE 263 opera ejus, fama tantum sibi cogniti , continuo officinam petiit. Aberat ipse , sed tabulam magnce amplitudinis in machina aptatam pictures , anus una custodiebat. Hcec Protogenem foris esse respondit , interrogavitque a quo queesitum diceret. Ab hoc inquit Apelles : arreptoque penicillo , lineam ex colore duxit summed tenuitatis per tabulam. Reverso Protogem , quee gesta erant anus in- dicavit. Ferunt artificem* protinus contemplatum subtili- tatem , dixisse Apellem venisse : non enim cadere in alium tain absolutum opus ; ipsumque alio colore tenuiorem lineam in ilia ipsa duxisse , prcecepisseque abeuntem , si redisset ille, ostenderet adjiceretque , hue esse quern queereret, atque ita evenit. Revertitur enim Apelles : sed vinci erubescens, tertio colore lineas secuit, nullum re~ linquens amplius subtilitati locum. At Protogenes victum se confessus 3 in portum devolavit hospitem quaerens. Pla- cuitque 9 sic earn tabulam posteris tradi , omnium qui~ dem, sed artificum preecipuo miraculo. Consumptam earn constat priore incendio domus Ceesaris in palatio, avide ante a nobis spectatam , spatiosiore arnplitudine nihil aliud continentem, quam lineas visum effugientes } inter egregia mult or urn opera inani similem } eo ipso allicien- tem , omnique opere nobiliorem. So benissimo cbe il nome di Plinio presso ad alcuni non e di grandissima autorita, stante il mal concetto di poca fede addossa- togli a gran torto dal volgo. lo non voglio adesso far la difesa di questo grande serittore contro a certi sac- centi, che senza forse averlo mai letto, lo tacciano di menzognero. E chi fu mai piii di lui curioso del ye- ro ? che per ben conoscerlo non conobbe pericolo, e finalmente mori, onde fu chiamato : A scriver molto , a morir poco accorto. Se costoro sapessero quanto sia difficile lo scrivere la gloria universale della natura, necessariamente rappor? POSTl'LLE 264 tandosi acl altri senza poterne fare il riscontro, o now sarebbero cosi facili a contraddire, o lo farebbero con piu modestia e rispetto. Plinio parla in questo luogo d'una cosa veduta da lui e da tutta Roma, onde non par verisimile ne ch'egli dovesse mentire , ne ch’ egli potesse ingannarsi. Allincontro la disputa fra gli ar- tefici grandi intorno a sottigliezza di linee , pare una seccheria indegna di loro , fie meno par possibile che una linea sottilissima possa rnostrar maniera da far conoscere un valente maestro \ benche Stazio nel- V Ercole Epitrapesio dica : Linea , quce veterem longe fateatur Apellem ; nel qual verso pare appunto cbe il Poeta avesse in mente questo caso e questa tavola d' Apelle e di Pro- togene. Le difficolta per l’una e per 1’ altra parte son molte e forti, ne io mi sento da risolvere cosi ardua quistione. La propongo adunque a tutti i professori e letterati, supplicandoli del parer loro , per fame in al- tro tempo una raccolta da pubblicarsi con tutta 1 Ope- ra. Accennero per ora quanto fu scritto da altri, e particolarmente da Giusto Lipsio nell’ Epist. Miscell. cent. 2 . n. Quod quceris a me de Apellceis illis lineis, verasne eas censeam , et quales: ad prius respon- clebo veras ; nee fas ambigere , nisi si fidem spernimus histories omnis prisece. Ad alterum nunc sileo ; et cen- seo ut prius ah amico illo nostro queeras, cujus inge- nium grande et capax , diffusum per has quoque artes. Lodovico di Mongioioso nel suo libretto della Pittura antica, che va stampato con la Dattilioteca d’ Abramo Gorleo, con lungo discorso si sforza di provare che le linee d’ Apelle e di Protogene non fossero e pon po- tessero esser linee , e che Plinio s’ ingannasse in rife- rire questa contesa , la quale pretende che non fosse di sottigliezza di linee, ma di un digradamento e pas- ALLA VITA DI PROTOGENE 265 saggio da colore a colore, o per dir conforme ad esso, dal lume alio splendore, e dallo splendore all’ ombre, pigliando la comparazione dalla musica. II qual di- scorso. per essere sottilissimo, stimo bene che ognuno lo vegga ed esamini da per se presso all’ Autore, non lo volendo alterare nel riferirlo. Soppongono al Mon- gioioso, sostenendo il detto di Plinio, Francesco Giu- gni, lib. 2. c. ii., della Pittura anlica ; e piu gagliar- damente il Salmasio alia f. 5 . delle Dissertaz. Piinia- ne. Paolo Pino, nel Dialogo della Pittura a 17., crede che i due Pittori contendessero per mostrare in quella operazione maggior saldezza e franchezza di mano . Vincenzo Carducci, nel quinto de’ Dialoghi della Pit- tura, scritti in lingua spagnuola, riferisce che Michel- agnolo, sentendo parlar con lode delle linee d’Apelle e di Protogene, celebri per sottigliezza, si dichiaro di non poter credere che tal cosa avesse portato riputazione e faiti conoscere quei valent 1 uomini ; e preso un ma- titatoio, fece in un tratto solo il dintorno d’ un ignudo che a tutli parve maraviglioso. Quel che si racconta del Buonarruoti, V ho piu volte sentito d’ aitri profes- sori della mia patria e da me conosciuti , i quali con gran risoluzione e franchezza fecero il medesimo, co- minciando da un piede della figura, e ricorrendo, senza staccar la mano, per tutti i dintorni del corpo. Queste si fatte operazioni son abili veramente a far conoscere un bravo artefice ; come pure il perfettissimo circolo di Giotto, mandato per mostra del suo sapere, per quanto dicono il Vasari nelle Vite, e il Borghini nel suo Ri- poso. La qual cosa appresso di me trova facil creden- za, per averne veduto segnare un altro colla mano in aria su la lavagna tanto esattamente, che piu non po- teva fare il compasso, da un amico earissimo, il quale io non nomino, avendo egli troppo belle doti e frutti d’ingegno che lo fanno glorioso, senza pregiarsi d’ una s>66 PO STILLE operazione della mano, benche sufficlente a recar fama al nostro antico Pittore. Non e da taeere in questo luogo la tradizione d’ un fatto di Michelagnolo secondo che corre per le bocche degli uomini, cioe che desi- derando egli di vedere quel che operava Raffaello nel palazzo de’ Ghigi, cola s’ introducesse travestito da mura- tore, quasi che avesse a spianar la eolla e dar 1’ ultimo intonaco ; e che partitosi Raffaello, Michelagnolo per lasciar segno d’ esservi stato, pigliasse un carbone, se- gnando in una lunetta della loggia verso il giardino dov’ e la celebre Galatea, quella gran testa che ancor si vede sopra la semplice arricciatura. II racconto piii sicuro pero si e, che quello schizzo fosse fatto da fra Bastiano del Piombo, mentr’ era quivi trattenuto dalia generosita d’Agostino Ghigi, mecenate di tutti gli artefici piii segnalati. Gomunque cio sia, piacque il conservar quel puro disegno fra l’opere insigni di Baldassar da Siena c di Raffaello, aecio si vedesse che pochi e semplicissimi tratti son bastanti a mostrare la finezza dell’ arte. Tcrno adunque a pregar tutti, e spezialmente i professori, che si vogliano degnare di rileggere attentamente il luogo di Plinio, il quale non si fido di se stesso, ne del volgo, e non ando, come si dice, presso alle grida, e percio concluse : Placuitque sic cam tabulam posteris tradere. omnium qui- dem , sed artijicum prcccipuo miraculo ; e poi di vedere se da quel racconto si possa trarre un ripiego che salvi Pli- nio dalia nota di bugiardo nella storia, e Apelle e Pro- togene dalla taccia di baiordi nell arte; non mi parendo giusto il correre a furia a chiamare insipide quelle linee tanto riferite , come fece Alessandro Tassoni ne’ suoi Pensieri, troppo arditamente sfatando tutta l’antichita. IX. In questa congiuntura fecero stretta amista que- sti due artefici ec. Bella e lodevol cosa e il cedere ingenuamente alia verita, terminando le gare in virtuosa amicizia. Sia cio ALLA VITA DI PROTOGENE 267 detto a confusione de’ letterati moderni, i quail dovreb- hero essere esempio per onestamente vivere agl’igno- ranti ; e pure in questo possono imparar molto dalla reciproca umanita e discretezza di due pittori che non si lasciaron rapire clall’ impeto dell’ emulazione, amando T uno nell’ altro quella virtu e quella perfezione , la quale ciascheduno andava cercando. Oh come scarso e disutile e il frutto delle lettere e degli studj , s’ egli non vale a farci ne costumati, ne buoni, e non e ba- stante a por freno alle smoderate passioni che colla veemenza loro ci traportan lungi e dal vero e dal giu- sto ! Onde nelle controversie erudite e spesse volte an- che sacre, non sanno o non vogliono i piii saggi tem- perarsi dall’ ingiurie e dagh improperj, per lo piii alien! dalla contesa, i quali recano, a mio giudizio, maggiore offesa e piu vergogna a chi gli dice, che a coloro con- tro i quali son detti. lo per me anteporro sempre un ceder modesto ad una insolente vittoria ; e terro in somma e perpetua venerazione l’unico e singolare esem- pio di due grandi Astronomi di questo secolo, i quali av%ndo, non per odio fra loro , ma per amor della ve- rita, avuto qualche dotto litigio, quello terminarono ga- reggiando di cortesia, e le dispute si cangiarono in di- mostranze di vicendevole affetto. In questa guisa anche perdendo si vince; dove in quell’ altra maniera di con- trastare arrabbiata e incivile anche i trionfi son vergo- gnosi. Ma dove mi conduce il veemenle desiderio di detestare , e se possibil fosse , d’ estirpare cosi brutto costume? Condonisi al mio zelo questo improprio, ma vero e giusto rimprovero. X. E sino a’ tempi di Tiberio si conservarono per le gallerie di Roma i disegni e le bozze di questo ar~ tefiee. Petronio : Protogenis rudimenta cum ipsius natures yeritate certantia } non sine horrore tractavi , cosi inter- 268 POSTILLE ALLA VITA DT PROTOGENE preto questo luogo ; benche vi sia chi s’ ingegni di ti- rarlo a quelle linee, delle quali si lungamente s’e par- lato di sopra. XL Getto anche delle figure di bronzo, sendo stato gtatuario e formatore eccellente. Plinio, 1. 34 c. 8. verso la fine, lo pone fra quegli scultori, i quali feeero di getto atleti, guerrieri armati, • eacciatori e saeerdoti : Protogenes , idem pictura claris- simus } lit dicemus. El. 35. C. 10. Fecit et signa ex cere, lit diximus. Bastiano Corrado nel Comento sopra il Bruto di Cicerone, a 129. Scribit Porphyrio Gram- maticus, ilium decern annis lutum finxisse , se quid velit dicere vix intelligi potest. Nam si Jalysum significat , de septem annis , ut diximus , constat : sin totum Aempus, ad annos quinquaginta et ultra , ut dictum est, pinxit. Di quel cbe dica Porfirio e dove, mi rimetto alia fe= delta del Corrado; ma che lutum fingere si debba o si possa tirare al dipingere, io non lo credo; ed essendo stato Protogene anche scultore, stimerei che eio si do- yesse intendere del far figure e modelli di terra. Senz’altro adunque aggiunger per ora, resti ing^tn- mata e sigillata quest’ Opera da si belle e si preziose notizie. INDICE DELLE YOGI 269 C ITATE DAL VOCABOLARIO DELLA CRUSCA Abbozzamento Bronzo Alternativa Burlare A1 vivo Burlato Ammannimento Amoreggiament© Cancellated Amoreggiare Canna Anelante Cavallino Ansioso; Chiaroscuro A penna Coetaneo Appuntare Cognito Argano Colcato Arrogare Collocazione A sproposit© Condurre Attaccament© Cospicuo Attestare Attitudine Dare il tratto Avorio Dintorno Autrice Dispendiosissimo Avvertiment© Dispostezza Disserrare Barbaramente Bilancia Equivocamente Bozza Erroneamente Brio Fattorino Fiorire Frangia Galleria Goffezza Grandetto Gruppo Impensierito Incrostatura Ingenuila Jnimitabile due volte Intessuto Intonaco Invitatore Latta Lineare Macinatore Mano Miglioranza Mischianza Muliebre Naturaie tre volte . Navicella Nero Opera quattro volte . Originate Oro Perspicacia Pianta Pittura Ponderazione Ponte Positivo Povero Proffilo Proporzione Quadretto Recitatore Regresso Repertorjo Requisite Rincorare Riquadrato Scala Situare Sommita Sottovoce Spiccare Spirale Spoglio Sterro Strappato Stupendamente Succedaneo, Suffragare Surto Tergere Torcolo Tornitore Tratto Tri\iale V edetta Yivo Yocalizzare Zazzera Giunta dell'ediz . napo Melina, I NDIGE tLlogio di Carlo Ruherto Dati ..... pag. i Alla Maesta Cristianissima di Luigi XI Vj, re di Francia e di Navarra » i 5 L’ A lit ore a chi legge 19 Proemio alia Vita di Zeusi ......... 27 Vita di Zeusi . .......... 33 Po stille alia Vita di Zeusi 49 Proemio alia Vita di Parrasio , » 7 5 Vita di Parrasio » 86 Postille alia Vita di Parrasio ...... » 104 Proemio alia Vita di Apelle . . *■ . . . . » 126 Vita di Apelle . » 148 Postille alia Vita di Apelle ...» 167 Proemio alia Vita di Proto gene » 224 Vita di Protogene . . . » 245 Postille alia Vita di Protogene ...... 253 Valla Nuova Societa Tipograjica, in Ditta N. Z. Bettoni e Compagni , 1821 . IN PADOVA DALLA T1POGRAFIA E FONDER! A DELLA MINERVA