"GRANDI RITORNI,, RACCONTI DELLAI SCAPIGLIATURA RACCONTI DELLA ~CA ( O \713 I E (z86o-i9io) A CURA DI EZIO COLOMBO E CARLO LINATI 11 EDIZIONE VALENTINO B 0 M PI A NI MILANO A. XXI II edizione identica alla precedente del 1942 Stampato in Italia Valentino Bompiani ~F% C. Corso di Porta Nuova, 18 - Milano PREFAZIONE La storia di un movimento d'arte o di poesia?cosa sempre ardua a definirsi con precisione, a rilevarsi nelle sue origini esatte e nei suoi svilup-, pi: massime poi se quel movimento, fu regionale." Trascorso il tempo in cui per affinita, di costumi g1i uomini sentirono la vita in quella tat maniera, mutate le mode gli spiriti le condizioni di vita, riesce sempre pi4i difficile cornprendere qua/c fos'se la natu~ra vera di quei vccchi artisti e it perche' operassero in quel modo codi diverso dal nostro e nutrissero, codi diversi sentimenti. Sc questo a vero, per tanti moti d'arte che ebbero luogo in Italia durante il seceoo seorso, lo ~ ancor pi;4 sc ii considera quella piccola rivoluzionie - sentiment ate ed estetica che flammeggic3 in Milano a un di presso dal '6o al '75 e che si vuol chiamare Scapigliatura. Rileggendo una poesia di Emilio Praga a contemplando, un quadro di Tranquillo Cremonase iinostra spirita aderise c si comnpiace a quci lora mando di estra vigoroso c di maliosa tenerezza, a quet mondo di voluettose penombre e di patetiche disperazioni, nello stesso tempo rimane stu 7 pito a considerare come nella nostra lieta ed ope. rosa regione lombarda possano esservi stati uomini che sentissero la vita in quel modo, spesso cosi romanticamente angoscioso. Ancorch6 'poi entro di noi ciascuno senta che proprio quell'angoscia t figlia del nostro suolo, una nostra profonda eredita di lombardi. CosicchU non si pub negare che tutti quegli artisti della Scapigliatura rispecchiarono vividamente nelle opere loro, e senza proporselo, un modo di sentire che era proprio tutto nostro. Ed ecco perchl quasi involontariamente certe strofe di Emilio Praga o di Arrigo Boito, o certi frammenti del Tarchetti destano in noi lombardi echi di nostalgia, ci lasciano nell'anima non so che strano profumo di ieri, che non sapremmo definire. In realta fu quello un momento di felicita espressiva, cosi caldo ed appassionato, come Milano non seppe piu ritrovarne dopo d'allora, e nell'arte e nella poesia. E io mi chiedo se non sia il nostro amore per quei poeti e pittori un rimpianto, un anelito di gente troppo intossicata dall'attivismo verso un mondo di luminosa sincerita e tenerezza. Milano, dopo 1'80, ingrandendosi a furia e accogliendo tra le sue mura una gente nuova e diversa, andra smarrendo sempre pi4 i suoi intimi caratteri per far luogo ad aspetti e forme di un'anonima metropoli: per modo che quei poveri Scapigliati sempre pit diventeranno un pallido ricordo fra le sue mura, e la loro poesia si avviera alle fortune del futurismo e della guerra. Comunque dal momento che un'esemplificazione precisa e succinta di quanto la Scapigliatura ha prodotto non era mai stata tentata finora, for 8 f'anclie per la difficolt2a di trasceglicre ii grano dal loglio, in quei ctairpo in. cui tutto cresccua con tanto impetuoso disordine, ecco, chc Ezio Colombo, uno studioso a coi dobbiamo, molte buone pagine sugli Scapigliati, s'? incaricato, di metter insicrnc que~sta primna antologia della Scapigliatura: con la quale ii lefttr inteliigente, ma per necessity~ di cose non troppo prouveduto, avra~ modo di farsi an' idea abbastanza esatta dcl carattere dei sin goli autori, c6lti nelic loro cose pia' degne di sopravvivere. Certo si ~ ben lungi anche cost' dal prospettare in maniera irrecusabile quc/lo che fosse la natura e ii china di quegli ingegni. Per riuscire a farlo, bisrognerebbe av'er potuto prender parte a quel g~rande vespro, del/a bizzarria lombarda, ma partroppo, nessano di noi a arrivato a tanto. Tattavia an poco aiutandosi con ic con fcssioni c le, note e la lettura dci giornali dcll'cpoca, si pu&, giangere a formari della Scapigliatura un'idea abbastanza t'icina: tanto pig se questa lettara verrdi integrata con qac/la dei brani c dci racconti sceltl dal Colombo nc/la t'asta con genie di tatta la pro-, dazione de//'cpoca: i pid bc//i, I pia' leggibili, Pig' resistenti. Poich6 a questo soprattutto ha mi-, rato, la presente cornpilazione. Scegliere he cose, migliori che possano piacere anche a an lettore d'oggi. Cos Poi si vedrla che se il c/ima degli Scapigliazi era comune, diversi furono, par nella prosa, he insPirazioni, i caratteri, gli estri: che vanno. dal diario pittorico de/ Praga alle aggression'i critich e dcl Rovani, dalle fantasic romantiche dcl Tarchetti al/a linda cornpostezza del racconto di Cami/lo, 9 Boito, dalle nervose astrusita' di Arrigo Boito, noye/hiere, al bozzetto moralistico'di Carlo Dos-si etc. Pu la Scapigliatura, almeno nell'itnagine del popolo,. un vivace cpronunciamento *di pittori, i qua/i, infervorati da/le nuove mode, lavorarono con fresca gagliardia a creare una pittura ch'e foas-' se sore/la pitt genuina della natura e della tierite). Tutti poveri in; canna, ututt ricchiss'mi di entu-siasmo, noi Ii vediamo dimorare per lo pia' in una localitia d'orti e di giardini., situata tra la via della Passione e il Naviglio di Porta Mon forte, detta l'Ortaglia. tLe - come scrive ii Dossi - stradette cam pestri fuori mano, n6 le rotaie n~ i ma~rciapiedi s'erano mai souvenuti di entraresi bene l'erba crescepa: al sicuro e qualche volta si coglievano fiori *. E la) essi avevano i loro poveri studio, dai qua/i partivano pei lora ativenturosi vagabondaggi di f uori porta., in cerca di soggetti e di paesaggi. A questa brigata si venivano salt uariamente mesco/ando poeti e scrittori: -Rovani, il piu' noto di tutti e ch~era., per cost dire, id capociurma, poi il Praga,. pittore lui stesso., poi ii Tarchetti., il Ghislanzoni lecchese, giorna/ista e librettista, Cletto Arrighi, scrittore alla brava e i'nstauratore del Teatro Milanese, il Camerana che veniva da, Torino dot/era magistrato, Giuseppe Grandi, scultore audacissimo, il Ccremona e il Ranzoni, il Boito e il Dossi. Ma quiesta seconda Scapighiatura, del Boito e del Dossi, venuta su da/la prima, pig cosciente, piug seria, pig' itahiana, aveva: gie) perduto l'estro e ii razzente dell'a/tra; quantunque mirasse a creare,, 10' con una certa disciplina., opere solide e di magg-ior respira. Ed ii Dossi coi suoi molti volumi di racconti, di romanzi, di saggi, e il Boito coi suoi bellissimi libretti d'apera o le sue grandi opere in musica furona' buoni maestri di stile per le generazioni venture, creatori di imaginazioni durature e geniali. Milana era a/bora cittta di poca gente e di vita a/la buana: ma gia in crescita. On Milanin. che se sgonfiava, come dicevano i be/li spiriti d'allo~ra. Uscita da/le guerre per /'Indipendenza dove aveva mandato a combattere i suoi fig/i migliori, liberatasi dal seco/are nemica, avviandosi, dopo, ii sessanta ad accettare'la sua posiziane di capitale morale d'Italia, farse risenti ne/la sua rapida espansione i mabanni e le inquietudini de/le crescite subitanee. Nel suo sena una borghesia operosa era, impaziente di riprendere quel fervore di iniziative e di rinnovamenti sociali gita prospettati dal/'Illuminisma del Settecenta e con~ nuova alacrita di traffici e di cammerci s'andava preparando a an avvenire piena di promesse. Nello, stessa ternpo, nonastante la schiavitd soflerta, si era sempre mantenuta centra inte//etuale di prim'ordine, ba cubtura e l'amotre per l'arti e le scienze essendo. con~naturati in lei quanta b'inc/inaziane al buon vivere e a? piacere della mondanitia e della ga/ant eria. NVon solo, ma fra le citta italiane era la pizi all'avan guardia dele made d'o/tralpe, que/la che meglio accaglieva in s6 gl'inf/ussi del/'artc c del/c betterature straniere. Perci3 se da una parks la faga con cui si gitta a? fare, all' aggrandirsi venne comunicandosi anche a quel gruppo di giavani poeti ed artisti che tra be sue mura tentavano vie nuove e ribelli e che IIE una bramosia di ardimenti insoliti incalzava verso i pid coraggiosi eccessi, non pua maravigliare che quei poeti e quegli artisti attingessero in parte i loro spiriti e le loro forme da quella Boheme che aveva furoreggiato a Parigi una diecina d'anni prima e ch'ebbe nel Murger il suo cronista pittoresco e sensibile. Poich, senza voler propriamente affermare ch'essi imitarono quel moto, non si pdu negare che, almeno riguardo a certi atteggiamenti esteriori, a certe stravaganze e modi di vita libera, gli Scapigliati del Sessanta fossero molto dissimili dai Boemi del Quaranta. Se una diferenza vi fu, stette in cio che, a conti fatti, gli Scapigliati produssero, ciascuno a modo suo, sia in pittura che in scultura o in poesia, opere di un certo valore e provocarono avvii a indirizzi d'arti che si ebbero piti coscienziosi in seguito, mentre la Bohgme parigina, tranne il Murger, non emanb astri di gran luce, n6 provoc& movimenti degni di storia. Ci sembra pure che nonostante il loro disordine esteriore, gli Scapigliati operassero sopra un piano di maggior serieta e coscienza e passione vera: che fossero, in conclusione, artisti meglio inspirati. Stravaganti, disordinati lo furono un pb tutti, e cib an p6 per la povert2 rabbiosa in cui versavano e un po perch6 c'era veramente nell'aria del secolo una disperata malattia romantica, un malessere messo di moda dal De Musset e dal Baudelaire che, sentito o falso che fosse, portava fatalmente i giovani verso il compiacimento dell'indisciplina e dello stravizio e perfino al suicidio, come liberta, come beatitudine. E in realta doveva proprio essere una simile devastazione morale che operava sui loro cuori, se si pensa come si diedero morte volontaria alcuni eccellenti fra di loro, 12 qua/i il Camerana, ii Pinclhetti, rWberti, e come ii Cremona a poco, a poco a morte si riducesse avvelenandosi a fuaria di stem perare i colori sul braccio, e che lento saicidico morale sia stato quello di Emilio Praga, attraverso. la po'vertsa, il vagabondaggio, e gli strawizi,. e come il Tarchetti minato dal mal sottile, na//a fece per opporsi a1l saco' lento, micidiale lavorio. Certo, doiveva esserci an mezzo contagio' fra loro, dovettero essi comanicarsi a ticenda quel terribile morbo. Mentre d'altra parte a par vero c/he fa pro prio attraverso quelle disperazioni e quegli eccessi ch'essi raggiansero ii segreto del/'arte, chec arrivarono, a godere la forte letizia del lavoro e dell'imaginare e seppero, crear cose piene, ta/volta, di una ingenua leggiadria e de/icatezza. Altra ragione delle stravaganze degli Scapigliati e dei lora astentati eccessi la si deve vedere nel fatto che~ mostrandosi la borghesia milanese ostile a- quai moti d'artisti, per reazio-ne essi erano, portati ad afirantarla protestando la loro, indipendenza. Poich6 e~ purtroppo, vero ci&" che scrive Pietro Madini nella sua Scapigliatura (<-. II cke, tuttavia, se non fu sempre vero, che alla corte di Lodovico i/ Moro gravitarono i migliori artisti d'Italia, lo fa purtroppo ne/la seconda metai del secolo scorso e al principio'di questo quando, la borghesia fa padrona della citta e me assanse il comando. '3 Quello che ci e' agevole imaginare e~ a an di presso, la vita che gli Scapigliati condacevano ndl/a citta ch'essi amavano invadere del/e lora fob/iec e prodezze. Par di vederlo il Rovani con la sua barbetta a punta e ii cilindro spelacchiato, salle vcntiquattro,, lasciare il portone del/a Biblioteca di Brera, doilera impiegato, e pervenuto passo passo fino, in Piazza del Duomo infti/are la Corsia dei Servi entrar all'Hagy a prendert'i il giornalicro, assenzio, poi mettersi sulla soglia a commentare con gli amici e gli ammiratori l'ultima opera della Scala e prender in giro allegramente le persone che passavano e scoccar ga/ant eria al/c belle signore. Altre vobte /0 vediamo seduto nel cortibe dc//a Noce, a Porta Ticinese. Rovani ~ a una tavo/a circondato, da un eletta schiera di letterati e artisti, qua/i -il Cremona, ii Grandi, ii Ranzoni, il Magni, /'bcrti, e ii Dossi in un canto. Discutono a perdifiato la tanto vagheggiata teoria della f a'sio-ne del/c Tre Arti, nella qua/c il Rovani aveva soprattutto fedeli assertori il Cremona e il Grandi, lo scultore d'audace ingegno, che di quebla teoria dark poi an esempio insigne col monumento al/c Cin que Giornate, pioniere di quella sea/tura pittorica la qua/c trovera la sua espressione a/tima nc//a plastica di Medardo, Rosso. In pittura la teoria rovaniana fu realizzata dal Ranzoni ancor prima che dal Cremona. Nei' pochi ritratti eke il Ranzoni ci ha lasciato appare per /a'prima volta quella morbidezza appassionata di tinte c di tocco, quel gusto musicale degli impasti che con feriranno poi an carattere a tutta /a pittura lombarda e che poi il Cremona fark saoi da gran signore. Ma i/ povero Ranzoni, spirito inquieto, sempre randagio e scontento, non- ebbe '4 molta fortana: condaceva vita solinga, tra Milano e Intra, sao borgo natale, macinandosi i colonl da Si~, e an tentativo ch'egli fece di re-carsi a lavorare e vendere i suoi quadri a Londra essendogli fallito, si chiase in se' stesso, e scoraggiato, cess3 dad dipin gere. Sal Cremona, invece, i biografi St' SOno sbizzarriti largamente, ancorche' rimane per noi un mistero come da una vita cosi' follemente disordinata e burlev6le quale egli condasse, abbia potato ascire ana pittara, cost' soavemente maliosa c delicata e sognante: come da quell'aomo che soleva dipingere nudo con an cilindro in testa, servendosi del suo, braccio come di tavolozza e faggendo alla chetichella da stadio a studio perchi non aveva i danari da pagarsi la pigio'ne, possano, essere fiorite le pagine meravigliose dei Due Cugini, di Melodia, di Olmo ed Edera. Ma qaesto mistero di gentilezza si pac3 dire sia pro prio a tatta la Scapilitra. Uomini che parevan dei satanassi incarnati, degli energameni. dello stravizio e della bestemmia sapevan creare cose di ana delicatezza incomparabile, di ana leggiadria tatta raffinaza ed eterea. Cost' fu ii Tarchetti e cost' il Praga., c/ic ii Boito definiva in quaatro vers:: Praga cerca nel buio una bestemmia Sublime e strana! e intanto muor sui rami La sua ricca vendemmia Di sogni e di ricmi Cremona oltre 'a es'sere"il piti disordinato della compagnia, era <) a quanto aflerma il Dossi. All'esposizioni era an gusto sentirlo, ascire in cariosi frizzi e facezie sui '5 quadri esposti. Un ta/c aveva -esposto an Silvio Pel/ico, allo, Spiqlberg, gittato. a! suolo del carcere, bocconi. La tinta genera/c del, quad/ro era verdognola, il Pe/lico, era livido: tutto un insieme cize metteva nausea. 1/ Cremona battezzo' quel quadro v Gionata vomitato da/la ba/ena ~. Mi/ano a//'ep'oca del/a Scapigliatura era ancora cittsa dalle vie strette, tortuose, fiancheggi ate da casette a/lam panate c gia/lognole, tra le qua/i figurava, tratto tratto, -qua/che bel pa/azzo da/le iinec classiche. Le strade crano se/ciate, col trottatojO in mezzo, e salvo a/ centro, dove la Ga/leria del Men goni non era ancor sorta ad emu/are ii Duomo, in sontuosit2a ed altezza, c dove il Coperto dei Figini e la Corsia dci Servi davano un'aria signorilc in quel punto, della cittsa, il resto aveva an aspetto in tutto modesto, quasi di citta di provincia. Nel centro v'era a'ncora il 'Verzierc dove i/ Porta aveva attinto. la grassa freschezza del xwo linguaggio, e dci SUoi tipi, c fuoni di Porta Orienta/c l'ampio quadrni/atero dcl Lazzaretto, ormai deserto, risvegliava ancora echi di pietta in- chi lo visitasse, nicordando /a celcbre descrizione della peste manzoniana. Oltre la cerchia dci suoi ba.stioni, era cam pagna pura, c boschi e rogge c marcite che d'invcrno racchiudevano la citta' in un assedio di sterminati nebbioni c di nevicate folte, creando tra i suoi abitanti quel piacere dcl raccoglimento domestico e quel gusto del/'intimitia serena che Milano s'ente meglio di, qualunque altra cittia, specie d'inverno, c che il Praga canto cosi deliziosamente: Voglio 1'scio inchilodare, Cantar 1'inverno io vo'!I Come cadenze tremule Di cori in lontananza Belle ridenti tepide Nella tranquilla stanza Tornano le memnorie Del luglio e dell'aprile A colorir lo stile Del pallido, pittor. ii Naivig/io solcava, la citt2~ col suo poetico giro tortuoso, dandole qua e /2~ un aspetto di citto" olandese, coi suoi orti e g'iadini che sfiocca van o dalie b.dau'stre e daii niuriccioli a specchiarsi nelle- sue aicque lutulente, con le sue sostre di pietre, a fior d'acqta e le lobbie e i torrazzi nell'a/to., mentre i barconi neri e bottacciuti passavano lenti, ai raso dele vuie, tirati dci cwavalacci normanni., e spesso recainti, chicisso-se, nel loro. se'no, queule adlegre brigate di bisboccioni che inspircirono, a Cletto Arrighi ici sua famosai commedici El Barchett de B-offalora. Ma cippunto questa vita familiare e raccolta, questa pittoresca modestia d'aspeiti era quella, che con feriva al/a cittc~ fertvore e letlizici. Il caratitere aimbrosiaino, gia' di suci natura proclive ali festeggiare e cii banchettare copioso, meglio, si disponeva cii lepore e a/la galanterial, esplodeva ad ora ad ora nye//a scitirci del Porta o nel gio-lito dei grandi caruevcili cimbrosiani che guidati dci capi scarichi del/cf Scapiglicitura (consule Vespasicino Bignami) icisciaivano poi per giorni lcit nprda: a, funibo-nda baidorici di popolo e davano, lu~ogo, cue piti matte invenzionz. I cagel\ ercino mo/ti, e, i passeggi e i vari ritrovi no~n piti vigilciti dci/l'ossessioncinte polizia austricicc, davano, libero sfogo a que/la na'7 2 - Scaipigliatura rural mattia di popolo e di ricchi. Tutti i teatri erano aperti, dalla Scala a quci Teatro. Milanese che creato da Gletto Arrighi, scrittore umorista e cornmediografo,, diventer~ poil col Ferravilla e con lo Sbodio, ii vero, centro del/'cstrosa co~micita' meneghina. Eu a un di presso in questo paesaggio, che attecchi' la Scapigliatura. Della qua/c a t'oler narrare tutti i conuegni, c i ritrovi e le impres e le macchictte c ic bur/c e ic facezie e le bisbocce e lc malinconie che per piti di un decennio, si stvolsero, tra l'Ostcria del Polpetta in Via Vivaio c l'Ostcria dei Sicogna in Via Mon forte, tra la Noce c la Cazzuo~la, c nelle infinite scam pagnate che avct'an per meta /e osteriole f uor di cittai', non, /a si fin irebbe pia'. Preferisco, riman'dare ii lettore che ne volesse -aver un'idea ad a/cune pagine di Ferdinando Fontana chc -a quei tripudi prese parte o, al libro del Madini Sc apigliatura redatto, su do-, cumenti vivi e di prima man~o. Q uanto a mc, e mi perdoni il lettore sc chiamo, in causa la mia umile persona, sapendo a prova che ii ricordo, persona/c e~ il pi4i efficace in queste evocazioni, debbo, dire che sono ormai vccchio abbastanza per aver conosciuto, di persona qualcuno degli ultimi rappresentanti del/a Scapigliatura c sentito dalla bocca loro, narrare di quell'imprese c di q uei tipi. Uno di, questi fu il pittore Conco~ni, chc fa a?lievot amoroso, dcl Cremona, c be/bo spirito bizzarro quant'altri mai ve ne furono. in Milano. Egli tcncva studio, al/'u/timo~ piano. dcl pa/azzone in Via San Pao/o, dot/~' ora /a Socicta dcl Giardino. Q udio studioi, coilocato entro, una torre e sempre mezzo buio, pareva Tlantro di Astarotte c fra i is qusadri cornpiuti o iniziati, le acqueforti, i manichini, vi si vedevano, le pi4 strambe cose del mondo, tra le qua/i ricordo una corona di gattacci imbalsamati e insecehiti che pendevano, dal soffitto, minacciosa e grottesca, come no-n so che serto infemnale. Lui,' poi, ii pittore con que'lla sua persona curva, agtondata entro una vecchia palandrana scura, con u-n barbone che gli arrivava fino a mezzo il petto come quella dei nani burloni e con un viso veramente da buon Merlino, era l'uomo piti ambrosianamente ameno e ricco, in facezie e barzellette e invenzioni., le qua/i una volta uscite da quella sua gran barba facevano ii giro, degli studi e della citta, con letizia di tutti. Altro, bel soggetto che co~nobbi, avanzo di Scapigliatura, fu ii pittore Campi~ il quale come pittore mediocre, era per& insuperabile nel fare le ombre chinesi sui muri, ma soprattutto, nell'imitare con la parola e col gesto, il discorso di qualche diplo~ma~tico. straniero che fosse capitato, a Milano ed arringasse il popolo. Ma il bello, era che il Campi faceva solo, finta di parlar francese a tedesco o inglese (che no~n conosceva aftatto), e modulava le parole soltanto, con suoni inarticolati e grotteschi che imitavano a maraviglia la parlata del diplomatico. I discorsi del- Campi erano, solitamente il pezzoforte dei Carnovali Ambrosiani. Giunti in Piazza della Scala i earrn camnovaleschi si fermavano, e Campi dall'alto. del primo, imponente in tuba e sti//elius, pronunciava alle turbe la sua ridicola conIcione che le faceva sganasciare dalle risa. Un-'evocazio~ne appassio-nata della Milano d'albora e della Scapigliatura la si ritrova nel capitolo '9 <,Passeggiata per la Mitano dell'Altrj'eri~> di Gian Peieto Lucini net volume L'Ora Topica di Carlo Dossi. Gian Pietro, Lucini., se pure no~n appartenneat 1; Scapigliatura (e' nato net i867 e morto net 1914) per quel suo spirito eccitabite e fantastico, Per esser vissuto a caz'allo, dell'Ottocento e del Novecento e aver co~nosciuti gti uttimi epigoni delta Scapigliatura, ed esser stato tango tempo in intimi rapporti cot Dossi, si pu&' dire che in certo modo ereditasse to, spirito e it clina di quetta stagione. Buon mitanese e dot ato di una eccezionate sensibilita' poetica, mezza sognatrice e mezza sensuale, con quelle sue antenne spirituati di celta-tombardoY rese pizti delicate dat tango amore per la recente letteratara francese e datta matattia che to rese deforme e to fece tanto sof/rire, puo' chiamarsi t'ultimo di quei Settembrizzatori: queilo net cai sangae era rimasto alcunche' dett'ardore e della santa fottlia di giovinezza scatenata che fu 'pro prio di quelta epoca stravagante di sturm und drang mitan ese. Nato da ricca famigtia borghese, votle mettersi subito atta tetteratura e fu poeta, gazzettiere, potemista e fitosofo. Fece anche t'editore e perde' motti sotdi in qaelt'impresa, stampando poi in tin'.edizione tussuosissima La Prima Ora de 1'Academia, che rappresento' per qaei tempi an tentativo, di aadace simbotismo: poi die fu-ori net '95 Gian Pietro da Core, romanzo, verista che si svotge netla cam pagna tombarda. Senonche' troppo diverso e raffinat6 e tetterario non fa coinpreso., e specie in quel momento, sut finire del secolo, in cui it vecchio spirito degli Scapigtiati era decisamente sopraffatto, dalta cazzuota e dat rettifito. 20 Se tuttavia in pittura to, spirito degli Scapigliati continuo) ad a/Jcrmarsi con Mose' Bianchi, coi Gignous, con Mariani e con una buona cornpagnia di paesisti lombardi, sut sa fin'o, at Tosi e at Bernasconi, in poesia st puo' dire che s'arrestasse at Dossi e cii Boito. II Dossi e it Boito condussero, cot Lucini to spirito di Scapigliatura fino, atic sogiue del Novecento~, sino, a quando!, cioe', it yerismo zotiano, ch'ebbe in Italia molti proseliti, e massimo, fra tutti Gio-vanni Verga, poi la grande ifan lara dannunziana sgombreranno it terreno, da ogni suta vestigia. Di Arrigo Boito oramai tanto. se' scritto, e del musico, e del tibrettista. Ricordo di averto co~nosciuto negli attimi anni delta suta vita, atto, magro, imettcn r igido solino bianco, che gli divorava mezzo it viso otivastro, munito~ di grosse tenti: e soprattutto~ ricordo li grande venerazio~ne, a vero dire an po' pacchiana, delta qua/c to circo~ndoe) la cittca per anni ed anni, massimamente a ca-gio-ne det suo Nerone; aspettativa ch'egli si divertiva a deludere ridendosene an poco fra se' med esim~o. Era una natuna d'uomo, scettica, fredda e ~rdegnosa chc amava un suo. vivcr misterioso, c dan giudizi sibiltini. Un ermetico, anche liui, a suo. modo,, cke si dulettava di far stupire la gente con ta perfezione'tecnica e la bizzarria di an venso, di una nina difficile, di an bisticcio, di un'allittenazione: come, ad escmpio, quel verso ch'cra apparso, nel primo Mefistofele, ma che poi -scom parve net seco-ndo: E il gelo era tal Che i baffi stalattitificdvanomisi. ed, alttn del genere. 21 Figura na~bile c cornplessa di Scapigliato., pacta e rimatore squisito, e imprevisto,, dopo il Mefistofele parve che ii sua potere musicale passasse tutto ne/la m-elodia dci suoi versi preziosi., e vi si esaurisse. Nacquc a/bora la leggenda, forse messa in gir, c/al pubblico dc/usa, dall'attcsa dcl Nerone, che il Mefistofele non fosse tutto uscito. dal cervello dcl Boito'. Erano a/bora i tempi, ricordo., in cui cgli abitando in un suc, quartierino, a pianterrena, in Via Montebe/lo, passava la giornata solo0, a/ pianoforte, racchiuso, in un paio. di stanzctte e cob divieto assoluto a chiunque di entr'arvi; e la gente vidvat passava dvniin punta dci picdi, in gran veneraziane. Finalmente, luii morto:, ebbe luo~go la prima dcl Nerone, e ccrto, non fu la rivelazione che ci si attendeva, o quanta meno cosa che nan accrebbe di ma/to la fama dcl musicista: la qua/c rimase soprattutta affidata co-me pocta al Libro dei Versi e a Re orso, come librettista, al magnifica libretto dcl Falstaff e come musico al Mefistofele. Dcl frate/lao di /ui, Cami/lo, si riporta nel presente volume, un bel racconta e un vagabandaggia. Anche cost ui, per lungo tempo insegnante di Architettura Superiore alla Regia Accademia di Belle Arti di Milano, fu un simpatizzante dc/la Scapigliatura Phit che un milite. Architetto di valore, scrisse un ottimo volume sulla storia del Duamo di Milano., e fu uamo- nutrita. di larga do-ttrinai, addentro a//c questioni edi/izic della cittta dave capri cariche impartanti. Ma nient'aflatto ambizioso, amo vagabondare e rimase sempre un Pa' in disparte a/l'ombra del fratella, ancorche' fasse belae ed elegantissima, uoma, e vestisse a/l'inglese e fasse ne//1a sua prasa una certa sbrig/iata e 22 simpatica distinzione. Si pub dire ch'egli appartenesse a quel genere di signori che si dilettarono di in-gegneria e di letteratura nel medesimo tempo, e di cui la Milano del principio di secolo diede t'ari esempi. F soprattutto. uno, eccellente., a tempi PiM recenti, in Luca Beltrami. Anche di questo intelligente ed onesto architetto scrittore conuverrta che Milano, si ricordi 'a suo, tempo. A lui essa deve non solo l'ideazio-ne di alcuni suoi no~bili edifici del ce'ntro., ma., pure gl'illuminati giudizi e consigli ch'egli diede circa la sistemazione urbanistica della citt2a. Oltreche' fu scrittore, egli stesso., assai forbito,, di monografie su monumenti e tiestigia d'arte lombarda, e su problemi storici della nostra regione: se pure non si tvogliono dimenticare certe gustose prosette satiniche ch'egli buttava giiu cosi' in margine alla sua attivitia d'ingegnere e nelle quali amabilmente canzonai-a la cam pagna socialista d'allora, e che piacquero, tanto allorche' apparv'ero: sul Corriere della Sera. Quanto a Carlo, Dossi, meglio, che Scapigliato, v~ero, e pro prio, fu an buon fiancheggiatore. Tanto i due Boito che il Dossi erano, dci signori e come tali non prendevano, parte troppo viva alle, scalmanate imprese dci loro, co~mpagni, ma ii segairono, sempre con simpatia,, con animo, intensamente amico: come forse fece il Camerana che, pur ricoprendo un'alta carica di magistrato a Torino, di quando in quando capitava a Milano a prender parte ai loro ritrovi. ~, scrive il Madini, ~~. Per tornare al Dossi, egli ebbe agio. meglio d'ogni altro di studiare quel mondo, c nulla ve'~ di meg/io per farsene un'idea che leggere le notare/ic dc/Ic sue Note azzurre dov'egli ci descrive le lepide imprese degli Scapigliati e i loro, tipi. II paradosso del Rovani, le fan faronate estetiche di Giuseppe Grandi, le buric ai padro~ni di-casa c i pittoreschi giudizi dcl Cremona, i vagabondaggi dcl Ranzoni, la follia del Faruffini, trot'ano, in lui un cronista delicato e preciso. Le sue simpatie andavano tutte ve'rso que/ manipo/ot di ribc/li, poiche ancor che fosse no-bile di nascita e diplo-matico di carricra, aveva un animo pieno, di rivolta egli pure, e il demone del/a bizzarria gli scampane/lava in corpo,. Da/la Vita di Alberto Pisani a Gocce d'inchiostro, da Amori a Desinenza in A /a prosa dcl Dossi ~ tutto un inno al/a stranezza piti ambrosianamente estrosa, PiM acremcntc e,sulfu.. reamcnte satinica che abbia 'Mai prodotto' la lette.. ratura italiana di tutti i ternpi. E' da chiedersi~ se questo vespro di foili spiriti non abbia lasciato, dictro, di s6 alcun strascico, alcuna continuazione, in ulna citta come Milano che 24 anche pel passato fu un po' sempre la culla dei cenacoli artistici e delle scuole innovatrici. Lasciando in disparte quel piccolo movimento creato dalla Famiglia Artistica e dalla Patriottica e che in certo modo si sforzo di mantenere il tono e il buonumore della Scapigliatura, bisogna confessare che, mutatis mutandis un'afermazione spirituale del genere assai simile a quella delle Scapigliature fu, a quarant'anni di distanza, il Futurismo. Cosi come nacque il Futurismo (il primo Manifesto marinettiano fu del 191o) fu veramente creazione tutta milanese, come io ho tentato dimostrare in una pagina del mio volume Su l'orme di Renzo, avendo avuto occasione allora di seguire da vicino Marinetti, in quelle sue prime e sorprendenti esplosioni e accapigliature. Ancor oggi io vedo il Futurismo avere una grande affinita con la Scapigliatura. Fu anche quella una lieta masnada di giovani poeti, pittori e musicii che si accomunarono per protestare alto certi loro ideali e per combattere una borghesia che non voleva saperne. Da questi contrasti in genere, checche se ne dica, e sempre nato un po' di bene alla citta e, bene o male, l'arte ne ha sempre subito una spinta in avanti. E, a conti fatti, non siamo poi neanche troppo severi verso questa borghesia che non capisce mai nulla. Perche, se ben si pensa, e proprio lei l'involontaria provocatrice di tanti pronunciamenti artistici: proprio lei che con la sua perenne ostilita al nuovo, all'ardito, allo scapigliato, arriva pur sempre a suscitare negli artisti una violenta reazione e una bramosia di battaglie che, in ulti 25 ma analisi, finiscono ad apportare adl'arte.spesp frutti eccellenti. Se ii pubblico borghese pei q'ua/c gli artisti van creando le loro opere, fosse sempre consenziente e inteiligentissimo- approvatore del/c pig' audaci ribellioni, l'artista perderebbe ogni t'igorc cd ardire. E non per nuila Baudelaire tesse nci suoi Salons una giusta lode al grasso borghesc. C~u.o LINAT 26 IN VITO ALL'OTTOCENTO A toccair con mano, che nell'Otto~cento (e, a dir ph'i preciso, da Manz'oni in poi) in Italia la narrativa abbia sporto, le prime radici e quindi - fertilizzata da grand'acque e solleoni - Si sia oltremodo, irrobustital, basterebbe un'occhiata ad un comune libro di letteratura. Pigliano vita e poi consistenza, in quegli anni, le correnti piu'i vanie del ro-manzo. E 1'affermare che noi seguimmo, gli altri nel ricalcare forme e tendenze, e' esatto, fino, ad un certo, punto, che6 se il romanzo storico, e in seguito, quello, naturalistico e psicologico e le prose poetiche (i) ebbero, in altre terre il loro, battesimo, pure in Italia furono dai phi' ripresi, mnodificati e infine svolti con un apporto, di costume e individuazione- del tutto, nostrani. P, vero, che a certe sfilze straniere, di nomi universali, nbi siamo, soliti contrapporre tre etichette ufficiali: Manzoni, Verga, Fogazzaro. Resta pero6 sempre da vedere se e giustificata la nostra dimenticaniza di 'una famiglia narrariva (anzi,1 di parecchie) che, da Manzoni per tutto 1'Ot(1) Per quanto, qui la cronologia tenga una volta tanto le nostre parti, se si raifrontanio le e( Operette morali a) del Leopardi ai (e Petits poe'mes en prose a) del Baudelaire. 29 tocento, lavoro6 con onesta" e vocazione. Se mai un esempio potesse soccorrere, sarebbe lo' Stesso che i nostri nipoti si scordassero, prendendo in esame il tempo no-stro, della foltissima schiera dei nostri <. Poco o nulla nell-a loro, mente rimarrebbe'e, delle due, una: o, s'accontenterebhero di porre sugli altari qualche nome phi' degli altri favorito dalla sorte, o Si ritrarrebbero, crucciosi, convinti d'una- vacuita' repellente. Nell'un caso o nell'altro, ognuno, s'avvede quanto ci scapiterebbero, e i nonni e i nipoti. Sicch6' per il nostro Ottocento narrativo parrebbe ripetuto non a vanvera quel die Enrico Falqui qualche anno fa riferiva alla letteratura niostra contemporanea: ~< (introduzione a <>, Ed. Panorama, 1938). In fondo, noi dovremmo, sentirci legati alla narrativa dell'Ottocento, non perche6 essa oggidi/ soddisfi -,pur attraverso, una lettura generosa - le nostre esigenze estetiche attuali, ma soprattutto, perche6 rivedendo sott'occhio, que-i tentativi, ancorche6 mal riusciti e incompleti, si potrebbe ricono~scervi i germi di tanti nostri raggiungimenti o, deviazioni. Dura tutt'oggi la consuetudine, richiamando, il romanzo nostro, dell'Ottocento, di definirlo imprecisamente non v'anno: da Li' comincia la corsa all'aLbero della cuccagna. Non si vorrebbe qui cadere nell'errore contrario: vale a dire menar troppo i pregi dell'Ottocento, per sminuire - quasi tacitamente - i meriti di certe esperienze del secolo nostro. Sarat bene - per inciso - affermare chiaro (e l'avvertimento e' di proposito volto a quei letterati un poco fegatosi sempre solerti a pescare i compagni in fuori-gioco) che i rivolgiinenti piu' fruttuosi si s0 -no avuti negli anni successivi al i91o. Chi volesse avventurarsi nella letteratura contemporanea e ignorasse il peso ed il dest'ino della < Voce ~>, della <, del (<90 go, di < (quattro niviste tra loro diverse, ma. panoramiche, oltre che vitali, intorno, alle Lettere del nostro' secolo), potrebbe con maggior ricreazione sua ammainare le vele e tirar la barca dei suoi desideri in secco., Ma - come si diceva in apertura - varrebbe p~ur La pena di leggere, dato che gran numero di gente, tutta in certo modo ammnestierata nelle Lettere, 3' con-fessa 'di non averlo fatto (e forse anche pei mancanza dei te'sti, trovabili purtroppo in pochc biblioteche), gran parte dci ~<> - e sonoI phi' - del nostro Ottocento. Da ciascun romanzie. re o. narratore vengono, fuori pagoin~e interessanti e dilettose, e PMi d'una volta s.'offre- il caso d'ar. restarsi per riallacciare pensieri e: scoperte gio~vevoli quanto mai alla comprensione-di tutto ii nostro processo storico-narrativo. Riferimenti minimi, s'intende, con 1'opere nostre di questi gio~rni; e l'avvicinarsi con la pretesa di eccezionali rivel-azioni potrebbe pert qualcuno comportare il rischio di non trovar nulla e capire ancor meno. D'altro canto IlI quadro, narrativo dell'Ottocento e presto fatto. II romanzo storico, primo in ordine di tempo, non rest6" fedele all'interpretazione manzoniana, ma venne corrompendosi fino a dar vita, superata la meta' del secolo, ai romnanzi ultimi di Giuseppe Rovani. Il turgore enfatico del primo tentativo di romanzo sociale (Antonio Ranieri) ebbe la ventura di scendere i phi' bassi scalini delle Lettere, divenendo pasto popolare su. 1'appendici di tutti i giornali. <> di Tommaseo (puo6 servire da spunto a qualcuno oggidi' questa confessione del patriota dalmata: < la faceva tra quei giovani addirittura da signore. S'univano a quest'alito di egocentrismo romantico le zaffate veristiche che venivano, d'Oltralpe. Tutti (almeno quegli artisti die miravano seriamente al1'arte) volevano battere vie nuove: Carducci giovane slera. messo l'armatura, dei Romani antichi per sostenere la causa dei classici; il Prati cercava di rifarsi il palato zuccheroso rileggendosi Virgilio; i primi romanzieri veristi cominciavano a far delle prostitute le donne piii oneste di questo mondo; sulla falsariga dei coloni umanitari e so~-ialistici del. Sue e della Sand caddero le _prime lacrime pe'r le povere orfanelle e per 1'operalie intisichite dal lavoro. In una simile fermentazione d'idee gli Scapigliati trovarono l'atmosfera adatta per tentare di dare scacco matto alla fama e all'immortalita'. Essi entrarono in scena di g-etto, rappresentando un estremismo del quale non smussarono mai un angolo. Li sosteneva la teorica di Novalis, di HO-lderlin dei primi romantici che del sukcosciente, e del. 34 l'<>. Nella breve introduzione erano espressi i caratteri 35 ideali degli ~Scapigliati. Lasciamo dire allo stesso Arrighi: <<... io l'ho chiamata appunto Scapigliatura. La qual. parola prettamente italiana mi res-e abbast~anza bene il concetto di tal'parte di popolazione, cosi' diver'sa dall'altra pei suoi misteri, le sue miserie, i suoi dolori, le sue speranze, i suoi traviamenti, sconosciuti ai ricchi contenti, ai giovani dabbene die battono la strada, maestra della vita, ombreggiata, senza emo~zioni', senza pericoli ~>. E phi' sotto: '<. Nel romanzo po ci si imbatte ad ogni capitolo, in personaggi che ben potrebbero, por tare il nome di Tarchetti., Praga, Boito, ecc. Ecco un esempio: '<<... tutto in lui era contraddizione. Tutto in lui riusciva a formare ii tipo, del giovane condannato alla pena di Tantalo~ del secolo XIX..aveva soprattutto l'umor nero, che gi tormentava 1'esistenza e gli schiantava l'energia del fare, nella disperata conclusione deli': a die scopo,. >~ Dobbiamo trovare una corrispondenza nelle parole stesse dei nostri autori? < (da (); cosi Iginio Ugo Tarchetti traccia ii proprio Profilo rivedendosi specchiato nell'infelice protagonista del suo romanzo. E questi sono versi di Emilio Praga: 36 E a n o m utdr coi secoli E legge e forme e ingegno; Or giganti magnanimi, Or fantocci di legno; Poc'anzi io stesso un angelo, Presto un verme dormente, Una preda del niente., Un uo~m che vanegg I! i quali stanno bene accompagnati a quest'altri di Arrigo Boito: Son luce ed ombra; angelica Far/al/a o. verme immondo, Sono tin caduto che'rubo Dannato a errar sul mondo., O unl demone che sale, A~fiaticando l'ale, Verso un lontano ciel.,LA NARRATIVA DEGLI SCAPIGLIATI Non importa qui documentare quanto la poetica abbia superato in diffusione e notorieta' la narrativa degli Scapigliati. La critica, altalenando naturalmente 1'interessamento, non s'e' mai dimenticata di quei poeti e si pu6' dire che, se gli studi soddisfacenti e impegnativi sono assai pochi, tuttavia doviziosa e' la piovana degli scrittarelli (su giornali e riviste) rievocativi, i qua'li un ricordo - e puranche una certa attenzione - 1'anno sempre tenuto vivo. Perfino nelle antologie scolastiche qua, e I1" spesso s'e' data I'occasione di incontri gioliosi con Pra'ga, Tarchetti, Boito, Ca 37 merana. Ma., alle strette, il disco cantava sempre quella, decina, di poesie... Lcurioso il destino, degli Scapigliati prosatori. Di loro, si tace - o quasi; -e ci6' potrebbe essere inteso come un. inappellabile giudizio, qualora non sorgesse il dubbio - essendo gran parte di- quelle opere perdute sui giornali del tempo o in edizioni oggdi introvabili - che l'assenza di interessamento non ave'sse proprio origine. dalla mancata conoscenza dei testi. Che gli Scapigliati lascino, maggior segno se considerati come poeti, pu6' anche darsi.~ Ad ogni modo e' pur lodevole la loro produzione narrativa. Qui appunto vorrebbe giovare questo libro; e doppiamente. Poiche6 scegliendo racconti e prose non se~ cercato solamente di presentare ii mnegilo di un autore o iA pi6' letterariamente interessante; s'e avuta. la preoccupazione di dat capo e coda a tutti i pezzi riportati, di modo che a] lettore - nei limiti del possibile - derivasse un certo interessamento, magari esteriore, pur sempre utile 4illa conoscenza. E, andando oltre nello scoprire le proprie carte, si vorrebbe che alla fine di questo l ibro restasse in molti iil desiderio di ricercare l'opere complete deghi Scapigliati - o almeno di alcuni di essi. Giova a questo, punto chiederci qual sia - a vol d'u'ccell'o - l'apporto, della narrativa scapigliata al romanzo, nostro. Benche' essi non siano rimasti insensibili a nessuna corrente del tempo, tuttavia, caratterizzarono le proprie opere introducendo, l'~ io~ > personale, frantumando, in tal modo la cqmpattezza del romnanzo storico, e rifiu 38 tando in generale l'obbiettivismo del romanzo, naturalista. Questo principio co-mune risalta, anche se ognuno, d'essi -. apparentemente - Si ritir6 in esperienze personali, usando accorgimenti del tutto diversi e perfino contrastanti. Si prenda il pontefice della Scapigliatura, il Rovani. Parrebbe, a tutta prima, ii pi'i bell'esempio di manzoniano. (e s'intenda pure l'aggettivo nel senso p16 deteriore),, Infatti egli e~ cronologicamente assai in anticipo, sui compagni d'arte. Nato nel i8i8, nel i85 quando gli Scapigliati balbettavano tra l'emozioni d'adolescenza i primin verSi, egli aveva giai un passato di narratore. Oggidi risfoderare i romanzi << Lamberto Malatesta ~>, <, tuttavia sara" giusto dire die anche nei < tutto ci6' (ed e' molto) che a Manzoni si riallaccia, e' di schietta marca esteriore. -Senonch6, Inonostante tutto quel ciarpame addosso, per un lettore scaltrito e paziente, Rovani esce dai < Cento anni >> con un. volto suo., II che, a ragion. veduta, significa presenza di personalita' nuova. Non clamorosa; anzi, per notarla, occorre sgruardo, appuntito e in certo inodo uso alle sfumature. 39 C hi per,i G ento -anni:~ ha rifritto insieme Ma'nzoni e Dumas padre, ha offerto una. formubla pruriginosa di, curi'ositai, ma in fondo vuota di contenuto critico. Si provi il lettore ad aprire il romanzo ciclico non come s'aprirebbe un romanzo storico: non punti l'attenzione su~a sui rivolgimenti d'intreccio ne6 sugli affreschi ambientali, consideri ci6' come pretesto le'tterario; e veda invece se a poco, a poco non si trovi vicino l'ombra dell'autore stesso, che, insieme, lo solleva sulla trama del romanzo ed ogni tanto gli insegna mali-~ ziosamente a sorridere dei casi umani e a scoprire la vanita' dei pupazzi ch'egli sta, sulle sue pagie, movendo. Qui e' il nuovo cli Rovani: disporre'si come pedine i suoi protagonisti, dipingere con tavolozza piena le arcate del tempo, ma esser e in fondo, cosciente che c60 C' un gioco. Rovani per primo non prende sul serio la sua trama, mai con essa Si confonde, sempre le sta a cassetta, e immaginando come egli potrebbe ora esaltare questo personaggio ora. umiliare quest'altro, a suo completo piacimento, gli viene bonariamente il riso alle labbra. Spesso al colmo d'una azione che parrebbe drammatica, l'autore interviene e -con semplicitai allusiva confessa d'initerrompere per passare ad altro argaomento. Si potrebbe pigliare in giro, i personaggi (se non anche il lettore) con pii' evidenza? (<< Se il lettore des'iderasse di tener dietro alla povera contessa, Clelia, p'er conoscere tosto le suerisoluzioni e le conseguenze di esse, noi ci- trovia-, mo nella necessity di non poterla accompagnare, perche6 siamno invitati da. altre persone, per esempio dalla. ballerina Gaudenzi...~) Si constata qui per la prima volta nella narra 40 tiva ottocentesca, 1'intervento dell'autore, nella sua materia. Per cui alla fine il romanzo, nel romanzo storico, e' quello che meno interessa. Si staglia dalla nebbia dell'intreccio la figura, 1' <> e <>. Ma 1'esperienze rimasero a mezzo, ch6' nella sua vita d'artista molto and6' devoluto alla pigrizia. Due figure che alla vita della Scapigliatura recarono contributo generoso, furono Antonio Ghislanzoni e 'Cletto Arrighi. Se qui si facesse una cronistoria letter-aria di quegli anni, allora vivi, se non commoventi, s'alzerebbero i nomi dei due citati e perfino di un altro romanziere (che ebbe fama diffusa, ma che artisticamente e' dagli Scapigliati disgiunto): Salvatore Farina. Palestre ar 4' tistiche -(e quali sacrifici finanziari a tenerle in vita!) come la ~ e la ~, non si possofl0 riaccostare, senza una partecipazione di tutto ii nostro, sentimento. Ma l'~< Abracadabra~> del Ghislanzoni o la ~ o, ~ ecc. dell'Arrighi, sono, romanzi che scivolano, via sulla corteccia del tempo senza lasciare la minima scalfittura. A quei giorni piacquero, ma oggidi, a riprenderli in mano, aiutano, solo ad una constatazione: che nella lettura di libri si dovrebbe saper separare il piacere del gusto contemporaneo; dal piacere eterno, dell'arte. Chi invece porta una nota personale alla narrativa scapigliata e' Emilio Pra'ga. II pittore Praga narra colla tavolozza in mano: ed e' detto' tutto. Poco concesse alla prosa (egli e' il migliore e il phi' copioso, poeta della Scapigliaturla); pure un romanzo, (da poco rimesIso alla luce coi tipi dell'editore Garzanti) ~ offre spunti indicativi sul suo, apporto al pittoricismo narrativo. Egli e' il primo, d'una lunga serie di prosatori (Signorini, Bernasconi, Viani, Bucci, Soffici ecc.) che tentarono di irnmettere nel gioco, della pagina le colorazioni del quadro. Se muove dei personaggi, li contorna, sia pur di sfuggita, d'una natura tutta viva di tinte: ~<... un tappeto di foglie tremolanti copriva i viali: tutti quei fiori pagavano, il. tributo della umana fragilitanon all'uomo, ma alla natura e le loro saline, scomposte e sparpagliate dall'aria, volavano, intorno in vortici odorosi, a somiglianza di farfalle:. non avevo, quasi aperta la finestra, che il pavi'mento della camera ed il letto ne erano, ricoperti i'; e Passando, dalla visione festosa e floreale ad una in 42 quadratura di panorama corrucciato, il tono, si conserva inalterato: (<<... quale spettacolo, mi si ofterse quando, spalancai le imposte L.. Ii cielo, di un grigio, plumbeo ed uniforme, aveva fatto, una discesa sulla terra; esso, nascondeva le cimne dei monti i quali parevano, un altipiano fuggente in una linea retta senza soluzione di continuita' tracciata per il passaggio di an convoglio, ferroviario. Piiui in gi' di quell'immensa coperta bianca, erravano, squarciandosi alle cime arruffate dei pini, alcune nuvole vaporose... fiocchi di soffice cotone dispersi da un ventilabro invisibile >> (da ~<4) Sarebbe anche curio-so stabilire quanto, fosse presente in Emilio Praga ii senso, dell'immagine e della paro-la, nuova ed originale. Egli e'. come pro'. satore, di una ineguaglianza perfin urtante: a pagine molli-e biacco~se, mette all'improvviso, accan'to brani inappuntabili, costruiti e lavorati con freschezza d'intuito, e di gusto. Se lo colpisce un'im,magine, il resto (ii contenuto narrativo) gli cade dalla -memoria; su quella s'appunta. e la sbalza fuori con arditezza ingegnosa. Per questo, la costruzione veramen'te narrativa, per quanto, egli risentendo, influssi baiza'chiani se non zoliani si costringesse in canovacci filamentosi e impiastricciat-i; e in lu'i sempre di interesse secondario. Persuade la narrativa di Praga quando, - al pari d'un diario intimo, - svolge motivi lirici cani all'improvvisazione geniale della. sua sensibilita". Percio6 e lecito dichiarare che in lui la disgregazione del romanzo di mole e' in atto. Da Rovani a Praga, si fa un salto, ch6' pittoricismo, impressionismo, ricerca d'immagini nuove, invadenza delI'`> (tali risultano, i contrassegni sorgivi 43 di E. Praga), son tutti el4ementi die~ traggono, il pensiero a tempi nostri ben phi vicmni. Se da. Rovani poi passiamo a Tarchetti il divar'io, sembra quasi incolmabile. I*4onostante le festose accoglienze fatte ai suoi versi (raccolti poi dall'a'mico Milelli sotto, il titolo di ~), qualora, gli si voglia, riconoscere una. qualche oniginalita', egli deve essere considerato come prosatore. Iniziata. la carriera letterania con un romanzo (~ Paolina. ~) ch' e una scolorita, raccolta. di luoghi comuni romantici, con aliti sociali e tentativi' di ribellione, egli ben presto si volse ad un tip'o di narrazione allora, assolutamente nuova. Anche se il titolo, di romanzo, gli e conservato, non e altro, che una. convulsa confessione di un'anima esasperata. Ormai non e\ phiu ili quadro, d'assieme, la rappresentazione dell'umanita\, che interessa; ~<... sentii il. bisogno, di un isolamento, assoluto,... mi abbandonai a tutte le divagazioni possibili del mio, pensiero; volli smarimicon esso, soillevarmi sul mondo, reale. e obliarlo, rinvenire un compenso nella ricerca costante di q-uelle verita\ die intravedeva come tanti pvunti luminosi nella oscurita\ vasta e profonda, del'la mia. mente ~>. Con Jginio Ugo Tarchetti, per rinnovare l'arte, s'arniva a questo: di chinarsi sulla, propria. amima, auscultare le vibrazioni del subcosciente, co.giiere le phiu labili esperienze e costringrerle sulla, pagina, di romanzo. Se non bastasse, ecco, a conferma. 1' autore stesso: < il Tarchetti affermava: >. Peccato che a tanta novita d'intenti, non corrispondesse una minuziosa cura di prosa. Aveva il Rovani legiferato in materia di arti comparate, di interferenze della pittura e della musica nella prosa, ma il Tarchetti - e da notare - morl a ventotto anni nel I869. Per vedere unito il frammento alla prosa d'arte - come oggi si suol dire - bisognera attendere ancora. Ad ogni modo se il Tarchetti mostro spesso nei suoi romanzi e racconti una prosa confusa, piena di gallicismi e togature arcaiche, non di rado - allo stesso modo di Praga - Dffri brani di bravura. Soprattutto ne << L'innamorato della montagna >, in certe analisi minute assottiglia tanto l'espressione da riuscire a rivelare ['intimo fluire delle sue piu ascose sensazioni. (II brano che qui si riporta colla descrizione della ramera d'osteria puo offrire indicazioni). Giova del Tarchetti, oltre a << Fosca >> (romanzo finito dopo la sua morte da S. Farina) che rappresenta poeticamente la sua vena migliore, ricordare i suoi << Racconti fantastici >>. Li, piu che altrove, e evidente l'influsso di Poe e di Hoffmann. Pure, giacche dovunque si indirizzasse, gli riusciva sempre di raggiungere estremi da altri non roccati (foss'anche in senso negativo), un suo tono personale si manifesta con ardito rilievo. A parte l'eccesso che di frequente sconfina nell'as-;urdo e nel cabalistico, resta qualche cosa di intuto e genialmente afferrato che ben depone a favore della sua umbratile sensibilita. 45 Un breve rac'conto, sopra gli altri- trova spicco: ~<,La lettera U >>. tu'n tentativo d'anatomia psico,logica delle vocali. Con frasi monche e alogiche il Tarchetti schizza le scintille del suo, cervello. Sarebbe davvero tin fram-mento, di pazzia, se non richiamasse il famoso, sonetto, di Arturo Rimbaud: ~>. Basterebbe il richiamo, di Rimbaud (quanto, caro, a certe correnti nostre!) per testimoniare il senso, attuale dell'arte di I. U. Tarchetti. Prima di arrivare a Dossi e a Lucini (gli epigoni, della Scapigliatura, quelli die sconfinano, apertamente nel seminato, del nostro, secolo), sara' utile far notare il contributo narrativo dei fratelli Boito. t, lecita subito una protesta contro il discredito (o, dimenticanza) di cui sono oggetto da parte degli studiosi contemporanei. E passi per Arrigo, che in fondo, e soltanto, occasionalmente narratore, ma per Camillo la trascuratezza pu6' senz'altro, esser presa per insensibilita'. Fu - credo - soltanto, il Pancrazi die di lui e del fratello, si ricord6' nella sua intelligente raccolta di qualche anno fa: ~. E nel critico toscano' doveva esser viva l'impressione dei racconti dell'architetto Boito, se nella notarella antistante -Il brano, riportato confessava: ~< e scrittorie che probabilmente piacerebbe oggi ph'i di ieri (se oggi si leggesse) ~>. Certo Camillo Boito, un poco, come il fratello, alla letteratura s'avvicin6' di sottomano, chM iA suo, tempo migliore lo diede alla critica d'arte (architettura e pittura), limitandosi 46 a lasciare alle Lettere due volumi di racconti e un diario pittorico, dal titolo ~. Vero e' per6' che ai su'oi tempi quelle opere andarono a ruba, e di ~ se ne tirarono sette edizioni e <~ giunse alla quinta; la stessa critica ufficiale (in p~articolare Felice Cameroni) le lodi le gorgheggi6 con insolita cornpiacenza. Anch'egli segue la corrente degli Scapigliati, di Praga, di Tarchetti; ma - avuta la fortuna di vivere intera la vita - and6' pit'i innanz'i di quei due, che la morte aveva stroncati- a ventotto e trentasei anni. Sentf meglio gli influssi di Francia, e, pi-6 die a Zola, rifacendosi al-la yoga, del Bourget, tent6' di ingentilire la sua spinta alla realta' coll'introdurre psicologie da dame di grande albergo. -Ma se si prendono i racconti suoi dell'eta' giovanile (quelli scritti tra il '652'75) allora spunta lo Scapigliato die nel bacio della crestaia sentiva lo scricchiolio dello scheletro e in fondo ad ogni espe, rienza di vita, lo scontento e l'insoddisfazione. Si tocchi 'con mano leggendo il racconto '<. Queste'~ - come s'e' detto - la prima maniera di Camillo Boito, poi le mode vigent-i e gli influssi d'Oltralp-e portgtono, sensibili modifiche. Ma se nella storia della Scapigliatura C. Boito segna l'esaurirsi dell'egocentrismo funereo e. splenetico per un lento acclimatarsi dell'artista all'ambiente esteriore, la sua, prosa ha risonanze e insegnamenti di una certa. validita'. Siano di prova Ile sue ardite - seppur saltuarie - immagini, die sempre denunciano in lui la vigilanza visiva non disgiunta dalla partecipazione del suo sentimento. II colore della natura arricchisce sempre lo sfondo dei suoi 4P7 intrecci' umani; e non di rado egli, soltanto sull'impressione pittorica, ferma la sua attenzione, dando cosi sviluppo a quel genere di diario-taccuino, libro-tavolozza ch'e poi venuto di moda nel secolo nostro. In Camillo Boito inoltre e av-,vertibile il richiamo alla stringatezza del periodo. Non e piu uno scrivere liscio e lemme, inficiato dal purismo accademico; e presente nella sua pagina la coscienza di spezzare lo schema comune per sostituire, attraverso una tecnica nuova, una maggior scioltezza e un piu immediato senso di vita. D'altro tenore dev'essere il discorso per il fratello Arrigo, che i loro racconti non hanno punti di simiglianza. Si pensi subito al carattere della sua poesia: sul verso si arrovello come un incontentabile artefice, tastando metri, rime, combinazioni vocaliche, musicalita, alla ricerca d'una corrispondenza tra il mondo suo interiore e l'espressione poetica. In prosa (tanto poca e frammentaria!) la ricerca forzosa d'una originalita (come sara poi del Dossi) non c'e; pure il suo periodare e molto piu scorrevole di tutti gli altri tipi di scritture scapigliate. Si direbbe - egli il piu classico della brigata - che non tanto alla chiassosita delle parole e degli accorgimenti sintattici tenesse, quanto alla limatura del periodare tradizionale, per portarlo su di un piano di musicalita e finitezza moderne. Ma la novita della narrativa di Arrigo Boito non sta tanto nella prosa o nei contorni fantastici dell'ambientazione; piuttosto nell'impostare il racconto. Entrano a fare da perno i simboli, non facilmente ed ingenuamente individuabili come in certo romanticismo deteriore, adombrati invece 48 Al"fill 3 - Daniele Ranzoni - Conversazione (disegno) particolari 4 - Emilio Gola - Spalla nude con chiaroscuri addirittura intellettualistici, in una atmosfera ricercata e prodotta da un gusto quasi estetizzante. In (< - il. racconto qui riportato - in s6' la trama. sarebbe assurda, e puerile, se i due giocatori di scacchi (un negro, e un. americano) non simboleggiassero con la loro partita la differenza tra il. sangue delle proprie razze. E il Bo-ito, partito tranquillamente da una pedana. normale, man mano, stringe le maglie. della narrazione, le imprime un ritmo serrato e convulso, per poi al colmo dell'ebollizione sanguigna far stramazzare improvvisanmente a terra ii corpo del suo racconto, disciolto in una conclusione inaspettata e tragica, ma per nulla. illogica. Tutto l'interesse e' concentrato su un alfiere nero die, rottosi all'inizio della partita, ebbe ii capo inceralaccato sul collo. Ma sulla macchia rossa. che stria ii, nero della pedina, ii Boito fa fissare e quindi vorticare le menti dei due giocatori. Ne risulta qualche cosa di spasmodico, che alla narrazione da' un fremito, mnusitato davvero in quei lontanil anni deli' '8oo. E passiamo a Carlo Dossi. Quest'e' una massima tolta dalle ~. La confessione d'essere dei frammentisti - come gia' nel Tarchetti - risuona chiara. Ma per vedere come lo scrittore di Zenevredo sia nuovo veramente e faccia fare un baizo alla, nostra storia, si esamini mninutamente ii contenuto prima, la sua. prosa poi. Tutto ii Dossi e' gia' nei' due primi libri: < e ~. Poiche6, questi due libri, del romanzo non hanno, ne6 fiato, ne6 andamento, e neppure impalcatura esteriore. 49 A II Dossi il gomnitolo, della trama, lo tiene in mano svogliato, irrequieto; e, quando gli pare, lo getta senza troppi complimenti e si da' a raccontar dell'altro: storielle, volatine, capricci die col romanzo, non hanno, nulla a vedere. P, da notare per6' che in questi primi lav'ori il Dossi risente - per il contenuto, - l'influsso della' sua scuola. Non plu' romanzo storico, ma breve divagazione autobiografica. Questa era la norma di tutti gli Scapigliati. E il Dossi la segue tanto, bene da diventar phiu che insincero,, lezioso. La fine della (< col giovane che~ si -u~cide sul cadavere dell'amata dopo un macabro e disgustoso, i-ito nuziale, e tolta di sana pianta da un racconto, di 1. U. Tarchetti: <, apparso la prima volta nella << Strenna, Italiana~> del 1867 e poi nel volume di racconti < del i868. Passando gli anni questa morbosita' alla Werther, alla Ortis, alla Rene ando6 smussandosi, prendendo phiu dello, scettico e del s~atirico, che non Idel patetico o del luguibre. Resto6 sempre, degli antichi compagni, l'inquietudine, e s'ampli6 vieppin' il dossiano, equilibrismo. Diventa lo scrittore, ogni giorno, che passa, un folletto. intento, dietro, gli scuri della propria coscie'nza, a notare i phi' lievi brividi o, scotimenti della sua sensibilita'. Oppure s'accovaccia nel folto, della natura a imprimersi nelle pupille la tavolozza della vita esteriore. Continua in lui il dissidio, del decadente e dell'impressionista che passa dall'auscultazione osichica alla spennellata di rosso. Un, temperamento siffatto non pote6 mai giungere a forma di romanzo tradizionalmente iconcepita, anche se nel 1874 con < tent6' di superare se stesso, con u~n romanzo. a tesi. La con 50 cezione era vasta, ma il romanzo in pratica si sbriciolo6 a seguir le avventure singole di molti deportati, che in un'isola de-,erta credevano di ritrovar la felicitai primitia. E pOi Si prendano tutte le altre opere. Da <, da ~ a ~si assiste ad una continua pellicola fatta di tanti cortimetraggi. Non c'e' mai un forte filo conduttore che guidi la materia tumultuante. Dove invece il Dossi batte tutti in gran volata, e nella prosa. Egli s'abbandon6N interamente alla propria inclinazione, appartandosi dal mare dello, scrivere comurie. I cardini del suo rinnovamento poggiano su due elementi: ii dialetto e ii latino. A scorrere le sue tuagine, si vede che tutto quello ch'egli escog'ita non e" sempre oro, di zecchino,, pure sembra di rinfrescarsi. A prima lettura, si dura tatica a seguire il suo periodare e - di frequente - ci si arres-ta come su'un cammino disagevole. Presa confidenza con la sua sintassi (e perfino; con la 'sua punteggiatura), l'accostamento diventa grato e amichevole, che6 subito eN avvertibilissimo l'apporto dei suoi ritrovati. Un linguista che oggidi' si ponesse all'analisi della prosa di un Carlo Emiho Gadda (faccio ques-to nome anche perch6' il linguista c'e" giai stato), frutti equivalenti, se non superiori, ritrarrebbe mettendo mano ai volumi di Carlo Dossi. Un poco tutti i letterati che alla prosa sentono attaccamento, coglierebbero qualche cosa di nuovo rileggendo il. Dossi, poiche6 e chiaro che tutta la sua novita' non e'ancora stata esaurita. Resta da ultimo - an poco dagli altri staccato - Gian Pietro Lucini, continuatore del Dossi e, in genere, di tutta la Scapigliatura. Avrehbe trovato pan per i suoi denti, se il de 5' stino gli avesse concesso di bivaccare nelle soffitte di 1. U. Tarchetti e di Emilio Praga. A pescar nel bulicame dell'arte nuova ii Lucini ci sa-rebbe stato da mane a sera, pur di rinvenire una pagina da. sgomentare Ai pubblico comune. Giunse in ritardo; ma ii tempo sottrattogli dal destino egli voile riguadagnare riempiendosi le tasche. di castagnole e saltando nel bel mezzo del nostro Parnaso a far gran chiasso. Figura estre mi'sta, di punta, esposta a tutte le offese e le stoccate. Avventuratosi in tale impresa, la sua opera narrativa p-erd6' la nervatura necessaria e s'ische'letri tanto da essere sopraffatta - anche nella stesura. esteriore - dall'opera, critica e polemica. Si sa come Lucini abbia ammirato Carlo DosSi, ed anche in arte - nono-stante ii compiaciuto accostamento a certi poeti maledetti - una affinita' fra. i nostri due esiste. Soprattutto in fatto, di prosa. S'e visto le me'te raggiunte dal Dossi. A continuar per quella via cosi' difficile, occorreva una, vera preparazione glottologica. E poi con tutta la linguistica, con tutti i neologismi e gli arcaismi di questo mondo, c'era il pericolo di divenire un topo da vocabolario; e nulla pii'i. E ii Lucini che rinfacciava, ai chierichetti manzoniani la mollica stantia, del loro, cervello, non voleva correre il rischio di vedere ii pr-oprio ricoprirsi d'un velo di muffa. Tanto pii'i ch'egli sognava futuristicamnente l'originalita'. Fu cosi' die il Lucini, invece di seguire la stravagante ma curatissima prosa di Carlo Dossi, si abbandon6\ ad una pigiatura lessicale -degna talvolta di -un pazzo volante. Giovanni Papini dette in proposito un giudi52 zio che a qualcuno dispiacque, ma che in fondo ha tutte le parvenze del vero,: <<(G. P. Lucini) fini' la sua, vita tra un mortaretto, futurista, una. presa di tabacco greco e un ringorgo, di acidita' pettegolaia ~. Questa mistura cosi' drogata egli beveva quotidianamente, per tener vivi i lampeggiamenti delI'originalita'. Certo le stranezze senza, freno, risultano, phi' evidenti nella. sua. poesia; la prosa,~ pur essendo sempre luciniana., e degna di maggior interessamento, giacch6' porge l'esempio, per dimostrare orrnai ricongiunta la Scapigliatura, con l'e&a contemporanea. P, bene a questo, punto citare il raifronto tra la prosa del Dossi e del Lucini che Camillo Pellizzi ci offre nelle 'sue (<: ~t..la sua (di Lucini) lingua sviluppa e sforza e conduce al paradosso, quella tendenza analifica, che era gia' stata del Dossi, ma, che nel Dossi aveva, trovato maggior vigore d'ispirazione e forse un gusto letterario, phi' sicuro.> In fondo, anche se succintamente., il Pellizzi dice giusto. Solamente ii Lucini mancando dell'ispirazio-ne e del gusto letterario, del Dossi, non segufil le esperienze del predecessore, capillarizzandone le tendenze analitiche fino, a insabbiarsi nlparadosso. Scrittori ph paadossali - linguisticamente - di Dossi, e' difficile incontrarne e in quelle secche in cui il Pellizzi inunagina arenato, il Lucini, fini' e si concluse proprio, l'avventura letteraria. dell'autore di <. Se ii Lucini avesse insistito, in quella frenesia. analitica di ricerche glottologiche, sintattiche, fonetiche e perfino, grafiche, sarebbe giunto al risultato di scrive 53 rc i libri solo per s6. Altro che i poeti provenzali del < Invece il. Lucini, temperamento pi(6 esteriore del Dossi, ricerc' 1' originalita' narrativa nelle espressioni-razzo, o parole-lampo, che mettessero, in beccheggio, la vista 'del lettore. Fortunatamente questa tendenza futurista yeniva nelle sue prose di romanzo attenuata dall.'esperienze pittoriche e poetiche giat convalidate e dalla prosa di Emilio Praga e da quella giovanile del Dossi e dei fratelli Boito. Cosicche6 non e" raro il. caso, di trovare in Lucini una descrizione paesistica che nulla invidierebbe a quelle per esempio, (e l'accostamento e" del tutto, casuale) di Ardengo Soffici. Qui si ritrova il Lucini" migliore, ii, Lucini modemno che riassume l'esperienze dei compagni e avvia le nuove correnti del secolo, ad una narrativa phi' sorvegyliata. Tuttavia, anche nelle descrizioni paesistiche, talvolta egli smagrA o arrocco, troppo, ii giro della sua sintas-si. Osservate questo brano. ~. La prima parte corre spedita; la seconda invece risulta tozza, tanto ripiena, di participi passati. I quali non solo disturbano, l'armonia del periodo, ma ne rendono, - a prima vista - confusa, e problematica l'interpretazione. E a dir vero quci < e (< latinamente preposti come ablativi assoluti, sono, trovata ph stucchevole die originale. II Lucini di 54 questi armeggii di lingua si divertiva e ne appioppava uno ad ogni scantonar di pagina, come i'n questo secondo, esempio: <<... Come entrava, il rustico uditorio, un mormorio e un bisbiglio sorgegevan-o quasi che rispettosamente Si parlasse in co~spetto degli altari: ora, su per la volta si' spandeva un acre odore di fimo, con un sito di tele rozze tinte in azzurro, qualche cosa di caprino, e d'irritante, profumo uscito da cose unte, mescolato all'ampia fumigosita' dei lumi a petrolio~,>. Anche qui nella seconda parte del periodo, quell'accantonar pezzo su, pezzo,, tra virgola e virgo-la, senza nessun legame sintattico, fa dell'intero costrutto un dilagare di impressioni percettibili a senso e nulla piii'. Va notato per6' die il Lucini', pur rompendo l'armonia e la logica della nostra prosa, dava, col suo esempio alimento agli esperimenti phi' arditi della nuova generazione di prosatori. Insegnava, a forgiare la materia m~alleabile della. lingua liberamente, in modo da piegarla' alle phi' arabescate scorribande. Questa era la novita' che egli aveva raggiunto, facendo suoi i rivolgimenti, le innovazioni e i tentativi di tutta la scuola della Scapigliatura. La quale, se abbia o no ii diritto ad un riesame per un quadro phi' cosciente della nostra storia narrativa, lo vedra' il lettore da quanto gli yeniamo ora mettendo sott'occbio. Ezio COLOMBO. 55 GIUSEPPE ROVANI Tumultuosa vita quella del Rovani (anche se fra gli Scapigliati vi fu chi, in tal senso, lo super'). Nato a Milano Ai 12 gennaio 1 8 18, trascor'se gli anni della fanciullezza e delI'adolescenza appartato negli affetti (incolto il padre, aspra e gelida la macire). Fattasi una sua nutrita cultura, soprattutto con amore profondo alla lettura,- divenne istitutore in casa di nobili; ma usci p~resto all'aria aperta, volontario, nell'ora pi& bella del nostro Risorgimento (1848-49). Spentasi la ventata rivoluzionaria, non gli rest6 che la Svizzera; e' a Lugano p~oti in qualche modo riassettare i panni suoi riuscendo perfino a costruirsi una famiglia. Rientrato poi a Milano gli fu possibile riprendere un modesto impiego ed entrare quale collaboratore nella ((Gazzetta Ufficiale x) di Milano. Grandi dolori per6 lo aspettavano e per la fanmiglyia e per aver scritto un incauto, elogio all'imperatore d'Austria. Dell'affetto della sua famiglia non gli rimase pressoch6 pifi nulla e dellraltra avventura un amaro tormentoso rim~orso, che il tempo mai placb' e gli avversari tennero con compiacenza semipre acceso. Da qui forse deriv6 la sregolata corsa all'alcole. Somato critico, oltrechi romanziere, ebbe in suo jpugno l'ambiente letterario nilianese per phi.i d'una stagione. Moni a Milano il 27 gennaio 1874. BIBLIOGRAFIA (1): Lamnberto Malatesta, Ed. Ferrario, Milano, 1843; Valenzia C'andiano, Ed. Ferrario, Milano, 1844; Man fredo Paflavicino, Ed. Ferrario, Milano,.1845 - 46; Cento anni, apparso dapprima nella (eGazzetta Ufficiale )), Milano, dal 31 dicembre 1856, in volume:. ed. Rechiedei, Milano, 1868 (altre edizioni: Alip-randi, Milano; Ist. Editoriale, Milano, 1915; Treves, Milano, 1922; Rizzoli, Milano, 1934); La Libia d'oro, Ed. Redaelli, Milano, 1868; La giovinezza di Giulio Cesare, Ed. Legros, Milano, 1873. Importante ii suo volume di critica: Le tre arti, Milano, 1874. (1) S'avverte qui una volta per tutte che nelle brevi note bibliografiche e' fatto cenno soltanto delle opere in prosa di contenuto narrativo. FOSCOLO A MILANO Sorse il giorno della caccia: al mattino di quel giorno, dal palazzo di corte, da quasi tutti i palazzi della citta uscivano le carrozze col tiro a sei, col tiro a quattro, col tiro a due; uscivano a cavallo i giovinotti ufficiali e non ufficiali, in costumi strani, cosidetti alla cacciatora, come allora portava il Corriere delle Dame del Lattanzi; il poeta Monti sorse anch'egli mattutino, e venne a pigliarlo la carrozza del conte Paradisi; il Foscolo, che allora corteggiava la contessa A..., galoppo a cavallo in soprabito di panno verdolino con pantaloni di casimiro color piombo e stivali a trombini. La contessa A..., bellissima fra le belle, aveva molto spirito, molto ingegno, molta coltura (parlava quattro lingue); era buona, generosa e affabile; costituiva insomma il complesso rarissimo di egregie qualita; ma tutte parevano sfasciarsi sotto all'uragano di un difetto solo. Ella faceva dell'amore 'unico passatempo; ma un passatempo tumultuoso, fremebondo, irrequieto; ne occorre dire che quell'amore era parente di quello rimasto nudo in Grecia e nudo in Roma, come disse Foscolo; e che, mancando di un candido velo, non 59 era stato. meritevole di riposare in grembo a Venere celeste. Ma Foscolo, nonostante. la sua poetica distinzione, si trov6' un bel giorno avvolto e impigliato nell'ampia rete che la contessa teneva sempre immersa nella grande peschiera della capitale lomnbarda.I Ii lettore non pu6' imnmaginarsi quanti belli e cani giovinetti si trovarono a sbatter le pinne convulse in quella rete ognora protesa; giovani cari e belli, e, di6 che fu ii danno, senza punto d'esperienza, che- pigliando fieramente, in sul serio le- care lusinghe di quella sirena, ebbero, poi a subire disinganni orridi e desolazioni lipemaniache! Ma non solo i giovinetti di prima cottura, non" solo i paperi innocenti del ruscelletto; ma frolli don Giovanni, stati phi' volte' immersi nel flume Lete; ma grossi topi veterani del Seveso., dovettero sovente parer novizj al contatto maliardo di quella donna. Colei, lo ripetiamo, 'non era cattiva, ma nel'suo intelletto e nel suo cuore non era mai penetrata l'idea della costanza in amore. Ne6 e a credere che non amasse; amava assai, amava ardentemente; e nei primi istanti che le entrava nel sangue.la scintila incendiaria, ella non aveva pace, e si struggeva flnche6 non avesse potuto accostare l'oggetto de' suoi desiderj. Ma un amante nelle sue mani non era ne plu net meno di un cappone messo, in sul piatto di un ghiotto. In pochi momenti non nimanevano che le ossa, e la fame chiedeva tosto altro cibo. Povero, Foscolo!I indarno ti stettero, intorno le sante muse Del mortale Pensiero animatrici. Ad ogni modo, quella contessa, sebbene fosse cosi eccezionairnente volubile e cangiasse gli aman 6o ti come i guanti e le scarpe, aveva per6 le sue predilezioni. Nella lunga sfilata dei suoi adoratori, ella si rammentava di taluno che davvero amo, e che forse avrebbe voluto aver sempre seco, sotto condizione per altro che si adattasse ai capricci suoi, e chiudesse un occhio quando ella sorrideva agli altri. Com'e naturale, non trovo mai nessuno che si acconciasse a codesto patto. Ella era tanto bella e cara e seducente, e nel periodo acuto del suo inaamoramento faceva provare tali estasi a chi ne era il passeggiero oggetto, che questi subiva tosto quella passione acuta che non soffre commensali alla medesima tavola. Ognuno voleva essere il solo possessore di quel caro bene. Ma il caro bene non volendo vincoli di sorta, e dando accademia d'amore, come la si darebbe di poesia estemporanea, metteva tosto alla porta i pretendenti che ambivano un trono assoluto, ed erano avversissimi alla monarchia mista. Ugo Foscolo, che aveva una predilezione particolare pei grandi occhi lucenti, guard6 spesso in teatro colei, che in vero ne possedeva un pajo di primissima qualita. Egli, sentendo sparlare di quella divinita volubile da coloro che erano stati e trionfatori e vittime, ne assunse spesso la difesa con quella sua eloquenza procellosa e invadente, fatta di sentimenti e d'erudizione classica. Tuonava in favore del genere di vita ch'ella conduceva, e la raffrontava alla greca Aspasia, che diede lezioni d'amore a Socrate. La contessa seppe di quelle arringhe di Foscolo, e come donna di vivacissimo ingegno e di molta coltura, essendo innamorata dell'Ortis e dei Sepolcri e dell'Ode per la Pallavicini, un giorno scrisse un letterino a Foscolo, pregandolo a passare da lei. Foscolo ci ando; le prime parole che la contessa, gli rivolse, appena esso comparve sulla soglia. del gabinetto, furo-no precisamente queste: (<. Certamente che' una dichiarazione cosi esplicita. e phiu che audace, fatta da donna, ad un. uomo, era un. fatto che doveva peggiorare il concetto ch'altri potesse avere di lei, e anche a Foscolo avrebbe dovuto non far buona impressione. Ma se avrebbe dovuto., non lo fu. Con quell'animo ardente di Ugo, con quel temperamento in esaltazione, con quell'-entusiasmo per la bellezza, con q-uel naturale orgoglio che& gli fece tosto trovar spiegabile e giusto quella specie di privilegio in cui la contessa costituiva. lui solo a petto di tanti; alle lusinghiere parole della contessa, ei Si senti' di punto in bianco preso d'amore; uno di quegli amori roventi che lasciano segno, e solco e piaga. Poucro Foscolo! Quando ci fu la caccia a Lainate, gia\ da quasi un mese era egli l'assiduo cavalier servente della A..., e mn quel tempo non. era mai comparsa nessuia. nube ad intorbidare q'uel nuovo cielo in cuii la procellosa ani-ma, di lui eras~i rasserenata. La contessa. in sul principio senti' l'orgoglio di avere nel proprio dominio, quella fiera generos-a e indomita; si compiacque di quei tet-a~-ti3.te, che per lei riuscivano una rivelazione. I dialo-ghi erano yeni capolavori di eloquenza, di poesia, di sentimento. 62 ftfacile immaginarlo. Se Foscolo, non aveva quella che comunemente si chiama bellezza; anzi, al-' lorch6' stava- immobile e taciturno, poteva sembrare passabilmente brutto all~e ragazze che prediligono, ii bel nasino e i mustacchietti; assumeva, per dir cosi', una bellezza transitoria, allorche6 animavasi, la quale gli derivava dal raggio dell'intelletto che gli balenava tra ciglio e ciglio; oltreche6 era ancor giovane d'anni e ben costrutto di membra, e una selva, pittoresca, di capelli fulvi e inanellati gli comunicava un aspetto, poeticamente sel-.vaggio, che lo faceva diverso, da. tutti gli altri. Lungo, lo stradale egli galopp6' accanto, al carrozzino della contessa. Altri cavalieri avrebbero assai volontieri fatto, corteggio a lei; ma dal giorno che Foscolo fu in carica, nessuno phi' oso6 accostarsi, p-erche6 era nota l'indole del poeta soldato, e il suo, coraggio e le sue furie e la storia dei duelli, ne' quali a' suoi avversarj non era mai riuscito, di ferirlo. Tra via furono, raggiunti dalle carrozze del vicere', che salut6 cortesemente la contessa, e non rispose al saluto, di Foscolo. Di II a poco, pas-. so la carrozza, della contessa Aquila. Ii conte la seguiva a cavallo, insieme con altri suoi amici. La contessina Aquila e la A... si salutarono gentilmente nell'avvicinarsi delle carrozze. Quando, la A... torno6 ad esser sola con Foscolo: -Conoscete voi la contessina? - gli disse. -Non la conosco, ma la vidi phi' volte, e mi piace, e' mi commove la sua santa virti.. -Siete tanto, devoto dei santi? -Ammiratore,. non devoto. Quella donna non mi farebbe mai impazzire d'amore; ma la onoro, e l'ammiro, e sento -una pieta' profondissima quand'odo a dire che il, marito la tiene in do 63 minio di tiran-nia. Essa mi fa pieta' anche per-ch mi son fitto in testa che sia 'una di quelle creature nate sotto alla cattiva stella! Cosi' parlava Foscolo, -ed era cosi difatto; chi avrebbe pensato allora die persino, la generosa pieta' dell'autore dei Sepokiri doveva riuscire a danno, di lei? La -caccia era incominciata fin dall'alba. Anzi i cacciatori entusiasti, della. specie di coloro che opprimono, gli amici obbligandoli a star sempre in ascolto di racconti venatori, e darebbero, dei punti ad Es-ait, pronti a cedere un regno, per una starna, s'erano trovati sul posto che era notte ancora. Pero6 quando i personaggi di nostra. cono-, scenza arrivarono a Lainate,-giunsero phi' in tempo per far colazione die per empire il carnajo. Tra questi personaggi non si poteva defraudare ii primato al conte Paradisi, a Vincenzo Monti, al librettista legulejo Anelli, e ad altri dell'inclita classe d-ei Jetterati, che il duca Litta. soleva invitar sempre. In quanto al vicere6 ed ai giovani ufficiali del suo, stato-maggiore, sebbene sentissero, l'obbligo di fare entro la giornata. la loro, mezza dozz-ina di fucilate, avevano altro, per la testa. Essi erano cacciatori in ogni modo; ma cacciatori di cacciatrici. Lc phi' eleganti e desiderate di queste, dalle carrozze passarono sulle selle inforcate dei leardi phi o meno, docili 'ed ammaestrati, die il duca Litta aveva fatto loro, apprestare. Cosi, venne preparandosi una. cavalcata, che poteva assomigliare a qualcuna delle phi' pittoresche del miedio evo. Dopo qualche tempo la scbhie' 64 5 - Daniele Ranzoni - Giovinetta malata 6 - Daniele Ranzoni - Testina di bimbo (eollez. ing. Viil, ra, che era numerosa, comincio6 a scomporsi a divider i, a sciogyliersi in varj gruppi di otto, di sci, di quattro... Dopo qualche tempo ancora si pot6/ notare che non v'erano plu gruppi ma coppie, e che taluna di queste cop~pie, a scoprir n-uovo terreno e a yeder nuovi accidenti di prospettive, s'era sbandata senza domandare il permesso a nessuno. Ii vicer6c per lungo tratto di via s'era sempre intrattenuto a- parlare col ciambellano marchese conte- Pallavicini; poi a un certo punto, come s~e foss~e per caso, si port6' di slancio vicino al conte Aquila. La contessina Amiaia, che cavalcava anch'essa, erasi dilungata di tanto quanto misura un cavallo, perch6' un suo fratello l'aveva soffermata. per racconciarle la staffa. Ii vicere6 diss~e una parola di cornplimento al conte, e fece fare nello stesso tempo al cavallo due o tre impennate, che lo portarono in-nanzi d'un gran tratto e si volse co-me ad attendere il conte; il quale, sebbe-ne di malavoglia, si trovo6 costretto a Portarsegli di fianco. Co-si 1'uno' e 1'altro si trov-arono lontani della schiera comune. - Giacch6' i cavalli, - disse allora il vic'ere6 al conte Aquila, - ci han tratti fin qui, assecondiaino, il loro capriccio, e teniamoci un po' in disparte dagli altri. Ii conte non rispose, perche6 non comprese. Beauharnais mise allora il c-avallo a un trottino sollecito, che costrinse il conte a far lo stesso,. Cosl in pochi secondi furono fuori affatto, della vista altrui, e si trovarono in solitudine perfetta.-Perdonate-, signor conte, se vi ho, tratto fin qui. Ii conte volse al vicere6 uno sguardo, in cui la;orpresa non bastava ad ammorbidire l'orgoglio, e 65 5 - Scapigliatura un non'so, che di sdegnosamnente imperioso, Oa far dubitare chi dei due folsse di vicere' Questi continuava: - Sapete, signor cuiite, perch6' oggi ii duca Littt hla dato, questa c'accia? -No. - rispose, asciutto il conte. -Perche' io ne l'ho pregatot, - soggiunse ii vicere'. II conte fece un movimento lieve colic spalle, quasi pensasse: E che m'importa? -E sapete perch6 l'o, pregato, e a qual condizione? 1I conte taceva. -L'ho pregato, perch6' desideravo di trovarmi con voi; e la condizione fu appunto che egli facesse di tutto perche6 voi non mancaste. Mi rincresce che la illustrissima signora contessa abbia dovuto aifrontar 1'aria del mattin-o; ma io, credevo che aveste a venir solo. 11 conte capiva sempre. meno; fermo6 uno, sguardo acuto sulla faccia del vicer6', e nel punto, stesso, per un movimento, spontaneo, ferm6 O ii cavallo. Beauharnais fece altrettanto, mentre continuava: -, precisamente cosi, caro, signor conte. Egli e'da qualche tempo ch'io doveva parlarvi. Voi siete stato, un mese fa il soggetto interessante di un lungo dialogo tra me e 1'impe-ratore, che dur6' phu'i di due ore.I 11II conte, sebbene non amasse l'imperatore e tenesse in basso canto, il vicere6, provo6 a quelle parole una soddisfazione d'orgoglio, die non aveva mai provato, in tutta la vita. La sua faccia si color6,' la circolazione del sangue gli si acceler6\. 66 Per cagion. vostra. ho dovu-to sentir dei rim-, proveni da Sua Maesta. -Per cagion mia? Vi ripeto le sue parole testuali: ~ - L'imperatore mi diss~e precisamente cosi. Io risposi che non glie ne ho mai parlato perche6 sarebbe stato inutile, e gli toccai del tenore della vostra vita e dell'olstinazione a tenervi in disparte da ogni pubblico ufficio. - So anche questo, - mi replic6" allora l'imperatore, - e ne so anche la ragione, aggiunse. Ditegli adunque che egli giri uno sguardo per tutto l'impero e tutto il regno; consideri i seggi pID difficili, e ne scelga uno. Questo ebb'io l'incarico di riferirvi. Gli odj e le antipatie bene spesso non sono altro che una conseguenza dell'amor proprio offeso. L'uomo che e" avido, della stima. altrui, sente un'avversione invincibile per clii egli sospetta non ne abbia punto per lui. Quando uno dice: quel tale nmi e' orribilmente antipatico, e non so il perch6/; non gli credete; il perche' lo sa benissimo; egli teme che colui non lo tenga in quel conto a cui egli aspira. Ma. in conseguenza di cio6 appunto, se per caso quel tale, contro 1'aspettazione, si fa innanzi con degli attestati di grande considerazione, l'antipatia scompare di colpo, e si converte nel suo contrario. Ecco perch6' soventi volte vediamo diventare amicissimi due die si scansavano. per antipatia. Dopo t-utto, non e' facile dar l'idea della repentina trasformazione die avve'nne non solo in tutti i pensieri, ma, quasi diremmo, nello stesso carattere del conte Aquila, durante lo strano col 67 loquio avuto col vicere. I1 suo orgoglio non fu mai cosi appagato, lusingato, gonfiato, come in quel giorno. Quello fu per lui il piu grande dei suoi trionfi; fil un trionfo inatteso, che lo mise sossopra tutto quanto. Fece 1'effetto di quei poderosi agenti chimici che improvvisamente decompongono e snaturano una sostanza. Nulla pero ne traspari al di fuori; il conte Aquila si contenne, e rispose pacato: - Mi fa meraviglia, altezza, come l'imperatore abbia potuto avere il tempo di pensare a me; come altri abbia osato fargli perdere il tempo parlandogli di me. Mi. rincresce pero che cio sia avvenuto; che S. M. mi abbia dato un valore mille volte superiore al vero. I1 fermo proponimento di rimanere nell'oscurita in cui mi trovo, potrebbe parere scortesia e peggio; mentre non e che un bisogno, una necessita della mia vita fisica, morale, intellettuale. Io amo 1'oscurita. - Perdonate, conte; ma lasciatemi dire che e 1'oscurita dell'orgoglio. - Siete in errore, altezza. Dite piuttosto: della disperazione. -Disperazione... ma di che? - Dispero degli uomini e delle cose. Gli eventi che la fortuna onnipotente ha scatenati nel mondd da gran tempo, non appagano la mia natura; ne io ho tanta forza da mettere, per trattenerla, le mie braccia tra i raggi della sua ruota. Se pero io vivo nell'oscurita e nell'inazione, S. M. mi deve ringraziare. -E perch? - Perche sarei pericoloso se operassi. Pericoloso a lui, pericoloso alla patria. - Non vi comprendo. 68 -Vi dir6 tutto. A'ncora io, dubito.. se le Mie opinioni avessero, raggiunta la certezza, ilo sarei gia" stato un ribelle. Coni versando, ancora e nell'incertezza, e nell'investioaziolne affanfio~a di chicerca e ancora non trova, faccio atto, di sapienza a star celato in casa, nell'aspettazione della parola. estrema che mi spieghi tutto, il passato; nell'aspettazione dell'ultima pagina, in cui sia consegnata, la prova e la riprova delIl'idea madre di tutto il libro. Se domani io, potessi convincermi che il costrutto architettonico, dell'edificio, napoleonico, e perfetto, io sarei il piuP operoso, capomastro, dell'architetto sovrano. Spero, altezza, che voi mi sarete grato della, mia sincerity. lo non potrei mai essee uno strumento nella mano, di chi non cornprendo. Se il lettore e\ stato, attento, alle parole del conte Aquila, si sarah accorto, co-me il disegno, del suo edificio, ch'egli improvvis6' dopo che la sua, ambizio,ne venne lusingata dal discorso del vicer6', fosse fatto, in mnodo, da lasciare 1'addentellato per un edificio di tutt'altro stile. t carattere dell'ambizione, quello di non aver nessun, sistema prestabilito e inconcusso, ma di odorare il vento, e virare e atteggiarsi a seconda degli avvenimenti e dell'invito delle circostanze. Al conte Aquila non pareva vero, che Napole-one avesse poituto, parlare di luii in quel modo e avere di lui quel concetto; per6, quando ebbe quella rivelazione inattesa, il suo, peseofu tosto, di approfittare della' fortuna e di giganteggiare con Giove, giacch6' era assai arduo il rinnovar l'impresa dei Titani. Cosi' parl6' in guisa, da, innalzarsi seinpre piP' nel concetto di Beauharnais; facendo, vedere, coll'apparenza della massima, sincerita', quanto, egli poteva, essere pe 69 ricoloso, e per conseguenza che magnifico e solenne compenso, ci sarebbe 'voluto per renderselo, a'mico; nel. tempo stesso, poi lasci6 aperto un varco' ad una nobile ritirata in quelle parole: Ancora dubito. 1i vicer6' rispose: - lo Vi ringrazio, conte; ma posso sapere se questi vostri sentimenti li avete manifestati ad altri prima che a, me -Ad altri sarebbe stato inutile; con voi, A.1 -tezza, era indispensabile. -Io dunque vi ringrazio; ma ben piii vi ringrazier6' il giorno, che vi compiacerete di Liscire da una oscurita' dannosa. Tutto quello, che mi avete detto oggi stesso, lo scriver6' all'imperatore, e mi lusingo che ci rivedremo. presto. Ma ora ci conviene raggiungere ii campo, di battaglia. Sento le fucilate. Ecco, 1'Ajace dei cacciatori: ii marchese Sannazzaro... P, meglio, che ci dividiamo, caro conte; questa dev'essere l'ala destra della caccia. Jo vado, a capitanare la sinistra; a rivederci in casa Litta. Ii marchese Sannazzaro, giovinotto alto., forte, bruno', peloso. come un Esaii, era assai intrinseco, di Beauharnais, e suo ajutante di campo nelle lbattaglie di Pafo e di Cipro. Beauharnais, senza dirg'li il perche6, lo aveva incaricato di non, lasciar piu' in liberta' il conte Aquila, qu'ando gli fosse comparso innauizi. II vicere, che era stato, tante, volte a caccia nei dintorni di Lainate, e conoscevabenissimo i luoghi, era andato d'accordo col San-' nazzaro, il quale co'- suoi cani lo attendeva da qualche tempo a un posto determinato, della campagna. Ii conte Aquila, che era arnico, del Sannazzaro, rimase cosf dunque con lui. -Se vuoi fare qualche colpo, -.disse il San 70 nazzaro al conte, - questo e' un bel posto. I cani sono in lavoro. Discendi da cavallo, e. da'lo if al palafreniere, che lo condurrah in quel pagliajo. Ii vicere intanto, di generoso trotto, preso, per ulna scorciatoig'cie conosceva, raggiunse il grosso della comitiva. Al generale Saint-Hilaire, suo, ajutante di campo, aveva dato incombenza di farsi presso al. cavallo, della contessa Aquila, di allontanarla, con qualche pre-testo, dal resto, della schiera. Non yedendo, adunque ne6 il Saint-Hilaire, n6' la contessa, chiese agli altri dov'era il suo, ajutante. La contessa A...,5 che parlava, enfaticamente con un colonnello, dei dragoni reali: -Sono, andati per di qui, - rispose; -c.e il. poeta Fo~scolo con loro. II motivo, per cui Foscolo, s'era staccato dalla contessa A... fu perch6' vide die il generale SaintHilaire s'era fatto a parlare colla contessa Aquila, e -manifestamente aveva voluto allontanarla dal resto della comnpag-nia. Come sa il lettore, egli aveva espresso, all'amica un grande interesse pet quell'infelice signora. Vedendola cogitabonda e! mestissima, gli parve che fosse quel genere di mestizia a lui troppo noto: al vedere poi il vicer6' pa~rlare al. conte Aquila e trarlo, seco, gli entr6' ii sosp~etto, e si conferm6' in esso, quando, osserv6' l'ajutante di camnpo, di Sua. Altezza fare altrettanto colla contessa. Non sapeva nulla, non capiva. nullal, ma deliberatamente spron6' il. cavailo, e si p~ort6' ai fianchi della contessa, Aquila, la quale un momento, prima gli aveva domandato q'ual era l'edizione phiu compiuta e phiu corretta dell'Ortis. Egli non poteva spiegarlo a s6' stesso,, ma. conoscendo, il vicere' e sapendo che l'ajutante lo servi 7' va. nelle tresche amorose ph'r' che sul campo di battaglia, quei movimenti lo misero in apprensione. Ugo Foscolo, poteva essere rimproverato di tutti i peccati, ma era generoso; generoso oltre la sfera comune., generoso e cavalleresco. Or continuando, Beauharnais misc il cavallo al galoppo. Dopo, pochi secondi vide infatti la contessa tra Saint-Hilaire. e Foscolo, Ii ragine sat to con occhio, iracondo 1'ajutante; non os6' far nessun atto dispettoso con Foscolo: disse alla. contessa: -II signor conte vostro marito vi chiama. Saint-Hilaire rallent6' il cavallo: Foscolo, incerto, 1o rallent6' esso pure, e si fece a parlare con Saint-Hilaire. 1i vicere6 si pose a lato della. contessa. Foscolo 1'aveva veduta smarrirsi alla. comparsa. di lui. Stette attentissimo durante il breve tempo che si trove' con loro. Quando, Foscolo torno6 presso alla con.tessa A...: -Sentite, - le disse,,- se voi siete pentita di qualche vostro peccato, oggi potete acquistarvi mille anni d'indulge~nza, facendo una carita'. -Di che si tratta? -Quel che vidi e quel die sospetto, lo terrei chiuso in me per sempre; ma tacendo Si puo6 lasciar aperta la via ad un gran disastro. Voi siete amica, della contessa... Se le siete amica, ditele dunque che stia in guardia. Ditele che quel gallo furfante di vicere6 vuol disonorarla; che pe~ro sappia ritirarsi a tempo'da un vergognoso, abisso. Io abborro il conte; ma ph'i di lui abborro il vicere. -Ma come ora potete dirmi tutto. questo, mentre un momento fa non sapevate nulla? -Ho l'occhio medico, madama, e quando lo 7.2 ferm-o sulla faccia altrui, tutto quello che e' di dentro m'appare di fuori. Avvisate dunque la contessa. Ma che ogni cosa stia segreta fra me e voi. Ne6 che la contessa venga a sapere mai ch'io ho parlato. Siete voi che avete vistoa, voi che date i consigli. Intanto fate in modo che la contessa ed il vicere6 non stiano phi' soli. A me non conviene accompagnarvi. A rivederci alla villa. Ug'o Foscolo av rebbe fatto molto meglio a tenere in se' ii sospetto, e non a incaricare una donna di dar consigli a una donna. P, sempre un'impresa pericolosa. Ma e' 1indole degli uomini generosi di mettere tutta la propria confidenza nella persona amata, di metterla a part& di tutti i proprj segreti, di desiderare che, in loro vece, s'innalzj con azioni gentili nell'altrui concetto. Ugo Fos~colo della contessa A... 'volea famne una gentildonna perfetta; ma era arrivato troppo tardi. In ogni modo, essa che non amava il vicere6 (Ia ragione gia' ci sarai stata), acconsenti' al desiderio di Foscolo, gir6' intorno gli occhi, chiam6' il colonnello dei dragoni reali che gia' abbiam visto seco: - Mettete gente insieme, - gli disse, - e seguitiamo il vicer6'. E molti si misero, al galoppo. II colonnello, stava ai fian.,chi della contessa A... Ed ora e' certo che ii lettore farai gli occhi atto~niti, ad onta, di tutto quello che abbiam detto sul conto della A...; ma pur troppo le faccende non eran nette con quel colonnello: Jacopo Ortis e alI'Ombra dei cipressi non furono-rimedj abbastan-tza eroici per far la cura radicale di colei. Essa in quel giorno sentd per il dragone, che aveva visto altre volte, una- di quelle accensioni di Gui gia' parlammo; di quelle accensioni che le facevano 73 cacciar dietro le spalle ogni rispetto. Senza perder tempo, secondo il suo costume, con quei suoi modi, dove la sfacciataggine (gia non c'e altra parola) si rendeva amabile per un garbo tutto suo proprio, aveva fatto la sua dichiarazione al colonnello, il quale dal canto suo pare che abbia voluto tener conto del proverbio che a caval donato non si guarda in bocca. Raggiunsero il vicere, che rimase sconcertato, e a tale che a un certo punto dovette lasciar la contessa. Questa si mise con altre dame. La A... era tanto infervorata del colonnello, che non si curo piti della raccomandazione di Foscolo. L'ora si fece tarda. Scavalcarono alla villa Litta a Lainate. La contessa A... condusse le cose in modo da rimaner sola sotto un androne col colonnello. Questo, tirato nel vortice, baciato, bacio; ma in quella una scudisciata da cavallerizzo infierito fischio e piombo sul tergc afrodisiaco della contessa A... Era Foscolo, il quale avea visto, e che accompagno la scudisciata che fu il fulmine, con parole orride d'ingiurie che furono la gragnuola. I1 colonnello guardo Foscolo, che lo guardava furibondo. Vi fu un momento di silenzio. '- o sono il colonnello Baroggi. - Ed io sono Ugo Foscolo. - Allora a domani. - A domani. Fu un parapiglia di un istante; nessuno vide. La A... entro nelle sale infuocata di erotismo insaziato, di vergogna e di rabbia. Ma e possibile e probabile questo fatto che abbiamo narrato? gi codesta una questione inutile. Dal momento che un fatto e realmente avvenuto, 74 potra essere strano. inverosirmile, increclibile; tutto ci6' che si vuole, ma non cessare per questo d'essere avvenuto. Foscolo, poeta sentimentale; Fosco-lo, cavalie-' re degno, della Tavola Rotonda; Foscolo che ayeva tuonato riei caft%-. per difendere la rediviva Aspasia, hia potuto percuoterla comie, una, cavalla da maego? P, un tortnei-ito a pensarci, ma non c e timedio. Egli e' certo die nion fece bene; e' certo che egli do'veva appag~atsi di disprezzarla e di abbando~narla. it certo che anch'egli se ne penti" e se ne vergogn6 nel, punto, stesso che vide contorcersi sotto, it flagello spietato, le bianche spAlle tanto care un minuto prima. Ma si p~u6 disfare e rifare u~n verso; non distruggere una battitura. D'altra parte, volendo metterci un istante fit pairni di Foscolo; volendo considerare che ii suo temiperamrento cra tutto di materia incendiaria, non e' Possibile pretendere che all'inatteso spettacolo dellamante che bacia un dragone dovesse inutare quel-1 professore di diritto romano, che si accontento6 di mostrare al, ganzo, della moglie infedele che cosa un marito offeso, avrebbe potuto fare se si fosse attenuto al codice Giustiniano. Ma che il Foscolo. abbia avuto rag'ione o torto, euna questione affatto, secondaria. Le serit conseguenze furo.no che' il segreto ch'esso per generosita comunico alla A... cess6' di esserke un segreto. (dai (<>, vol. III) 75 LE SLITTE A PORTA ROMANA Una quarantina d'anni sono, il corso, festivo del popolo milanese, disertato d-all'antica via Marina, e poscia, dai giardini e dal. bastione di porta Orientale, erasi ridotto a porta Romana. Pare che questa deviazione, che infranse per cinque o, sei anni la secolare consuetudine, sia stata occasionata da un tale, che, avendo viaggiato in Russia, introdusse nell'osteria del Monte Tabor, posta ai fianchi della porta Romana, il divertimento della slitta. Costui, traendo profitto dagli accidenti di giacitura di quella parte di bastione die si venne col. tempo addossando ed innaizando sidle vetuste mura di Milano, vi pratic6' una discesa precipitosa di centocinquanta passi, pavimentat in legno liscio con soichi paralleli, in cui scorrevano, delle ruotelle in ferro portanti una seggiola per' una person a, od anche per due, quaildo lPuna avesse caro. di sederle in grembo all'altra. Questo divertimento, pe~r quanto fosse Puerile, coicdicevano gii uomini gravi ennptigo vani d'alllora, fu potente a far cambiare direzione a centomila gambe. Fosse la noviti della cosa; fosse che (siccome si usa neile feste da ballo, che 76 it cavaliere si piglia seco, la dama o, Ia damigella, e anche senza. conoscerla, dalla. usanza. tiene la sanatoria. di danzare con essa. e di abbracciarla a SUMn di musica), fosse dunque che i giovanotti e i cacciatori d'amore avessero, il p-ermesso di tirarsi in grembo le signore phiu o meno, maritate, le fanCiulle plui o meno custodite, e che alle fanciulle e alle signore non dispiacesse niente affatto di sedere a quel modo, ii fatto sta che l'insolito gioco ebbe un successo, di entusiasmo e di delirio. Nelle gio-nate di giugno il concorso cominciava all'alba e finiva a mezzanotte; cosa. che si comprende facilmente quando Si' Sappia. che con soli 50 centesimi si pagava. l'ingresso a tre slitte. Nei giorni di festa.e di giovedil' affluenza delle carrozze era tale, che dal ponte alla. porta dovevano proced~ere lentissime in due file, ed anche far lunghe s'oste. Ii fortunato importatore di questa slitta senza ghiaccio, guadagno6 per mnolto temp phidi mille lire al giorno. Quando, uno, nel. caso, di metter fuori una ditta, sceglie per soCio il peccato, e' quasi sem~pre sicuro, di far fortuna. In conseguenza, Pero6 di parecchi disordini avvenuti, la polizia. dovette sospendere quel divertimento per qualche tempo; e non ne concesse di nuovo I'esercizio, che- col primo, maggio, del 1820. Fu allora che' il Monte Tabor-, abbellito di nuove piantagioni, ornato di pergolati e padiglioni, r'allegrato dalle bande musicali, col libero, ingresso, alla slitta accordata. a chi desinava. in quell'osteria, tWmn ad attirare a se tu'tta. la folla. gaudente della. citta" di Milano. Nel dopopranzo del 24 settt~mbre, giorno, di domenica, era, come di consueto, affollatissimo, lungo il corso di porta Romana. il passaggio dei 77 *pIedoni', prolungato e lento c ad ogni istante i'nterrotto il proce'dere delle carrozze, dei pesanti e maestosi land" f dei bombs non ancora scomparsi, dei birbini, dei cctbriolets; piena la corsia interposta tra le due file di eleganti cavalieri, che si fermnavano al fermarsi de' cocchi, a' cui sportelli apparivano, tutte le foggie dei cappelli femminili che in que-i giorni erano stati incisi e clipinti sul Corriere delle Dame, redatto allora da. Angelo Lambertini; cappelli di crepion, di raso, di treccie di cotone, di paglia di Fircnze con penne di struzzo, con marabouts,' con piume scozzei, ccc., ccc. Presso all'osteria del Monte Tabor era un ingornbro, inestricabile di cocchi, di -cavalli tenuti a mano dai palafrenieri, dalla phiu minuta gente del popolo, la quale, mnancante -degli indispensabili cinquanta centesimi per entrare, si -accontentavan di vedere lo spettacolo esterno, e di sentire la musica delle due bande militari, che, collocate alle parti estreme dell'osteria, si alternavano nell'eseguire~ i pezzi delle opere teatrali allora phiu in voga. In quel dopopranzo, il concorso alla slitta era forse maggiore del solito, perch6' si sapeva che, per la prima volta, vi dovevano intervenire iA vicere' e Ia viceregina., i quali tenevano dall'imperiale parente il mandato di aspirare alla popolarita', mescolandosi ai cittadini e al popolo. L'interno dell'osteria, dai bassi piani, dalle fal.de sino all'ultima vetta del Tabor, era un vero alveare rumoroso e gozzovigliante, percorso e ripercorso senza posa da camerieri trafelati. Verso le ore sei arrivarono, preceduti dal giallo battistrada, i due tiri a sei vicereali, AI che se, pel mornenta, produsse una sosta. nella agitata faccenda della cuicina e della cantina, accrebbe il movimento e il 78 fracasso del pubblico accorso, e non mancarono, pur troppo, i battimani prolungati all'entrare delle Loro Altezze Imperiali nel locale della slitta. Vi fu, com'e" naturale, qualche faccia pesta, qualche costa indolenzita, allorche6 i curiosi pretesero, tutti di vedere dappresso la viceregina ad ass'idersi nel calessino della slitta, ed a fare i suoi cinque o sci gini in pochi minuti. Possiamo assicurare che la viceregina ebbe un successo di fanatismol anche perch6' era una bellissima donna, phi' alta di una Patag~ona, e perch6' forse nella rapida discesa, squarciando ii vento, permise che le candide gonne, aizandosi in barocchi svolazzi, lasciassero yedere un. pajo. di gambe dense e poderose, di quelle che di solito non sembrano, concesse alle Altezze Imperiali. Non mai artista, ne cantante, n6' ballerino, o cavalcatore, nemmeno, la Malibran, nemmeno, la Elssler, nemmeno, Miss Ella, fecero, girar la testa al pubblico, aifrontando, tutte le difficolta' dell'arte' e il pericolo: di rompersi ii collo, come la viceregina sedendo, comodissimamente in slitta. -(dai <, vol. IF) P79 LA PJTTRJCE LAJA La ragione per cui sulla sommita' del clivo Capitolino, intanto che Pompeo trionfava, era cornparso improvvi'samente Giulio Cesare, non era stata indovinata da nessun Romano; neppur da Pompeo, troppo saturo d'orgoglio per sospettare in altri intenzioni rivali. Ma l'osservatore Lucio Corneijo Silla, che nella toga mal cinta, del giovinotto parente di Mario aveva letto ii futuro, tosto, allorch6' volse la testa iraconda a quell'inattesa apparizione, ne intravide l'intento, e ne parlo6 poi s~degnosissimamente con Lucullo, banchettando seco Io stesso di'. Cesare il seppe, e giacch6, anche senza questo nuovo sdegno, non riposava tranquillo sul, perdo~no strappato all'onnipotente dittatore dalle preghiere e dalle lagrime delle Vestali, pens6O, come tutti sanno, di lasciar Roma, e and6' a militare in Asia sotto Marco Termo pretore, intrattenendosi in Bitinia presso Nicomede; poi milit6' in Cilicia sotto, Servilio Isaurico, e non ritorn6' in Roma se non quando fu certissimo die le piattole vendicatrici avevano, consegnato all'Averno il suo mortale nemico. 8o Appena ritornato, il suo primo pensiero fu di abbandonare il palazzo avito che teneva sul Palatino e di farsi architettare nella Suburra una piccola casa grecamente elegante, che in breve gli costrusse il suo amico Ermodoro di Salamina, il celebre autore del tempio di Giove presso il portico di Metello. Non v'e atto della prima gioventu di Cesare, anche il piu minuto e a primo tratto insignificante, che non meriti di essere intimamente esplorato. Tutto per lui aveva una ragione di essere; perfino le inezie tenevano in germe un remoto intento, II Palatino era il quartiere dove sorgevano i palazzi del piu vetusto patriziato romano (i nobiloni dei quattro quarti d'allolra). Esso, come dice Ampere, era a Roma quel che il sobborgo S. Germain e a Parigi. Era la nostra Porta Nuova, il Borgo Nuovo, la via de' Bigli, la via Monforte; quel che si vuole insomma. Sulla linea parallela del Palatino, al di la della basilica Opimia e della via Sacra e del tempio degli Dei Penati, correva la via del Foro alle Carine, dove abitava la gente nuova, i cavalieri, gli uomini di toga e di borsa, i causidici, i banchieri, i ricchissimi aggiotatori della pubblica fame. Cesare, ab-. bandonato il quartiere della gente vetusta, non si degno di traslocare in quello della gente nuova, ma trasporto la sua dimora dove s'affollavano a miriadi le casupole, le botteghe e le officine della porca plebe, dove rintronavan martelli e incudini e stridevan seghe, dove vagolavan meretrici e vespertini adulteri, dove stava persino l'abbominata dimora del carnefice di Roma. La Vetera, il borgo di Cittadella, il vicolo del' Sambuco in Milano potrebbero dare, sebbene con maggior decoro, una qualche imagine della Su 8i burra., la quale si Istendeva sul monte Celio appena fuor delle murIa (extra mwnia). E Giulio Cesare venne ad abitar qui precisamente. Or non si presente gia' colui che preferiva di esser primo, in un villaggio, che secondo in Roma? La casa di Cesare, veduta da lunge, av'eva l'apparenza di un tempietto greco: sarebbesi dett. a la dimora di un nume, e cio anche per l'eccessivo contrasto colle catapecchie che in lungo e in largo le sorgevano d'intorno. Correvan le none di maggio dell'anno di Ro~ma seicentosettantasei - ovverosia- il sette maggio. Era 1ora quinta del giorno (hora quinta dici: mane ad meridiem). Intorno 'alla casa e sotto il p~ortichetto a colonne joniche, stavan clienti, ombre; vi eran soldati dalle profonde cicatrici, dalle braccia monche, dalle troncate gambe, dalle chiuse e bendate occhiaie, probabilmente i derelitti yeterani di Mario; e fra tutti, per le insolite vesti, si distinguevano i l~erci ebrei, i vampiri usurai che attendevano al varco iA giaN tanto indebitato pronipote della Venere dea. Ma si entrino i penetrali, a visitarvi il divo Giulio; e come l'Apollo sagittario. ei ci si presenlta, infatti, nudo come la celebre statua greca, bianco e diafano, come il marmo pario, posante come quel dio. Egli stava in quel punto facendosi ritrarre dalla pliui valente pittrice di quel tempo, da quella celeberrima Laja di' Mileto, che dipinse per -la prima volta se" stessa nelle proporzioni del naturale,, adoperando _gli specchi grandi come il corpo umano; i quali specchi, insieme coi vitrei mtrosaici, erano stati introdotti in Roma dalla Grecia fin dai primi tempi di Silla. (Specula totis paria corpori busy. La giovine Laja, severa come una Mi 82z nerva, inaccessi'bile a qualunque senso che non fos-,!ii piii profondo amore dell'arte, sedeva innan-, zi a quella statua viva, disegnandone i contorni su di un'ampia tavola. Presente a quella seduta artistica era il vecchio Sopolis, il maestro di Laja, il phi' distinto ritrattista di Roma, prima che quella fiorisse, che amava la sua allieva phi' di se' stesso, e della quale, anzich6' avere invidia, si gloriava. Medesimamente, stava presso a Cesare ii suo, vecchio famulo, Taltibio, che idolatrava ii padrone avendolo portato, fra le braccia infante. Cesare, non sapendo, che Laja venisse in compagnia di Sopolis, per un tratto di squisita delicatezza, voile presente ii vecchio famulo, onde stornare sospetti e non scemare d'un punmto 1'innocente severita' dell'arte. Taluno potrebbe dire: e perch6' allora farsi ritrattare in quel costume cosi' eccessivamente sco'perto? - Cesare non lo deve aver fatto a caso. Sap-eva di aver forme bellissime, e desiderava che ci6' si sapesse in Roma e fos~se testificato dall'inappellabile. giudizio degli artisti. Una dote di phi,' pensava egli, e' un'arma di phi. Cinquantamila giovani dame romane ben possono, ad un bisogno e secondo i loro mezzi, confede-rarsi a cinquantamnila strenui soldati, e in ogni modo, aiutarmi nei privati convegni, sollecitando a mio, pro amanti, parenti e mariti. La figura di Cesare, alta, elegante, asciutta come quella di t'utti i giovani, offriva all'occhio le proporzioni del discobolo greco. Vista un. po' da lunge, pareva aver braccia e gambe non fortissime, ma queste, vedute dappresso e misurate, oltrepassavano la grossezza comune; grossezza che yeniva dissimnulata dall'egregia proporzione app'un 83 to. Alcuni autori' antichi,e moderni ebber'o a far le meraviglie confrontando la gracilita' alle 4tiche incomportabili e straordinarie ch'egli solo pote sostenere. Ma fisicamente, non si fa. se non quel die si pu6' fare: e, per quanto la virtu' dell'anino, o, a dir meglio, l'i~spirazione, ii sofflo, il dio, prepotente della -volonta', possai far prodigi, se nonc' la potenza dei muscoli, le fatiche non si possono protrarre a lungo. Alessandro, Cesare e Bonaparte ebbero, tutti e tre forme apparentemente arrotondate, ebbero pelle candidissima e quasi muliebre, ma nessuno phi" di loro seppe resistere alle fatiche del campo. Tuttavia, in quelle membra egregie di Cesare, C'era un lieve difetto. Verso le regioni dei lombi, la spina, dorsale, quella die Napoleone, al cospetto, della scoperta di Volta, disse essere la pila della vita animale, app-ariva lievissimamente deviata; deviazione che 1'anatomico riscontro6 pur nel cadavere imbal'samato di Napoleone, allorch6' da Sant'Elena venne trasportato in Francia. Strana somiglianza che, sebbene in diverso modo, pur si' riscontra nell'apo'llineo collo di Alessandro il Grande, di alcun poco inclinato da un lato. Si direbbe che il gcrnglio massimo., che e' la testa, abbia voluto in questi tre uomini, che rappresentano la phi' sterminata. potenza delle facolta' mentali, dare indizio della, sua eccezionale pesantezza, gravitando sulle altre parti del collo. E un altro difetto, che non appariva ancora nel ventenne Cesare, ma doveva rivelarsi precocemente, era la calvizie. Non' si puo6 sapere da die questa. sia derivata in lui, e come derivi in altri. Ma la testa di Cesare offriva un fenomeno, strano; mettendo, la mano al disopra di essa, anche alla 84 distanza di un palmo, si sentivano gli effetti come di una forte irradiazione di calore, e s~ovente una lieve onda di fumo, vaporoso ne lambiva la superficie, quasi che una fiamma riscaldasse internamente la cavita' del cranio. La pittrice Laja non conosceva questi fenomeni, non poteva prevedere la calvizie futura nella chioma corvina acconciamente inanellata dell'elegante patrizio, ed era tutta intenta invece, nella sfiducia che in quel punto l'aveva assalita, a cercar di ritrattare la luce degli occhi di Cesare (nigri et vegeti), che abbagliavano dominando, e parevano parlare pur nel silenzio del labbro, ii quale era roseo e tumido, a significazione di volutta', e dava di tanto in tanto un tremito lieve, come se la parola gli scorresse sopra ed ei volesse trattenerla. Pareva ii labbro, di lord Byron, di questo. Cesare non riuscito, come Champagny ebbe gia' a definirlo. La seduta dur6' quasi due ore. A un certo punto Giulio Cesare, con morbido, accento: -Sarai stanca, o, Laja, - disse - proseguiremo domani. Non voglio, die la tua. mano, s'affatichi di phi'U del conveniente. Tuttavia, fammi certo, o, Laja, del quando, impiegando due ore al giorno, il mio, ritratto sara' compiuto. -Oggi siamo alle none di maggio. A quelle di giugno, il popolo roma no vedra' leffigie tua sotto al portico di Metello. In quel giorno farai in modo, o, Giulio, di essere assente da Roma, e farai correre la voce che cio6 possa essere per qualche grande impresa, a meno die tu. non t'incarichi di, compirla davvero. Affinch6' il ritratto sia convenientemente apprezzato e metta in entusia '85 smo il tuo popolo, conviene ch'ei senta il desiderio dell'originale lontano. -- Quel che possa avvenire tra un mese non so; ma certo sara appagato il tuo desiderio. Laja si alzo e usci col vecchio Sopolis, attraversando un lurngo androne affollato di cittadini romani. (da < La giovinezza di Giulio Cesare ~) 86 MANZONI E LA LINGUA Mentre la maggior parte dei letterati italiani faceva sempre phiu numero-so quei partito il quale vuole che la lingua comune italiana debba forrnarsi colic contribuzioni di tutte le parti d'talia, Manzoni venne ad aiutare colla sua autorita' i po — chi abbandonati i quali pensano che la lingua italiana sia tutta in Firenze. La lettera sul romanzo, storico del grande scrittore, letta c considerata c pesata attentamente c con phu amore della verita' che della fazione, a noi sembra chc potrebbe sciogliere ii nodo una volIta per semiprc, c ridurrc tutti quanti da un lato i diversi combattenti. L'autorita' di Dante Alighieri, sino, a Manzoni, e l'autorita' dello stesso, Manzoni, dopo, la grande celebrita' in cui vennero i suoi < sono i phiu validi esempi che i partigiani della lingua comune, con manifesto errore, riputarono vantaggioso di opporrc a quelli die vogliono andarla a trovare tutta in Firenze. Un forte e ac~utissimo ingegno, il quale, mentre torn6' a fervere codesta questione della lingua, facilmente ha po-tuto met-, tersi in prima linca, anzi a capo della fazione av 87 versa alla Toscana, e ha creduto es'so pure die Manzoni coll'ultima edizione del suo, romanzo abbia guasto il suo lavoro invece di p~erfezionarlo, usci, tratto in insidia dalla forza prepotente della verita', in queste parole: ~. Di tal modo, lautorita' dell'Alighieri che, per le teorie del volgare eloquio, pare appoggiare i sostenitori della lingua comune, viene invece pel fatto della '<. Eil critico usci in tali parole, perch6, questa volta, il suo spirito di fazione lo trasse ad ingannarsi intorno a ci6' che l'acutezza del suo ingegno, assai facilmente avrebbe veduto, se avesse voluto; che, cioe', que'i modi non erano, gia' stati adunati da tutte le parti, bensi erano statit scelti in una parte sola come Dante aveva fatto, con ingegno e fortuna e con giudizi tanto lucidi e infallibili, che consonavano coi modi delle altre parti d'Italia. Clii appena abbia fatto, qualche studio di lingua avra ' dovuto accorgersi die gli scrittori toscani, e specialmente i comici cinquecentisti, per quanto spetta al linguaggio, fami liare, sono miniera ine-sauribile; e gli uomini che stanno! ostinati nel voler indossare la screziata veste dell'arlecchino alla, gloriosa nostra nazione, forse cambierebbero, sentenza, se si facess~ero a leggere il teatro, to~scano del Cinquecento, dove gli autori hanno saputo dire tuttoci6' die hanno, voluto, e con tanta scorrevolezza e sveltmzza ed efficacia da costringere a ridere di coloro cie negano agli Ialiani l'attitudine a dialogizzare come i Francesi. E Foscolo, stesso, die, pure, in teoria, e' avversissimo ad ammettere che la lingua italiana sia tutta in Toscana, si rec6' a vivere in Firenze, perche6 ii metallo, del pode-roso. suo, stile riuscisse ancora p ~iiu nobile e piu.' terso; e quando voile piegare l'austero ingegno all'umoristica festo~sita' di Sterne, dovette cercare ai toscani quella veste onde il ~ riusci' p-iiu saporito nella traduzione die nello, stesso, originale. E medesimarnente Alessandro Manzoni ha do 89 vuto rivolgersi alla Toscana e ai suoi scrittori quando proy'vide a fissare uno stile ed una lin'gua ampia, flessibile e familiare, onde il suo, romanzo, pur nella prima edizione, anche in quelle parti. dove sembr6' tanto lombardo, s'accorda con To-. scana, perch6' appunto dai comici seppe assumere quci modi che avevano un riscontro coi modi delle altre parti d'Italia, e seppe dissimulare con arte si' squisita quella. virt-i derivata, c'he, pur senza volerlo, fece credere l'opposto a coloro, die non seppero, trovare la fonte dove per necessita' egli era andato, ad attingere. Non co~si il. Grossi, ii quale, nel suo (< lasci6' chiarissima'mente travedere dove era andato a prendere la maiteria prima della sua lingua; epper6' ebbe traccia, di soverchia fibrentmner'ia, non perche6 abbia fatto, altrimenti di Manzoni, del quale anche in ci6' si fece seguace fedele, ma. perche6 non ebbe l'arte profonda, del maestro nel fare la phi' opportuna scelta. de' modi, n6' ebbe quell'uguaglianza e sequenza d'impasto onde Manzoni trasse ad ingannarsi anche i phiu esperti. Se non che, pei propugnatori della. lingua- comune fu un. grande motivo, di scandalo e di affanno, che Manzoni abbia, secondo essi, coll'utima edizione del suo, romanzo, e colle teorie posteriori sviluppate nella lettera, al Carena, distrutto il frutto che prima aveva. portato e i lamenti si alzarono clamorosi per avere il Manzon'i vestito alla fiorentina quel libro, die prima era cosi schiettamente italiano. Perche6 il grande scrittore ha perfezionato 1'opera. sua, perche6 tolse molti vocaboli die la Toscana, non ammette., perche6 al. caso retto pose l'obliquo lui, perche6 a cappelletta ha sostituit-o taber 90 nacolo., per queste ed altre correzioni di stile,, si ripete che l'a tutta quanta rivestita alla fiorentina, dando, a questa parola un senso, diverso del manzoniano, e facendo credere' a clii non avesse letta attentamente quell'ultima edizione dei <, che Manzoni ti abbia versato, a piene mani i riboboli del ~ e di Mercato Vecchio. Eppure, la semplicita' e la schiettezza e la sequenza inalterabile di quel suo, stile unico si riscontrano tanto nella prima che nell'ultima edizione, colla differenza die, se nella prima si scorgevano alcune inesattezze e improprieta, mnevitabili alla prima edizione di un'opera in cui tutto dovette riformarsi, queste sono, scomparse nell'altra. Sarebbe dunque assai strano, che il grande scrittore, nella letter'a al Carena, dopo, essere andato a Firenze a cercare la lingua phi' adatta e i modi phi' adatti per dar colore di paese al suo racconto, e trovato 1'una e gli altri, e incontrata la soddisfazione e l'applauso e l'a'mmirazione di tutta Italia, fosse venuto a raccomandare die la lingua debba, formarsi coile contribuzioni di tutta Italia, per so-stituire la preziosa unita' alla molteplicita" inutile e pericolosa, e rinnov'are cosi la confusione ba'belica. Per6" egli non fece altro, come non doveva far altro, die stringere in teoria quello cb e aveva gi~ fatto con tanto successo; perche6 se Firenze possiede tutti quei Wvocaboli e tutti quei modi, die, non si s-a come, ottennero, di diventare giat comuni a tutta Italia, e possiede poi, in gran numero, altri vocaboli e modi die l'Italia non ha e che non si saprebbe andar a cercar altrove se -non a Firenze, per confessione di quelli die stanno. contro, Firenze stessa, e veramente un fatto mne 9' splicabile che la questione sulla lingua italiana non voglia 'saperne di dar luogo alla verita che e pure cosi evidente. Ed abbiamo esempi antichi ed esempi moderni insigni ed efficaci a fare tranquilli i dissidenti, i quali esempi provano che allorquando in una citta sola c'e intero il patrimonio della lingua d'una nazione, e inutile e dannoso I'andare in cerca altrove di cio che non si potrebbe mai raccogliere, per rifiutare cio che e gia raccolto e preparato in quella citta sola. Se la lingua greca ai tempi di Tucidide e Platone e Senofonte era tutta in Atene, e se essi non sdegnarono di ritrarre dal solo dialetto attico la lingua ferma e generale; se la lingua latina era tutta in Roma, come la francese e ora tutta in Parigi, perche troveremo noi cosi strano e cosi duro a sopportarsi che dal solo patrimonio della lingua toscana si possa e si debba ritrarre la lingua ferma e generale d'Italia? (da < ) CLETTO ARRIGHI S'e' gia detto altrove come egli appartenne alla Scapigliatura per comunione di vita. Pigura esteriore (ma non del tutto inutile) Cletto Arrighi (pseudonim~o di Carlo Righetti) nacque a Milano nel 1830. Forse meno vuote di significato oggidi riescono le sue cronache giornalistiche polemiche e descrittive (come quella qui riportata), piuttosto dei suoi romanzi d'una violenza veristica esciusa ad ogni nostro intendimento, artistico. Gentro della sua attivitia fu la (eCronaca grigia >), giornale ch'egli seppe con una attivitA generosa portare su un piano, di interesse letterario, ragguardevole. Da li partirono scrittori, che poi - con mezzi propri - salirono molto in alto. Carlo Dossi fu rivelato dall'Arrighi. Appena ebbe letto net '66 uin sacconto del Dossi (tra l'altro steso in collaborazione con Luigi Perelli), gli sc'rissa,: (e ho trovato nel vostro stile, che per me vuol dire tutto, ci6 che formerebbe fra vent'anni uin immortale se gli immortali fossero ancora possibili a). E il Dossi riconos-cente gli dedic6 e( Vita di Alberto Pisani a) con queste parole: (( A Cletto Arrighi, che primo, si accorse di me )). Diede anche significativo apporto al Tea-tro (al Teatro milanese dialettale). Basterebbe ricbiamare il contributo alla diffusione dell'arte del Ferravilla. Per tutta la seconda metA dell' '800, nel feracissimno campo artistico delta Milano d'allora, egli fu sem —e sulla breccia, personaggio di sicura autorit~. Moni a Milano nel 1896. BIBLIOGRAFIA: cito solo i romanzi pius confacenti (se ci6 ~ possibile) ad nina lettura attuale: (e Scapigliatura a), e( I quattro amori di Claudio aeNana' a Milano a,(La mano nera aeLa canaglia felice v. PASSEGGIATE ALL'ALBA I II Verziere Abitavo allora, una, casa, molto democratica, sulla, piazza del Verziere. Vi avevo preso stanza per studiare. il popolo milanese, nella. sua piii vera, espressione, e per scriver un romanzo intito-lato: La Canaglia felice,, che spero di ripubblicare fra poco in forma meno trascurata. Una mattina, d'agosto mi levai, prima che il sole apparisse sull'orizzonte, e andai fuori, coll'idea di vedere I'a~petto di Milano in quell'ora in Gui i 'ricchi dormono phi' saporitamente. Uscito dalla, porta, di casa, mi trovai in Verzie~re. I mercati di commestibili a Milano sono parecchi. Ma. io mi limito al classico Verziere. Il Verziere ha tre grandi centri. Ii corso di porta Vittoria. 95 II Verziere propriamente detto. E la piazza di Santo Stefano. Sul corso di porta Vittoria si scarica, si sciorina e si fa lo spaccio all'ingrosso delle verdure piu che della frutta. Sulla piazza della colonna si vende frutta e verdura al dettaglio.. Su quella di Santo Stefano c'e lo spaccio delle carni, della selvaggina quadrupede e bipede; i quadrupedi sono cervi, cinghiali, lepri, conigli; i bipedi selvatici e domestici sono fagiani e pernici, beccaccine e folaghe, polli e capppni, anitre e tacchini. Poi vi si vendono i pesci d'acqua dolce e di acqua salsa, i frutti di mare, le ostriche, i tartufi e i funghi. ~I impossibile farsi un'idea precisa di cio che e il Verziere all'alba, se non lo si e veduto. Ogni classe di cittadini ne ha un concetto diverso a seconda della proprie idee. La gran dama, che forse non c'e mai passata neppur nelle ore del sole, e che ha udito parlarne per istraforo, s'imagina che il Verziere sia un luogo molto sucido, pieno di donne che si insultano, di bagarini avidi di accaparrar la merce dai villici inesperti, di carrettieri rozzi e accattabrighe. C'e il goloso e c't il buongustaio, dinanzi alla fantasia dei quali, alla parola Verziere, sfilano in bella mostra le mille e una sostanze alimentari, che devono fare piu ghiotto il loro pranzo, e si presentano le primizie di stagione di cui essi sono tanto ghiotti quantunque le primizie di solito non abbiano sapore. 96 ",-... i 'V I '' 4"' 1~ id I, I '".:i.. ~ ~ s`:I "r i; u ''' ti;:P':~, c,i ' ~":; '~ ~~ ~~ I? ~$:., "Ji t. a: I'?:::~ -1 r ~~~~~~ ~ T' ~ il~.i f.RE.:..'.'''''h )I~ I.,~~~~.,~~ ~; e ~~ ' i.~~ / f ,, ~~: 4 5'.;i'i ,i ~ir "~',,q ,.~ -~'~~~ ~, ii~~ ~~~~ ~~~~~~~~~~~.:.i~,,,,.~k *.' * 4,, '.;;.. i.!t 11 - Daniele Ranzoni - Studio per quadro di soggetto storico (disegno) particolare 12 - Emilio Gola - Modella seminud, C'e' ii filologo dilettante di dialetti, che ha delle velleita' -da drammaturgo e che ricordandosi della famosa len gwia del Verzee, studiata. da. Carlo Porta, crede di trovar ancora, su quel mercato i motti arguti di cui avrebbe bisogno, per scrivere una commedia pci Ferravilla. C'e' ii fisiologo, che nel Verziere studia il carattere della plebe milanese, e fa conoscere i phiu bei tipi di rnercatini, di bagarini, di erbivenciole e di locchi, che abbiano mai passeggiato nei pressi del Luogo Pio Triulzi. Ci sono il cuoco e la serva, che vanno tutte le mattine a far provvista alle banche e conoscono le fruttaiuole, le pollivendole e le pesciaiuole di piazza della colonna. e di piazza Santo Stefano, e non tengono sul Verziere altro criterio che quello di... rubare sulla spesa, se possono. C'e' la guardia travestita. della squadra volante, e c'e' ii cappellone municipale, i quali sanno che in Verziere non ci sono phi' oggidi' quei famosi gradassi di una volta, che davano tanto da fare ai loro predecessori; ma in compenso c'e' maggior numero di frutta guaste. E ciascuno crede di aver un'idea giusta del,Verziere sotto ii proprio punto, di vista. Ma fra i lettori ben pochi saranno quelli invece die conoscono il Verziere nel punto phi' fervido di vita e di lavoro preparatorio, punto che si rinnova. ogni santo giorno della settimana, tranne che al lunedi'. Le operazioni cominciario d'estate verso le due emezza antimeridiane, d'inverno verso le cinque. C' - -, Cessati i canti nelle vie e le scope nelle osterie, rincasati quei reduci dai teatri, dai clubs, dai caff6, che abitano dalle parti di porta Vittoria, succede nei tre mercati un'ora di solenne silenzio e di quiete profonda. Tutt'al phiu questi sono interrotti dal rumore sordo e cadenzato, che esce dalla bottega del panattiere, die sta accanto alle cassette della posta, nel casamento che sorge. a sinistra di chi va verso il ponte. Spesso l'impastatore. lavora fin dopo le due del mattino, e canta. come un merlo, fin quando si -cominciano a udire da lontano i rumori dei primi carri di ortolani, che arrivaino carichi delle loro, verdure. II primo. e seguito a breve distanza dal secondo, dal terzo e da altri innumerevoli, che in breve ora, diventano, una' fila non interrotta fino al levar del sole. Lo spettacolo affaccendato, arruffato, febbrile che offrono allora tanto la piazza quanto il corso di porta Vittoria, prima che tutte quelle montagne di cavoli, di carote, di sedani, di lattughe e di carciofi, siano messi a posto e vadanio scemando a poco a poco e a spairgersi nella intera citta', e' davvero caratteristico. Si dicono phi' interiezioni e bestemmie e parole poco parlamentari dalle quattro alle sette nei tre mercati, die non in tutte le altre ore della giornata nel resto della cittai. Sulla piazza di S. Stefano meno die altrove. La' il lavoro e phi quicto, phiu ordinato, phiu ammodo. Ma nel Verziere propriamente detto, -e la' sul corso di porta Vittoria -le vociferazioni e i sagrati non si potrebbero contare. Ad ogni momento qualcie ortolano col suo carro e obbligato di dar sulla voce a chi non s'ac 98 corge che il, cavallo od il, ciuco,sta per andargli addosso col muso. Un ombrellone si rovescia; una. banca, urtata si sfascia, i mucchi di rape e di cavoli crollano e cadono. Le imprecazioni vanno al cielo; il villano si risente, mostra i pugni, risponde e passa via grugnendo. Poco lontano, a bassa voce, pacificamente, un fruttivendolo che ha bottega, avvezzo a quelle scene, contratta un corbello di pesche o un cesto di susine' col rivendugliolo. Uno sconosciuto viene a tastar le pere. Palpa, sceglie, mette da parte, stropicciandole fra le manaccie rosse e si lamenta se ne trova qualcuna guasta. -Se non ne vuole, - esciama, il mercatinofaccia senza.I L'altro, piccato, se ne va ad un'altra banca. Un asino raglia. A lui rispondono tutti gli asini dei carretti vicini o lontani. it un hi han., hi han generale. I villici aspettano di far il, contratto dei poponi e dei cocomeri, condotti giu' a riscbio e pericolo. La prima cuoca mattiniera arriva colla sua sportula sul braccio, gira curiosa. dinanzi alle banche, trasceglie il bello ed il buono, tira il prezzo, paga, riempie la sua cestella, e se ne va. I mercatini l'anno gia' adocchiata; e non tralasciano di mandare una barzelletta; alludendo allo sporta di vimini le gridano: -Ehi lee. La sua scorbetta Pe~' anmon& bona o gh~ andaa gel c fond? Oppure se la serva, e di forme rotolide: -Ehi lee ie' stada a provvedess in del Pirelli? 99 Un cappellone sbocca all'improvviso da una via di fianco col suo bastone sotto ii braccio, si ferma a dar un'occhiata al complesso, poi va a sollevar i lembi dello st ame, che copre le pcsche nelle corbe, schierate in bell'ordine nel largo, che s'apre tra via della Signora e via Ccrva. Talvolta trova le fracide e ordina che siano ritirate e gettate nel Naviglio. Succede un battibecco. Le guardie di Questura si mostrano a dar aiuto al cappellone. 11 Verziere allora si commuove leggermente. Gli improperi cadono sulla testa della guardia municipale e sui questurini. Ma il fruttivendolo finisce coll'obbe dire e tutto torna nella prima quiete. Dalle quattro alle sei, d'estate, una voce monotona, in cadenza continua, pronuncia dei numeri uno in fila all'altro, con dieci minuti secondi di tempo tra l'uno e l'altro. Uditi da lungi non sai cosa diamine vogliano dire. Se per caso sbocchi in quell'ora, da una via di fianco, sul Verziere, odi quella voce gridare: trentasei, trentadue, trentacinque, ventinove, trentaquattro... g il pesatore delle corbe di frutta o di verdure arrivate la sera prima dalla ferrovia, e scaricate in lunghe file nel largo di fronte al caffe Porati. ~ incredibile la rapidita con cui e fatta questa pesata. Due uomini con una stanga da cui pende una catena, terminata da graffi, alla quale e unita la stadera, vanno da una corba all'altra; il pesatore grida il numero dei chilogrammi di ciascuna; I'uomo incaricato di segnare questi numeri su I00 ciascuna corba pesata, talvolta non arriva in ternpo e gli tocca far ripetere la cifra. EglIi tiene nella sin'istra un coltello a lama ben tagliente e nelI'altra un lapis. Col coltello fa nel virnine della corba una incisione in modo che il legno si presenti liscio e candido son-o la punta della matita, Alle cinque e mezza al pIn' tardi la voce del pesatore cessa. I mercatini - verzeratt - in generale sono gente piena di cuore e di gaiezza. Essi hianno una qualita' rara negli Italiani, quella di portarsi a vicenda, di farsi valere, di decantare le loro glorie viventi e di non aspettare quando sono morti a far il coccodrillo e il gesuita e ad accorgersi che valevano qualche cosa. Essi hanno i loro idoli che guai, a toccarli. Per esempio l'autore dell'Excelsior e dell'Amor, il Manzotti, che e' nato in Verziere ed ha ancora la sua farniglia che esercita I'avita professione. Anche Antonio Annoni vi e' tenuto in grande onoranza. Fu cavallerizzo con Guillaurne e si fece moito onore. AlI'Arena nelle corse e' ben raro che non porti a casa la bandiera ed ii premio: nel tiro al piccione e' sempre f ra i primi. Di queste glo.. rie i mercatini vanno orgogliosi. Oh se le altre classi im parassero da" loro questa virri A~ntonio Annoni e' un bulo, vale a dire un giovane nisoluto e di gran coraggio. Fu lui che s'arrischi6' di dare un tieni a mcntc al farnigerato Tarantola, 'I caft' della compagnia della Teppa, in, difesa della vedova Rovere acquavitaia. T0I Poi ci sono i bei giovani, delirii? delle fanciulle' dei dintorni. Ii Battista. Baldi e il Giovanni Trabattoni ai suoi tempi, fecero furore in galanteria; Nata~le Cattaneo e' antcor o cchieggiato pel suo belI'aspetto e i modi franchi. Una belia macchietta e' il Lippo, che d'inverno vende le castagne e d'estate cocomeri ed angurie. Egli grida la sua mercanzia con metodi e strilli e gruppetti cosi ameni e intonati, che Si puo guirare avere lo Sbodio copiato da lui quando canta l'aria del maestro Rocco: I melon bon. In Verziere c'e' Poi ei Pacia fioca. Si dice che il soprannome gli sia venuto da. certi occhiacci ch'egli vorrebbe schizzar fuori dall'orbita quando yede un ragazzo. Bisogna dire che qualche monello giiene abbia fatta una. grossa. C'e' il Cesare polentaio, figlio del signor Ambrogio, col quale d'estate tiene aperta una bottega in via Brolo, che fu chiamato alla. francese ii piccolo con fortable. Fa concorrenza alle cucine economiche. Fra i borsoni - come si chiamano - ed 1 scicconi vi hanno il signor Caramella, sopra-nnominato il conte delle patate, e il signor Giacomo Prina e qualche altro, i quali devono all'indefesso lavoro e all'occhio fino d'essere se non ricchi,'ag'iati. Essi sfoggiano. Li vedi con molti anelli alle dita e catene con breloques pil'1 grandi del vero sul panciotto. Ma non sono superbi; tutt'altro; trattano i loro compagni e dipendenti colla famigliarita' che usavano prima di far fortuna. In generale in Verziere tutti si trattano molto alla buona. N6 -il lei n6' il voi vi fanno fortuna. In questo assomigliano ai Romani e usano volentieri del tu. Lo spirito di solidarieta' fra i mercatini e' pro I02 verbiale. Quando uno d'essi e condotto in domo petri e certo d'esser soccorso e visitato e difeso dai compagni, finche un nuovo fatto che capiti ad altri, non distorni l'attenzione da lui. I facchini hanno per loro capo il Gildo, un pezzo d'uomo capace di sollevarti settanta chilogrammi a braccio teso - parlo di quand'era giovine - e il Giuseppe Esposito, tipo ferreo come la disciplina dell'esercito austriaco, nel quale dovette filare i suoi undici anni senza mai trovar modo di disertare. Tra i facchini noto l'Angiolino, il Pinascia, il Giulio e il Morettin, che alla mattina stanno sul mercato a guadagnarsi la vita colle porture - dieci centesimi ogni cesto che si vende. Nelle donne trovi dei tipi unici forse al mondo. Quando la Giovanelli sulle scene del teatro Milanese crea la verzeratta nel Foeura de post la critica e l'arte non hanno proprio nulla da censurare in lei come esagerazione. Quasi tutte le erbivendole hanno la voce rauca. Fra le ortolane che siedono alle banche ce n'e di belle. Da giovane e prima che il vaiuolo la guastasse in viso, la Pina per esempio era piacente. Essa meriterebbe da se sola una fisiologia completa. Nessuna donna piu affabile e piu franca e talvolta piu insolente e piu bizzarra di lei. Se le sei antipatico e capace di chiederti quattro lire d'un cavolo tarlato. Se le vai a verso ti da la roba quasi per nulla. Ella non ci mette ne pepe ne sale I03 a cnmmcttere qualunque stranezza nel bel mezzo della piazza. L'Ambrogia, una matrona che se lasciasse an-, dare un manrovescio sarebbe capace di gettarti fuori di bocca una doppia fila di denti in un colpo. C' I a Rachele maritata a un bravo popotano industrioso, che al tempo de' coriandoli era capace di guadagnar manate intere' di, napoleoni d'oro. Ci sono la Marion, la Manzi'na e la Modesta che se dovessero montare tutte e tre sulla bilancia autoinatica -- quella che non si muove se non in virtu' d'un Pallancone - o guasterebbero la macchina o non troverebbero segnato neanche la meta' del loro peso complessiva. Prese insleme non peseranno meno di 5 chiogramrni. Eccone un'altra. P, un'ex-ballerina, la chiamano Bairtola. Un'altra ancora: non ne faccio il n&. me. Ritta sui piedi negli zoccoletti a mezza guig gia, col dorso appoggiato contra, il tronco dell'albero intorno al quale s'erge la sua baracca, ella sta aspetta~ndo il cuoco di casa X,5 il suo avventore favorito. Ha il tipo burbero. 11 sua, sguardo ha del poetico. Chi mai crederebbe che la poesia potesse annidarsi sotto l'ombrellane d'una banca d'ortolana? Eppure! Sarebbe stato diffiile per me il dire se quel suo sguardo contenesse odio a espressione d'amorc. Poteva essere anche tutt'altro! Nella persona di lei c'era per6 un indefinibile languo're, come di donna che greme rassegnata sotto una sventura senza rimedio. Quel sua sguardo pareva volesse forare il vuato, tanto era fisso nel nulla. Chliesi di lei, delle sue avventure. Nessuno seppe dirmene parola. 104 T mercatini non sono p-ettegoli come si crede. Fra loro si coprono se c'e" del guaio. Ainano enormemente di divertirsi, ma sanno essere seri a tempo e luogo. Chi parla cot signor Fossati della ditta Tosi e Fossat) che tiene le primizie, sparagi e carciofi in dicembre e gennaio e serve la Corte e t~utte le prime case di Milano, se Si m'ette a scherzare con lui Jo trova ii p1~1 gioviale e spensierato compagnone della terra. Si direbbe che egli non abbia sopraccapi. Nessuno piu occupato e p-iu attivo di lui. Dovette rifiutare la -presidenza della Sociceta~ degli Erbivendoli per non avere ii tempo di attendervi. Egli e~ un veterano di tutte le battaglie per la indipendenza e a vederlo gli si darebbe trent'anni. Ha passato credo i cinquanta. Fu lui che contribui a rendere meno democratico il. Verziere, giacche6 si sa che prima esso non aveva la phi' bella fama. del mondo, quantunque nei giovinotti dell'antico Verziere, troviamo parecchi, che pagarono colla vita I'amore grande alla indipendenza. II Fossati per6' ha fama d'essere un po' bargolornentofotoscultore. Vedi Ia' phi' lontano uin altro tipo d'erbiven.dola. Ella sta come rintanata framezzo alle canestre e alle corbe della verdura. Tiene il mento appoggiato, sulle due palme e i gomiti sui ginocchi. In piazza di Santo Stefano Jo spettacolo e alquanto differente. Ci6" anche prima che il Municip1o costruisse la tettoia. 105 * Quello, fu sempre il Verziere aristoc'ratico'. Ora poi ii buon ordine e la poilizia vi regnano sovrane. Era le banche del Verziere e qu~ele di piazza Santo Ste'fano, c'e sempre stata una certa rivalita'. Le me'rcatine di Santo Stefano guardano d'alto, in basso quelle della piazza della colonna. It Tosi, ii Fossati, 1I Sibilia si tengono, come negozianti d'alto rango. Farei torto alla signora Luigia Bianchi e alla vedova Pellegrini se le passassi sotto silenzio. Chi vuole selvatici fini deve cadere ii'. Non c'e" scampo. lo credo che Galeazzo, Visconti si sarebbe directto a costoro, se fossero vissuti. al tempo in cui Can Grande della Scala voile tentare la famosa burla a suo, cugino. La sapete? No? XVe la conto. Can Grande della Scala, signore di Verona, essendo venuto a Milano nel '1300 ltent6 di dimostrare a suo cugino, il duca Gian Galeazzo, Visconti, che questo, vantato Verziere non era poi tanto importahte e ben fornito come Si voleva dar da intendere a tutta Italia. Die' ordine a' suo-i cagnotti del seguito, di cornperare tutti i commestibili che si sarebbero, trovati sulla piazza e di far tabulai rasa in tutte- le blanche. Ii duca avvisato di questa idea del suo ospite, comando6 al mercatini di far di tutto onde l'antica riputazione non venisse ofluscata dal Veronese. io6 Al domani gli ufficiali di cucina e i cuochi dello. Scaligero invadono, la piazza di Santo: Stefano e quella del Verziere e comperano, tutto, fino all'ultimo piccionte, fino, all'ultimo, cavolo. Ma ecco, che di li' a rnezz'ora le botteghe e le banche compaiono, rifornite di nuova selvaggina, di ogni frutta, e di ogni verdura, meglio di dianzi. Can Grande comanda di comperare di nuovo ogn~i cosa. Invano. Un'ora dopo, i mercati appariva~no ancora provvisti di ogni ben di Dio. Non potendo credere Can Grande, dihe il fatto POtesse avverarsi per la terza volta ripet6 con gravissimo, dispendio, le compere. -Se vuol proprio cavarsi questo 'capriccio - dissero, i mercatini - paghi ai quanti plurimi la nostra merce. E triplicaron'o i prezzi. Eppure a mezzogiorno Verziere e piazza Santo Stefano rigurgitavano per la terza volta di tutto quanto offrono, i due regni della natura in corntnestibili. Fu allora che lo Scaligero, dovette dire: ne ho abb-asta~nza e si di6' per battuto. E Galeazzo gli imband'i un pranzo, come i cugino, a Verona non ne aveva mai avuto, leguale. La fiera di Sinigaglia Dal Verziere, per la via Francesco Sforza, COsteggiando, il naviglio, poi attraversando i due corsi, e per via Santa Croce, giunsi su quello, di porta Ticinese. 107 Dall'imboccatura del bastione, che mette a porta Genova, mi si spiego6 dinanzi agli occhi quella famosa. fiera, che i cenciajoli e i ferravecchiai, di Milano tengono d'estate ogni mattina all' aria aperta e che il popolo ha intitolata. la fiera di SInigaglia. Non chiedetemi perch6' la si chiami con tal nome. La celebre fiera, che si tiene in luglio nella simpatica citta' delle Marche, non ha proprio nulla a che fare con quella esposizione milanese, di tutto ci6' che v'a di phi' sciupato, di phi' sgualcito, di ph'i smesso, di phi' lercio, quale mi accadde di osservare sul bastione di porta. Genova. Tutta la mercanzia e' messa giui per terra; non dico sulla. nuda. te'rra, gi acche6 la maggior parte di que' cenciaioli distende sotto ai ciarpami esposti in vendita dei fogli di carta, o, qualche pezzo di tela o di tappeto. Dalle casse tragrgono gli innumerevoli oggetti del loro commercio, e alla rinfusa. Li depongono in mostra. A Milano non ci saranno meno di duecento cenciaioli e da. quaranta a quarantacinque rigattieni. 1 primi vanno intorno a raccogliere, gli altri tengono bottega di spaccio. I cenciaioli' che girano tutto il giorno per la citta' col. sacco e la stadera. in spalla. e il. cavagno sul. braccio gridando: Oh strasciee, e guardando in su alle finestre se s')affaccia la povera. donna o La serva. di casa, -un bel giorno, pensarono, di far senza dei rigattieri e di vendere la loro roba senza bisogno, di questi. E istituirono la fiera di' Sinigaglia all'aria aperta. xo8 Essi nei loro lunghi gini per la citta' comperano di tutto. Sto per dire che i yeri cenci da mandare alla follatura. non sono la specialita' maggiore del loro traffico. Che cosa non trovi tu. infatti alla fiera di Sinigaglia? L non si grida la merce, come si usa, di solito sulle fiere delle sagre. La' i rivenditori sono, tutti muti come pesci. Si direbbe che vo-gliano no-bilitare col contegno di commerciante serio, la scadentissima. mercanzia, o~ppure che orgogliosi di quella mostra non si curino di vantarla ai passanti. In certi compartimenti e' tale e tanta la varieta', la singola-rita', la disp~arita' degli oggetti sciorinati, che il venditore stesso non saprebbe dire appunti-no tutto ci6' che tiene in mostra. C'&' da. scommettere che non c'e" una. sola. damina, neppur di Milano, la quale conosca. di vista l'eteroclita fiera. Nei libri dei cattivi odori, in cui si cerc6' di descrivere la Milano ignota, non ne trovi ili phiU iontano accenno. E si' che in fatto di lurido, a quei fervidi amatori di di6 che v'ha. di phiu abbietto sulla terra, la fiera di Sinigaglia avrebbe do~vuto far gola. IUn oggetto - oh sublime! - che merita di essere cavato fuori dall'immenso rinfusio di robe grosse e minute fu un certo cappello a tuba, ch'io notai appunto in quella mia passeggiata all'alba, lo9 posato su un portacatinella zoppo, accanto - mi ricordo perfettamente - a un paio di molle a pala, a una pignattina e ad un tagliere. Ah, quel cilindrino non mi uscira mai piu dalla memoria. M'arrestai, lo presi in mano e volli conoscerne l'autore. Portava sul fondo internamente l'etichetta del cappellaio Calcaterra, che teneva bottega in Broletto. Oh come mi pareva gia di vederlo in capo a Ferravilla, quell'adorabile cilindrino dalla tesa larga un pollice rivoltata leggermente in su. Che scoppio irresistibile di ilarita avrebbe accolto la comparsa del sur Pedrin, se fosse uscito con quel copricapo tanto grazioso ed ameno! - II compagno di questo brodequin dov'e? - chiese al cenciaiuolo, che se ne stava la in piedi seguendo coll'occhio vigile le mosse degli avventori, un giovinetto operaio in ciabatte, che cercava e annaspava in mezzo a una piccola montagna di calzari scalcagnati, luridi, pieni di muffa d'ogni genere e d'ogni specie. - II compagno non c'e - rispose il cenciaiuolo con una specie di grugnito. Cotesta botta e risposta mi pose in attenzione. Mi fermai pensando fra me. - 0 dunque qui si vendono anche gli stivali scompagnati? - Allora - ripiglio l'operaio vado a dare un'occhiata negli altri mucchi di scarpe, se mi capitasse di trovarne un altro, che potesse formarmi il paio e se lo trovo torno subito indietro a comperar questo. - Faccia pure il suo comodo. II -Questo e' di decstra, ripigli6' 1'operaio, prenciendo in mano, il borzacchino ed esaminandolo. -Bisogna die trovi il sinistro. Me lo metta da Parte. E se ne ando alla grande investigazione. lo non ebbi la pazienza di seguire Ai misero nella sua ricerca archeologica. Avrat trovato il sinistro,? Speriamolo. Mi arrestai, poco dopo, innanzi alla mostra d'u-n cenciaiuolo, p'iii civile degli altri, il quale si era concesso il lusso di erigere in un canto della propria, esposizione una piccola vetrina, con parecclii orologi da tasca. usati e veccbi. Un gio-vinetto povero, in canna, di quelli che a Roma si chiamano crostini d'infimo rango, si ferma a fare l'occhio, pio a questi orologi. Poi da' una palpatina alle tasche del farsetto, man'da un sos-piro, si La coraggio e si decide. Domanda, alhrigattiere: - Signor Mauri, quanto vuole di 'questa, saponetta? -Mi dia tre lire. -Tre, lire! Misericordia.! La ca~lotta, e di stagno. -Che stagno! Sarai lei di stagno. P, di nikel. -Do una lira e: mezza. -Non posso in coscienza. Mi costa a me due lire. Via facciamo due lire Perche6 e lei. II giovinetto non e' di quelli die tirano. -P timido! Si lascia persuadere e sgocciola le due monete; riceve l'orologio dalle mani del signor Mauri e se ne va. trionfante col suo ordigno, in mano. lo gli guardavo dietro per studiar la gioia di III quel felice. Lo vidi mettere iA suo, bo6,olo, all'orecchio, per sentire il tich tach... Che e' mai 1i giovinetto s'arresta di botto, sui due piedi. Si direbbe che l'orologio sia muto,. Niente. tich tach! Ecco infatti il fanciullo, di ritorno, dal rigattiere tutto rannuvolato. Teneva nelle mani I'orologio. colla callotta e la controcallott'a aperte. -Cosa c'e'? — domand6' lo stracciaiuolo col fare sornione e refrattario, che gli e' abituale. Ii Mauri e' famoso, per un certo, terribile pugno che diede a un creditore, iA quale gli chiedeva certe cinque lire prestategli. Iipoverino. invece delle sue cinque lire s'ebbe spezzata una gamba nel cadekre a terra. 1i giovinetto, conosceva questa, prodezza del Mauri. Allungando, dunque la mano verso, di lui col1'orologio tremava. -Coss'el gha de lamentass? - domand6' lo stracciaiuolo. -Ma come' -1 sclain6 il fanciullo.. - El vied no cekel gha minga denter i buseech? Non ho voluto tradurre Ia frase di questa risposta per non levarle la sua nativa espres~sione. Vorrebbe dire. -Ma come! Non vede ella che al suo, orologio mancano le budellaP Vale a dire ii castello. La fiera terminava prima di arrivar a porta Genova. Jo tornai su i miei passi. Quel pandemo-. nio della miseria mi interessava. 112 13 - Daniele Ranzoni - Ritratto 14 - Daniele Ranzoni - Ritratto di giovinetta (disegno' Ci vorrebbero almeno diedi pagine fitte, -per nominare tutti gli oggetti esposti. Null~a di phi' facile, del resto, riuscirebbe che il, fare questa, eru-' dizione stracciaiola, la q'uale forse non dispi'acerebbe a certi ultra-realisti impenitenti. Per me vi rinuncio. volentieri, perche6 quegli oggetti nominati ad uno, ad uno. mi pare die non direbbero, nulla, di artistico. Se in quella. esposizione della miseria. ~ possibile trovare una. certa espressione di poesia voigare, e un certo, qual. pittoresco del brutto. non e' che a condizione di consi'derarlo nel. suo, sterminato complesso. Allorai contrasti salteranno agli occhi, e ti faranno, pensare o ridere o fors'anche fremere. Allora. soltanto il. mistero della vita miserabile e le angoscie, segrete della fame ti si sveleranno, in tutta. la loro solenne e pur umoristica espressione, e avrai imparato qualche cosa. II mercato della flfifla Dallo, spalto del bastione, sul. largro-di sotto, al, di kIa del laghetto, c'e' il mercato. Uscii da porta Ticinese e mi misi fra. quelle haracche e quei banchi posticci a ristudiar il popo,lino. La c'e' anche il mercato della fliff a, die in dialetto significa la parte phi' scadente di checchessia. La ffifla, che si vende lagghi' sul piazzale, che ha da una parte la Darsena, dall'altra. la strada maestra cie mette a Corsico, e' tutta di comnmestibili. I formaggi avariati della citta' o dei ma~gazzi "13 ni del borgo, tutte le forme di parmigiano ingrugnate o lise, o alluminate, o vaiolate, o che sudano, o che puzzano, o che filano, tutti i salsiccioli rancidi de' pizzicagnoli cittadini, tutta la roba mangereccia insomma vieta o guasta va a finire la su quei banchi, che ogni mattina i barulli innalzano e ogni sera disfanno come in Verziere. Io mi fermavo qua e la orecchiando. D'un tratto mi vedo di contro un giovinotto, buon campagnolo, che avevo conosciuto in Brianza, e che veniva a Milano per la prima volta. Egli era uscito poco dianzi dall'osteria della Noce, e stava la come intontito a guardare un fanciullo, arrivato in quel punto con una carriuola, dinanzi a una baracca, dove si vendeva del parmigiano verde come la pelle d'un ramarro. -Oh crico d'un crico! - lo sentii esclamare nel suo dialetto brianzolo. - Bisogna dunque proprio dire che i Milanesi siano demoni per la forza che hanno nei muscoli. Io non capivo. -Per la forza che hanno nei muscoli? -ripetei. - Ce n'e anche qui di forti, ma ce n'e di deboli come dovunque. -- Ah, ma se tanto mi da tanto, chissa i facchini poi. -Ma spiegatevi. - Vede ii quel carretto, caro il mio signore? - Lo vedo. - Ci son su dieci forme di formaggio di grana. - Ebbene? -Vede ii quel ragazzo? Egli da solo ha tirato quel carretto fin qui. I"4 -Lui? Da solo? P,'impossibile! esclamai alla rmia volta. -Eppure 1'ho veduto io~, con questi- miei occhi, che Possa' cascar morto sul colpo se non ey ero! It arrivato qui con quell'enorme peso, e non Mostrava neanche di fare troppa, fatica. Jo so che le forme di forinaggio p~armigiano non pesano mai meno di cinquanta chili ciascuna. Ma. quelle 14 che so-no delle piu' grandi, ne peseranno almeno sessanta. Dunque e' come dire che su quel carretto ci sta il peso per lo meno. di sette quintali. Ah Cristo fin de legn. che forza. hanno i Mfilanesi! Jo dovetti dare in una risata. Quel Cristo-fin dec legn, per associazione di idee, mi aveva di subito svelato l'enigma. Non poteva essere dice cosi! Jnfatti ecco il ragazzo, - un cittolo che poteva avere un quattordici anni -- staccarsi dalla banca paterna, andar al carretto., pigliar a due mani una di quelle enormi forme, palleggiarla sulle due braccia come se fosse stata una. rotella di vallonea, portarla, con tutta disinvoltura. e deporla sul banco di suo padre. -Ma non vede, non vede che muscoli ha quel ragazzo! esclamava il campagnolo, giungendo, le palme delle mani. -Via! diss'io - provatevi a levarne una voi stesso. Troverete che poi -non sono, cosl' pesanti come creCdete. -Ah forse perche6 sono di formaggio, splu-' gDnoso? — No. Non e' nemmeno formagglo spugnoso quello - risposi io, - quello e' formaggio di legno. -Di legno! -Sicuro. Quel rivendugliolo ii della b-anca, "I5 ha un fratello falegname e lui tiene 1'impre'sa della fornitura delle, forme di parata pei pizzicagnoli, che non hanno, i quattrini per comperar delle' forme di vero formaggio. Queste che voi vedete sul carretto, sono tutte di legno dipinto, e servono, alla mostra nelle botteghe, che amano, far credere essere ben fornite -con poca spesa. It forse da questo, inganno che e' nata a Roma la parola caciofarso -che significa tradimento:? (da H>) II' EMILIO PRAGA Figlio di agiata f amiglia, non trov6' difficoltA nel sod' disfare, durante I'etA giovanile, i desideri piu's fantasiosi. Poeta, am6 contraccambiare i sorrisi delle dame (nei salotti Dandolo e Maffei) con manoscri'tti di poesie sue; pittore, si misc a percorrere le contrade p-iii allettanti d'Europa (Alpi1, Svizzera, Olanda, Fiandre); letterato, a Parigi voile assaporare fino in fondo l'atmosfera morbosa che vide sbocciare e( Les fleurs du mal )) di Baudelaire. Senonchi l'improvvisa morte del padre, determin6 la sparizione d'ogni benessere economico. Con f aniglia di suo (dal '6 2 aveva giA ii piccolo Marco), come sostegno si scelse l'arte sua. I risultati non si, fecero attendere; e con essi la miseria. Raccomandato, gli fu di qualche aiuto la cattedra di Letteratura al Gonservatorio di Milano. Ma egli, per temperamento fu professore negletto e insofferente, sempre sull'orlo d'essere sibalzato. Gli si attacc6' in quel torno di tempo ii vizio, dell',alcole, e la sua fibra - non certo tetragona - ne usci subito indebolita e compromessa. Per cavare un po' di sostentamento, si pieg6' a comporre libretti d'opera e lav'ori di teatro. Separatosi da ultimo' dalla moglie, (era giunto al punto di cader per via fradicio con al fianco ii figliolet-to), non ebbe piii requie. E gli ultimi suoi tempi, nonostante gli sforzi degli amici, furono d'un abbandono triste e miserevole. Si trascinava di bettola in bettola.' Finche' oirmai morente, fiu accolto in casa d'un suo fratello che 1'assistette fino al trapasso (26 dicembre 1875). BIBLIOGRAFIA: le sue opere in prosa sono: Schizzi a penrma in (( Rivista Minima )), Milano, febbraio-marzo 1865; Due destini, racconto, in e(Pungolo )), Milano, dal 30 dicernbre 1867 al 18 febbraio 1868; Tce storie int una, racconto, in a Pungolo )), Milano, dal 14 al 18 gennaio 1869; Memorie del presbiterio, romanzo, in (ePungolo ~o, Milano, dal giugno at novembre 1877, edito poi in volume dal Casanova, Torino, 1 881, rimesso ora in luce dall'editore Garzanti, Milano, 1941. SCHIZZI A PENNA IMPRESSIONI DI VIAGGIO Duinkerken Era un alto, magro e p~allido personaggio. Guardava troppo spesso e in tropp~o strano, modo la costoletta die mi fumava dinnanzi. Mentre una bella bench6' pingrue, e simpatica benche6 pettegola ostessa, andava e veniva proiettando, ogni cinque minuti Sul mio, tavolo l'ombra di due spalle incommensurabili; ii Cicer'one mi recitava flemmaticamente. monotonamente e gutturalmente la tiritera. lo mangiavo e tacevo. Quell'organo vivo suonava in cattivo, francese: ~(Dunkerque, Duinkirken, 1'Eglise des Dunes. Oui Monsieur, oui; fondata nel 960 da Balduino, il giovane, conte di Fiandra, intorno, a una chiesetta innaizata in mezzo alle dune, Carlo V...>~. ~> Una risposta tedesca e tin sorriso... Ma il cagnetto sembra voler surrogare il mio mutolo, vicino; e si da' a guaire con una. perseveranza sospetta e un'insolita continuita'. La dama lo guarda, lo esamina, davanti, di dietro, di sopra, di sotto. Ii chierico ghigna maliziosamente, la vecchia appunta l'unico occhio alla. tonaca del frate, ii, fittabile da' in uno scop~pio di nisa. La camera ove ci avevano, imbandita, la cena era una camera larga, bassa e tenebrosa. L'aria vi era orribilmente calda, che, fendendola col viso, pareva tin elemento solido, che si nitirasse al nostro arrivo, ma per rinchiudersi tosto intorno a noi -e opprimerci in una immensa spira vischiosa. Le pareti di legno, sudavano, e luccicavano qua e la', quando i nostri corpi, allontanandosi un po' dal piccolo desco, permettevano Al baglior fioco e palpitante della lucerna di zoppicare nello spazio. Sulla cornice che correva all'ingiro, riposava 12I no in pace le teste dei camosci uccisi, pel corso di due generazioni, dai cacciatori della famiglia. L'ombre di tutte quelle comna nere. sfumavano, intrecciandosi sul soffitto affumicato; le imagini del santi, in larghi campi di carta, componevano intorn'o alla stufa come un rosario, di pallottole bianche, e dalle tozze finestre si scorgeva la valle immersa nella neve. La vecchia massaia arriv6' finalmnente con una fumante scodella di latte. La imbandf, poi, presane una. cucchiaiata, la gett6' sotto il'tavolo, con una smorfia malinconica e arguta. Allora l'uscio, piagnoloso, scivolo6 sui cardini, e la bella faccia del padrone, come una luna. in mezzo a un cielo oscuro, comparve rotonda e giocon-; da accanto al livido, profilo della consorte. Era un uomo, alto, tarchiato, e barbuto. Quando apriva. la bocca a parlare, l'attenzione degli ascoltatori correva gran pericolo di essere fuorviata dall'abbagliante candore di due immani fila di denti; quando taceva e ascoltava a sua volta, la parola vi Si strozzava in gola softt il fascino, di quei grandi occhi neri e profondi. Egli ci aveva. servito di guida il di' innanzi, e le sue storielle che parevano, germogliare ad ogni risvolto, di via, ci avevano per bene abbreviata la difficile salita. Ci salut6' col saluto cordiale di cui si regalano i vecchi amici; gli offrimmo una sedia accanto a noi, e, versatogli da bere, gli domandaM'Mo la causa della strana. libazionte di cui la vecchia cornpagna della, sua vita ci aveva. fatti testimoni un momento prima. - per scongiurare i folletti, - rspose Colla 122 serieta' di un monaco, del '200. -- Se non offrissimo loro queste primizie, questa notte, messeri rmiei, sentireste un bel frastuono qua dentro. Vedete le belle chicchere, e i fiaschi lucenti, e i vasi e le statuette della Madonna,, e; le rocche, e, i fusi, e il naspo, della cognata, e l'arcolaio dell'ava? Tutto ci6' ballerebbe i balli di Satana, e domattina l'odor dello, zolfo non mi permetterebbe di bere, qua sotto, il tiepido latte munto al tocco dell'avemaria. - Noi sorridemmo; ma iA vecchio, caccia-tore vibrandoci in faccia quei suoi' grandi occhi di bragia riprese: - Si capisce che voi non avete veduto, come mio, bisnonno ha veduto, gli spettri immensi aizar le nostre giovenche a dieci piedi di altezza, n6' restituirle se- non, dopo, ch'egli ebbe volte le mani all'azzurro; n6' la fata che arriva con due capre bianche quando, l'annata e' fertile, e due capre nere quando l'annata e' cattiva; ne gli uomini neri che abitano le caverne dell'alte montagne e custodiscono, i cristalli del San Gottardo! -Oh! fortunato quel vostro, bisnonno, oser6il mio, compagno di viaggo unian son corsi' dacch6' egli vide cost' strani miracoli? -Molti, molti anni; allora le Alpi, che ora sono, coperte di neve e di ghiaccio, erano belle di pascoli e di vigneti; le nostre giovenche mangiavano senza paura il titimalo, e le napelle. erano lietamente morsicate dalle pecore e dai puledri... Uno, sbuffo, di vento scosse le imposter; la vecchia si raggom itol6' sulla seggiola tarlata trinciando il segno, della croce; 1'omo, ammutoli' come se una mano invisibile lo avesse in quel momento afferrato alla gola. Poi, con una voce che non era, piii quella di prima: - Avete udito, avete udito,? I23 -SI, ii sibilo del vento. -Oh, non e" vento soltanto, -Forse qualche cagnetto, che abbaia alla luna. -No, no; l'urlo, " "caduto, dalla caverna delle fate. Qualche aquila dell'Oberalp si e' abbattuta sui pineti. che la circondano; ed ora la Reuss trascina il suo, cadavere al lago. L~e fate odiano le aquile, e le uccidono urlando. E il povero montanaro, era pallido, come una monachella ammalata. -Non sorridere di scherno, dissi all'amico pittore. Pensa che costui, solo' colla sua carabinia alle spalle e la sua fede nel cuore, ha sorriso, saltando le orrende fessure deile ghiacciaie, ha cantato, il Ranz des Vaches in mezzo alle vertigini dei precipizi, sul capo delle valanghe, al di la" delle nuvole mugygenti; e pensa, che noi; fortissimi, che -non crediamo, alle potenze del male perche6 dubitiamo, di quelle del bene, floi die qui fra quattro, pareti regaliamo, di un po' di compassione gli ispirati timori di un montanaro, non sapremmo trovare in tutto il nostro, scetticismo tanto coraggio da seguirlo domattina nella phi' breve e phi' facile delle sue cacce. Un immenso piatto, di came salata ci mandava un odor acre alle nari, e il gatto, cui regalavamo, come certo ai suoi giorni non era stato mai regalato, arrotava' sommessamente le sue piccole mascelle fra le nostre gambe incrociate. La vecchia dallo, sgomento era passata nel sonno, e di tanto, in tanto, il suo, naso, depresso esalava una, nota piagnolosa e sottile. -Sono, dieci anni che abbiamo, celebrato alla sagra di S. Gallo le nozze d'argento,! E il buon I24 uomo covava quel suo mezzo secolo d'amore, con uno sguardo in cui non sapevi se piu leggere di tenerezza o di venerazione. E il mio pensiero correva da quella capanna perduta in mezzo ai dirupi, correva a Parigi, alla gaia Parigi, lasciata pochi di prima; e intorno a quelle due teste canute, grinzute, innamorate e felici, apparivano le mille bellezze brulicanti sulle rive della Senna, le Frini dagli occhi di fuoco e dai seni di marmo, le cacciatrici di giovinetti, i sepolcreti dell'ideale! E la mano mi correva senza volerlo alle labbra quasi a strapparne l'ultima impronta dei baci roventi; a purificarle, a renderle degne di toccare quelle degli ospiti. 0 religione della virtu! o sermoni della solitudine! * *- * Ed ora, bel mandriano, racconta, racconta le storie ereditate dal nonno. Amo le leggende delle Alpi, come i fiorelli sconosciuti che ne colorano i fianchi; non hanno la fragranza della rosa, non hanno il profumo del gelsomino, ma respirandone l'olezzo leggero e modesto, non ti si paran davanti gli occhiali dell'orticultore, e non pensi all'inaffiatoio del giardiniere. La caverna delle Fate A diciott'anni Donato era il piui bel giovinetto che piegasse sotto il martello una verga, nelle fucine di Vallorba. Quando ne usciva al meriggio, colla fronte coperta di fuliggine e i muscoli delle braccia gonfi come i torrenti quando arrivano le piogge, le fanciulle si arrestavano sui gradini della fontana, e i loro cuori battevano sotto i busti di tela. Ma come egli era appena rientrato al lavoro, era caso che le vecchie comari non accom 125 pagnassero la sua partenza, con qualche m'aligna parola. Con unma voce cigolante come la corda del pozzo, su cui piegavano, le ruvide schiene, esse parevano gareggiare a chi scagliasse a Donato ii rimbrotto phi' acerbo, la predizione phiu triste. - orgoglioso come tin serpente!I -Ciarliero come una gazza! Ad ogcni modo, pare che il giovane fabbro, contento dell'ammirazione delle fanciulle, lasciasse gracchiare le comari a I -r agio. Ma i vecchi, i vecchi hanno, sempre ragione. Bisogna sapere che sui gi-oghi sovrastanti alle fucine -di Vallorba, in cima ai dirupi del Giura, esisteva una immensa caverna; anima viva non avrebbe osato, penetrare lai dentro': era la casa delbe fate. Una di queste, ad ogni domenica di Pasqua, appariva nella valle seguita da. una pecora bianca come un colombo, quando, b'annata doveva essere abbondante; da una pecora nera come un corvo, se le campagne e i pascoli dovevano, tradire be preghiere dei pastori. Un'abtra fata, al tocco della mezzanotte, veniva l'estate a bagna'rsi nelle belle acque dell'Orba, e 1'accompagnavano due lupi, due lupi che cogli occhi scintillanti allontanavano, dalle rive la gente curiosa. D'inverno, non appena tacevano le incudini e svaniva il bagliore deble fornaci, le fate scivolando, pian piano, lungo, IImuro annerito delle fucine, vi entravano, a riscaldare le vaghe spalbe di neve; tin gablo, andava albora a posarsi sub phiU alto comignolo, debl'opifidio, e abl'alba, quando i fabbri tornavano, abzava un grido, e le fate. fuggivano. I vecchi mendicanti delle montagne le dicevano belle-, alte e ben fatte; be dicevano vestite di una bianca veste die trascinavano fino a terra, ce x26 landone i rapidissi'mi. piedi: le chiomne bionde pe-ndevano. abbandonate sugli omeni e parevano mantelli d'argento; quando, poi cantavano, la voce delle fate aveva tutte le dolcezze dell'arpa. Le comari per6' parlavano, da senno; ii be! Donato che aveva sentito narrare queste meraviglie tutte, moriva dal desider io, di' conoscere le straordinarie creature. Non vi dissi ch'egli era ardito come un camoscio, robusto' come un. torello. furbo, come un segugio,? Un bel mattino, senza chiedere consiglio, a nessuno, senza salutare nessuno, parte, s'inerpica, passa i ghiacciai, arriva all'orrendo pertugio, ne smuove i macigni che nascondono, la grotta e vi Salta a pie' pani in mezzo. Ecco, che scorge una fessura, una piccola fessura di cui non s'era accorto entrando. Son la', dice, e vi 'Si caccia. La piccola fessura metteva a una grotta rotonda; in mezzo alla gyrotta rotonda olezzava, un leggiadro letticciolo di' muschio. Donato vi Si siede e a poco, a poco e, preso dal sonno; in, sonno, grave, aff annoso, eppur pieno, di dolcezza. Dormi, dormi' chi sa quanto,; e al ridestarsi, miracolo,! la caverna e fuoco, splendore; e 11 accanto a lui, accanto cosi' che ne sente il respiro, e ne sfiora la veste, una donna, una giovane donna tutta circondata dalla bionda. capigliatura; e le stanno, ai fianchi due candidi conigli, e guarda, lo straniero, collo, sguardo color di cielo. La fata aiffi la bella mano a Donato, e, colla phiu dolce voce del mondo, gil disse: -Donato, vuoi tu. restare con me? Io ti far6' felice, io ti insegner6' la scienza dei metalli e dell'erbe che danno, la salute e la gioia: ti fivelero6 i segreti sconosciuti al resto degali uomini; e le mie 127 sorelle della grotta mi aiuteranno a farti scordare le dolcezze che godevi sulla terra. -Accetto! accetto, - esclam6 il fabbro, a cui pareva di sognare. - Si? -aggiunse la fata - ad un patto per6 -E quale? -Tu non mi vedrai che quando nii garbera' di apparirti; s'io mi nascondero6, non cercherai di scoprire la mia dimnora, e non tenterai di penetrarvi; o ch'io ti abbandono per sempre. < Milano - fa-scico/i di fcbbraio e marzo 1865) 131: INCONTRI E tale mi aveva l'aria di essere il villaggio, di Suizena. quando, giunto, all'inevitabile fontana, mi scontrai finalmente in un uomo. Curvo sul bacino da cui esalava, un acre odore di sapone, prova che quella sera le comari avevano fatto ii bucato, egli teneva le braccia, nude fino alle spalle, nell'acqua biancastra e pareva, assorto in qualche occupazione di grave momento, giacche6 non si accorgeva. o, non curavasi del largo zampillo che, cadendo, dall'alto, gli spruzzava, copio-samente 'la testa..Stavo, per, rivolgergli la parola, quando si sollev6, e, traendo, dalla fogna un cencio, inflizato, a un bastoncino, esclamo6, con. quel timbro, di voce proprio, dei lavoratori della montagn~a: -Una caiza! e poi si lagnano della povertat, e poi pretendono, trovar l'acqua pulita alla mattina! Come si fa, se lasciano otturarsi il pertugio,... persino, dalle caize! 0 che gente! -Brav'uomo, gli dissi io, sapreste indicarmi I'osteria? Si volse e la prima cosa che osserv6' fu - indo,vinate' die cosa? - il mio bastone. 132 -Oh! che magnifico, corno! ma questo era i-i papai di tutti i camo~sci!I E senza complimenti, me lo prese dalle mani, e si die' a contemplare 1'alpestre ornamento del mio, muto compagno di viaggio colla. compiacenza con clui una forosetta avrebbe vagheggiato un monile. -Non ye ne sono mica sulle nostre cime di camosci co~si grossi; e' forastiero, vossignoria, non C vero? -Si, siamo d'altri paesi tant'io, che ii combo. Veniamo da lontano, perci6' abbiamo bisogno di mangiare e di dormire; se dunque voleste aver la bonta' di indicarci... -D'osteria propriamente non ce n'6'; ma c e di meglio. -Che? -C'e\ il curato! -Ma che c'entra il curato coll'Osteria? -Se c'entra! La mi dica, sarebbe cosa decente che, per mancanza della locanda, non si potesse alloggiare un cane in paese? -t, giusto. Ed e\ il vostro curato, che ha messo insegna? -Oh! insegna, no; un prete, le pare? E poi che importa 1'insegna; quelli che pgirano il mondo, non le mangiano mica le insegne delle o-sterie, n6' vi dormono sopra. L'importante e\ che trovino, un desco, ed un letto;- ci6\ che si trova dal signor curato per l'appunto. E, soggiunse, ammiccando furbamente gli occhi, non si paga niente. Quest'ultima informazione. mi decise. Gia\ mi aveva ripugnato, l'id-ea di dormire sotto il tetto di un prete; quella di dovergli restare debitore di un servigio mi fece cavar dalle tasche la carta '33 geografica e andarvi in traccia di un'altra possibile meta. II lettore non si scandalizzi di questa mia istantanea ripugnanza, apparentemente, solo apparentemente, volterriana. A quell'eta non ero;, come non fui mai, un cattolico, fervente; bensi nai sentivo, ancora lun cristi~anello per il quale l'accettar l'ospitalita' da un uomo di chiesa, non sarebbe sernbrato certamente un derogare ai propri principii religiosi e alla umana dignita'. -Tanto phiu con quell'appetito e con quella stanchezza in corpo,! Ahimen.1 la ricusavo appunto, stavolta, perch6e' gia' in due altre occasioni, dacche6 mi aggiravo su per quei monti, 1'avevo accettata, e con mio inenarrabile danno. Non vi conter6' quanto mi era capitato la prima volta; fu una tragedia che si svolse nelle te-.,nebre di un granaio, fra due lenzuola di co/ore. oscuro e... ci6' restera' un eterno, mistero. ILa -seconda volta il mio, ospite era stato, un prete giovane, dalla faccia color scarlatto, gran bevitore, gran cacciatore e, per conseguenza, gran parlatore. La sua vita domestica e i suoi sproloquii, non r'ammento se phiu degni di Casti o, di Aretino, erano riusciti a togliermi dall'anima tutto il bene che, le aveva fatto, in quindicigiorni, la semplice natura. La possibilita' di ricadere nell'afa ammorbata di un sacerdote di simil genere, mi spaventava quasi peggio delle memorie phiU materiali che serbavo, dell'altro. Chiesi dunque Al mio interlocutore, in quanto, tempo avrei potuto raggiungere un vicino, villaggio, di cui dovetti ripetere pi' volte il nome ch'ei '34 non conosceva, die in dialetto; dialetto spicciativ'o che faceva un monosillabo di una. parola. composta di almeno, una. dozzina. di lettere. -EhI! non meno, di tre ore, a camminare spedito; e c'e' a due terzi di strada, un torrentello, che non le consiglio di guadare di notte. -Non importa; questo buon bastone cornuto, m'ha, come 10 vedete, aiutato, a guadarne altri, e di molti. La strada, e questa? -Si, lino, alla chiesa die e' fla a due minuti dal paese; poi Si volge per la strada piu-i stretta., a mancina: quella che scende, co~steggiando, 1'orto del signor curato. -Vi ringrazio: state sano, voi e tutta la vostra, famiglia. -Vengo, anch'io fino, alla chiesa; di Ia" le indicher6' meglio. -Benone. E Ci incamminavamo. L~e case erano, gia' chiuse quasi tutte. Avean 1'aspetto, piu'i povero, di quelle vedute nei dintorni; ma' in compenso, la strada era di una insolita pulitezza. Alti gruppi di quercie si intercalavano'bizzarramente qua e 1a" all'abitato, coprendo, le tegole di verzura, e di ombria; alcune rocche di camino, andavano a nascondersi nel frondame; ii, la casa e 1'albero, non erano vicini, p~arevano, abbracciati. La luna illuminava quei casti amplessi quasi affettuosamente, ed io vedeva, nell'umnida penombra) di co~si cani motivi di pittura. che me ne piangeva. proprio, ii cuore a staccarmene. -Dite, il mio brav'uomo, oltre il curato, non conosce-.te nessuno, che possa offrirmi, pagando, una materassa.? Una materassa mi basta e, quanto al mangiare, sono ancor meno, difficile. '35 - Per carita! Nessuno, nessunissimo; tutta povera gente che a voltarli colle gambe in aria non cade in terra la croce di un quattrino. I piu agiati, in questa stagione, sono all'alpe: si dorme nelle stalle o a ciel sereno... s'immagini. -E fra due ore, trovero alloggio all'osteria di... - Ne puo esser certo: la Gertrude, la locandiera, una diavolaccia che ha cinque figlioli sulle spalle, apre ai forestieri di notte: scenderebbe per servirla, anche se si trovasse in punto di morte. -Ditemi un po', che facevate intorno alla fontana? - Le diro: non posso andar a casa se prima non mi sono rassicurato che nulla impedisce il corso dell'acqua. Per esempio, veda, stanotte la voleva esser bella, se non c'ero io a liberare da questa calza il pertugio. L'acqua inondava la strada, e domattina per le giovenche, restava nel bacino quella del bucato. - Siete dunque impiegato mmnicipale? Spalanco gli occhi, come se gli avessi parlato chinese, poi rispose: - Io sono il campanaro. ~ per questo che non posso andar a casa senza aver visitata la fontana. Lo strano ravvicinamento del lavatoio col campanile era fatto per destare la mia curiosita. Ma l'altro non mi fece sospirare, e continuo: - I1 signor curato non dimentica mai, quando passo nella sua stanza per metter la spranga alla porta, dopo il Rosario, di domandarmi se ci sono stato: < Baccio e il pertugio? > oppure soltanto: < Prendendo il. bicchiere speravo, vincere o almeno sviare.lemozione che sentivo, salirmi dal cuore alla faccia. Fu invano: 10, stavo sotto, un fascino: l'a-micizia che doveva legare dappoi il giovine pittore al vecchio curato aveva gia' stese le ali sulle nostre teste. Alle mie parole egli si era alzato, e, con u~n gesto che avea del fratello insieme e del padre, m prese le mani, mormorando: -Dio vi benedica! In questo, Mansueta entro6 con una candela ao.cesa e mi disse: -Quando desidera, il letto e' pronto. Persuaso che fosse l'ora in cui conveniva ridrarsi, strinsi la mano un'altra volta al mio nuovo amico, e, a malincuore, giacch6 non sentivo piui nessuna stanchezza, seguii la fantesca. Ella mi fece salire una piccola scala dai gradini larghi e lisci, e mi trovai davanti a u~n letticciuolo pulito, fiancheggiato da un ampio seggiolonie che aveva l'aria di aver passati i begli anni della sua gioventii fra la musica e l'incenso del coro. Del reSEo la camera destinatamni non offriva '149 molta materia di analisi. Una sedia' coperta di paglia stava al posto, del tavolo, da notte, coll'inevitabile bicchier d'acqua e il mazzo, degli zolfanelli; in faccia al letto, sotto, la finestra, un tavolino, quadrato, con una gamba piu' corta delle altre, pareva' un ballerino nell'atto di spiccare la pirouette; una fila di quadretti coprivano in simmetria le pareti bianchissirne: sotto, i vetri punzecch-iati dalle lentiggini delle mosche, riconobbi iA Crisostomo, San Filippo, abate, San Luigi Gonzaga, - litografie colorate con toni -azzurri e rossi crudi e duni come gli scheletri che si trovano nelle sabbie dei tropici - brava gente che certo, faceva le meraviglie di 'veder. quel letto vestito a nuovo, e me beatamente distesovi sopra. Non era quella la camera che il curato, offriva agc~li scalpellini ed ai mulattieri; non tardai a persuadermi che per me si era scelto il locale delle grandi occasioni, in cui chi sa da quanto, tempo nessuno aveva dormito. Ne puo6 essere prova l'aneddoto innocentissimo che mi piace contarvi, bench6' affatto, estraneo, al soggetto. Prendo anzi quest'o~cca'sione per ripetere ch'io, qui non scrivo, un romanzo, col suo, principio, col suo mezzo, col suo fine, colle sue cause, il suo sviluppo, e le sue conseguenze, e tutte le belle cose che si leggono nei trattati di estetica; ma bensi' raccolgo, impressioni di scene e di fatti, sensazioni di luoghi e di persone in cui mi sono, scontrato, e che, per un mero, effetto del ca~so convergeranno, se mi si presta attenzione, a far cornice utile se non anche necessaria al soggetto, doloroso che e' la ragione di essere di questo, studio. Mi ero, dunque coricato, e riandavo col pensiero, gia ondeggiante nell'atmosfera magnetica che 150 precede il s-onno, i casi della giornata. Macchinalmente i nmiei occhi erano fissi alla frnestra chiusa, dalle fessure della. quale penetrava. un pallido baggliore di luna. D'improvviso, mi parve che qualche cosa si movesse sul. tavolino, sottoposto, qualche cosa di nero, un volume o una scatola. Concentrai l'attenzione, trattenendo il respiro, e... un sudore freddo, ni coperse dal capo, ai piedi; era un. berretto da prete che dondolava., die s'inchinava, die saltellava diabolicamente. Mi rizzai senza volerlo; ii berretto, come se mi avesse veduto o, sentito, si arrest6'; riposi la testa sul guanciale, il berretto si die' a ballare di nuovo. Bisogna. ch'io confessi che ho, la disgrazia. di credere a una quantita' sterminata di cose a cui la maggioranza degli uomini non crede'; e voi sapete l'influenza della solitudine sugli spiriti incdim al soprannaturale. A quell'epoca, non avevo, ancor letto Edgardo Poe, ma avevo gia"t tutti sognati i sogni di quell'anima. infelice; e quell'amore pieno di voluttuoso, sgomento die mi lega, adesso, al poeta dell'nesplicabile, mi avvinceva. gia, inconscio,, al mondo, tenebroso, delle sue scoperte. Quel berretto magico die mi aveva atterrito, cominciavo, a osservarlo, col capo, quasi sepolto, nelle coltri, collo sguardo, immobile, col respiro represso, eppure con una. sorta di godimento die somigliava, a quello che prova. ii naturalista quando, frugando, nelle rocce, gli vien dato di scoprire una specie rara d'erba o di minerale. Ballonzolando capricciosamente, a furia di piccoli sbalzi, il berretto era giunto, sull'orlo, del tavolo, e il 6iocco, traboccatone, penzolava, coll'ondeggaenomnoooe re~qlare di una camparn' '5' Allora. mi parve di udire ancora i rintocchi dell'agonia della Gina, e di veder la giovane morta distesa attraverso la camera. L'eccessiva stanchezza, gi avvenimenti impreveduti danno - coll'aiuto di una materassa di piume, - di cosi' fatte allucinazioni. Ii pallore di quella faccia, rovesciata sulle spalle, illuminava le pareti; gli occhi, cop erti di un velo di'afano, come se i ragni vi avessero filato di sopra, spalancati e pieni di stupore, scintillavano fiocamente; del corpo, sepolto nella penombra, non scorgevo die indistintamente i contorni. A poco a poco svaniro'no del tutto, quasi assorbiti dalla oscurita': ma, in compenso, il lume del viso cresceva. lo la fissavo senza batter ci~glio, per tema die, abbandonandola solo un minuto secondo, la visione dovesse sparire. La contemplazione indefessa la incatenava; ma fra essa e i miei occhi passavano dei globi e delle striscie di fuoco. Cominciavo a sentirli di soverchio stanchi, e gia' anche la faccia del cadavere si scioglieva: non ne restavano che due scintille sotto, le palpebre; ma quelle due scintille (mi to~ccai per accertarmi che non sognavo) quelle due scintille non erano una illusione, quelle due scintille esistev'ano, quelle due scintille erano occhi yeni, due occhi os-curi che mi guardavano, die mi guardavano, fissi fuor da quel berretto infernale!. Balzai nel mezzo della stanza e nello stesso tempo... diedi in uno scroscio di risa. II berretto rotol6' per terra, e il pii'i leggiadro topolino del mondo mil pass6' tra le gambe. E-Ecco, uno, pensai ricacciandomi fra le coltri, uno die ha avuto "i' paura di me..152 E spento il lume, e mormorato come il bramino: Tutto non? che ombra vana! mi addormentai per non risvegliarmi che a mattino inoltrato. (da < Le memorie del presbitrio ~) 153 IGINIO UGO TARCHETTI .KLungo, pallido,- melanconico, fatale, chiuso come in una sepoltura dorata nella tunica dell'intendenza militare a), cosi apparve a Salvatore Farina a poco, piii di vent'anni. Ma ii Tarchetti 'non doveva durare a lungo sotto le restrizioni della disciplina militare. Ufficiale di carriera si dimise ben presto per correre a Milano presso i compagni d'arte, fiducioso di trarre dai libri suoi sostentamento - oltreche' fama - alla propria giovinezza. Senonche', i primi ternpi, molte furono le visite al Monte di Pieta', e i suoi pasti spesso si composero di sole castagne secche. A poco a poco -fatta qualche concessione alla realt6 s'industri6 di cavar qualcbe cosa dalla collabo-razione giornalistica. Non si pu6' non ricordare qui Antonio Ghislanzoni con la sua ((Rivista Minim a a), compagno di cuor d'oro e ei generosity senza linaiti. Quando per6 diede alle stampe (sull'appendici del (( Sole a)) il romanzo ((Una nobile folliHa a), I'utile - salvo le lodi dei gruppi amici - fu tale che, indebitato e per di.pitl aminalato, dovette ritirarsi a Torino presso la rnadre. Trovato I'i S. Farina (allora studente in legge) ricominci6' a fantasticare piani di gloria e ricchezza. Raggiunta su questo piano la piAi completa intesa, i due amici tornarono a Milano. Ospite in casa dell'amico o girovago i!n camere ammobigliate, riconiinci6' ii Tarchetti la sua odissea che doveva stremargli le forze e condurlo alla toniba. Qualche collaborazione ora non gli mancava (la stessa a Fosca a fu comperata da Leone Fortis per il (( Pungolo a) prima che egli la scrivesse). 1i pensiero morboso della morte pe~r6 lo rendeva pigro e inattivo, Ammalatosi i primi del '69, fu pietosamente accolto in casa Farina (accomodato sul sofa' della camera da pranzo; Nonost'ante gli amici mandassero gratuitamente qualche buon dottore, il 25 marzo 1869 spir6'. Era nato nel 1841. BIBLIOGRAFIA:- Un su'icidio all'inglese in Rivista minima )) 30 aprile 1865; La fortuna del capitano Gubart, in (( 11 Giornale per tutti a, Milano, 4 niaggio 1865; Pao11na in (e Rivista minima a), 1866, poi in volume, Tip. Ed. Lombarda, Milano, 1875; Una nobile follia, nel (( Sole a), Milano, 1867, in volume prima nel 1867 e 1869, poi presso Sonzogno nel 1874 con 1'aggiunta di Pensieri; L'innamorato defla montagna, in (eSettimana illustrata a), Milano., 1869, in volume, Tip. Ed. Lombarda, 1877; Amore nell'arte, racconti, Ed. Treves, Milano, 1 869; Racconti fantastc, Ed, Treves, 1869; L'elixir dell'immortalitad, Ttagica fine di un pap pa7allo, It tago del~e tre lamprede, raccon.-ti in ( Emporio pittoresco a), Milano, dal febbraio al luglio del 1868; Fosca, in ((Pungolo a, Milano, 1869, in volume, Milano, 1869; Racconti umoristici, Ed. Treves, 1869; Pagine di romanzo, in aRivista minima a), agosto 1875; La fcwya bianca e la fatva nera, in e( Strenna Italiana a), Milano, 1872; Disjecta, Ed. Zanichelli, Bologna, 1879, FRAMMENTI I lo canto la morte della mia govinezza.Flc chi pu6' cantarla a suo, tempo, quando, divennero canuti i suoi capelli, e l'eta' gli addita, la tomba della vita! Lasciate che io, pianga, i miei sogni e le inie sp'eranze. Piove la rugiada dal cielo sul fiore che ebbe un solo giorno, di vita, e chi non avra una, lacrima per Ia creatura animata? A vent'anni, io canto la morte della. mia giovinezza. Tre grandi epoche segnarono, i. cammino della mia vita. Bella e% la vita rallegrata dal sorriso, della speranza, soave e" la voce dell'amore negli anni della. giovinezza. Jo rammnemoro il tempio della foresta, i colli di Valnera, e gli occhi di Malvina. Ancora io, sogno le emozioni di questo passato. Altro non e" la vita che un sogno, oh lasciatemi, lasciatemi dunque sognare. Dove mi trasporti o incanto misterioso, della fantasia? Jo riveggo, le antiche muraglie del ternpio della foresta: 'nni ardenti di fede, canzo-ni d'amore echeggiate sotto le sue volte, di voi non mni e" rimasta che una memoria. '57 Nelle tenebre della notte si versano le lacrime della natura; nel segreto della mia anima, io piango gli anni felici della mia giovinezza. Oh rapide colline della mia valle! Oh consolanti riminiscenze della mia giovane vita! intendo la voce misteriosa delle vostre memorie. Agile cacciatore della montagna, chi potea togliermi la mia felicita? Ohime! io non avea peranco conosciuto l'amore. Oh lasciate che tornino al mio cuore queste memorie. Soave e il pensiero della felicita negli anni della sventura. Io sogno l'esistenza di quindici anni... Oh lasciate dunque che io sogni. Piui dolce del canto dell'usignolo, piu ardente dell'occhio della gazzella, erano la tua voce, e le tue pupille, o Malvina. Oh perche non mi affatico io di dimenticarle? Cento notti trascorsero dall'ora della nostra separazione. Io benedico la notte, perocche essa sia compagna della mia solitudine. Sola conobbe la nostra felicita, sola conosce la nostra sventura: splende il patetico raggio della luna, anche sull'infelice... Volgono ora nella mia anima tristi pensieri di morte, abbandonatemi al mio dolore... una morte io debbo piangere, ed e quella della mia giovinezza. Come trascorrono le acque del fiume sotto la superficie gelata, cosi passano ignorati fra le lacrime, e velati da un sorriso menzognero i giorni della mia vita; il mio destino li ha numerati e il mio destino e governato dall'amore. E perche dovro io vivere senza di esso?... Voi non tornerete, o tiepide primavere, che per gli amanti felici... Cadono appassiti i vostri fiori dalle mani di un giovane sventurato. Benedetto il tempio e le valli e l'amore della mia fanciulla: essi passarono come la mia felicita: ma chi I58 potra rapirmene la memoria? Essi verranno meco nella tomba della mia giovinezza. II Io vado errando lontano dalla mia patria, e veggo aggirarsi per l'aria una foglia di cipresso trasportata dal vento. Dove te ne vai, o piccola foglia di cipresso, dove te ne vai? Noi ci faremo compagnia. Nello stesso modo che tu vieni trasportata pel cielo dal turbine impetuoso, io sono cacciato dal mio destino per terre sconosciute... Ohime! tu non potrai piui ritornare al tuo albero! povera foglia! povera foglia! Maledetta la mano che ti ha distaccata dal tuo ramo. Io sono pure allontanato dalla mia patria da una mano maledetta. Precedimi, o piccola foglia di cipresso nel cammino doloroso dell'esilio; il mio destino non sara mai diverso dal tuo; tu anzi sopravviverai forse a me stesso, e sbattuta dopo tanti anni dal vento, verrai un giorno a riposarti inconsapevole sul mio sepolcro. Precedimi dunque, o povera foglia, noi ci faremo compagnia. Giovane ancora, senza affetti, e senza speranze, io vado errando sulla terra come una foglia trasportata dal vento. III Forse nelca tomba si sogna Io ti ho sognata. L'amore solamente puo creare dei sogni cosi belli, ne molti anni di vita potranno darmi un simile godimento. Oh perche x59 i sogni passan'-o cosi presto! Moriamo... forse nella tomba, si sogna. Ho voluto rivedere quei luoghi che da tanto tempo non avevo veduti, alberi e campi, deliziose colline,' spiaggie solitarie del mare; essi sono ripieni di te, essi non mi parlano che di te sola... Oh corriamo corriamo, dove la vita sil agita nell'amore. L'autunno fa. cadere le foglie, le nebbie avvolgono queste campagne., eppure esse non, erano, Cosi belle quando la primavera le rivestiva di fibri. L'amore soltanto vi ha lasciata. una bellezza incantevole. Jo allora non amavo... Oh miseri co. loro die non amano! Di buon mattino io ti volli vedere, e tu ancora. dortuivi; dormivi accanto a colui al quale ti ha legata una destino inevitabile. Uomo dal cuore arido, non avvelenare il suo sonno. Essa mi ha forse sognato... Oh Iddio la risparmi dai sogni Cosi fune'sti! Oh donna die disperatamente amIo, e per cui mi ave-a forse fatto nascere la sorte, non vorrai dunque nutrire un afletto per uno sventurato? Un affetto colpevole? Oh non chiamarlo con que. sto nome. Si amano tutti gli sventurati sopra la terra. Volgeranno pochi giorni, ed io sar6' allontanato forse da te eternamente. Dolci speranz'e,, affezioni dilette della vita, di voi non mi sarah rimasto che un sogno. Oh perch6' i sogni passano cosi presto? Moriatno, moriamo, se nella tomba Si sogna!I (da 4 Canti del cuore v x6o 19 - Daniele Ranzoni - Donna con ombrellino (disegno) 20 - DMtniele Ranzoni - Ritratto della signora Tonla2 (collezione TomlaZ2 LE LEGGENDE DEL CASTELLO NERO ~ E chi non ha esciamato talora, parendogli di ravvisare in qualche persona delle sembianze gia' note: quell'$uomo l'ho,gia' veduto: dove? quando? chi e' egli? non lo so,, ma per fermo noi ci siamo veduti altre volte, 162 noi ci conosciamo! - Nella mi'a infanzia vedeva spesso, un vecchio che certo, aveva conosciuto fanciullo, da cui certo era stato conosciuto, gi~ vec.chio: non ci p-arlavamo, ma ci guardavamo, come persone che san-no, di conoscersi da tempo. - Lungo una via di Poole, rasente la spiaggia della Manica, ho trovato un sasso, sul quale mi r'ammento, benissimo di essermi seduto, saranno circa settant'anni, e ricordo, che era un giorno, triste e pio,voso, e vi aspettava una persona di cui ho dimenticato ii nome e le sembianze, ma che mi era cara. - In una galleria di quadri a Gratz ho, veduto un ritratto, di donna che ho, amato, e la conobbi subito bench6' ella fosse allora piui giovane, e il ri'tratto fosse stato fatto, fors~e vent'anni dopo, la nostra separazione. La tela portava la data del i647: press'a poco, a quell'epoca, risale la maggior parte di queste mie Memorie. Vi fu un tempo della mia fanciullezza, durante ii quale non poteva ascoltare la cadenza di Certe canzoni che cantano, da noi le donne di camp-agna nelle fattorie, senza sentirmi trasportare ad un tratto in un'epoca cosi' remota della mia vita, che non avr'ei potuto risali'rvi' anche moltiplicando un gran numero, di volte gli anni gia' vissuti nell'esistenza presente. Bastava che io, ascoltassi quella nota per cadere sull'i'stante in uno stato come di paralisi, come di letargia morale che m rendeva estraneo, a tutto ci6' che mi circondava, qualunque fosse lo stato d'animo, in cui essa, mi avesse sorpreso. Dopo i venti anni non ho piu1 riprovato quel fenomeno. Non aveva io piui ascoltata quella nota? o, la mia anima, gia' abbastanza immedesimata colla vita presente, si era resa insensibile a quel richiamo? 163 o die la mia natura e' inferma, o'che iocne pisco, in modo diverso dagli altri 'uomini, o, che gli altri uomini subiscono., senza. avvertirle, le medesime sensaziofli. lo sento, e non saprei esprimere in qual guisa, che la mia vita - o d66 che noi chiamiamo propriamente con questo nome - non e' incominciata col giorno, della mia nascita,, non pu6' finire con quello della. mia morte. lo -sento colla stes-sa energia, colla stessa, pienezza di sensazione con cui sento la vita dell'istante, benche' cio avvenga in modo, phiu Oscuro., phi strano, phi inesplicabile. E d'altra parte co-me sentiamo noi di vivere nell'istante? Si dice, io, vivo. Non basta: nel sonno, non si ha coscienza, dell'esistere -- e no-ndimeno si- vive. Questa coscienza dell'esistere puo non essere circoscritta esciusivamente negli stretti limiti di ci6 che chiamiamo la vita. Vi possono, essere in noi due vite - e" sotto, forme diverse la credenza di tutti i popoli e di tutte le epoche' - l'una. essenziale, continuata, imperitura forse; IPaltra a periodi,. a sbalzi phiu o meno brevi, phi' o meno ripetuti: l'una 'e l'essenza, l'lrel iea zione, e' la forma. Che co-sa. muore nel mondo? La vita muore, ma lo spirito, il segreto, la forza della vita non muore: tutto vive nel mondo. Ho detto il sonno. E che cosa e' il sonno,? Siamo, noi ben certi che la vita del sonno, non sia una vita a parte, un'esistenza distaccata dall'esistenza della veglia? Che cosa. avviene di noi in quello stato,? chi lo sa dire? gli av'venimenti a cui assistiamo o. prendiamo, parte' nel sogno, non sarebbero essi reali? Cio6 che noi chiamiamo con questo nome -non potrebbe essere die una memo,ria confusa di quegli avveni'menti?... Pensiero spaventoso e terribile! Noi forse, in un ordine di i64 verso di cose, partecipiamo a fatti, ad affetti, ad idee di cui non possiamo conservare la coscienza nella veglia'; viviamo, in altro mondo e tra altri esseri che ogni giorno abbandoniamo, che rivediamo, ogni giorno. Ogni sera si muore di. una vita, -ogni notte si rinasce d'un'altra. Ma ci6' che avviene di queste esistenze parziali, avviene forse anche di quell'esistenza intera e plu definita che le comnprende. Gli uomini hanno sempre rivolto lo, sguardo, all'avvenire, mai al passato; al fine, mai al -principio; all'effetto, mai alla causa; e nondimeno quella porzione della vita a cui il tempo pu6' nulla-togliere o aggiungere, quella su cat la nostra mente avrebbe maggiori diritti a posarsi, e dalla cui inves-tigazione potrebbe attingere le phiu grandi compiacenze, e 'gli ammaestranenti phi' utili, e quella che &" trascorsa in un passato phiu o meno remoto. Perocch6' noi abbiamo vissuto, noi viviamo, vivremo. Vi sono delle lacune tra queste esistenze, ma saranno, riempite. Verra' un'epoca in cui tutto il mistero ci sara' rivelato; in cui si spiegherai tutto, intero 'ai nostri occhi lo spettacolo di una vita, le cui fila incominciano nell'eternita' e si perdono, nell'eternit6; nella quale noi leggeremio, come sopra un libro divino, le opere, i pensieri, le idee concepite o, compiute in un'esistenza trascorsa, o in una serie di esistenze parziali che abbiamo dimenticate. - Se gli altri uomini serbinot o no questa fede, non so; ma ci6 non potrebbe ne6 fortificare, ne6 abbattere il mio convincimento. Ad ogni modo, ecco il racconto. Nel 1830 10 aveva quindici anni, e conviveva colla famiglia in una grossa borgata del Tirolo, di cui alcuni riguardi personali mi costringono a 165 sopprimere il nome. Non erano, passate phiu di tre generazioni dacche6 i miei antenati erano- venutit ad allogarsi in quel villaggio: essi vi erano, bensi' venuti dalla Svizzera, ma la linea retta della fam-iglia era oriunda della Germania: le memorie che si conservavano della sua. origine erano, si'inesatte e si oscure, che non mi fu mai dato di poterne dedurre delle cog~nizioni ben definite: ad ogni modo, mi prenie soltanto di accertare questo, fatto, ed e' cb e il ceppo della mia casa era originario, della Germania. Eravamo, in cinque: mio padre e mia madre, nati in quel villagg%(io, vi avevano ricevuto" quell'educazione limitata e modesta che e' propria della bassa borghesia. Vi ~erano bensi delle tradizioni aristocratiche nella mia famiglia,. delle tradizioni che ne facevano, risalire l'origine al vecchio feudalismo sas-sone; ma la fortuna della nostra casa si era talmente ristretta che aveva fatto, ta'cere in noi ogni istinto di ambizione e di orgoglio. Non vi era differenza di sorta tra le abitudini della mia famiglia e quelle delle famiglie phi' modeste del popolo, i miei genitori erano, nati e cresciuti tra di esse, la loro vita era tutta una. pagina bianca; ne io, aveva potuto, attingere dalla loro, convivenza, n6' trarre dal loro meto'do di educazione alcuna di quelle idee, di quelle memorie di fanciullezza che predispongono alla, superstizione e al terrore. L'unico, personaggio la cui vita racchiudeva qualche cosa di misterioso, e d'imperscrutabile, e che era venuto ad aggiungersi, per cosi dire, alla mia famiglia, era un vecchio, zio, legato a noi, dicevasi, da una comunanza d'interessi, di' cui Pero6 non ho potuto decifrarmi -in alcun modo le ra T66 gioni, dopo, che, e per la morte di lui e per quella di mio padre, io venni in possesso della fortuna della mia casa. Egli toccava. allora - e parlo, di quell'eta' a cui risalgono queste mie memorie - i novant'anni. Era una figura alta e imponente, benche6 leggermente curvata; aveva tratti di volto maestosi, marcati, direi quasi plastici; l'andamento fiero quantunque vacillante per vecchiaia, l'occhio irrequieto e scrutatore, doppiamente vivo su quel viso, di Gui gli anni avevano paraliz~zata, la mobilita' e lespressione. Giovine ancora, aveva. abbracciato la carriera del sacerdozio, spintovi dalle pressioni insistenti della. famiglia; poi aveva buttata la tonaca e s'era dato al militare; la rivoluzione francese lo aveva trovato nelle sue file; egli aveva passato quarantadue anni lontano dalla sua patria, e quando vi ritorn6' - poiche6 non aveva rotti i voti contratti colla Chiesa - ripr-ese l'abito di prete che porto6 senza macchie e senza affettazione di pieta' fino alla morte. Lo si sap-eva dotato d'indole pronta benc~h6 abitualmente pacata, di volontat indomabile, di mente vasta ed erudita, quantunque s'adoperasse a non parerlo. Capace di grandi passioni e di grandi ardimenti, lo si teneva in concetto, di uomo non comune, di carattere grande e straordinario. Ci8' che contribuiva per altro' a circondarlo di questo prestigio, era ii maistero che nascondeva il suo passato, erano alcune dicerie che si riferivano a mulle strani avvenimenti cui volevasi che egli avesse preso parte - certo egl~i ayeva reso dei grandi servigii alla rivoluzione; quali e con quale influenza non lo Si seppe -mai: -egli Mori a novantasei anni portando seco nella sua tomba iA segreto della sua vita. i67 Tutti conoscono le abitudini della vita di villagg~io; non. mi tratterro a discorrere di quelle speciali della mia famliglia. Noi ci radunavamo tutte le' sere d'inve'rno in una vasta sala a-pian terreno, e ci sedevamoi in circolo intorno ad uno di quegli ampii camini a cappa si' antichi e si' comodi, che il gusto moderno ha abolito, sostituendovi le piccole stufe a carbone. Mio zio, che, abitava un appartamento separato nella stessa casa, veniva. qualche volta a prender parte. alle n'ostre riunioni, e ci raccontava alcune avventure de' suoi viaggi e di alcune scene della rivoluzione che ci riempivano di terrore e di mer aviglia. Taceva pero6 sempre di s;e richiesto della parte che vi aveva- preso, diStoglieva la narrazione da quel soggetto. Una sera - lo ricordo, come fosse ieri - eravamo riuniti, secondo il solito, in quella. sala: era d'inverno, ma. non vi era neve; il suolo gelato e imbiancato di brina. rifletteva i raggi della. luna in guisa da produrre una luce. bianca e: viva come quella di un'aurora. Tutto era silenzzo, e: non si udiva che il m'artellare alternato di qualche goccia che stillava dai ghiacciuoli delle gronde. Ad un tratto un rumore sordo, e improvviso di un oggetto gettato nel cortile dal muricciuolo di cinta, viene ad interrompere la nostra. conversazione; mio padre si aiza, esce e si precipita fuori della porta che mette sulla via, ma non ode rumore alcuno di passi, ne6 vede, per tutto quel tratto di strada, che si distende dinanzi a lui, alcuna. persona che si allontani. Allora raccoglie dal suolo un piccolo involto che vi era st'ato gettato, e rientra con esso nella sala. Ci raccogliamo, tutti dintorno a lui per esaminarlo. Era, meglio die un involto, un grosso plico quadrato in vecchia carta i68 grigiastra macchiata di ruggine, e cucita lungo gli orli con filo bianco e a punti esatti e regolari che accusavano l'ufficio di una mano di donna. La carta tagliata qua e la dal filo, e arrossata e consumata sugli orli, indicava che quel piego era stato fatto da lungo tempo. Mio zio lo ricevette dalle mani di mio padre, e lo vidi tremare ed impallidire nell'osservarlo. Tagliatane la carta, ne trasse due vecchi volumi impolverati; e non v'ebbe gettato su gli occhi, che il suo volto si coperse di un pallore cadaverico, e disse, dissimulando un senso di dolore e di meraviglia piu vivo: - g strano! E dopo un breve istante in cui nessuno di noi aveva osato parlare, riprese: - t un manoscritto, sono due volumi di Memorie che risalgono alle prime origini della nostra famiglia, e contengono alcune gloriose tradizioni della nostra casa. Io ho dato questi due volumi ad un giovane che, quantunque non appartenesse direttamente alla nostra famiglia, vi era congiunto per certi legami che non posso ora qui rivelare. Furono il pegno d'una promessa, cui non io, ma il tempo mi ha impedito di mantenere: si, il tempo... aggiunse tra di se a bassa voce. - Io lo aveva conosciuto ali'Universita di***, allorche vi studiava teologia: egli fu ghigliottinato sulla piazza della Greve, e la sua famiglia fu distrutta dalla rivoluzione saranno ora quarant'anni..., non uno gli sopravvisse... E strano!... E dopo un breve intervallo, osservando che verso la cucitura dei fogli si era accumulata una polvere rossastra leggerissima, ci disse, come si fosse risovvenuto di un pericolo: - Lavatevi le mani. - Perche? I69 ,- Nilla... Ubbidimmo. Si pass6' tutta quelia sera in s.'lenzio: mio, zio era Rin preda a tristi pensieri, e si vedeva, che- egli si sforzav'a di evocare o di scacciare de'lle memotie ass'ai dolorose. Si ritir6' assai presto, si rinchiuse nel suo appartamento, e vi stette due giorni senza lasciarsi vedere. Inl quella sera io mi coricai in "preda a pensie'ri strani e paurosi di cui non sapevo darmi ragione. Ero preoccupato dall'idea di quell'avvenimento phi' cie non avrei dovuto, phi' che un, fanciullo della mia eta' non avrebbe potuto esserlo. Indarno, 10 tenterei ora di rendere qui colla parola i sentimenti i'nesplicabili e singolari cie si agitavano dentro, di me in quell'istante. Parevami che tra quei volumi e mio zio, e me stesso, corressero dei rapporti cie non avevo avvertito fino allora, delle relazioni mister'iose e lontane di cui non giungevo, a decifrarmi in alcun modo, la natura, ne6 a comprendere il fine. Erano, o, mi parevano rimembranze. Ma di che cosa? Non lo sapevo. Di che tempo? Remote. Nella mia giovine intelligenza tutto Si era alterato e confuso. Mi addormentai sotto l'impressione di quelle idee, e feci questo sogno. Avevo, venticinque anni: nella. mia mente si eranio come agglomerate tutte quelle idee, tutte quelle esperien~ze, tutti quegli ammaestramenti die il tempo mi avrebbe fatto, subire durante gli anni che segnavano quella differenza tra l'eta' sognata -e 1'eta' reale; ma io rimanev'a nondimeno estraneo a questo maggiore perfezio-namento, ben.' che6 lo comprendessi. Sentivo in me tutto lo sviluppo intellettuale di quell'eta', ma ne giudicavo 170 col senno e cogli apprezzamenti propri dei miei quindici anni. Vi erano due individui in me, all'uno apparteneva l'azione, all'altro la coscienza e 1'apprezzamento dell'azione. Era una di quelle contraddizioni, di quelle bizzarie, di quelle simultaneita di effetti che non sono proprie che dei sogni. Mi trovavo in una gran valle fiancheggiata da due alte montagne: la vegetazione, la coltivazione, la forma e la disposizione delle capanne, e un non so che di diverso, di antico nella luce, nell'atmosfera, in tutto cio che mi circondava, mi dicevano ch'io mi trovava cola in un'epoca assai remota dalla mia esistenza attuale -- due o tre secoli almeno. Ma come era cio avvenuto? come mi trovavo in quelle campagne? Non lo sapevo. Cio era bensi naturale nel sogno: vi erano degli avvenimenti che giustificavano il mio ristarmi in quel luogo, ma non sapevo quali fossero; non avevo coscienza del loro valore, della loro entita, non 1'avevo che dalla loro esistenza. Ero solo e triste. Camminavo per uno scopo determinato, prefisso, per un fine che mi attraeva in quel luogo, ma che ignoravo. All'estremita della valle s'innalzava una rupe tagliata a picco, alta, perpendicolare, profonda, solcata da screpolature dove non germogliava una liana; e sulla sua sommita vi era un castello che dominava tutta la valle, e quel castello era nero. Le sue torri munite di balestriere erano gremite di soldati, le porte dei ponti calate, le altane stipate d'uomini e di arnesi da difesa; negli appartamenti del castello era rinchiusa una donna di prodigiosa bellezza, che nella consapevolezza del sogno io sapevo essere la dama del castello nero, e quella donna era legata a me da 171 un affetto antico,~,e io dovevo difenderla', sottrarla da quel castello. Ma gitui nella valle a' piedi della rupe ove io mi era arrestato, un oggetto6 colpiva do'lorosamente la mia attenzione sui gradini di un monumento mortuario sedeva un uomo che ne era uscito allora; egli era morto e tuttavia viveva; presentava un assieme di cose impossibili a dirsi, 1'accoppiamento della morte e della vita, la rigidita', il nulla dell'una temperata dalla sensivita', dall'essenza delI'altra: le sue pupile, che io, sapevo essere state abbaccinate con un chiodo rovente, erano ancora attraversate da due piccoli fori quadrati che davano Al suo, sguardo, qualche cosa di terribile e di compassionevole a un tempo. A quel fatto si k~gavano delle memorie di sangue, delle memorie di tun delitto a cui io, avevo, preso, parte. Fra me e lui e la dama del castello, correvano dei rapporti inesplicabili. Egli mi guargdava colle sue pupille forate; e col gesto, e con una specie di volonta' che egli non manifestava, ma che io, non so come, leggevo in lui, M'incitava a liberare la dama. Una via scavata lateralmente nella rupe conduceva al castello. Una imnmensa quantita' di proiettili lanciatimi dai mangani delle torni m'im-, pedivano di giungervi. Ma, strana cosa! tutti quei. proiettihi enormi mi colpivano., ma non mi uccidevano - nondimeno mi arrestavano. Attrave'rso le mura (lel castello, io vedevo, la dama correre sola per gli appartamenti coi capelli neri disciolti, col, volto e Coll'abito bianchi come la neve, pro.. tendendomi le braccia con espressione di desiderio e di pieta' infinira; e io la seguivo collo sguardo attraverso tutte quelle sale che io conoscevo, nelle quali avevo vissuto un tempo con lei. Quel 172 la vista mi animava a correre in suo soccorso, ma non lo potevo; i prolettili lanciatimi dalle torni me lo impedivano: a ogni svolto del sentiero la grandine diventava pi6' fitta e plu atroce; e quegli svolti erano molti - dopo questo un altro, dopo quello ancora un altro... io salivo e salivo... la dama mi chiamava dal castello, si affacciava dalle ample finestre coi capelli che le piovevano giui dal seno, mi accennava colla rnano di aifrettarmi, mi diceva parole piene di dolcezza Ie di amore, ne6 io potevo giungere fino a lei -era un'impotenza straziante. Quanto durasse quella terribile lotta non so; tutta la durata del sogno, tutto lo spazio della notte... Finalmente, e non sapevo, in che modo, ero arrivato alle porte del castello; esse erano rimaste indifese, i soldati erano spariti:. le impo — ste serrate si spalancarono da se' cigolando sui cardini irrugginiti, e nello sfondo nero dell'atrio vidi la dama col suo. lungo, strascico bianco, e colic braccia aperte correre verso di me, attraversando con una rapiditat sorprendente e rasentando appe-na lo spazio, la distanza che ci separava. Essa si gett6' tra le mie braccia coll'abbandono di una cosa morta, colla leggerezza, coll'adesione di un oggetto aero, flessibile, soprannaturale. La sua bellezza non era della terra; la sua voce era dolce, ma debole come l'eco di una nota.; la sua pupilla nera e velata come per pianto recente, attraversava le phiu ascose profondita' della mia anima senza ferirla, inesendola anzi della sua luce' come per effetto di un raggio. Noi passammo alcuni istanti cosi abbracciati: una volutta mal sentita da me n prima, ne6 dopo quell'ora, mi ricercava tutte le fibre. Per un momento io subii' tutta l'ebbrezza di qucll'amplesso senza avvertirla: ma non m'ero I'I73 posato su. questo pensiero, non era appena- discesa in me la coscienza di quella volutta', die'sentii compiersi in me un'orribile tras~formazione. Le sue forme piene e delicate che sentivo fremere sotto la mia, mano, si appianarono, rientrarono in se, sparirono; e sotto le mia dita incespicate tra le pieghe die si erano formate a un' tratto nel suo abito, sentii sporgere qua e la' 1ossatura di uno scheletro... Alzai gli occhi rabbrividendo e vidi Ai suo volto, impallidire, affilarsi, scarnarsi, curvarsi sopra. la mia. bocca;, e colla, bocca priva. di labbra. imprimervi un bacio disperato, secco, lungo, terribile.-.. Allora un. fremito, un brivido di morte scorse per tutte le mie fibre; tentai svincolarmi dalle sue braccia., respingerla..., e nella, violenza dell'atto il mio soflnfo si ruppe - mi svegliai urlando e piangendo. Tornai a' miei quindici anni, alle mie idee, a' miei apprezzamenti, alle mie puerilita' di fanciullo. Tutto quel, sogrno mi pareva. assai p~i' strano, assai piu' incomprensibile che spaventoso. Quali erano i sentitnenti che si erano impossessati di me -in quello, stato,? Jo non avevo ancora conosciuto la volutta' di un bacio, non avevo, pensato ancora all'amore, non potevo darmi ragione delle sensazioni provate in quella. notte. Cio6 non ostante ero triste, ero posseduto da un pensiero irremovibile; mi pareva che quel sogno non fosse altrimenti un sogno., ma una memoria. un'idea confutsa di CoMe la rimembranza di un facto molto remoto dalla mia vita attuiale. Nella, notte seguente ebbi un altr'o sogno. Mi trovava. ancora in quel luogo, mna tutto era 174 cambiato; il cielo, gli alberi, le vie non erano phi6 quelli; i fianchi della rupe erano intersecati da. sentieri coperti di madreselve; del castello non rimanevano, che poche rovine, e nei cortili deserti e negli interstizii delle stanze terrene crescevano le cicute e le ortiche. Passando, vicino, al, monuniento, che sorgeva prima nella valle e di cui pure non restavano, che alcune pietre, I'uomo abbacinato, che stava ancora seduto sopra un gradino, rimasto intattol, mi disse porgendorni un fazzoletto bruttato, di sangue: - Recatelo, alla signora de] castello. MiE trovai assiso, sulle rovine: la signora del castello era seduta al, mino fianco - eravamo soli - non si udiva una voce, un'eco, uno stormire di fronde nella campagna - essa, afferrandomi le mani, mi diceva: Sono, venuta tanto da Iontano, per rivederti, senti, ii mio, cuore come batte... senti come batte forte il mio, cuore 1... tocca la mia fronte e il mio seno: oh! sono, assai stanca, ho, Corso tanto; sono, spossata dalla lunga aspettazio~ne..., erano, quasi trecento aani che non ti vedeva. -Trecento, anni! -Non ti ricordi? Noi eravamo assieme in questo, castello: ma sono, memorie terribili, non le evochiamo. -Sarebbe impossibile; io le ho, dimenticate. -Le ricorderai dopo, la tua, morte. -Quando? -Assai presto. -Quando? Fra venti anni, al 20, di gennai-o: i nosu'ri destini, come le nostre vite, non potranno, ricongiungersi prima di quel giorno. -Ma allora,? -Allora saremo, felici, realizzeremo i nostri Voti. 175 -Quali? -Li ricorderai a suo tempo... ricorder ai- tutto. La tua espiazione sta per finire, tu hai attrav'ersate undici vite prima di giuingere a questa, che e' l'ultima. To ne ho attraversate sette sottanto, e sono., giai quarant'anni che ho compiuto il mio pellegrinaggio net rnondo; tu lo compirai con questa fra venti anni. Ma non posso rimanere piu a lungo con te, e necessario che ci separiamo. -Spiegami prima questo enimma. -t~ impossibile... Puo\ avvenire Pero\ che tu to abbia a, comprendere. Ho rinfacciato ieri a tUil a sua promessa; te ne ho restituito il mezzo, quei due volumi, quelle Memorie scritte da te, quelte pagine si colme di affetto... le avrai, se quwll'uomo che ci fu atlora si fatale non t'irnpedira\ di averle. -Chi? -Tuo zio..., egli..., t'omo detla valle. -Egli? mio zio! -Si, e lo hai tu veduto? -Lo vidi, e ti manda per me questo fazzoletto insanguinato. -, il tuo sangue, Arturo, dis's'ella con. trasporto, sia lodato it cielo! egli ha 'mantenuto la sua promessa. Dicendo queste parole la signora del castello sparve. - To mi svegliai atterrito. Mio Zio stette rinchiuso per due giorni nel suo appartamento: appena ne fu uscito, nii precipirai nelle sue stanze per impadronirmni di quei volumil, li aveva dati alle fiamme. Quale non fu per6 il mio, terrore quando nel rimescolare quelte ceneri vi rinvenni alcuni frammenti die parevario scritti di mio, pugno; e da' alcune. parole scoUIICssc che 176 erano rimaste intelligibili, potei ricostruire, con uno sforzo potente di memoria. degli interi periodi che si riferivano agli avvenimenti accennati oscuramente in quei sogni! Jo non potevo pni" dubitare della verita' di quelle rivelazioni; e bench6' non giungessi mai ad evocare tutte le mie ri — membranze per modo da dissipare le tenebre che si distendevano su quei fatti, non era phi' possibile che io potessi Me'tterne in dubbio 1'esistenza. Ii castello nero era spesso nominato in quei frammenti, e quella passione d'amnore che pareva legarnai alla, signora del castello, e quel sospetto di delitto che pesava sull'uomo della valle vi erano in parte accennati. Oltre. a cio, per una combinazione singolare altrettanto che spaventevole, la notte in cui aveva fatto quel sogno era appunto la notte del 20 gennaio: mancavano adunque' venti anni esatti alla mia morte. Dopo quel giorno io non aveva. dimenticato mai quel presagio, ma quantunque non ponessi in dubbio che vi fosse tun fondo di verita' in tutto quell'assieme di fatti, era riuscito a persuadermi che la mia giovennvi, la mia sensibilita', la nmia im. maginazione, avevano contribuito in gran parte a circondarli del loro prestigio. M~io zio, mrorto sei anni do'po, mentre io ero assente dalla famniglia. non aveva fatto alcuna rivelazione che si riferisse a quegli avvenimenti: io non avevo phi avuto alcun sogno che potesse considerarsi come uno schia~ rimento od una continuazione di quelli; e degli affetti nuovi, e delle cure nuove, e delle nuove passioni erano venute a distogliermni da quel pensiero, e crearmi un nuovo stato dli cose, un nuovo '77 1 2 - Scant'alatu~ra ordine di idee, ad allontanarmi da quella preoccupazione triste e affannosa. Non fu che diciannove anni dopo che io dovetti persuadermi, per una testimonianza irrefra-I gabile, che tutto ci6' che io avevo sognato e veduto era vero, e die il presagio della mia morte dove'va, conseguentemente avverarsi. Nell'anno, i849, viaggiando al nord della Francia, avevo disceso il Reno fin presso al confluente della piccola Mosa, e m'ero trattenuto a cacciare in q'uelue campagne. Errando solo un giorno lungo le' falde di una piccola catena di monti, mi ero trovato ad un tratto in una valle nella quale mi pareva essere stato altre volte, e non aveva fatto questo pensiero, che una' mernoria terribile venne a gettare una luce fosca e spaventosa nella mia mente, e conhobbi che quella era la valle del castello, il teatro de' miei sogni e della mia esistenza trascorsa. Benche6 tutto fosse mutato, benche6 i campi, prima deserti, biondeggiassero adesso di messi, e non rimanessero del castello che alcuni ruderi sepolti a meta' dalle ellere, ravvisai tosto quel luogo, e mille e mille rimembranze, mai phi'u evocate, si affollarono in quell'istante nella inia anima conturbata. Chiesi ad un pastore che cosa, fossero-quelle rovine, e mi rispose: - Sono le rovine del castello nero; non cono'scete la leggenda del castello nero? Veramente ve ne sono di molte e non si narrano da tutti allo, stesso modo; ma se desiderate di saperla come la so io... se~.. -Ditel, dite, - ilo interruppi sedendomi sulIl'er~ba al suo fianco. E intesi da lui un racconto terribile, un racconto che io non riveler6' mai, benche' altri lo possa allo, stesso modo sapere, e sul quale 178 ho potuto ricostrui're tutto l'edificio di quella inia esistenza trascorsa. Quando egli ebbe finito, io mi trascinai a stento fino, ad un piccolo villaggio, vicino, d'onde fui trasportato, gia' infermo a Wiesbaden, e vi tenni il letto, tre mesi. Oggi, prima di partire, mi' sono recato, a rivedere la rovine del castello, - e' il pr'mo, giorno di settembre, mancano sei me si all'epoca della mia mhorte -sci mesi meno, dieci giorni - giacche6 non dubito che rnorr6' in quel giorno prefisso. Ho concepito lo strano, desiderjo che rimanga alcuna memoria di me. Assiso sopra una pietra del castello, ho tentato di richiamarmi tutte le circostanze lontane di questo avvenimento, e vi scrissi queste pagine sotto l'impressione di un immenso terrore. L'autore di queste Memorie, che fu mio amico, e letterato di qualche. fania, proseguendo iA suo viaggio verso l'interno, della Germania, morf il 20 gennaio 1850, come gli era stato, presagito, ass~assinato da una banda di zingari nelle gole cosi' dette di Giessen presso, Freiburgo. LIo ho trovato queste pagine tra i suoi molti manoscritti., e le ho pubblicate. (dai <>) 179 NOTTE IN LUCANIA Noi salivamo a stento la via cie metteva a Picerno, non ne eravamo distanti phi' di tre' miglia, ma ne quella era la meta del nostro viaggio, ne6 essendola, avremmo potuto raggiungerla in quella notte. Ii freddo, era si' intenso che le ruote rinanevano inceppate in quel nevischio che si' agglomerava d'intorno, e che gelava subito appena smosso: spesso bisognava scendere per levarle dal solco che avevano formato es'se stesse, e far impeto contro i fusi-, e spingerle innanzi, quando pure non giravano su se medesime. I cavalli scivolavano ad ogni passo, e spesso perdevano phi' tenreno che non ne acquistassero - quelle quattro masse oscure, confuse, anelanti, indistinte., coperte di un vapore denso e fumante, avevano un aspetto singolarmente fantastico - mi richiamavano alla me'nte le cavalcature dei demoni della leggenda. Alla fine convenne sostare e riparare in una taverna che avevamo lasciato un mezzo, riglio die,tro di noi, vicino ad un piccolo gruppo di case situato a non molta distanza. dalla via. Una taverna in quei villaggi ~ ci6' cie vi ~ di i8o piM singolare, di pit pittoresco, di piu meritevole di essere osservato. E' la posada spagnuola con poche differenze, Con un po' piu di miserie, e un po' meno di poesia, quei convegni di lazzari e di carrettieri sono gli stessi che si incontrano sulle vie di Valladolid, della Sierra e dell'Estremadura. Quella in cui eravamo entrati era una delle meno miserabili e delle meno pericolose. Vi erano quattro letti eleganti di piume di polio, un'immensa lettiera di paglia attorcigliata e un fienile, - poteva alloggiare in tutto da diciotto a venti persone. L'edificio caratteristico del luogo, il camino, era uno dei piu ampii che io avessi mai veduto, e mi richiamava alla mente il focolare famoso della Fratta descrittoci si bene dal Nievo, toltone pero il lusso dello Spiedo, a cui suppliva uno schidione assicurato agli alari. Una lampada affissa al muro rifletteva la sua luce sopra un sole di latta che la riverberava sulle pareti: gli angoli della cucina rimanevano nell'oscurita: il fumo, compagno indivisibile della stanza, avvolgeva oggetti e persone in una specie di nebbia che si inalzava a masse sotto il soffitto. Esalazioni di grasso e di lucignolo impregnavano I'atmosfera di un odore nauseante - le panche e le tavole erano umide, unte, oleose; parevano fatte di una sostanza animale piu che di legno - un fascio enorme di ginepro crepitava nel focolare, entro cui un uomo gonfio per idropisia, soffiava con una canna da fucile terminata a bidente; tre lunghe catene annerite e vellutate di fuliggine pendevano dalla canna del camino, e quella di mezzo sosteneva un'ampia caldaia di ferro in ebollizione. Io presi posto sopra una delle panche che era ix8 -no sotto la cappa, e pregai che nil si allestisse un Ietto, e, aspetta'ndolo, mi si prepar'asse un boccolie di cena. -In quanto al letto, mi disse an omiciattolo che stava. versando acqua, da. un.'anfora foggiata sul. modello di quelle die vediamo nelle vecchie illustrazioni bibliche ~e greche, bisognera' che vostra eccellenza si adatti a dividerlo, con un. altro forestiero, ma e il letto migliore che noi abbiamo, e vi e" posto per quattro. Per la cena a n, altro p~aio di maniche, ecco -- 'e posando, l'anfora, si avvicin6" al focolare, afferro6 an tizzo acceso, lo sollev6' al livello della cald-aia, e mi fece cenno, di guardarvi dentro. Dalla su'perficie cli an liquido denso e oleoso, tempestato di bolle di grasso che parevano occbi, compariva, spariva e tornava a comparire una massa di carne nera e filamentosa che riconobbi tosto per un quarto di caprone. Alc'uni grossi fagioli di Spagna bollivano nella stes, sa broda di cui erano destinati a temperare il grasso, e venivano a galla, gorgogliando, e si rituffavano. L'omiciattolo, -riponendo, il tizzo sotto, la caldaia, mi guardo6 con certi occhi che volevano dire: la e' tutta grazia di Dio che non si trova dappertutto, ne6 in tutti' i giorni, e aggiunse a voce: le far6' anche andare alla fiamma. una schidionata. Ci6' detto distacc6" dalla. parete alcuni pepero.ni rossi disseccati al sole ed. inflizati in uno spago, Ii lasci6' ammollire nell'acqua tiepida, e Ii pass6' ad uno ad uno nello schidione, alternandoli con altrettante fette di formaggio fresco di bufalo. Pochi minuti dopo la mia cena era imbandita. I xniei compagni di viaggio - parchi come lo sono, ordinariamente i meridionahl- erano an 182 dadi a letto e nil trovai solo alla mia tavola. L'oSte, che era l'omiciattolo di cui ho parlato, sonnecchiava sulla panca; da un angolo della stanza non illuminato mi giungeva alle orecchie il russare fragoroso di una persona che non vedevo, e di quando in quando un. respiro concitato, e q'uasi anelante di qualche donna o di qualche fanciulla die pure non giungevo a distinguere. Un'altra. cena era apparecchiata dinanzi a me, ne' sapevo, a chi fosse destinata. La pioggia die aveva. ricominciato a imperversare, produceva un rumore strano cadendo su certi ulivi che crescevano nel cortile, il vento la portava a onde contro la- finestra; spesso alcune gocce cadevano giu' dal carnino, e facevano gemere la fiamma; il lucign-olo della lampada, coronato di una specie di bottone vermiglio, emetteva un fumo nero, e stomachevole che si dilatava a cerchi sotto il soffitto, e un canto lontano di galloquel canto cosi funebre che Shakespeare introduce in tutte le scene notturne dei suoi drammi pii'i spaventosi - veniva di quando in quando ad interrompere le mie calme meditazioni. Mi sentii preso da una profonda malinconia: 68o che non sarebbe avvenuto se mi fossi aifrettato a divorare la mia cena. Puna verita' desolante, ma incontestabile: non si puo6 essere malinconici a stomaco pieno. Ma la mia cena si stava rafireddando sul tavolo, e il mio pensiero vagava a suo talento fuori da quelle tristi pareti che mi circondavano. Vagava non so piii dove. Ii pensiero!1 Ho sentito spesso un disprezzo profondo per quegli uomini che si chiamavano materialisti, che riferiscono tutti i grandiosi fenomeni dell'aninaa umana a cause esistenti nella nostra organizzazio I83 ne fisica. Chi mi definisce il pensiero? Chi m'i fa, conoscere i limiti entro i quali puo6 essere circoscritto? Chi lo sottopone alle leggi ordinarie cui sono sottoposte tutte le cose che vivono intono a noi, cie cadono sotto il dominio dei nostri sensi, alle legggi di tempi e di luoghi? Che negazione assurda ed impotente! In quella notte io provavo pu'i che mai,tutta la grandezza, di questa potenza del pensiero. Difficilinente si hanno pensieri e meditazioni serene. Ii passato non ha d'ordinario che cause di memorie Si meste, e la vita e' per se stessa cosi' fecon'da, di mestizie, che noi di solito chiamiamo malinconia il semplice atto di meditare. Le sorgenti di questa dolce tristezza sono sparse per tutta, la natura, e noi arniamo spesso di attingervi; sono le medesime fonti da cui fluiscono la sapienza e l'amore - se 1'amore non e' g-i-a per se stesso una grande sapienza - e solamente lc anime volgari nifuggono dall'a'bbeverarvisi. Non io. Devo rendermi questa giustizia. Jo avevo dimenticata la mia, cena, quel pezzo di venerabile caprone, per abbandonarmi a questa volutta' di medita-re, che form.6 in tutti i tempi uno dci ph'i grandi piaceri e insieme uno, dci tormenti pu'i dolorosi della mia esistenza. Ed era scorsa una buona mezz'ora, e Chi sa quanto avrei ancora perseverato in quelia oziosa occupazione, se non avessi udito scorrere la cordicelia della porta, e non avessi veduto avanzarsi ii viaggia-tore sconosciuto, per cui era stato preparato l'altro coperto che mi stava, dinanzi, e col quale dovevo, dividere il letto. Buon Dio! Oser6 io dirlo? E come giustificare quell'antipatia profonda, assoluta, inesorabiie, i84 che mi rendeva odioso quell'uomo? Un incontro si singolare, si impreveduto, e in quel luogo!... Era una di quelle contrarieta che non succedono spesso per nostra ventura, ma che pure succedono. Devo accennare brevemente ai rapporti che erano passati tra di noi. Son tratto a sorridere io stesso di questa parola: rapporti. Erano due anni che ci vedevamo e che ci odiavamo tacitamente. Dovrei dilungarmi troppo se volessi analizzare e descrivere l'impressione che ne ricevetti la prima volta che lo vidi. Io non seppi mai spiegare a me stesso le origini di quella antipatia insuperabile che egli mi aveva ispirato: era un'avversione, una repulsione, un abborrimento che non avevano alcuna causa apparente, ma che nondimeno io non ero giunto mai a superare, ne semplicemente a reprimere. E questa avversione era sorta in lui colla mia: io me ne avvedevo, lo sapevo, lo sentivo; io ignoravo chi egli fosse, ed egli aveva pure probabilmente la stessa ignoranza a mio riguardo. Durante quei due anni, il caso pareva essersi preso giuoco di noi, ci aveva avvicinati ogni giorno; pareva che la nostra repulsione avesse voluto accostarci l'un l'altro, nostro malgrado. Vi erano stati per me momenti in cui questa fissazione aveva assunto tutto il carattere di una mania. Avevo pensato seriamente ad allontanarmi dalla citta ove abitavamo entrambi, e lo avrei fatto se alcune circostanze speciali della mia posizione non me lo avessero impedito. Ero giunto ad immaginare che egli avesse il potere, forse la missione, di esercitare una influenza sinistra sulla mia vita, e che la mia felicita esigesse che io tentassi ogni via per impedirlo. Mille volte ero rimasto perplesso tra lo scrivergli e scongiurarlo a libe I85 rarmi della sua vista, e tra il provocarlo, e mettere a climento la mia esistenza, per sbarazzarmene. Di iridugio in indugiO, di esitazione in esitazione, ero giuinto fino a quel giorno, senza risolvermi a nulla. Ma dire quanto egli mi fosse odioso, quanto io avessi sofferto dell1'avversione che nutrivo in amimo per quell'uomo, Mi tornerebbe impossibile. Ed ora, io lo avevo incontrato in an Iluogo cosi' lontano, in un. luogo dove non si sarebbe mai potuto supporre un s'imile incontro... proprio ora che avevo fincominciato a confortarmi della certczza di non vederlo pliu' per lungo tempo - e dovevo trovarmi quasi solo con lui rin quella ca.mera, cenare alla stessa tavola, coricarmi nello stesso, letto, passare una notte al suo fianco... era an imbarazzo cosi' tormentoso, cosi terribile, cosi' irrimediabile che v'era di che smarrire ii senno a pensarvi. Le sventure grandi sembrano avvenire ordinariamente per un decreto del cielo, per effetto di una volontat superiore; vengono quasi sempre aspettate, o quasi sempre noi ne troviamo qualche ragione; la loro imponenza stessa ci comprende di meraviglia, e di un sentimento superstizioso di terrore: ma le piccole sventure si succedono talora con tanta rapidita', e cosi contrariamente a queste leggi d'ordine cui abbiamo accennato, che non possialmo vederci in nessun modo l'oper'a del caso, ne riferirle alla Provvidenza. Ma di combinazioni simnili n'ebbi mi~lle, e tra queste l'incontro cosi impreveduto del mio nemico in quella vecchia stamberga. Egli -dico egli, che6 non ne seppi mai ii nome - non si mostro' meno turbato di me per quell'incontro, ma riusci' a dissimulare forse con miglior arte: e giac i86 ch6' il caso, ci aveva una volta avvicinati, e non clera phi via di scampo,' conveniva che dall'una parte e dall'altra si ponesse in giuoco, il nostro, amor proprio, e si fingesse una. indifferenza sdeganosa,. quasi un poco, derisoria, tanto, da. parer tale senza essere apertamente provocatrice. Non so se 1'odio dia ai nostri pensieri nascosti quella specie di trasparenza. rivelatrice che vi da' I'amore - certo e' pero, che noi ci leggevamo, entrambi nell'anima. E io, capii alla prima occhiata il contegno, che aveva risolto di tenere, ed egli, non dubito, non era stato meno, perspicace nell'indovinare il mio, Si sedette a tavola, di fronte a me, dove gli s'era posto il coperto, come nulla fosse stato; e io afferrai la mia forchetta di ferro, a due punte, e sembrai immergermi tutto, nella ghiotta e grave occupazione della mi'a cena. Oh! se io ricordo quella cena! L'aver io giai incominciato, a scrivere ~ - opera eminentemente emetica, - mi impedisce di discorrerne a bingo come vorrei; certo io, non dimenticher6' per6 mai quel pezzo, di caproe; n in sette anni - ch6 tanti ne son ps sati da quel giorno, - non mi avven-ne una so~la volta di abbattermi in una capra, in una pecora, o, mn un agnello, senza che la memoria di quella cena insorogesse ad opprmimermi il cuore e lo stomaco di un sentimento pieno, di ribrezzo, e di nausea. Nondimeno, - ed e' a questa stregua che 10, misuravo, la potenza del mio, orgoglio, e della mia a-ntipat'ia - nondimeno, io riuscii a divorare tutto, ci6' che mi era stato posto, innanzi, poiche6 mi pareva che ci6 sarebbe bastato a mascherare le mie sensazioni, e a nascondere l'imbarazzo, in cui m metteva, la sua, presenza. Egli ave'va fatto altret 187 tanto, e probabilmente collo stesso scopo e collo. stesso disgusto. L'ora era gia' molto, avanzata, l'oste ci ammoniva collo, sguardo, che era tempo di andarsene a letto: il momento pii'~ critico e pu difficile era arrivato. Lo pensai di g~uadagnar tempo, togliendo di tasca la mia pipa, rimpinzandola bene bene di tabacco, e accingendomi in differentemente a fumnare. Questa medesima scappatoia era venuta in mente anche a lui, anzi egli aveva giai introdotta la mano nella saccoccia, ma poich6' io Io prevenni non voile aver l'aria di imitarmi, e ristette. L'oste, osservato l'atto mio, si alz6', e disse: - Se le loro, eccellenze desiderano, di andare a letto... -Io muoio di sonno, disse 1'altro, fingendo forse di ignorare che si dovesse dormire assieme, o col disegno di mettersi in posizione di prevenirmi, e di lasciar me nello, impiccio. E afferro6 con prestezza il lume che gli porgeva 1'albergatore. -Io andr6' a fumare nel cortile, - io, dissi all'oste quasi mortificato di questa prima sconfitta,, - vo no vidate pensiero, di me, coricatevi pure, me n anro'a letto da me stesso. L'albergatore allung6' le labbra, accennando, di non esserne troppo, contento; io, non fattone caso, mi alzai e 'mi cacciai fuori dell'uscio. Una folla di strani pensieri invadeva I'anima mia. Sotto la gronda del tetto, che sporgeva molto al1'infuori, v'era una specie di marciapiede su cui non era caduta la neve: io, incominciai a passeggiare su e giui a passi concitati, abbandonandomi alle mulle meditazioni che mi destava la vista di quel luogo. II cortile era ampio, ed oscuro, di fronte al marciapiede v'erano, come ho detto alcuni 188 ulivi che Ai vento, i-nvestiva e piegava da un lato e dall'altro: aicuni oggetti che non si potevano ben di-stinguere, travi, tavole, ruote coper~te di neve, erano appoggiati contro le pareti; una. grossa yentola girava, e cigolava sul tetto, la neve continuava a c.-adere mista alla pioggia. e in mezzo a quel silenzio assoluto, lugubre, funerario, mi giungeva di quando in quando all'orecchio iA canto, melanconico di quel gallo che avevo gria ascoltato nella cucina. Q uante dolci memorie tornavano allo-ra. al mio pensiero! Pure e serene mernorie di fanciullezza, soavi ricordanze di quell'eta' in cui non si sa che amare e sorridere., Allora si amava tutti, anche coloro che potevano o volevano nuocerci; ora il cuore inclinava all'odio, o se non v'inclinava, le prevenzioni formatesi in noi coll'esperienza della vita, si atteggiavano innanzi ad ogni uomo, come innanzi a un nemico. E mentre io, pensavo, a ci6, un ragrgio, di luce che veniva dall'alto illumino6 traversalmente il 'cortile. Alzai gli occhi, e vidi disegnarsi sui vetri della finestra. 1immagine, o diro6 meglio l'ombra de] mio commensale che stava mettendo~si in letto. Ecco, io' dissi, un uomo pel quale la natura mi ispir6' un'avversione che non so giustificarmi. Donde ~e ella scaturita questa. avversione? perche6 dovr6' io odiare. quest'uomo? L'odio! E che cosa e esso? Che cosa. e l'amore.? Una, repulsione, un'attrazione incom-prensibili: le due grandi leggi die reggo-no l'armonia deile creature e dei mondi. Perch6' anche l'odio e' una, legge che governa I'amore. Avremmo noi idea dell'amore senza l'o p39 dio? Conosceremmo, noi ili bene senza iA male? In natura tutto e' lotta, tutto e, dualismo, tutto scatur'isce dai contrasti - l'o-dio e' un' elemento di vita come l'amore, non si ama se non si odia fortemente -l'inazione non e' che nell'apatia. Nondimeno, pensavo, io, ancora, egli e' pur triste questo sentimento! E quanti cuori non lo' comprendono, e 'quanti non comprendono che esso solo! Sventura a coloro la cui anima ripiena tutta e sempre di amore, non aspira, cie a chiedere degli a'ffetti e a damfe. Questi amatori insaziabili, questi eterni fanciulli non conoscono delle cose che il lato ideale, che i punti luminosi e abbaglianiti; essi vengono ad infrangersi come -trastulli al realismo inesorabile della vita. Ch6/ se alcu-ni avventurati tra, lofo trovarono, affetti pani a quelli die avevano saputo inspirare, costoro non formaro-no mai che eccezion'i poche e, rarissime, e scontaron~o phi' tardi questa. felicita', quasi comhe un bene rapito; o 1'ebbero, per quella legge di com'pensi che regola il destino umano,, come premi'o di sventure antecedenti. La natura ci presenta in tutto i due estremi; noi dobbiamo, librarci tra l'no e l'altro senza propendere; M, e~ la via calma, e sicura della vita: co-. nseeil giusto mezzo delle coseecoisgrt della felicita' e della. sapienza. Lo sparire improvviso di un raggio, di luce che percotendo sulla neve del cortile vi segnava come un sentierino, luminoso, mi fece rivolgere da capo gi occhi Alla finestra: il lu me era- spento, cornpresi che egli si era posto. a letto. - Vi andro6 anch'io, dissi fra. me stesso, e' impossibile che io abbia a pas-sarmi la notte qui - e oss-ervai die la neye cadeva a fioccbi ph fitti, e il vento prendeva 190 phi vigore di prima.; oltre a ci6 i miei abitf erano inzuppati, e i miei capelli avevano, in fondo, i diaccioli, come i fili di certa erba. secca, che vedevo pendere dalla, parete. Ad ogni gradino, della scala che io, salivo - e non crano, che pochi gradini disuguali e di legno, fradicio, - la mia anima'sembrava, acquistare una. nuova. virt-6 di tolleranza. Era conseguenza. della debolezza, die mi proveniva dal sonno, insoddisfatto? (e poteva. esserlo,~ poiche' l'anima. va, di paro, sempre coi nervi), era altra cosa.? non so, ma mi sentivo, 'iffatto, buono, e fli sarei conciliato allora. allora., 4, wolentieri, col mio nemico. Spinsi l'uscio, con lentezza. La camera, era oscura, ma, illuminata uin poco da, un lumicino, che ardeva, dinanzi a tin Gristo di legno, tarlato. II lucignolo, donde proveniva, quella. luce, nuotava, in un bicchierino ripie-no d'un olio verdognolo e di altri lucignoli carbonizzati, e sembrava, in procinto di sommergersi: la flammella. guizzava, a intervalli, pareva, quasi estinguersi ad ogni istante, poi si rianiniava, ad tin tratto. M'appoggiai alla. tavola, su. cui erano, posti il lume ed il crocifisso, e ricaddi in preda, ai miei pensieri. Quel povero, Cristo di bosso, era tutto malco-ncio, dai tarli die vi si sentivano rosicchiare ancora per di dentro. Ne aveva il viso, interamente forato, ci6 che gli dava, tin aspetto, stranamente triste e severo; e oltre a 66o l'arteflce lo aveva. foggiato Si' magro, con una sporgenza, si spaventosa di costole, e in atto di tanta pieta', die se io, l'avessi incontrato vivo per le vie di Nazareth gli'avrei offierta, intera, la mia boirsa, senza, die egli mil avesse richiesto d'un quattrino '9' Ma il tipo tradizionale v'era, e v'era res'o con fedelta': dico con fedelta', poich6' non dubito che tale. fosse realmente il Cristo vivente. Egli non poteva esser' diverso; le sue teorie umnanitarie sono tutte nel suo, volto e nella sua persona; mutatelo in uomo dai capelli neri e dal naso, camuso, e l'araonia e' rotta; bastere-bbe ad abbattere cornpletamente la sua religione ii poter diniostrare che egli aveva quiesti capelli e questo naso. Ma lo spirito di tal religione perdurerebbe sempre; essa e nel cuore umano, essa e' fatta tutta di pieta' e di am'ore. Cristo e' il piiuigrande degli uomini perche6 fu il ph'i grande, amatore, perch6,fu colui che abbracci6' nell suo' amore tutta quanta I'umanita'. 0 uorno, o Dio o semidio - non importa - egli rimarra' iempre come, il piu' wran tipo della perfezione morale. II Cristianesimo, e una specie di panteismo, Cristo e~ lanima dell'umanita"t, come i panteisti credono Iddio, essere l'anima dell'universo. Guardavo quei frammenti neri di lucignolo, che copri'Vano il fondo del bicchiere, e che un tempo, avevano, brillato di tutta la loro luce: quelle ali di mosche, e quelle reliquie di 'zanzare che giacevano attorno Al lume impegolate di polvere e d'olio; guardavo il crocefisso tarlato, e sentivo il rosicchiare dei tarli, e la cadenza misurata-di un vecchio orologio di legno che era appeso alla parete, e ii respiro regolare e appena sensibile del mio compagno di letto che pareva assorto in un sonno profondo. La notte e' feconda di strane allucinazioni. Mi pareva che quel Cristo col. capo, cosi' inchinat'o sull'omero destro mi accennasse di levargli dal 192 capo la corona, e io, sentivo, le punture di quelle spine come fossero, state confitte nella mia testa. Quell'orologio primitivo di Germania mi semnbrava una cosa viva,5 e gruardavo, con pieta ai quattro pendoli lunghissimi che scendevano. gii' per la parete, e che mi pareva-no le sue viscere lacerate. Oltre a ci6', tutto, mi sembrava soffrire in quella stanza: quelle ali di mosche avevano per me la stessa imponenza delle reliquie di un ossario, uma-' no; e il respiro di quello, sconosciuto aveva qualche cosa di si sofferente, che- non m'avrebbe dato maggior pena ascoltare iA rantolo di un agonizzan te. Noi portiamo, nel cuore un tesoro che ignoriamo., e questo tesoro, e l'amore. Ma esso, non ci appartiene. Le persone che amiamo, non ne sono, che le depositarie: noi lo riprendiamo intero, da quelle creature a cui 1Favevamo, affidato. Ciascun uomo, ha sentito, che egli non poteva, posarlo, degnamente sopra un oggetto della terra, e che vi era qualche cosa oltre la vita che sembrava reclamare il possesso, di questo, bene troppo phi' grande degli oggetti miserabili che ci circondano. t soltanto, attraverso, le fila intricate di questa verita' che possiamo trovare qualche ragi'one dei nostri dubbi eterni, delle nostre aspirazioni incomprensibili, e del nostro de-stino igfiorato. L'amore e' lunica luce e l'unica verita' della vita. Se non m'avesse riscosso ii suono, dcll'orologio che scoccava le tre in quel punto, non so quanto, tempo e quanto, vanamente avrei ancora divagato, co' miei pensieri. -Le tre, e assai tardi! Mi rialzai un poco, phi sereno, e mu strinsi iA capo tra le mani, come '93 per trattenervibe ricomporvi le idee; Ooich6e vi sono inomenti in cui mi pare che qualche ordigno debba guastarsi nella mia testa e vi porto, le palme con terrore, quasi volessi trattenervi alcuna cosa che debba rovinare o sfuggirmi. I Mi accostai al letto, e vidi con piacere che il mio compagno s'e'ra cacciato, nell'angolo presso il MUro, tanto che pareva avesse voluto entrare nella parete. La sua discrezione, se pure non era ribrezzo di me - in quell'istante non mi cadde in mente questo pensiero, - mi rese Phi benigno a suo riguardo; onde mi svestii frettoloso, e mi cacciai sotto le coltri senza rip~ugnanza. II suo, respiro e la sua presenza mi davano Un Po' d'affanno, Poiche6 vi e', o almeno io, vidi sempre in un uomo adulto che dorme qualche cosa di soffer'ente, di affaticato, di pauroso, quasi come in un. uomo morto; ma in capo a pocki nnuti mi ero rassegnato, e stavo per prender sonno. (dia < L'innamorato della montagna~). I94 CLARA Sarebbe inutile riandare sugli anni che hanno preceduto gli avvenimenti che sto per raccontare. Io non voglio afferrare che un punto della mia vita, non voglio metterne in luce che un istante. Chi oserebbe affacciarsi allo spettacolo intero della sua esistenza, spiare nelle sue pieghe tenebrose, e ritesserne tutta la storia? La mia gioventi trascorse piena, ricca, feconda. La fortuna, a dir vero, non m'era stata assai prodiga dei suoi favori; ma che cale alla gioventu della fortuna? Quella e l'eta della forza, del coraggio, della baldanza; e allora che si raccolgono a piene mani i frutti che maturano nel giardino della vita, che si accosta alle labbra la coppa inebriante della felicita: a quell'eta si fruisce di un bene che non si conosce e non si esperimenta mai piu nell'avvenire, mai piui - la mite e affettuosa indulgenza degli uomini. Non ho mai potuto indovinare se la mia natura fosse piuttosto incompleta che esuberante; ma in qualunque modo, gli era ben certo che io mi innalzavo sul livello delle nature comuni. La ripugnanza che ho sentito, e che sento ancora per I95 tutto ci6' che e' convenzionale, per* tutto ci6' che C' metodico, non prove-niva gia' dalla mia educazione, ma da una disposizione speciale del mio, carattere. Non mi importava di essere da pliu' o, da meno degli altri uomini, mi bas tava di esserne di-,verso. In tutta la mia vita ho, operato, com-e ho pensato - convu'ls-amente. Dicono, che i leoni si trovano. in uno stato di febbre continua. Ignoro, quale medico abbia potuto accertarsi di questo fenomeno, come avrebbe fatto al capezzale di un infermo; ma sia cio6 vero o, non vero, sia la mia natura debole o forte, non vi e' dubbio, che io, ho, pro~vato sempre una specie di agitazione febbrile e convulsa, simile a quella. Jo mi sono divorato la vita. Jo non potrei misurare la mia -eta' colla stregua ordinaria del tempo. Avevo ventotto anni allorche6 successero, gli avvenimenti che sto per raccontare. La rivoluzione mi aveva trascinato gia' da tempo nelle sue file, quasi mio maigrado. Deviato da' miei studii, combattuto nelle mie inclinazioni, mi ero ridotto a rimanere nell'esercito, ove aveva ottenuto il grado di ufficiale. Jo vi militavo da cinque anni., allorch6', colpito da una grave malattia di cuore, dovetti chiedere una lunga licenza e ritirarmi nel mio, villaggio, natale. Gravi rovesci di fortuna mi avevano im.Pedito di camparmi la vita in altro, modo che coll'essere inscritto nei ruoli d'un reggimento e far pompa del mio, costume di capitano. E dico ci6' perche6 allora la guerra era cessata, e mi vergognavo spesso di quell'inazione ricompensata si largamente. Jo riscuotevo un lauto assegnamento sulle casse dello Stato. i96 Non parler6' adesso dei dolori che avevano, pro — vocata questa mia malattia. Essi appartengono ad uln'alr',-poca della mia vita; furono il frutto d'una passione che, ove non mi fosse stata mnspirata dal phi' nobile dei sentimenti, avrebbe coperto di onta il mio, passato. Nondimeno quei dolori furono, enormi, e se' non ebbero, il potere di uccidermi, e perche6 tal potere e' spesso, negato all dolore. In capo, ad un. anno avevo richiesta 1'attivita', non gia' che la mia. salute fosse migliorata, ma perche6 mi sarebbe stato impossibile rimanere phi a lungo, nel mio paese natale. Quella vita di solitudine' e di meditazione avrebbe finito coll'uccidermi. Chi ha vissuto un. tempo nelle grandi citta" non puo phi' adattarsi alla vita dci villaggi; non puo6 impicciolire le sue vedute, le sue idee, le sue abitudini fino alle'proporzioni meschine e spesso ridicole, che da' alle proprie la gente delle campagne. Jo ho considerato sempre i piccoli villaggi come centri d'ignoranza, di barbarie, spesso, anche di corruzione. Sono essi, a mio credere, che arrestano il corso della civilta', che si pongono, tra le ruote del suo, carro. Se tutti i punti abitati della terra fossero, Londra, Pietroburgo, Parigi,.Roma, Berlino, ii quesito, la cui soluzione affatica. da secoli l'umanita', sarebbe risolco, all'istante. Ne6 la monotonia. di quella vita era il meno, doloroso de' miei tormenti. Jo conosceva tutte le vie di quel paese, tutte le case, tutti gli abitanti - viuzze strette e fangose, catapecchie anguste e miserabili, contadini rozzi e cocciuti. Mi dava pena di vederli, ph ead etri a stessa. natura non aveva che attrattive assai deboli. Vicino, ai villaggi anche la natura. sembra patire, e' rozza. e pigmea, soffre d'impotenza. e di rachitismo; si di 197 rebbe che le manchi qualche cosa come la forza e il profumo. I boschi di Boulogne, di Volksgarten, di Thiergarten non si trovano che vicino a Parigi, a Vienna, a Berlino. L'uomo risente, come le piante, l'influsso dell'atmosfera in cui vive. Io mi vedeva isterilire, immiserire, deperire. Fosse effetto della malattia, fosse influenza di quel soggiorno triste ed uggioso, io mi ero interamente e miseramente trasformato. Una malinconia profonda, una disperanza piena di gelo e di sceticismo si erano impadronite di me. Non sentivo piu alcun rammarico del passato, ne alcuna trepidanza dell'avvenire. Questo avvenire lo avevo in certa guisa prevenuto. Me ne ero formato l'imagine piu triste, piu nera, piu desolante; avevo forzato la mia anima ad accettarlo senza lagnarsene, e cosi m'ero posto in pace con l'unico oggetto che avesse potuto ancora atterrirmi, col fantasma sconosciuto di questo awenire. Ho pensato spesso, durante questi anni, a quei giorni pieni di desolazione e di sconforto, a quel lungo inverno di cinque mesi trascorso tra le pareti di poche stanze, senza vedere altro volto d'uomo che il mio. Mi sono ricordato ancora di tutto cio che aveva allora colpito in qualche modo i miei sensi: le larghe finestre a vetrate coperte di ragnateli, il pigolio dei passeri che beccavano nei canali delle gronde, lo stillare delle nevi che si scioglievano, il rumore degli zoccoli ferrati dei contadini sul selciato fangoso della via - uniche sensazioni, uniche voci che mi avvertivano come vi erano esseri che vivevano d'intorno a me, come io stesso vivevo in mezzo ad esseri vivi e sensibili. Ho conservato memoria di quei giorni in un diario scritto sotto l'impressione di quei dolori I98 segreti di cuore, ma che non giova ora. qui riportare. Allorche6 mi allontanai da quel luo-go, e so-stato, nella prima citta' che incontrai nel mio, viaggio, confrontai il mio, volto con quello di altri uomini, mi chiesi con ispavento se io, ero ancora lo stesso, di un tempo, se ero, diventato, dissimile da loro, se sarei sopravvissuto a qv~el giorno. Avevro imparato a disperare troppo, precocemente. Allora non prevedevo, 1aurora luminosa diedoveva sorgere ancora sulla niia giovent-i, e che doveva tramontare si presto! Ho parlato del mio, paese natale. Mi duole che queste pagine non sieno, destinate a venire alla luce, per poter render pubblico un odio che conservo da. lunghi anni nel cuore, l'unico, che il tempo e la riflessione non abbiano fatto che avvalorare ed accrescere. Jo amo, la terra, questa. gran madre, questa gran patria comune; io l'amo tutta. senza distinzione di suoli e di climi; l'amo, come una parte di me, io che non sono, die una porzione minima di lei stessa. Jo ho, sentito spesso le sue attrazioni, 1'appello, che ella fa a' suoi atomi, le sue creature; agli uomini, le sue particelle animate. A primavera, quando, il sole la dardeggia de' suoi raggi; in quel periodo, di febbre, di ardenze, di fecondita', quando dal suo seno. pieno di amore erompono, le famiglie degli insetti e delle erbe, quando, ella sorride d'un sorriso pieno, d'incanti e di fiori, io, ho, sentito, spesso, con una specie di furore il desiderio di rientrare nel suo seno; io mi sono proteso per '99 abbracciarla; ho sentito che essa mi chiamava, e ho, gridato: ~>. All'indomani un avvenimeflto mnatteso mi restituiva la gioia e la pace. Allorche6 giunsi in quella citta, io nion avevo 201 n6 progeti, n6e- idee, ne6 speranze di giorni migliori. Vi ero, venuto,' direi quasi, inconsciamente. SaPe-vo che fra due mesi sarei stato richiamato al reggimento, e die di la avrei meglio potuto sollecitare questo richiamo. Forse era stato tale il Movente del mio, viaggio. Appena arrivatovi, cercai con ansieta" di un amico che certa comunanza di sventure mi aveva reso, da tempo assai caro. Egli abitava in una casa signorile e assai vasta, dove era pero quasi sconosciuto. Bisogn-Pava chiedere di lui. Battei perci6' ad un us'cio del primo piano, e venne ad aprirmin una donna giovane e bella. Mi parve che rinanesse colpita in modo singolare del mio aspetto; n6' io lo fui forse meno del contrasto che formnayo col suo. Essa era si serena, si giovane, si fibrita; e il. mondo, pareva dover esser stato, fino, allora cosi benigno con lei, che io la guardai un istante senza parlare, compreso d'una meraviglia dolce e profonda. -Di chi cercate, in grazia? Proferii il nome del niio. amico. -Al s~econdo piano. Avrei giurato. di aver gia' sentito phl'r volte quella voce, di averla s-entita bambino, ne' miei sogni... La guardai come si fa a persona che ci par di conoscere. Nell'allontanarmi sentii che un lembo del mio, soprabito, era stato chiuso tra le due imposte dell'uscio. Ella s-e- ne avvide, e fu sollecita a riaprire. -Perdonate. M'inchinai. Non risposi nulla, ma tornia'i "a fissarla si' stranamente, che essa mni guard6" quasi spaventata. Sentii quello, sguardo, penetrarmi penosamnente nell'anima. 202 -Si felice, Si florida, si" bella! es-clamai tra me stesso salendo la scala; oh, dolce creatura! se tu mi porgessi quella tazza che l'eta' e gli affanni hanno allontanato forse per sempre dalle mie labbra, come potrei rifio~rire anch'io, e sorridere ancora alla vita! Ma la giovent-6 e' dei giovani, e le gioie non sono che dci felici Giunto sul pianerottolo, mi rivolsi, e vidi che ella era ri'masta immota. sull'uscio, e miaccompagnava con lo sguardo, e pareva commossa e pensosa. Aveva ella compreso, che io era sventurato, e aveva sentito, il bisogno di confortarmi del suo, affetto e della sua compassione? Diro6 cosa antica come l'amore. Bastarono, quel1 -lo sguardo, e quella mestizia. Da quel momento le.nostre sorti furono gettate. Jo l'avevo, vinta coll'unica attrattiva che vi era in me, - quella da cui le donne sono prese assai raramente, ma di cui, ove lo sieno, inorgogliscono, spesso di cedere senza resistere, perch6' comprendono di mettersi cosil sulla via di una missione die le santifica - 1'attrattiva della sventura. Trovai il mio. amico, e m'installai nel suo appartamento. Ebbi da lui notizie di quella donna. Suo, marito era giovine e avvenente, occupava una carica distinta in un'ammrnistrazione governativa; non erano, ricchi, ma parevano, agiati e felici; avevano, una figlia, essa si chiamava. Clara; quando, nonagucchiava presso una piccola finestra che guardava ne-l cortile, leggeva romanzi sul balcone, seduta in mezzo a' 'suoi vasi di fuxie e di geranii; suonava anche il pianoforte e cantava. Passai quella prima notte in una specie di delirio; lessi l'epistolario di Foscolo, - l'uo-mo an 203 tico - e rividi in un'allucinazione le scene passate della mia vita. Mi pareva che tutto fosse finito li, con quel giorno, con quella fuga, coll'incontro di quella donna; travedeva non so quali gioie nell'avvenire. Fui riscosso per tempo dal suono di un pianoforte che veniva dal piano sottostante. Apersi la finestra e mi affacciai al mio balcone. Era un mattino lucido, caldo, sereno; il sole si versava sulla via che brulicava di passeggieri affaccendati. Le carriuole dei lattivendoli stridevano sulle loro ruote mal ferme, i vetturini facevano scoppiettare le loro fruste, gruppi di fanciulli s'inseguivano schiamazzando; ogni cosa era vita, luce, moto, allegrezza. Da lungo tempo non avevo assistito a quello spettacolo del ridestarsi di una gran citta. Abbassando lo sguardo sul balcone di sotto, vi scorsi Clara che mi stava guardando. Essa era seduta in mezzo a' suoi vasi in un abito semplice e negletto; ma le sue fuxie non erano ancora in germe, e non v'era altro di fiorito intorno a lei che alcune pianticelle di primule e di azzalee. L'amore, la piu complessa e la piu potente di tutte le passioni, e ad un tempo la piu facile e la piui semplice nel suo nascere. Un uomo ed una donna si incontrano, si vedono, si guardano - e basta. Da che cosa era egli stato mosso quello sguardo? Che cosa vi era in esso? Che cosa diceva? Nessuno lo sa. Nondimeno tutti gli amori incominciarono con uno sguardo. Rientrai nella stanza ebbro. Non di amore, no; non amavo ancora, non lo speravo; ma assetato di conforti, di compianto, di lacrime. Avrei desiderato una donna, non per chiederle le sue carezze, ma per piangere sul suo seno. L'uomo e piu pro 204 fondo nell'amore, la donna nella tenerezza; si piange meglio sul seno di una donna. Non so se gli altri uomini abbiano subiti abbandoni, suibiti impeti, subite risoluzioni come ho io. In me non vi e nulla di lento, di ordinato, di normale. La mia e una natura a molle, a sbalzi; una natura sempre alternata. Le scrissi, e le gettai dal balcone un biglietto contenente queste sole parole: << o sono infelice, io sono malato, io soffro >>. II biglietto cadde a' suoi piedi. Essa lo vide, esito un istante, poi si curvo, lo raccolse, e fuggi nella sua camera. Non ricomparve piu lungo il giorno. Alla sera la vidi un istante sul balcone, e osservai che aveva gli occhi soffusi di lacrime. Da quel momento la mia illusione non ebbe piui freno. Essa aveva pianto per me, essa aveva accettato in certo modo il compito che io le avevo chiesto di consolarmi. Fui assalito da una smania febbrile di vederla, di sentire la sua voce, di averla vicino a me, di gettarmi a' suoi piedi, di dirle lacrimando tutta la povera storia della mia vita. Avessi avuto un oggetto toccato da lei, portato da lei, un suo nastro, un suo abito, avrei passato la notte guardandolo, me ne sarei sentito meno diviso. Cosi fu in ogni tempo della mia anima. Passai sempre dall'apatia all'adorazione senza soffermarmi sull'amore. Perche riposarsi a meta? Perche non mirare agli ultimi limiti? Le grandi cose sono estreme - le grandi anime adorano o odiano. Erano incominciate allora le pioggie lente e monotone della primavera; pioveva tutto il gior 205 no, e le finestre del suo, balcone erano chiuse. Io la sentiva suonare e cantare sotto di me. Era caso, era divinazione? Essa ripeteva, s~empre alcune arie die mi erano, ca re, e che mi rammentavano, le scene pin' dolci della mia vita. Non uscivo pin' di casa per non allontanarmi da lei. La', in quella stanza, le ero vicin'o; non la vedevo, ma sapevo di esserle vicino. E poi, la sentivo! Le scrivevo tutto, il griorno, le scrivevo, cose strane, immense, inaudite. Ero spaventato di me medesimo. Spesso la notte baizavo dal letto e mi gettavo sul pavimento come p~er ten-derle le braccia, come p~er esserle pin' d'appresso. La mia anima, vuota da tanto tempo, si era gettata con furrore su quella preda. Se la sua pieta' non. fosse yenuta a salvarmi, io mi sarei divorato il cuore. La rividi. 11 bel tempo era ritornato, aprile era finito, e maggio fioriva. Risentii tutte le febbri della primavera, quel fuoco ardente che il sole di maggio trasfonde nelle fibre, nelle vene, nel cuore, I fiori sbocciavano, gli uccelli riprendevano le loro canzoni, le fanciulie - fiori umani - scherzavano lungo le aiuole; dappertutto l'inno all'amore era cantato. Un giorno, nel, salire la scala, vidi le sue stanze aperte, essa era'sola; corsi verso di lei, e mi precipitai alle sue ginocchia. Essa fece l'atto di fuggire; io rimasi immobile col volto celato tra le mani. Mfi Si appres.s6' piangendo, si curvo6 verso di me, e mi disse singhiozz~ando: -Abbiate pieta', andate, lasciatemi -No, io m ori~ro qui, io soifro. Oh mio Dio! povero giovine!I -Mi odiate? 206 Essa. mi strinse al suo seno, e mi copri di baci e di lacrime. -Vi amo, vi amo, ma. lasciatemi. Fuggii come un demente. Alla notte fui assalito dalla febbre; ebbi strane visioni; feci dei sogni puerili: vedevo delle farfalle e degli angeli, dei paesi die non avevo mai visto; mia. madre, phiu giovane di molti anni, piangeva vicino al mio capezzale, ed era vestita di un. abito grigio ch'io l'aveva veduta. portare da. bambino. All'indomani ero malato. Le riscrissi. ~J o sono malato, io non gzuarir6' se non vi' vedo, venite >>. Essa. venne. Venne per due lunghe settimane ogni giorno, dissimulando, come poteva, il suo segreto; divisa tra. langoscia, del mio stato e ii rossore dell'inganno che le costava la sua. pieta'. Pu la sua. pieta' che la condusse all'amore; in quei giorni le nostre anime si umirono.,c Oh, mia vita!I, Vieni a confortarmi. Vieni quit, lontano da. cotesta casa, dove non possiamo essere felici. Ho affittato una cameretta chiara,5 solitaria., s-erena., piena. di sole. La riempir6' tutta, di fiori per te. Ma vieni. I nostri cuori hanno bisogno di palpitare l'uno sull'altro. Cosi si muore>~. Ed essa. venne ancora. La pieta' l'aveva. condotta all'amore; fri 1'amore che la condusse alla colpa. In quei giorni si unirono le nostre vite. Fummo felici, ineffabilmente felici. Passamnmo attravers'o una serie di sensazio 207 ni nuove, ardenti, vertiginose. Mai due anmine avevano combaciato cosi' pienamente, mai due nat1_ure si erano. congiunte, fuse, identificate in una sola come le nostre. Clara aveva. indole, forte, giusta, severa; non vi era nulla. di fatuo, nulla di fiacco, nulla di pueri le nel suo carattere; e pure -nessuna donna fu mai pi" affettuosa, phi' dolce, phi arrendevole, piui carezzevole, phi' emineritemente donna. Aveva venticinque anni; era alta, pura, robusta, serena. Scopersi phi' tardi il segreto di q~uel fascino immediato che aveva esercitato sopra di me. Essa rassomigliava a mia madre. Mia madre poteva aver avuta la stessa bellezza e la stessa eta' quando io nacqui. Una volta amanti, ci abbandonammo con, una specie di dolce disperanza alla. nostra passione; non avemmo phi' limiti; ella pure era tal natura da non conoscerne. Avremmno quasi desiderato di soffrire, di porre il nostro, arnore come ostacolo alla nostra felicita, al nostro avvenire, per rendercene meritevoli. Ci sentivamo struggere dalla smania di sacrificare qualche cosa l'uno; all'altra. CoSi eravamo troppo immeritatamente felici. Non potevamo dare un prezzo a quelle gioie; le sentivamo troppo intense, troppo profonde.. Ci raccontammo tutta' la nostra vita. Ci trasfondemmo l'uno nell'altra senza rossore, senza dissimulazioni, senza esitanze. Essa aveva vissuto poco nel mondo, aveva sposato a sedici anni un uomo che le era indifferente, non aveva mai a~ma.to, nessuno le aveva chiesto dell'affetto, adorava sua figlia. In quella vita di isolamento e di disamore era nondimeno felice. Come tutte le donne veramente ingenue, s'e 20o8 ra data a me senza fingere, senza esitare; essa aveva pensato a lungo alle conseguenze della sua colpa; aveva lottato la lungo; ma una, volta decisa, si era abbandonata senza ritegno. Non so se ella ne arrossisse e ne gemesse in segreto; ii suo contegno non lasci6' mai penetrare in me questo dubbio, essa non mi parve mai meno che felice. Mi diceva sp-esso con aria di credulita' e di spavento affatto puerile: ~. 11 suo rimpianto phi' acerbo era di non avermi conosciuto primia; non si doleva dell'avvenire die il tempo ed i suoi legami ci avrebbero, o tardi o tosto, attraversato, ma del passato che- avevamno vissuto lungi l'uno dall'altro senza, conoscerci, senza sapere che esistevamo, di quei bei giornit della prima giovent6' che. non avevamo, potuto trascorrere assieme. ~>. Non so come avvenisse, ma e ben certo che ella mi aveva data la sua forza e la sua salute assieme col suo affetto. L'amore fa spcsso di tali miracoli. Del resto io non diro come e quanto noi fossimo felici. Triste quella felicita che si puo dire! Io mi ero serbato fino allora eccezionalmente puro, essa eccezionalmente ingenua. Ci eravamo amati, ella per pieta, io per gratitudine; la stima, la simpatia, la conoscenza profonda delle nostre anime, piu che la nostra stessa gioventu, ci avevano condotti alla passione. Ella a venticinque anni, io a ventotto, eravamo ancora due fanciulli. In un gran centro di corruzione come cotesto, noi eravamo rimasti illibati, puri, vergini, ricchi di illusioni e di fede - e la felicita e la grandezza di un tale amore non possono essere raccontate. Perche noi ci amavamo diversamente da tutti gli altri. I nostri piaceri piu ardenti consistevano spesso in alcune fanciullaggini senza nome, in alcune puerilita che ci avrebbero fatto sorridere, se non ci fossimfo amati si ciecamente. Una delle sue soddisfazioni piu vive era di far colazione con me, di mangiare con me dei confetti, di mangiarne molti, e tutti meta per uno; di ravviarmi i capelli, di guardare, come i bambini, la sua immagine riflessa nelle mie pupille. Conoscevamo tutti i piu piccoli sentieri di queste praterie tristi e monotone. Vi facevamo delle lunghe passeggiate. Quando si toglieva la mantiglia e il cappello, ne piantava gli spilli in qual 210 che foglia d'ellera abbarbicata ad un salice, e nelle nostre scorrerie venture andavamo, poi a cercarli. Non sono phiu di pochi mesi che sono, riuscito ancora, dopo, quattro, anni, a trovarne due irrugginiti dalle pioggie e dal tempo. Ci sedevamo, spesso lungo, i ruscelli a vedere scorrere l'acqua; e strappavamno alcuni steli di erba che avevanio in fondo, una cannuccia tenera di sapore quasi dolce, e ce ne offrivamo, a vicenda, dicendoci scherzevolmente: -Assaggia. questo. -Oh, ii mio e' molto phi' saporito!I -Questo e eccellente. -Eccone uno che e' squisitissirno. E ridevamo, ed esciamavamo di noi stessi: < Fuori di Porta Magenta vi e', dal lato destro della via, un bel torrente, e un ponticello, di tavole non phi` largo di due spanne. Le piaceva di andare su e gil'i di quel ponte. Lf vicino, avevamo anche trovato una capanna disabitata, il cui uscio, era aperto; e vi passavamo, volentieri alcune ore, bench6' fosse piena di topi e di lucertole. La chiamavamo ii nostro tabernacolo. Tutti i contadini ci conoscevano e ci facevano mulle dispetti. Alcuni fanciulli ci gx,_idavano dietro: (< Oh, gli amorosi! gli amorosi! Una domenica, vistici sedere in un prato, alzarono una tavola che chiudeva lo sbo'cco d'un canale d'irrigazione. -Mi pare d'esser tutta in un bagno! -Ed io! Prima che fossimo baizati in piedi, il prato era interamente allagato; le sue sottane, il suo, scialle erano immollati; salvai a stento Ai suo, cappello, 2 IT e i suoi guanti che galleggiavano. Essa ne rideva come una pazza. Quante volte ci siamo, ricordati di quell'avvenimento! Quella donna si forte, Si' ricca di buon senso, in alcune cose sil seria, aveva tutte le velleit', tutti 1 gusti pazzi e bizzarri di una bambina. ~ E lo era in fatti, e me ne dava tutte le prove possibili. La 1nia stanza era divenuta. un caos, piena di uccelli, di fiori, di nastri, di frastagli di carta, di cartocci di confetti, -di scatole. Essa vi metteva tutto a soqquadro. Chiudeva di giorno le i~mposte e vi accendeva tutte le candele. Spesso diceva di sentire il bisogno, di gridare, di gridar forte, di urlare, x non posso fare a meno, mi sento una cosa. nel petto, qui ~>; e gridava, e si turava la bocca colle mani. Mi portava delle farfalle, e mi ma-ndava a regalare delle nidiate d'uccelli, che ero obbligato ad allevare per non dispiacerle. Nell'ultimo, inverno che ci conoscemmo, mi port6' ella stessa un gattino bianco noel manicotto. Tutto ci6' mi pareva allora assai puerile; pure ho, pensato sovente a queste cose, anche in anni nei quali avevo gia, conosciuto pilu positivamente e piu~ spaventosamente la vita, e ho dovuto senmpre esclamare: <~Felici coloro che amnarono a questo modo 3> In quell'abisso di fe-licita', in quella ebbrezza che s'era impossessata delle nostre anime, io mi 212 era quasi dim-enticato di me stesso. Non erano che due mesi che ci arnavarno, allorche' ricevetti dal comandante del mio reggimento un ordine cosi concepito: (< E lo sapevo, e lo so che cio6 e vero, che cio6 e accaduto. <. Ho compreso, come si possa commettere anche un. delitto per ingigantire nella nostra coscienza questo sentimento, per accrescerne il. valore; ho capito come si possa scendere fino alla degradazione pit'i umiliante. P- lo stesso sentimento che a voi', donne, fa spesso sacrificare - quasi volonterose, quasi superbe del sacrificio - la fama di oneste all'affetto dell'uomo che amate. E credi, o Clara,, credi cbe e' questa sola - sia pur ella deplorabile - la misura dell'amore che unisce l'om-o, alla donna. ~>, no, la nostra felicita' non e' finita, tu Io sai, tu s-enti al pani di me che un amore come il nostro non pu6 finire che colla morte, ma saremo felici in altro modo, con altra misura, con altro prezzo. Non ti vedr6' phi' tutti i giorni, non sapr6' phi' COsa tu fai a tutte le ore, non ricevero phi i tuoi fiori, non vedr6' pi6u il tuo balcone, non sentiro6 phi' la tua voce adorata, lo strascico, del tuo' abito, i tuoi passi, il tuo, res~piro; la mia povera stanza restera' solitaria per lungo tempo, non echeggiera' pits delle nostre grida; pure queste nostre gioie non ci saranno vietate interamente ne6 per sempre. Esse erano, troppo dolci perch6' potessimo gustarle og~ni giorno; il nostro amore e" troppo grande perche6 possiamo rinunciarci per tutta la vita. <>. (da <>) 220 FOSCA Ero Pero curiosis~simol di conoscere quella donna. Al domani, il colonnello mi aveva detto: -Mia cugina ha bisogno di voi. Avreste per lei qualche libro, di lettura amena, non scientifico; qualche romanzo? -Vedr6\ di procurargliene alcuni. -Quella donna divora i libri, e\ un. tarlo da libri, legge come noi fumiamo. lo non so pilu a clii raccomandarmi, qui non v'\nemmeno un gabinetto di lettura; in questo paese di Tartari, di Pellirosse... Gli portai la Nuoua Eloisa di Rousseau, l'oino sin golare e le Con fessioni al/a tomba di Lafontaine. Mi rimand6\ subito quest'ulti-mo, dicendosi spaventata del titolo. Poco dopo anche gli altri. Nella Nuova Eloisa trovai molti passi controsegnati in margine con matita, e una striscia di carta postavi. per segno, su cui era scritto da un lato Sursum, e dall'altro Excelsior. I passi controsegnati rivelavano, assieme alia natura intima dei suoi patimenti, una intelligenza robusta, fine, perspicace. Quella donna aveva 221 dell'ingegno. Ella non poteva essere poco infelice, giacche era capace di conoscere la propria infelicita. Gli infelici ignoranti fruiscono di una specie di beatitudine, in confronto dei dottamente infelici. Era naturale che desiderassi ancora pii vivamente di conoscerla. In tutta la mia vita, - fosse caso, fosse attrazione - non fui mai circondato che da sventurati; sull'orizzonte della mia gioventi i miei occhi non hanno mai incontrato altro spettacolo che quello desolante della miseria; io stesso non mi sono nutrito che de' suoi frutti piu amari, e spesso ho dovuto divorarmi il cuore perche non avevo nemmeno quelli; pure non ho mai saputo ribellarmi a questo sentimento di simpatia irresistibile che la natura mi ha posto nell'anima per tutti gli infelici. Ho trovato sempre un buono in ogni sventurato, un perverso in ogni prospero. In questo dolore immeritato di tanti uomini, ho veduto sempre un segreto di predilezione per parte della Provvidenza, delle fila misteriose che uscivano fuori dalla vita e si perdevano nell'eternita e nell'ignoto. Tutti lo hanno veduto, tutti lo hanno sentito. Se vi e qualche cosa oltre la vita e per gli infelici. Cristo lo ha detto: <. I1 mio desiderio fu esaudito: conobbi finalmente Fosca... Un mattino mi recai per tempo a casa del colonnello (vi pranzavamo tutti uniti e ad un'ora, ma per la colazione vi si andava ad ore diverse, alla spicciolata) e mi trovai solo con essa. Dio! Come esprimere colle parole la bruttez 222 za orrenda di quella donna! Come vi sono belta' di Gui e" impossibile dare un'idea, cosi vi sono bruttezze che sfuggono ad ogni manifestazione, e tale era la sua. Ne6 tanto era brutta per difetti di natura, per disarmonia di fattezze, - che6 anzi erano in parte regolari, - quanto per una magrezza eccessiva, direi quasi inconcepibile a chi non la vide; per la ro~vina che il dol-ore fisico e le malattie ayevano prodotto sulla Isua persona ancora cosi' giovine. Un lieve sforzo, d'immaginazione poteva lasciarne intravedere lo scheletro, gli zigomni e: le ossa delle tempia avev'ano una sporgenza spaventosa, l'esiguita' del suo collo formava un. contrasto vivissimo colla grossezza della sua testa, di Gui un ricco volume di capelli neri, folti, lunghissimi, quali non vidi mai in altra donna, aumentava ancora la sproporzione.. Tutta la sua vita era nei suoi occhi, che erano nerissimi, grandi, velati-och d'una belta' sorprendente. - Non era possibile credere che ella avesse mai potuto essere stata bel-' la, ma era evidente che la sua bruttezza era per la massima parte effetto della malattia, e che, giovinetta, aveva potuto forse esser piaciuta. La sua persona era alta e giusta; v'era ancora qualche cosa di quella pieghevolezza, di quella grazia, di quella flessibilita' che hanno le donne di sentimento e di nascita distinta; i suoi modi erano cosi naturalmente dolci, cosi spontaneamente cortesi che parevano attinti dalla natura pit'! che dall'educazione: vestiva colla, massima eleganza, e veduta un poco da lontano, poteva trarre in inganno. Tutta la sua orribilita' era nel suo Viso. Certo ella aveva coscienza della sua bruttezza, e sapeval che era tale da difetidere Ia sua reputazione da ogrni calunnia possibile; aveva d'altronde 223 troppo -spirito per dissimularlo, e per non rinunziare a quegli artifizii, -a quele- finzioni, a quel ritegno convenzionale a cui si appigliano ordinariamente tutte le 'donne in presenza, d'un. uomo. Me le ero presentato da me stesso nell'entrare. Allorch6' fui seduto a tavola, ella venne a prender posto vicino a me, e mi disse con dolcezza: -Vi vedo solo, e mi permetto di farvi un po~co di co'mpagnia. Desideravo di conoscervi e di rIngraziarvi personalinente dei libri che mi avete mandato. Mio cugino mi aveva parlato di voi, e avrei voluto vedervi un po' prima. Ma come fare? Sono, sempre cosil malata IFui colpito dalla soavita' dell~a sua voce, phiu ancora di quanto nol fossi stato dalla. sua bruttezza. -Ora mi sembrate per6' gaarita, - risposi io. -Guarita! - esclam6' ella sorridendo; - mi pare di no. L'infermita' e in me uno, stato normale, come e' in voi la salute. Vi ho detto che ero malata? Fu un abuso di parole. Ne faccio sempre. Per esserlo, converrebbe che io uscissi dalla normalit di questo stato, che avess-i un intervallo, di sanita'. Ho voluto tenermi cbiusa parecchi giorni nella. mia stanza, ecc-o tutto; ne avevo le mie ragioni; ho attraversato un periodo di profonda malinconia. Vedendo die la conversazione minacciava sit presto di trascinarci nel campo, delle confidenze mi astenni dal rispondere. Non sapete, -rispose ella dopo un, istante di silenzio e con tono diverso di voce. - che quel romanzo di Rousseau mi ha entusiasmata? Ne conoscevo iA soggetto, e ne avevo avuto softtocchm alcuni sunti, ma. non 1'avevo mai letto. 224 25 - Ritratto dii1. U. Tarchetti 26 - It pomeriggio (stampf 27 - Milano Bagni a Porta Ticinese (stamp~c -Avete avuto troppo premura di restituirmelo, e. un libro -che vuol essere meditato. -I vero, se il meditarvi sopra non fosse cosa pericolosa. -Parmi anzi utile. -Utile si', certamente. Volevo dire pericolosa per la nostra pace, per noi donne, per... me. Vi sono, delle letture che mi fanno male. -Voi sapete, -- io dissi per tenermi da capo sulle generali, - che Rousseau, cosi virtuoso nei suoi libri, ha esposto cinque figliuoli alla ruota di Parigi? Essa mostr6' di non aver compreso quell'artificio; accenn6' del capo come avesse voluto dire: i Altro e' l'uomo, altro le sue opere ~, e riprese: -Credo die meditare sui libri e rileggerli sia cosa sommamente inutile, anzi sommamente nociva; a meno che in tutta la vita non se nie leggesse che un solo, e questo fosse tale da inculcarci principii retti e da fortificarci in essi. Di libri educativi non ye ne puo6 essere che uno, pena la contraddizione, giacch6' ogni uomo ha vedute opposte, o per lo meno diverse. Il leagere moldi libri, il medita're su molti non ha altro effetto che quello, di renderci dubbiosi sulle nostre idee, incerti dei nostri pensamenti; non si sa phi' a che cosa credere, e spesso si finisce col non credere phi' nulla. Sono, convinta -Che ogni libro die non diverte, fallisce al suo scopo; che ogni libro che fa pensare, nuoce. L'obbiettivo di ogni lavoro letterario dovrebbe essere la fantasia - non la testa che si guasta, non il cuore che sanguina -ma l'immaginazione che si esalta e gioisce. Non avete provato mai l'ebbrezza dell'immaginazione? -Qualche volta. Ma credete die i suoi piaceri siano Innocenti? 0 non vi ~imnnocenza, o lo sono. Credo che possiamo non commettere una colpa, ma non possiamo non immaginarla. Non vi e' azione senza idea di azione; bisognerebbe esciudere il merito di fare o non fare. I traviamenti dell'immaginazione sono naturali, spontanei, quasi o-bbligatori; son essi die costituiscono il valore morale dele nostre azioni. -Queste' teorie hanno tanto di specioso quanto hanno poco di vero, - io dissi; - ma se non sono in errore, vostro cugino vi ha accusata con me di far un abuso della lettura. -Sorvolo sui libri, - rispose ella; mestamente, -come sarei sorvolata sulla vita, se la vita fosse stata per me. Ho letto una volta di un fiore, La sommita' del cui calice. e sparsa di un polline dolce e salutare, e il fondo di un polline amaro e velenoso; le farfalle che vi Si fermano troppo, vi muoiono; cosi e' di tutte le cose; cosi' e della vita. Non leggo n6' per imparare, ne6 per pensare - aborro, i libri di morale e- di metafisica.- leggo per dimenticare, per conoscere qualJi sono le gioie che il mondo dispensa ai felici e per goderne quasi di un'eco. P, tutto ci6' che io poss0 fruire dell'eL' sistenz'a;- fuggire dalla realta', dimenticare molto, sognare molto. Voi comprendete, - aggiunse ella con aria di niesta ironia, - il bisogno che io ho di attenermi a questo sistema; non avete che a guardarmi. -E perche? risposi io confuso e commosso da quelle, parole. -- Se siete infer'ma, guarirete; La vita ha dolcezz'e per tutti, ne ha di quelle assai intime che n6 gli uomini, ne6 le sventure ci possono togliere: il piacere di beneficare. -Beneficare!1 - interruppe essa: - ho pro~ vato. 1-o gettato i' mi'ei gioielli e i' mid abiti di seta dinanzi a una folla di' infelici che mi laceravano il cuore collo spettacolo della loro miseria. Li dolce, ma non basta. L'esistenza non puO essere tutta un sacrificio. La pieta' non -e che amore passivo, amore morto. - pero6 sempre, un aspetto dell'amore,io dissi, - ne6 lo possiamo credere un affetto, soifitario, se lo vediamo' ricompensato dalla gratitudine. -Credo ph'r presto alla gratitudine dell'amore che a quella del beneficio, - rispose ella. Jo tacqui. Successe un istante di silenzio. Ad un tratto - o, volesse ella vendicarsi del tentativi che io, aveva fatto per deviare la conversazione da quci soggetto, ora che me ne vedeva- infervorato, o, si dolesse realmente d'esservisi lasciata andare - proruppe in uno, scroscio, di risa e disse: -Sono piazza io! In che discorso vi ho mai trascinato! Capisco, che con me si puo camminare impunemente anche su questa. china sdrucciolevole; ad ogni modo,... t molto tempo che siete arrivato qui? Avete veduto tutta la dtta%? Vi piace? -Da pochi giorni... e ho -girovagato un poco per le vie. Sono del parere di vostro cugino... -Un paese di Barberia? -E di Pellirosse! Sorridemmo tutti e due, e credo l'na e l'altro per cortesia. -*Siete stato, al giardino? Una volta. -E al Castello? -Vi ' un castello? Diamine! Avete visitato '1 paese ad occhi chiu-si. Ho, pregato mi'o cu'gino di condurmnivi stasera. Se volete farci l'onore di accompagnarci... -Molto volentieri, ye ne ringrazio, e dicevo la pii'i solenne menzogna del mondo.Dacch6' ho lasciato Milano sono vissuto nell'isoiamento piu' rigoroso, ho paura di ammalarmi di solipsia; ma come uscir fuori di questo paese? la campagna e aria landa, una brughiera; non VI e unm'ombra, non vi ho ancora veduto un giardino, un fiore; io che vo pazzo dei fiori come le donne. Sta bene che siamo in agosto... Posca si alzo6 senza dir nulla, z-ntr6\ nella. stanza vicina, e ritorn6\ subito, tenendo in mano un mazzetto piccolissimo di fiori, che mni offerse senza Parlare. Quell'atto mi sorprese e mi turb6\ nel phiu pro.fondo dell'anima. La sua offerta era stata fatta tanto opportunamente e con tanta delicatezza. che ne fui colpito. Ella s'avvide fu~rse del mio turbamento, e si affrett6\ a dire come per togliermii d'imbarazzo: -Anch-'io amo molto i fiori, e se fossi sana vorrei coltivarne; ma se ne tro'vano parecchi che sono ingrati, e: mi procurano delle terribili emicranie coi loro profumi. Anche la societa\ dei fiori e qualche Volta pericolosa. E vedendo che m'ero ailzato e avevo preso il mio cappello per uscire, aggiunse avvicinandosi alla finestra che era aperta: -Guardatel, abbiamo ii, nel palazzo di fronte, unia serra magnifica, delle petunie, una collezione di gardenie... Cosi dicendo ci eravamo appoggiati al parapetto. In quel momento passava sulla via, e pro-prio in faccia a noi, un convoglio funebre. Ella lo vide, impallidl, retrocesse, si caccio6 le mnani nei capelli, emise un urlo, terribile, e cadde rovesciata sul pavimento. Le sue cameriere accorsero e la trasportarono nelle sue stanze in preda alle convulsioni pi" violente. lo uscii da quella casa quasi insensato. Credevo, che questo avvenirnento le avrebbe impedito d'uscire, e ne sarei stato lieto, giacch6e avevo, ricevruto in quel giorno una lettera di Clara. e mi senitivo l'anima tutta piena di lei. Avrei benSi' desiderato di recarmi in quel giardino, ma avrei voluto andarvi solo; avevo bisogno di pensare, di ricordare, di fantasticare a mio talento. In quel momento la compagnia stessa di Clara mi sarebbe forse stata meno piacevole della sua memoria. Piii volte a Milano avevo cercato qualdie pretesto onde allontanarmi da lei, allo scopo di ritirarmi nella mia stanza e pensare liberamente. L'amore ha spesso bisogno di ripiegarsi su se medesimo. In quel giorno Fosca venne invece a sedersi a tavola vicino a me; e benche6 apparisse estremamente sofferente., si adopr6' a tenerci lieti, e a rinfocolare la conversazione con mille artifizi ingegnosissimi ogni qualvolta mostrava di languire. Ii suo spirito non era superficiale, la sua intelligenza era assai piui profonda di quanto 'non lo sia ordinariamente un'intelligenza di donna: essa aveva del talento, e una distinzione di modi affatto, speciale. Non potevo per6' indovinare se quel dissimulare tali virt-6, quell'aria di non avvertirle, fosse vera inconsapevolezza, o artifizio. Uscimnmo come s'era convenuto. Ii colonnello 229 avendo, ixicontrato per via un suo amico., si accompagno6 con esso,~ e mi disse: -Siete un cattivo, cavaliere; mia cugina non troppo, sicura delle sue gambe, datele il braccio. Cosi rimasi solo con essa. Dacche6 avevo lasciato Clara non avevo pi1u1 dato I'I braccio ad una- donna; ed erano Parecchi anni che, lei toltane, non m'ero trovato in questa specie di contatto con una di loro. Cam. rnin mo per qualche tempo senza parlare. Fosca -era assai' mesta. -Stamnattina vi ho, forse spaventato, - mi disS~lacon dolcezza, - ne fui afflitta per voi, moltoafflitta; ma clii lI'avrebbe preveduto? Eu una sorpresa cosi' triste!I Non ho molta paura, di morire, ye lo giuro, benche6 sappia die non ho pifi gran tempo da vivere; ma ho paura di tutto ci0\ che accompagna e segue la morte: quel vedersi chiusi tra quattro tavole, quel sentirsi buttare la terra addosso, quel disfarsi... tutto cio6' e troppo orribile!I Se si potesse morire improvvisamente, nella pienezza della giovent-6 e della salute, e se la morte fosse un annichulimento istantaneo, io l'avrei implorata di gia' come una benedizione!I -Ma questi pensieri vi fan~no male, - io le risposi. - Perche6 pensare a queste cose? Non vedo nella vostra salute motivo, di tanta apprensione - e anche qui sapevo di mentire. - Mi avete fatto Pena, e\ vero, ma non mi avete spaventato, perche6 sapevo che non V'era in ci6\ alcun pericolo. -Ve l'avevano gia' detto? -Si. -Mi avevate gia\ sentita? -Si. 2z30 - Eppure... S'interruppe, e tacque. Continuavo a camminare in silenzio. Io ero tutto immerso nell'egoismo del mio cuore. Pensavo a Clara, non poteva distaccarne il mio pensiero. L'aver una donna al mio fianco, una donna vestita con eleganza, che posava il suo braccio sul mio - un braccio fino, esile, leggiero - che mi toccava collo strascico del suo abito; e camminare con essa in un luogo solitario, sotto gli alberi, era cosa che accresceva del doppio la mia illusione. Non solo io non potevo arrestare il mio pensiero su Fosca, ma la mia mente si valeva di lei come di una guida in quella ricerca smaniosa delle sue memorie. Che quella donna fosse poi brutta, orribilmente brutta, non ci pensavo. Sapevo tanto illudermi da dimenticarlo. Una cosa soprattutto contribuiva a tenermi saldo nella mia illusione, una specie di profumo delicato, molle, voluttuoso che emanava dalla sua persona, e che avevo spesso sentito vicino a Clara. Gli abiti di seta riscaldati dal sole esalano questa fragranza elettrizzante. Coloro che hanno passeggiato in giorni estivi con un'amante lo sanno; essi non passeranno mai dappresso ad una donna vestita di seta senza sentire quel profumo e senza ricordarsi di quei giorni. Oltre a cio le donne hanno un profumo a se - non so come la scienza non abbia awertito questo fenomeno che non sfugge all'amore tutto cio che esse toccano e profumato, tutti i luoghi per cui passano ritengono qualche poco di quella fragranza. Non ho mai potuto ricordarmi bene di mia madre, che perdetti fanciullo, se non baciando un fazzoletto che mi e rimasto di 231 lei, e che ritiene ancora', do-Po tanti anni, le reliquie del suo profumo di santa. Era troppo tardi per recarci a visitare il. castello; entrammo, nel giardino. Non avevo, veduto mai prima di quel giorno un luogo, cosi' incantevole, cosi' pieno, di maestosa orribilita'. In quelle mie prime escursioni non ne avevo, visitate che alcune parti. Non v'erano, n6' aiuole,, n6' fiori, ma spalliere gigantesche di carpini, viali ampii e lungrhissimi fiancheggiati da ippocastani secolari, e gruppi di olmi cadenti per vecchiezza l'uno, sull'altro. Nel. mezzo vi era un lago, estesissimo, la cui acqua corrotta dal ristagno, e dalle fo-glie che s'erano, infracidite, non aveva phi' alcuna trasparenza; a quando, a quando ii vento vi faceva cadere dagli alberi i rami secchi, schiantati dal turbine, e appena ne sollevavano, le onde, tanto erano, dense ed immobili. Piccoli serpentelli d'acqua. scivolavano in mezzo alle foglie delle ninfee. Dappertutto statue mutilate, annerite dalle pioggie, coperte di. musco, e di acetose; cippi e basi di colonne sepolte in mezzo alle edere; avanzi di acquedotti, tra le cui screpolature cresc-evano ranuncoli e capelveneri. Da un lato v'erano, pure le rovine d'un tempio, pagano, sulla cul sommita, aveva posto, radice un uli'vo; grosse lucertole uscivano ed entravano, dalle fessure delle pareti smattonate. L'umidita' e i'ombra vi erano Si costanti che in pieno, agosto vi fiorivano le viole; ed erano tante che il suolo, pareva coperto di un tappeto, azzurro, se non che non avevano, pro-. fumo. Non si sentiva che il canto d'una sola specie di uccelli, (non vi intesi mai altro uccello a cantare, ne6 ne vidi d'altra sorta in tutte le volte che mi re~cai a passeggiarvi), ed erano, certi scric 232 cioli non phiu grandi d'una farfalla. Ii loro canto era un fischio'lamentevole e pieno di malmnconia. Gli uccelli pii'i piccoli di quel paese ne abitavano gli alberi phi' grandi. In quel mnoinento il sole era presso, a trarnontare, e vi gettava orizzontalmente alcuni de' suoi raggi. Le sommit' delle piante erano, talmente ampie,,eaevn talmente intrecciato i loro, rami che vi raccoglievano e vi trattenevano, quasi tutta quella luce, come sotto un padiglione di verzura impenetrabile. Quegli effetti di sole erano, meravigliosi. La mia anima era rapita da quello, spettacolo. Se Clara fosse stata con me!... Le ultime parole che mi aveva detto Fosca risuonavano ancora al mio orecchio, come un'Ieco, avevo ancora nel cuore qualche cosa della sensazione che ne avevo, ricevuto. -Come! - proruppi io improvvisamente quasi per rispondere a me stesso, e a' suoi dubbi sconfortanti - come si puo6 pensare a morire quando, tutto ci6' che ci circonda e' cosi' pieno, di vita, e' cosi' bello; quando vi ~ ancora tanta parte di esistenza inna-nzi a noi? Guardate questi alberi, questo tappeto di viole, questo orizzonte... Non vi pare che la sola sensazione dell'esistere, iA vedere, il sentire, iA toccare, il muoversi, il respirare in questo luogo sia tal cosa che debba renderci allettante la vita? -Perch6 non avete aggiunto, pensare? -I pensieri che. nascono, dalla contemplazione della natura non possono non essere che s'ereni. -Voi non conoscete tutti gli abissi del pensiero. -Forse... -N6' le sue torture.:233 - Queste si, conosco pero anche le sue dolcezze. - Io non le ho mai conosciute. -Vorrei dirvi ingiusta. Sono convinto che non vi e assoluta infelicita, ne felicita assoluta. L'eredita di beni e di mali che ci ha legato la natura, puo eccedere o difettare nella misura di questi o di quelli, ma ciascun uomo ne ha una parte - piccola o grande - e non vi e esistenza cosi misera che non sia stata letificata un istante da un baleno di fugace felicita... Poc'anzi mi parlavate dei piaceri della fantasia. - Altro e immaginare, illudersi; altro e aver coscienza e sentimento di un bene reale. Vi fu un tempo in cui avrei accettato qualunque miseria, qualunque spasimo, a patto di sognare tutte le notti, di sognar sempre, di non vivere che di questa vita di illusioni. Allora non ero ancora malata. I miei stessi mali mi hanno ora esaudita; la mia infermita mi procura ogni notte sonni convulsi, periodi di assopimento febbrile, nei quali ripassano innanzi a me tutte le scene, tutte le visioni, tutte le complicazioni possibili di questo mondo sterminato dei sogni. Ebbene, lo credereste? Non ho piu alcuna gioia, spesso anzi mi disgustano, mi tediano. Noi viviamo in un mondo reale, dobbiamo afferrare il reale, il concreto. - Esso e sempre inferiore all'ideale. - Non importa. Chi non preferirebbe all'immagine di un bene smisurato, il possesso di un bene anche minimo? - Tutto cio e relativo, io dissi: gli aspetti e le sorgenti della felicita sono molteplici, chi si reputa avventurato in una maniera, chi in un'altra: la maggior parte degli uomini lo sono in modi 234 opposti o diversissirni. Non.vi C" che un mezzo Comune, facile, sicuro, di essere felici. -Quale? -Amare. Essa tacque, e s-entii il suo braccio, pesare con maggior abbandono sul mino. -Amare! ripet6' ella dopo qualche istante. Che cosa, avete inteso di dire? Spiegatevi. -Credevo di essermi giovato di una parola assai semplice, dissi io. Se non ne comprendete il valore, le mie spiegazioni' non avrebbero alcun frutto. Ella sorrise a fior di labbra, e riprese: -Intendete di esciudere le piccole, sifinpatie, le amicizie, gli affetti domestici? Amare e' una parola. assai generica.. -Assai esd-usiva all'eta' vostra. Non esciudo gli affetti die voi dite; ma non li considero die come una sfumatura., come una, eccedenza, come la cornice del quadro. Forse anzi m'inganno, essi hanno, natura, oppostissima. Dicendo, amore intendo, amore. E ripresi col pensiero rivolto a Clara: -Intendo l'amore che sentiamo, alla nostra etat, noi, giovani, ardenti, immaginosi; l'amore che e superiore a tutto, che sfida tutto, die e' tutto; quella fusione piena. di due anime che fa. vivere la stessa vita, pensare gli stessi pensieri, volere le stesse volonta, desiderare gli stessi desideri; quel periodo d'accecamento c di ebbrezza. in cui tutto ~' bello, tutto, e nobile e p"uro, tutto e" felice; giacche' l'amore non eN -he un grande accecamento, ed una,grande ebbrezza! -Ah, sj 1 esclam6 ella somm'essamente e come parlasse a fie stessa, quello e" 1'amore. 235 -E credete, continua i o senza avvedermi del male 'che le facevano. le mie parole, credete che la vita avrebbe qualche attrattiva se vuota di questo, sentimento' che la occupa tutta; nella fanciullezza col desiderio, nella giovent-6 colla fruizione, nella vecchiezza colic memorie? Credete che questo mondo, ci parrebbe si' bello, e si' buono, se non avesse questa luce e questo profumo? Che questo stesso, luogo ove siamo ora mi sembrerebbe cosi' incantevole se non lo vedes'si attraverso questo prisma abbagliante? Voi!... esclam6' ella, voi lo vedete... E s'interruppe di nuovo, angosciosamente. Eravamo arrivati in quel punto noel mezzo di una crociera ove sorgeva un monumento di marmo. Sopra una fronte di -esso, rimasta intatta, erano scritti a matita molti nomi che iA tempo aveva in parte cancellati: due righe sole parevano recenti e dicevano: 22 agosto i863. Giulio e Teresa - amanhl e Spost felici. Mentre Fosca me le indicava col dito, sentivo, la sua persona ppsare- sopra la mia con abbandono. Non era cifetto di voluttA, ma prostrazione, abbattimento, improvviso. Quanto a me, quelle parole mi avevano colpito pi1ul intimamente: la mia situazione era tale da sentire pP'i al vivo quel richiamo: < amanti e sposi;~, noi non eravamo, che a~manti, noi, io, e Clara, non saremmo, stati sposi mai; ii nostro, stesso amore non era die una colpa, che una violazione di quella leg-itt-ima felicit~ di cui godevano quci due ignoti. Essi erano, stati in quell'eliso quattro, soli giorni prima di noi - era allora ii ventisei agosto, me ne ricordo bene -- come dovevano e'sservisi. sentiti felici Correre lungo quci viali, nascondervisi dietro, i carpini!1 236 chiamarsi, inseguirsi, sedersi su quelle viole; oppure passeggiarvi a braccio, vicini vicini, colle feste die si toccano, colle mani intrecciate; e parlare di cose malinconiche, di ammalarsi, di montre... (<. Ma me ne astenni. - Sentite, diss'ella cercando la mia mano, colla mano del braccio che aveva fatto passare nel mio - una mano secca, lunga, leggera - e stringendola a intervalli convulsamente. Qualche giorno vi far6' delle confidenize, vi racconter6' la mia vita; voi me lo permetterete, non e' vero? Ho bisogno del vostro compianto. Avete un'aria cosi' dolce, cOsi bu.ona. Ve lo confesser':, io vi ho, veduto fino dal primo momento- che siete venuto in casa nostra, vi vedevo tutti i giorni, e non uscivo mai dalla mia stanza perch6' avevo vergogna di voi, temevo di dispiacervi, sono cosi brutta. Mio, cugino non e' cattivo, mi vuol bene, ma non mu sa. comprendere: gi altri sono, gente grossolana, buoni, ma rozzi - soldati!1 Non ci siete che voi che possa capirmi, sopportarmi senza umiliarmi, cornpiangermi. Perche6 non v'a alcuno tra essi che non mi. rispetti, e' vero, ma in segreto mi deridono, ne sono ben certa, lo sento. Dicono, che sono, dispettosa, volub;ile, ironica, spesso cattiva. Son essi, e' il mondo che m'ha fatto diventare cosi, mi cono 238 scerete. Ho bisogno, di essere conosciuta, capita. Voi non potete imma~ginare come quanti UOMMin che dicono di saper tante cose, che sembrano-conoscere Ai mondo si' bene, e ne ridono, siano poi tanto ignoranti, tanto superficiali nella scienza del cuore umano. S'illudono perche6 Si cono~scono, tra loro, e si cono-scono tra loro perch6' sono tutti eguali! Voi siete diverso, voi; mi e' bastato vedervi per comprenderlo. Non. vi domando, che la vostra protezione, la vostra tolleranza. Ho qui nel cuore tante cose che mi fanno male, perche6 non le posso mai dire, e poi lo vedete, sono malata, sono anche brutta, dovete aver compassione dli me... quella compassiofle amorevole, g'enerosa, sincera die non ho trovato mai, mat, e. di cui sento tanto, bisogno. Non mi rifiuterete la vostra pieta', ditelo, non me la rifiuterete. -Buona creatura, esclamai io0 profondamente commosso,~~1 savrete tutta la mia amicizittaL mia confidenza; avr6' anch'io tante cose da dirvi; saro6 felice di avere un'amica... E tro'vandomi imbarazzato a continuare, strinSi calorosamente la mano che ella aveva posto nella mia. -La vostra nmano, e ardente. -Ho la febbre, l'o sempre. Sentite, riprese ella dopo, qualche istante, ho bisogno di giustificarmi con voi, sento die ne ho, il diritto e il dovere. Se oggi stesso, il primo giorno in cui vi ho veduto, ho, osato tenere con voi alcuni discorsi che nessun'altra donna avrebbe tenuto e ho voluto quasi provocarli, l'ho fatto perch6' la mia bruttezza mi. garantisce contro tutti i pericoli di una Simile discussione, e anche contro il sospetto di esse-rmivi abbandonata per uno 239 scopo biasimevole. La mia deformita' ha almeno questo vantaggio. Ora, proseguf' Fosca, vedendo che non eravamo phi die a pochi pass i dalla, sua casa, dovete promettere di perdonarmi la prima colpa, die ho commesso a vostro riguardo. -Quale! una colpa! -Promettetelo prima. Con tutta l'anima. -Quella di avervi fatto uscire con me. Puna ferita che ho recato al vostro, amor proprio; e so quanto'ci6' vi pos-sa. essere dispiaciuto. Non tentate di farmi credere il contrario. -Non lo far6, io le dissi (giacche6 mi vedeva. posto nel caso di dire una nuova menzogna), non lo far6, perch6 me lo proibite, ma... Essa mi guardo6 e sorrise uristemente, come avesse voluto dirmi: - vero, perci6 non lo fate. In quel momento avevamo raggiunto il colonnello ed il suo amico che si erano fermati alla porta ad aspettarci. -Sapreste dirmi, mi chiese il colonnello col volto arrossato dalla discussione avuta col suo compagno, se fu De-Fauche'e l'inventore delle capsule' a secco, o piuttosto se non fu lui che le ha perfezionate? -Egli ne fu l'inventore. -Lo sapete positivamente? -Positivamente. -Al diavolo!1 disse iA su'o amico. -Benissimo! esclam6' il colonn-ello fregandosqi le mani: sei bottiglie di madera, guadagnate! 240 CAMILLO BOITO Nato a Roma nel 1836, egli fu uno dei pifi1 autorevoli stidiosi di architettura in Italia (fu per lungo. tempo, insegnante di a'rchitettura superiore nella R. Accadeinia di Belle Arti di Milano). Temperamento schivo e -~ignorile, ebbe vita assai diversa (dal tato esteriore) da quetta che comport6 l'appartenenza, allJa Scapigliatura. Ad essa, invero, poco partecip6, riservandosi di ripeterne motivi e tendenze nel chiuso delle sue esperienze artistiche. Le stesse sue opere letterarie non furono che un aspetto secondario della sua comptessa figura. Pass6 quasi tutta la sua vita a Milano, allontainandosi soltanto per lunghi e frecquenti viaggi, sopratttutto at di la' delle Alpi, netle vane regioni d'Europa.. Am6 con gusto sportivo e moderno gli itinerari svagati, fatti rnagari a piedi o con mezzi di fortuna. Morn a Milano net 1914. BIBLIOGRAFIA: Storiellc vane, racconti. Ed. Treves, Milano, 1 876 (ultima ed!izione, Treves, 1913); Senso, racconti, Ed. Treves, Milano, 1883 (ultima edizione, Treves, 1899); Gite di un artista, Ed. Hoepli, M~ilano, 1884. UN CORPO La mia compagna non so se fosse ninfa o folb letto. lo la chiamavo, col verso, di un vecchio stornello: La bizzarrina del cam po dei fiori. Aveva. diciott'anni. D~i quando, in quando, si svincolava dal, mio braccio, per fuggire sull'erba verde di que' bei prati del Prater. Talvolta. le correvo dietro, ed ella. mi scansava, girando intorno all'enorme tronco, di una. quercia, o sbalzando, da ogni parte con salti da, gazzella; talvolta' la lasciavo andare, ed. ella, allora, vedendosi lontana, si fermaya, si sdraiava, sull'erba, e M'aspettava ansando. Nel giungerle vicino, guardavo tutto, initorno, se qualcuno ci vedesse. Facen'do puntello delle braccia, ella, rovesciava. indietro ii corpo, flessuoso, die s'incurvava, come l'ansa di un vaso, grecof. Mi chinavo e le davo, un bacio. Poi' le dicevo: -Carlotta, bada, che lasci vedere i legaccioli delle calze. -Ed ella. allora, scattando, in piedi, scuoteva la sottana, del suo, abito, color di rosa, e con cara ironia, mi sussurrava nell'orecchio: - Sei geloso del] a luna. die nasce? 2432 Eravamo infatti soli soli in quell'angolo del parco, e i raggi della luna cominciavano a vincere la luce rossastra del crepuscolo. Di lontano s'udiva una grande allegria di suoni e di canti: le mille voci di un popolo in festa. Attraverso le fronde si vedeva accendersi un lume, poi un altro, poi un altro ancora, e via via, finche gli alberi disegnarono la loro forma nera sopra un gaio incendio di luce gialla. - Fermiamoci qui - disse Carlotta; - mettiamoci a sedere su questa panca. Non senti anche tu nell'anima una dolcezza tutta serena e come una gran voglia di solitudine? - E sospirava soavemente, e mi stringeva la mano, e alzava gli occhi umidi e sorridenti al cielo. Stavo per risponderle, ma mi tronco la parola il rumore di un passo vicino. Un signore smilzo e lungo, vestito di nero, ci passava dinanzi. Carlotta, nel vederlo, tremo tutta, soffoco un grido e si avvinghio al mio corpo. - Che cos'e, mia cara?- domandai tutto agitato. - Niente, niente - rispose Carlotta; - ho avuto paura. ~ una fanciullaggine. Perdonami. - E mentre io, stringendola alla cintola, volevo farla sedere di nuovo, ella scappo via, dicendo: - Andiamo, ti scongiuro, al Wurstel-Prater. Ho bisogno di distrarmi. - M'afferro per la mano e quasi correndo, mi trascino in mezzo alla folla e alla luce. Alle mie interrogazioni replicava ch'era un'ubbia, e mi giurava di spiegarmi un'altra volta la cosa. Ma quell'uomo t'ha egli fatto del male? - wnsistcvoL 244 No. -T'ha egli voluto corteggiare? -Oh no, no -Ma dimmi almeno. se t'ha mai parlato? -Mai, te 10ogiuro. — Ebbene? -Insomnma e' una scempiaggine. Te la dir6' domani. Adesso, scusa, non ci voglio pensare. - E Si Diant6' dritta. in faccia, a tin casotto di burattini. La commedia, era delle solite&: una ragazza che nasconde gli amanti nel cassone della farina; il diavolo che porta. via dalla tavola il vino e le pietanze, e una vecchia die vi rimette tondi e bottiglie, e 1'altro che la bastona, e simili cose da fanChiulli. Poi veniva in scena una cassa da morto, e due becchini vi cacciavano dentro la vecchia, e picchiavano coi martelli per inchiodarvela., e si mettevano, la cassa, in ispalla, facendo, le viste di andarsene, quando, a tin tratto tin com'glio, tin vero, coniglio bianco, gettato via il coperchio, ne usciva fuori, con infinitissime nisa de' bambini, delle bambinaie e dei caporali e sergenti che le stavano adocchiando. Carlotta, la quale s-'era tin po' tranquullata e principiava a sorridere, all'ultimo, si annebbi6' di nuovo, e mi preg6' di accompagnarla altrove. M'ero gia' accorto, ne' quattro, mesi dacche6 stavamo, insieme, che Cariotta, non ostante ii suo umore gaio. e la sanita' del suo corpo, aveva una grande paura della morte. Tutto ci6' che in tin modo o, nell'altro, poteva ricordargliela, bastava a farla. impallidire e trernare. Accanto agli ospedai non voleva passare mai; e una volta, die andavaino in carrozza. all'A ugarte~n, ordin6' al, coc 245Z chiere di svoltar'e da una via laterale, per non avvicinarsi nella Taborstrasse allo, spedale dei Fatebene-fratelli. Se vedeva di lontano, un funerale, tornava indietro, o si ricoverava in una bottega, girando altrove la testa. Non voleva leggere di morti o di 'malati, o sentirne parlare. Tollerava la cornpagnia de' medici, ma quella dei chirurghi le era insoffribile; e un giorno che, in una birreria, il Dumreicher mi raccont6, nel discorso, non so pici che strano caso di autopsia, Garlotta, la quale era con me, senti venirsi male. Si riebbe tosto; ma per ventiquattr'ore quelle sue belle labbra non vollero comporsi al loro solito riso. Io pigliavo tali stravaganze per la espressione involontaria di una sensibilit~t eccessiva; le Derdonavo, le rispettavo, mi piacevano an~zi in quell'anima senza malizia. L'anima era da fanciulla, ma il corpo era da Dea. II paragone con le statue greche pu6' solo dare un concetto di quelle membra snelle, vigorose, di acciaio, temprato. Somigliava alle Amazzoni, alle Diane cacciatrici di Scopa e di Prassitele; aveva anche le movenze delle Veneri callipigi, delle Veneri accoccolate, delle Ninfe s-draiate, di Psiche quando- stringe Amore. Cleomene figlio di Apollodoro, certo le insegn6' ad a-tteggiarsi, dopo avere fatto lNWtim carezza alla Venere de' Medici. Ii suo volto ricordava la testa di quella, cara Euterpe, che sta nel museo di Berlino: ii naso non si staccava dalla fronte se non per una dolcissima sinuosity; gli occbi lunghi, rialzati un po' verso, il mezzo della faccia, parevano tracciati con 1'arco di un compasso; le labbra ferme scendevano, un tantino alle estremnitA, unendosi per due infossature quasi impercettibili' alle narici; ii inento disegnava con le gtiance la curva, rovesciata di una perfetta parabola. L'Euterpe ha i capelli increspati, e s'indovina che sono, biondi; quelli di Carlotta erano, biondi e increspati, e cornponevano, per annodarsi dietro, come nella figura antica, due larghe trecce in giro alla fronte e sopra le orecchie. Nel viso, di Carlotta non era peraltro, niente di quella freddezza. un po' sdegno~sa e solenne, che\ quasi semp're il carattere de' VOlt greci; anzi 'nella perfezione attica della forma portava i segni di una gaiezza facile, aperta, buona: e gli occhi azzurrini compievano il ritratto dell'anima ingenua. Quanto al co-lore, lo splendor di Tiziano, e la finezza del Van Dvck non sarebbero, bastati. In quel candido, si notavano de' passaggi arnmirabili quasi dall'azzurro al cinabro: sotto la pelle liscia, fresca,) trasparente scorreva. la vita fervida. Quella donna era il simbolo della grazia, della forza, della salute. A Vienna, cittaN delle belle donne, quando andavo in compagnia, di Carlotta, la gente si voltava con ammirazione. Una mattina, nel Graben, il bizzarro, Raal, che stava dipingendo allora i freschi dell'Arsenale, proruppe in questa esciamazione:- Ali Ise potessi avere costei per modello della mia Germania! - e la salut6, ca'vandosi rispettosamente'il cappello. II Wu~rstel-Prater era pieno, di teatri da opera, da~ commedia, da pantomina, equestri, fantastici, di panorarni, di lanterne magiche, di botteghe da caffe, di sale da concerti, di bersagli, di serragli, di gallerie f'otografiche, di suonatori ambulanti, di -cantambanchi, di saltimbanchi, di rivenduglioli d'ogni sorta di roba, di birrerie sopra tutto. Mi 24'7 gliaia e migliaia di persone passeggiavano intorno, fermandosi chi qua, chi la, entrando chi nell'uno, chi nell'altro casotto, comperando quale una cosa, quale l'altra, urtandosi, pigiandosi da ogni parte, pestandosi i piedi, sempre con bonomia tollerante, con garbatezza ruvida, ma espansiva. II riso usciva da quelle grosse labbra abbondante, come la birra entrava in quei gorgozzuli. Le birrerie, alcune formate di ricche sale, adorne di sete, di velluti, di festoni e di fiori, parecchie altre composte di una piccola baracca di legno e di un immenso steccato tutto sparso di tavole e di scranne, erano piene zeppe. Chi non trovava da sedere, si sdraiava sull'erba pesta. Le fresche e svelte ragazze correvano senza posa, portando a diecine le tazze di cristallo, colme della birra d'ambra con ispuma d'argento. I fanali, le lanterne, i lampadari, i lampioncini di cento colori e di cento forme rischiaravano in diverso modo quella vasta scena: da una parte tutto nuotava nella luce; poco discosto tutto si nascondeva quasi nel buio. Guardando in alto si vedevano luccicare le foglie umidette de' grandi alberi, e scintillare le profondita del cielo. Lo schiamazzo babelico, il frastuono infernale aveva qualcosa di misterioso. In mezzo al parlare confuso ed allo sghignazzare di tante innumerevoli bocche, si udiva a tratti l'armonia di una orchestra, il suono rauco della tromba de' funamboli, la nota sibilante del piffero d'un educatore di topi, il ruggito di un leone dalla sua gabbia o il guaire di un cane smarrito. I1 Wurstel-Prater era la suprema delizia di Carlotta. Si divertiva di tutto. Sul!e facezie dei pagliacci faceva le piti grasse risate; innanzi alle marionette stava con la bocca aperta; voleva udire sino alla'perorazione il sermone dei ciarlatani. Una volta mi fece 'montare insieme con lei sullo stretto sedile di un'altalena; poi nella carrozzetta di una del le giostre meccaniche, e, correndo in cerchio rapidissimamnente al suono dell'immenso organone, a me, che sentivo quasi venirmi il capogriro, ella mostrava scherzando i due delfini di legno, i quali facevano le viste di tirarci, e paragonava, con infantile compiacenza, se' ad Anfitrite e me a Nettuno. Solo non le piacevano le figure di cera. Ma quella sera Carlotta aveva mutato umore, sembrava preoccupata da qualche uggioso, pensiero, guardava distrattamente, sorrideva poco. Vicino ad un circo equestre, dove, sapendo che le piacevano molto i cavalli, volevo condurla, ci si udi' salutare da parecchie voci. Erano, padre, madre, cinque figliuole,, la c'ameriera e la cuo~ca: tutta la famiglia del grave impiegato all'Ufficio di censimento, il quale ci dava a pigione una parte del suo quartiere, quattro stanze nel Franz Josef s-Q uai, verso il largo canale del Danubio. S'avviavano all'omnibus per ritornare a casa, e Carlotta mi preg6' di lasciarla andare con essi, dicendo die si sentiva un po' stanca, che dopo un'ora l'avrei trovata piu' allegra che mai, e che (lo mormoro6 con un divino sorriso) m'avrebb~e voluto anche piii bene del solito. Rimasi solo in mezzo alla calca. M'avviai lentainente ad una birreria modesta, fuori del chiasso, dove aveva costume di sorbirsi otto o dieci tazze di birra a quellora aopunto un 249O mio carissimo e solidissimo, amico, il, dottore Herzfeld. Era di dieci anni phiu vecchio, o, per meglio dire, men,giovine di me, che n'avevo allora ventiquattro: piccoletto, gras~soccio, rosso in viso, con due occhietti cerulci da cui schizzavano scintille. Egli professava medicina, ed io facevo il pittore. I nostri studi si toccavano, in un punto, l'anatomia; per la quale egli non sentiva nessuna inchinazione, ed io provavo un'avversione quasi nvincibile. Questa ripugnanza aveva fatto an'dare in bestia il mio, vecchio maestro, e m'aveva tirato addosso le celie dei colleghi; sicche6, di quando in quando, per dare a me stesso lo spettacolo della mia forza di volonta' e di stomaco, m'ero sforzato di cacciarmi nell'osteologia, nella miologia e nelle altre ricerche del corpo umano. Da quattro, mesi Carlotta, alla quale non parlavo, mai di tali brutte malinconie, aveva contribuito ad allontanarmi compiutamente dallo studio nauseante. L'Herzfeld non era solo. Discorreva con un signore. Appena mi scorse si alzo6 e, correndomi 'incontro: - tun secoto die non ci vediamo,disse. -Sono molto occupato, - risposi - ed e' un gran pezzo davvero che desideravo stringerti la mano. -Si, sf - replic6 l'erzfeld, con Un certo suo ghigno, il quale voleva parere sardonico, ed, era pieno di bonarieta' - si, sei affaccendato ad essere l'omo phi felice della terra. Ti perdono. Dio voglia che tu non abbia mai piui bisogno, n6' de~gli arnici, ne6 della birra - e mi offriva la sua tazza, che una rosea fanciulla aveva in qu el momento, recata e in cui bolliva ancora la spuma. Poi, accennando me al, signore che gli stava Pres. 250 so, gli disse il m-io nome, e, indicando' a me quel signore, Profferi con voce piena di rispetto la sola sillaba: - Gulz. - Carlo Gulz? -Ii signore, aizandosi in piedi, fece un leggiero segno a~ffermativo Col. capo. - Carlo Gulz, l'anatomista? - Fece ui altro segno affermativo, e si rfimise a sedere, dopo, averMi COn la mano, accennato di fare altrettanto. Le ragioni del mio stupore erano due. Carlo Gulz aveva un nome gia' celebre fra gli scienziati e gli artisti tedeschi. La sua magnifica opera sull'Anatomia estectica era gia' pubblicata da phi' di tre anni, ed io, in uno de' brevi periodi del mio faticoso studio anatomico, l'avevo letta da capo, a fondo. Ora, dov'io m'aspettavo di trovare un uomo bene innanzi d'eta', ecco, che vedevo un giovine di aspetto quasi infantile. Era alto di statura, mna smilzo, smilzo, come un ragazzo che sia cresciuto, prima del tempo; portava gli occhiali, e aveva, a guardar bene, qualche ruga sulla fronte, ma i capelli biondissimni gli scendevano, a onde sulla pistagna dell'abito nero, e il mento, non era ornato se non di una barbetta gialla, che pareva di primo, pelo. La fisonomia indicava una placidezza concentrata e triste. Vidi poi che, nel parlare, il naso, disegnandosi in leggera curva aquilina, dava a quel volto certa strana espressione di fermezza rig0ida e quasi sinistra, espressione accresciuta dal carattere della voce, dolce nel suono, ma uscente a scatti, con concitazione dura. La seconda causa del mio stupore stava in una vaga somiglianza di Carlo Gulz con quell'uomo, di clui non m'era riescito scorgere le fattezze un'ora prima nell'ornbra del crepu'scolo, e che aveva fatto tremare e gridare Carlotta. Carlotta sapeva 25.1 ella che quegli fosse un anatomista? Poteva bastare ci6' perche6, pur essendo tanto schifiltosa, le venisse indosso un si' forte spavento? Ma, sopra tutto, non m'ingannava fo~rse una, facile analogia di statura, di magrezza, di portamento, di abito? Tali stuLpori e tali sospetti mi trav'ersarono il cervello in un lampo, e non feci niuno sforzo nel rivolgere un caldo elogio al Gulz sul suo libro, il quale, dicevo, aveva fatto progredire insieme 1'arte e la scienza. Egli rispose con molta semplicita', ma con profonda convinzione: - Quel libro, signore, e un'opera giovanile, incompiuta e fiacca.,La mia nuova teoria aveva bisogno di moltiss'ime prove e di larghissimo sviluppo. Sto, adesso occupandomene, e fra sette anni, se la natura, ni aiuta, il lavoro sara' finito. -Ed ella vive intanto in mezzo ai cadaveri? -Dieci ore al giorno, rego-larmente. In nove anni, dacche6 ricerco la bellezza. del corpo umano, non mi rammento di avere rubato qualche ora al mio caro studio se non una dozzina. di volte, e., glielo assicuro, senza mia colpa. II tempo impiegato di giorno nell'andare in cerca dei modelli. vivi e nello studiarli, Si riacquista di notte. Ma pur troppo ii caso non vuole favorirmi spesso, pur troppo accade assai di rado che i perfetti modelli vengano a finire sulla mia tavola, di marmo bianco! -Nove anni dacch'ella studia, ii corpo, dell'uomo, dottore! Ella doveva essere ben giovinet~to quando co-minci6\ le sue indagini anatomiche. -Quando principiai ad occuparmi dell'uomo avevo piUi di velit'anni; ma sin da, ragazzo mi occupai degli altri animali. Abitavo in campagna:25.2 e mio padre era veterinario. Rammento che, appena desinato, correvo a fare il mio, cO'MpitO scolastico in una specie di stalla tutta mia, piena di uccelli, di galline, di conigli. Finito di sbadigliare sulla grammatica 0 sull'aritmetica mi cacciavo.nelle mie investigazioni e nelle mie esperienze infantili. Mio padre verso le dieci della sera yeniva a pigliarmi per le orecchie, e mi trascinava a letto. Spesso attendevo che tutti dormissero, mi rivestivo, e in punta di piedi tor'navo pian. piano nella mia stalla, dove talvolta lo strido di qualcuna delle mie bestie mi tradiva, e dovevo, piangendo, abbandonare il frutto della operazione. Passai quindi ai cani, ai gatti, ai cavalli... -E stamp6' - interruppe l'erzfeld, che sino, allora aveva ascoltato tacendo, - nella Rit'ista uiniversale di Anatomia uno studio intitolato: L'indole morale degli animali domestici ricercata anatomicamente. -Appunto; e avevo sedici anni. -Conosco lo scritto. P, l'opera di un. vecchio non 1'opera di un fanciullo. Ma chi volesse dedurre ii carattere personale dell'uomo dalle os~sa e dai muscoli... -Farebbe in parte quello, che faccio ionot6 il Gulz: - e non ho cominciato io; giacche6 dopo e prima del Gall e del Lavater cento altri hanno tentato le medesime ricerche. -Ma con qual frutto, dottore? -Con poco, e vero; perch6 i loro sistemi. erano, mcompiuti. Non le sole forme esterne del corpo bisogna guardare, ne6 le sole gibbosita' del cranio, ma tutta intiera la macchina umana. Tutto si collega, tutto s'i-mmedesima. Ci6' che i piii di 253 cono anima, forma una cosa sola con di6 che tutti usano chiamare materia. -II pensiero, e materia!1 Come lo dimostra, dottore? - chiesi io, ripigliando il dialogo. -E lei come dimostra, scusi, che il pensiero, sia spirito,? Che cosa e' questo spirito, che cosa e quest'anima? La- vanita' dell'uomo, ha voluto crearsi dentro, un certo, non so che, diverso dalle molecole e dalle forze della natura. L'idea di un cosi' fatto, privilegio ripugna, perch6' rompe le leggi dell'universo, e deve sembrar puerile, perch6' in fondo, non dice e non ispiega niente. Non p-are a lei pi'Ui naturale il credere che i pensieri e i sentimenti non -sieno altra cosa che le infinite e rapidissilme combinazioni di atomi infinitamente piccoli, i q'uali si muovono, s'aggrruppano,, si sciolgono, si ricompongono, si riposano, si ridestano,nelle cellette del cervello? E cosli vengono, facilmnente spiegati il sonno, i sogni, la memoria, il 1-ammentarsi improvviso, le bizzarrie della immaginazione, lo svolgersi ordinato del criterio e via via. -E la morte? E la putrefazio-ne della materia del pensiero: la putrefazione dell'anima. -Ma le passioni, ma il genio dell'uomo? -Con soli novanta numeri si formano pi'i cli ~quarantatre' milioni di cinquine. Metta che le molecole del pensiero sieno miliardi e miliardi, e mi dica se nelle loro combinazioni non istieno dentro tutto il genio, tutta la scienza e tutte le passioni umane. -Gia, la madre che pian'ge sul figliuolo, malato, la donna che abbraccia l'ama~nte, Goethe die 254 scrive il Faust, 1'Alighieri die detta la DMina Commedia... - Cristallizzazioni, per cosi dire, singolari e molteplici; fenomeni, de' quai non si ~ ancora trovato, il modo, e il perch6'. Si troverah. - E potremo, allora, scusi, dottore, rinnovare in un laboratorio di fisica, di chimica o di ariatomia il processo, della mente di Volfango, e di Dante, le lagrime della madre e il. sorriso, della sp~osa? -In piccola parte, chi lo sa? Ma sempre, intendiamoci, in piccolissima parte... -Manco, male! percMle i mezzi di cuii INomo puo6 disporre sono, infinitamente minori di quelli che ha in poter suo la natura, e perche6 I'abilita' della natura e' infinitamente superiore a quella delle nostre ma~ni. Noi conosciamo, per esempio, di che sostanze e\ composta la rosa, come germina, come si nutre, come respira, come cresce, come fiorisce, come prolifica; ma, benche6 una rosa, non pensi, Potremo, noi, per nostro, uso, rifarci ttna, rosa? Avverta, non ostante, come oggi gli strumenti si Perfezionano, e 1'occhio, dell'uomo s'ammaestra. Ecco die gia\ noi sappiamo, riprodurre sulla. faccia di un cadavere con la semplice corrente elettrica le espressioni della vita: il sorriso, il sogghigno, il segno dello, sprezzo, quello, delI'orgoglio offeso, il cornugare severo della. fronte, la smorfia cli uno die senta un cattivo odore, o l'irradiarsi sereno, di un viso, gaudente. La pila voltaica, il microscoPio, i reagenti chimici., le operazioni chirurgiche, le osservazioni mediche, quali maravigliosi progressi non hanno fatto compiere allo, studio del corpo umano,? E non resta egli a giovarsi - 55q meglio del magnetismo, e, Chi lo sa? di qu'alche 'altro fluido sconosciu'to finora? Chi pu6' dire alla scienza: questo e' ii confine? Chi avrebbe mai indovinato che un piccolo prisma di vetro, potesse bastare pochi anni addietro ad un uomo, per iscoprire che nel sole bruciano alcuni corpi semplici, ignoti a lui e a tutti sulla terra? E ii sole ci ha in~segnato, a trovare il rubidium, il coesiurn, il thali~um, l'inditim. Noi, ch'e' tutto dire! sperimentiamo il sole. Innanzi ad una unica figura dobbiamo inchinarci e adorare: i-nnanzi alla figura della Scienza. - Cosi' dicendo, il volto di Carlo Gulz aveva assunto. una espressione solenne e mistica. I suoi occhi scintillavano, e la sua fronte pareva enorme. Nel pronunciare la parola Scienza s'era rizzato in piedi, e, cavandosi il cappello, aveva sollevato lo sguardo al cielo. - In quell'uomo, pensavo, Ceun sacerdote -e abbassai con rispetto, la testa. Dopo una breve pausa continu6\: - Io vivo per la scienza. Non ho mai amato, mai sofferto, mai gioito per altro che per la scienza. Nelle ore di volutt~ la abbraccio; nelle ore di sconforto la invoco; nelle ore di orgoglio le alzo un altare. Ma l'uomo che studia si sente le mani legate. Non siamo 'phi, ~ vero, agli anni del Vesaijo, che doveva disseppellire di nottetempo i cadaveri mezzo imputriditi nel cimitero degli Innocenti, o staccare dalle forche di Montfaucon i corpi giat quasi divorati dai corvi e dagli avvoltoi.'E senza tale sua audacia sublime gli uomini non avrebbero avuto quel famoso trattato di Notomia,, che venne pubblicato a Basilea nel 1543... -Coi disegni del Kalkar, nii pare? -Appunto. E il Vesalio fu mandato dal Tri 256 bun ale dell'inquisizione a Gerusalemme in penitenza, solo perche, a verificare certa sua induzione, credette necessario spezzare il costato di un uomo, cui batteva il cuore. -; cosa da inorridire. - Da inorridire, perche? Non inorridite, non gridate vituperio e sacrilegio, io credo, quando per la caparbieta di un ministro o di un principe, quando per conquistare un pezzo.di terra, che una nazione ruba ad un'altra, spirano fra gli spasimi piui tremendi, in mezzo a un campo sferzato dal sole o in una mefitica sala di ospedale, migliaia e migliaia di uomini, dianzi sani, giovani, belli, onesti. Che vantaggio ne cava l'umanita? Quale beneficio ne trarranno i nepoti? Quante esperienze perdute! Vi lagnate che i medici non sanno, e non li lasciate studiare. Era piui umano Napoleone il grande quando ordinava le sue gloriose e inutili carneficine, o Tolomeo quando donava al medico Erofilo piu di seicento malfattori, gia condannati all'ultimo supplizio, perche, sezionandoli vivi, cavasse dai loro corpi quella scienza benefica, la quale e giovata nel corso de' secoli alla vita di milioni di uomini? Cosimo de' Medici, un fiorentino forbito, faceva col medico Falloppio lo stesso; e il Falloppio, che per l'unico amore della scienza sperimentava sul vivo, era piu barbaro forse di lei, dell'Herzfeld, di me, che per una parola sgarbata infilzeremmo senza scrupoli un uomo? Ella sa - continuava con foga rapida, ma rotta, il Gulz, indirizzandosi sempre a me - ella sa che Parrasio, per figurare Prometeo dilaniato dall'avvoltoio, compro un prigioniero vecchio e venerabile, poi, fattoselo condurre in bottega, con un ferro aguzzo gli and6 lacerando il fe 257 gzato, e mentre il vecchio agonizzava fra i phi atroci tormenti, il pi'ttore calmo oss-ervava, studiaNVa, dipingeva. -Lo so. Ma questa. storia, che fa rabbrividire, e'incredibile. -La racconta Seneca, al quale, e' vero, la morte non faceva paura, e la racconta come ima, cosa affatto senaplice e affatto naturale. Insommaa quegi uomini antichi mettevano sopra, ogni altra. passione la passio'ne del vero. Per essi la scienza aveva del tremendi diritti. L'umanita' contava phi' dell'omo. Vedevano il bene con animo grande, con volonta' di ferro, senza sdolcinature da femminuccie, o timori da fanciulli, o scrupoli'da ritnbambiti. Erano UOuomni.Dopo queste parole ii giovine si alz' in piedi, cac6indietro, squassando i1 capo, i suol lunghi cap-elli, stese la mano alI'Herzfeld, s'inchino6 a me e, volgendoci le spalle, senza. dire altro s'allontan6'. Io ero rimasto attonito, mezzo maravigliato e mezzo stomacato; ma, l'erzfeld, afferrandomi pel braccio e scuotendomi forte:. Svegliati - disse - e andiamo via. Non vedi die siamo, rinasti soli? - Aifrettammo il passo. Carlotta mi aspettava; ma quella sera si discorse poco, non si rise punto, e s'and6' a letto di buon'ora, III Tre giorni dopo Carlotta era ridiventata. phiu festevole die mai, ed io pensavo ben di rado e con un sorriso di compassione a Carlo Gulz, del quale non avevo detto niente alla mia sensibile amica. aU~f Davo, gli ultimi tocchi ad un gran quadro, gia' tnesso, nella sua larga cornice. Ogni tantino, m'allontanavo dalla tela di aiquanti passi per guardarla con compiacenza; prendevo uno, specchietto e, voltandomi, stavo un po' a contemplare beatamente in esso, la imnaagine del dipinto; poi sbalzavo, presso, a Carlotta, e inginocchiandomi davanti a lei' e baciandole le mani, le dicevo: - Tu m'hai rivelato a me stesso: o, questo lavoro, e tutt o tuo, o, tu sei uscita dal mio cervello. - E la ricercavo per.1a millesima volta dalla fronte alle unghie rosee dei piedi con uno, sguardo, profondo, e lento lento., ma pieno, di rispetto candido e di ammirazione purissima. I raggi del sole, che entravano, senza ostacolo, dall'ampia finestra, e, rischiarando di un'allegra luce ii quadro, facevano, brillare 1'oro della cornice, di rimbaizo mandavano sul corpo divino, di Carlotta un lume pieno, di riflessi, die permetteva, senza il volgare contrasto di un chiaroscuro eccessivo, lo.studio fine di quei contorni flessuosi e di quel colore delicatissimo. Le membra erano mo,dellate a cesello. Dove le ossa, non ravvolte nel fermo involucro, di muscoli e di carne, lasciavano, sotto, la pelle trasparire, come nella rotul1a e tra il cubito e l'omero, e all'ileo ed alla clavicola e sul frontale, la loro' tinta di avorio; dove le vene sottili e leggermente azzurrognole s'intrecciavano sul colore di rose, la mia tavolozza era, dopo, un'ardua ma dolcissima fatica, giunta a tal perfezione che mii faceva andare in visibilio. Carlotta m'innaimorava. anche pia nel mio, quadro che in se' stessa: la mia vanita' m'aveva tanto, ubbriacato, che in qualche istante quella donna mi sembrava la copia viva della opera delle niie inani. Tra lo scher zoso ed il mistico declamavo a gran voce, aizando al cielo le braccia come le figure oranti delle catacombe, un verso, il quale conteneva, secondo, me, la definizione di tanto splendida creatura, un verso, di Terenzio nell'Eunuco: Color verus, corpus solidum et succi plenum Ma Carlotta intanto s'era aizata in piedi, ed era venuta leggiera leggiera. dietro, a me, gettandomi le. braccia sulle spalle e incrocicchiando le mnani sulla mia bocca. Mi girai a un tratto, ma era gia' fuggita nella sua camera., serrando l'uscio. Un quarto d'ora dopo, rientr6' vestita col suo abito, color di rosa. L'Aretusa del mio dipinto rappresentava tale e quale Carlotta. Avevo condottou' fine quella figura ggrande al vero, e il paesaggio in due soli mesi, lavorando quattro ore al giorno, poich6' volevo, sempre dipingere col sole in stanza; e il. sole in quei due mesi mi aveva, p-er sua grazia, tutti i di' favorito. La tela era pInU lar ga che alta. Ii boschetto di tamarisci lasciava vedere tra le fronde e i ran un lembo di cielo azzurro; ma chiudeva nell'ombra diffusa e quasi lucente il dinanzi del terreno, dove tra i verdi trifogli e le tenere mortelle e le vermiglie rose - qual awvi al mondo cosa - bella senza la rosa? -'tra le rose e le mortelle e il trifoglio scorreva, blando ruscello, il corpo della ninfa. Diana, per salvarla dalle amorose persecuzioni di Alfeo, la volle trasformare in fonte; ma I'amore, pi' ingegnoso della Dea, insegn6 tos-to -al cacciatore di trasformarsi in flume: e le acque della sorgente e del flume si confusero insieme., Ie, sotto alle onde salse del mare, cosi miscbiate, ricomparvero, dolci e limpidissime sul lido di Sicilia. Questo mito, elegante piaceva in quei-giorrn 260 a me, che col beato Anac-reonte andavo ripetendo, fra gli altri, questi versi: Monile al tuo bel collo vorrei tarmi,. o zona al co/mo seno; oin socco ~Putr can. grmi, Si' che il tuo piede m'i premesse almeno. Alfeo aveva fatto meglio; ed io volevo, dipingere i due amori, che diventano uno. Ma. nel pormi all'opera avevo prima messo da parte Diana, poi lasciato fuori Alfeo; e a un po' per volta la favola si- ridusse a tin nome. Intorno a quel nome io posi 'per altro tutto il mio affetto e tutto quanto il mio ingegno. Invocavo Aretusa come Faust aveva invocato Elena. La ninfa dunque nel suo alveo di erbette, seguiva con le membra la inclinazione del suolo; e ii braccio sinistro, disteso lungo il terreno, sorreggeva il capo, da cui sgorgavano come onde d'oro i capelli; e la mano destra si ripiegava. sotto il mcnto; e il seno schiacciava mollemente i fiori variopinti; e 4l contorno dalla prominente spalla scendeva giu1 giu'1 con una curva. ineffabile, poi Si rialzava nel tondo fianco e tornava a muoversi tra rette brevi e archi soavissimi sino al piede. 11 volto esprimeva l'amore quando comincia, fra ii sereno ed il mesto; un sorriso e un sospiro. -Bravo ii mio pittore - diceva. Carlotta. - Jo sono tanto superba di parer -cosi' bella. Ma tu mi dovrai dipingere di nuovo, in cento modi, yestita da odalisca, da monaca, da vestale, vestita da Eva. In campagna, ne' folti boschetti della vallata di Brifihl, nion mi atteggerai su questo prosaico divano, coperto da. questa sbiadita stoffa di color verde, ma sull'erba alta del color di sineraldo. 261 - Si, e se passasse qualcuno? -Lascieremo passare. Non vuoi tu forse esporre questa nostra Aretusa alla Mostra permanente? - Si certo. Ha da essere la prima pietra dell'edificio della mia gloria. Ma, chi sa? gli uomini, e specialmente gli artisti, sono tanto corrivi alle illusioni... - Cattivo. Mi hai pur detto che te l'avevo fatto io il quadro. Non voglio che si dubiti della mia sapienza, sai. Ora dunque, se tu vuoi esporre agli occhi di tutti l'Aretusa, e dici che Aretusa sono per l'appunto io... - ~ cosa diversa - replicai secco. Ma Carlotta, che vide aggrottarsi le mie ciglia, con una sonora risata: - Non capisci che scherzo? - Poi senza lasciar tempo in mezzo: - Quando si va in campagna? - 11 quadro e finito. Dopo una velatura alle rose, scrivero qui nell'angolo, sopra questo sasso, il mio nome. -Signor no. Lo voglio scrivere con la mia mano il tuo nome. -E scrivilo, come ti piace. Domattina per tempo mandero dunque il quadro all'Esposizione, e prima del mezzodi partiro per Modling. -Solo? - Solo, se non ti rincresce. Cerchero in fretta un casinetto li intorno. In tre giorni, al piu, l'avro trovato. Tu intanto metterai in ordine i bauli, provvederai a' miei colon, alle mie tele, ai miei pennelli. Verro a pigliarti, e partiremo subito. Sei contenta? - Sono contenta. Ma, ti prego, trovami proprio un casino nella valle di Brihl, e che abbia daccanto un bel pergolato verde. O Dio! se si po 262 tesse trovare un pergolato di gelsoimini!1 Domani a sera mi scriverai da Mo-dling, non e' vero? -Ti scrivero, mia bella Dea. Ma tu pure m scriverai, e farai gettare la lettera nella buca doman l'altro ben di buon'ora. Cosil doman 1'altro stesso, nel tornare di sera all'albergo, sentir6' la tua voce, che mi dara" la buona notte.E si continu6' a discorrere in questo mnodo, mentre io andavo ritoccando di qua e di la" il dipinto, ed ella ora mi stava dietro, le spalle, ora SI)andava a sdraiar Sul divano, ora guardava i suoi fiori Sul balcone, ora sfogliava libri e giornali. La sera -si usci, e la mattina seguente mandai, come avevo detto~, ii quadro all'Esposizione, e partii per MWdling. II pensiero, di vivere con Carlotta i mesi dell'estate e dell'autun-no in una casetta solitaria, in mezzo a un delizioso paesaggio di montagne e di boschi, mi colmava di gioia. Qua~nti bei disegni facevo di pigrizia e di operosita.! Come conciliavo nella fantasia la indolenza beata e 1'animoso, lavoro! Ora sognavo uin idilijo, di Teocrito: sotto ad tin olmo le bianche capre, e la zampogna, e un nappo dipinto, colmo di vino, e miele e favi. Ora mulinavo nel cervello cento soggetti di nuovi quadri: i Nibelunghi, la Bibbia, la mitologia, 1'allegoria, la storia. Non mi fermavo a niente: la immaginazione correva come il vagone nel quale stavo seduto, e i fantasmi di essa fuggivano come i pali del telegrafo. Un filo annodava pero6 quei vaganti pensieri insieme: il desiderio della bellezza. A Mddling, desinando, m'.informai delle villine che s'appigionavano in quei pressi. Ve n'erano parecchie sfittate verso Laxenburg e Baden. ma fermai l'attenzione ad un casino, che midice-.263 vano composto di otto stanze elegantemente ammobigliate, con giardino e per~golati, posto fuori.del quieto villaggio, di Teufelsmiihle, appunto in quella valle di BrNh, ch'era ii gran desiderio di Carlotta'. Ordinai una carrozza, per la mattina seguente, e scrissi due pagine gaie alla mia Aretusa. Ndll'uscire dall'albergo, per fare una passeggiata,' aspettando 1'ora di andare a letto, vidi la neye sulla cima del monte Schneeberg scintillare ai raggri del sole cadente. Passo passo, cantarellando, fantasticando, fissando gli occhi nel cielo, che per una serie di tinte finissime procedeva, al misterioso azzurro della notte, entrai nella stretta gola di un monte, chiamata col solito nome di Klause. I massi di un calcare rossastro, parte nudi, parte ricoperti di piante brune, andavano crescendo nel buio sino, a diventare enormi, e mi stringevano e schiacciavano, sempre pit'j. I miei pensieri, dianzi tutti giulivi, di mano, in mano che aumentava l'oscurita', illanguidirono, s'offuscarono, finch6, non so co~me, lo spettro liugubre di Carlo Gulz s'impadroni della mia mente. Ritornai con passo rapido, all'albergo, tracannai tre o quattro tazze di birra, e m'5addormentai presto, perch'ero stanco. 11 di dopo, ml svegcliai, come un usignuolo, cantando. Non avevo mai sentito l'animo traboccare di phi energiche, spcranze. Ii -corpo e l'ingegno erano freschi, snelli, e vispi e gagliardi. Mi circondava un'atmosfera di felicita' ridente. Mentre aspettavo, la carrozza, ora passeggiando sulla strada, ora sdraiandomi sull'erba, le tre foglie d'un trifoglio mi parevano sublimi, e un sassolino illuminato nell'ombra di un albero da. un raggio, di sole mi sembrava un miracolo. Non ebbi mai come in quell'ora l'intelletto del colore. Nel verde 264 di una. foglia, n'ell'oltremare liscio del cielo, nelle macchie de' muri sentivo un'arte compiuta, la quale mi produceva dentro, gli stessi effetti della musica. di Beethoven. Le mulle gradazioni delle tinte, ciascuna in se' stessa, mi rivelavano, qualche cosa di nuovo, mi suggerivano una idea, mi suscitavano un affetto. II senso della vista, assottigliandosi, aveva trovato una se-greta serie di relazioni con l'anima. Ii dolore fa iA poeta; ma la gioia fa 1i pittore. 11 villino presso Teufelsmiihle era infatti delizioso. La facciata di stile greco aveva. un pronao di quattro, colonne, il quale finiva all'alto nel timpano, avente al mezzo in bassorilievo un'arpa in — ghirlandata. Dall'uno e dall'altro lato del portico si distendevano le ali dell'edificio, un po' meno alte, con cinque finestre per parte. Sul dinanzi del prospetto s'apriva il cortile, difeso dai bei cancelli di ferro; e dietro alla casetta bianca sp-aziava. ii giardino, nel quale, sotto l'ombra degli alberi, crescevano fiori d'ogni maniera. Io, correndo, ricercavo le macchie phi' folte e le stradicciuole phiu nascoste; poi mi lasciavo cadere sopra. un sedile di pietra o sopra una panca. di greggio legno, e pensavo tra me: qui star6' con lei a leggere, e tra una pagi na e l'Faltra un bacio; oppure: io prender6' il mio albo ed ella ii suo ricamo, e, lavorando, quanti discor'si vecchi, sempre nuovi!. Ii buon vecchio, custode delta, villa-e fattore del proprietario, mi veniva dietro come poteva, gridando: - Signorino, un po'- phi' adagio, di grazia. Veda il tale alber o; veda, la tale pianta; guardi il magnifico getto di., codesta fontana; consideri le stupende stalattiti di questa grotta. - Lo lo lasciavo dire e andavo d-rittDo; ma, non ci fu scam-:205 po, dovetti contentarmi di entrare nella grotta per amrnirarne le stalattiti, giacch6 il vecchietto aveva messo, pare, tutto il suo orgoglio in quella parola. Al di dentro il casino era pulito e sereno come al di fuori. - Questa sara' la camera di Garlotta - dissi, entrando in una'stanza tappezzata di carta celeste ad allegri fiorarni. Aveva due finestre verso il giardi-no ed una gran porta sul fianco: il sole vi doveva nas cere e morire. Aveva anche attiguo un gabinetto, turco, dove i vetri colorati davano alla luce qualche cosa di voluttuosamente fantastico; e in fondo vi stava, dietro, un cortinaggio, Ia vasca da bagno. -Non c'e - chiesi al vecchio -un pergolato di gelsomini? - ei - rispose; -e s'ella m'avesse voluto seguire bel bello e con attenzione, glielo avrei fatito vedere. - Poi, spalancata la p~orta esterna di quella stanza che avevo giai destinata a Carlotta, mi fece passare in una elegante pergola chiusa e coperta dalle piante gentili de' gelsomini orecchiuti. Strappato uno de' fioretti candidi e vellutati, lo chiusi nel portafogli, pensando di offrirlo a Carlotta nell'annunziarle la scoperta del nostro nido. In Pochi minuti il contratto fu con'chiuso e la caparra data. A rivederci domain l'altro - gridai al fatIrtore nello sbalzare in carrozza. -Non dubiti, che sar6' qui ad aspettarlarispose con un profotido inchino. E il cavallo si mise a un bel trotto esultante; e il vetturino, facendo scoppiettare festevolmente la frusta canticchiava una matta canzone; ed io 2?66 riempivo d'aria i polmoni, allargando il petto con gioia. IV Nel rientrare afl'albergo di MWdling trovai una lettera di Carlotta. Diceva cosi': ~cAmico mio: ritorna, per carita.! ritorna su(( bito. Se non hai trovato la villa pigliami ad ogni ~<> Avevo letto la notizia sbadatamente; ma l'ultimo periodo mi feri l'attenzione. Rilessi da capo. Ogni parola mi parve di fuoco. Sentii la mia testa bruciare. Cavai dal portafogli la lettera di Carlotta. Confrontai la data della lettera con quella delle Notizie cittadine: era la medesima. II gior 273 nale narrava come il fatto avvenisse verso le diect e mezzo del mattino, e la lettera diceva: Son gia quasi le dieci dcl matfino, voglio uscire a gettar questa lettera nella buca, e poi voglio, andare in su lungo ii Danubio a fare una passeggiata solitaria. E il fatto, era accaduto lungo il Danubio, e in su. E poi la paura della morte, Ai ribrezzo, l'orrore invincibile dei funerali. E poi la giovinezza. E poi la bellezza. Ogni cosa mi ribadiva nella mente ili dubbio terribile. Cercavo, invocavo invano una ragione, che mi svincolasse da quella orrenda certezza, la quale gia'i m'abbrancava il cuor-e e mi strozzava alla gola. Pregai le persone, die avevano comperato, altri giornali, di lasciarmeli scorrere per un momento. Un signore tard6' ad offfirmi il suo; glielo, strappai di mano. Tacque: credo che mi giudicasse per-matto. Ii Morgen post solamente dava la notizia con le stesse parole della Glocke; gli altri non dicevano niente. S'era giunti nel frattempo a Liesing. Balzai a terra, e scongiurai il capostazione di spedire immantiniente aLL'indirizzo del dottore Herzfeld un telegramma, nel quale gli dicevo, di correre alla stazione del Sud ad aspettarmi. Nel tornare in vagone lo trovai vuoto: pare che i miei compagni di viaggio, non credendo-si troppo sicuri con me, avessero, mutata. carrozza. Non so che cosa, facessi. Mi rammento solo che, aggrappandomi con le mani ai ferni, i quali servono, presso, il soffitto a portare i bagagli, stiravo con gran forza le braccia, fi-no, a sentirle scricchiolare. S'arriv6' finalmnente alla stazione del Sud, dove il mio amico, mi stava aspettando. Lo presi per il braccio, e lo trascinai, correndo, attraverso le sale. -- Sai niente di Carlotta? 274 -Niente. -Non l'ai vista oggi, ieri? No. Non ho, occasione di vederla mai. BE poi at stesso, mi dicesti die i medici non le vanno, a' versi. - Non sai niente di una signora caduta ieri mattiria nel Danubio e portata allo, Spedal, generale? -Niente. - La mia irritazione era al, colmo. Strinsi tanto forte il polso, dell'amico, che cgli, svincolandosi, grid6' con dispetto: - Diavolo, mi fai male. Sei diventato, pazzo,? - Gli domandai scusa, e, perche6 intanto, eravamo entrati in una carrozza a due cavalli, che ci menava quasi di carriera, al mio, alloggio sul Franz Josef sQuai,, porsi all'Herzfeld la lettera di Carlotta e il giornale, indicandogli la chiusa di quella, la notizia di questo, e le date. Lo guardavo, fisso. Impallidi; ma, rimettendosi tosto, disse: -Le coincidenze sono, strane; ma Carlotta nn~la sola donna giovane aVennn~l sola bella, non e' certo la sola die passasse lungo ii Danubio, ieri mattina. -Ma quello, sp-avento dei funerali? E chi ti dice che la disgrraziata signora si ritraesse per ispavento,? Poi, ad ogni niodo, l'asfissia e la morte sono due cose diverse; e probabilmente quella signora non ha oramai' altro, male che ii ricordo, del suo, bagno. Queste. parole fecero, spuntare in me un genme di speranza; e l'amico, avvedutosene, continu6' per distrarmi: - Del resto, ho, una buona novella da darti, e con la novella tremila fiorini. Ii tuLo. ouadro... 275t -Lo so, e" stato comlprato - interrup co un gesto d'i-ndifferenza'dispettosa. P1co - ~stato, comnprato, e senza contrattare sul prezzo. Jer sera 1'amministratore della Societa' consegno a me, come a tuo, rappresentante, il danaro. Gli rilasciai la ricevuta; ed eccoti i tremila fiorini, che ho portati meco, pensando, nel ricevere il telegramma, che ti fossero necessani. -Tienli per ora, ti prego. -No, no, pigliali.E li presi infatti, cacciando 1'involto ne'lla ta.sca dell'abito sul petto. - Chi ha comperato, il quadro,? - soggiunsi. -Non si sa. -Come non si sa' - Cosi' mi disse I'amministratore. L'acquirente non lasci6' il suo no-me, e fece portar via da facchini suoi il dipinto senz'aspettare neanche un ninuto. Nell'avvicinarmi al Franz Josefs-Quai sentivo crescere la febbre dell'impazienza. La carrozza si ferm6' davanti alla mia casa. -La signora Carlotta? - chiesi con voce soffocata, e con ansia paurosa. al portinaio. Un lampo di gioia. mi travers6' 1'anima nel vedere la faccia, calma di quell'uomo. Rispose pacatamente: -Non s'e' veduta da. ieri mattina. Ho supposto che la signora fosse andata. a raggiungerla in campagna. -All'Ospedal generale, presto - gridai al cocchiere -- presto, di carriera. L'amico si studiava. di confortarmi; ma io, yinto oramai dalia disperazione, non lo ascoltavo phI. Insistette perche6 gli giurassi di serbare un contegno, ragionevole, di seguirlo passo passo, di non 276 parlare mai con nessuno e di lasciar fare tutto a lui, che era pratico, dello spedale e conosciuto dai medici e dagli infermieri. V Otto o nove serventi, con la loro veste di tela incerata verdognola, abbottonata sino al mento e lunga sino, alle calcagna, stavano discorrendo, seduti nell'atrio. L'ingresso principale, in fondo all'atrio, era chiuso da un cancello di legno: entrammo a sinistra, salendo, tre gradini, e nell'aprire il battente dell'uscio il campanello, mand6' un suono forte e argentino, che mi fece trasalire. Una calma, sinistra, quasi cinica, aveva sostituito, nel mio animo le disperate agitazioni di prima; contemplavo me stesso- come se guardassi un'altra persona; la mia mente si ferma'va alle cose phi' indifferenti con attenzione pacata: im ricordo, che, mentre 1'Herzfeld ricercava. negli enormi registri dello, spedale, io studiavo con l'occhio una macchia, di umidita' sulla. nuda, muraglia, della stanza, e, indovinandovi dentro non so quai forme di uomini combattenti, ripensav'o a Leonardo' da Vinci. Sentii, non ostante, 1'erzfeld, che osservava ad un medico di guardia: - -Qui nel registro degli Entrati non trovo cenno di una giovane donna, tratta ieri dal Danubio, e portata, al dire dei giornali, in questo spedale intorno alle undici del mattino. -Puo6 essere che i giornali abbiano stainpato una fanfaluca, - rispoise il medico. - Ne stampano, tante! Hai guardato nel registro, degli usciti? - S. 2,7'7 - Non c'~'. -Allora vuol dire certamente che, se ella e\ entrata, non e\ uscita, o alineno, che non e\ uscita viva. Ma pu6\ darsi ad ogni modo che ci sia. Talvolta ne' casi urgenti si portano i malati subito nelle sale, e quella bestia del custode dimentica di registrarli.I -Andiamo dunque nelle sale - mi disse l'Ferzfeld. Lo seguii. Entrammo in un immenso cortile rettangolare, contornato da portici. Era tutto piantato di begl,,i alberi, che disegnavano le loro, cime sull'intonaco bianco del piano superiore. Lungo uno de' lati stavano schierati trenta cataletti a'lmeno, tutti chiusi nel loro sudicio baldaccbino azzurrastro, con la candida colombella in cima. Entrammo in una lunghissirna infermeria terrena. Le finestre alte e piccole, c'orrispondenti al disotto del portico, mandavano scarsa lucel, e dovevano, giovare poco alla ventilazione, perche6 sulla porta mi s-entdi stringere la gola dall'orribile tanfo. L'amico mi disse: - Bisogna guardare bene. Gl'infermieri, le suore di carita\ ed i medici. si danno, iI cambio; non possiamo fidarci delle loro indicazioni. - Cominci6\ allora il tristissimo esame. A una a una l'erzfeld ed io guardavamo in faccia quelle malate. Volti affilati, bianchi; occhi infossati, attoniti; labbra senza colore: non un lamento. Alcune rivelavano con le convulsioni della faccia l'acuta sofferenza interna; altre s'indovinava die pativano zueno, per i mali del corpo die per i dolori dell'anima; e c'erano, di quelle die, canticchiando tra se\, mostravano come sia tenace la speranza. Qualcun-a dormiva: andavamo al ca 278 pezzale e, sollevando un poco pian piano Hi lenzUOlo, scoprivamo il VISO sparuto. Cosi' passammo la seconda, la terza, la quarta sala, e non so quante altre, finch6,. riuscendo ancora nel gcran cortile alla estremita' di un altro lato del portico, si entr6' in un secondo cortile phi' piccolo, ma pure piantato di alberi, poi in un terzo, dove per una larga scala salimmo alle logge del primo piano. L' Herzfeld si fermava spesso, a parlare coi guardiani e coi medici. N on sentivo le loro parole, ma vedevo, che alle interrogazioni del mio amico rispondevano con segni negativi o, crollando il capo, come dicessero: - Non ne sappiamo nulla. - Ii mio cuore batteva regolarmente; ma nel porre la mano sulla fronte ma la sentii tutta bagnata. -Ancora trenta sale da esaminare - not6 l'erzfeld, e aggiunse: - Abbiamo gia' veduto intorno a cinquecento malate; ce n'e altre settecento almeno. - Le infermerie del primo piano eranoph alte, phi ariose, phi' illuminate; i letti parevano phi puliti e le malate men tristi. Nella sala delle etiche si sentiva appena tossire. Erano, quasi tutte giovani e quasi tutte belle. Una fra le altre pareva un angelo. Stava seduta in letto, coperta dalla coltre sino ai fianchi; la camicia nitida, abborttonata al collo ed ai polsi, scendeva in dritte e minute pieghe sullo scarno petto; le braccia cadevano simmetriche, e le mani., con le palme rivolte in su, erano tornite e lattee. I capelli bruni staccavano sul largo guanciale contornando il viso pallidissimo, che il beato da 'Fiesole doveva avere disegnato sospirando: e, su quel disegno, Donatello le belle guance smunte e: il bel mento 279 e la fronte pura e le labbra sottili ed. il naso, appena aquilino aveva modellato certo in terso, alabastro. Gli occhi, con uno, sguardo dritto orizzontale, fissavano, qualche cosa al di la' del muro, della sala, qualche cosa al di la' forse della terra. Un i aggio, di sole, entrando dalla finestra vicina e rimbaizando sulle lenzuola, rischiarava con lucente riflesso la placida figura, che mi sembr6' avvolta in un nimbo. Non avevo, veduto un uomo, che, sedendo vicino al letto, teneva il volto fra le mani epoggiava il capo sulla 'coperta. Nell'udire il rumore dei nostri passi s'alzo6: era un vecchio macilento, canuto; le lagrime sgorgavano, da' suoi occhi ed i singhiozzi gli rompevano il respiro. Mentre gli passavamo vicino, ci susurro6 con accento di tetra disperazione: - i, mia figlia!Traversammo, quella sala, poi un'5altra, poi un'alItra ancora, e via via. Il mio, corpo, era affranto, le mie membra tremavano, ma, il mio, spirito, sempre desto, guardava tutto, avvertiva ogni cosa, con quella riflessione nello stesso, tempo minuziosa ed astratta, die segue talvolta od accompagna i grandi rivolgimenti dell'anima. Tre volte l'erzfeld si ferm6' a leggere i cartelli in cui stavano, registrate le indicazioni delle malattie, presso a tre letti, sui quali, nascosta. dalla coltre bruna, s'indovinava la lunga forma ch'era giai un cadavere. Non ci restava phi'u che a visitare le sale delle malattie chirurgiche, dove le strida acute ferirono per la prima volta il mio orecchio, e quelle della clinica, dove appunto allora i professori facevano innanzi ai letti la loro, lezione agli allievi. Ii vecchio, Grfin stava a fianco, d'una donna, mostrando, a dodici o, quindici giovani non so che notevo 280 le caso di scienza. La poveretta nascondeva con le braccia sollevate e incrocicchiate il viso., mentre la voce lenta del professore sciorinava la sua filastrocca. La vista confusa e rapida delle braccia, dlalle spalle, del seno, di quella donna di magnifiche forme, desto6 una subitanea fiamrna nella mia testa. Stavo, per islanciarmi furibondo, verso ii letto, quando, scuotendos-i al contatto della mano, del Gr~in, nel girare il capo, la bella malata fece cadere dall'un de' lati la sua lunga capigliatura, nera come le penne del corvo. Mi calmai in un attimo, e - Meglio, morta - pensai. -- Abbiamo finito coi vivi -mi disse l'erzfeld nell'uscire da quell'ultima infermeria:scendiamo. -- Percorse di nuovo, le logge, poi, scesa la stessa scala per cui. eravamo saliti, traversammo 1 cortili e i portici, piegando verso, un altro angolo della gran corte, e, andando dritti nella parte dell'edificio destinata agli uomini, giungemmo nella Sala d'ossert'azione, posta in fondo all'immensa area. In un vasto locale bene illuminato stavano f-ors~e venti letti, cinque soltanto o, sei occupati da corpi, che la scienza non aveva ancora del tutto abbandonati alla morte. Ai piedi ed alle mani ayevano legate quattro, funicelle, corrispondenti ad una stanza vicina, dove i guardiani vegliavano giorno e notte sui campanelli numerati. I corpi erano tutti d'uomo. Poiche6 fummo usciti in un ultimo cortile basso e deserto, l'Ferzfeld mi disse: - Aspettami qui dieci minuti appena - e scomparve. Rimasi solo. Camminando, lungo ii lato dove hatteva ii sole, vedevo, le lucertole nascondersi fra le ortiche. Mi trovai cosi' di contro ad una:281 porta su cui stava scritto: Stanza mortuaria. Entrai. La imposta si serro6 con gran fracasso dietro le mie spalle. II luo-go era vuoto e buio. Aveva come la forma di un. lungo corridoio, in fondo, al quale un gran porto~ne chiuso lasciava posto di sopra all'unica finestra a mezza luna. Le muraglie di pietra, brune, ed umide, luccicavano, riflettendo il cupo lume lontano; iA pavimento era bagnato. Andai sino al portone, tentando inutilmente di aprirlo. Nel, tornare indietro, in un angolo, presso all'uscio da, cui ero entrato, mi parve scorgere sul suolo, certe macchie biancastre.' Mi avvicinai, e vidi ch'eran cadaveri. A un PO 3 'Cpr volta, avvez, zandomi alla, oscurita", principiavo a distinguere le forme. Tre bambini dormivano, l'uno accanto all'altro, come volessero scaldarsi. Poi una fila di sei uomini tutti ignudi, violacei, scarniti, con gli occhi aperti. Seguivano, cinque croci bianche. Guardai bene: quelle croci erano in mezzo a cinque drappi neri, che coprivano qualche cosa. Badando dove mettevo i piedi, m'accostai presso presso con la faccia, trattenendo ii respiro, e nell'alzare ii lembo superiore della prima coltre scopersi il volto e le spalle di una donna nuda. Poich'ebbi esaminato cosi' la seconda, la terza, la quarta e l'ultima: -Non c'e' - gridai con gioia. - non - e feci per fuggire; ma, tentando invano, di aizare il grosso, saliscendi della porta die dava nel cortile e vedendone proprio all'angolo, un'altra, aperta, mi avviai per quella in un corridoio, che, dopo, aiquanti passi, riusciva ad una grande sala. La luce m'abbaglio6. 'Parecchie tavole di marmo bianco, strette, arrotondate alle estremit e con un labbro, rialzato tutto in giro, stavano, shierate softo le ampie finestre. Le piui erano vuote; ma in 252, due s'adagiavano due uomini: uno veccbio, che pareva contento di non essere ph vivo; 1'altro giovine, con i lucidi capelli neri, con le labbra socchiuse, che lasciavano vedere la bianchezza dei denti con la fronte alta e aperta, die pareva tuttavia piena di pensieri. Gli strumenti necessari alle autopsie brillavano'sulle tavole, a' fianchi de' due corpi. L'Herzfeld, entrato senza ch'io me n'accorgessi, gettandomi le braccia al collo, proruppe: -Sia lodato il cielo: eccoti finalmente. Non sapevo dove ti fossi cacciato. Ho avuto paura per te. -Ebbene? -Non c'e' non c'e nel registro dei morti. -Non e' dunque entrata, che si sappia, ne6 uscita in nessun modo. E non si trova! -I giornali hanno certo mentito. Pu6' darsi che, impaziente di rivederti, sia partita s'ola, e t'aspetti a Mbdling.II sangue tornava a scorrermi -nelle vene, le membra, si rianimavano, e nel cervello-mi si accendeva una forza nuova, allegra, prepotente. Un minuto prima sentivo di essere tutto incurvato e nano; mi rizzai, credetti di diventare gigante. Le -speranize piombavano entro il cavo dell'anima mia, come un torrente cie precipiti dall'alto go-rgogliando. Era in me una tempesta delle gioie rinascenti,, dei desiderii resuscitati. L'amore, kId volutta', la natura, l'arte, la gloria mi cantavano dentro in coro, con divino baccano. Un olezzo'di gelsomini mi accarezzava le narici, e ripensavo con furiosa dolcezza alla casetta bianca. della valle di Brffihl. Prendendo violentemente il braccio, del buono Herzfeld: - Fuggiamo - gli gridai - 283 da questo luogo d'inferno - e saltellavo come un matto fanciullo, e gia quasi mettevo il piede aila soglia della porta d'uscita, quando sulla imposta di un uscio, che le stava presso, vidi, scritte in grandi lettere nere, queste parole: LABORATORIUM VON KARL GULZ. VI L'uscio era aperto. Balzai nell'officina. In mczzo, sopra una tavola di marmo, stava il corpo di Carlotta. - Carlotta! Carlotta! - urlai, slanciandomele addosso e avvicinando con impeto il mio viso al suo viso. Due occhi impassibili fissarono i miei: mi sentii tutto rabbrividire. Avrei voluto imprimere un bacio su quella fronte, avrei voluto rapire quel corpo, nia una forza tremenda mi respingeva lontano. Rinculavo, tremando. Caddi sopra una scranna e: - Niente! Piu niente!- mormoravo tra me. L'Herzfeld mi si accosto spaventato e, cercando di trascinarmi fuori: - Per carita, usciamo - mi diceva. Un momento dopo, il capo mi si offusco. Rimasi un pezzo, un'ora forse o due, senza sapere piu niente della vita. Sognavo. Tutto il passato mi tornava innanzi come in una fitta nebbia, pigliando aspetto di fantasima spaventoso e livido. Era uno svenimento sinistro. Una lunga processione di nuvole minacciose e di memorie bieche passava di contro al mio cervello impaurito. Mi pareva di affogare nel nulla. Sentivo sulla guancia due labbra fredde, che mi mordevano; e due braccia, due braccia scarnate, due ossa, che mi 284 strangolavano 'in un amplesso, mostruoso. Volevo gridare: la voce mi si fermava nella strozza. Riaprivo, gli occhi allora, e vedevo sempre le pupille del cadavere ferme, impassibili. Una tanaglia mi sbranava il cuore, e ripiombavo nelle visioni orrende di vermi e di stinchi. E quegli scheletri si rizzavano, in piedi, e quci vermi diventavano giganti, e si mettevano a ballare insieme una danza infernale. Ridevo. -Che cos'hai che ridi? - mi chiedeva il povero Herzfeld, sorreggendomi il capo, spruzzandomi di acqua gelata. la fronte e dandomi a fiutare non so quale acre profumo. -Non impazzisco, - rispo~si - pur troppo non impazzisco. Lasciami qui. Voglio parlare al dottore.Ii Gulz, che non avevo veduto, s'avanz6% allora con passo grave, e, mettendosi a lato del cadavere: - Dove per voi tutto finisce, per noidisse - tutto principia. La morte e' la vita. Poco prima se avessi incontrato quell'uomo l'avrei afferrato al collo e strozzato: lo guardavo, oramai con disperata rassegnazione. -II destino - riprese - m'ha voluto per questa volta aiutare, facendo che, senza mia opera, si compiesse uno, de' miei pili' ardenti desideri. Mi rincresce - soggiunse, dopo una pausa, indirizzandosi a me - mi rincresce per lei; ma. ne go~odo per la scienza. -Giuro a Dio, ch'ella non profanerai queste membra - esclamai, alzandomi in piedi, e richiamando con uno sforzo supremo un po' di ardore nell'animo, e nella voce. -Senta come son fredde - proseguiva il dottore. - Senta, son pii'i gbiacciate degli strumenti 285 d'acciaio die tengo in mano. La bella tinta di rosa non viene a queste membra dal rosso del sangue, ma da tun liquido colorato, spinto ne' tessuti per iniezione. Ho ritrovato il secreto di Ruysch di Leida; ed i miei preparati vincono quelli del museo di Amsterdam. Guardi intorno, la prego. Guardai. La sala era circondata, di vasi d'ogni dimensione, ripieni di preparati anatomici, e di vetrine, contenenti dei corpi imbals'amati, die parevano vivi. Sopra gli armadi stavano appesi alle pareti molti quadri senza cornice. Tra gli altri ne notai- uno, che conoscevo, dipinto dal Raal. Era ii ritratto di an povero veccbio, il qu'ale m'aveva servito da modello ne' miei primi studi dal naturale, ed al quale avevo voluto bene. Da due anni era morto; ma nella vetrina, posta sotto il ritratto, mi parve ch'ei respirasse. La lunga blarba argentina scendeva sull'ampio, torace, e le rughe della fronte serena tagliavano ad angolo, retto un'ampia cicatrice, la quale era stata occasione al buon vecchio per raccontare cento volte le guerre di mezzo secolo, addietro. II Raal avrebbe potuto copiare la viva immagine del suo, dipinto, da tale mummia, tanto il, colore, le fattezze, la espressione stessa erano conformi alla verita', non solo per l'aspetto della persona, ma per l'indole morale dell'individuo. -Questa - continuava con voce lenta il Gulz -.non e che una parte, la parte superficiale del mio studio. Qui ho bisogno che mi soccorra l'artista,, richiamandomi alla memoria l'apparenza della vita. Ma l'apparenza e' forma soltanto: io ricerco le ragioni ne'lla. sostanza. Le ossa, 1 visceri, i tes~suti dell'uomo, come spiegano la vita, cosI spiegano la bellezza. L'airte abbraccia la 286 scienza. Ella sa, signor mio, die l'orecchietta destra del cuore e' 1ultima parte del corpo umano a spegnersi. La fisiologia e la psicologia verrat tempo, lo giuro, in cui saranno uno studio solo. Non solamente morir6' io, prima die tale unione si cornpia, m a passeranno, ancora molte generazioni sulla terra.- Si compirai ad ogni modo; e, quanto a me, sarei beato se potessi in qualche parte aiutare co-; desta grande scoperta, per cui si svelerai finalmente ci6' che gli uomini cercano, da migliaia, e migliaia di anni, il come del loro essere, la materia e il processo delle loro, sensazioni e del loro pensiero. -Ecco la materi'a - notai con accento di cupa ironia, mostrando iA corpo, di Carlotta. -L'albero ha un'anima forse? E non vive forse, e non muore? Che cos'e' che lo fa vivere? Certe attivita' speciali di certe molecole. Che cos'e' die lo fa morire? Certa decomposizione, certa inerzia di certe molecole. La vita di una fogl,,ia e la mente di Schiller non differiscono, che nei gradi. L'essenza e' la stessa. S'e' scoperto il mistero della esistenza vegetativa; si scoprirai quello, della esistenza bestiale, e finalmente quello della esistenza intelligente. Ma quanti anni son corsi dacche6 sappiamo con certezza, come vivono le piante e come muoiono? Per quanti secoli indietro non fu mnutilmente investigato questo facile problema? Vorremmo, noi dire oggi cie il libro, della natura si chiude? 11 fatto e anzi che s'apre adesso, meglio che mai; e gli uomini lo leggeranno tutto, sino all'ultima pagina.Mentre il dottore parlava io, tenevo, gli occhi fissi nella morta. Le braccia diritte lungo, i fianchi, Ie aman poggiate sul marmo col rovescio, le 287 gambe unite, la testa un po' indietro, la bocca socchiusa, gli occhi spalancati, i capelli cadenti giu dalla meta del lato posteriore della tavola: simmetria lugubre, ghiacciata, vana. Quel corpo non mi diceva piu nulla. - Pensi -- ripiglio il Gulz - pensi delle sue passioni, signor mio, che cosa rimane. S'ella avesse amato uno spirito, l'amerebbe tuttavia, non foss'altro nella memoria; ma ella amo una manifestazione fuggevole della materia, ed e naturale che, l'oggetto della passione cangiando figura, la passione svanisca. lo amo invece questo corpo mille volte piu adesso che prima, giacche contribuisce ad accostarmi al vero. Insomma, la sola cosa effettiva, la sola cosa reale, e la scienza. I1 resto e illusione o fantasmagoria. - Ero rimasto accasciato. Quella parola severa e concitata nello stesso tempo, sinistra e soave, mi soggiogava. La luce non nasceva nel mio intelletto; ma nel mio cuore entrava una calma pesante e tetra. Girando gli occhi, vidi il mio quadro dell'Aretusa, ancora appoggiato alla parete sul pavimento. -Vorrei ricomprare questo dipinto, dottore - mormorai, cavando dalla tasca il danaro, che 1'Herzfeld mi aveva consegnato la mattina e ch'io non avevo toccato. - Bene; mi bastera oramai la memoria - rispose il Gulz con un sospiro, e mi stese la mano. Io, non so come, la strinsi; e, lento lento, dopo avere gettato un ultimo sguardo sul cadavere di Carlotta, appoggiandomi al braccio dell'Herzfeld, uscii. Nel passare sul ponte del Danubio trassi dal portafogli quel fiore di gelsomino, che avevo, il 288 giorno prima, spiccato dalla pergola nella villetta di Teufelsmiihle, e, fermandorni al parapetto lo lasciai cadere. Dopo un istante, ii punto bianco era scomparso nel fosco verde dell'acqua. Aprile 1870. (da t Stonie/ic vane > 2z89 PAGINE DI VAGABONDAGGIO Re Salomone mi gridava: - In fino a quando, opigro iaerai? quando ti desterai dal tuo sonno?- E l'oste, picchiando all'uscio, aggiungeva: - Signorino, sono le sei e mezzo - e ripicchiava, e, ripeteva: - sono le sei e mezzo, signorino.Sta bene, mi aizo - risposi all'oste ed a Salomone; e in meno di un quarto d'ora entravo, nella cucina dove l'oste solo mi stava aspettando. Pagai lo s-cotto, ed uscii da quell'albergo delle Sette Vene, per continuare ii mio viaggio pedestre. Ii1 mattino precedente nel sereno, del cielo non vagava neanche una nuvoletta, e i raggi del sole nascente indoravano grli alberi del monte Pincio, quand'io uscivo, soletto dalla Porta del Popolo. Nel lasciare la citta' eterna mi sen'tivo 1'animo tutto, leggiero, ma le spalle ben cariche. M'ero fitto in mente di giungere a Milano sulle mie gambe. Ad Ancona dovevo trovare il mio baule, poi ritrovarlo a Ravenna per ispedirlo finalmente a.Milano, e intanto fra. queste tre stazioni le poche robe, le quali stavano in un sacco di pelle legato al mio dorso, dovevano bastare. Non credo che al lettore importi sapere, ne6 io me ne ram 290 tnento appuntino, quante ca lce, quantcazte quante paia di mutande, quanti fazzoletti portavo ineco; ma importa a me di dirgli che avevo, in tasca, insiemne con una piccola edizioncella dci versi di Orazio, un volumetto in sessantaquattresimo delle rime di messer Francesco Petrarca, poiche6 mi accadra' di doverne parlare. Non si figuni per6' il lettore avveduito, notando corn'io indirizzo la sua attenzione a questo, libriccino, che intorno ai versi del Canonico, di Vaichiusa debba raggrupparsi- la matassa del mio, racconto; sappia anzi che il mio racconto e~ tutto sconclusionato, che non ha n6' capo, ne coda, e che non ci voglio impiegare nessuno degli accorgimenti de' narratori: della qual cosa prego- un p-edagogo, mezzo Uomo di lettere, mezzo uomo, politico,. ch'io corIOSCO, di volermi tenere -per iscusato. Nella mano destra, imp~ugnavo, una grossa mazza ricurva. e nodosa, col puntale di ferro, quasi acuminato; nella mano sinistra tenevo, un grande albo, dove stavano, gia' disegnati alcuni degli antichi ruderi romani; ora. sull'un braccio, 'ora sull'altro, portavo, piegato un, grande scialle a quadretti bianchi e neri, destinato a ripararmi dal fresco, quando pizzicasse uin tantino. Alla pioggia non avevo pensato. Figurarsi! da tre mesi non era piovuto. Tra la Storta e Baccano mi coricai sull'erbetta P ur mo', nata, in mezzo ad un allegro tappeto di fiori primaver'ili. Ma sanno le vergini Grazie come mi piange il cuore nel dovere aggiunigere che non l'Aura leggiera, bensi' Eolo, impetuoso andava, ad intervalli soffiando. II vento, non ha creanza: appartiene all'arte scapigliata e discinta: non legge il Galateo, non ha misura, non ha ordine, non ha delicate-zza.:291 Rotolava trenta pa'ssi lontano Ai mio cappello, e svolazzavano i fogli dell'albo, che avevo, aperto con la intenzione di schizzarvi un ricordo, del paese. Le nubi di polvere nascondevano tratto tratto la campagnpa, tutta a larghe onde di terreno, deserta e severa. Nel fondo, lontan. lontano, scoprivo ancora la cupola di San Pietro: pareva il vertice di un tumulo enorme. Gli usignuoli, che mi -avevano cantato gaiame~nte nell'anima il mattino, stavano, zitti: non ero- triste, ma neanche sereno. Giacevo in quello stato di spirito inerte, che precede l'ombra della malinconia. Passarono sulla strada due contadini. L'uno diceva all'altro: - Domani pioverai. Vedi quelle nubi ii' in fondo, brune e gonfie? - Rivolsi il capo dalla parte donde ii vento veniva, e vidi infatti alcuni picc'oli otri allungati: cinque o sei negri tocchi di pennello. - Male.detto il vento.. Dio disperda il presagio di quel bifolco!, I canipi arsi, gli arbusti secchi, le fogliette raggrinzite imploravano abbondante lPonda del cielo; io invocavo, il sole e la lana. Oh, Auretta, avrei allora sacrificato, sul tuo grazioso- altare le primizie de' frutti del mio, campo, la phi' bianca pecora del mio ovile, e un centinaio altresi' di pastorelli e di pastorelle d'Arcadia! Ripigliai il cammino con passo disuguale e con animo irrequieto. A Baccano devo avere mangiato, ma dove e che cosa non saprei proprio dire. La memoria e' labile, e voi dovete scuLsarmi. Dall'altro, canto gli eroi - ed io, sono, leroe del mio r'acconto -non hanno bisogno di rifocillarsi lo stomaco. Alle nove di sera mi vidi innanzi l'albergo delle Sette Vene. 2902 L'oste, che aveva le sopracciglia foltissime e in Iinea. retta. senza interruzione tra l'na tem'pia e l'altra, mi condusse alla piiut bella. camera, diceva lui, dell'albergo, e con voce smnistra morMoro: — Buona notte. - V'era nella stanza uno di quei letti immensi, che giovarono, tanto, ai novellieri italiani del Trecento. Posi nella parte del letto piut discosta dall'uscio ii mio, sacco, ed ii mio, nodoso, bastone, misi sulla tavola da notte la candela di sego e la scatola. dei fiammiferi, e sbarrai l'uscio, con quattro seggiole accatastate, al fine non di impedire l'ingresso, ma di svegliarmi se qualcuno, avesse voluto penetrare nella stanza. Prese queste precauzioni, mi coricai, e dormii d'un solo sonno fino, a che l'oste, nel modo, riferito al principio, di questa storia, mi venne a svegliare. Pagai dunque lo 'scotto; ma, prima di ripigliare ii camm~ino, mi fermai un pcsotto laloggoia a contemplare il cielo, che, tutto, gravido di nubi, minacciava, un diluvio. Le nuvole non si distendevano, equamente sotto la volta celeste; di qua s'ammonticchiavano nere, di la, diradandosi, spinte dal vento, che aveva. lasciato, la terra per soffiare in alto, brillavano, in larghe chiazze biancastre, e talvolta da. uno squarcio lasciavano vedere un lembo azzurro. La intensita" della. luce e la direzione de' riflessi mutavano, quindi secondo la posizione delle masse opache o, trasparent-i; sovente una larga pennellata, di sole rallegrava, per un istante il dorso d'un colle, un casolare lontano, una fila d'alberi sul piano sfuggente della, campagna. Quando i raggi del sole, passando,' proiettavano, l'ombra. del mio, corpo e dei paracarri sul bianco, della. via, il cuore mi balzava di gioia e pensavo che il contadino, il quale aveva il di' mnanzi pre-.293 sagito la pioggia, 'era una bestia. Ma, dopo, un minuto, 1'animo'e la strada tornavano nella tristezza. Da Monterosi vidi lontano, verso Nepi, dove apepunto m'avviavo, una larga zona sull'orizzonte bruno, forinata di fili argentei verticali; parevano, isegni di unma scopa sul fondo ancora fresco di un negro quadro di paese. Non ero infatti giunto a meta' via tra Monterosi e Nepi, e gia' cominciavano a cadere dei grossi goccioloni, i quali, piombando sulla polvere fina, la rialzavano un palmo. In breve la strada aveva mutato colore. Unl quarto d'ora dopo le mie scarpe s'internavano nel fango tenace; l'acqua, trapassando, lo scialle che mi stringevo, addosso, bagnava tutte le mie inembra, e gli abiti inzuppati mi si appiccicavano intorno. Vidi a destra un caso-lare:, picchiai; nessuno rispose. Avevo, l'anirno torbido. Fra le probabili' 'penpezie del mio pellegrrinaggio artistico e pedestre lungo, le citta del Papa fino, a Ravenna, m'ero appunto dimenticato la pioggia: or dunque la pioggia, capitata all'improvviso, mandava- alla malora tut'ti i miei disegni. Dovevo, io, fermarmi 'a Nepi od a Civita Castellana finche6 l'acqua cessasse? Dovevo io, continuare a piedi il mio viaggio sotto il diluvio del cielo? Le casupole del paesello, di Nepi grondavano tutt'intorno, facendo, rimbaizare ai loro, piedi la mota molle delle pozzanghere; io camminavo, quin di in mezz'o, alia strada, 'per godermi la sola acqua, che cadeva dritta dalle nubi, e che aveva, -non foss'altro, il merito di es-sere pulita. Pareva un luogo, abbandonato: non una testa alle finestre, non una persona nelle vie; tutti gli usci- serrati. Una insegna, che sporgeva in fuori all'estremita' 2-94 del lungo bastone sopra una porta, gett Noun p0'9 di balsamo, sull'anima mia traboccante di bile. Vi si leggoeva: Cafle' con Vino. Entrai. Tutt'era buio. Guardando bene vidi alcune tavole ed alcune pan,che.; chianiai; tornai a chiamare gridando; nes — suno rispondeva; picchiai furioso col bastone sopra una delle tavole, e allora mi sembr6' di udire nel plu' cupo angolo del vasto locale un rantolo breve. M'avvicinai, e vidi due occhi ed'una lunga b-arba tutta bianca; udii" anche una voce cosli profonda che pareva venire dalle interiora, cosi' languida, che'a tendere l'orecchio si udiva appena. Cols poche parole rotte, dalle quali indovinai che ii vecchio era paralitico, che non si poteva muovere dalla scranna', e die il suo figliuolo, uscendo lo aveva lasciato a custodia del la bottega. Mi sentii come un gelo, correre in tutte le membra, Un1 sudor freddo, cadere dalla fronte: fors'era l'midita', che mi rattrappiva il corpo, e lo spirito. Scappai, e quasi correndo, giunsi per la via Flaminia a Civita Castellana. L'alb-ergo d-ella -Posta non aveva allora un'7ottima fama. Ernesto F6rster nel suo Manuale del viaggiatore in Italia - aveva scritto: <. Mentre io, ero andato correndo da Nepi a Civita Castellana il vento aveva ricominciato a sofflare. Sulle tre finestre della sala, dove, in maniche di camicia, stavo, aspettando che i miei abiti, (la cui usciva una nebbia di vapore, si asciugassero al fuoco del camino, le grosse gocciole di pioggia battevano forte e, scendendo giu' per i vetri e 295 incontraindosi e confondendosi di qua c di Ia' prima lente poi rapidissime, si raccoglievano sulle traverse inferiori dei serramenti, da cui, penetrando nella sala, sgorgavano in tre fiumi, che nell'avvallamento del suolo formavano un lago, il quale, con 1'ingrossarsi via via, inondava rapido le sponde e minacciava di straripare. - Giuro - gridai, guardando il serpeggiare dei tre torrenti -- giuro che non usciro' di qui se non in carrozza. -Comandi --- voci6, piantandosi di contro a me, un servo, con la salvietta sudicia sotto il braccio. -Sai leggere? -Signor si'. -Sai scrivere? -Signor si. -Puoi uscire per dieci minuti? -Signor si'. -Piglia dunque questo fogrlio e questa matita; corni qui in faccia dinanzi al portico del Duomo, e trascrivi esattissimamente le lettere che vedrai sull'architrave della porta di mezzo. Sai che cosa e' l'architrave? -Signor st'. - Pose in tasca un paolo, ch'io gli avevo messo in mano con la matita. e la carta, e se ne and6' volando. Quindici minuti erano appena trascorsi, e gia' il servo mi aveva riportato -il foglio, tutto grondante d'acqua e pieno di scarabocchi. Lo asciugai, lo piegai, lo misi in tasca, e feci chiamare I'oste, mastro di posta; dal quale seppi die una carrozza era appunto partita da Civita Castellana ii mattino. La carrozza andava ad Ancona, ed ayeva un posto vuoto nel cabriolet. Tutto stava bene 296 ma Ia carrozza, partita quattro ore prima, mi sfuggiva dinanzi. -- Pigli - mi diceva l'oste - il mio biroccino, leggiero come una piuma, e il mio morello, rapido come il lampo. Raggiungera la carrozza a Borghetto, dove i vetturini usano rinfrescare; e se non la raggiunge non mi dia un baiocco. -Quanto volete? - replicai senza esitare. -Quattro scudi, signore. -- I1 dottore tedesco ha ragione - osservai - ma non c'e tempo da perdere. Fate attaccare il morello. - I1 morello era infatti un cavallino pieno di fuoco: tro!tava nelle salite e nelle discese con una vivacita tutta snella e tutta elegante. II biroccino gli teneva dietro a sbalzi, minacciando ad ogni svolta di rovesciarsi, e facendomi ad ogni intoppo trabalzar le budella. Quel birbone del cocchiere faceva schioccare la frusta con grandi grida; ma, giunto a qualche miglio fuori di Civita Castellana s'affaticava a tirare le redini a se: della qual cosa io ed il morello, che sbuffava, e, inondato dalla pioggia, si perdeva in una nuvola di sudore, ci tenevamo assai poco contenti. Capii che qualche baiocco avrebbe rallentato la mano del mio auriga, e gliene feci scorrere parecchi nella palma, accompagnati da tali parole, che non sapevano di miele. Cosi, rinnovando il giuoco ad ogni mezzo miglio, si giunse in vista di Borghetto, paesello senza osteria, tant'e pitocco. II cocchiere allora, mostrandomi la sua faccia rotonda, sulla quale aleggiava un sorriso di compiacenza velato da una leggiera tinta di scherno: - Signore - mi disse - con quest'acqua maledetta il vetturino avra pensato bene di tirare dritto fino ad Otricoli. ~ 297 tutta scalita;, ma per sette scudi il morello ve la conduce in sette quarti d'ora. -Quattro scudi, furfante. — Se, signore. Cinque, degno servo del tuo padrone. E sia per cinque. -Ma se non trovo il vetturino ad Otricoli, faccio sacramento sul Man uale del dottore tedesco, ch'io, compio tre cose: prim-a, non ti d6' un baiocco; seconda, scrivo al conte Rossi, direttore locale; terza, ti rompo sulle spalle questo bastone - e gli1elo mostrai. Ii coicchiere mi rispose sferzando il cavallo. Oh chi mi da' la penna del mia pedagogo! Oh chi m'insegna le sapienze so'nore delfa rettorica, primato italiano! Oh chi. m'aiuta a comporre una digressione maestosa sul Tevere, che si ripassa innanzi a Magliano; sul monte Suratte, in cima al quale s'alzava un tempio ad Apollo; sul bosco, sacro alla dea Feronia; sui ruderi etruschi,3 sulle rovine romane, che popolano il paese; sul conv~ento di San Silvestro, fondato dal fratel di Pipino (il vecchio convento in mezzo ad una descrizione classica pu6' diventare pretesto a dieci stu-. pende antitesi); sull' antica citta dell' Umbria, Otriculumrn, di Gui i Romani fecero un municipio; sulle statue, le quali, uscite dalle viscere di quella terra che il morello calpestava con le sue unghie ferrate, fanno adesso, gloriosa mostra di se' nei Musei del Vaticano e del Campidoglio! Bella opportunita' sarebbe questa pel mio dolce pedagogo di ricordare le sue meditazioni sugli uomini di Plutarco, i quali turbarono i suoi sonni, finch'egli non arriv6' ad emularli. ISe, piantato sullo stretto sedile del biroccino 29 scoperto, correndo di grran galoppo verso settentrione, mentre il ven~to, col soffiare. appunto da. s~ettentrione, mni tempestava gli occhi di goccioloni d'acqua. fredda, avessi dovuto p ensare a qualcuno degli antichi scrittori, avrei pensato meno. a Plutarco che non a Giovenale. Otriculum, che cosa s-ei diventato! Le tue catapecchie fanno ~ieta'; il tuo fango schizza mota nerastra, e si squarcia, per ingoiare uomini e cavalli fino alle grinocchia. Due carrozze aspettavano, vicino, alla bassa porta di un'osteria: la prima, grande e solenne, con quattro cavalli gia' attaccati; 1'altra di aspetto umile, col timone in piedi, appoggiato alla banchina del cocchiere. Ii cocchiere, vetturino romano, bruno, con gli occhi torvi e la barba ispida e nera, non mi pel6' quanto avrebbe potuto; in pochi minuti si fece il contratto: egli doveva condurmi sano e- salvo ad Ancona e pensare ogni di' al mio desinare, alla mia cena, alla mia camera; io gli dovevo dare non mi rammento- piui quanti scudi. -Quando si parte? - chiesi -Fra' mezz'oretta, e a galoppo.Poich6' non avevoi bisogno' di mangriare e il cabriolet mi pareva ben riparato, pigliai subito possesso del mio posto a sinistra. Non m'ero ancora adagiato bene sul poco soffice sedile, quando il postiglione della carrozza, che mi stava dinanzi a pochi passi, fece scoppiettare la lunga frusta; e nello stesso tempo vidi un'o~mbra. di color bruno passare con uno sbalzo, snella. snella, dalla. soglia dell'osteria nel carrozzone maestoso. La persona entro cosi rapida che non potei coglierne le fattezze; ma un piede rimase, mentre ella forse accomodava qualcosa. al di dentro, sullo 299 staffone. Era un piedino elegante, calzato di uno stivaletto nero, con l'orlo all'alto e due fiocchettini rossi. L'abito, rialzato un poco, lasciava vedere un tantino della calzetta candida: pareva uno spiraglio di sole, tanto il bianco in quella sudiceria di cielo, di suole e di cose raggiava. Fu un lampo. La carrozza si scosse; tre o quattro fanciulli mezzi nudi s'accalcarono allo sportello chiedendo in coro l'elemosina, mentre alcune vecchie schifose porgevano con insistenza le palme. Una mano di rosa e di giglio usci allora dal finestrino dello sportello, e fece cadere alcune monete d'argento; le dita, mirabilmente tornite, stillavano mirra schietta, come quelle della sposa del Cantico. II postiglione sferzo i cavalli; la carrozza si mosse, e, scendendo la china, a poco a poco svani. Trovai, non so, come, nelle mie mani il volumetto delle Rime di messer Francesco; lo apersi al sonetto CLIV, e, levato dal taschino del panciotto un mozzicone di matita rossa, guardando l'oriuolo scrissi la data del di e l'ora ed il minuto appunto. Fatto cio, serrai fra due grosse linee questo verso: Baciale 'I piede e la man bella e bianca. (da << Storielle vane >) 300 MACCHIA GRIGIA Questa macchia grigia, ch'io vedo dentro, ai miei occhi, puo6 essere la cosa piiu comune della vostra scienza oculistica; ma mi da' gran fastidio, e vorrei guarire. Esaminerete con i vostri ordigni eleganti, quando, verr6' costa' fra una quindicina di giorni, cornea, pupilla, retina e il resto. Intap to, giacch6' la vostra amicizia mi sollecita, vi descrivero6, come posso, il mio, nuovo, malanno. In. mezzo alla molta luce ho, la vista da lupo cerviere. II giorno, nelle vie, la sera in teatro, distinguo, cento passi lontano, il neo' sulla guancia di una bella donna. Leggo, per dieci ore di fila, senza stancarmi, il piui minuto, caratterino, inglese. Non ho, mai avuto, bisogno, di occbiali; posso, anzi imbrancarmi fra quegli animali di si altera t'ista, che, come dice il Petrarca, incontro al sol pur si difende. Non ho, mai tanto, amato, il sole, quanto lo amo, da due mesi a questa parte: appena comincia, l'aurora, spalanco le finestre e lo benedico. Odio, le tenebre. La sera, di mano, in mano, che cresce l'oscurita', si fa piiui intensa di contro a me, proprio nel punto dove fisso, gli occhi, una 30.1 tnacchia color cenere., mutabile,' in-forme. Durante il crepuscolo, o mentre splende la luna, e pa~lldissima,' quasi impercettibile; ma, nella notte diyenta enorme. Ora e' senza moto, skcche,. guardando il cielo nero, sembra, uno squarcio chiaro a lembi irregolari, come la carta, dci cerchi da saltimbanco quando v'e' passato in mezzo il corpo di pagliaccio;. e si crede-rebbe di vedere, attraversb a quel, buco, un altro~ brutto cielo di lat dalle stelle. Ora s'agita, s'alza, s'abbassa, s'allarga, s'allunga, caccia fuori de' tentacoli da polipo, delle coma da lumaca, delle zampe da rospo, diventa mostruosa, gira a destra, poi rigira a sinistra, e va intorno cosi' delle ore furiosamente innanzi al mio sguardo. Ho accennato -a queste, immagini tanto per procurare di farmi 'intendere; ma veramente non c e o~mbra di forma. In un mese, dacche' devo godermi un. tale spettacolo, non ho mai potuto afferrare una figura determinata. Quando mi sembra di trovare certe andlogie con certi animali, con qualche oggetto, sia, pure fantastico, con qualche cosa insomma di definibile, ecco che quel disegno in un attimo si contorce e Si rimuta indecifrabilmente. P, una cosa laida, unt oavlae Se si potesse annasarla, puzzerebbe. Sembra una larga pillacchera di fango; sembra una chiazza animata, una lacerazione purulenta che viva. t an orrore. Non dico di vederla sempre. La vedo tutte le notti, ma phiu o meno a lungo, secondo la disposizion'e, non so se del mio animo o del mio corpo. Spesso, Dio, volendo, appena comparsa sparisce. II terribile e' che 'mi compare davanti all'improvviso, mentre sto pensando a tutt'altro. Strin-.302 gevo al barlume di una lucerna morente la mnano di una cara fanciulla, dicendole quel che non si racconta neanche a voi altri medici, ed ecco a un tratto la macchia che le sporca il seno. Mfi sentii inorridire. Anche di giorno s'io entro, mettete, in una chiesa buia, rischio di trovare quella sudiceria sotto l'ombra, fitta dell'organo, sui vecchi dipinti affumicati, nel finestrello nero del confessionario. La paura di vederla me la fa scorgere piii presto. La notte non guardo mai impunemente I'acqua di un flume o del mare. Andai griorni addietro a Genova. Era una bella sera, un resto, destate. La volta del cielo tutta serena, tutta di una tinta ap'. pena digradata, da ponente a levante con un po' di giallo, un po' di verde, un poco di paonazzo, mostrava nondimeno, quasi sull'orizzonte, Iuna zona isolata di nubi dense. Una striscia sottilissima, limpidissima d'aria brillava tr'a le nubi ed il mare. 11 sole, cie era rimasto nascosto un poco di tem-' po da quelle nubi, scendeva dal loro lembo inferiore per tuffarsi nelle onde quiete. Prima il suo oro, quando non si vedeva di esso che il segmento dli sotto, parve una lumiera sospesa alle nuvole; poi il cerchio inflammato tocc6' con la circonferenza per un minuto nuvole e mare; p01 si cacci6, pia'n piano nell'acqua, mostrando nel segmento di sopra il fuoco incandescente di una immane bocca da forno. Avevo desinato bene con qualche mio vecchio amico. Si pigli6 un battello e si vogo al largo. Dopo lo-splendore del tramonto il crepuscolo fri di una dolcezza ineffabile. Cantavamo a mezza voce, sognando. Annottava. L'acqua d'un verde scuro scintillava, lucc-icava. All'improvviso vidi lontan lontano nuotare la mia 303 macchia grigia; e, ritrassi Paurosamente lo sguardo entro il battello, e la mia macchia mi seguf' tra le forcole e i r'emi, e, gelato di ribrezzo, mi ricondusse, compagna, lurida, a terra. Certo (dottore mio, non ridete) e' offesa la retina: v'e' qualche punto cieco, un piccolo spazio, paralizzato, uno sc-otoma insomma. Ho letto come Sulla retina, nell'occhio dei condannati a morte,, se~ trovato, dopo recisa la testa, il ritratto degli ultimi oggretti, in cui i disgraziati avevano ficcato lo sguardo. La retina dunque, non solo rimane fuggevolmente dipinta: in certi casi resta veramente scolpita. Notate poi che, quando, chiudo gli occhi per dormire, io sento la mia macchia dentro, di me. E ailora e' un supplizio diverso. La macchia non si aggira pil'i intorno a se\ stessa, ma cammina, corre. Corre in su, e nel correre tira, in su la pupilla; sicch6' mi pare che il globo dell'occhio debba rovesciarsi, arrotolando dentro nell'orbita. Poi corre in gii'i, poi corre dalle parti, e iA globo dell'occhio Ia segue, e i legamenti quasi si schiantano, ed io dopo, un poco mi sento dolere, proprio effettivamente dolere gli occhi. La mattina, anche dopo dormito, li ho, indolenziti e un po' gonfi. Voi altri medici avete la virt%6 di essere curiosi; volete penetrate nelle cause, rimontare al seine. Vi dir6\ dunque in quali circostanze mi si manifestata la malattia, che dovete' guarire. E, abbiate pazienza, lo dir6' nei piiui indifferenti particoiari, giacche6 so come da una di quelle inezie, le quali sfuggono all'attenzione dei profani, voi scienziati potete cavare la scintilla, che rischiara poi le ver'ita' pii6 riposte. 304 II di' 24 dello scorso ottobre, sul far della. sera, passavo, dal Ponte dei Re accanto a Garbe per andare sino, a Vestone, mia passeggiata. consueta del dopo, pranzo, come quella della. mattina, era verso Vobarno, quando, non Preferivo, arrainpicarmii sulla schiena. dei monti, o, fare qualche viaggetto,, sempre pedestre, a Bagolino, a Gardone, in Tirolo. Di due mesi e mezzo passati nella Val Sabbia, le prime due settimane furono, tutte calma, altre due tutte fuoco, e il rimanente tristezze e terrori. Alle bellezze della natura, che tutti corrono a vedere e che tutti ammirano, avevo, preferito la vallata. modesta, povera., dove "i monti hanno gia\ un certo aspetto selvaggio, e dove non c'e' ii pericolo di vedere mai la persona allampanata di un Inglese, e nieanche la barba, nera. di un. alpinista italiano. Mangiavo le belle trote rosee del lago d'Idro, gamberi saporiti, funghi, uccelli, cacini di capra., molte ova, molta. polenta. V'e ad Idro, un. alberguccio con due stanzine ariose, pulite. Chi non ha rimorsi vive cola' nella quiete del paradiso, senza. giornali, senza. botteghe da caffe, senza pettegolezzi, guardando, lo, specchio, del lago, le giovanotte che vogano, la Rocca d'Anfo sull'altra sponda, esercitando, piui lc gainbe che il cervello, abbrutendosi anzi a poco, a poco nella cara, nella beata liberta' del non pensare a nulla e del non far proprio, niente. Quando il cielo e' popolato di nubi, spinte a,gran corsa dal vento, l'aspetto di quel- paese riesce rnutabile all'infinito. I monti che si accavalcano, le rupi che portano muraglie ruinate di castelli o chiesette con il loro, campanile bianco, i colIli bassi coronati di pini, cangiano di figura. a ogni minuto. Ora le nuvole mettono, in ombra. il dinanzi 305 del quadro, e il sole brilla nel fondo; ora ii sole splende sul. dinanzi, e il fondo, rimane buio; ora invece questa parte o, quella, del c'entro stacca nera in mezzo alla luce a luminosa in mezzo all'oscuritak, e s'accendono e si spengono ad ogni tratto innunmerevoli sprazzi di coloni varii e vivissimi. Bisogna salire sul monte roccioso, che sta. di contro alla, chiesetta di San Gottardo, dall'altra parte del Chiese. II monte, verso ii. flume, scende a perpendicolo. A destra si vede sulla bizzarra collina la chiesa di Sabbio, alta. e sottile; a sini'stra. si scopre da. lontano, la Rocca di Noi'za, deli~a quale non rjmane che qualche pezzo, di muro cadente; sotto a' piedi s'apre ii vuoto, profondo. Ci si tiene con le mani agli arbusti, e si guarda in giii. II Chiese corre in arco, rompendo le onde rapidissime ai sassi enormi, di cui e' sparso, il, suo, letto. Garbe abbasso, un poco, a dritta, e phiui la', gia' ben alto sulla, montagna, il campanile di Provaglio. Quasi a piombo, benche' dall'altra parte della strettissima, valle, che si strozza, in quel punto, lasciando appena appena, luogo al flume ed a.!a strada, postale, si vede dall'alto in basso la chiesetta. di San Gottardo, di cui la torre scorcia tanto che diventa nana, e gli archi' del piccolo portico sembrano, schiacciati. La prima volta, poco manc6 die non mi venisse ii. capogiro. Volevo andare ph'i' alto, If' dove la rupe nuda, quasi venticale, concede appena ii posto, per mettere ii. piede tra -le sue strette fessure. Guardai indietro. II monte, che mi stava alle spalle, tutto ombroso, spiccava, sull'aria celestina. Saranno, state le cinque. di sera, due settimane dopo ii mio arrivo, a Garbe. II sole cominciava ascendere dietro ilgog della montagna; un 306 vento, fresco soffiava dalla go-la della vallata, e bisognava tenere il cappello perche6 non piombasse nel precipizio, quando, uno sbuffo, impetuoso, mentre coglievo con le due mani non so che strane foglie, lo fece rotolare un tratto, poi andare a baizelloni dall'una all'altra sporgenza delle acutissime roccie. Gli dissi addio, e continuavo a capo, nudo le mie osservazioni estetiche sulle piante, allorche6, passati appena dieci miuti, mi comparve innanzi all'improvviso, una montanara, la quale, unl poco imbarazzata e con rustico garbo, mi porse Ai disgraziato cappello. La ringraziai di cuore, e la guardai nel viso. Poteva avere dai sedici ai diciassette anni: abbronzita, ma sotto la tint-a del sole s'indovinava l'incarnato fresco; nella bocca piccola splendevano, i denti, amnmirabili di regolarita'- e di bianchezza; negli occhi v'era un certo che di selvatico e di curioso, una timidita' un p0 -co impertinente. -Bella giovane, siete di Garbe? -Signor no. Sono, di Idro. E vi fermate qua? -Parto domani con mio, padre, che e' li tra i cespugli insieme con le nostre capre. Lo vede? Guardi bene, 11 in fondo, - e m'indicava il luogo, ma io distinguevo, appena di lontano un uomo, che aveva la barba bianca. -E ad Idro dove state? -Fuori del paese circa due miglia, sulla via che conduce al monte Pinello. -E che nome avete, bella fanciulla? Teresa, a') suoi comandi, signore.Si continu6 a discorrere. lo la tempestava di interrogazioni, guardandola negli occhi, i quali ora vagavano, di qua e di Ia' impacciati dal mio 307 sguardo, ora mi si ficcavano in volto, anzi a dirittura nel cuore. Ad uno sposo non aveva pensato mai: non sapeva, e lo giurava ridendo e spalancando gli occhi sinceri, che cosa fosse amore. Ella non aveva nessuno al mondo, salvo il padre, che l'adorava, s'intende, e non l'aveva mai lasciata un giorno dacche era nata; ma il buon vecchio doveva andare appunto allora per quindici dl a Gardengo a far valere i proprii diritti sulla successione di un fratello, morto con molto ben di Dio e senza figliuoli. Ii vecchio, gia caporale sotto l'Austria, leggeva e scriveva come un notaio, era uomo di conto e per giunta piu agile, piu vigoroso, piu coraggioso di un giovinotto di vent'anni. La fanciulla, nell'assenza del padre, rimaneva ad Idro, affidata ad una santola di settant'anni. Dottore, ve lo immaginate, andai per quindici giorni ad abitare il pulito e solitario alberguccio di Idro. Tutte le mattine e tutte le sere salivo iungo la stradicciuola erta, torta, sparsa di sassi acuti, che conduce al monte Pinello, e mi fermavo alla casa della montanara gentile. Due giorni disse di no; poi non ci fu angolo erboso di quella scoscesa china su cui non ci si adagiasse a discorrere, di giorno cercando l'ombra piu cupa sulle sponde di un torrentello, entro una grotta naturale, negli ampi interstizii di massi enormi precipitati Dio sa quando dalle creste del monte; di sera, durante le prime ore della notte, cercando una zolla morbida sotto il cielo stellato. La Teresa, certo, non somigliava alle ragazze di citta: la sua pelle era ruvida, la sua passione quasi ferina. Nei primi giorni amava tre cose: il suo padre, le sue capre e me; dopo una settima 308 na non Parlava phiu del padre, non badava phi' alle capre, mi aspettava sull'uscio, del casolare a cominciare dall'alba, sp-esso mi veniva incontro sino ad Idro, mi trascinava, nil violentav'a, mi buttava in terra come se volesse sbranarmi. Certe volte dal suo, corpo elsalava un odore acre e inebbriante di e-rbe selvatiche, -certe volte un puzzo di capra nauseabondo, e non di rado, un fetore di strame, che ammorbava.' Insomma., invocavo, tra me il ritorno del vecchio. II giorno innanzi al suo, arrivo, cercai di prearware Teresa alla mi'a partenza: le dissi che dovevo, andare a Brescia e a Milano, ma mi affrettai a soggiungere che' sarei tornato, presto, dopo, due settimane al pii'i, forse dopo una. Ella non piangeva: tremava tutta, ed era diventata del colore del piombo. Ripeteva con voce strozzata: - Lo so che non torni phi', lo so che non torni. - Jo promettevo, giura'vo., ma ella. ml continuava, a guardare con gli occhi senza lagrime, e, fatta veggente dalla passione, insisteva: - Non torni plu'; lo sento qui nel cuore che non torni phu. - Non potei cavarle altre parole. Invece di andare a Brescia o, a Milano tornai a Garbe. Avevo l'anima rosa dal rimorso: tante volte mi sentivo, spinto, dalla coscienza a correre ad Idro, alla, capanna di Teresa; poi gli abbracciamenti suoi, furiosi e disperati, mi facevano paura, e non di meno, io, non potevo pensare ad altro che a lei. Non sapevo se l'amassi, benche6 1'immagine sua mi stess-e scolpita. sempre dava'nti'. Finalmente, dopo una trentina di giorni, la coscienza vinse, forse anche la curiosita'. Andai ad Idro, e, traversando, i magri prati, arrampicandomi sulle roccie, risalendo il letto, di un torrente 309 asciutto, mi trovai, di contro al casolare dall'altra parte della stradicciuola; gli alberi ed i cespugli mil nascondevano. La fanciulla stava sulI'uscio) imm-obile, esposta senza riparo ai raggri del sole. Nel primo istante non la riconobbi: la carnagione era diventata, d'un rosso cupo, i capelli le cad~evano, sulla fronte e sulle spalle a ciocche sconvolte', ii 'viso appariva stranamente smagrito e allungato, il labbro inferiore pendeva in ggiui, gli occhi spenti fissavano innanzi senza vedere: non so perche6, credetti di essere in faccia ad un. cadavere bruciato. In quell'istante una voce d'uomo cbiam6' dall'interno del casolare cosil sinistra e soffocata che pareva uscisse da un sepolcro: - Teresa, Teresa. - La fanciulla non diede segno, di avere udito, e la voce continuava tetra e straziante: - Teresa, Teresa. -Scappai; corsi a Brescia, ma il romore della citta' mi riesci' insopportabile; tornai a Garbe, dove, a forza di ripetere a me stesso, che il tempo rimedia a tutti i mali, anche agli strazii de'lla passione e dell'abbandono, trovai qualche momento di pace. Non ostante, dormlvo poco, tormentato com'ero da sogni orribili e da inquietudini febbrili; mangiavo, pochissimo; camminavo molto, sperando nella stanchezza. Vi dicevo dunque, dottore, che il d'i 24 dello scorso ottobre passavo, sul far della sera dal Ponte dei Re accanto, a Garbe. Un uomo, appoggiando i gomiti sul parapetto, e il mento sulle palme, guardava molto attentamente l'acqua del flume. Uscivano tra le sue dita delle cio~cche di barba bianchissima; la faccia mezzo nascosta dal cappello tirato sulla fronte, non si vedeva bene. Non 310 era vestito propriamente ne6 da contadino, ne' da operaio: portava una casacca e de' larghi caizoni d'un colore chiaro, grigiastro. Passai. accanto, al vecchio; non si mosse; continu6 a fissare I'acqua vicino alla pila del ponte, dove, stringendosi per attraversare le due arcate, gorgoglia impetuosamente. Guardai abbasso, anch'io, credendo, che vi fosse qualcosa di curioso, a vedere; non avvertii niente di strano, ma quel gioco, di onde, Ia cui non avevo mai' badato., mi piacque. Puna lotta formidabile tra l'acqua che corre e i sassi colossali che tentano di sbarrarle la via. E le onde, incaizate da quelle che sono, dietro, e queste cacciate innanzi dalle altre piiU' lontane, a corninciare dai rigagnoli nascenti nelle nubi, quanta fatica, quanta astuzia devono, adoperare, e come s'affannano a spuntarla di proseguire il loro, cammino!. Lo spettacolo del contrasto fatale tra il moto e l'immobilita', eterno e d'ogni attimo, mette nell'anima un timido scoramento, e nello stesso tempo fa, sorridere di un cosi cieco impeto nell'operare e di una. cosi' orba caparbieta' nel resistere. Ce' dei momenti, in cui le forze opposte della natura somigliano a fanciulli mal educati, l'uno, dei quali gridi voglio, e l'altro, pestando i piedi, ripeta non voglio. E su quei massi, i quali spuntano, fuori dal letto, che non e'un letto di pace, vegetano, se — minati dal vento in un pugno, di terra deposta cola' dallo stesso, vento, a un granello, alla volta, de' virgulti di salici, degli arboscelli di' pioppo, i quali canzonano, deboli e flessuosi, la furia die li circonda. La natura, come la vita, e' una catena di vani sogghigni. -Se il masso, non solleva nmolto la testa, l'acqua 3-11 gli corre su, c scende poi in cascate gaie, cercando il piano piu basso: e un cristallo terso, curvo, regolare, una campana lucida, un ombrello trasparente, con qualche filetto opaco di vetro di Murano; e si frange poi a' piedi in ispruzzi d'infinite.perlette bianche, di quelle che le Muranelle infilano le sere d'estate, sedute sul gradino della porta di casa, ciarlando di Tita e di Nane. L'onda e avveduta: sceglie per solito il cammino migliore. Ma qualche volta si trova chiusa tra i sassi, e allora, non potendo aspettare, scatta in uno sprazzo e via; tale altra si caccia distrattamente in un labirinto, e gira e rigira e, se vuole uscirne, le convierie tornare indietro; finalmente accade che ella si smarrisca in uno spazio dove il caso ha messo un insormontabile sostegno di pietre, e allora si ferma impaurita, perde la bussola, s'accascia e da turbine diventa specchio. E sotto all'acqua, che riflette in iride la tinta del cielo o che si trasforma in ispuma d'argento, v'ha il vario e brioso colore dei sassi, giallo, rosso, bianco, verde di muschi e di licheni. La gran battaglia si concentrava alla pila del ponte. Le onde combattevano le onde, che cozzavano insieme, si spezzavano, si frantumavano, s'accavalcavano, s'ammonticchiavano, diventavano matte di furor bellicoso, mandavano bava in vece di sangue, e gocciole e stille sino al parapetto del ponte, con un romore, con un frastuono da far tremare un eroe. Il vecchio guardava sempre impassibile. 'Andai per la mia strada, senza curarmi di lui, passo passo fino a Nozza. II cielo nuvoloso, minaccioso, principiava a oscurarsi, e soffiava un vento assai frescc dalle alte montagne. Rinunciai 312 a proseguire Ia passeggiata, e tornai indietro. Al Ponte dei Re c'era sempre il vecchio, nello stesso posto, neli-a stessa attitudine di Drima. Guard~ava sempre a' piedi della pila. La cosa mi pa-rve bizzarra; mi avvicinai al vecchio e gli dissi: -Buon uomno, scus'ate. - Non si mosse. Continuai: - Scusate se vi disturbo; ma il cielo e' negro, minaccia il temporale e non e' lontana la notte. Se abitate discosto, dovreste incamminarvi.Ii vecchio Si rizz6' lento lento, mi guard6' in viso come trasognato, e, senza aprir bocca, 'torno' ad appoggiarsi al parapetto e a contemplare il flume Jo insistetti: -Avete bisogno di nulla? -No - rispose s~enza voltarsi. Gli diedi la buon~a notte e m'avviai verso Garbe. Fatti cento passi mi voltai. Non so se fosse cu.riosita" o, compassione: nella faccia di quel vecdhio bianco, credevo di avere letto, un dolore pro,fondo, una sinistra melanconia. Pallido, con, gli occhi infossati, con le labbra nericce, mi aveva fatto pietA e terrore. Mi trovai al suo, flanco, portato da una forza quasi involontaria, e gli dissi interrottamente, aspettando una risposta. che 'non veniva: -Scusate di nuovo. Ditemi se posso giovarvi in qualcosa. Vi sentite poco, bene? Vi offro una stanza a Garbe per questa notte. Mi sembrate forestiero. t accaduto anche a me fuor di paese di trovarmi senza danaro: -ne avete forse bisogno?Dopo queste ultime parole il vecchio, si volt6' gravemente., tentando di muovere le labbra a un 313 sornso. - 'Grazie, non tm occorre nulla - rispose. Poi, messa la mano, nella tasca. dei caizoni, ne cav6 iA pugno, serrato e, aizatolo, sopra il pa;rapetto, l'aperse. 11 vento, fece' volar via nel flume, sparpaglfiati qua e Ia', forse una ventina di piccoli biglietti. Mentre io, irritato, stavo per rimproverarlo, balbett6 con voce strozzata: - Ho sete. -Scendete a bere nel flume - esciamai duramente. II vecchio, s'incammin6' alla rampa scoscesa, che va giu' a lato di una testata del ponte; ma, giunto, 4I' vacill6' sulle gambe mal ferme. Gorsi ad aiutarlo, e, sostenendolo per 1'ascella, lo condussi al flume. Riempii io, stesso, il suo, cappello, di acqua. Bevette a brevi sorsi. -Non vi rimettete subito, il cappello, bagnato in testa, che non vi faccia male. Abitate lontano? -No. -Ma non siete di questo, paese? -No. -E dove state di casa? Vi accompagner& -Non importa. Sto vicino. -V'accompagner6' ad ogni modo.Ii vecchio mi guard6' dritto negl~i occhi, e con accento risoluto, disse: - Non voglio. - Poi, meno, seccamente, aggiunse quasi con ripugnanza: - Aspetto, qualcuno. -Un figlio, forse? -Non ho figli. -Un parenteP -Non ho, parenti. -Un amico,? Non ho amici. -Cbi dunque? 314 Penso6 un -poco e rispose: - II destino.S'appogrgi6' di nuovo, al parapetto del ponte e torn6' a guardare l'acqua di sotto. - Perdonate la mia insistenza. Di che paese siete? -Di un paese dove si mnuor di dolore. -E andate? -In un paese che non conosco.Queste risposte misteriose fecero, nascere nel mio cervello uno sciocco, sospetto. Esclamai con espansione: - Se dovete ritnanere nasco~sto, se la giustizia VIL cerca, giuro die non vi tradir6'.II vecchio, s'alz6' dritto in piedi, e rispose alteramente: - Non ho, nulla da nascondere agli uomini. -- Poi, mormorando, tra se': - La mia, coscienza e' pura. -Gli uomini vi hanno, ingannato, forse, vi hanno, fatto, del male P Avete trovato al mondo Molti nemici! -De' nemici? Ne ho avuto, uno solo.Quest'ultima frase venne pronunciata, dal vecchio, con voce cosi' cupa, il suo, occhio, era, cosi' bieco, ch'io mi sentii gelare. Gli dissi: - Vi lascio, dunque, e Dio vi benedica. -Dio., Dio,! - sentii ripetere parecchie volte;.e la voce sepoicrale del vecchio, si perdeva nel muggito, del Chiese. Non intendevo di abbandonare il pover'uomo. In quattro salti fui a Garbe con l'intenzione di parlare a] sindaco, medico, valente e cuor dTorc% e di condurre meco, due contadini, i quali facessero, La guardia, foss'anche per tutta la notte, al veccbio strano. Trovai il sindaco, sotto, il portone della sua casa, una casa antica, murata, da un suo, ante 315 nato, gentiluomo francese, fuggito dalla, strage di San Bartolommeo. II sindaco discorreva, con ii segretario, comunale e con I'oste di Sabbio, due tipi curiosi. Questi con la faccia, tonda, grasso, grosso, il pizzo, lungo e folto, sotto, a due gran, baffi ned, le sopracciglia spaventose, la voce tonante, un cappello, irL testa di larghe tese, a cui non manca altro, che la piuma per potersi dire spagnuolo; famigliare con tutti, spavaldo, buon diavolo, mette la mano in atto di protezione sulla spalla dell'avvocato, del farmacista, del signor cavaliere, e apre volentieri la larga bocca. al riso, sguaiato, mentre dice una barzelletta sporca: una, specie d'idalgo, che versa maestosamente il vino, dal boccale nel bicchiere de' suoi avventori, che tiene il pugno, al fianco, maravigliato, di non trovarvi la spada, e s'e' mangiato in qualche mese per darsi il gusto di parere un nego~ziante in grosso il powo suo, patrimonio, e spera di portare le ossa, in una grande citt~ degna di lui, lontano dalle piccolezze montanare,. dove 'si sente proprio fuori di posto. L'altro, il segretario comunale, sottile e lungo, come ii campanile di Garbe: veste da contadino, con la giacchetta e i caizoni di quella. certa, stoffa lustra color cannella, sudicio, ma tiene la giacchetta, buttata sulle spalle, mostrando la camicia, die non pare sempre di bucato, e le braccia e il petto, nudi, assai piu scuri de-ll'abito; ha letto Dante, scrive da letterato, fino, sa a mente tutte le innumerevoli ordinanze, tutte,le infinite circolari prefettizie indirizzate al Comune, cbe e' cosa miracolosa; cita versi e proverbi latini; non ha casa: l'inverno, dorme sulla, tavola nuda del Consiglio comunale, con una busta, dell'archivio per origliere e per coperta 3i16 ii tappeto verde; lestate dormer sotto Ai piccolo portico di quella chiesa di San Gottardo, della quale ho parlato indietro, poggiando il capo allo scalino di granito, lungo disteso sulle lastre sconnesse del paimento, godendosi ii vento fresco, che soffla senza interruzione dalla stretta. gola dei monti; vive di pane e cipolle, di polenta. e cacio pecorino, ma si compensa. con qualche bic~chieretto di acquavite, e, quando ne ha bevuto un tantino phiu del bisogno, vuLole abbracciare tutti, l'o~stessa, il reverendo parroco, ii sindaco, persino i carabinieri in pattuglia. Questi signori, e tre contadini, che ero andato a scovare nella bettola vicina, s'avviarono meco al ponte. Si Pass6' dalla chiesa di San Gottardo, palazzo d"estate del segretario; ma, quando fui ii', non mi potei trattenere: lasciai che ii vecchio sindaco procedesse con il suo passo, che egli, poveretto, cercava di affrettare, ma. che mi sembrava ancora troppo lento, e corsi innanzi. Andai su e giu' per il ponte, precipitai abb-asso dalla. rampa del flume, guardai di qua e di lai in quel buio della brutta notte che era gia' principiata: non si, vedeva un'anim~a. Gli altri mi raggiuns-ero, ansanti. In un batter d'occhio diedi le mie istruzioni. Ii sindaco doveva fermars-i sul ponte; l'idalgo doveva. perlustrare un mezzo chilometro della. strada di Nozza; ii segretario doveva rimontare il corso del Chiese lungo- un viottolo a sinistra; i tre contadini dovevano salire i meno erti sentieri delle miontagne. Quanto alle vie phiu scoscese non era neanche da pensare che il misero vecchio avesse potuto tentarle. Quartiere generale: il pont~e. Jo m'ero riserbato le capanne dei carbonai, di fla dal Chiese. In quindici minuti salii alla prima 317 casupola. Tutti dormivano; picchiai forte; nessuno, rispose; tornai a picchiare con tanta violenza che i colpi rimbombarono, nella valle, e udii finalmente delle, voci e delle imprecazioni. Dopo un poco di tempo s'aperse il finestrello e vidi una t~esta nera, nella quale brillavano, due occhi da gatto. -Sapete niente di un vecchio, con la barba bianca, lunga, mezzo malato, vestito di panno chiaro, un foresti'ere che vagava stasera presso, il Ponte dei Re? -Andate all'inferno. -Domandatene, di grazia, ai vostri compagni. -Andate all'inferno voi e il vecchio,- e chiuse la finestra. Dopo uin quarto d'ora avevo, gia rifatto, il cammino, ed ero, salito, da un'altra parte ad un'altra capanna. Ii mio bastone nell'urtare sul legno, del piccolo uscio dest6' quattro o' cinque echi sulke cime dei monti. -Chi ~ a" -Un amico. -IInome? -Un amico. -Non apro. -Venite- alla finestra. -Non mi muovo. -~Ave'te visto un vecchio,? -Non ho visto, nessuno. -Un vecchio, vestito di chiaro, con la barba lunga, e bianca, infermo. -Non ho, visto, nessuno. -Passeggiava stasera sul Ponte dei Re e nelle strade vicine. 318 -Non ho visto nessuno, vi dico - e torn6 a russare. Tre quarti d'ora dopo eravamo, tutti sul ponte.. Non s'era trovato niente, non s~era saputo niente. Neppure i due car-abinieri di Vestone, che l'idalgo aveva incontrati sulIla via e aveva condotti seco, ci poterono aiutare in nulla. II sindaco, giudic6 aliora, che noi dovevamo, andare a dormire. Era, infatti, la sola cosa ragionevole die ci restasse da fare. Vi ho, detto, caro dottore, come il mio sindaco, sia una perla d'uomo. Ha un modo suo, proprio, di curare la difterite, in grazia del quale salva realmente tutti i bambini del Comune. Parla de' suoi rimedii con entusiasmo giovanile: non fallano: ad una infiammazione ci- vuole ii salasso., anzi ogni, malanno guasta il sangue, ed il sangue corrotto va tolto via, perch6' se ne formi del sano. Ora vive senza troppe angustie, badando a' suoi pochi campi; ma fu trent'anni medico, condotto, e quando ricorda le fatiche lunghie e mal compensate, ii sollione, la neve, il g'elo, i turbini sulle montagne, lo fa con tanta dolcezza, die pare quasi un rimpianto. Discorre de' suoi malati volentieri, con modestia affettuosa, e, se pu6' dire di averli strappati aila morte, due lagrime di com-~ piacenza gli scendono sulle gote. Ha la barba grigia, i capelli appena brizzolati, i denti candidissimi, gli occhi celestini, la fronte da uomo, intelligente e virtuoso. Piglia tabacco e lo offre. Dichiara ogni ann`o che non vuole piui essere sindaco; poi ci ricasca. Non sa dire di no: tutti, anche i cattivi, lo rispettano e gli vogliono bene. Non l'o mai sentito pronunciare su nessuno, fosse ii phi' grande scellerato, 'una parola severa, aspra o pun 3I9 gente: non trova 'in quella sua anima mite un accento sgarbato nemmeno per l'orneopatia, ch'e" tutto dire. Narra molto naturalmente i casi semplici della. sua vita, quando, studente all'Universita' di Padova e ricco di una. sola svanzica al giorno s faceva dare all'osteria iA riso stantiopr a garlo un soldo meno, e ossi di manzo scarnati, e culi di salame: non beveva mai. vino. Un d'i, avendo visto nella Piazza dei Signori un giuocatore di bussolotti, gli si fece amico, and6' a desinare con lui piiui volte, finch6' impar6' il segreto della magi#a, pensando che se la medicina falliva, quest'altra arte lo avrebbe potuto soccorrere. Racconta una interminabile fliza di storielle, parte da stare allegri, parte da spaventare. Bisogna che io entri finalmente nel cuore del Mi.o racconto. Vi siete accorto che mi ripugna; infatti nello scorrere gli sgorbii buttati sulla c'arta conosco di avere fatto come colui, al quale duole un dente e va per farselo strapp-are. Esce lesto, quasi correndo; ma, di mano in mano che si avvicina alla. casa del dentista, rallenta i passi, fin — che6, giunto alla porta, s-i ferma. perplesso, chuedendo a se' medesimo: - Ii dente ora. mi duole o non mi duole? - E cosil torna. indietro, un buon, tratto di via; e ogni inezia gli serve per tirare in lungo, un avviso sulla, cantonata, un cane che abbaia. Poi- si vergogna, e sale fino AVlu scio, e quando, risoluto., ha gia' in man'o il cordone del campanello, do-manda a se' stesso di nuovo: -- Me lo devo far -cavare si' 0 no? Insomma, coraggio. Quella. sera, dopo avere dato a' tre contadini i soldi per here qualche hoccale, dopo, avere salutato il sindaco, che rientrava 320 in casa, il segretario, che andava ad augurare la felice notte all'acquavitaia, e l'idalgo, che, canterellando con la sua voce di basso, tornava a Sabbio, io non mi sentii nessuna, voglia di dorm ire, e neanche di scrivere, di leggere o di discorrere. Avevo un gran peso alla. testa, e provavo il bisogno di aspirare, di cacciar negli ulti'mi meati dei polmoni l'aria frizzante. C').era stata, sere addietro, nell'osteria una interminabile discussione intorno a questo purito: se, tra Vestone e Vobarno, le trote si-peschino phi' facilmente sul far della sera, la mattina di buon'ora, la notte con la luna o la notte buia. Un pescatore giurava che egli nell'oscuritat profonda r'e acchiappava un subis-so. Presa la canna e un lanternino andai a pian-, tarmi dall'altra banda del Chiese, dove certi enormi sassi formano una specie di diga. Mi pareva di quando in quando di sentire abboccar l'amo, e tiravo su; niente. Stufo, mi posi a sedere sopra una pietra e a guardare intorno. Non si vedeva un bel nulla. Nero il cielo, nera la terra: non una stella, non un lume. Garbe, nascosta da un gruppo di alberi, a quell'ora dormiva. Sul dorso del monte, ii' nel sito ove doveva essere Provaglio, apparye un luccichio, forse una candela accesa al capezzale di un moribondo. Era un sepoicro di tenebre, ma un sepoicro pieno di frastuoni. Ii Chuese, battendo contro ai sassi, faceva una musica da assordare: c'lerano dentro tutti i toni, tutti gli ac-. cordi, e il vento v'aggiungeva le estreme note acute. A un poco per volta si 'finiva ad assuefare gli occhi all'oscuritai e a distinguere qualche cosa: i grossi rospi schifosi, per esempio, die shal 32I zavano di traverso accanto a me, la spuma bianca, anche il verde cupo dell'acqua. Avevo ripreso la canna per ritentare la sorte, quando vidi correre a precipizio con le onde e fermarsi alla diga una massa grande, biancastra. Non capivo che cosa fosse, e pure un brivido mi corse dalla testa ai piedi. Presi il lanternino, che avevo lasciato sul sentiero; ma, mentre mi avvicinavo col lume a quell'oggetto grigio, l'acqua, che gli aveva fatto intorno un gran lavorio, lo sollevo e lo porto un venti passi lontano, dove diede di cozzo in una gran pietra che usciva dal flume. L'attenzione intensa mi aguzzava la vista. Aiutato dal pallido chiarore della lanterna tentai di guardare il piccolo tratto, mettendo i piedi sulle teste dei sassi: non mi riusci. Stetti immobile, con gli occhi fissi. Le onde percuotevano la massa informe, schizzando bava, come se fossero adirate, e le giravano intorno, formando un vortice rapidissimo: il Chiese s'ostinava rabbiosamente nel volere trascinar via la sua preda. La spunt6. Loggetto strano fece il giro del sasso e ripiglio il suo cammino, rovesciato in gran furia dal flume. Allora principio una lotta terribile tra me, che volevo conoscere il mistero di quella cosa biancastra, e il flume che me lo voleva nascondere. Conoscevo a passo a passo i viottoli della sponda: in un solo luogo la roccia, che si alza quasi verticale per un centinaio di metri, obbliga a salire e a discendere; il resto della via, fino a Sabbio, e piano. Ma quella salita e sopra tutto quella discesa non erano senza pericolo nelle viuzze strette, fiancheggiate da un burrone, la notte. Le pioggie dei giorni precedenti avevano fatto franare in un punto la terra del viottolo, e bisognava sbal 322 zare, sul precipizio. Saltai senza pensarci, non sapendo dove avrei messo, i piedi, e mi trovai dal1'altra parte sano e salvo, ma col lum'ino spento. Continuai la strada da capre nel buio, intoppando negli sterpi, chiu~so, tra gli arbusti spinosi, scivolando, gil' d.Alla china sui ciottoli tondi, che rotolavano, al piano. FinalImente giunsi di nuovo alla riva del flume. Ma, dov'era andata la massa grigia? Era corsa innanzi senza intoppi, o gli ostacoli, di cui e' pieno, il Chiese, l'avevano, trattenuta? Aspettai un pezzo, senza batter le palpebre, con gli occhi inariditi dihe mi bruciavano. Alla fine Passo nella corrente, in un attimo.' Ripresi a correre anch'io, su quel margine, dove nascono i salici sottili e le larghe foglie delle ninfee. Piui su il prato e' verde, smaltato di flori, e ai pioppi si mischiano i pini, gli olmi, qualche piccola quercia. Li' m'ero posto a sedere tante volte sopra un tronco, abbattuto, studiando, le formiche, ammirando, gl'insetti gialli dToro, rossi di rubino, verdi di smeraldo, leggendo un bel libro, o fantasticando alle cose gaie nella vacuita' della vita. Poco, lontano, dove il viottolo, costeggia un campo, di magre pannocchie, m'ero, sdraiato una mattina a guardare per un'ora di seguito tre gio,vani donne, che raccogrlievano le noci, le quali, scosse da un ragazzo sull'albero, cadevano nel flume, e le tre donne, ridendo, mostravano, le grosse gambe fin sopra il ginocchio, con le gonne legate ai fianchi. La massa grigia era andata ad arenarsi sopra un 'banco di ghiaia, accanto alla riva. Mi tolsi le scarpe e le caize, mi arrotolai i caizoni alle cosce, e camrninai tra le onde. Non mi reggevo, in piedi. II flume mi tirava g~iu con una violenza tnvmnci 323 bile. Sentii la piccolezza dell'uomo in faccia alla volonta delle cose insensate. In quell'istante il Chiese dovette chiamare in aiuto tutte le forze de' suoi abissi: coperse il banco di ghiaia con un'ondata, impetuosa e, avvoltoljando l'orrido oggetto biancastro, lo porto via inesorabilmente. Mi sentii vinto. Rientrando nella mia camera di Garbe ero inzuppato d'acqua e di sudore, sfinito; avevo gli occhi gonfi, la testa in fiamme; i polsi martellavano. Non potei chiudere occhio. Appena giorno mi alzai barcolando, e sulla sinistra del Chiese, lungo la via postale, andai a Sabbio. Ora le mie membra erano tutte ghiacciate, ora dovevo asciugarmi la fronte. A Sabbio, dove spesso andavo a far colazione, l'idalgo e la sua moglie ostessa m'accolsero con un mondo di cortesie, chiedendomi venti volte se stavo male. - Non e niente - rispondevo - l'aria fresca, la passeggiata e la colazione mi rimetteranno. - Non mangiai nulla. Guardavo come in sogno il largo portico adorno di ragnateli, le chioccie che venivano a beccheggiare i minuzzoli di polenta per portarli a' pulcini, la chiesa della Madonna, la quale, alta com'e sul colle e posta 11 proprio accanto, pareva piantata sopra i tetti dell'osteria. Mentre io stavo immerso in queste visioni, entra uno dei figliuoli dell'ostessa, Pierino, bel ragazzotto di sette anni, saltando, e si mette a gridare: - Mamma, l'ho visto sai? -Chi? - L'uomo che hanno trovato nel fiume stamattina. -. bello? 324 No, e tanto brutto. Doniandalo all~a Nina. La Nina era entrata insieme col frate'llo, ma s'era, tosto rincantucciata in -un angolo, del portico, con le mani giunte, mormorando qualcosa sotto voce. Si sentiva a intervalli la parola Requiem, flebile, soffocata. - giovine o vecchio,? - ripigli6 La. madre. La Nina non rispose. Rispose Pierino:vecchio, ha la barba, bianca, lunga lunga. Ha gli occhi stralunati. -Dov'e'? Voglio, vederlo, - gridai scattando, in piedi. L'ostessa mi sbirci6 e bisbigliando:Dio, che gusti! - ordin6' a Pierino, di accompagnarmi. In quattro salti fui alla chiesa, quella del paese basso. In una stanza umida annessa alla. sagrestia avevano esposto il corpo dell'annegato. La stanza era piena zeppa di contadini. Uno diceva: -Chi lo deve conoscere? Si vede bene da' panni che non e' del paese. 'Un altro soggiungeva: - Jo dico che e' tedeSco. -No, di Milano. -Indosso non gil hanno trovato niente? - chiedeva un giovinotto. -Niente: ne6 una carta, ne6 un soldo. -Si sara' affogato per la miseria. -Io dico, che e' cascato nel flume. -Io dico che ye l'anno, gettato. -L'occhio, e da demonio. -Con quella. bocca aperta sembra che ci voglia mangiare vivi. Una bambina si nascondeva, tremando, dietro al corpo del padre, e ripeteva: - Ho paura, ho, paura; andiamo via. - 325 Ii padre intanto, esaminava, da vicino l'abito, dell'annegato, lo toccava e sentenziava: - Bel fustagno! Dev'essergli costato, caro. M'ero, cacci ato, innanzi tra la folla. 11 vecchio del Ponte dei Re fissava gli occhi nel mio, volto, sinistri., minacciosi. Sentivo, in quello, sguardo, immobile un supremo, rimprovero. Alle orecchieni ronzava un sofflo da tomba, che'diceva: - Tu mi hai lasci'ato morire: sii maledetto. Tu potevi salvarmi, tu mi hai lasciato morire: sii maledetto. Tu avevi indovinato quel che io, stavo, per cornpiere, tu mi hai lasciato morire: sii maledetto.Ii soffitto della stanza mi crollava sul capo; la folla mi stritolava. Credevo, di essere nell'inferno, itn mezzo ai diavoli, giudicato dalla voce cavernosa e dagli occhi implacabili di un cadavere grigio. Entro, un. contadino, che avevo, visto ad Idro. Guardando, l'annegato, esclam6:.-Povero, yecchio,' le voleva tanto' bene! Due glorni soli ha potuto vivere dopo morta la sua Teresa!I - 'Mi posero, a letto con una febbre da cavallo. Le impressioni di quella mattina, le fatiche della sera precedente, i rimorsi, produssero ii. loro, effetto: avevo delle allucinazioni spaventose. Gli occhi infiammati mi dolevano, assai. II mio, buon sindaco veniva a visitarmi due volte al giorno, e mi stava accanto, delle lunghe ore, porgendomi egli stesso, le medicine e raccontandomi piano, quando, gli sembravo, un. po' quieto, qualche sto.riella, che non mi faceva sorridere. D'allora in poi la febbre s'e' mitiata ma, ad onta del chinino, non m'ha voluto, lasciare. I me 326 dici dicono -che 6 di quelle periodiche, le quali si pigliano, facilmente con l'umidita' e con gli strapazzi. lo la sopporto in pace; ma non p0ss0 tollerare in nessun modo, questa maledetta, macchia negli occhi. Appena, uscito, dai vaneggiamenti me la son vista dinanzi, e continuo a vederla, come vi ho descritto, ostinata, abborninevole... Eceo, anche in questo, momento, uno, spettro, scialbo e confuso mi balla di contro, ecco che insudicia il foglio bianco. II sole e' gia' trarnontato, e la scrivania rimane in una penombra, che m basta a gettare sulla carta in furia queste parole, ma che non m'i lascerebbe rileggere. Volevo finire prima di accendere il lume, e la macchia si giova della mezza oscurita' per lacerarmi il cerVC1o.,.. La macchia cresce, la macchia - cosa nuova!I prende una forma d'uomo. Le spuntano le braccia., le spuntano le gainbe, le nasce il capo. il mio. vecchio, il rnio terribile vecchio!I Parto stasera; vi consegnero6 io stesso domani questo manoscritto. 0 guarisco o mi strappo gli occhi. (da c Senso:t) 327 ARRIGO BOITO Da Padova, dove e~ra nato il 28 febbraio 1842, venne ancor giovanetto, a Milano per isc~riversi at Conservatorio. Conosciuto, in quell'ambiente Franco Facdo (il futuro grande direttore d'orchestra), si leg6 a lui con amicizia fraterna. Tan't'i chc appena fu loro possibile, insieme si recatono a Parigi per trovarvi Rossini all'apogeo - benche' vecchio,della sua fama. Di rirorno, un terzo elemento entrb con essi aformare una triacie perfetta: Emilio Praga (cot quale Arfigo, tentb' at Carignano di Torino il teatro con una corni media). Net pi& caldo, fervore scapigliato sboccib' ii Me/istofele, tartassato alla Scala ii 5 marzo del '68 e rimesso in arcioni at Comunale di Bologna it 4 settembre del '76. Coinet '66, accesasi n'uovamente la guerra, i tre amici, volontari, tasciavano tutti i sogni d'arte per seguire, semptici camicie rosse, Garibaldi net Trentino. E' nota l'amicizia devota per Giuseppe Verdi; ne' i qui it tluogo. di richiamare i suoi libretti per il gtande Maestro (Si lkgga, se mai, I'epistohsrio verdiano). Passata la venta-ca. della Scapigliatura e rimasto solo. mentre i compagni pi-d cani s'erano, nei modi pusi tragici involati allo spettacoto, della vita, gli rimase sempre nel fondo un senso di ritrosa mestizia. E pure negti onori che it genio suo si meritava (tra t'altro net 19 12 fu nominato senatore), si comp~ortob con un signorile stacco (ch'e' poi un modo come un altro, per essere modesti). Mori a Milano in una casa di cura it 10 giugno 1918. BIBLIOGRAFIA: Le sue opere in prosa si riducono, a soli tie racconti (di cui uno,- II trapezio, - incompiuto); si trovano raccolti in (i Novelle e riviste drarmmatiche )), Ed. Ricciardi, Napoli, 191 Q, a cura di G. Brognoligo. In origine erano, apparsi: L'Alfier nero, in e( PolitecnicoD. marzo 1867; Iberia, in (( Strenna Italiana )), 1868, Mitano-, II Trapezio, in 4i Rivista minima D, 1873-74, Milano. IJALFIER NERO Chi sa giocare a scacchi prenda una scacchiera, la dispon'ga in bell'ordine davanti a se' ed immagi~iii ci6' che sto per scrivere. Immagini al posto degli scacchi bianchi un uomo dal volto, intelligente; due fordi gibbosita' appaiono sulla sua fronte, un po' al di sopra delle ciglia, la' dove Gall mette la facolta' del calcolo; porta un collare di barba biondissima ed ha i mustacchi rasi com'e' costume di molti americani. P, tutto vestito, di bianco e,benche6 sia notte e giochi al lmie della candela, Porta un pince-nez affumicato e guarda attraverso quei vetri la scacchiera con intensa concentrazione. Al posto degli scacchi neri ce'~ un negro, un vero etiopico, dalle labbra rigonfie, senza un pelo di barba sul volto e lanuto il crine come una testa d'ariete; questi ha pronunziatissima le bosses dell'ast~uzi'a, della tenacita'; non Si scorgono i suoi occhi perch6' tien china la faccia sulla partita che.sta giocando coll'altro. Tanto sono oscuri i suoi panni die pare yestito a lutto. 33' Quei due uomini di colore opposto, mud, immobili, che combattono col loro pensiero, il bianco con gli scacchi bianchi, il negro coi neri, sono, strani e quasi solenni e quasi fatali. Per sapere chi sono, bisogna saltare indietro sei ore e stare attenti ai discorsi che fanno alcuni forestieri nella sala di lettura del principale alberg~o d'uno fra i phI' conosciuti luoghi d'acque minerali in Isvizzera. I camerieri dell'albergo non avevano ancora accese le lampade; i mobili della sala e gli individui che conversavano, erano come sommersi nella penombra sempre phiu folta del crepuscolo; sul tavolo dei griornali bolliva un samovar su d'una gran fiamma di'spirito di vino. Quella semioscurita' facilitava il moto della conversazione; i void non si vedevano, si udivano soltanto le voci che facevano questi discorsi: -Sulla lista degli arrivati ho, letto quest'oggi il nome barbaro di un nativo di M-orant-Bay. Oh! un negro! chi potra' essere? Jo l'o veduto, milad-y; pare Satana in persona. -lo 1'o preso per un ourang-outang. Jo 1'o creduto, quando m'e' passato accanto,. un assassino che si fosse annerita. la faccia. -Ed io lo conosco, signori, e posso assicurarvi che quel negro, e ilirtiiglior galantuomo di que'sta terra. Se la sua biografia non vi' e nota, Posso, raccontarvela in poce parole. Quel negro nativo del Morant-Bay venne portato, in Europa fanciullo ancora da uno speculatore, ii quale, vedendo che la tratta degli schiavi in America era' incomoda e non gli fruttava abbastanza, pens6' di tentare una piccola tratta di grooms in Europa; imbarco' segretamente una trentina di piccoli negri, figlioli 322 dei suoi vecchi schiavi, e li vende6 a Londra, a Parigi, a Madrid per duemila dollari l'uno. Ii nostro negro e' uno di questi trenta grooms. La fortuna voile ch'egli capitasse in mano d'un vecchio lord senza famiglia, ii quale dopo averlo tenuto cinqu e anni dietro la sua carrozza, accortosi che il ragaz~zo era onesto ed intelligente, lo fece suo domnestico, poi suo, segretario, poi suo atnico e, morendo, lo nomin6' erede di tutte le sue sostanze. Oggi questo -negro (che alla morte del suo lord abbandon6 l'Inghilterra e si rec6' in Isvizzera) e' uno dei pki' ricchi possidenti del cantone di Ginevra, ha delle mirabili coltivazioni di tabacco e per un certo segreto nella concia della foglia, fabbrica i migliori sigari del paese; anzi guardate: questi che fumiamo ora, vengono dai suoi magazzeni, ii riconosco pel segno triangolare che v'e' impresso verso la meta' del loro cono. I ginevrini chiamano questo bravo negro Tom perche' e caritatevole e magnanimo; i suoi contadinin lo venerano, lo be. nedicono. Del resto egli vive solo, sfugge amici e conoscenti; gli rimane al Morant-Bay un unico fratello, nessun altro congiunto; e ancora giovane, ma una crudele etisia lo uccide lentamente; vie. ne qui tutti gli anni per far la cura delle acque. -Povero Tom! Quel suo fratello a quest'ora potrebbe gia' essere stato decapitato dalla ghigliottina di Monklands. Le ultime notizie delle colonie narrano d'una tremenda sollevazione di schiavi furiosamente combattuta dal governatore britannico. Ecco intorno a cio6 cosa narra l'ultimo numero del Times: ~, volevo, anch'io, la liberta' degli schiavi, l'abolizione della catena e della frusta., benche6 possedessi nel Sud. buon numero di negri. Armai di carabine i miei uomini, dicendo, loro': siete liberi; ecco una canna di bronzo, delle palle di piombo; mirate bene, sparate giusto, liberate i vostri fratelli..Per istruirli nel tiro, avevo, innaizato un bersaglio, in mezzo ai mniei possedimenti. II bersaglio era formato da un punto nero, grosso, come una testa, in un. circolo, bianco. Lo schiavo, ha l'occhio acutissimo, il braccio, forte e fermo, l'istinto dell'agguato, in una parola tutte le qualita' del buon tiratore, ma nessuno, di' quei negri colpiva nel segno, tutte le palle uscivano dal bersaglio. Un giorno, il capo degli schiavi, avvicinan'dosi a me, mi diede nel suo, linguaggrio, Iigurato e fantastico questo, consiglio: ~< - e pen~ando cio6, prese i suoi occhiali affumicati e se Ii piant6' sul naso; poi stacc8' la prima mossa. Indi si volse a coloro che s'erano, fatti attorno e disse con gaia disinvoltura: - I primi movimenti del -gioco degli scacchi sono, come le prime parole d'una conversazione., s'assomigliano sempre; eccoli: pedina bianca, due passi; pedina. nera, due passi; poi gainbito di re, ecc. ecc. - E cosi, ciarlando, sbadatamente, fece la seconda, mossa e mise avanti due passi la pedina dell'alfiere del re, aspettando, die l'avversario gliela prendesse con la sua. II negro, non prese la pedina, ma invece con una m'ossa m~eno, regolare difese la pedina propria sollevando ii suo alfiere di re sulla terza cas~a della regina. Anderssen rimase un po' sorpreso anche di cio e penso: - Quest'uomo risparrnia le pedine; segue il sistema di Philidor che le chi-amava. 1'anima del gluoco. Seguirono, allora cinque o sei masse d'apertura; i due giuocatori si esploravano l'un l'altro come due eserciti che stanno per attaccarsi, come due boxeurs che si squadrano, prima della lotta. L'Americano abituato alle vittorie, non temeva menomamente il suo, antagonista; sapeva inoltre quanto l'intelletto d'un negro, per educato che fosse, poteva fievolmente competere con quello d'un bianco e tanto meno con Giorgio Anderssen, col vincitore dei vincitori. Pure non perdeva di vista il minimo, segno del nemico; una certa inquie. 339 tudine lo costringeva a studiarlo e, senza parere, lo andava spiando phiU sulla faccia che sulla scacchiera. Egli aveva capito fin dal principio che le mosse del negro erano illogiche, fiacche, confuse; ma aveva anche veduto che il suo sguardo e gli atteggiamenti della sua fronte erano profondi. L'occhio del bianco guardava il volto del negro, 1'occhio del negro era immerso nella scacchiera. Non avevano gi'uocato in tutto che sette od otto Mosse e gia, apparivano evidenti due sistemi diametralmente opposti di strategia. La marcia dell'Americano era trionfale e simmetrica, rassomiglYiava alle prime evoluzioni d'una gr~ande armnata che entra in una grande battaglia;, l'ordine, quel primo, elemento della forza, regge~va tutto il giuoco dei bianchi. I cavalli, che dagli antichi erano, chiamati i ~, Milano, marzo i867) 352 33 - Tranquillo Cremona - Attrazione (propi Comune di Milano) particolar 34 - Tranquillo Cremona - Ritratto di C. Dossi giovano CARLO DOSSI Scapigliato nell'arnbito della sua arte e diplomatico nella vita civile (ministro plenipotenziario a Bogoc6 e ad Atene): non ultima contraddizione del suo stravagante temperamento. Ma anche in quelle cariche ebbe particolatiti tutte sue: in Columbia in occasione del centenario del 1892, fa diffondere su foglietti tricolori tre quartine di versi suoi; ad Atene passa l'ore sue di svago a rimestare tra i ciottoli dell'Acropoli, in cerca di reliquie. Nato settimino (come iA Praga) a ZenEvredo (Oltre Po pavese) nel dil della intfausta battaglia di Novara ebbe da natura. sensibility precocissima. Pur tenendo in scarso conto i ripetuti rentativi letter-ari della fanciullezza, sta di fatto che cgli scriveva i suoi 1jbrii phiu vignificativi zdiciannove e a vent'anni (a L'Altrieri v e a Vita di Alberto Pisani a).. Irrequieto, anche se di natura appartata e quasi scontrosa, negli anni suoi di giovinezza fu legato ai principali focolai di letteratura innovatrice. Collaborb alla aPalestra ao, a Cronaca gri gia a), e(ronaca bizantina a), a Riforma iD, ( Capitan Fracassa a ecc. Sposatosi tardi nel 1892, quando ormai gli ardori scapigliati si erano un poco annacquati, condusse fino alla morte vita ritirata. Gli fu cara, soprattutto, una sua villa sul Laro,, ciepuZ' ben dirsi il suo eremo letterario. Mori nel 1910. BIBLIOGRAFIA: Tutte le opere di Carlo Dossii si trovano in: Opere di C. Dossi, Ed. Treves (C'arzanti), Milano, 1910-27. Le edizioni originali sono, difficilmente rintracciabili, anche a causa di certa mania tutta dossiana di aver pubblicaro alcune sue opere in pochissimi esemplari. Moltissimi suoi -scritti inediti debbcono ancora trovarsi presso gli eredi. LA PRINCIPESSA DI PIMPIRIMPARA Ah! bene. L'uscio, non ave'a cricchiato. Jo lo aprii soavemente e, s~ulla punta de' piedi entrai nella camera rattenendo. il respiro e facendo, colla mano, intoppo, tra il lune: e il viso del mio fratellinuccio, di quel caro bottone di rosa che, tranquillo, la', nel suo lettino, candido, dormiva. semiaperte le labbra. Come i miei stivaletti sbrisciavano sul lucido pavimento della sala, il pendolo avea. scattato e, dopo un breve e sordo, rantoilo, con voce argentina sonava. Le tre! Quale straora per uno, sbarbatello! Ve l'assicuro, in vita mia non m'era peranco occorso, vedere che faccia mai mostrasse il mondo in simile freddo punto, in cui, nelle lunghe silenziose vie, le lanapade s'illuminano solo reciprocamente - tant'e' vero che, nel rasentare l'ampio, speccbio della sala, gricciolai scontrandovi una figura e con inquietudine, guardai se, proprio io, dovea essere quel giovinetto, pallido che con un candeliere veniva, verso, di me... m' grigio soprabito... calzoni neri... guantato e cravattato di bianco, il cilindro su'n occhio. ii cilindro! 355 In quella st'essa giornata me P'avevano 'imposto: fu una delle prime cause della sua memorabilita'. Ii come Jo mi sedeva giusto a tavolino, fra le dodici e un'ora, non so se istroppiando, i mici pensieri entro un sonetto o, imbrodolandoveli di aggettivi, quando mamma, avanzatasi cheta cheta nella stanza, depose davanti a me un... chissamai... in'cartato di azzurro. Jo levai la testa. Ella sorrise: - -Eccolo. - Al papa i versi! Gettai la matita e, d'una mano febbrile,. tolsi dalla cappelliera un cilindro, incamiciato di carta -finissima, svolta la quale, scoprii un cappello, nero, come inchiostro di China, lucido, piU'i di un bicchiere molato. Calcandomelo in capo, corsi al mni'o consigliere di vetro, lo interrogai... Uuh! a primo tratto, ne fui malcontento; mi smalti' l'entusiasmo. E, certo, la rabbiolina mi trapelava sul viso, perocche6 mamma, premurosa, mi disse: -Bibhi, non istizzirti. II cappello, nuovo, vedi, eun arnese cui ci bisogna assuefare. Domandalo un po' alle donne! sentirai. E ci vuole anche l'assieme, BibN... Una cravatta pulita, una giubba elegante, un panciotto... - Jo disarmadiai di furia i chiesti abbigliamenti: mamma a-nd6\ a chiamare babbo. E questi venne, poi sopragiunse una vecchia prozia, in seguito la cuciniera: tutti ad una voce - salvo nondimeno, Giorgetto il quale" borbottava die il mio, berrettone da mago. gli metteva paura 356 e giurava sfondarmelo, cosi acquistando un severo: ciarlino,! e rincantucciando poi, con greppo e broncio; -- tutti, dico, conchiusero, die unf phiu gentile cappello non l'ave'vano mai, per lo innanzi, veduto; che noi eravamo, creati l'no apposta. per l'altro; daile dalle, me ne convinsero, tanto, che, dirnentico affatto de' versi alla Luna e non curando quelli del fratellino, uscii a passeggiare fino a di' basso. Su tale soggetto - giova avvertirloho, poi cangiato di idee: le idee, a fortuna, seguono la sorte delle ossa. Allora, peraltro, (quattr'anni or fah) quantunque ghignassi imbattendomi ne' collegialini dei Barnabiti, i quali in lunga fila scarpinavano al Duomo schiacciati sotto de' cilindroni senza un'ombra di grazia, tenevo cio6 nondimeno il fermo convincimento, che il salubre cappello - dico salubre rispetto ai colpi di cannase dotato di u~na certa curva alla moda, felicissimamente si adattava (diavolo di un periodo a qual confessione mi meni) si adattava a un giovinotto, come me - icapirete che per tracciarmi almanco, la dirizzatura dovevo, ricorrere allo specchio - un giovinotto, - lah! modestia a parte - bello. Bmi fu, tale cilindro, origrine di un gande avvenimento. Era per me, proprio nel ritornare a casa con lIui, che 1'avvocato Ferretti, il mio, patrino, attraversava Ia via. -Guido — egli mi disse fermandomi - stasera' mia. moglie fa. ballare. Sai... una torta, una bottiglia. di vino, spumante e quattro, salti. Etichetta, zero. Vieni. Vi ha molte e molte belle ragazze che attendiono un cavaliere. 357 Jo gli opposi che babbo avea la sera stessa seduta e che, quanto a mamma... -Corpo delle Pandette! - esclam6' l'avvocato ridendo ed appog iandomi su'na. gota uno schiaffetto. - E tu? che hai, tu? Non hai gainbe, a caso? Poh! un giovinottQ in cilindroIJo arrossii fino a~lla settima pelle: stringendogli la mano, lo ringraziai. -Bene fui al festino... Ma, alt! Prima di pro.seguire, e' d'uopo ch'io vi presenti la spiegazione - intraveduta forse, pel buco della serratura, da qualcuno di voi - intorno a 'fatti toccati di gia' e, per sopramercato, vi unisca aktre poche parole, affinche6 quel1i die seguiranno spieghinsi da lora medesimi a voi senza nuove postille. Casa e persona del vostro amico scrittore Circa la prima, sappiate, i miei carissimi,ch ora gli occhi della nostra pentola. vedevano un'altra gola di cam'ini, ben phi' stretta, ben phi lunga dell'antica.; vedevano la cappa di una citta'. Babbo, con tutta la sua economia, non pagava phi' tasse sopra la maggior parte delle possessioni di casa (due anni~, pens-ate, che si tagliava,, per cosf' dire, il frumento colle cesoje e lo si stendeva a seccare nei cassettoni! due anni che si vendemmiava coi panieni da caiza!) babbo dunque, affittato il poco avanzatoci, tasta. di qua', tasta di Ia', giungeva alla fine a travarsi -un buon impiego nella vicina citta' qual segretario in una pubblica, amministraziane.I Del rimanente, il trasporto della nostra pignatta, lo avrebbero richiesto anche i miei studi. Non era ancor l'anno dalla partenza di Ghioldi, 358 che, scivolato al grosso Proverbio, il piede su que' pericolosi suoi pavitnenti, rompeva a se' xi collo, a noi canarini ii graticcio, - quindi - non piu' Mae-stri, non libri!... figuratevi... gia' minacciavo una ricaduta nella poltronaggine e nella cattiveria. Ma venne la risoluzione di babbo: noto che nel vagone die ci trasportava alla citta, noi occupavamo quattro, posti; nel quarto si adagiava una paffuta balia con un naccherino tutto polpa alla cioccia, un naccherino che" i miei genitori avean potuto mettere insieme nei mesi quieti di mia iontananza. Quanto a me, allorche6 soilevai la portiera nel raccontuccio, presente,, correvo, il mio quindicesimo: ero, a pena sgattajoiato dal grinnasio, e cominciavo ad ariegrgiare l'omo con barba. Ora, oltre a lavarmi e pettinarmi ogni mattina e, quaiche volta, la sera, facevo, gran consumo, di saponi, manteche, poivere d'ireos; attaccavo molta importanza al nodo delia cravatta, alla freschezza dei guanti, all'arroccettatura delle camicie; ora importafogliavo i miei biglietti da visita, intaschinavo un bell'orologrio d'oro, con catena d'oro, dondolo d'oro - indispensabile per tener sbottonata la giubbaed ora come mi era messo, tutto alla via, in punto, comparivo sul corso, con una giannetta in mano, fulminando degli occhi le tose. In confidenza, peraltro, osservo che subito ii sbassavo, e facevo lo gnorri se mai qualcuna mi reggeva ailo sguardo... Che rabbia! E in questo, volere 0 no, 'saliva a gaila. ch'io era peranco barnbino, in questo e in molte altre cose, ch6' - sebbene ora mi guardassi dal sostare dinanzi le mostre de' baloccai - pure, le sbirciavo vogiio~samente, impromettendomi 'di sfogarmi a casa 359 sotto pretesto di trastullar Giorgio e, tuttoche non mi andasse che mamma dicessemi: -- Bibi o Guidino - alla presenza di forestieri, a quattro, anzi a sei occhi, mi accomodavo sulle di lei ginocchia e le parlavo con un vocabolario di parolinette graziose, inintelligibili a tutti - fuorche a noi. Principiavo dunque, intenderete anche, a ingarbugliarmi in quella matassa di stupide convenzioni sociali piut geroglifiche dei due bottoni che i sarti cuciscono dietro ai soprabiti e causa della maggior parte delle nostre piccole miserie... Dio! quante pene io soffersi per esse. Tra le altre: I.~ Un terribile mal au coeur, avendo, come me lo si offriva, accettato e stretto fra i denti con disinvoltura un lungo sigaro di Virginia - acceso. 2.~ Una spellata di gola e due giorni di letto regalatimi da un fortissimo punch, da me coraggiosamente ordinato, in cambio dell'abituale acqua aranciata, trovandomi in un caffe con mio cugino Tiberio, capitano di cavalleria e vero imbuto di ghisa. 3.~ Infine; i mille ed uno fastidi pel cangiamento di voce. Vi accennero solo a quel di in cui, entrato nella sala dove sedeva zia Marta con la signora Baglioni e la figliuola di questa - la quale, i miei compagni, aveano erroneamente per una mia fiamma - avvisando di dare il buon giorno, m'inviai su'n tuono, cupo, profondo, e finii con uno si acuto, con una stonatura tale che Dora si porto il fazzoletto alla bocca ed io mi morsi le labbra. Ma la cosa sulla quale mi preme condurre, pit che su ogni altra, la vostra attenzione, come quella che apre la ragionissima del presente racconto, e 360 il completo riversamento nel mio naturale. Gerto, molti di coloro che mi conobbero spensierato fanciullo, vivendo giorno per giorno, allegro come uno scricciolo, me ne vorranno forse, perche6 io mi ripresenti serio, riflessivo, alle volte triste, ma, oltre che i fatti son fatti., avverto come ii modificarsi, il mutare de' gusti sia. inerente all'uomo, anzi, secondo, me, costituisca u-no de' suoi principali cai~atteri. Mio padre, da piccolo, sentivasi fuggire l'animo alla veduta, solo di un pezzettino di zucca: ora, ne mangerebbe entro il te'. Non poteva dunque - su via morale - ripetersi un tale caso a mio niguardo? E, invero, la melanconia. che Lisa coll'ultima. stretta. di mano mi gettava nel cuore, si era a poco a poco inspessata. e fatta morbosa; mi avea condotto ad almanaccare, a - come babbo dicevaperticare la luna, scoprendoini uno strano regno di spiriti ch'io non sospettava manco esistesse; un regno, se di difficile entrata, d'impossibile uscita. E ci6' avea fortemente scossi i miei nervi. Sotto ii chiarore del fantastico, mondo, le cose del materiale mi si colorivano, al doppio. Lodavami, a MO' d'esempio, il. maestro? trac... io mi trovava balest'rato nel salonone degli esami, dinanzi ad una tavola col tappeto verde e con sedutivi tre personaggi (cravatta bianca, marsina, decorazioni, sorriso paterno) de' quali uno porgevami un. libro in rosso ed oro. -. Oh! grazie - e tutto intorno, scoppiavano applausi. Cosi'; pigliava una' febbrolina a Giorgio? Madonna! scorgevo sul letto di' lui il lenzuolo segnare le forme di un corpicino instecchito, scorgevo, 11 a fianco una. cassa aperta.... della segatura... fiori e chiodi. Da lungi, l'estremo ternpello di un'agonia; dalla. stanza vicina, singulti. 36i1 IPerilqualche, capito il mio sistema nervoso, torna, piano l'imaginare quanto la festa - altro il completo riversamento nel mio naturale. Certo, che i quattro sadti! - dell'avvocato Ferretti, mi scombussolassero. Le feste, per chi non c.'e abituato, fanno come il vino; montano al cervello. Tutte quelle lumiere con specchi che le raddoppiavano; quel su e gu di gente che s'impacciava reciprocamente il passo, signori vestiti ad un modo'e dallo stesso scipito frasario, dornestici livreati buffonescamente quasi come Ministri di Stato, dame mezzo svestite, con gonne di color zabaglione, ga'mbero cotto, dorso di scarabeo.... di raso, di naussolina, di velluto, con guarnizioni, nastri e fiori di pezza; e quel trimpellamento continuo, monotono di un pianoforte; que' colmi calici di falso-Champagne, il tutto avvolto in un'aria calda, polverosa, che t'incollava la camicia alla pelle e ti elssiccava il palate, mi aveano ubbriacato del tutto. Al che, se tu aggiungi un pajo di occhi che mi guardavano fisi fisi, neri, birichini, come quelli della vedovella contessa di Nievo, uno degli astri della citti se... Die! quando ci penso. Con me, essa avea ballato la maggior.parte de' vaizi, poiche, quadriglie, a me chiedeva il braccio perch6 la scortassi alla cena - e le recai 10 medesimo, lo sgabellino, poi un'ala di quaglia - per me, in quella sera, le lusinghiere frasette, le stralucenti zolfanellate. Pensate dunque quanto se ne dovesse tenere un giovanottino fuggito appena dal materno capezzolo, sentendosi il favorito di un idolo dei meglio incensati, vedendosi su la di lui nera manica il phiu rotondo sode avambacoche mai portasse smaniglie! Sarebbene, fin un. dei sette, impazzito... E proprio ci avea mo. 362 tivo: ne piu ne meno che per certe tosuccie dalla corta vestina, le quali,'in quella stessissima veglia, erano - da un bel luogotenente degli Ussari, dai mostacchi biondi arricciati - tolte, non so perche, esclusivamente a piroettare. Da parte mia, m'abbandonavo a una estasi tale che sono sicuro di avere commesso a quel ballo, e subito dopo, le piui majuscole farfallonerie. Bastimi ricordare come dimenticai affatto, partendo, di riverire gli ospiti, e come, accompagnata la contessina, giusta il suo desiderio, fino a' pie della scala e sospirato all'ultima languidissima occhiata di lei e vistala scomparire, ravvolta in un bianco scialle, nella carrozza, presi a camminar verso casa sotto una folta neve senza nemmeno aprire il paracqua, poi, giuntovi, stetti un buon quarto d'ora, frugando e rifrugando nelle saccoccie, prima di rinvenire la chiave della porta di strada, una chiave, diavolo! lunga dieci centimetri. Con tutta la mia agitazione, peraltro, riuscii, come gia sapete, fortunatamente, a non far cigolare gli usci e ad entrare nella camera; non intqppando in spigolo alcuno, ne interrompendo, un attimo, a Giorgio il suo tranquillo respiro. Entrato, in vece mia, buttai sul letto (dalla solleticante rimboccatura, con due calzerotti di lana rossa al guanciale) la tuba, i guanti, il soprabito e, punto badando alle palpebre che tiravano a chiudersi, mi lasciai cadere su di una sedia presso alla tavola, sopra la quale aveo allogato il lume e a capo di cui - basso il tendone - piantavasi un teatrino portabile, delizia di Giorgio ed anche spesso mia. E ii, poggiai' sulla tavola i gomiti: fra le mani la testa... a scoppiar bolle di aria. Che tuttavia contenessero mai, mi duole, miei 363 cari, di non potervelo, dire. Punto primo:, egli e' impossibile di imprigionare' salvo che dentro tin rigo da musica - certi pensieri che fra di loro, si giungono, non gia per no-di grammaticali ma per sensazioni delicatissime e il cui p'restigio sta tutto nella nebulosita" dei contorni: un tentativo di abbigliarli a periodi con il Jor verbo, ii soggetto., il complemento... so io di molto! li fuga. Punto secondo: avessi io anche la potenza, la quale nessuno ebbe n6' avra" mai, di acchiapparli con invisibili maglie, di presentarveli come vennero a me, bisogrnerebbe che voi, per non trovanli ridicoli, per non trovarli bambinerie, foste, leggendo, nella medesima disposizione di spirito del loro scrittore. Ii che, fra noi, non' pu6N essere. Quando la fantaSia nostra si affolla, quando ci scordiamo di vivere con pelle ed ossa, un libro, - stretto, da noi e con amore, prima - ci sfugge inavvertitamente. Dunque, pazienza. Vi accenner6' solo che, alla fin fine. schiacciata entro lo staccio, tutta la binibara de' miei pensieroni non la filava altro di questo: che l'ingattimento della contessa di Nievo per me - quantunque mezza-bottiglia - era futori del forse e die io riamavala alla spietata... E allora? -Dormi - consigliommi la polpa. Bah! avevo trincato troppi romanzi. -Scrivi - mi vellic6', dall'altro orec'chio, II'imagrinazione. Jo sobbalzai. Una lettera, eh? E come ne intravidi, l'idea, di colpo, con quell1a stessa foga che pochi mesi innanzi, pressavami a comperare' - venti per volta - be scatole de' soldatini di stagno, diedi di grappo alba cartelletta, 1'aprii, intinsi ndl calamaio la venna... cominciai... 364 Con... Ma - in questa - il lume impallidisce e, bizzarri suoni di una metallica musica, simile a quella di certi tinnuli organetti germanici, pajonmi gariglionare dal teatrino die mi sta' in faccia: il lume si smorza; voi fate un sibilo. Ed al segnale, un lurninoso quadrato si forma nell'oscuritat. I~il sipario, il quale, rotolandosi, scopre alla slavata luce del magnesio, un proscenio... Noi siamo nella magnifica reggia di Pimpirimpara: colonne, capitelli, architravi, tutto sembra coperto da un'aurea, impalpabile polve, tutto tremola, scintilla, crepita, esageratamente carico di elettricita'. Ed ecco, nel mezzo della scena, su di un lettuccio S. A. R. la principessa, Tripilla, una bellissima bambola, in vesta oro, ed argento, con un visetto bianco, e r'osso, come una, giuncata colle maggiostre, occhi aerini, -treccie di stoppa stelleggiate di diamanti. Un groppo al fazzoletto, se mai ne usate, filosofi! S. A. che mangia lingue di Araba Fenice e inghiotte perle -sciolte in Tocai, che dorme su, piume di uccellimosca e si forbisce con biglietti da mille, ahime'!1 si annoja pure a morirne. Invano la duchessa di Triche-trach - sua dama che le scalda le coltri - e si affanna, a trillare, a bocca chiusa, le pii'i sdrucciolevoli poesiuccie; invano la contessa, di Piripicchio.- la quale, ogni tanto, le soffia ii nasino con una pezzuola a merletti - pizzica, su' n'arpa priva, di corde, delle inuccheranti armonie: Tripilla batte sempre, stizzosa, ii plumbeo piedino contro le assi del palco: di piui come la marchesa. di Chiacchieretta rispettosamente la prega, di inanimirsi, di non cornpromettere la sua, augusta salute, essa, in risposta, 3b5 degnasi appoggiarle uno schiaffo. Se la spalmata, che, poco, dopo, dalle quinte si ode, intende irnitarlo, che Dio, ci salvi anche dalle carezze della regale fanciulla. -. Ma, taranta'ntara! udite clangor di trombe. Ai lieti suoni di una, fanfara (cioe' di un. pettine vestito, di carta, velina, e di migliarola entro, una scatola di latta) due guardie, tutte d'un pezzo,dai larghi scudi, si' appostano agli stipiti di una porta. E in mezzo a loro, passa il Re di Pimpirimpara. Esso, e un vecchione con barba e zazzera di barnbagia, con una gran corona a gemme di talco, scettro, e globo - insegne le quali davano, ai sovrani di una volta, maesta', e che ora, la danno ai re de' tarocchi; di pit'l, con una, manto d'amoerre celeste, ch'io, giurerei staccato dal cappellino, di mamma. II per-la-grazia-di-Dio, viene, secondo il solito, ad augurare. la buona mattina alla. principessa figliuola; si avanza verso di lei - non senza distribuire de' -pizzicotti alle belle damine d'onore - l'abbraccia e, paternamente, baciale il cipollotto... Senonch6,. tosto, si accorge del malumore di S. A. R. - A un padre non sfugge nulla. Se ne accorge, benche6 le labbra di lei siano, scolpite ad un eterno, sorriso, e ne domandla la causa: Risposta: - La principessina si an-noia.Si annoia? - Ecco, S. M., da babbo, esemplare, offrirle un nuvolo di divertimenti: -Vuoi ch'io faccia tarantellare i miei generali e ministri? vuoi ch'io. converta ii reame in un parco di caccia, avendo, per venagione, i nostri conigli di sudditi? - 366 Ma no. Tripilla crolla sempre la testa con quell'aria che, cosi bene, segna nei burattini: sconforto - quantunque indichi pure~, altra volta: starnuto. -E allora - sciama salt... restando in bestia la Maesta' Sua -- va a spasso, L... Poi - scuote, braccio, capo e gambette. -Gia', andiamoci... fa subito, ad annacquare il paterno, fuirore, la principessa. E qui, tutti si ordinano; ricomincia la musica, cui aggiungesi un picchiamento di unghie sopra la tavola per imitar lo scarpiccio e... via. La reggia imbianca, cancellasi a poco, a poco: dietro di essa, come ne' cromatropi, disegnasi una seconda scena. Gran piazza; - 1'attornia una tiritera di porfici; in fondo, chiesa: sul dinanzi da un lato un albergo, con insegna sporgente; dall'altro, un edifizio, di carta grigia la cui soprascritta porta: asilo infantile. Sebbene il cielo, stia pinto a un immacolato sereno, i signori burattiniti avvisano, di rappresentare: tempo cattivo. Difatti, la luce che pioye e glauca, fredda come in una palude: tu, instintivamen'te aspetti, dalle quinte - un rospo. Ma s'6de il crocchiar d'una toppa. Invece del rospo, dall'asilo, infantile, esce un collegialinuccio. in tunica azzurra, il moccichino appiccato, alla cintola, in mano, la cartelletta... Erbette in mainestra! chi scorgo! Ma sono, io, colui, io stesso. Ecco, i miei capelli ricci, il mio. bel naso all'insiui, le mie labbra sottili... perfino, un certo piccolo neo, alla dritta, sul ciglio... oh oh, chi osZ' mai? Rataplan: in risposta, uno stamburamento. Nasce, da lungi, un rumore simile a quello di molte dita a pizzico, battute su gonfie gote (ca 367 valleria in ga'loppo) poi, Ai patat~-patata' si molti — plica; mescolavisi tintinno di sonagliuzzi1, squilli di casserole e uno, scucchiario, come di mano che frughi, convulsa in una. cesta di posate d'argento. Appaiono i primi fanti; ciascuna fila somiglia ad una spiedata di quaglie... E passane, pas'sane, arrivano i cavalieri, corazzati in stagflolo; certo, de' cavalieri eccellenti per durarla. in sella con i sopranaturali salid, con lo sprangar di calci violento, delle loro, gran' lepri; infine, s'un elefante, spunta, velata, la graziosa Tripilla, fermasi a meta' piazza e, dopo, qualche infruttuoso, tentativo, Si scopre. 0 sfolgoreggriante belta.! Chi la vede, imminc-1hionisce: agghiacciasi sotto gli sguardi di lei il pispino di una fontana. Quanto a me, il che viene a dire... quanto alla mia. brutta copia, rimango quasi acciecato, mi si allarga la bocca, mi si sbarrano gli occhi (aveo movibili queste due parti, indizio della' importanza mia nella. commedia) insomma, mostro, un tal. viso abbagliato che S. A. non puo non addarsene. Allora, ella pispiglia, non-so-die nel bracc'io della sua.- dama, baronessa, Bachero'zzola: un fischio!I e, tutto 1'esercito, l'elefante compreso, da" in un precipitoso, movimento; tanto precipitoso die i soldatucci, per meglio, correre, non toccan phi' suolo e - ingarbugliando, fili di seta e di ferro - vanno ad ammontonarsi in mezzo alle quinte. Gabinetto di S. A. R. - Si' arreda. con molte, sedie e con tavole introdotte dall'alto, si popola con le solite dame e damigelle d'onore. Entra la principessa: essa- va ad accomodarsi, per quanto glielo, permettono, le giunqture, s'una. poltrona. Do 368 po il silenzio di pochi momenti in cuii spicca it ronzio addormentore di una fontana... tac... alla porta. -chi e',? -- un messagggiero; quel. messaggiero in ferrajo,lo rosso, dagli sterminati baffi arricciati, che mi recava una letterona stracotta della graziosa Tnipilla. Ei viene per annunciarmi; trincia de' minuettici inchini e... Ma qui gli succede cosa imprevista; nel compiere una magynifica riverenza, stramazza sul palco col suo filo di ferro,... Allora un manone grassoccio, dai tozzi diti e dalle unghie cimate, discende, prestamente ii raccoglie: risetto beffeggriatore dietro, le tele e la rappresentazione continua. Rapito ii messo, spazzate via le dame, chi se non io, dovea squintarsi? E invero, Ego compare nel suo bell'arnese delle domeniche, Ego che, in sulle prime, tremante, incoraggisce poi e comincia a spifferare a Tripilla una pippionata d'amore. Ma quella, con uno sguardo rimuginante, lo tira subito fuor di rotaja, lo confonde talmente che Ego, persa affatto affatto la scherma le si butta alla balza in ginocchio. Poh! e' s'e' fritto. II iontano rumore che, nel principio, dell'amoroso colloquio pareva quello di un orologio polseggiante in mezzo all'ovatta, ragguunge -ii rombo di cento incannatoi, come in cantina; un bolli bobli, no, sfrigolare, un sussurrio, lo accompagnano. E tutta la stanza si abbuia: con ii cni-crac di cattivi fiammiferi, segnansi, dissolvonsi sulle pareti, girigogoli strani - fosforescenti, fumosi. Intanto de' violini', cesi erano inviati sottacqua, s'instradano, in un crescendo. Fuga. Subiscono, strappate sprezzanti, rabbiose, che obbligano, certo i lor suonatori a hal 369 zar dalle sedie tre dita ogni arcata; - poi - ad un tratto, lampeggio. E nuovamente chiarore. Continuando il frastuono, attorno, nella scena, m si pertugiano, mille finestre con duemila occhi che guardano, giui, e, da cento Porte, una. folfla. di burattini s'incalza, si stiva, 'risucchia come l'onda. del mare. A me treman le gambe: tento, gridarenon posso. La principessa, in questa, le cui pupille gatteggiano' phi' che phiu, incoronami un. cercine, imboccami un dentaruolo. Generale sufolamento; la piena ballonzola, il fracasso aumenta, aumenta. E... bo-um... un colpo di tamburone, poi, tutto, - come una palla, di ferro'die tonfi in negra. acqua, scompare; scompare non lasciando dietro, di se die u.n forte odore di smoccolatura. ed un rintrono da grossa campana, suonata. E io mi sveglio. Ho iA corpo, indolenzito, la lingua allappata, gli occhi mezzo ingommati. Fo\ per stirarmi: ahi! - dico, urtando, contro la tavola - che c'e\? ~- Io ne rimango soprapensieri, qumndi strasecolo allorche6, riuscito tastoni alla finestra e schiusa un'imposta, vedo, vestito me, e il letto, non tocco: quanto allorologio, accenna alle nove; quanto al mio Giorgio, si dorme pacificamente la sua dodicesima ora. Ed impossibile raccapezzarmi; mi affanno, invano a cercare. A chi, dunque, ricorrere? Perdio! alla brocca. Difatti, come v'immergo, le mani - che unghiella! e mi bagno, la fronte, ecco, nella fantasia ripasseggiarmi, a braccio, la principessa di Pimpirimpara e la contessa di Nievo. - Mariuole! penso, io tra lo stizzoso, e il ridente. E H1, non posso rimaerini di dare una occhia 30 ta dietro al sipario del teatruccio; vi si ammontona un garbuglio -di fantoccini: ne volgo tun altro alla carta da lettera posta sopra la tavola, vicino al candeliere senza candela e colla gorgieretta di yetro spezzata; c'incontro in majuscole, tin: Con.,. Mariuole, mariuole!I - ripenso nell'abbeverare la penna. E, perclj le due burlone non si gloriassero almeno di avermi fatto anche sciupare uin foglietto di carta, utilizzo I'I gia' scritto, seguendo: Coniugazione del verbo difettivo, gutturale e nutriente: MANGIARE. E qui ml fermo L'ora e' tarda e i miei ricordi, poveri vecchi! sqon stanchi. Essi cominciano a ciondolare del capo' a palpeggiar le palpebre, a sbadigliare; essi tendono a poco a poco a riaddormentarsi in un cantone del rnio cervello. Lali! buona notte, carissimi. Dunque, vero? potremmo parlar del presente... Ma no. Le gioje e i dolori dell'oggi intorbidano -troppo ancora le acque: lasciamo che posino... poi... Pure, sappiate che, proprio in questo momento, trovomi nella piiUi gentile, nella piu'i comoda saletta del mo ndo. Qui avvampa, crepita un vivissimo fuioco e, dinanzi gli alari, barbuglia un fuliginoso ramino; qui, un vassojo con tazze di porcellana azzurra, sullo scodelletto di cui staccano i piccoli 371 cucchiai d'argento - insieme alla lucente cocoma del te, ad una zuccheriera, ad una coppa di panna ed un buon tondo di panettone a fette - ci attende. A destra del camino, s'impoltrona poi mio padre; egli ascolta colla sua aria bonaccia Giorgio, il quale, accavalciatogli un ginocchio, si sfoga a contargli le negligenze e le cattiverie del signor maestro di scuola: a manca, siedono quelle due care anime nella pupillagi cui, bevo, tratto tratto, le idee. La prima e una donna di mezza eta, pallida, colla capigliatura nera, liscia, e con lo sguar(lo accarezzante: l'altra, una fanciulla di quattordici anni, dai capelli crespi, come spolverizzati di oro e dagli occhi vispissimi: quella, la quale avvolge del filo su'n dipanino, e mia mamma; questa (che, con le mani distese e la matassa allargata, le serve da guindolo) mia... Una mia cugina. A rivederci. (da ~ L'Altrieri D) 372 LA CASSIERINA Dieci anni di meno - Alberto si trovava in campagna. Era solo, su 'n terrazzino della casa paterna che soprastava. al villaggio, stanco, come generalmente si e' agli sgoccioli di una domenica, ii giorno del far niente, e si sentiva, la faccia. accarezzata. dalla frescura. notturna. Poco innanzi, una ventina. di razzi - imagine della. piii desiderevole vita, corta. e splendente - avea., per annunciare la chiusa. di una. festa paesana, stracciato l'aere, e ap.parecchiato tabacco di naso agli uccelli. Ii cielo, nero-fuligine. Tratto tratto, una lusnata vi abbarbagliava per un batti-palpebra, facendo brillare, vetri, gronde ed ardesie: poi, tutto rintenebriva; e rispiccavano le illuminate finestre. Ancor phiu nero dell'aere, il villaggio, pareva. allora un amnmasso di spenti carboni. E dal villaggio sali'vano ad Alberto i suoni maleaccordati di un tamburo e una tromba. Essi., di tempo in tempo, cedevano a una voce di donna., acuta... Di botto, Alberto, si parte dal terrazzino, stacca, un, cappello dal muro, esce di casa; e, giui per la rampa, arriva, al sagrato. in cui, a mezzo di una folla di rustici e in pie' 373 Su 'na panca, illuminata da. fiaccole, era un toccone di came femina, con i capelli a vaso di maggiorana., le guancie a pane buffetto, e la pappagorgia; sua veste, una, petturina di raso non-bianco, e una gonnella. di garza.; sotto, due colonnette da palaustrato. II che maledettamente stonava -con la vocina. di lei. Ma ella, ricorreva spesso al tamburo. Allora, un uomo alla, destra, in maglie, con una ghigna, da pignatta bruciata, ed i capelli alla ciabattina, strideva, una, tromba; e intanto, un pagliaccio a sinistira, abbigliato, da, Meneghino, s~ganzerla. di uno a ventre di contrabasso e a muso hiacca-e-mattone,- gestiva, e, in rauca, voce quasi annegata nell'acquavite, gridava. E i tre saltimbanchi, rullando ii tamburo, -suonando, la tromba, facendo, un fracass'o per trenta, si mettono in marcia: dietro., la barabbaglia, intruppata, a ciufoletti ed a fischi. I saltimbanchi vanno alla, loro, baracca. Ma, ivi, perche6 la folla si arresta.? P, che la' tira vento di rame. Ha bel strillare ii donnone: ~C sotto, Popolo generoso! si tratta delita miseria di un diedicentesimi... > tutti rimangono sodi. Corre quel diffidente sospetto, che e' la prudenza di chi mnoltissimo, ignora, e poco ragiona. Alberto voile rompere il ghiaccio. Si fe' coraggio, e, camminato, ver la baracca, - I'ove si stava, a cassiere una. tosuccia di circa otto, anni., in bianco, con un visino, stregato, gli occhi nerissimi, lucidi lucidi forse dal lagrimare continuo, ed, i braccetti, nudi, die ricordavano, i bastoncini del t~ - butto6 una moneta sul tondo. Fu 'n soldo che diede un suono, di argento. - Lei... - prese a dire la bitnba, tirando una falda di Alberto. Ma non disse di piu'. II saltatore 374 dalla motria affumata, aveva grugnito con ira. Ella serr6' le palpebre come a tuono imminente, e, Aiberto, die s'era volto e avea egli pure compreso, tacque, e con stringicore seguit6 la sua via. Noti - chi si diletta a dipingere - come pezzi di tela e pali formasser due lati della. baracca; gli altri, un muro di orto. E, nell'interno, si vedevano panche, un pajo di cavalletti con padelline di grasso a fumosa fiammella agli estremi, e un organetto gua~rdato, da un cane barbone: volta, quella del cielo. Quanto p-er8' a spettatori, all'entrare di Alberto non si toccava la mezza dozzina. Senonch6, il panno tira, il frustagno. appena Alberto fu entro, ebbevi ressa alla porta; e nella baracca, folla. Ecominciarono <> - giuochi infami! Imagina due piccini, di non phi' di sei, anni per uno, pezzati di nudo e con le animuccie ii' pelie pelle, ballottati senza misericordia; e imagina una' tosuccia (la cassierina) incesa da bicchieretti di branda, a saltar trafelata, cerchi, corde e sedili, tossendo, egrettando a guisa di gioja i gridi che le strappava 'Ii dolore. A un punto, sghiatole il piede, la cadde contro del muro; ne6 il muro, era, per pasta, di quelli di Gerico. Alberto non pote6 phiu durarla, si alz6', e dilungossi con l'animo, die gli sapeva, di brusco. E, quella notte, nella fantasia di lui, ftu un vai-e-vieni; ora, di vispi e puliti pop6' dall'odore di cipria cui, parlando, ognuno, addolciva e le parole e la voce., e i quali, se piangevano mai, era' per non riu.scire a spezzare tutti i loro, be'-belli; ora, invece, 375 di avvizziti puttini - meglio, di piccoli vecchi - a strappi, lavati dalle loro, lagrime solo, mai da nessuno, baciati, mai sorrisi, qui a,grignotare secchetti di pane dinanzi alle golose mostre di una rosticceria, la' rannicchiati entro un pagliajo, bubbolando pel freddo, in compagnia di qualche cane perduto o abbandonato, corn essi. Ii domani, Alberto, si dest6' di buon'ora. Bisogno, ph'i die non voglia, stringevalo a. ritornare sul luogo, del crudele spettacolo. E, come vi hi, trov6' La baracca, spiantata; s'en caricava un carretto. Sopra del quale, uno de' saltatori (quel dal mostaccio, di spazzacamino) in mnaglie ma, con la giacchetta, a ridosso, dava di piglio ad un Palo Portogli dal Meneghino. E questi era ghi, la camicia slacciata (ii che scopriva degi << agnus >>), col muso ancor mezzo dipintoie mezzo verd'aglio. Li' accosto,~ i due poveri bimbi sotto di un asse, uno, per capo, aspettando; in fondo, il donnone, floscio, carname, in ginocchio, che legava un. fardello. E, tra, i curiosi, Alberto. L'occhio di cui, phi che a tutt'altro, indugi6' sulla. faccia, di uno, dei due tormentati piccini, faccia sparuta, smorta, ma,.intelligente che mai. Poterne cangiar l'avvenire, quale felicita.! E, Dio sa che cammino di gloria gli si sarebbe dischiuso!... Una frasuccia, bastava... Ma la frasuccia non venne, ma Alberto si allontan6'. Ch6 a lui; mancava qualch'altro da. rivedere, pur non sapeva, dir che. Proprio, come allorquando s'ha una parola, da proferire, se ne conosce il suono, se ne conosce il valore, ma non c'e' verso di spiccicarla; notando poi, che la co-sa, cui tal parola, e veste, torna, apparendo, moltissime volte inaspettata. 376 La quale cosa, ad Alberto (che svoltava in un vicolo) fu 'na tosetta, seduta sullo scalino di una portella, fisa a un collo di fiasco, rimastole in mano: a terra, dinanzi a lei, cocci di vetro ed una traccia di rosso. La cassierina! Perche si assorta? Gia, era vano di attendere una di quelle fate benigne, le quali, a bei tempi andati sarebber bene venuti. Oh! per le busse, non la dimenticavano!... mai... - E tristamente, girava il collo del fiasco. -Tu! - disse Alberto. La ragazzetta alzo due occhioni neri e calamarenti. Ti batteranno, eh? - domando egli con una voce pietosa. Ella bass6 la testina, e sospirb. -Prendi - fe' Alberto, rovesciandole in grembo tutto che insaccocciava... e soldi di rame. e soldi di argento. Poi, fuggi via. Due sguardi maravigliati e di riconoscenza lo accompagnarono. Ei non li vide; li senti. (da ~ Vita di Alberto Pisani >>) 377 FINE DI ALBERTO PISANI Ii piccolo studio di Alberto eN illuminato. E il nostro, giovane amnico, sta in una poltrona, i'mmoto,, e con gli occhi velati. Tuttavia, non dorme. L'anima. sua e' gi6' gii'i, sotto, lafa di una insipida vita, disamorata, muta. come la via p-ercorsa, da quattro, mesi in qua, dal suo libro'. Suonano nel salottino, argentinamente, nove ore. Alberto apre gli occhi. P, 1ora, al ba'tter di cui, egli usa di fare un giretto nella citta', per rin.c-asare accaldito a coricarsi; e, cdall'abitudine mosso, Alberto, pur quella sera, si alza ed esce. Ma, quella sera, non pigli6 a camminare, come diceva Piorelli, a passi da 'colosso di Rodi: i pensieri' di lui non erano, phi' gli inquieti e i febbrili del solito; ci si sentiva la testa come un. ratne strausato, che non lasciava. se non istracche incisioni; come un fiammifero privo e di fosforo, e Zolfo. E lentamente s'indirizz6 Pei bastioni, sua passeggiata abituale. A que' bastioni, illuminati a risparmio, in sull'allka ve& la cittat, convenivan gli amanti: e Alberto, rasentandoli in furia, spesso avea lor fatto, accapponare la pelle. Senoncli6, 3_178 quella volta, chi trovossi a disagio fri lui. Or, che C'entrava mai egli tomo senza il compagno, tomo de subtilitate, tra q'uei volumi di amori appajati? or perch6' scompigliarli? -- dimandandosi il che, Alberto, attravers6' per il largo il bastione, verso l'erboso rialto che ii marginava all'opposto, sul quale non si vedeva passare che a lunghi intervalli una guardia, imbracciato lo schioppo, pronta a impedire, con un delitto, t'ero, uno legale. Ivi Alberto siede6. Eragli sotto, uno spiano., in cui due doppie file di lampade a gas segnavanoi bordi a due strade, che, dipartitesi ad una. barriera e fatto in salita un mezzo-ovale ciascuna, andavano a riunirsi innanzi a un lungo edificio, bianco, dalle tettoje di ferro e di vetro, dal quale sorgeva, con un chiaror nebuloso, un immenso, battito, un ronzio, un continuo sibilo. E tosto, Alberto fu colto da un desiderio smanioso di salire un vagone e di correre correre, finch.6 ci fosse una via. Ma la volta del cielo, calma e serena, il quiet6'. Due stelle si s9moccolaro'no e sparvero; due vergini eraxi spirate! E quante altre, Dio sa! in quel1'ammasso di case dietro di liii a soffocare d'amore. In questa - voci briache, chiocchi di frusta, ed un rumore di ruote. Passava una carrozzata di gente; forse, al pad di Alberto, infelice, ma allegra. E perche6 non felice? ci' ha, di parerne, un sol, modo?-... Tutti eran felici... tutti - all'infuori di lui. Quasi a risposta, udissi un grido, straziante, e un fragore. Uscia dalla stazione un treno, lasciando dietro di se una striscia di fuoco. Alberto aggricci6. No, non era egli solo, infelice. Ce n'erano altri, e ben piiui. Inquantoche6, 379 quel convoglio trasportava gia' forse u-na spo-sa. novella, frescbissima, col marchese Andal6' suo, padrone; orribile accoppiamento di un vivo a un cadavere; supplizio degno della, fantasia di un Cajo. Sempre la medesima storia! il ricco plebeo e il nobilaccio, spiantato; questi, che con i lenti e faticati guadagni della operosita' altrui, raddoppia 1 phi' arrossevoli debiti; quello, che, per volerlo azzurrare, avvelena il suo sangue... E Alberto, spasim6' di gittarsi sul treno e di rapir la innocente ai lividi baci; poi, tese la vista, in batticuore, sperando ch'e' fuor saltasse dalle rotaje. Ma il treno continuava al. suo sco'po, fatalmente sicuro. Infine', si' Ieva' dal rialto. Gil timpanavan le orecchie. Cammin6' pel bastione un po' ancora; e tenne ver casa. -O\, Alberto! chiamo\, a mezza strada, una voce. Ei non udi'. - O\! - tornO6 a dire la voc'e. Voltosi, vide' Enrico Fiorelli. II quale: -Me ne successe una bella. - Alberto 1'interrogo\ con lo sguardo il meno curioso del mondo. -Ma andiamo ordinati - ripigli6\ Enrico.'Stasera, dunque, ci fu il matrimonio dell'Andal6', sai... -Si' - disse Alberto. — Anzi! ne ricevetti l'invito. -Anch'io -- osserv6\ Enrico. - Ma non volevo, recarmivi. Gredi? io non posso vedere astrozzare neanche un pollastro. Tanto phi', che mi gira pel capo una povera tosa che l'Andal6', dopo di avere condotto su e ghiu per un anno col zuccherino, della speranza, ha, nella fausta occa. 380 Sione, piantato... Tornando a fbi: per me, non ci' -sarei mai andato; *senonche6, passando in caff~, trovo, il papat della sposa. Ci conosciamo, da un pezzo; e' il mio, sarto; il famoso, Franzoni. Ii quale, gonfiatomi aiquanto intorno alla sua. strepitosa fortuna, mi strapreg6O di volerlo, onorare as,sistendo al connubio della. marchesa sua figlia.... Jo colgo, la circostanza e gi ordino un pajo, di brache. << Poi, lo seguo in sua. casa. Un lusso Orientale, ti accerto, senza ii sudicio... Tappezzerie, specchi, livree, tutto nuovo, di trinca... E la sposina, quanto gentile; un ver bottone di rosa, con un visetto Si' delicato, di seta, che io avrei avut'o ritegno a sfiorarvi ii piu' minuscolo 'bacio. mi disse all'orecchio, gongrolando, di gioj a, il papa\. <'rAhi I>> io risposi, accennando ad un callo.,cNon si vedea. che broncio; neppur uno, adulava, non si scoccavan bisticci. Essi! 1 vi erano, dei giornalisti e dei preti. La folla, istessa, addoppiava it silenzio. rendendolo, positivo. E financo, il Tirazza, che fa. ridere sempre, come si pose a stonare, accrebbe ii musone. accompagnammo alla stazione gli sposi, e... notte felice! - Notte iniqua - Alberto esslamo. - E adesso- riprese Fiorelli -eccoci alla mia awentura! Nel ritornare, dico a Giuseppe, il cocchiere, di prendere a dritta la via di circonvallazione. Volevo passare nel borgo di Porta Fiorita per dare un'occhiata alla Togna... sai, quel biondone... No, davvero, non so. - Gia; non e un libro... Siamo dunque in cammino, quando Giuseppe picchia in un vetro (io lo basso) e mi dice guardi ~. Guardo. Una cittadina, dinanzi a noi, va in isbieco, in biscia, e ne sortono grida Fermala dic. Fermala! dico. Ferma vocia Giuseppe... Si, aspetta! La cittadina tira di lungo. Allora il mio uomo, lascia che la si avvicini alle piante, oltrepassa, e le attraversa la via. E quella, investendo un mucchio di ghiaja, risti. 382 Apro lo sportello; s'apre anche l'altro, ed ecco uisire due donne... -Due meraviglie, eh? - fece Alberto in tono0 motteggiatore. -Aveano ghi' la veletta - oppose Fiorelli. - Ed una, avanzandosi a me, che andavo ver lei, disse che il loro, cocchiere dovea. essere brillo. <<' Altro!~ j> o esciamo' ~ ella disse << giungendo dalla stazione, in cambio della barriera, ha tenuto per qua...~> - ~ interrompo; e le offro il mio brougham. Ed ella, un momento indecisa, come sente il mio nome, accetta. Tacio i ringraziamenti. Entrano., lei, cameriera, sacche, sacchette... Jo aizo, il siederino per. me, e...Alberto usci in un lieve sbadig0lio. -Ne'h! stammi desto - raccomand6' Enrico, dandogli contra - siamo alle frutta. I E cosi?~> chiedo io, < dove ho a condurla, signora?~> Ella torn' a ringraziarmi, poi: ~. Al che, io, secondo il mio vezzo... pericolosissimo vezzo... di pensare a voce alta, sono in fil filo di dire ~ quando lei mi previene, seguendo ~. Alberto ebbe un sussulto, gli si sciolse la dormia, e dimando6: -Dunque? -Dunque - rispose Fiorelli - mi raccont6' che sua zia era all'ultimo' lume. Glielo'avea sl telegrafato a Firenze, dove, insieme al marito, la signora contessa ',da due o tre mesi. Quanto al mrtper iA Momento impegnato in affani im 383 portanti e non suoi', sarebbe giunto il di' dopo... In questa, arriviamo in contrada Mores-ca. E la bella signora, smontando, nel serrarmi la mano, not6 che io le doveva restituire la visita. tGuido mi ringraziera'~> aggiunse. -.E dunque? - chiese Alberto di nuovo, quasi a se stesso. -Dunque, la mia canzone e' finita. - ribatt6 Enrico. - E vuoi saper la morale? Te la dir6' sottovoce... ma non ridere, ye' I... Sono, un P0'... un Po' colto, hai capito?... Che magnifica, donna!Alberto nulla rispose. Passavano, presso, un caffe. -Entro, a pigliare un sorbetto. Vieni?Ma, Alberto: -Io non piglio sorbetti. Mi fan sognare di nmorti. -Questa e~ col manico!, esclam6' Enrico. - Piglierai altro. Manca roba L... No?... Be', niente; leggerai un giornale, mi farai compagnia. -No... no, sono stanco, ho sonno - affolt Alberto, inlunato. - t la una. Addio, - e, prendendo la sdrucciolina, Si dilungo6 da Fiorelli con un passo, tale, die subito azzopp6' la sua risposta di scusa. -Gua' che ti voglio, ancor bene! gli grid6o appresso Fiorelli. Alberto era sconvolto nell'anima. II pensier solo, che Claudia fosse nel medesimo, cerchio di mura dov'egli, bastava a fargli tremare le vene: aggiungi, il cupo livore contro, quel non so die, detto per ora destino,, die avea messo, Enrico nel brougham, cioe' gli avea. furato il suo posto, quantunque insieme capisse, che se le parti, com' egli bramava, fossero, state invertite, a lui - Alberto 384 Pisani - nulla sarebbe avvenuto. Gli altri, davano. in mille avventure non ne cercando; egli,. desioso, di una, non ne trovava mai. Dunque, sospinto d-a una bufera di fantasia, camminava impetuoso; e dove' certo pensare, chi I'incontr6, ch'ei s'~affrettasse in cerca d'ajuto per un che veniva od uno che andava. B cosi giunse in un quartiere della citta', fuori di mano, nella contrada Moresca; lunga. contrada, vergine di marciapiedi e rotaje, a suolo ineguale, ma verdeggiante e fiorita, in cui la dimora dci S'ignori Fabiani, disadorno casone a un sol piano e dalle gronde sporgenti, prendeva tre quarti di un lato. Dall'altro, si sciorinava un murello. lvi, Alberto sied6' su'na colonna. rovescia diri~mpetto, alla' casa, e, avvolto nell'ombra del piccolo muro che si allungava sino a mezzo la via, miro, con gli occhi gonfi di pianto, la vasta e nuda facciata, pinta dal raggio, lunare, interrogandone le gelosie una per una, e soprattutto, il portone, ii quale, sbarrato, gli rispondeva un dolcisosimo, (; di fa\ di cui rantolava un mastino.I E il nostro, amico, lungamente stette nella pie-, tosa contemplazione. Sonarono passi da un estremo, della contrada; un uomo vi s'avanzava, canterellando. Ma di botto, azzitti'... Perche? Avea scorto nell'o.mbra la siloetta di Alberto e udito il ringhio del cane. E, bor passando, nel mezzo,, la gelata paura gli dovette gocciare, e, passato, far la restante contrada sotto lo spago, che il raggiungesse una. palla. Volto il cantone, diedela a gambe. B, quando, Alberto si diparti' dab suo, sedile di pietra, ne lev6' seco il freddo. Di bella prima, ei si 385 diresse al cuore delta cittai, ma poi, cambiando consiglio, rifece il cammino verso il perduto, quartiere, dove pieg6' e tenne per una via a cencio'si. tuguri in su'n lato, che si s-erravano l'uno, contro dell'altro, tanto per sostenersi, mentre loro, di fronte correva una roggia, negra, profonda e tentatrice; ini, arriv6' ad una antica chiesola. Era essa di quelle, per cosi' dire, di getto; non gtia un'accolta di mattoni e di pietre foggianti a uno stile. Era di quelle, che non potevano uscire se non da una mente di artista, dalla certezza infiammata di averne il cielo a c'ompenso, in quella eta' in cmu si poteva essere artisti, e null'altro; quando la fede, effetto dell'ignoranza, teneva luogo di scienza. E la roccia degli anni, cie e' ii culottement delle fabriche, fomentava or da lei quel rispetto che in gioventu'i nascea ai passanti spontaneo. Se ne apriva la porta. Alberto entr6' e siedette in un banco. E di ]a' vide il chiaro di luna, che si frangeva nelle finestre ogivali, fondersi in quello dell'alba; e di la' udi/ scoccare cinque ore., poi un pressoso scampanelilo. Nell'aere fosco, si disegnavano, intanto, delle persone.' Ciascuna forse veniva, imaginando appostare, prima dell'altre, l'attenzione di Dio, ii sordomuto eterno. E glisciavano zitte i banchi, e s'~appoggiavano ai, balaustrati, ed accoscia'vansi sul pavimento dalle nobili pietre tombali, cui i devoti ginocchi del popolo, che li scolpivano gi',, aveano quasi smarrito i titoli e i segni di tirannia e insolenza. La prima messa era fuori. Udivasi il borbottio balogio del sacerdote, die si tingeva 'di tanto in tanto di stizza, allorch6' il chierichetto gli avvicinava un po' troppo la stoppiniera at leggio, e gli 386 amen del chierichetto, sbadigli usufruiti; Ed all'intorno, le volte, mormoravano anch'esse le mattutine lor preci. Alberto senti presso di lui un singulto, poi uno scoppio di pianto, tosto affogato. Gli s'era a fianco seduta, una donna, che, dal fruscio dell'abito e per quel mai, che il fioco lume pingea, non dava certo a pensare che supplicasse il Signore pel panem quotidianum; la era forse la mamma di uno, fuggente dal mondo o dalla virtGi; oppure la moglie... Ma qui una luce improvvisa abbarbaglio tra di loro. II sacrestano, col lanternino e la borsa, lor ricordava >. Anche la donna si volse, e Alberto ed ella si videro. E, a lui, risovvenne uno sfreguccio di tosa, in gruppo sullo scalino di una portella, tristamente girando il collo di un fiasco, e a lei, un giovanetto pietoso, che le avea riavuta la speme e germogliato l'amore, quell'amore che poi, un marchese Andalo dovea corre e sciupare. Pur non fu che un baleno. Essi tornaron nell'ombra e il sacrestano continuo la sua via, brontolando e scotendo la mendica bolgetta. Si riconobbero essi, ma tacquero. Piu non era stagione di potersi ajutare. Ci ha mali, il cui rimedio e uno solo, quello di prevenirli. La bottiglia spezzata, ora, ne tutto l'oro di Alberto ne l'oro tutto del mondo avrebbe saputo aggiustare. - Se il signorino permette... direi una cosa - comincio Paolino, il di dopo, in sulle cinque del pomeriggio, versando il te ad Alberto. Di'. - Lei, signorino, soffre... l'ha i calamai... studia troppo... 387 -Bravo! - fe'- Alberto con uno scoppio di risa forzato - hai proprio scelto il buon punto per una. simile osservazione!... Studio? Ma. se fui tutta notte in stonde'ra.!1 Al diavolo i libri! vo' divertirmi, capisci? ho venti anni, e denari;vo' divertirmi, fino a cadere per terra sfilato, ubriaco di Venere e' Bacco.Ma, intanto, piglia a centellare l'innocentissimo te'. Paolino, usci'. Poi, preso il te', dimentico affatto delle sue belle promesse, vinto dall'antica abitudine, tolse un volume dal tavolino, e lo apri'. Era l'anima sua, in quello stupore, durante il quale, se tu mai guardi non vedi, e, se vedi, non Senti. Ei non s' accorse di avere un'libro tra mani se non allorquando fu p-er voltare la pagina. S'arresto6 vergognoso. Avea egli letto? si'. Cornpreso? no. E, secondo il suo vezzo, gett6 per aria il libro. Per lui, addio bella.! Come se non bastasse una vita o'diosamente calma, or Si trovava essiccato quel sentimento, che, a volte, a minuti, gliela facea parere tale qual'ei avrebbe voluto, senza pensate che, spento, il mezzo creatore'd'ogni illusione, era purt spento, quello per ne sentir la mancanza. Ne' ricordava le pene della imaginazione. E cominci6' a lagrimare e gli venne < un desio di morte tanto, soave~> che il viso gli scolori'. Nelle quali stanchezze di cuore, pieta' lo stringeva. Piglio compassione del povero, libro, rinaasto, per terra col cartone all'insuii, e arrossi. Che ci poteva la crosta, s'ei non aveva piiui denti? si' che il raccolse, lo accarezz6, lo raggriust6' nelle pieghe, e gli chiese perdono. Poi, stette assorto, alcun tempo... Ma, a un trat 388 to,, Si scosse e grido6 < non ricordando, l'amico, ch'egli viagrgerebbe con 'se. E fu questa un'idea che gli nacque' in cervello, abbigliata ed armata, siccome in Giove, Minerva. Con la foga febbrile con cui principiava ogni cosa, salvo a lasciarla ammezzata per intraprenderne altre, in men di tre giorni, avea al suo agente fatto, procura, e, a se, provvisto. informazioni e denaro. -Tira fuori i bauli - comand6' a Paolino.Tutti - aggiunse. E Paolino, scendendone, alcuni dagli spazzacasa, traendone altri dai sotto~-scala e altri ancor dagli armadi, giunse a riunirne un. congresso, di ogni forma e misura nell'anticamera. Che, a fianco di uno, vestito in tela grigiastra, qua e la' segnata dai bolli della via ferrata e dagrli indirizzi-rc'lamcs degli alberghi, se ne vedieva uno grosso, nero, dalle pesanti maniglie, con un lato, in isca-rpa, gi Ndi una berlinasopra Esso, era un vecchio di casa. Comprato, da don Gelasio Pisani, il nonno, avea seguito, i genitori di Alberto nel 16r viaggio, di nozze. Par non avea potuto, ingraziarseli mai. <> diceagli sempre Arrighetta. E il disgraziato, rierupiuto di stregghie e gualdrappe, di cavezze e stivali, dovea dormire nelle rimesse, invidiando il compagno e le sacche, portate sopra in istanza, e phiu che tutti, una certa borsetta con Su un cagnolino, in ricamo che la padrona mai non lasciava. La quale: borsetta, poggiavasit ora contra ii grosso, baule; il ca-,gnolin'o era quasi sparito, difeso, invano, dal pepe. E, dietro a costoro, uno, corto, a volta, peloso, mangiato, mezzo dai top~i. Esso, avea servito il canonico Sisto, prozio paterno, di Alberto. Puzzava ancor di caprino. E, pIU cdi una volta e di due, 389 avea fatto il viaggio di Roma (per ordir qualche male, s'intende) a triplo fondo e a segr eti, come il padrone. Tutto al contrario di quella cassa-baule verniciata in celeste del capitano Pisani, spensierata. e mai chiusa, come il cuor di colui; ora, zeppa dli roba, nuova, fiam-mante; quando..t' bulis rasis. POI - se ne vedean ben altri., servi fedeli, amici della. famiglia. E il lungo e stretto. baule, ii quale insieme a Nicola, cugino del capitano, avea passato tre anni nei Barnabiti e gli avea nascosto i dolci e i romanzi... per rincasare da solo! e il cassone foderato in velluto del ciambellano Etelr eldi, padre di donna Giacinta, che rinchiudeva chincaglieria di Corte e livree, e che scampava la vita ad un Contardo Pisani, altro prozio di Alberto, il quale usava firmarsi Cajus Calpurnius Piso, e agiva da tale; poi, tanti altri, e casse e bauli e valigrie, scerpolate e sdipinte, il cui ricordo era ito, ma tutti cari, gia' un tempo, all'esule e al viaggiatore, come porzioni della casa natia. E astucci senza posate, e: cappelliere senza cappello. -Che compagnia, eh? - disse Paolino, battendo l'una contro dell'altra le mani impolverate. -Hum! stracceria!- fe' Alberto. - Guarda di aprirmi quel la'. - Ma udissi una scampanellata: Paolino, corse ad aprire. -C'e",? - disse Enrico Piorelli, apparendo; e come vide il nostro e suo, amnico, - oh bravo! bravo Guido Etelr~di... - Alberto imbragi6'. -Dunque, sei proprio? - osserv6' Enrico. -E come fai a sapere? -Eh! un uccelletto! 390 -0 piuttosto un corbacchio? -ribatte6 Alheero, occhieggiando, Paolino. _ No, no; non e~ un corvo. tutt'altro. Euna gentile capinera. -Chi?Enrico allung6 di rispondere; poi: -Donna Claudia SaMis...Al che, Alberto, commosso, lo piglio6 per un braccio e lo tir6' nel suo studio; gli siedette d'accosto, e: -Dunque? -- gli dimando6 - com'e andata?... Curiosis-simo caso!I - P, andata - fe' Enrico - che mi recavo da lei per la prima mia visita... Sai; la contessa mi ha gentilmente invitato... -Si, Si -disse Alberto. -Be', la trovai nella sala colla marchesa Oleari. Non la conosci? Una vecchia baffuta, che da' a prima vista del tu,. la quale, per aver leggicchiato qualche dozzina di Cosmorami Pittorici, si cre'de in diritto di dottorare su tutto,. Guai contraddirla! insulta; dice tal cose da fame rosso un treccajo. Ed essa pettegolava di un libro che donna Claudia aveva in mano, libro con la coperta gialliccia...Alberto arrossi. -E die diceva? - chiese. -- Non so. Ero lontano le miglia dal sospettare che si parlasse di te; e come la sciocca marchesa non ammette lingua negli altri, allorch6' apre la bocca, io chiudo le orecchie. Solo, di tempo in tempo, mi arrivava all'udito <6l mio chiarissimo amico A dice... il professore B scrive... >> In conclusione, il tuo libro, era, secondo lei una smcidcria. Vedi, eh? cos'hai fatto. 39' -No, che non oppose Albe-rto, con fuoco. -Calma! hai dalla tua la Sa'is. Appena la dottoressa fini, cominci6' donna Claudia con una voce soave, si che sarebbe stato un peccato il non ascoltarla. La ti difese da Paladino. E la vecchiaccia, a replicare agrenaente; sul che, attaccarono lite~, rixnanendo ciascuna., come'~ ben naturale, del suo, proprio, parere. Ma, allora, si ricordaron di me, chiesero, ii mio. Ed io, risposi, che di quel ibro ave-a visto il cartone e non phiu. ( aggiunsi i che libreria -vecchia, per risparmiar la fatica di tagliare le pagine... 3~. E Alberto: -Ne ho di belli e tagliati. -Grazie. Esse mi domandarono poi, se sapevo alcunch6' delI'autore del libro... Guido Etelr e"di? Tornai a dire di no. Qui la marchesa cristianamente noto, ch'egli era, scommetterebbe la testa, un libertino, un poco, di buono... ~ Guido Etelre'di pero6~ disse la SaMis << non e' che un nome di guerra, uno, pesudonimo,;~. -Ma e come sa? -Per via, credo, di un suo, librajo a Firenze... Tant'e'. proferi' il tuo nome e cognome. E, figurati io! J. o, che ti conobbi ciliegia!1 Pigliai tosto a difenderti. E di difesi col pingerti. Dissi di te, quello, die avrei, un secolo, fa, detto di un santo... -Troppo, troppo' sclamo6 impazientito Alberto. -No, sai;, inquantoche6, sul fini're della mia tirata, la quale ebbe la gloria di rompere quella della marchesa e d'itnballarcela via, la gentile contessa. desider6' di conoscerti... -0 amico! - interruppe Alberto, baizando; e abbracciollo. - Gil e un caso si strano'! mira 39'2 coloso! E voile uscir con Enrico, chiacchiero6 tutta. strada, e, allorche6, si lasciarono, 10 riabbracci6' e bacio6. - Guarda, bimbo - fe' Enrico, - che per domenica a sera ti apposto. Siamo, intesi, nl'~?... E non mi fare capricci;,se no!... se no, ti rapisco. - Oh! Alberto, per ii, mornento, non avrebbe-ne fatti; sentivasi troppo bene; e, appena a casa, yolk riposti i bauli. La fantasia di lui, prepotente, che in un. battere d'occhio gli costruiva immensi edifici, salvo a lasciarseli poi sgretolare da mulle dubbi ed arlie, glien erigeva ora. uno, in foglie di rosa. Dal soddisfaci~mento che a Claudia fosse piaciuto ii suo libro, pass6' all'inquieta sp-eranza die a lei avesse anche a piacerne l'autore, poi, tolto ii forse, se'n persuase gia' amato., adorato, e, di maglia in uncino,. riusci a trovarsi impaccia~to della'situazione. Altro, e scriver romanzi; altro, famne. Ed ei cominci6' a star male, a cambiare di stanza e di sedia senza riposo, a uscire di casa per rientrare SUbito., Infine, ecco ii di' posto; diii1 a tre ore, la visita. Enrico Fiorelli, alle otto, ha da. venire a pigliaro, ed ella gli parlerah, sorrider, gil stringer la mano due volte. Oh potesse saltare a pie' giunti quelle tre ore! Ma qui si discopre una batteria, nascosta. Gli e' il suo, vecchio nemico, ii dubbio. Quale impressiLone fara' la presenza di lui a Claudia? Ch6,. la presenza e' la prima - se non in tempo - in grado, delle commendatizie. Darai un. due-lire a una birba artisticamente a strappi; mancherai di moneta per colui che non pu6,. o non avverte, di far la macchietta. E Alberto, adocchiando, lo specchio, pens', che presentandosi a lei, perderebbe ad un 393 tratto quel fil sottile di amore, che con si grande fatica avea giunto, e dopo tanto desio. In quella, entra Enrico. - Siamo pronti? - fa: poi, osservando come non si era: - To, l'avrei detto! - Va tu - dice Alberto con un far desolato - io-mi sento a traverso. - Oh diavolo! cosa? -- Male, malissimo. - Vero? - dimando Enrico a Paolino, il quale sopraggiungeva con un soprabito in mano. Pure - noto il servitore - il signorino ha mangiato con molto appetito a tavola. Signorino! - aggiunse - ho qui il soprabito nuovo. Vuole provarlo? - elegantissimo, ve'? - disse Enrico, ammirandone il taglio. Alberto di malincuore il provo. -Va di pittura! - esclamo Enrico. -Come sta bene! - ribadi Paolino. E non eran bugie. E il nostro amico sorrise. -Dunque; andiamo! - disse Fiorelli - ho da basso il mio brougham. - S; ma cosi... cosi non vestito.Ben si vedeva che Alberto non rampinava che per onor della firma; fece un po' ancora le smorfie, ma si abbiglio. E, per buon tratto di strada, tennesi zitto, impalato. Influiva allora su lui l'amido e la manteca; il mondo esterno cioe. Tuttavia, allo svolto della contrada Moresca, il mondo interno ripiglio il sopravvento. E Alberto disse allora ad Enrico: - caro te, mi sento male davvero. Non vengo. - Enrico dce' in un'allegra ridata; poi 394 -Eccoci at tuo, sacchetto, di pulci. Credevo pro~prio, die, almeno 'stavolta, lo avessi scordato a casa. Capricciosissirno! Ma non la vinci! sai. Vieni o io ti Porto in is-pa11a~.II nostro amico si rannicchio6 sul fondo del brougham. Enrico smonta: -Giti dunque! Alberto borbotta, si morde le Iabbra; ma, come si adda' che iA cocchiere s'e' messo a guardarlo, scende. E, rimorchiato da Enrico, passa una portineri a deserta. -Dove vanno, eh? - grida una vecchia, yenendo loro all'incontro da mezzo il cortile. -Da donna Claudia SaMis - fa Enrico. E la vecchia: -Donna Claudia e~ morta. I pensieri di Batrnaba, io v'assicuro, non erari,, di metafisica; ne6 potevano essere., ch6,. Batrnaba, era stato allevato al mestier del becchino, cioe' a non vedere nei morti se non funerali di -rima, di seconda, e di terza, o la tutta parata ad i caizoni del prete, corrispondenti ad una certa tariffa. E, avesse avuto anche il ticchio di scoppiar bolle di aria, gliene mnancava il tempo; troppo, egli avea giat a fare, caprendo i dotti errori dei medici. Ora Barnaba se ne stava seduto presso una buca non peranco acciecata, al di dentro, le gambe. E riposava. Con una mano, rompeva, di tanto in tanto, da una pagnotta che gli era abla dritta, un pezzo di pane e se la. recava alla bocca, mentre, con l'altra, fregava sopra il ginocchio un coso... come 395 un bottone; rompea, un aktro pezzo, di pane, poi adocchiava il bottone. Oh! gli eredi han ben cura di conservare ogni ricordo, prezioso, del loro, povero, morto! Non si trovan che ossa, non si trova che stagno! e ii,. scotendo la, testa, Barnaba getto6 nella buca. il bottone. -Nonno - chiamo6 una vocina di tra le croci; euna bimba con i capegrli sciolti, vere accie di seta, apparve, tirandosi appresso un carrozzino, di latta con - su legata una bambola. E disse: -Un signore ti cerca. - Venia dietro di lei un magro, e malinconico giovine. -Ecco, il nonno - fece la bimba, additando Ba'rnaba. E Alberto, accennato al becchino che non si -movesse, costeggiava la fossa e siedevagli acco.Sto. Ba.rnaba si tocc6 il calottino, con il rispetto dovuto, a un che davagli pane. E Alberto, continuando, dopo, un giro e rigiro di, frasi, disse, che un caso, tra i piiii interessanti per l'arte sua e la scienza, era accaduto, nella citt~ con letale esito, ma che i parenti del trapassato gliene avean negata la salma... -Io non vendo, i miei morti - interruppe il becchino,. abbujandosi in viso. Alberto trem6'. -Pure - aggiunse - voi ne avete venduti. Pu, di tremare, la volta di Batrnaba. -vero, - egli rispose - ma sono corsi tanti e tanti anni... E feci male allora, malissimo. -Ora fareste bene - esclam6' Alberto. -No, no - disse Bairnaba - ne ho, gia' traditi abbastanza. Son veccbio, e fra non molto, do 396 vr6 io pure dormire qua. I morti tengon rancore. -Ma quel. vostro angioletto di nipotina -- fe' Alberto - preghera' sempre per voi... Io, vi offro... dieci biglietti dai mile.Bairnaba trasali: guardo6 la sua bimba, la quale, seduta su'n monticino di terra, mangiava pane, e sole; vide il visetto di lei, delicato; ed i pieducci, nudi; vide le proprie -mani in cui la vita essiccava; e, con la voce, come lo sguardo, bassa, mormoro: -Fiat voluntas Dei!Notte. Un padiglione' di nubi, si stende sulla pianura; il bujo. tinge. t una. di queule notti, in cui i viaggiatori salgono a contracuore nelle carrozze, e i cavalli aguzzano spesso inquietamente le orecchie, e le perdute vigilie sentono piui che mai il desio, di pigliare la fuga. Alberto sta asserragliando la piccola porta in fondo al giardino della casa. del mago. Ba'rnaba ne e appena uscito con u~na carriola. vuota. Solo! E se ne stette, un momento., soggiogato dal peso della sua tanta sciagura; poi, corse alla casa, correndogli il sangue ancor piA. Ma, di botto, arrestossi. Era alla, porta; e,, di la" ella attendeva. S'arrest8 colto da raccapriccio, battendo i denti e i ginocchi... Si vinse. Con uno 'slancio, aperse le imposte, precipitossi al didentro. Dal davanzale del vasto camino, un lumne, schiarava, sul tavolone di marmo una bara, nuda, simbol di morte il phi' odioso. Ma. il chiaro non arrivava alla volta. Ombre paurose stendevansi sulle pareti. E Alberto chiese coraggo ad una folla di lu 397 mi. La nuova luce lo rinfranc6'; Ja nuova luce e ifiori, ch'essa pingeva all'intorno - glicini e rose - pendenti dalle lumiere, appese alle sedie; in ceste; in cestini. E Alberto, afferrato un martello, salf sopra la tavola.' Rison6' ii primo colpo. Udisse un crac nella stanza. Egli rimase coal martello sul cofano, non' osando volgere, gli occhi, e neppure di chiuderli. Pareva 'a lui, fosse entrato qualcuno... Ci voile proprio uno sforzo-per obbligar la pupilla a guardare... Niente! E respir6'. Dunque, cominci6' a temp-estare rabbiosissimi colpi. Tardavagli di rivederla. Giunto a ficcare in una fessura ii martello, diede leva al coperchio. 11 quale si distacc6', seco traendo, pei chiodi, un lenzuolo.,E Alberto strappollo, e il, rovesci6' g-iu d~alla tavola. Quasi nel mredesimo tempo, le paredi sconnesse si aprirono e caddero, cedendo al peso di un corpo. che si allungava e allargava lentissimamente. IApparve una figura di donna, -tutta di bianco, dalle mani intrecciate e gruantate; i caizari di raso e, un fazzoletto sul viso. II martello sfuggi ad Alberto. Ei rest6 presso di lei rannicchiato; immoto e freddo corn'essa. Sotto quel fazzoletto, era lo spasimato sembiante; avrebb'egli avuto coraggio di discoprirlo? E, qui, un serrato contrasto di sf e di no. Fe' per stend~er la mano; la mano non gli ubbidif. Volea, ma non poteva; i polsi gli ralle~itavano; momenti, durante i quali, il legame tra lo spirito e ii corpo, era interrotto. Ma, infine, si riappicc6'. E, Alberto, pote6 allungare la mano, sul fazzoletto... 398 Ella! - Bianca del muto bianco della cameIla, finalmente aperte le labbra, gli occhi velati, si dorrmia tranquilla, come se in luogo fuor dalle nubi del mondo. Parea sifaita. d'amore. Morte, ave'ala fatta sua con un bacic lievissimo. E a dire, che, proprio in questo momento, egli avrebbe forse potuto - trionfando di iei e di lui - attinger la vita, tra le sue braccia, di fuoco! Oh fosse, quel che vedea., un sogno!... Si! 1 lo dovea; sogno ben sensibile, ben agghiacciante, ma sogno. II ribrezzo lo strinse. E pens6' ch'era un sogno, ma il grande, quel della vita, quello di cui ci svegliamo morendo - se ci svegliamo. La fantasia di lui infiammava; i suoi nervi strappavano. Si; ci svegliamo. L'anima. non pu6' finire. Quella di lei, forse ii' intorno, tristamente mirava it bel corpo. dal quale era stata divisa... E se peranco indivisa? E se fluita. al. cervello, ultimo spaldo?... Ma gia' il nulla si avanza da tutte le parti; ancora un. secondo, ed ogni vita e' scornparsa; e, sulla vita, si riunisce l'oblio. Senonch6' il nulla come il finito, e' inconcepibile. E... se fosse... non-morta? Qui, Alberto si piego6 su di lei, speranzoso, bramoso di un segno die dicessegli si', di un fuggitivo rossore, un sospiro. Orribilmente gli battean le tempie. AhM... egli ha scorto tra le socchiuse palpebre, rianimarsele l'occhio. E le apre, o meglio, le straccia, in sul petto, la veste; e le preme la mano sopra il. nudo del cuore... Ed ascolta... Un battito!... Vive! Per lui essa deve rinascere... 399 No! Un medaglione che le giace sul seno tosto risponde vivra per un altro. Incendio di gelosia. Attorno a lui, tutto gira. Strappa di tasca una terzetta a due colpi, e gliela scarica contro. I1 medaglione, salta in cento frantumi. Poi, volge 1'arma a se. Ci ha un terribile istante, in cui la paura gli aggroviglia le vene: ei serra gli occhi; ma il colpo... parte. L'arma, piomba fumante, giu dalla tavola, in una cesta di rose; Alberto, cade sul desiato corpo di lei, morto. (da ~ Vita di Alberto Pisani >) 400 INCENDIQ DI LEGNA VECCHIA G'era una volta un signor Ze'firo Virgoletti. Egli era uin omino di quelli, tutto. elasticita" e tutto pepe, nati a confondere iA fisico assioma che c dal nulla vien nulla ~>, di quelli, che cominciata, la loro carriera arrampicandosi dietro i calessi, rie'scono a terminarla sdrajativi entro, comodamente. E in verita', Virgoletti possedea con abbondanza gl'indispensabili requisiti per fare una principale figura nel mondo - doppio pel sullo stomaco e doppio bronzo sul viso. E gia' avea, a quell'ora, esercitata ogni sorta di <, dal g~iornalista al cantante, dal vendilucido al candidato politicos; avea gia' fatto il maestro di quanto non conosceva neppure di vista e l'inventore d'ogni introvabile cosa, fatto l'autore di opere in mente Dci e il presidente di Societa' non ancora, concepite, fatto, il dottore della magnetizzata. e 1'emigrato e il, ferito, ~, e cosip avea, per lire cinquanta, giurato in Lutero affine di rigiurare per cinquantuna nel papa; scritto quindi di ascetica e negoziato di bambagina; cucito libri pel popolino sul modello-Cant'i e offertogli insieme quel terno die per lui non sortiva; 4 01 barato poi, composto balsami" e acque per ogni ciasse di gonzi, cavato un dente per l'altro; cornpilando progetti a estinzione dei pubblici debiti (e ci6 mentr'era per i privati, in catorbia) e. fondando accademie di letterati e scientifici scrocchi o bandie predestinate a fallimenti lucrosi. Ma ecch6! 1 La stella della disdetta brillavagli immota sul capo. Vane le trappolerie, vana la parlantina, la sfrontatezza, la insufficenza (che e' tutto, dire), egli, sul buono, d'ogni intrapresa, si addava di trarre ii flt senza groppo, di sparar senza palla, per cui raggiunti i trent'anni e sol trovandosi in costa un appetito da eroe, avea finalmente compreso che una fortuna, se non la scopriva gia' bell'e fatta, per conto, suo non ne farebbe mai phi'. E cosi' c'era una volta - appunto la volta del signor Virgoletti - una donna sul. fibre della vecchiaja, che si chiamava la signora Savina Brembati. Vegetava Costei in Lomellina, tra i suoi fumiferi letarnai, le sue stalle. di vacche, le sue formaggerie, inconscia siccome un polipo, vergine come... - non ci ha paragone. Ella era una montagna di grascia; un puddingo di butirro e di manzo, e,, perch6" zoppa un tantino, godea del sopranome di (<. Sulle poppe di lei Si sarebbero accomodati agiatamente due gatti; per abbracciarla del tutto bisognava essere in due. Buona poi, vi so dire! Stava in mezzo a cinquemila pertiche di marcia tutte sue e si contentava. Nelle dodici ore che la do'rmiva ghi' e nelle dodici dormite su, non un pensiero in jattura' del prossimo. Anzi, la tenerella usciva dalla cucina ogniqualvolta vi Si sgozzava un pollastro, raccomandando- per6' di non buttarne vria il sangue, e se, vedea un ragno, Dio guardi toccarlo! AM~ povera bestia! - chiamava. tosto, la serva con la ciabatta. E mensilmente faceva la sua carita' della <> nella, cassetta del sagrestano e quando sentiva cie qiialche colono, era caduto animalato, recavasi personalmente a vedere... se ci6' fosse vero, purche6 egli stesse a terreno, ch6' la di lei carita' non saliva le scale. Russava, poi la santa, sua. messa ogni domenica, mangiando devotamente a Natale il panettone; ostie a Pasqua e ova sode, requiem ai Morti, e tempia., ros~ario a Ognissanti e castagne, e digiunando, nelle feste di magro gamberi e trote. Into'rno a lei tutto, ingrassava. Era lardo die respiravano, i pori. Fanny, la sua cagnina, di grembo dovea spellarsi, camminando, la pancia. Capponi, oche e tacchini, buoi, giovenche e majali, pareano, per la pinguedine, bestie non mai vedute; faceano quiasi, phi' che appetito, paura. D'amore, gi o si parla. Troppa ciccia, ovattava, quel, cuore per essere leso, da un dardo; eppoi l'amore e' si' incomodo! ~ dicea lei. Unico vuoto che la signora Savina sentisse, era quello del ventre; zeppo il ventre, non pensava che al letto, ma non Al letto, di chi -non vuol riposare, a un letto invece tutto, mollezze, senza rimorsi e prurito, senza desii, senza, so-gni, tranne qualcuno di lotto. Infatti il lotto era la sola, emozione che la signora Savina, si permettesse settimanalmente. E ben lo sanno, que' tre galabroni impuntigliatisi a fare la corte alla sua uva e a disputarsi quelle cinquemila pertiche di cuore, il, primo de' quali, dioe il dottore Semenza, un terribil barbone dalla voce in falsetto, ella fe' dire che la smettesse con le s-erenate, perche6 la notte fu fatta., non per sonar ma. dormire, minacciandolo, se seguitava, di rinfrescargli la testa con qualche cosa di meno inno.. 403 cente dell'acqua, mentre al secondo, che era il maestro Giglioli dalla schiena a D e dalle gambucce a X, osserv6' sur il muso, che lei non amava un bel niente quella poetica, conrfidenza di dar del ~>. Era, dunque, del giorno, annuale la primavera e del giornaliero anno, lestate (alias, il mezzodf') La nostra rispettabile dama scendeva 'machinosamente dal suo, piano terreno e a traverso il giardino -un giardino, non dalle poetiche ajuole di flori, ma tutto prose e leg-umi - incedea, seg-uita dalla fedele Fanny, un po' tentennando, verso, il cancello. Che il cuo~co, quella stessa. mattina nel pettinarla, (stomaco, e testa in casa Brembati erano in mano del cuo~co) aveale raccontato, di uno, strambo, di uno die si vedea da due o tre di' al cancello, ammirando, per ore quel fico, venuto appena d'America e bench6' la curiosityt (questa maschile virt-i e femminile vizio) non parlasse tropp'alto nella -signora Savina, purtuttavia, siccome stavolta il soddisfacimento di essa coincideva con la quotidiana sua passeggiatella, la nostra. signora la udiva e davale ascolto. Difatti, di la' del cancello, e appoggiato alla griglia, stava lo sconosciuto. Era un ometto tutto yestito di nero e dalla. fisionomia di sorcio da moscajola. II quale, come scorse Ia dama, toccossi 'rispettosamente il cappello, e la dama, bene educata anche lei, gli rese con un cenno di capo, ii saluto. -Oh che pianta! oh che pianta! - esciama 405 va lIometto. -Scusi, madamna... La ~ forse una ficus Linnei grattabolenta?' -Gratta...? - dimando6 con un sorriso intrigato la signora Savina. - Sarai benissimo. Ma se'il signore - aggiunse, scorgendo che Virgoletti volea come schizzare i suoi curiosi occhietti sul, fico - desiderasse di osservarla un po' meglio... - ed aperse il cancello. Quanta compitezza! Virgoletti si confuse 'in ringraziamenti, si dilomb6' in river-enze, si sbracCIO in scappellate. Volea anzi tenere basso il cappello, ma. la signora non lo permise. Fattosi poi alla pianta, vi si accosci6'. Un padre al non sperato ritorno, dell'unico figlio non si sarebbe condotto, altrimenti. Palpavane il fusto quasich6 non credesse ai propri occhi, diceale frasi di tenerezza, la contemplava estasiato, tanto estasiato, che la signora Savina dovette pii'i di una volta e di due ripetergli: << e forse il signore un botanico,? >> -Un po'... - Virgoletti rispose; e ii', togliendo gl'incastri alla torrenziale sua lingua, Ia fe' saputa com'ella possedesse un. esemplare di fico, che nelle grandi collezioni di Parigi e di Londra era chiamato < e sulla propagazione di cui in aperto, terreno, pendevano, ancora indiavolate questioni e si erano posti de' grossissimi premi; come, peraltro, il suo frutto non lusingasse troppo, il palato, salvo a innestarlo con una cert'altra preziosa qualita', che sapeva lui, suo, segreto, ma ch'egli avrebbe ben volentieri mostrata a una Si' bella, a una cosi nobile dama. Alla quale profferta, incartata in un complimento, la signora Savina non pot6' trattenere un sorriso di riconoscente accettazione; e, tracch! il signor Virgoletti ci ribadi' la promessa di soddi 406 sfar la promessa al domani. Cinque-e-cinque-dieci, lasciaronsi simpatizzando. E il giorno dopo arrivo e con esso l'innesto del signor Virgoletti. La signora Brembati porse lei stessa le bende per la lattea ferita e colle forbici che le pendevano dalla cintura taglio il superfluo spago del cappio. L'operazione riusci a meraviglia. Zefiro e la margotta innestaronsi perfettamente. Allora la dama, per dimostrargli in qualche maniera la gratitudine sua, lo invito nel << di lei povero nido >. Come mai dir di no alla cortesia in persona? Per cui si posero insieme in cammino e la gentile elefantessa, sempre seguita dall'adiposa Fanny, condusse il nostro cecino a vedere i suoi ~augelletti>> (intendi la polleria) ch'ella ingrassava al filantropico scopo che ingrassassero lei, e le sue ~scuderie~ splendida occhiata di mammose giovenche e di cornutissimi buoi, con la vicina formaggeria dai candidi laghi di latte, fresco tanto da essere ancora caldo, e dalle pietre mugnaje di cacio, pezzi da cento lire lievitati in commestibile forma; poi, rasentando un ruscello, le cui rive eran tela e la spuma sapone, e passando framezzo a formidabili torri di legna (ne ci volea meno per cuocer tutto quel riso che la incessante pila brillava) lo condusse a veder le sue << grotte,, che aveano per stalattiti salami e per stalagmiti bottiglie, con uno sfondo di botti di cui nessuna rimbombava al'nocchino, e i suoi <> biancheggianti e ferventi di que' preziosi operai - operai ad un tempo e materia - che cangiano foglie in seta quali artisti di genio. Non solo. Ella lo volle in sua casa, donde il fragile lusso di noi cittadini non avea ancora bandita la campagnuola massiccia comodith, anzi lo ammise ne' penetrali 407 phi6 sacri, cio~ nella stessa sua. camera dal verginale lettone matrimoniale, una 'camera in cui si aminiravano, non scatoloni di vesti ma di semenze e seccumi, non tavolette di pettini ma di cioccolata, non vasi di fiori o manteca ma di rosmarino e, mostarda; e nel cucinone dal molto, affumicato, camino, e dalle pareti di rame, lusso, cola' non ozioso., non sottointendendogli manco, la relativa, morale (Morale fatta phi' chiara dalla doppia misura del seggio) c'onsistente in quel luogo, trionfatore del medico, che fu chiamato per eccellenza t il cornodo,~> dall'essere forse solitamente 1'incomodisSiMO. E qui volontieri ripeteremmo le esciamazion entusiaste del signor Virgoletti al magico, svilup-. parsi di cotante bellezze, ma. il compositore ci avverte che in tipografia non sono, punti ammirativi bastanti. Diremo solo, che le figliavano come cimici e con esse aumentava nella. signora Savina il prurito di simpatia per lui, tanto, che quando, si fu per lasciarsi (tossendo, bronzinamente in quel punto la campanella del pranzo) ella il prego... di restare. Dal quale pranzo, data la nuova vita per tutti e due. Virgoletti trovavasi infine a suo posto. Capo /'rimo; vuoi la speciale cori~ormazione, vuoi la non florida borsa, Virgoletti vivea in un perpetuo, aippetito, il che, se non ~ la migliore delle commcndatizie per noi che bruciamo, phi' legna a stirare che a cuocere e che, contenti del fumo, come g'Li Iddii dell'Olimpo, spendiamo pel cuoco quanto dovrebbesi in cibo, mangiando, in gran porcellana porzioncine minuscole e bevendo in magnifici vetri pessimo vino, quasi che fosse il bicchiere e non it vino da bersi; se, dico, cotesta-qualitA di 408 - una bocca alta di cielo non troppo benvisa a noi dall'ambiziosa miseria, e la piu accetta, e la carissima invece ai nostri fratelli rurali, unici eredi della paterna ampia ospitalita. Capo secondo; senza contare l'inalterabile e inesauribile buon umore, porta maestra nelle case de' ricchi. Zefiro possedea, anzi era un manuale di cognizioni per ogni sorta di pranzo: ad esempio, un polio ei lo sapeva trinciare tenendolo infisso sul forchettone e sollevato dal tondo, sapeva condir l'insalata in maniera da soddisfare a diec diversi palati, stappava i un colpo le piu ostinate bottiglie, riempiendo con mille giochetti l'aspettazione fra l'una e l'altra portata ossia traendo inaspettati partiti dagli stecchi, dai piatti, dalle posate... e vievia. Or voi pensate alla nostra agucchiella che non avea mai visto altrettanto! Raggiava il suo onesto faccione, le tremolava la pappagorgia, e il ridere, lagrimandole a tratti, la obbligava a posar la forchetta per asciugarsi gli occhi col tovagliolo, mentre la serva, ad acquetarle il singhiozzo, le tambussava la schiena. Zefiro poi dal buon successo eccitato, ingollava bocconi strangolatoi, raddoppiava le giullerie, sentivasi insieme, la sedia, farglisi sotto di minuto in minuto piu sua. In poche parole, da quel desinare il signorino e di casa. Egli vi entra ogni mattina per dare un'occhiata alla stampa (rappresentata dal Secolo) e alla margotta di fico che si abbarbica con lui e non ne esce se non in la nella sera, dopo di aver perduto una dozzina di soldi giocando all'oca con la signora. Oltre il farle allegria, il signor Virgoletti rendevale mille servizi; le regolava le pendole, teneale viva la poca corrispondenza, recavale il sottopiede e sprimacciava il cuscino, leggeale il 409 t Walter Scott~> in modo d'addormentarla coll'insensibile degradar della voce, velando quindi tacitamente la finestra o la lampada e acchiappando le mosche e i farfalloni importuni. Ne6 alcuno meglio di lui accendeva e manteneva con tutta' economia il fuoco, nessuno aifrittellava pilu elegantemente le uova e le frullava con maggior brio la rossumatina. Egli era un diavolo nell'inseguire un debitore moroso., finch6' costui, qual la gazzella il muschiato te'sticolo, non gli gettasse la borsa, ed era un dio- per ritrovarle le piiui raffinate golosita' o poltronerie. Insomma ii signor Virgoletti le divenne il tactotum, il cane barbino. Guai se mancavale un giorno! mandava in cerca di lui per tutto il villaggio, per tutto il paese; shuffava finche non- gliel'avesser condotto. Ch6' un inconaodo, stesso - abitudine fatta - diventa un bisogno. Ma nel sentimento di assuefazione, a stilla a stilla, se ne insinuava un secondo aiquanto meno simmetrico. Ve'nus, quac venit ad omnia, s'e" ricordata della signora Savina. Quel cuore che parea bruciato e gelato da un pezzo, conflagra, e che fiamme! quella dolciaccia che giat sorbiva dormitone da re (ahi! la falsa metafora) incomincia a sentir tutto stecchi la piuma del letto, incomincia ad aizarsi e a scender nell'orto all'ora della rugiada, lei die a quella scendevaci del sudore, a fare mazzi- di fiori, lei che sol ne facea d'asparagi, a sospirare - la mano sull'amorosa spia del cuore - o guardando il cancello, ora l'orme degli scarponi di Zefiro, per poi quando questi riappare, affacciarsegli incontro, sventolicchiando i inmoccichino, o, incomodando i suoi c'ento chili di polpa, sbassarsi a raccorre una viola. Povera spigolina!I la si struggea come butirro al fornello, mentre sem. 410O brava cie la ciccia di lei trasmigrasse all'amato. E tu cantami, Musa, gl'idillici giorni in cmi Si perdevano, assieme fra l'erboline e i fagioli a caccia delle farfalle o, passeggiavano, a braccio, nell'ombra della lunghissima topia, spicciolandone l'uva; e mi canta le sere, trasvolate al camino, come due tortori, con Virgoletti mezzo, perduto, nefle balzane della fattora e leggente con li occhi che flutavan cipolle i fatti vani del Secolo, oppure in giardino, su quel bubone di terra, fra il gracidar delle rane e l'infinito odore di sterco, che l'universo fuma, tacita lei qual testuggine, contemplando, il lunone d'agosto o le lucciole del firmarnento, lui fiso agli occhi di lei (dico, que' delle orecchie, due senza-pari brillanti) e mormorandole a tratti (<0 Savina, o Savina, intorno a voi tutto ama!~> Finalmente, adacqua l'uno, adacqua l'altra, la pianta. del loro arnore cacci6' fuori un bocciuolo. Gia' la nostra fattora trovava nel suo bel Zefiretto un po' troppa modestia - una virt-6 che in simigliante partita e' piui lodata che amata. Ma il fico, come il biblico porno, risolse gli avvenimenti. Un. anno s era intessuto su. lui e il primo, suo, frutto, in maturanza completa, pendea qual lagrima If per staccarsi dal ciglio. Che attendere "pi? Novella Eva, la signora Savina protese con un legger tremolio, la mano, lo dispicc6' e lo divise con il prossimo. Adamo. Tutti e due lo assaporarono silenziosamente, deliziosamente; tutti e due si occhieggiarono, ii c si ~.. Senonc-he, nel progyramma di quel giorno, solenne, stava prima una scorpacciata di gala. E se questo e' l'i adagio~> del duettino a suon.di forchette e di piatti e a stappar di bottiglie; quanto -c all'allegro:, sia cie Adamo, ne avesse litreggia 4"I to uin po' pi6~, sia che avesse ingojato troppi tartufi e troppo formaggio, di grana... Via, bimbi' I.. un organetto sonava in cortile... la servit-d scodellava in tinello... ambedue sullo stesso clivano.... fatto sta... Fatto sta, chl- chi' rompe paga. La signora Savina Brembati, da quell'onestissima donna che era, volle una riparazione e il signor Zefiro, Virgoletti, un g~alantornone anche lui, non si sent! di negargliela; pians-e ma lo spos6'. E qui finirebbe il racconto; ma, giacche', per contntae ilettori, bisogna che un povero, scribaccino accompagni i suoi personaggri - uno, almeno -fino al luogo comune (cioe' ii camposanto) e giacch6' io, in proposito, tengo colI pubblico colpe su colpe di rientrata curiosita', aggoiunger6' che, oggi a' df:20 di ottobre del i876, Zefiro, Virgoletti ha messo tre cose:, L'~ ha messo, pancia, 2.0 ha messo, carrozza, 3*0 ha messo la moglie sotterra.0 marito infelice! eredita' i000.00 di redditq, eppur trova forza di vivere! (daci La desinenza in AO~ 412 VIAGGIO DI NOZZE I due die, parlottando, sedevano sotto, una ventola a gas nel vestibolo del Grand HO'tel de Russie a Genova, vale a dire un. marinajo, del piroscafo Tunisi ed un portiere in casacca. turchina e berretto listato d'oro, si aizarono; 1'omnibus dell'albergo rien'trava. II portinajo aggrapp6' la corda di una. campanella - clang! non era ancora. al, comignoolo del tetto, il, gatto fugcgito dalle gronde, i peli h-ti, grossa. la coda; n6' i cavalli avevano patita la penultima sbarbazzata che, da ogni parte, intorno all'omnibuts traevasi gente; press a poco, come un assalto di ladri (fors'anche!); uno, apriva. lo sportello; due altri, per calare i baul'i, apportavano scalette di ferro; un quarto accorreva anelante con un lume per mano; n6' mancava il visino, curioso, di una cameriera, ne' i favoriti grigi di un maggordomo - Palmerston di strapazzo, - il. quale dignitosamente inchinava.i viaggiatori, mano mano, die venivano oltre. E i primi a smontare furono un. Mentore con 1'annesso Telemaco; quello, un gesuita, francese, per prete, abbastanza pulito, che tirava, al guer~cio 4.13 e respirava mahizia: questi, un giovinetto in sui quindici, palliclo, con un'aria intontita. Ii povero duchino De-Je-ne-sais-quoi viaggiava per istruzione l'Italia; il coso nero, gliela dovea illustrare da un punto di vista in sommo grado, cattolico. E appresso, guizz6' fuori un vecchietto in soprabito color tane6, a bavero di velluto; poi fe' scricchiolare 1o smontatojo un. donnone con doppia giogaja e con una faccia, di un rosso, apopletico, un donnone di que' destinati a soffocare nella lor ciccia. Ed essa, su'n braccio, reggeva un brutto King-Charles dagli occhi lagrimosi; scesa, deposto nelle mani dell'imponente maggiordomo, una gabbia con merlo, offerse gentilmente 1'altra a chi la seguiva. Ma si che Claudia Di Viano volea accettarla F'iguratevi se lo poteva una fanciulla di diciott'anni, tutta vita, e sposa da cinque o se or al phi' (suo, marito era quel giovane alto, dai baffi biondi che si facev'a dietro di lei) figuratevi poi una ragazza la quale tenevasi di essere una capriola sulle montagne, una viaggiatrice perfetta! Claudia, fin dalle corte gonnelle, avea avuta mania per i viaggi e. le pericolose avventure. Ella impar6', si pu6' dire, l'abbicf,. per leggere del capitano Cook, del Milione, di Sindbad: appisolandosi sul Robinson Crosue' o Svizzero, cui voleva un ben matto, sognava sempre con gioia di trovarsi, anche lei, in un'isola disabitata, vestita di pelli caprine, con 11 sottomano, arenato, l'inesauribile bastimento. Ne' solo fantasticava. Un giorno, a di' basso, suo padre, ritornando da caccia, incontro6 nel folto di un bosco la piccolina acchiocciolata presso un mucchio. di stipa; la piccolina, che, smarritasi a bel diletto con le tascucce zeppe di 414 chiocli, di pezzi di' corda e di morselli di pane, ora piangeva a lagrimone, accortasi di aver di-. menticati a casa i fiammiferi.' E crescendo, crebbe anche il suo ticchio. 11 tavolino di Claudia vedevasi a tutte l'ore ingombro, da carte geografiche, da fotografie di ghiacciai, da rag~guagli sulle infruttuose sp edizioni ai Poli e alle sorgenti del Nilo. Quando, p-oi nella sua fantasia, sdrucciol6', la prima volta, Il'ometto, essa -lo vestf da capitano di mare, lo mise a prora con un cannocchiale; essa lo desider6' ardentemerite, per internarsi seco nella baja di Baiffin, per lasciare insieme a lui le suole sul Davalagiri. Ma, in attesa del signor capitano, Claudia dovette frattanto accontentarsi di bever dei ponci nel traversare con mamma e babbo la Manica, e di scottare di nomi quali Pilato, Furca, Faulhorn, Jungfrau, ii suo bastone dell'Alpi. Se il maggiore Tiptof dell'Indie, da lei conosciuto al Rigi, uno sbalone per eccellenza, cavatappi famoso e mandaldiavol di tigri, avesse mostrato un occhio di phi' e: qualche anno di meno, c'~ da giurarlo, conosceremmo ora in Claudia una lady. Senonch6, lo sgranocchiatore deli' app etitosa fanciulla dovea essere per fortuna tin giovane, ii cavaliere Di-Viano. Di-Viano avea lui pure Corso la sua parte di mondo -e per CIO, come e' s'ingattiva di Claudia, guadagnava di pirimo tratto neile sue grazie ii passo sui molti de' vecchi amici di lei. -Ei conta Si' bene - diceva ella. -E ha degli o-cchi Si' risplendenti - pensavamo noi. Tant'e' - conta conta, o guarda guarda - una sera, Di-Viano domando6 un colloquio al barone Fiorelli; questi, dopo poche parole, baciavalo in viso- Brincoli!I I due figliuoh si ama 415 vano, a non vedere phi- innanzi': di phi, erano, giovani, nobili, ri-cchi, in dato eguale... Se non Si sposavano, essi, chi mai potea sposarsi? Pure, la baronessina pose una condizione: quella di realizzare, maritata, qualcuno de' suoi bei sogni di' vergine, di fare un giretto, come viaggio di nozze, almeno, in Africa. Almeno,! Di-Viano, si morse istintivamente le labbra. Le osservo' poi, mnettendo fuori tutta la persuasiva, che il sole di Libia cuoceva su per le piante i marroni, -the la' sotto i guanciali - senza le pulci - ci si avveniva sempre in scorpioni, in serpentacci lunglii si e si; che quanto poi alle piramidi, non francava proprio la spesa vederle... De' colossali fermnausci, null'altro. -E allora... addio - fe' Claudia salutandolo d'un cenno, dispettosetto. -No, no -diss'egli premurosamente - ci andremo,... Dove vuoi, amor mio. -A prova del dlie, raccolse, la settimana stessa, notizie intorno le vaporiere che stantuffavano da Genova ad Alessandria d'Egitto. E si risolse partire il di' delle nozze. Sarebbesi con tutta la parenteria patito un pranzo, di gala, poi gli sposini avrebbero, preso, la via ferrata, e... buona notte. Difatti, punto a punto, cio6 avvenne: circa allo, scorpacciamento... ma no, non parliamo-~ ne; nulla v'ha di phi' uggioso, e per due die sl'amano, e per chi non ha l'appetito in pianta stabile, a paragone di tali solennita' di famiglia 'in cui ci tocca sedere, goniito, a gomito, proprio con quel parente che noi studiavamo di scansare in istrada; udirvi scipiti o puzzoni bisticci; scaldarci ogni tanto le mani a certa roba scritta con il decimetro, 416 39 - Ritratto e autografo di G. P. Lucini 40 - Milano - Esposizione Nazionale - Galleria della Scultura (stampa) 41 - Autografo di G. P. Lucini 42 - 1i mattino (stampa) tutte bugie - o ri~mbombante come un barile vuoto, o geroglifica piui dell'obelisco di Luxor. E aggiungi che gli sposini, stavolta, ingojarono anche il piacere di scarrozzare alla stazione in gran compagnia; Camillo in una berlina, col padre della sua sposa e con due vecchi zii campagnuoli, i quali, per la fausta occasione, aveano stampato un libretto dal titolo: Studio sotpra i letami; Claudia in un'altra, insieme alla mamma e a tre cuginette che non stavano mai dal palparla, dal baciucchiarla, sciamando, le lagrime ai nottolini, cose di fuoco su que' crudelacci di uomini. Pur finalmente, son nel vagone... Is'oli! E soli, c'e' da sperare, rimarranno per qualche tratto di strada; ye'... chiudesi la sala di prima classe- ed a momenti il convoglio... Ma ahim6! 1 poveretti... Riapresi lo sportello, ed un omino appare adocchiando. -Ci6, Beta! dic'egli - varda... glie xe logo per una famegia d'impiegaj. - E if, montato 'su, il rompitorta, ecco seguirlo una badalona, ansante come una armonica frusta, rossa come un'anguria, e accomodarsi di facc'iatina ai due sposi. Ah sorte ladra! Claudia e Camillo allungarono i visi. Lamp eggiata al cavaliere l'idea di procurarsi uno scompartimento a parte - gia' s'inviaVa ii convoglio: Claudia no~n susurrava. peranco ~,) 423 LA VESTE Aspettavamo, da un'ora, io e la zuppa: questa si raffreddava, io mi scaldavo. Finalmente si udi' un passo, affrettato. Giannetta entr6' vispa e gaja e... mn una nuova toilette - la terza in un mese. Aggrondai le ciglia. -Non mi sgridare - ella disse con una voce da tortora e facendo schrerzosamente colla manina 1'atto di turarmi la bocca. - P, percallo. Cinquanta lire. Prevedevo, assai pii'u e perci6, mi acquietai. Diro anzi: 1'essermela cavata a cosi modesto mercato mi fe' quasi contento. Sedemmo, a tavola. Gian-netta. era carina, quan'to mai e chiacchierava chiacchierava colla pi"Ui amabile incoerenza..Al secondo bicchiere di vino, mi salt6' la stupida idea di lodare il nuovo abito. -Non ~ vero che ho, scelto bene? - insinu6' essa con premurosa dolcezza. - Per ottanta lire, credi, non si poteva avere di phI'. -Ma e non dicesti cinquanta? - domandai con sorpresa. -Hai capito male, amor mio, - rispoise ingenuamente Giannetta. - Pare a te', a te die tanto 424 t'intendi ed hai gusto si fino, che valga meno?Certo, non pareva. Feci un moto d'impazienza ma non dissi parola. Avendo, del resto, gia' consentito nella prima spesa, potevo, anche imaginarmi benissimo, di non aver piui da pagare die trenta lire. Cos', il pranzetto, giocondo di vino e di sguardi, -continu6'. Tra una spiritosaggine vecchia e un'asinaggine nuova, Giannetta, usci' a dire di aver giurato alla sarta che le avrebbe, il di' appresso, fatto tenere il denaro, dell'abito, soggiungendo con un sorriso: - capirai che, trattandosi di una sciocchezza di cento lire... Cento? interuppi. -Eppure, la cifra, se non ho male inteso... Oh, stavolta hai inteso malissimo - sclam6' essa con vivacita'. - Fa un po' il co'nto tu, tu che hai studiato di matematica. Ottanta la stoffa, sessanta la fattura, venti le spese... In principio, di tavola, avrei rovesciato... la tavola. Ma eravamo, gi-a a mezzo, e Giannetta, attraverso, il mio, vino, comincia'va a diventarmi belfi ssima. Per dirla in breve, ad ogni muta di piatti, il prezzo, della veste di lei, come in una pubblica asta, aumentava. Fortunatamente, i miei' pranzi non sono, lunghi. Qu'ando si arriv6N alle frutta, Giannetta aveva giat avvicinata la sua alla mia sedia, e, circuendomi il collo, col braccio: - vedral, caro, - mi sussurrava in voce di dichiarazione amorosa (e colle ditina giojellate e affusolate infilavami fintanto nella tasca esterna dell'abito un conticino, piegato in quattro) - vedrai che pomposa figura farat Sul corso la tua. a matuccia colla vest~e dia... trecento lire. $embra percallo, vero? ma e tutta seta. Ne sei persuaso? E Giannetta si parti, com'era veriuta, gala e vispa. Spiegai malinconicamente il canto. II conto diceva trecentocinquanta. Aitro non mi restava che di pagarlo. E lo pagai di gran fretta per evitare il pericolo cie mi crescesse anche in saccoccia. (da tGoccie d'inchiostro. 426 ILLUSIONI Fui davvero cattivo I Con quanta fede Pietro mi raccontava la guarigione della sua donna, concessa alle appassionate preghiere di lui! Ed io a ghignare. Chi ml conosce, lo sa: di consucto, sono intrigato net dire. Moltissime volte in cuii 66 sarebbe stata, opera d'oro -parte rispetti umani, parte coniglieria - tenni a casa o non potei Metter fUOri il pezzuolo: ora, Al contrario, vero e giusto ntomento al tacere, la linguLa mi si fece di una etasticitA senza pari. Natura mia, destavasi. E If con una sfornata di ragioni, semplici, evidenti, con una eloquenza tanto ph'i insinuante quanto meno in ponteficale, mi diedi a scaizare la buona fede di Pietro. Per leva adoprai la religione medesima, gli mostrai come Dio non esistesse per fare da burattino agli uomini, e come la prece, non inutile solo, ma fosse un insulto alla divina sapienza. Precisamente, non mi sowvicne metafore quali, quali gin' di frase tirai oltre (c le metafore e i giquasi sempre, piglian tanto lo spirito da non lasciarci intravedere neppure la discutibilita' della ragione che vestono) fatto ~,che 4217 la contraria baracca ne j'ovifl6. Pietro, che sul prinCipio, scopava, la stanza e dimenava non persuaso la testa, fermossi, appoggi8' (fisandorni con stupore) iil mento al bastone della granata; poi venne a sederrni vicino. <( Si! e% vero >> disse replicatamente. Infine '? infine, lisciandosi i baffi, mormoro': - proprio! - E usci rabbujato. Sapete ailora. che avvenne? Svampata quella prima soddisfazione, la quale sente anche il biMbo, rotto - embrionica analisi -- un cocciuto balocco, mi trovai inalcontento, anzi arrabbiato di me. Forse, avevo disciolta una dolce itlutsione; guastatala certo. E che le avea da. sostituire il povero uomo? Non toccando de' sogni di gloria, dati a pochissiml, egli era troppo innanzi in eta" per quelli d'amore, troppo ideonelaii e nell'intelletto per torne a prestito da un libro. lo non poteva. fuggire dal trovarmelo nella fantasia, pieno di debiti, colla moglie ammalata, con I figliuoli che nicchiavan di fame e non volevan dormuire, seduto sulla predella di un focolare spento, cercando almeno 1'oblio. Ma il cielo, gli s'era chiuso. La sua Madonna non sorridevagli phi. (da <'m co va; CN 7 $ P ALLA STdmA DELL LTT COKTiM P E C T 144.. f Yu 7 p7 a A-Ai,:j 43 -Copertina della @Ragion poeca e programma del verso...,, ' 8 libero ' di G. P.' Lucini *.. '* ''. '.. '.. 'A'. ' " >. * ',.' V '. >' 6' libero ~ di G. P. Lucini 44 - Emilio Gola - nud storale. (da die ogni ritmo acquistava languidezza e movimento "di nenia nelila, solennita' della campagna) la mattina, all'aria ancora sonnolenta, nella frigidita' dell'alba, quando ii sole s'"ergeva in fondo alla pianuraL lentamente come dal. mare, e pel domo celeste dci' gran raggi d'oro si sperdevano ascendendo.- Cantava, e le perle vocali sgran~ava durante ii lavoro (non fatica) e nelle soste' allietava i compagni colla, facile parola e la favola ridicola: rideva in coro con questi, gaiezza. sana e buona, lontano d'ogni rivendicazione, d'ogni cura di mente, d'ogni impossibile desiderio, cosi nei freddi autunni e nelle afose estati. Ed ora? Quella lunga inerzia, della guarnigione pareva che l'avesse dissuefatto dai campi, come un arnese cie' l'ozio arrugginisce e che., di nuovo posto all'opera, riluttante e faticoso si arresta:, stride e costretto schianta. Mietevano sempre: la massa delle spighe cadeva a terra, mollemente frusciando, come una cosa tenera, e pingue; a po-co a' poco il campo segato si ampliava, sparso di messi a muccbi, di p-aglie intrecciate, accalcate; e dietro, ai fakciatori altri portavano a fascio il frumento, altri formavano i covoni legandoli come in una. ruota d'oro filato e fiammeggiante. Tratto tratto qualcuno, arso dalla sete, nell'ora meridiana, usciva dalla fila, prendeva una, bottiglia. sdraiata. sulla terra senza riparo, e, sturatala, beveva senza disgusto: l'acqua riscaldata, leggermente acre dall'ace-to, gli scendeva vellicante e nauseosa per la gola, insopportabile come un. emetico, mettendogli una patina in bocca ed un borbottamento nello stomaco: Cos, sazio ma. non dissetato, asciugavasi col rovescio della mano le labbra e di nuovo alla fatica. 433 Fra tanto erano venuti i carri; le ruote larghe lasciavano sul campo dei solchi paralleli; i cavalli massicci, colla testa china, sudavano dando le groppe lucide e le criniere seriche al sole, che suscitava vivi colori tra i crini e i peli, quasi la luce vi si rifrangesse. Gli uomini legavano i covoni colle corde intessute di paglia, tentando di abbracciare quel viluppo enorme di spighe colle magre braccia, pigiandoli col petto fortemente, e, postili sulle coscie, alzati, gettaronli sul carro con un gioco di muscoli penoso e continuato. Cosi formavasi una catasta alta che soperchiava ai ripari, e, sopra a questa ancora calpestando le paglie, il caricatore accoglieva ed accomodava, mentre, sotto, i portatori si aggiravano a torno; i cavalli col muso reclino a terra soffiando sul suolo, o lentamente alzate le froge, annusando nell'afa il contadino che loro passava piui accosto. E poi che alla fine i carri erano empiti, mettevansi in moto (altri sopra giungendo) ed a stento, traboccanti, barcolland, gonfi di tanto pane incedevano pigri sotto lo sforzo delle groppe equine, affondando nella terra non battuta del campo, perdendo qua e la qualche spiga o qualche lunga cannuccia di paglia nell'andare. Gli occhi dei contadini golosamente li seguivano. E l'opima carovana spariva sulla via bianca in un fumo di polvere, sotto il cielo azzurro che aveva impallidito, annunciandosi il meriggio. I compagni curvi al lavoro ammonirono Gian Pietro. < Viene Coli, viene Coli!! Ed il giovane si volse. II fattore camminava pel campo segato e giungeva a loro: alla lunga fila dei mietitori si fermo; alto, magro, coi baffi 434 bruni e bruno il volto, mnarzialmente posto, sulle gambe (i lunghi anni del servizio militare gli ayevano dato quell'aspetto), rude e villano, nelle piacevolezze, passava loro vicino guardandoli fissamente ad uno ad uno, scrutando, quasi, e calcolan-do ii lavoro fatto e da farsi. Quelli aumentavano d'alacrita' sotto lo sguardo che 1i spingeva come un pungolo e che Ii irritava come un dolore fisico. < diceva. Poi fu vicino, a Gian Pietro. Disse: << Nulla tu fai, eh?~> Costui adunque il ribelle aspettava, chiamato dalla sfida confidata al cielo come un invito a battaglia? Rispose: ~> << Ti piace meglio, ingrassare nell'ozio, eh? i ~ <~ 11 lampo delli occhi sembr6' l'azione presta alla promessa. minaccia. ~ Esi videro, dopo, discorrere animati, rossi in volto dal cald'o e dall'ira, per la grande pianura falciata ed atteggiarsi alla lotta. J mietitori s'~erano rizzati spauriti, gridarono: ~e.Oh Gian Pietro, oh Gian Pietro!>> Nel gran sole i due si battevano. ~ E cors~ero a divi'derli. I combattenti si guardavano, ancora torvi e risoluti. Poi Coli si asciug6 lentamente ii sudore mormorando:<. ~ Di tutti voi?... >> E fece un atto come se di un manrovescio spazzasse la campagna di quella turba affamata, a simiglianza di un cavaliero catrafarto che disperda l'orda dei fantaccini impotcnti e spaventati dall'arme, dalla divisa e da quella apparizione lucida di acciaio. Volse le spalle e parve giurare. I contadini stettero: non un grido, non una minaccia, gli occhi fissi l'un l'altro in volto con una certa quale attonitaggine sgominata. Un vecchio disse: << Che diavolo vuoi fare, Gian Pietro? >> Un giovanotto tento una piacevolezza: << il caldo che gli e salito alla testa ~. Gian Pietro indico qualche cosa di grande, aprendo le braccia a tondo, sulla terra sino all'orizzonte, qualche cosa di luminoso, quale nel pensiero gli appariva: non disse nulla; nulla avrebbe saputo dire; crollo la testa e sospiro. Gli altri piu muti in cerchio a mirarlo come un portento di stranezza. Di lontano vennero i tocchi di mezzogiorno: la sonorita della campana si sgranava per la volta del cielo tersa e lucente, come fosse materiata in un marmo leggermente azzurro. (da < Gzan Pietro da Core >) 436 GLI ANTESIGNANI Erano attuali i tumulti e le fugaci passioni cerebrali; suscitate in noi dagli ultimissimi falsi romantici, dai moribondi satanici, Praga, Tarchetti, Boito. Rispondevano ad un. nostro modo di patire per eccezione; davano la nota di un. nostro trapasso d'anima, di un crepuscolo, annebbiato, ma intimamente purpureo, caldo e gravido di pro-. messe saporose e di fiamme audaci. Tarchetti, sopra tutto, ci aveva affascinato. Egli, aveva determinato, prima del Garducci stesso, parole acerbe ed esatte contro, ii Manzoni; aveva osato rompere gli incensieri,, alimentati intorno al vegliardo, della Morale Cattolica dai chierichetti professanti, tia cui Bonghi e Paolo Ferrari facevan scuola di tabulatura e Giovanni Prati scandeva l'ottonario, per l'epitalamio di nozze auguste. Intanto che i versaiuoli esalavano e vaporavano canti di capinere, aure di canti ed ali di rondini, steppe so/in ghe e cittadi di poluere, interrotti qua e Ia' dalle placide Elise e dalle sentim enta/i Marie aleardiane, scollate e succinte, per civetteria, a mostrare le nevi intatte del seno e il languido piedino imbabucciato; Tarchetti aveva 437 incominciato a Igridare:.c all'aperto! all'ape-rto I * Vedere senza scherino il sole; contemplare ed amare la natura; discreditare 1'artificio, il posticcio; scrivere secondo detta la nostra, sensibilita': permettere che la critica insorga, e condanni l'eccesso, ii turbinio delle imagini, la petulanza incorretta. dello stile: ma affermare che tutto questo dote di giovani, alacrita' ed affluire di vita, per le ar terie, al cuore ed al cervello, camminare per la via delle lacrime e dei baci... proclamare die nessuna, altra legge ci governa, salvo la elezione, l'am~o re; e credere che i pedanti sono i piii fieri assassini, se tentano di interrompere la stupenda. ed universa. armonia; significare e penetrare il vivo; dentro le nostre fibre, appassionarlo: imprim-ere una direzione al nostro cervello, aprirci davanti una, piazza libera. e sterminata, popolata di fantasime, ed affatturata di miraggi, nos'tra futura patria, nostra conquista, il nostro imperio. I Fatalh, Lorenzo Alviati., La nobile fo//ia, Fosca, I drammi della vtija militare., ci apparvero, vivi, di una, vita' fantastica e reale; le sue creature femminili, le sue vergrini, le sue donne 'tristi e incantevoli, ingenue e perverse, di una sincerityt esasperata, tipi, maschere ad agitare le eterne passioni, ad incarnare i distinti motivi sintetic dei conflitti, delle speranze e delle possibilita' ideologiche. Per queste forme, egli veniva ad agitarsi, a muoversi e a rappresentare la eterna e baliosa giovinezza delli, estri e delle esperienze coitivate sull'azzardo del paradosso; trasformandosi nel racconto, nel verso, confondendo hello e brutto, g~rottesco, e simmetrico, -forza e materia, Ie contradizioni, ii oppositi e i contrari, diceva, tutta la natura con parole nuolve e calde, non gelidi fossili ri 438 scavati dai dizionari, ma. operanti, rispecchiando, colle molteplici facce del lor-o cristallo, saggi innumeri, rmilke pose, infinite parvenze. Donde il miserabile graminatico inorridiva e gli rimproverava ch'egli sapeva'scrivere a scempio delle regole; perche' costui, che compulsava ili Buonmattei, aveva cuore di sughero e cervello di mollica stantia, tardo costruttore di eleganze fiorentineggianti e di piccolezze dispettose. Tarchetti ci si affacci6'... e le fanciulle strane, die ci portava davanti, avrebbero, poco dopo, risposto alle anmie complesse che Ai Rimbaud ci avrebbe fatto conoscere, maligne e semplici, incoscienti o affatturate; ed erano tutte in quella ~c..cosi fragile e piccina > scolpita a cammeo, nel sonetto che non invidia a Dante l'archetipo spirar della Dea:,c Tan~to gentil e tanto onesta pare > se labbra commosse ancora lo declamano e risuscitano questo simbolo di crestaia che voile, viva, spezzare la salvezza del cuore del suo poeta. Egli aveva durato quattro anni, una lunghissina. stagione, tanto quanto ha potuto battere, per l'arte, ii. sio, polso, pensare, per l'arte ii suo ingegno; a vent'otto anni non era gia' piu. Egli, per virt-6i pastuma., ci aveva apparecchiato a ricevere, nell'impeto di un rifacimento estetico ed ideologico, doPo le ebrieta' delle sue corse veloci, delle sue distruzioni avventate, dopo di averci mondati di molti pregriudizi, pei quali l'espressione della nostra bellezza rimaneva inferiore al senso che ne avevamo, un pi6' sicuro coraggio di noi stessi, un Pensainento corretto ma non amputato, una potesta' formale, che si sarebbe adattata, inguantando 439 di forme, alla nostra idea, secondo la nostra indole. Dietro di lui, Carducci ci apparve chiaro, deliberato, scultore indimenticabile, sopra marmi italiani, di statue italiane: ma Tarchetti, aveva meglio d'ogni altro, per I'adolescenza, riassunta la lirica europea, che scaturiva da Baudelaire, Heine, Swinburne; aveva allargato il nostro volo oltrei confini dell'uomo della piccola terra, foggiando i'oodi tutto il mondo; cioe', dal gretto uomocittadino borghese, I'eterno uomo artista. Poetagiovanetto, si era destinato ai giovanissimi; il suo accennare doveva eccitare la loro originalita'. (da ) 440 NOTA BIBLIOGRAFICA Elenchi bibliogiafici comnpleti sulla Scapigliatura in genere e sugli Scapigliati in particolare sono in: PIERO NARDI: La Scapigliatura, Ed. Zanichelli, Bologna, 1924. Contributi successivi si trovano in: MARINO MORETTI: Le pitl belle paciine di Praga, Tarcbetti, A. Boito, Ed. Garzanti, Milano, 1926. PIERO NARDI: Le pu~ belle pagine di Carlo Dossi, Ed. Garzanti. Milano. 1932. F. CA2ZZAMINI MTTSSI: Le piui belle pagine di G. Rovarii, Ed. Garzanti, Milano, 1935. Emi COLOMBO:'Memocite del presbiterio, di E. Praga, Ed. Garzanti, Milano,, 1941. INDICE DEL TESTO Prefazione.. Invito all'Ottocento La Scapigliatura La narrativa degli Scapigliati GIUSEPPE ROVANI Foscolo a Milano Le slitte a Porta Romana La pittrice Laja Manzoni e la Lingua. CLETTO ARRIGHI. Passeggiate all'alba: I I1 Verziere II La fiera di Sinigaglia III II mercato della fiiffa EMILIO PRAGA... pag. * 5 27 33 37 >> 57 * * ~ 59 > 76 * * * >> 80.. 87 * 93 >> 95... >> 795 ~.. > I3 > II7 Schizzi a penna - Impressioni di viaggio Incontri.. II9 I32 IGINIO UGO TARCHETTI Frammenti Le leggende del castello nero Notte in Lucania.-. Clara Fosca. 0 0. 0. 0 1 * ~> '55 * ~' '57 * >$ i6ii * ~ ii8o > ~ '95 * ~ 221 CAMILLO BOITO.. > 2411 Un corpo.. ~ 243 Pagine di vagabondaggio.. 2900 Macchia grigia.. > 301 ARRIGO BOITO.. > 329 L'alfier nero.. *>> 331 CARLO DOSSI.>> 353 La Principessa di Pimpirimpara.. 5 La cassierina.. 373 Fine di Alberto Pisani >> 378 Incendio di legna vecchia, >> 401 Viaggio di nozze..... 4113 La veste..... 424 JIlusioni.....~ > 427 GIAN PIETRO LUCINI.. Presentazione di Gian Pietro ~> 43I Gli antesignani...> 437 Nota Bibliografica. ~ INDICE DELLE TAVOLE i. ~ (stampa) 2. Daniele Ranzoni - Fanciulla con cappello (collez. Tosi) 3. Daniele Ranzoni - Conversazione (disegno) particolare 4. Emilio Cola - Spalla nuda 5. Daniele Ranzoni Giovinetta malata 6. Daniele Ranzoni -Testina di bimbo (collez. ing. Villa) 7. c Le mode attuali~> (stampa) 8-9. Milano - Bastione di Porta Venezia (stampa) io. Tranquillo Cremona - Melodia (Collez. Gr. Uif. Rosello) particolare iii. Danie/c Ranzoni - Studio per quadro, di soggetto storico (disegno) particolare 112. Emilio Cola - Modella seminuda 113. Daniele Ranzoni -Ritratto 14. Daniele Ranzomi -Ritratto di giovinetta (disegno) i5. Emilio Gola - Nudo (Collez. Avv. Gallina) particolare i6-I7. Emilio Gola - L'isola di S. Giorgio i8. Emilio Gola - Giovane- donna i9. Danicle Ranzoni -Donna con ombrellino (di. segno) 20. lDaniele Ranzonii- Ritratto della signora To,.. rnazzi (collezione Tomazzi) 21. Un uomo eccentrico (stampa) 22-23. Corse a Milano (stanmpa) 24. Copertina dei cRacconti fant'astici,j di I. U. Tarchetti 25. Ritratto dii1. U. Tarchetti 26. Ii pomeriggio (stampa) 27. Milano - Bagni a Porta Ticinese (stampa) 28. Copertina di ~ dii1. U. Tarchetti 29-30. Milano- Ultimo, corso del carnevale (stampa) 31. Autografo di C. Do'ssi 32. Milano - Ballo alla Societa' del Giardino (stampa) 33. Tranquillo Cremona - Attrazione (propr;' Comrune di Milano) particolare 34. Tranquillo Cremnona - Ritratto di C. Dossi giovanetto 35. Copertina de ~> di C. Dossi 36-37. i Milano a volo d'uccello~> (stampa) 38. Milano - Fiera fantastica, ai Giardini Pubblici (stampa) 39. Ritratto e autografo'di G. P. Lucini 40. Milaho - Esposizione Nazionale - Galleria della Scultura (stanapa) 411. Autografo di G. P. Lucini 42. II1mattino (stampa) 43. Copertina della '< di G. P. Lucini 4. Emilio Go/a - Nudo IL CONTROMEMORIALE DI SANT" ELENA di Sir Hudson Lowe IV Ediz. - L. 25.a cura di Emilio Radius a Un libro che non pau6 esser letto senza stupore e orrore -o. (Secolo XIX). GIORNALE DI BORDO Di CRISTOFORO COLOMBO a cura di Rinaldo Caddeo IV Edizione - L. 30.((L'impresa fu una merat'iglia che stupira tutti i secoli, ma l'uomo e' piu~ meravigliaso ancora ). (Popolo d'Italia). LA ZATTERA DELLA ((MEDUSA)) di A. Corr*iard e H. Savigny Illustrato - L. 15. a cura di Alfredo Fabietti (( Dante descrisse l'inferno con impareggiabile potenza di fantasia; ma non ebbe l'atroce idea di restringere l'inferno a una zattera su cui nessuno, si possa muovere- senza rischiare di dare it tracollo alla bilancia della morte )). (Gorriere delta Sera). IL DIAVOLO IN AMORE di Jacques Cazotte II Ediz. - Illustrato - L. 22.a cura di Cesare Giardini (( Libri come questi durano nel tempo per le sottili virtu' dell'int'enzione e dello stile e per la misurata leggiadria che vi trovo una forma pressoche' perfetta )). (L'Ambrosiano). PETER PAN di James Matthew Barrie III Ediz. - L. 25.a cura di Milli Dandolo L'intera favola di Peter Pan, la favola della fanciullezza eterna. H(II libro formera' certo la delizia di una infinitad di ragazzi 3). (Italia che scrive). VITA DI HENRI BRULARD di Henri Beyle (Stendhab) II Ed. - Illustrato - L. 35.Autobiografia, di Stendhal. a cura di Ugo Dittore (( Pochi uomini come Stendhal hanno rotolato in mezzo a tanti enormi av'venimenti )..(Corriere di Napoli). DOSTOJEVSKIJ MARITO di Anna Grigorievna Dostojevskij II Ediz. - L. 30O.a cura di Anna Milazzo (( La figura dello scrittore, nelta sua u-manita di uomo, tra uomini, di marito, di padre i). (Gazzetta del Popolo). LA PESTE DI LONDRA di Daniel Defoe II Ediz. - L. 20.a cura di Elio Vittorini (( Una pestilenza immaginata da un realista con grossi peccati sulla coscienza e nelle orecchie i tuoni del vecchio testamento ). (Elio Vittorini). L' IMPRESARIO IN ANGUSTIE di Strakosch e Schirmann Illustrato - L. 18.a cura di Eugenio Gara (( Un appassionante volume a. (II Messaggero). L' IDEALE DI BAYREUTH di Riccardo Wagner II Ediz. - L. 20.a cura di Ferruccio Amoroso Questo volume contiene le prose piu significative di arte e di teatro, scritte da Wagner nell'ultimo quindicennio della sua vita. STORIA INCOMPIUTA DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE di Alessandro Manzoni L. 20.a cura di Emilio Radius ( La vena dei Promessi Sposi riaffluisce su questa tarda opera e ricolora le figure tolte dalla storia v. (Corriere della Sera). RELAZIONI DI VIAGGIO E LETTERE DI CRISTOFORO COLOMBO a cura di Rinaldo Caddeo L. 20.Queste pagine non mai tradotte in italiano o confinate in opere riservate agli eruditi, costituiranno, ne siamo certi, una vera rivelazione. IL DIARIO DI SAMUEL PEPYS a cura di Milli Dandolo II Ed. accresciuta - L. 30.Un documento di cui gli inglesi farebbero tanto volentieri a meno. GIRO DEL MONDO DEL BUON NEGRIERO di Francesco Carletti L. 20.a cura di Emilio Radius II primo che ha compiuto come privato il giro del mondo. AGENTI SEGRETI VENEZIANI NEL '700 a cura di Giovanni Comisso II Ed. - Illustrato - L. 22.Tutta la vita veneziana del '700 attraverso le denunce dei delatori grandi e piccoli della Serenissima. NOA NOA ED ALTRI SCRITTI di Paul Gauguin II Ediz. - Illustrato - L. 25.a cura di Duilio Morosini e La drammatica documentazione della vita e dell'opera di uno dei grandi maestri della pittura moderna D. (Scenario). SOCIETAN, LINGUA E LETTERATURA I)'ITALIA di GiacomoLeopardi L. 2 5.a cura di Vitaliano Brancati Il volume, ricavato dalla massa dei pensieri vari del Leopardi, Costituisce quanto di pic~ acuto e pro fondo si sia scritto sui nostri costumi, sul nostro modo di esprimersi e d'immaginare. FEDE B BELLEZZA di Niccol6 Tommaseo. II ediz. - L. 20.a cura di Emilio Radius ii prim~o romanzo (( psicologico )) italiano. RACCONTI DELLA SCAPIGLIATURA a cura di Ezio Colombo e Carlo Linati II ediz. -Illustrato L. 35,.Le pagine migliori della narrativa degli escapigliati )), it cenacolo letterario della seconda meta' dell' 800. ARMANCE di Henri Beyle (Stendhal) II Ediz-. - L. 30.a cura di Cesare Giardini Un romanzo d'amore come Manon Lescaut, come Adolfo, ma con qualcosa di pi&' e di nuovo. Un capolavoro. VIAGGIO IN ITALIA di Michel de Montaigne L. 3 0.a cura di Irene Riboni Un quadro a vivi coloni della societa' della line del cinquecento, specialmente dell'Italia e di Roma. Per la prima volta tradotto integralmente in italiano. LA VITA DEL FURFANTE di Mateo Alemd'n L. 25.a cura di Arturo R. Ferrarin' Le avventure di Guzman, cameriere d'albergo, ladro, a Madrid, soldato a Genova, buff one a Roma. Un capolavoro della letteratura picaresca e un quadro estroso e pur naturalissimo del seicento. JUANITA LA LUNGA di Juan Valera L. 25.a cura di Marco Lombardi Un romanzo giovane che mette in valore uno dei maggiodi Spagnuoli dell'ultimo ottocento. FINITO DI STA (PA R FJ PR IL 15 APRILE 1943-XXI PER ODELACA SA EDITRICE VALENTINO BOMPIA NI PRESSO LE ARTI GRA FICHE CHIAMIENTI VERONA - PIAZZETTA SEREfiO, 4 8-9 - Mila'no - Bastioni di Porta Venezia (stampa) 10 -,Tranquillo Cremona -Melodia (collez. Gr. 11ff. Rossello) particolare 7 - Le mode attuali (stampa) 16-17 - Emilio Gola - L'isola di S. Giorgio .18 - Emnilio Gola - Giovane donna 15 - Emilio Gola - Nudo (collez. Avv. Gallina) part icolare 22-23 - Corse a Milano (stampa) 24 - Copertina dei ((Racconti fantastici ) di I. U. Tarchetti 21 - Un uomo eccentrico (stampa) 29-30 - Milano - Ultimo corso del carnevale (stampa) 31 - Autografo di C. Dossi 32 - Milano - Ballo alla Societa' del Giardirio (stamnpa) 28 - Copertina di q(Paolina ) di I. U. Tarchetti 36-37 - Milano a volo d'ucce11o (stampa) 38 - Milano - Fiera f antastica ai -Giardini Pubblici (stampa) 305 - Copertina de (( La Colonia f elice )) di C. Dossi