THE UNIVERSITY OF ILLINOIS LIBRARY <34554 '' " Tl'o&a W \ \ The person charging this material is re- sponsible for its return to the library from which it was withdrawn on or before the Latest Date stamped below. Theft, mutilation, and underlining of books are reasons for disciplinary action and may result in dismissal from the University. To renew call Telephone Center, 333-8400 UNIVERSITY OF ILLINOIS LIBRARY AT URBANA-CHAMPAIGN JUN 2 1 1983 AU6 3 0 2003 L161— 0-1096 ■t Digitized by the Internet Archive in 2016 * https://archive.org/details/annalipisanidipa01tron_0 ANNALI PISAN! P A O L O TRONCI mini pistil D I PAOLO TRONGI RIFUSI, ARRICCHITI DI MOLTI FATTI E SEGUITATI FINO ALL’ ANNO 1839 DA E. VALTANCOLI MONTAZIO ED ALTE1 SECONDA EDIZIONE ACCRESCIDTA DELLE NIB STORICHE II PH Ml 1 839 AL 1862 SCRITTE DA GIOVANNI SFORZA TOMO I. PISA Presso Angelo Valenti 1868 ’54 J 5*5'4' T152-0. v./ ; ■•: r .?f) niero vessillo. — Ora., cfie an solo patto ci governa e ci stringe, io saggello 1’ antica rimembranza offrendoti la Storia del mio paese cfoe a Te fa emalo nelle gaerre di Palestina e di Siria. — Accogliendo la mia offerta, Ta rinnoverai qaell’ antica amici- zia clae neppare per an istante fa posta da me in ob>livione. Figli tatti d’ana stessa fa- in iglia , stringiamo sempre pin gaei cari ‘nodi che ci debbono rendere forti e rispet- tati dalle Nazioni sorelle. Pisa } Marzo 1868. ANGELO VALENTI Tipografo-Editore. A I LETTORI Volendo io pubblicare per le slampe urC opera die de- scrivesse tutti gli avvenimenti di Pisa dalla sua origine ai tempi noslri , non ebbi a rimanere dubbioso nella scella $ im- perocche la presenle e la sola die ci offra nna storia compiuta di questa cilia. Infatli , senza tener conto d’ alcune brevi cro- nache de secoli decimoquarlo e sesto die sono in luce , V istorie che si hanno del canonico Raffaello Roncioni arrivano sola- mente al 1509, e gli annali quali vennero scritli da monsignore Paolo Tronci non oltrepassano il liiO. £ a sapersi che parecchi anni or sono piacque al signore Enrico Valtancoli da Monlazio prendere tra mono quanto appunto scrisse di Pisa monsignor Paolo ; e V accrebbe, lo cor - resse e lo rifece in maniera da doversi meglio considerare come opera sua che del Tronci. Egli stesso nel pubblicarla ne ren- deva avvisato il lettore, e gli diceva pur anco: « Nei volumi « che ti stanno sotC occhio non rinverrai ampia messe di fatti , « ne tesoro di pellegrine notizie — non il mollo ed il nuovo , « il vero sohanto e duopo cercar nelle pagine consacrate alia « sloria — e laddove non mi valse lo studio a rintracciar que - « slo vero , condannai il labbro al silenzio ». Perd il signor da Montazio non trasse mollo innanzi il lavoro , e arrivato che fu alV anno 300 deW era volgare lo smise , lasciandone in tronco la pubblicazione , che fu continuala con molta diligenza da quel valentuomo che e il sig. Giuseppe Tabani , al presente Preside del R. Liceo Ariosto a Ferrara. Non si pensi il leltore di avere una semplice e pur a ri - slampa fatta solo per amor di guadagno e niente pin. A me, nato e cresciulo in Pisa , un affello potente per essa mi padro- neggia il cuore • e allro io non desidero di meglio che offrire ai miei concittadini un libro che sia insieme di utile e gradita letlura e possa ad un tempo giovare il popolano e il profes- sionato e non sgradire all 9 uomo di lettere. £ per questo che i mold documents sincroni che leggonsi intercalati nel teslo o in nola , gli ho fatti sempre collazionare sugli original «, mas- sime quell i che si conservano neW Archivio di fresco istituito a Pisa con vantaggio dsgli sludi e onore grande della cilia. Fu- rono poi con molta diligenza corretti tutti quanti gli errori di slampa di che e ricca V edizione lucchese , nella quale spesso e invano si cerca il senso , tanto venne condolla senza cura di sorta e con frelta. E di questo io vo debilore al signor Fer- dinando Tortoli , valente e sperimentato corretlore di slampe , gia lodato in versi dal buon Guadagnoli , che spesso c con frutto si giovo di lui. Chiudono V opera le Memorie storiche di Pisa dal 1839 al 1862, non mai fino a qui venule in luce 5 le quali furono scritte daWegregio ed erudito giovane signor Giovanni Sforza, lucchese , che pur adesso ha mandato alle stampe a Bologna co 9 tipi del Romagnoli un suo libro che riguarda la cilia nostra , imperocche illuslra il soggiorno che vi fece Dante Alighieri e i luoghi e le persone di Pisa che furono da esso lui ricor- date nella Divina Commedia . V Editor e. Lrvyv ANN ALI PISAN ■ PISA ETRUS C A. D all y anno 1600 al 300 av. V E. V. Le piu remote notizie che ci forniscono i cronisti e gli storici dei primitivi popoli italiani su Pisa risalgono all’ anno 1600 innanzi P era volgare. Un annotator di Yirgilio (1) ci narra che innanzi la migrazione dei Pelasghi, in Pisa soggiornava una razza teutonica; ma cosa puossi dir di questa, quando al tempo di Catone il Censore correva la medesima incertezza su gli abitatori che in Pisa precedettero gli Etruschi? (2) I piu vollero, accen- nando ad un’ epoca posteriore, che il di lei nome fosse di greca etimologia, essendo ripetuta favola che uno stuolo migrante di Pelasghi, sotto la scorta di Pelope, allettato dalla amenita delle fertili piag- ge tirrene che gli rammentavano i patrii arcadici lidi, edificasse sul confluente dei due fiumi Serchio (1) Servio, X. 179, (2) Il Cluverio, appoggiato sulla autoriladi Servio e interpretando a suo modo Plinio, scrisse non essere i Teuloni ^da Theut loro dio ^ gente di greca razaa, ma di Iigustica, provenicnte dalla Germania : dal che inferisce i pri- mi fondatori di Pisa essere stati gid Liguri — gents celtica — molto innanzi la guerra di Troia ( Italiae Antiquae , Lib. II. cap. 1. p. 494). ^ ne ricca potente c popolosa merce le continue re- lazioni di commercio che colla antica patria tene- vano i suoi fondatori, peritissimi hell’ arte della na- yigazione. Tale opinione fu desunta da cio che trovasi scritto nel libro III. cap. V. di Plinio: Pisa tra il flume Serchio ed Arno , derivata da Pelope e dai Pisii ovvero Teutoni , greca razza (4). E dietro questa testimonianza, che si fa convalidare da cio che Catone scrisse nel suo frammento sulle Origin! e coincidere colle parole di Dionisio d’Alicarnasso, aggiungesi che il nome di Pisa Alphea venne im- posto alia citta dai novelli abitatori a ricordanza di Pisa, citta d’ Elide nel Peloponneso, presso la quale scorre il flume Alfeo (2). (1) Il cardinal Noris, Cenotaphia Pisana, discorrendo ampiamente que- sto astruso soggelto, moslrandosi avverso alia origine ligustico-teulona di Pisa, ando a cercar i Teutoni del Cluverio nel Pcloponneso, sul delto di Pausania: Thiso a regiuncula est cui finitimus pagus Teuthis oppidum olirn fuit ac Tro- iano quidem hello ducem hinc missum narrant, cui nomen Teuthis , Ed ei sog- giunge: parecchi, secondo Catone, avere scritto che Pisa anticamente dal no- me dei suoi fondatori fosse chiamata Teuta. Cosicche Plinio lascio incerto se Pisa dai Pisei ovvero dai Teutoni — ambidue, a suo avviso, popoli del Peloponneso — venisse fan data. Ne fa maraviglia che nulla di certo potesse di cio affermarsi da Plinio, quando Porcio Catone, che fiori tre secoli innanzi Plinio, narro sui fondatori di Pisa solo le diverse opinioni, negando d’ aver verificato chi fossero coloro i quali eran padroni di Pisa avanti la venuta degli Etruschi. Dice egli per altro aver trovato Tracone ( o Tarconte) oriun- do lirreno, dopo che s’ impadroni del loro paese. Aver egli fabbricato Pisa, essendo per P avanti questo paese stato posseduto dai Teutoni, gente del pari parlanti il greco, — Altri, ove ora e Pisa dicono essere stato un castdlo chiamato Focida, lo che e indizio che tal castetlo trasse origine dal Pelopon- neso. Allri dicono che abitanti questo cast ell o fossero i Teuti che le deltero il nome; quindi i Lidii chela dissero Pisa: nome nella lor lingua signifi- cante unico porto ; perocche — annota il Noris — a questa citta fu imposto il nome dal porto di Luni. Altri racconlano essere stata costruita da Epeo fabbricatore del cavallo troiano, il quale con altri greci fu gettalo su questa spiaggia, (2) Questa citta era costruita sul destro lato dell’ Alfeo, e colle di lei ruine fu eretta Olimpia sulla ripa sinistra. ■.r 9y <=*> Servio cd Isidore ( Etimolog . xv) suppongono che l’abitazione di Pelope fosse dove presentemente c la chiesa di san Torpe. Solino nota i luoghi detti il Catallo ed il Marino e le rive dell’ Arno come i punti principal! in cui aveano stabilito dimora i Pelasghi. Dionisio d’ Alicarnasso riferisce, sul principio del primo suo libro della Istoria Rornana, che in fa- vor degli Aborigeni, antichissimi popoli d 1 Italia, concorsero i Pelasghi (1) sotto la scorta di Dcu- calione re della Tessaglia; e, vinti gli Umbri, di- verse citta conquistarono, fralle quali Cere, Pisa, Secondo alcuni cronologi Pelope regno poco innanzi Cadmo; quindi nell’ottavo secolo dopo il diluvio biblico, ossia verso il decimoseslo secolo innanzi Cristo, pensano, quei che da esso fan derivar Pisa, avesse luogo la di lui venuta ai lidi tirreni. Il padre Taioli nclla sua Cronaca Pisana ms. prelende di poter fissare con date determinate questa oscurissima epoca. Ecco com’ egli le spaccia: « Pisa fn edificata dopo il nascimento di Abramo anni 660 e fondata dopo la legge data a Mose 160 anni; cosi ebbe la sua origine innanzi alia guerra di Troja 181 anno. Pisa fu adunque fabbricata anni 616 innanti a Roma, e pri- ma del nascimento di Nostro Signore 1542 » (Lib. I). (1) Coloro che i primi temosfori della Italia fanno derivare dalla razza pelasgica, primogenita sorella della ellenica, narrano che questo popolo pro- scritto (il cui riome signiflca provenienti dal mare ) innanzi gli Elleni occupo tutta la Grecia fino alio Strimone. Troja istessa fu cilia pelasgica, e Omero chiama i di lei fondatori Uomini divini. Quasi tutte le coste d’ Italia furono colonizzate dai Pelasghi che ne scacciarono i Siculi, primi abitalori ( Sicelns e ltalus, nota Niebhur, sono uno stesso nome ). Le persecuzioni ch’ ebbero a sof- frire i Pelasghi allorquando s’ avvicind il momento che alia lor volta sparisse- ro dalla terra, il silenzio e Poscurita che ricuoprono il lor nome, il disprezz-o ostentalo dagli antichi storici greci a loro riguardo, debbonsi ascrivere a quella avversione che ispiran sempre alle tribu eroiche le popolazioni agricole e induslriose che le hanno precedute. (Cosi Michelet Histoire Romaine. Physio- nomie des anciens penples italiens avant la domination des Romains ). Cesare Cantu, St. Univ. t. III. p. 2, abbenche ammetta una fratellanza di popoli ita- liani innanzi la venuta dei Pelasghi, niuna prova adducendo della loro ci- villa, viene a ripetere cio che Niebhur e Michelet intorno al preteso incivili- mento dei Pelasghi gia dissero; ed anzi di tutti i fatti dalP illustre storico fran- cese con gran cura raccolti, arricchisce il suo racconto sugli Etruschi, senza pur far menzione della fonte a cui attinse. Or che diranno i Francesi ? Saturnia ed Alsio. — Questa notizia, dalle altre dif- ferent! e con differentissime osservazioni riportata da tutti gli storici, serve a fornirci un dato onde credere che Pisa all’epoca di cotesta conquista, di poco posteriore alia migrazione di Pelope, fosse citta gia fiorente (1). Non e da tacersi che Stra- bone nel Y. libro della sua Geografia espone alia sua volta una opinione alquanto dalle succitate di- versa; imperocche, a suo dire, quei guerrieri che seguirono Nestore re di Pilio a Troja, disgiunti nel ritorno da una tempesta, sbarcarono alcuni a Metaponto, altri sulla spiaggia tirrena, ova col nome dell’ abbandonata patria fondarono Pisa. Ed ampia materia di controversia questo differente opinare del poeta degli oscuri vaticinii (2) avrebbe offerto ai Cronisti se non avesser trovato via d’ amiche- vole aggiustamcnto con esso, facendo il re Nestore non fondatore, ma sibbene ampliatore od instau- ratore di Pisa, controversia d* altronde senza fon- damento; imperocche, come si puo credere che Nestore dopo la caduta di Troja abbia pot u to fon- dar Pisa, quando e sufficientemente autcnticato che essa era gia in quei tempi cresciuta in tanta possanza da essere in grado di dare ad Enea, combattente contro i Rutuii, il soccorso di mille eletti guerrieri, comandati dal valoroso Asila, forse pisano egli stesso, e successore di Mezenzio nel governo d’ Etruria (3), mentre tutte le altre citta etrusche con un numero pari o minore sembra soccorressero al figlio delP arsa Ilio ? Yirgilio, il (1) Non e moderno scrittore i! quale non s’ accordi in dire che I’ incivi- limento stanziato per 1’ Italia comincio nel 1585 prima dell’ era volgare. V. Romagnosi, Esame della storia degli antichi popoli Hal. Cesare Cantu, Sioria universale , torn. III. epoca III. parie 2. — Muller, Die Etrusker cc. (2) Micali, Sioria degli antichi popoli italiani tom . I. cap. I. (3) Dempslero, Etruria Regalis , gran genealogista dei Romani, e il miglior confu- tatore di questa gratuita asserzione (1). Un altro poeta — Rutilio Numaziano — il Fazio degli Uberti degli ultimi romani, ponendo in ritmo la tradizione lidia, canto che anteriormente all’epoca nella quale la fortuna immischid ai re del Lazio gli oriundi di Troja, l’ Etruria riceve Pisa dal - r Elide, siccome fa testimonianza il suo nome (2). A chiudere una si lunga serie di opinioni com- battenti e mal certe, dalle quali. Come dal fumo fuoco s' arg omenta j sol si trae la certezza di remotissima antichita per la citta nostra, opportuna e la disamina del dotto antiquario Mazzocchi, il quale nelle vestigia di lingue orientali che nelle italiche si rinvengono, cercando ragioni onde assegnare ai Tirreni origine orientale, venne a toccare delle ctimologie di pa- recchi luoghi della Toscana e particolarmente di Pisa, Dopo aver egli citato in Eusebio l’opinione che la voce greca pisos altro non denota se non luogo (1) Tertius ille hominum, divumque interpres Asylas, Cui pecudum fibrae, coeli cui sidera parent Et linguae volucrurn, et praesagi fulminis ignes astis. Mille rapit densos acie alque horrentibus hastis. Hos parere jubent Alpheae ab origine Pisae, Urbs Elrusca solo. ( Aeneid . lib. X). Le quali ultime parole il Beverini fedelmente traduce: « Pisa « Citta, se fama il ver gia non ofTusca, « D’ origin greca e di terreno elrusca ». Citasi ancora 1’ alessandrino poeta Licofrone, il quale, 300 anni innanzi Cristo, scriveva : Pisae civil as tyrrhena. Cilia etrusco-pelasga al pari di Cere e Fidene chiamaronla Polibio, Tolomeo ed allri greci scrillori o non greci, ma ligi alle costoro favole. (2) Ante diu quam Troiugenas forluna penates Laurentinorum regibus insereret Elide deductas suscepit Elruria Pisas, Nominis indicio lestificala genus. (Rut, Itiner.) 16 acquoso, dcnominazione giusta tanto per Pisa in Elide che per la toscana, fa risalire Fetimologia di questo vocabolo al verbo ebraico Pus, signifi- cante augescere, exundare, il cni nome vale quanto luogo paluslre ; e da cid trae motivo di ritenere ambo que’ nomi spettare non ai Greci, raa sibbene ai Tirreni orientali. E quanto alia convenienza di un simile appel- lativo essa dimostrasi per la natura anticamente .paludosa del terreno sul quale le due citta furono primieramcnte erette. Ed in ispecie appropriatis- sirno era alia etrusca, imperocche le acque della Clane fChianctJ e delFArno sembrano essere state in origine sospese in un vasto lago che dominava il paese, lino alhepoca in cui minando i loro ar- gini, si aprirono una strada verso Foccidente e il mezzogiorno. E noto avere Annibale impiegato tre notti e quattro di a traversare le paludi dell’ Etru- ria. Questo ristagnamento d’ acque in tempi meno lontani si ristrinse verso il littorale etrusco, per cui e’s’ebbe il nome d 1 2 Olanda della Toscana (1). L 1 Arno, secondo il Mazzocchi, fu cosi detto coll 1 ebraico vocabolo Huron (Arcam), con cui ge- ncralmente chiamavansi le terre circondate da qualche fmme — o i fiumi stessi che, serpcggiando attorno d’ un territorio, davano a questo forma di penisola (2). Cosi dalF ebraico Asar ( claudere , congregctre, cohibere, da cui formasi il nome Oser, con siriaco accento pronunciato Attser) pensa egli abbia origine il nome del Serchio; la quale eti- mologia ben s’accorda col favoloso racconto a noi (1) Michelet, Histoire Romaine , Introduce (2) Il nome Arne ritrovasi in Mesopotamia. Cosi dalla voce orientale lnka } significante boscaglia, venrie il latino lucus e I’ elrusco nome di Lucca, citta fabbricata ove fu gia grandissimo bosco. Fabbroni, Derivazione e cultura degli antichi popoli abitatori d’ Italia. trasmesso dagli antichi circa 1’ elevazione maravi- gliosa delle acque dei due fiumi, laddove congiun- geansi le correnti (1). Pel quale fenomeno fu dagli Etruschi votato un culto a questo flume (2) nel modo istesso che avean divinizzato il Tevere, il Numicio, il Yolturno (3). Forse 1’ illustre professore di Capua potc an- dar errato circa V origine delle sue etimologie ; ma certo non erro sclamando contro la servile opinione che di tutto vuol 1’ Italia sia debitrice alia Grecia; non erro insinuando agi’Italiani do- ver essi aver per sospetta la Grecia tutta ove si tratti di cosa che in qualunque modo le sue glorie concerna (4). Eco a queste parole fece chiunque a favole greche non fu ciecamentc servo; ma costretti a rF calcare, per mancanza di migliori vie, le male im- presse tracce de’ greci narratori, di Pisa in parti- colare parlando non possiamo a meno di trovare cogli antichi nostrani mischiate clleniche razze. La recapitolazione succinta di tutte le ipotesi prece- dentemente esposte mostrera questo vero. (1) Aristotele, De Mir. Auscultat . p. 1158. Rutilio I. 563. 599. Slrabone p, 154, dicono che dall’una all’ altra sponda per I’ elevazione dcll’acqua non distinguevasi un uomo. (2) Aesar in etrusco e nome generale di Dio ( Svetonio Aug. 97 ). Un fulmine cade e percuote un marmo su cui sta scrilto i! nome di Caesar , si che il C ne e scancellato. Gli aruspici toscani, facendo interprete il Cielo della loro adulazione, predicono che Ira non mollo l’imperatore sarebbe messo nel numero degli Dei, poiche tale e la significazione etrusca della parola superstite Aesar. A simile avvenimento dobbiamo la cognizione di questo vocabolo. (3) Micali, Storia cit , II. V. Dionisio, I. (4) Mazzocchi, Dissertaz. net Saggi della Accadcmia di Cortona. Ro- ma 1735, vol. 3, e nelle Tavole Eraclensi: Extra vero Regnum Di eapolitanum urbs nulla Italiae graeca fuit. Nam Cerae , Pisas , aut quamvis aliam civitalem quidquam cum Graecis habuisse commune in nostris Tyrrhenicis refutavimus , pag, 46. TOMO I. 3 Teuta fa il primissimo nome di Pisa. Questa seconda appellazione rimonta al se- colo xvi avanti 1’ era volgare. II prime nome deriva o da Teuti, citta d’Ar- cadia ( Nor is , Pausania ), o da Titana, pianura del territorio di Sicione ( Arduino, Plinio , Stefano Bi- zantino), ossivvero ebbe origine nelle lingue di que’ primi e moltiplici popoli che occuparono la Toscana (Inghirami). Al secondo dannosi tre origini : Pelope, Epeo, Nestore. L’ effigie del primo rinviensi sovente nei monumenti etrusohi, a dimostranza della venera- zione in questi popoli conservatasi per le antiche tradizioni. Gli altri, posteriori ad esso, mossero dalle piagge troiane quando la caduta famosa della citta di Priamo disperse gli eroi cola convenuti (1). Ed i Pileati sotto Nestore, i Focei sotto Epeo sembra si stabilissero dapprima separatamente (Ser- vio , Strabone , Raoul- Rochette): questi abitando la citta di Focida nel territorio pisano, queili Pisa, alia quale in memoria dell’ antico dominio un di da essi tenuto fino all’ Alfeo, aggiunsero il nome d’ Alfea. La situazione piii vantaggiosa di quest’ ul- tima fece ai Focei abbandonare 1’ altra, dando in- cremento e prevalenza al nome di Pisa; donde poi venne 1’ erronea asserzione d’ alcuni storici greci, esser Pisa dai Focei e dai Pileati o Pilii stata fondata. Tarconte, il Maomctto d’ Etruria, disceso a fon- dere in un popolo solo le varie razze di pelasghi, raseni e lidii colle italiche genti confuse (1370 av. 1’ E. Y.), imposto nome novello al paese (Etruria, (1) Omcro, Odissea lib. III. v. 130. — V. Tucidide, lib. I. cap. 12. Stra- bone lib. I p. 48. Raoul-Rochettc, Histoire de V etciblissement des colonies grecques . tom. II. lib. III. —\7 19 secondo i R,omani, dal greco eteros alter ed oros finis), e governo federale e religionc rivelatagli da un Dio, fu alia sua volta proclamato il fondatore di Pisa fServio), mentre forse venutone al pos- sesso e piu credibile che tali cangiamenti in essa operasse da far assumere nuova sembianza a quella gia antica citta. Ed ecco la Pisa Tirrena divenuta Pisa Etrusca. Ma qnando in essa le istituzioni nuove alle an- tiche prevalessero (1), quando sin del nome dei Felasghi si perdesse traccia intieramente e se mag- gior copia di leggi e di costumanze traessero i po- poli in essa migrati, ossivvero gf indigeni da quelli, sono altrettante questioni alle quali non possiamo assumerci di dar conveniente risposta, nel modo istesso che senza farci servi ad una di quelle opi- nioni che non da discrepanza di fatti, ma da un particolar modo di studiarli derivano, non potrem- mo asseverare se V incivilimento etrusco debbasi ri- guardare siccome un esotico frutto cresciuto a maturanza sotto il cielo d’ Italia, ovvero qual re- taggio ad essa spettante come madre dei primi temosfori deir Oriente. Un denso velo ricuopre le origini de’popoli; gli uni cogli altri ad un breve barlume appariscon confusi e commisti ; e in quella commistione recondita voile forse Iddio ammae- strarci ad una fraterna fusione futura. (1) Dionisio, lib. I., e Zenofonle dicono che circa cinquanl’ anni innanzi la guerra troiana Pisa fu dai Tusci ritolta ai Pelasghi. Altri antichi e moderni storici ci dicono che circa 200 anni innanzi la distruzione di Troja (1340 av. G. C,) le eruzioni dei vulcani, i quali in doppia linea di 24 craleri stendeansi dall’ Etna a Verona, costrinsero i Pelasghi ad abbandonare 1’ Etruria, (secon- do la cronologia di Champollion a. 1332 av. G. C,). Dopo il secolo XIV i po- chi Pelasghi rimasli in Etruria troviamo condannati a schiavitu, o perseguilati: Stefano Bizantino dice che gli schiavi degli italioti aveano ilnome di Pelasghi, Per tutte le loro incessanti peregrinazioni dissero alcuni greci somigliar essi alle erranti cicogne (nella greca lingua pelasgos'). ■r^jeSM 20 Certo e che Pisa fa etrusca. Nel novero delle piu illustri citta della Etruria 1’ ammettono Tito Livio, Diodoro, il Biondo, il Sigonio, Winkelmann, Caylus, Guarnacci, Micali, Muller, Michelet. — Adun- que, se omai non e piu dubbio fra i dotti essere stata T Etruria madre pria della greca (1), quindi della romana civilta siccome questa lo fu della eu- ropea; se gl’ innumerabili monumenti che tutto di si dissotterrano ne attestano a quanta perfezione ed a quale sublimita fosser giunte per gli Etruschi in questo sacro paese quelle arti e quegli studi i quali piu giovano ad accrescere i mezzi di po- tenza e di splendore d’ una incivilita nazione, non si neghi a Pisa 1* onore d’ aver condegnamente adempito alia missione dei popoli, e d’ aver preso nel!’ incivilimento d’ Italia antica parte attivissima e ragguardevole. I piu rispettabili istorici dei vetusti tempi ci ripetono in coro come i Pisani si rendessero cele- (1) Carli, Fabbroni ed altri sostennero la precedenza dell’ Italia alia Gre cia nelle arli e nei riti, Ognun sa come il dolto Micali nelle sue due opere sa gli antichi Italian! si facesse moderato sostenitore dell’ origine italica, suppo nendo continuamente una gente indigena di nascita e credenza cui sopravven nero altre con altri riti. Gabriele Rossetti, Pensieri sugli antichi popoli italian (nel Ricoglitore Lombardo ) e Mazzoldi, Origini Italiche } si mostrano intollerant confutatori d’ ogni innesto straniero. 11 tedesco Muller si fa beffe del patriot tico anti ellenismo deg!’ Italiani, e sostiene T origine greca della civilta etrusca Rifuggendo dall’idea di emetter pareri su materia in cui i piu dotti sonos impelagati, ed accontentandoci d’ esporre i falti, ad altri piu esperti rimetten done la discussione, annoteremo soltanto che i piu circospetti scriltori d’ anti chita italiane sembrano ormai concordi nella opinioneche asialiche genti partite dal dislretto che e tra il mar Caspio e il mar Nero e quindi varcato il Danubio (Istro) si posassero nell’ Illirico attorno le alpi (ann, 1920 av, G. C.) e di la nuovamente movessero per la nostra penisola, 220 anni innanzi la venuta degli Enotri. In quanto all’origine etrusca di Pisa osserva il Micali che se non e coraprovata dai documenti istorici e pero provata dall’opinione nazionale; pe- rocche narra Servio (X 179) che storie e poesie nazionali sulla bocca de’ pae- sani la celebravano siccome edificata da Tarconte 1* eroe: Tarconte condottiero degli Etruschi e tenuto fondatore di diverse citta, e da esso venne il nome pa* tronomico dell' Etruria media ( Tarcha , nelle Iscrizioni gens tarquinia ). bri per i loro lavori d’ architettura di scultura di plastica, quanto temuti per le navali loro imprese essi fossero, quanto stimati per l’attiva loro indu- stria commerciale ed agricola. Mentre le acque dell’ Arno e del Serchio accolte in un solo alveo (1) trasportavano le navi cariclie di legnami di sculte pietre di granaglie di biade al placido seno pisano, oggidi mutato in amplissimi campi ed in boscaglie, attraversando fertili pianure ove per le cure di esperti agricultori biondeggiava rigogliosa la spiga ed a vaste praterie in cui pasceano pingui armenti, ed alle quali facean corona le circostanti colline tutte verdeggianti di viti (2) ed i monti propinqui sui quali ergeansi i castelli dei Lucumoni, guer- rieri, magistral, mercanti ad un tempo, nella po- polosa citta apprestavansi flotte, costruivansi na- vigli (3), scolpivansi marmi, s’intagliavan le genime, lavoravansi quelle statue quelle urne quegl’ idoli che quaranta secoli dopo dovean far fede alle at- tonite generazioni della grandezza de’ loro antichi e primi padri (4). (1) Dell’ antico corso del Serchio, assai dal presente diverso, parlarono Strabone e Rutilio Numaziano. Noris riporta le parole del primo, ove dice: Id temporis Arnum inter etAusurem urbs sita erat,qui eandem ab utroque latere cin- gentes , uno postea alveo tyrrheno miscebantur , I due fiumi riunivansi presso P antico Arsenale. L’Ozzori, fiumicello allora forse piu considerable di quello che sia al presente, scorreva nel piano e lungo le mura di Pisa, Tra i mo- dern!" meritan menzione le ipotesi di Pier Vettori e del padre Grandi. Negli Annali Lucchesi (anno 1116) trovasi nominata la foce del Serchio nel sito medesimo ov’ ella e al presente. (2) Pharia uva gaudent Pisae , Plinio. Cantini, Sloria del commercio e della navigazione de’Pisani. (3) Strabone nel V. libro s’esprime co’ termini seguenli : Videtur ea urbs quondam floruisse , ac ne nunc quidem ignobilis est ob fertilitatem et lapi- dicinas et navalem materiam qua olim usi sunt ad maritima praelia . (4) Lascio scritto il Morrona ( Pisa illustrata nelle arti del disegno , t. I. ^ p. 31) che in varii scavi, eseguiti a different!' epoche nelP agro pisano, e prin- cipalmente fuori delle porte o Lucca ed a Mare , furon rinvenule molte urne cinerarie, vasellami, idoletti in bronzo ed in rame che sembravano apparte- A quest’ epoca adunque risale 1’origine del Porto Pisano, il quale, spento il romano colosso, e Pisa risurta dalle invasion! de’ barbari, crebbe in mag- gior rinomanza ne’secoli di mezzo, pin non avendo per emule nelle navali intraprese Luni e Populo- nia, spente a un tempo cogli antichi abitatori. Il Tempesti , illustrator diligente di patrie cose, dopo attente indagini istituite a sparger qualche lume su quel vetustissi’mo emporio, penso ch’ ei fosse situato ove attualmente trovansi la citta e la pianura di Livorno, argomentandosi dover esser formato da una grande baia circoscritta dalle falde del monte e dal promontorio di Labrone. Egli av- valoro il suo ragionamento colla citazione d’ un marmo su cui 1’ etrusco porto vedesi rozzamente scolpito, e che dal muro dell’ antico arsenale pi- sano de’ tempi romani fu tolto onde riporsi tra le preziosita del Camposanto — quell’ immenso archi- vio d’un popolo eminentemente belligero, religioso, artista, il quale al difetto di una storia vergata da penna non vile, seppe supplire con una istoria scolpita sul marmo e sul bronzo: — imperocche non vi fu epoca, non civil mutamento che per quel tempio, sacro alle civiche glorie, non apprestassero un tributo di monumenti ! nere a varie epoche dell’ incivilimento etrusco. Il can, Raffaello Roncioni nel <> I. libro della sua Cronica ms. pis. parla d’altri consimili scavi fatti presso le 5 miiM pH ii dotto Ottaviano Targioni, ne’ suoi Viaggi in Toscana tom , I., da igguaglio di molti oggetti apparlenenli all’ epoche suddeUe* rinve- ontorni del Porto Pisano. Un rapido ragguaglio della civilta, delle marittime imprese e del commercio d’ Etruria tutta, giovera, meglio di qualunque par- ziale esame, a mostrare qual posto tenessero i Pisani tra gli anti- chi popoli d’ Italia nostra. A chi questo fosse per trovare di soverchio diffuso e su basi troppo generali dettato, vorremmo fosse manifesto che se vi sono epoche in cui la storia — si vasta e si grande che ben potrebbe assomigliarsi a quegl’ immensi giganti di Dante che colla testa tor- reggiano tra le nubi abbenehe il corpo abbian sommerso sotteiTa — ricusi impicciolirsi alia statura d’una sola citta, una tra queste e per certo quella presentemente discorsa. E quand’ an che fosse agevole il disgregare il nome de’ Pisani da quello dei popoli consorti, noi non avremmo che poclii fatti sconnessi e separati per lunghezza di secoli. Ma — giova il ripe- terlo — non che agevole, e impossibile. E cio non gia perche i pri- mi nostri padri non. fosser di buon’ ora tutti divisi e discordi ; (e quando mai non lo furono gritaliani?) ma perche ogni loro me- moria rimanendoci nei libri di storici stranieri o di avversa na- zione, cosi, per isprezzo o indifferenza in quelli, per antico rancore in questa, sono accomunate nel nome d’una terra e d’una gente le glorie e le sventure di dodici popoli, di dodici citta che pur lutte potrebbero rifulgere di luce lor propria. Per la stessa ragione — come altrove dicemmo — sarebbe opera vana 1’ affaticar la mente a penetrare il mistero della origine illustre e remota di questi popoli e di queste citta: sarebbe come il correr dietro all’ ombra che ad ogni passo viepiu s’ allontana. I Romani — in questo meglio avvisati di tutti i mo derni storici — chia- marono i piu antichi progenitori delle nazioni col nome comune di Aborigeni (1). Da altri si credette operar piii filosoficamente tanto lontano spingendo le argute indagini, da finire col rinegare la pa- tria e chiamarci una razza bastarda di Greci o di Teutoni. Meglio valeva il prestar fede all’ epico della tirrena Mantova e crederci nati da tronchi e dalle querce natie (2), o supporci ingenerati dalle (1) Aborigeni suona come Aulocloni, uomini della terra, abitanti del paese. (2) Pariando degli abilatori del Lazio : « Gensque virum truncis et duro robore nata. (ien. lib , F/Z/), 24 zolle del suolo d’ Italia, siccome i Greci favoleggiarono (1), allu- dendo forse con tal poetica finzione alia recondita antichita del po- pol nostro. Quindi e che se si voglia andar tessendo il sunto delle vi- cende e non quello delle opinioni tutte fra loro divergenti e fon- date sui pochi ed infedeli documenti che dai Greci e dai Latini ci pervennero, e forza il bandire ogni pelasgica tradizione, e solo in- cominciar dall’ eta in cui finnesto d’un popolo, Ra-seno Tir-seno o Tirreno che appellar lo si voglia, ringiovanendo una razza gia vecchia, die origine al nome etrusco. Il territorio di questo popolo estendeasi da un mare all’ altro, ed avea per confini: il lido tirreno dalla foce del Tevere a quella dell’ Arno; il Tevere istesso, dalla foce sino alia sorgente; e da questa dilungandosi, le cime appennine sino alia sorgente del Ser- chio (2) . Ma da questo lato i limiti (3) allargavansi o ristringevansi, secondo che la sorte delle armi propendeva pegli Etruschi o pei Liguri — infesti vicini, feroci per natura ed avidissimi di prede — se il ritratto lasciatone da Strabone non e menzogna (4). E fa maraviglia e spavento trovar gia vivi e feroci gli odii e le contese tra Liguri e Pisani ventieinque secoli innanzi che i Ge- novesi satisfacessero le insane ire frateme — triste avito retaggio — alio scoglio della Meloria! La piu antica memoria della navigazione degli Etruschi ri- trovasi in un mito tramandatoci dai Greci, nelle istorie de’ quali troviamo descritta co’colori piu vivi dello sbigottimento e del ter- rore la piratica galea dei Tirreni (5), i quali rapiscono Bacco per (1) Dionisio I, 36. (2) Micali, Storia degli antichi popoli italiani t. 1. — T. Livio lib. V. (3) I primi Etruschi, collo stabilire il confine reso sacro dalla presenza degli Iddii tutelari (Termini), col render culto al domeslico focolare ( Estia , Vesta , di i lari e penati ) fondarono su doppia base I’ edifizio del diritto civile, grande e distinliva original i la dell’ Italia. (4) Irritabant eos improbi vicini Ligures lateri semper inherentes. Lib. V, (5) Tirreni, Etruschi e talora Pelasghi furono nomi indifferentemente T un per 1’ altro impiegati dagli storici greci, abbenche differentissimi suonino per noi. II primo di essi trae origine, secondo alcuni, dall’ uso coslante degli Etruschi di ricingere e munire le terre principali di salde mura. ( Turseis , edi- fizio murato). Seconclo altri dalle molte torrl; poiche fabbricando le loro cilia su due colli, sul piu alto di questi solevano eriger la rocca. Infine, per parere di alcuni, piuttosto da iiremh coltivatore. 25 poscia venderlo come sckiavo — mito (1) dal quale traspaiono le prime vestigia d’un traffico infame — che pur si mantiene a’ di no- stri fra nazioni salite in fama per civilta e per supremazia di na- vale potenza. Ne col nome di pirati spiaccia veder designati gli Etruschi; che Greci, Fenici e Cartaginesi, riconobbero dalla pirateria 1’ ori- gine della loro potenza (2); e non altrimenti die col frequente cor- seggiare — aggiunge lo storico degli antichi nostrani — (3) fece al suo tempo grandi progressi la nuova nata navigazione europea. La Sicilia, la Sardegna, le coste dell’ Africa e dell’ Asia Mi- nore, il Bosforo Trace, le^spiagge egizie furono meta al corso dei toscani navi gli. Prova della grande perizia etrusca nell’ arte nautica e il tro- var menzionata press o gli storici greci 1* ancora dentata, siccome etrusco ritrovato. Plinio noverando gli strumenti navali scrisse che un Piseo tirreno aggiunse i rostri alle navi (4), e Rodi come gran vanto conservava ne’ suoi templi quelli tolti ai tremendi pirati tir- reni. — In altro luogo il naturalista di Como nel numero degli stru- menti militari fa menzione della metallica tuba tirrena. — (5) Livio, dopo avere nel IV libro delle Deche commendato i Pisani-Etrusclii come popolo e per valore e per industria a niun secondo in Etru- ria (6), al principio del V, piu generalmente parlando, soggiunge: (1) Aglostene pro Igin lib. II. Molti altri miti ( mithos , favola, tradizione) possono addursi in conferma d’ un fatto medesimo. Ercole che soggioga Anteo e Gerione altesta le loro imprese ai tempi fenicii. Gli Argonauli (anno 1263 av, l’E. V. e 79 innanzi la guerra dei Troiani, figli essi medesimi di gente lo- sca) i quali tutti son feriti dagli Elruschi, tranne il solo Glauco. Esiodo (X, se- colo av. E. V.) gia ai suoi tempi celebra i forti Tirrenb illustri fra gli dei e gli eroi. (2) Tucidide, I, p. 4, Giuslir.o, Latrocinia maris , quod illis temporibus gloriae habebatur. (3) Micali, t, I. cap. VII. p. 128. (4) Rostra addidit Pisaeus tyrrhenus Plinio VII, 56. V. Antichita d'Erco- lano illuslr. t. V. Append, (5) x Eneam tubam Pisaeum Tyrrhenum. (6) Anco Diodoro: « Etenim inter Hetruscos belli gloria excellebant ». Se gli Elruschi avanli V impero romano molta possanza ebbero sul mare, se ne tennero V impero, se al mare dellero il nome di Etrusco, se empirono le terre ed i mari colla fama dell’ etrusco nome, il che copiosamente e attestato dalle anliche islorie : questo mare quasi tutto appartenne ai Pisani, la gloria del cui nome ampiamente coperse il reslo del(’ Etruria. In tal guisa le lodi di navali TOMO I. 4 26 „ I Toscani innanzi l’imperio romano estesero ampiamente la loro possanza sulla terra e sul mare „ (1). E questa somma perizia nella navigazione parmi vederla simboleggiata in altro mito, quello che facea d’Eolo — il rettore de’ venti — un re degli Etruschi (2). Della qual possanza furono si tremende ministre le armi loro presso le genti elleniclie, che tra queste, commosse a grande spavento, eran popolare spauracchio le catene degli etruschi (3) a denotare la piii dura e penosa schiavitii. Potentissima infatti esser dovea quella nazione che nella pri- ma era istorica troviamo gia alleata ai Cartaginesi, formidabili in guerra e rinomati per 1’ estesissimo commercio, i quali non solo — come pin lungi vedremo — se l’ebbero a compagna nei traffici, ma nelle imprese piu riscliiose ne ricevettero validissimi soccorsi. Vedemmo sin qui gli Etruschi al di fuori del loro paese: esa- miniamone adesso con rapido sguardo gli ordinamenti eivili e reli- giosi ed il politico reggimento. Dodici citta principali ed altre mi- nori costituivano altrettanti centri d’ azione di potere d’industria. Il primitivo loro governo esser dovette teocratico ed aristocratico. A questo successe il federativo, i cui vincoli pero col crescer delle eta andaron sempre piu rallentandosi. AH’ epoca in cui Roma fu fon- data, i dodici destini di questi popoli, parlanti si un comune lin- guaggio ma pur sovente F uno annato ai danni dell’ altro, sembra fosser riuniti soltanto da fragilissimo filo. Generali congressi eran da essi tenuti, ad incerte epoche, in luogo detto Fanum Voltumnae dal tempio di Voltumna, dea della Concordia: ivi decideansi dai dodici deputati le alleanze, o diehiaravansi le guerre. Libero a ciascuno era lo scegliersi un reggimento indipendente e popolare o un annuo sovrano tra i Lucumoni, libero il dar aiuti alia vicina citta pericli- tante od assister immoti alia sua ruina. Cosi per comune lega delle piii piccole cade Corito, la massima tralle antiche citta etrusche: imprese e di molte altre ncl modo istesso in che per F avanti erano passate dai Pisani nei Liguri allorquando essi coi Liguri f'urono annoverati, cosi dipoi dai Pisani ridondarono sugli Etruschi allorche di Etruschi i Pisani presero ii no- me ». Aless. Politi Ad Academiam Pisanam Panegyricus Senatui Populoque Pi- sano consecratus. (1) Thuscorum ante romanum imperium late terra marique opes paluere. Cato, ap. Serv. XI, 167. In Thuscorum jure pene omnis Italia fuerat. (2) Dempstero, Etruria regalis . Pignolli. Stor. della Tosc , lib. I. cap. 1, (3) Vincula thyrrhena. 27 cosi per abbandono di tutte Veio e preda dei Romani (1) — del resto aborrenti da giogo regale ed egualmente amanti di regolato ma lb berissimo viver civile — (2). Di leggieri si discerne il lato debole di cotale governo. Per quanto la storia degli Etruschi non ci sia per- venuta che in frammenti, pure tenendo dietro ai progressi di quella disunione che troviamo regolar le mosse della societa etrusca alF epo- ca sua culminante, giungiamo poi a tal punto in cui ben se ne pre- vede non lontano sfacelo; poiche la disunione, ingenerate le ambi- zioni dei privati, fomentati i dissidii tra citta e citta, trasformati i fratelli in altrettanti nemici, fu germe continuo di funesti malori che paralizzaron le forze d’ una nazione la quale unita sarebbe stata in- vincibile: divisa, fu facil preda del primo accorto conquistatore. Ma questo male fu egli particolare soltanto della societa etrusca? All’ affratellamento degl’ Italiani eterno ostacolo frappose la fisica costituzione del loro suolo. Valli tortuose, spesse giogaie di monti tralle quali ciascuna provincia e quasi dalF altra isolata, furon la causa primaria di quel primario smembramento, di quella parziale centralizzazione che rese inabili le tante volte ad una poderosa re- sistenza i popoli nostri, rafforzando all’incontro F egoismo munici- pale e le intestine discordie che gli reser ludibrio agli stranieri. E affissandosi anco per un istante a questo capitale disordine della etrusca societa, a chi non ricorre in mente lo stato d’ Italia al ces- sare del feudalismo* e le quaranta repubbliche tutte del pari aspi- ranti a supremo coniando; e tutte disdegnose del pari di piegar a obbedienza? I nomi di quelle dodici sedi principali di potere sono varii in tutti gli storici. I piu escludono dal novero Pisa e Yolterra, non gia perche minori in isplendore od antichita, ma, secondo le piii proba- bili congetture, perche estranee piu di tutt’altre a quelle costitu- zioni di cui facemmo menzione, e se diversamente governanti (3). (4) Vejentes .... regent creavere : offendit ea res populorum Elruriae ani - mos, non majore odio regni : quant ipsius regis. Gens itaque auxilium Vejenti - bus negandum donee sub rege essent decrevit, Livio, lib, V. (2) & solto questo aspetto che Virgilio aspramente gli rampogna: « Quis metus, o nunquam dolituri, o semper inertes « Tyrrheni, quae lanta animis ignavia venit? (Aen. XI, 732-33). (3) Nota il Pignotti: « II preeiso ed esalto Virgilio con quelle parole urbs etrusca solo , non avrebbe forse voluto denolare una citta posta in suolo etru- sco, ma non unita alia lega etrusca ?» 28 Ma ciascuna s’ abbella di propri vanti. Pisa e famosa per na- vali costruzioni e per lavorio di marmi, Arezzo per culto assiduo all’ arte figulina, Tarquene per la plastica, Vulsinia — clie in feni- cio suona citta d’ artisti — per la scultura (1), Chiusi per 1’ intaglio delle pietre dure, Perugia e Cortona per F arte fusoria, Volterra per la scultura degii alabastri, Cere per le maschie virtu dei trafficanti cittadini — nobilmente alieni dalF arte piratica. — Nell’ epoca di loro grandezza gli Etruscbi dominarono sulla Corsica (193 av. Roma, 561 av. FE. V.), sull’Elba, sulla Sardegna, in porzione della Sici- lia, nella Campania, in cui fondarono dodici colonie (823 av. E. V.), tralle quali primeggiarono Capua, Nola^ Ercolano, Pompeia, Mar- cina; sul Po ove dettero origine ad una nuova Etruria; sul golfo della Spezia ove fondarono Luni; poiche i popoli Etruschi — in cio profondi e accorti politici — vincendo non vollero la distruzione dei propri nemici; ma come nuove gemme al loro serto li aggiunsero, ed a favorire la propria grandezza gli elessero. Quindi sulle ruine delle citta debellate si dettero a costruirne di nuove; bonificaron maremme; scavaron acquedotti maravigliosi; perforaron montagne; eressero mura cbe sembrano sfidare l’eternita; propagarono scienze ed arti; accettaron gli Iddii e le utili istituzioni delle nazioni sog- giogate; insomma detter la servitii senza la ferrea catena, che spesso e F arme del riscatto dello schiavo. Ed infatti le colonie da essi fondate nella Corsica e nella Sardegna dovettero fornir loro una stazione media, opportunissima alle navigazioni tanto verso la Spagna che per i lidi africani e per F Egitto. A chi fosse vago di conoscere in che consistesse il loro traf- fico e da sodisfarsi in pochi detti. Alcuni, i piu montani, men ricchi d 1 2 olio di biade di vini, contro questi generi davano pece, sughi re- sinosi, pelli, legnami, — e di questi dovea esser dovizia in que’ paesi rinomati per la prodigiosa grossezza delle querci, su quei monti riccamente vestiti di folte boscaglie, fra i quali primeggiarono an- co quelli di Pisa, abbenche ora squallido e nudo le mostrino il dosso. — Altri, piu intenti alle arti del lusso, i cavalli, gli armenti, le lane, la cera, il miele, il grano e il farro celebrato da Plinio (2), (1) I Romani predarono duemila statue nella conquista di questa citta (ann. 472 di R., 282 av. G C,) Michelet, Hist, Rom. (2) Praecellit ( Siligo ) in Italia , si Campana Pisis natae misceatur , Ru- fior ilia, ut Pisana candidior , ponderosior vero cretacea PI. I, 18 cap. 9. — Ju- stum est e grano Campanae e modio redire sextarios quatuor siliginis etc. e W' 29 e il ferro di cui inesauribili miniere aveano nelF Elba (1). II bosso, che serviva alle saldissime navi di Tiro, scambiavano coll’avorio di Nigrizia, colle stoffe, coll’ambra — delizia delle belle Toscane (2), . indispensable ornamento negli asili mortuarii, a cui professavan cnlto quotidiano e domestico. — Tutti poi facean traffico di lavori tosca- nici di bronzo e di terra cotta, d’idoletti, d’ arredi casalinghi, di vasi, d’ aureole, che assai caramente spacciavano ai popoli inesperti. Avean moneta in principio non coniata ma fusa in rame, e chiamavanla Asse grave (3), la cui invenzione con mito orientale attribuivano a Giano bifronte, dio donna-pesce, preside di tutte le umane azioni, al quale Camasena — la terra nativa in simbolo — era moglie e sorella (4). II dritto d’ entrata e d’ uscita dai porti era la unica imposizione di cui gravasser le merci, e questa sottoposta alia volonta di Dio, la cui ira misuravano i sacerdoti dall’ acerbita delle gabelle. Da cio rileviamo qual parte prendesse la religione nel governo delle etrusche citta; e i di lei ministri eran famosi per la scienza degli oroscopi, che con invidiabil accortezza fino agli ultimi giorni seppero esercitare con credito mai scadente (5). Dei fenomeni fre- Pisana autem sextarios quinque etc. Inter prima dicatur et alicae ratio , prae- stantissimae saluberrimaeque quae palma frugum indubitanter Italiam contigit , Fit sine dubio in Aegypto , sed admodum spernenda. In Italia veto pluribus locis , sicut Veronensi Pisanoque agro } cap, 11. (1) Insule , inexhaustis Chalybum generosa metallis. (Virg, X, 174 ), (2) Le femmine d’ Etruria aveano P invidiabile pregio d’esser reputate sommamente belle. — Micali, L’ Italia avanti il dominio dei Romani. Le ma* trone etrusche portavano in sulla testa il tutulo , ornamento simile a quello che ora veggiamo nelle statue rappresentanti r Italia. Matres familias cri- nes convoltus ad verticem capitis quos habent uii velatos , dicent tutelos. Varro, Be ling. lat. (3) Aes grave. Sidla moneta grave italica primitiva raccolta nel meda- gliere del Museo Kircheriano da' RR % PP. Marchi e Tessieri, — V. Raoul Ro- chette, Journal des Savants , anni 1840-41. (4) Altro Giano aveano gli Etruschi, quadrifronte, venuto sopra un va- scello ed apportatore di civilta. Da lui incomincia il Dempstero quella sua curiosa nomenclatura di re etruschi. (5) Fino ai tempi d’Alaricosi spediva in Etruria a consultare gli Auguri per la salvezza della patria. V. Eusebe Salvetre, Des sciences occultes. — L’essenza mistica degli Dei non potea comprendersi che ne’ soli misteri. Ogni arte diveniva sacra per le iniziazioni. Eranvi Iddii ermafroditi, come Saturno; Opi, dio-dea della terra; Diano-Diana del cielo; Anna Perenna, la madre nutrice- Le tre principali di* few- 30 quentissimi nel nostro cielo, del lampo, del tuono della folgore, clie essi sapeano attrarre (1). Eran costoro giunti a formar una scienza avente scopo religioso politico morale (2). Le arti tutte, dappoi trapassate nei Romani, trovavansi fra gli Etruschi fiorenti (3). L’ istruzione e Teducazione in accord o e alta- mente comprese; pudici i ginnasii, austere e gravi le istituzioni tutte. La scienza de’ numeri era tra essi arrivata a grado sublime; — sin le cifre che diciamo romane sono invenzione etrusca (4). — La musica strumentale prediligevano quale motrice di miti costumi vinita crano Tina (Zeus'), Cupra o Giunone la dea fulminatrice, Minerva la dea del Gonsiglio, la conservatrice delle repubbliche. Questi dii primarii for- mavan la sacra triade nala dall’cnte universale, e le tre di vinita aveano porta consacrata e tempio dentro ogni cilia. — A1 di fuori deiie mura. all’incontro, avean templi Vulcano, lo spirito del fuoco; Marte, Venere e Cerere (dea del- l’agricoltura e della ci villa ad un tempo) : e cio a significare doversi l’incen- dio tener lungi dalla citla, rimote le armi, sbandita la libidine (Vilruvio I, 7). All’ultima poi facean corteggio altri dodici dei inferior!, presidi invocati a ciascu- no dei campestri lavori. Nei primi tempi era vietato inalzare statue agli dei, e furon allora gli Etruschi assolulamente iconoclasti, Tarcon l’antico interrogo Tagete, miracoloso fanciullo, nato canuto, il quale gli rivelo la dottrina fon- damentale degli aruspici. — Sorano o Summano, dio padre, signore delle re- gioni infere insieme a Februus, minislrava la morte. Fiumi, fonli foresle avean pur essi un cullo.Gli uomini virtuosi diventavano dei dopo morte, Nei rili, nelle costumanze predomino un fatalismo telro e melanconico. Credenti nel totale disfacimento dell’ universo e dei numi dopo il volger di sei mille- narii, in quello d’ Etruria dopo dodici secoli, passavan gran parte della vita ad occuparsi della morte, scavando amplissimi ipogei. I loro monumenti sono delle tombe e delle urne. V. le Opere di Passeri, Inghirami, Orioli, Creuzer (Symbolik und Mytologie) ollre le gia citate. (1) Etruria erumpere quoque terra fulmina arbitratur. — Plinio Storia Naturals II. 53. (2) Compilatori e custodi erano dessi dei Riluali, prudentissimi codici, i di cui providenziali ed inviolati ordinamenti posson destar meraviglia anco nelle meglio incivilite societa. V, Feslus Rituales, (3) I soggelti espressi n#’loro vasi ne fanno ampia fede. — Dieci anni addietro sarebbesi potuto dire che gli Etruschi o mai non ebbero o pochis* simi vasi, poiche niun cenno o scarsissimo troviam di essi negli autori latini. Ora ne possediamo a migliaia. L’ arte del vasaio era sacra pur essa. I Pela- sghi, narra Michelet, la santificarono, rappresentando gli iddii Cabiri solto for- ma di vasi dal largo ventre; uno dei quali era di continuo situato sul dome- stico focolare. (4) II numero dodici fu consacrato dalla religione. Percio nella divisionc geografica troviamo 12 cilia principal! in Etruria, 12 colonie sul Po, 12 in Ca- — - — -A/'X ! va(' 31 e di civilta; — e narranci Plutarco ed Ateneo die il pane manipo- lavasi a suon di flauto, e persino gli schiavi battevansi con musi- cale accompagnamento. Famosi erano i loro Subuli, trombettieri nella musica sacra, e le forme del corno ritorto e delle tibie tirrene ci furon trasmesse dagli antichi storici. — Delle lettere non erano oziosi cultori: possedevano tragedi e poeti, e tramandarono ai Ro- mani, insieme a varie forme d’ abiti, alle agricole teorie, ai numi, alle cerimonie civili e religiose, le rappresentazioni delle burlevoli Atellane e i giuochi circensi, facenti parte e pompa di religione. — In medicina i loro sacerdoti furono profondi tanto che passavan presso nazioni piu semplici per tremendi stregoni. Ebbero rispetto alia donna, sconosciuto ai Greci ed agli Orien- tali, e la tennero a compagna diletta, non a scliiava oppressa ed avvilita: la legge o la consuetudine faceala astemia al pari dei fi- gli; e prima che la corruzione ne rendesse molli i costumi, era con- tenta, dopo imbandita la mensa frugale, spendere i giorni filando c tessendo (1). Scendendo ad nn particolare ragguaglio delle imprese navali, non troviamo sugli storici con precisione indicate die F epoche delle sconfitte. Erodoto, Tucidide, Pindaro ban perpetuato quella dagli Etru- sclii ricevuta in una delle battaglie piii anticamente combattute nei nostri mari — quella dei Cartaginesi e degli Etruschi contro i Focesi soccorrenti Cuma (536 av. G. C., 218 di Roma) presso la Sarde- labria: nella Teogonia dodici dei Consenti ; 6 maschi e 6 femmine che assi- stono Tina, anima del mondo, causa della cause; nella Cosmogonia 12 mille- narii ne’quali e ristrelta la durata dell’ universo, a creare il quale Iddio ne occupo sei, restando V allra meta per per l’esislenza delTuomo. (1) Alcim, Sicul, ap, Aleneo, X. 12, e Ovidio De medic, faciei, 11. In un libro d’ una oltramontana, recentemente uscito a stampa, troviamo leseguenti parole: « La condizione delle etrusche donne era fra i sociali e politici miracoli delP Italia innanzi i Romani. Appellate ad eguale lavoro, ad egual sofferenza coll’ uomo, esse godevano quasi d’ eguali dirilli. V alia estimazione che di loro faceasi apparisce da un fatto: 1’ esser elleno ammesse a lutti i sociali eonvegnb pubblici e privati. Nelle rappresentazioni delle loro feste solenni nazionali le donne sono rafpgurate reclinanti sui triclinii istessi co’ loro anariti e solto F istessa coperla. Un altro gran distintivo della considerazione in cui furon tenute le femmine, si era il costume uniformemente adottato di aggiungere il nome materno nella nomenclatura dei figli — riconoscimento alia pretesa della donna, qual fondatrice delle famiglie: pretesa, che e oltre le forze degli scet- tici sofismi il negare ec. » Woman and her Master di Lady Morgan, lib, IV. The Women of Italy. ~r^r\ . gna — , nella quale ebbero a soffrire le flotte alleate la tanto igno- miniosa rotta celebrata dal cantor di Gerone (1). — In essa narra Diodoro Siculo (XI, 253) avere il tiranno di Siracusa incendiato ai Cartaginesi ed ai Tirreni le flotte; e quanti misero piede a terra, tanti presso al flume Imetto trucidatine. Ma non per questo cessa- rono i Toscani di corseggiare pel Mediterraneo occidentale; si che Anassila, signore di Reggio, dovette fortificare l’istmo scilleo, a cau- telarsi dalle loro incursioni (260-68 di R., 494-86 av. G. C.); Be quella incontrata a Cuma fu Tunica sconfitta in quel torno sofferta; che gli abitanti di Lipari, dominatori delle isole eolie ed essi pure pirati, rivaleggiando cogli Etruschi, ebbero la sorte di abbattere una loro armata navale; si che in riconoscenza dedicarono al Dio di Delfo tante statue quante furon le navi predate (Pausania X. II, 16). Intanto che fervevano i dissidii tra Siculi e Cartaginesi, i To- scani, veleggiando senza ostacoli sul loro mare, ripararono colie commerciali intraprese ai mali di che le interne nimiche irruzioni dei Romani cominciavano a opprimergli. Piu tardi gli troviamo nuo- vamente congiurati a’ danni di Siracusa insieme cogli Ateniesi — ai quali T occupazione della Sicilia stava a cuore siccome il primo passo a quella d’ltalia — guidati da Demostene e da Nicia nel- l’anno 340 di R. (414 av. G. C.) — Nella celebre battaglia che fini questa guerra, data da Gilippo generale de’ Siculi ( 28 agosto ) ab- biamo per Tucidide (2) che i Toscani lo rispinsero fino alia palude Lisimelia, combattendo valorosamente in quella rotta dolorosa. I Cartaginesi, alleatisi per quattro volte ai Romani, avevano intanto invaso la Corsica e la Sardegna: agli Etruschi sovrastava estrema ruina. Veio, dopo una guerra d’oltre 60 anni cade per non piu risorgere. Cere e fatta mancipio de’ Romani ( 365 di Roma ). I Liguri tolgono alle genti dell’ Arno l’intero possesso della Magra (380-90 di R.). Perugia, Bolsena, Arezzo, ombra di quello che fu- rono al cominciar della lega, impetrano pace a umilianti condi- (1) « Cessi « Lo strepitar de’ torbidi Tirreni, « Vedendo a Cuma in faccia « D’ infrante navi e di nocchieri oppressi « La lagrimosa faccia », Pisdjro, Pitie , Ode I . (2) Tucid De bello Peloponn. Jib. VII. — Earn classem Alheniensium jam supcrari , exlraque lignea septa praeferri cum cerneret Gilippus etc. 33 zioni (1). In quest’ epoca, abbenche calamitosa e terribile, pur veg- giamo una parte dei Toscani collegati con quei di Siracusa contro l’odiata Cartagine. Ai 17 triremi d’Agatocle — il vasaio divenuto ti- ranno — si uniscono essi con 18, e disfanno F armata nemica. Que- sta momentanea vittoria riapre loro il libero corso del mare (2); ma e F ultima eh’ essi operino innanzi di piegare completamente ai Romani, le cui aquile dalle cime de’ sette colli vegliavan incessanti alio esterminio delle dodici capitali toscane. Ed al lago di Vadimone lia luogo alfine questa decisiva scon- fitta (3). Gli Etrusclii, troppo tardi rhinitis? con giuramento di vin- cere o morire virtuosamente pel bene di tutti, pur seppero mostrare in cotesto fatto tanta intrepidita e valentia da parer ai Romani — per usar la espressione di Livio — (4) non piii i nemici tante volte debellati e da tante parziali sconfitte indeboliti, ma quasi gente novella. Scevri di forze e d’ ausilii, versarono alfine F ultimo sangue per la causa della liberta. — Ebbe in tal guisa da indi in- nanzi F Etruria calma e non riposo, pompe senza glorie, servitit con nomi onorandi. Pure non cessava per questo Famore delle arti ne degli studi che piii s’aveano in pregio : e riprendendo altrove il filo della presente narrativa ritroveremo ancora in essi que’moti generosi che mai non mancaron negl’ Italiani, abbenche abbattuti; ritroveremo vanti piii modesti sotto men prosperi destini. (1) Tres validissimae Etruriae urbes, Elruriae capita, Volsinii , Perusia Arretium pacem petierunt r mulcta quingentium millium aeris in singulas civi tates imposita , Tit. Liv. lib. X, (2) Diodoro XX, 71. — Anni di Roma 447. (3) Anni 280 av. F E. V., 474 di Roma. Oggidi quel lago e detlo lias sanello, Polibio lib. II. Caesi sunt plcrique ornnes Elrusci Bojorum oppido pauc cvaserc. (4) Livio IX, 39, TOMO I. 5 / PISA SOTTO IL DOMINIO DEI ROMANI. BALL’ ANNO , 300 AV. t* ERA VOLG. SINO AL 400 DELL’ E. V. EPOCA PRIMA D dll’ anno 300 av. V E. V. sino all’ Era Volgare (1). Anno 278 av. V E. V., 476 di R . — Pisa, piu che alle cose civili ed agli interni sconvolgimenti del restante d’ Etruria, attendendo alle proprie marit- time imprese e non intervenendo ai consigli degli altri popoli etruschi, fu per grande ventura la citta su cui meno acerbamente si aggravasse il giogo de’ Romani allorquando, dopo lunga \icenda di (1) Glide non moltiplicare invano le citazioni de’ medesimi autori avver* tiremo che a compilare i falti spettanti alia presente epocaci valemmo princi- palmente della dotta opera del card. Noris, Cenotaphia Pisana , e spesse volte ricorremmo alle seguenti : Fanned, Storia dei tre celebri popoli marittimi delV Italia , Veneziani, Genovesi e Pisani , e delle loro navigazioni e commerci nei bassi secolu Canlini, Storia del commercio e della navigazione dei Pisani. AtTinche una maggior precisione risultasse nell’ ordine delle date, ci attenemmo alle epoche di que’ famosi marmi dei Romani conosciuli solio il nome di Fasti Consolario Capitolini , sapieritemente illuslrali dal Marliano, dal Sigonio, dal Panvinio, dal Pighio, dal Piranesi e dal Borghesi, L’anno della fondazione di Roma, secondo il calcolo di Varrone, rimontando al IV della seltima Olim- piade, concordammo coll’ anno 753 av, G. C. — Tanlo si voile sin da questo punto far manifesto, onde dar ragione del perche in varii luoghi dovemmo scostarci dalle date da altri adottate. w- 35 battaglie, 1’ aquila latina stese vittoriosa le ali anco suir abbattuta Toscana. Ultima nel commuoversi a sedizione — prima nel prestar aiuti di uomini e di navigli alia ro- man a Repubblica — aliena dagli odii degli altri popoli contro i novelli dominatori, o, se a quelli partecipe, meno pero delle altre citta intollerante di freno, essa fu considerata sin dal principio del nuovo dominio quale arnica e confederata (1); ed allorquando, circa dopo due secoli d’ inalterata concordia, durante i quali i R,omani v’ebbero stanza e ne divennero cittadini, assunse essa pure il norae di municipio romano, venne pero tuttavia riguar- data tra le principali citta dell’ impero, e fu predi- letto soggiorno di magnati e di Cesari. Bensi e ignorata 1’ epoca precisa in cui fu ag- giunta all’ impero romano con nominal sudditanza; imperocche la deca di Tito Livio, ove del dominio di Roma sull’ Etruria era tenuto discorso, ando miseramente smarrita. Pero Dione ci tramando la notizia che gli Etruschi sin dal 476 di Roma, dalle di lei armi soggiogati, furono astretti con essa con- tro Pirro re d’ Epiro allearsi, il quale, tre anni dopo la battaglia funesta del Vadimone, sbarcato con truppe numerose a Taranto, avea prefisso portarsi in Etruria e, a quei popoli collegato, marciar con- tro Roma. Ma vistosi fallire il progetto e sopra- stargli i nemici, tra le file de’ quali eran quegli stessi che ei sperava allearsi, torno rapidamente in (1) Tito Livio, lib XXXV, narrando la guerra mossa dai Liguri Apuani contro Pisa nelPanno 561 di Roma, aggiunge che Quinto Minuzio Termone, il quale trovavasi in questa citta al comando deJl’armata, avvicinandosi in Roma il tempo de’comizii, scrisse al Senato non poter partire dal campo sine pernicie sociorum; e poco innanzi, il medesimo istorico racconta che tenendo lo stesso Minuzio gli accampamenti in Pisa, difendeva la campagna dei consoci da’sac- cheggi con piccole baltaglie: Levibus praeliis a populationibus agrum sociorum tutabatur. V, ann. 193 e 192. 36 Campania deluso nell’ agognato possesso > 45 Dopo un biennio di tregua, agli idi di Marzo (566) incominciando il consolato di M. Valerio Mes- sala e C. Livio Salinatore, fa data al primo Pisa colla Liguria, al secondo la Gallia: e poichc le ostilita riassumevansi, fu ordinato a due legioni, composte di quindicimila pedoni e milledugento cavalli, di condursi in Etruria. Pur non ostante a M. Valerio non tornando prosperi gli eventi, con scorno egli dovette ritornare in Roma, ove ormai era grave lo sdegno, poiche dopo le grandi guerre sostenute con Filippo re di Macedonia e con An- tigono re dell’ Asia, dalle quali tutte usci vitto- riosa, gia da nove anni la Liguria si mantenesse invitta e formidabile. Per cui nell’ anno seguente, eletti consoli M. Emilio Lepido e C. Flaminio, le fu dichiarata la guerra (1). A. 487 av. 1' E. V. 9 567 di R. — I Friniati, i quali costituivano una delle piu belligere tribii della Li- guria (2), furono da Flaminio costretti ad arren- dersi: ma ribellatisi di nuovo, il console varco gli Appennini, gli sconfisse e gli soggiogo; porto quindi la guerra agli Apuani, che di nuovo avean deva- state le campagne pisane e le bolognesi, e ancor questi riusci a domare. Nel seguente anno pero essi infransero i patti, e Q. Marcio Filippo fu spe- dito contro di loro : ma avendo egli assalito i ne- mici in sito svantaggioso ed angusto perde quat- tromila uomini, tre insegne della legione e undici stendardi de’ confederati nella selva, che dalla di lui sconfifcta ebbe il nome di Marcia. A. 185 av. V E. F., 569 di R. — Fervendo la guerra ligustica i consoli Appio Claudio e M. Sem- pronio Tuditano nuove legioni spedirono contro i (1) Livio, lib. XXXIX. (2) Erano venliqualtro, V. Micali, t. II, cap. XVIII. -/© /t ~/ r ^rui 3 X_Jp‘i ' v— yjl Liguri. Cosi di tale spedizione scrive Liyio: Sem- pronio partitosi contro gli Apuani , devastando le loro camp ague , bruciando i borghi ed i castelli , s’ apri il varco al flume Magra ed al porto di Luni. / nemici si accamparono suit’ a ntico monte , sede de’ loro maggiori (Alpe di San Pellegrino); ma superata la difficolta del luogki furono vinti. Appio Claudio pareggio la fortuna del collega nella guerra contro gl’ Inguani; cosi che i Liguri, ridotti a dura estremita, domandarono la pace. I R,omani, non fidandosi di essi, nel 570 dichiararono la Liguria loro provincia. A. i'83 av. 1’ E. V 571 di R . — Sul fmire del- 1’anno il console Q. Fabio Labeone scriveva dalla Liguria che malgrado 1’ esercito ivi mantenuto, gli Apuani minacciavano ribellione; ed esser da temere che irrompessero sul territorio pisano. A. 182 av. V E.V.j 572 di R. — Essendo con- soli M. Bebio Tamfilo e L. Emilio Paolo ambidue andarono in Liguria, omai retta come provincia consolare; ma non riuscirono ad ultimare la guerra, imperocche gli Apuani sciolto il proprio esercito si dispersero in borghi e castelli ove i Romani, at- tesa 1’ asprezza de’ luoghi, non poterono espugnar- gli: onde i Consoli avendo scritto al Senato po- tersi licenziare le armate, fu ordinato che uno di essi svernasse in Pisa colie legioni affinche non ne fosse dagli Apuani invaso il territorio (1). A. 181 av. 1’ t. V ., 573 di R. — Riconfermato M. Bebio nella sua carica sped! il fratello pro- console in Pisa, mentre egli ed il collega por- tavan la guerra nella Sardegna e nella Gallia (2). Nuovi contrast! insorsero tra i Romani e gl’ Inguani, (1) Livio, lib. XL. (2) Polibio, lib. II. 47 t? i quali acquistaron tempo con trattative di pace e > di sommissione per radunar truppe; e adunatele assalirono il rornano accampamento, e venendo fiac- camente respinti lo assediarono. Emilio invio due cavalieri al proconsole di Pisa onde gli mandasse soccorsi; ma essi lo trovaron assente. — Giunta la sinistra nuova a Roma tumultuariamente incomin- ciossi a metterc insieme un’ altra armata. Si ordi- nava a Q. Petilio pretore di marciare con due le- gioni, e all’ altro pretore Fabio con quindicimila fanti latini e ottocento cavalli. Nominati inoltre due comandanti di marina ( duumviri navali ) perche assalissero le spiagge ligustiche, fu risoluto deve- nire a decisiva battaglia. Mentre facevansi tanti apparecchi, Emilio — ina- nimiti i soldati con breve discorso — esci dai trin- ceramenti con tanto impeto contro i nemici, i quali stavansene disordinati e imprevidenti d’ at- tacco, che in quel sol giorno quindicimila ne uc- cise e duemila cinquecento ne fece prigioni. Tre giorni dopo tutti gl’ Inguani, dati gli ostaggi, si sot- tomisero, e Roma decreto ad Emilio il trionfo (1); ma gli Apuani, saldi nel rifiuto di ceder le armi, si rifugiarono nelP interno del paese. Cola pure inseguiti, cacciati siccome belve nei loro antri, fu loro intimato d’accettar pace a patto di scender tutti dalle loro montagne ed abbando- nare la patria. Costernati da tanta minaccia offri- rono sottoporsi a qualunque altra piu dura con- dizione. I Romani stettero inesorabili, ed i miseri Apuani furon messi fuori violentemente del loro paese in numero di quarantamila uomini; e colle (1) La imponente cerimonia del trionfo avean preso i Romani dagli Etru- schi. I loro vasi ne riporlano sovenle la rappresenlazione. Vedi Micali, Sloria degli antichi popoli italiani tom. III — Inghirami, Storia della Toscana , Parte II. pag. 239 40. I 48 loro mogli e la piangente figliuolanza vennero dalle antiche sedi native trasportati senza comrnisera- zione alcuna attraverso ampie provincie sino nel Samnio (Abruzzo Citeriorc), nella regione degli Irpini. Cola, a maggiore ignominia, presero il nome di Betiani e di Corneliani, dal proconsole che era stato loro scorta (1). In Pisa fu pubblica gioia in quel giorno. La lunga guerra ligustica le aveva tolto gran numero di cittadini, scemate le forze, isterilite e deserte le adiacenti campagne. Trovatala adunque allora troppo abbondante di terreni e scarsa troppo di abitatori, nello spedir a Roma messaggi che por- gesser grazie al Senato per l’effettuata liberazione dall’ antico flagello, espressero i Pisani il desiderio che nella loro citta fosse dedotta una colonia ro- mana, offrendo ai nuovi abitatori una porzione di quella campagna, Il Senato accolse 1’ olferta, e de- pute) a render grazie ai confederati i triumviri Quinto Fabio Buteo e i due Popilii Lenati (2). (1) Questa barbara usanza aveano appreso i Romani dai despoti del- PAsia, e crudelmenle piu volte se ne valsero : « Agli Inguani, abitanti la ri- viera di ponente, fu mutato sino a trenta volte il terreno, cosi come i mandriani Iramutano di luogo in luogo le mandre Ioro». Micali, tom. II, cap, 18. Plinio III, 5. I Liguri avevano a seltenlrione il Pado o Po, a ponente le Alpi e il Varo, all’oriente P Arno, a mezzodi il mare. Formavano diverse tribu, spesso tra loro rivali e nemiche; pure costituenti per unila di sangue di religione e di costume un corpo solo di nazione si allamenle valorosa e franca, che gli Apuani, infra gli a!tri,ebbero nome di genii piu bellicose degli Etruschi stessi (Slrabone, lib. V. pag. 144). Nessun sacrifizio, per grande che fosse, nessuna pena parea loro bastevole per la conservazione della domestica liberla : e ri- leggendo negli stessi storici romani gli avvenimenti da noi leggermente di- scorsi, appariscono questi anlichi ilaliani non diversamente generosi dei mo- derni Suliotti, menlre ne’loro oppressor! sembra di ravvisare il medesimo spi- rito conculcatore che animava la brutale tirannide dell’ Oltomano. (2) Pisanis agrum pollicentibus, quo colonia latina deduceretur , gratiae ab Senatus aclac : Triumviri creati ad earn rem Q. Fabius Buteo M. et P. Popilii Laenates. (Livio, lib, XL), v 49 Assunta al grado cli Municipio (1) sin da que- st’ anno Pisa divenne capitale della provincial e fu scelta a dimora dei magistrati eletti al governo di questa (2). A. 140 av. V E. V., 614 di R. — A poco inter- vallo da tali avvenimcnti compievasi da’ Romani altro efferato scempio. — Cartagine, gia dal fmir della seconda guerra punica rimasta squallido simu- (1) I Municipii eran governati per leggi proprie coll’ ordine de’ decti- rioni e de’ decemviri, corrispondenti in provincia al Senato ed ai Consoli della metropolis Essi non avevano il dirilto del suffragio in Roma. Secondo alcuni scriltori Pisa dovrebbesi considerare come colonia romana fino dall’ anno 180 av. P E, V, (Vedi C. Cantu, Storia universale, ep , F). 11 nostro calcolo posti- cipa quest’ avvenimento d’ un anno. I Romani avean gia innanzi la seconda guerra punica fondato cinquanta colonie, e tra il 197 e il 77 av. 1’E, V. altre venli, cioe: cinque nella Campania e nella Puglia; 197, sei nella Lucania e nel Bruzio; 194 93, allre nella Gallia Cisalpina; 192 90, Bononia nel 189, Pisaura e Polentia nel 184. Mutina e Parma nel 183, Gravisca, Saturnia, Aquileia e Pisa nel 181, Lucca nel 177. I coloni avean diritlo di cittadinanza romana, ma senza voto ; gli anlichi abilanti venian governati secondo il loro diritto, i nuovi godevano del dirilto romano (V Hugo, Heyne, Meyer ec.) — Durante i no- vant’ anni trascorsi da quest’ avvenimento sino all’epoca in cui il Senato ro- mano accordo a tutli gli Etruschi il diritto di cittadinanza romana, ricercato con avidita,con esultanza accettato, sarebbe da discutersi se Pisa fosse da no- verarsi Ira le prefetture o le cilia libere e federate. Le prime governavansi da magistrati scelti a Roma e colie leggi romane ; le allre con magistrati da esse eletti e con leggi proprie. Vedemmo nell’ anno 561 di R. portarsi lettere a Roma di M. Cincio prefetto a Pisa; ma e da credersi che esso vi fosse in qualita soltanto di prefetto militare comandanle il presidio che in Pisa tene- vasi per reprimere le incursioni degli Apuani, la stirpe de’quali era pur ri- masta nelle montagne, perche i prefelti o comandanli mililari mandavansi nelle citta alleate e libere, come da vari passi del medesimo Livio (lib. XXXV) e data teslimonianza. Che Pisa divenisse Municipio quantunque de- nominata Colonia e assicurato da Feslio alia parola Municipium , ove e detto « Municipio chiamarsi quella cilia che liberamente si da a Roma », e nel novero di essi pone Pisa. Da lutto cio puossi argomentare che i Pisani si governas- sero colle proprie leggi e venerassero i propri dei. (2) La Liguria fu in quel tempo designata come facente parte della pro- vincia pisana. — Era grapd’ onore per le cilia capiluoghi di accogliere le legioni, i fasci consolari e le aquile romane, che si cuslodivan denlro le mura. Sigonio, lib. I. De antiquo jure ital. lib . III. cap . 20. — Panvinio, De Imperio Roman, pay. 686. TOMO I. 7 50 lacro cli quello che fa, dopo sette secoli e mezzo d’esistenza e due di lotta contro Roma, sterminata senza plausibil ragione, tranne il dritto del piu forte, dopo iniquo eccidio fu consegnata alle fiamme che in diciassette giorni la reser cenere. Rodi Alessandria Utica e i porti tutti dell’ Italia divisero fra molti quello splendore e quell’ attivo commercio ch’ erano stati per lunga eta retaggio d’un popolo solo. Genova si fece emula di Mar- silia; Pisa, divenuta un cantiere italiano accredi- tatissimo, stabili nel suo seno due collegi d’ arte- fici havali e di marangoni, i quali dettero attivita nuova ed efficace alia colonia. A. 90 av. V E. V., 662 di R. — La guerra Sil- lana e le sociali ( 95-88 av. E. V.) furono foriere di nuove commozioni e di nuovi sconvolgimenti in Etruria. Pisa, siccome citta marittima, videsi in- vasa dalle dodici coorti di liberti che Roma armo all’ esterminio della Confederazione Italica. Ma piu che tutto fur valide a sedar le ire delie genti in- sorte, tralle quali era gran parte delle etrusche, le artificiose leggi Giulia e Plozia (1), le quali pro- mettevano il libero godimento dei privilegi della cittadinanza romana a tutte le soggette nazioni, e fralle prime all’ Umbria, all’ Etruria e al Lazio. L’ ordine ( per servirmi d’ una frase consacrata nel gergo della odierna politica) fu per tal modo ristabilito tra i ribelli, dopo essersi sparsi fiumi di sangue dagl’ Italiani per conquistare il diritto di venire oppressi piu legittimamente, scambiando il nome di schiavi in quello di sudditi. Circa questa (1) Colla prima (a. 89 av. PE. V.) Lucio Giulio Cesare console ascrisse alia cittadinanza romana tutti i Latin i e Umbri rimasti fedeli, cosi staccan- done molti dalla confederazione, le cui ultime reliquie furon da Silla e da Pom- peo falte scannare. Colla seconda (a. 88) tutti i socii acquistarono il diritto di cittadino, eccettuato un rislrettissimo numero d’ Italiani. w epoca i Pisani, i quali avevano disertata la causa italiana prestandosi al soccorso de’ Romani, furono ascritti alia tribu Galeria, cessando cosi dal dar ricetto a magistral stranieri, ma cessando ad un punto d’ esser metropoli della Liguria, allora ag- gregata alia Gallia Cisalpina (i). A. 70 av. V E. V., 685 di R. — Destinata dalla Repubblica una flotta onde porre un argine alio infestar dei pirati che dalle coste di levante spin- geansi sin dentro i porti del Mediterraneo ed eletto il console Gneo Pompeo Magno ad assu- merne la direzione, trovaronsi conseguentemente la provincia ligure e la toscana sotto il di lui co- mando. Cinquecento vascelli con cento ventimila uomini giunsero a sgombrare i pirati da’ quei mari ed a render cosi a Roma 1’ incontrastato impero del mare, ed ai porti d’ Italia quel benesserc che deriva soltanto dalla attivita e dalla sicurezza nei traffici. A. 45 av. V E. V., 709 di R. — Ma surto Giu- lio Cesare, il Napoleone dei secoli romani, a cam- biar la faccia delle cose sul mare Adriatico e sul Tirreno contro quell’ istesso Pompeo gia scacciato d’ Italia, si costruirono ed equipaggiarono due flotte per inseguirlo nell’ ultimo suo asilo. Giulio Cesare, dopo la celebre giornata di Farsaglia (48) tor- nando vittorioso dalP Asia (47) e dall’ Africa (46), die principio ad una nuova divisione dell’ Etru- ria (2), fondando le colonie militari le quali servi- (1) Lucca fu allora soltoposta al proconsole della Gallia Cisalpina, il cui confine dall’ altra parte dell’ Italia erano il Rubicone e Ravenna (Svetonio, De Caesare Galliae proconsole cap. 24). Ognuna delle Iribu dividevansi in dieci curie con un Curione, Erano 35: quattro urbane, le allre rustiche, deno- minate da luoghi vicinia Roma: e queste tenute in maggior onoranza di quelle, non venendo ad esse aggregati coloro che non avevano alcun palrimonio, sic- come nelle altre avveniva, (2) Che questa nuova divisione accadesse nell’ anno suindicalo consta da una lettera di Cicerone a Valerio Orca, lib, XIII, e da Dione lib. XLIII. Dal 52 vano di difesa ai confini della Repubblica, e si ap- pellarono Coloniae Juliae perche da lui stabilite. A . 40 av. 1’ E. V.j 712 di R. — Morto 1’ am- bizioso dittatore e governata Roma dal triurnvirato di Antonio, Lepido ed Ottaviano, tutta P Italia si mosse a nuova guerra civile. In quella contro An- tonio (43) erano restate deserte pressoche tutte le campagne italiane; nella seguente (38-36) con- tro Sesto Pompeo, Mena, prefetto della costui flotta, sbarcato in Etruria fece grandi stragi nelle campagne pisanc (1), e pel proprio generate s’im- padroni della Corsica e della Sardegna, poi resc ad Ottaviano pel famoso tradimento di Menedoro. A questi ed a Calvisio Gabinio (2) fu comandato di riordinare la malconcia flotta nel seno pisano, mentre nelP arsenale di Pisa, sulle spiagge romane, nei porti della Campania e dell’ Adriatico appre- stava nuovi armamenti, mediante i quali per opera di Agrippa, il valoroso emulo di Ottaviano, fu completamente sconfitto. Pisa in quella occasione provvide il triumviro di scelta milizia navale; ma a pochi de’ suoi figli, concorsi alia sanguinosa spe- dizione, fu concesso il bene supremo di rivedere la patria. medesimo Cicerone ( Famil . epist. IV. ad Valeri) rilevasi che Q, Valerio Orca fu mandato da Cesare propretore nell’ Etruria. Perloche da alcuni fu opinato aver Pisa assunto il tilolo d’ Obsequens, in gratitudine per non avervi egli mandato i triumviri, ma il solo Valerio. Il Chimentelli ( De honore Bisellii etc. cap. VII.) dice per allro che Pisa nel 717 al pari di molte colonie prese il nome di Giulia e Colonia Giuliense per la lusinga di acquistare splendore e dignila. Questa opinione e contraddetta dall’ autorita dello slorico Dione, il quale nel lib, XLIV asserisce che i cognomi alle citla furon dati dal Senato per onore, non che se gli assumessero per spontaneo volere, — E falto che alcuni individui della famiglia de’ Giuli avevano gia in Pisa preso dimora, e fra gli altri Cesare padre del dittatore, il quale dicesi quivi morisse nel giorno istesso in cui il figlio cadea trafitlo in senato (a. 44 av. 1’ E. V.) Phil. Be- roaldus Bonon. in C. Svetonio. (Fanucci, vol. I. p, 17). (1) Dione, lib. XLVIII. (2) Appiano, lib. V, pag. 178, II piu fortunate ed astuto fra gli eredi di Ce- sare videsi finalmente al colmo del potere e della prosperity Decretatogli dal Senato il titolo d’im- peratore e di tribuno perpetuo, attribuitogli quello d’ Augusto (1), colui che Cicerone chiamava un fanciullo ed era stato per la sua vilta fischiato dai soldati in Sicilia, creato massimo pontefice si ebbe il nome di Divino, e venne adorato ne’templi (2). Si fu allora che Tacito, il primo fra gli storici incontaminati, scrisse : rari tempi e felici esser quelli in cui pensar cid che piu si voile e dir cid che piacque pensare fu permesso (3). Si fu allora che Pisa ebbe riparo alia votezza della sua citta e delle campagne con nuovi abita- tori romani, e sulle sue insegne e sullo scudo ver- miglio (4) al nome del Senato e del Popolo Pisano aggiunse quello di Colonia Giulia Ossequiosa. Succeduto alia Repubblica P Impero, Pisa pur essa risenti gli effetti d’ una pacifica e potentissima, abbenche usurpata, dominazione. Da Ottaviano Au- gusto che cotanta cura poneva neH’abbellire di monumenti P impero e di sua sede parlando van- tavasi di lasciarla di marmo mentre aveala trova- ta di mattoni, ella riconosce non pochi dei suoi vetusti monumenti. Cio addimostra come i Pisani omai piu nulla ritenessero del sangue etrusco. Senza di che, come tanta begninita avrebber essi riscon- (1) Ognun sa come in tal occasione il nome del mese Sestile fosse cam- biato in quello d’ Agosto. (Macrobio, Saturn. I. 12), (2) Augusto zoppicava, soffriva di nervi e di fegalo, per salute dovea ber di continuo acqua cotta con lattuga e mele. Era si timido che scriveva sin quello che voleva dire alia moglie, e per debole voce era costretto parlare al popolo per via d’un araldo. (Sallustio, Cassio Parm, Epist C. Cantu), (3) Roncioni, Sloria Pisana ms. (nella Biblioteca della R. Universila di Pisa, tom. 1. pag, 15). (4) llara temporum felicitate , ubi sentire quae velis et quae sentias dicere licet (Tacito). trato in un principe cui il poeta die vanto «d’aver estinto il focolare dell’antico popolo toscano » (1)? Molti tra gf imperatori che succedettero ad Ot- taviano nutrirono sensi di particolar protezione per Pisa, e ne predilessero il soggiorno. Nerone v’ebbe palagi, vi eresse templi, e vi fe’ celebrare magnifiche feste; Traiano v’ innalzo statue e monu- menti; Adriano v’ ebbe dimora e tempio; Antonino I’ abbelli con pubblici edifizi ; e sin a tanto che i Romani ne tennero il dominio, Pisa dividendone le sorti, si sostenne in florida e tranquilla condi- zione, e fu sempre considerata, al dire di Plinio, siccome una delle citta piu ragguardevoli dopo la capitale. A questo punto, non inopportuno riuscira un brevissimo cenno sulla situazione topografica di Pisa sotto i Romani, ed una enumerazione, per quanto e possibile esatta, dei monumenti che in quo’ tempi le accrescevan bellezza e decoro. Essa estendevasi in figura quadrangolare bis- lunga sulla ripa occidentale del flume Arno ad un livello molto piu basso dell’attuale, come ne dan prova gli avanzi d’ antichi lastrici, abbenche appar- tenenti ad epoche di gran lunga posteriori, in pa- recchi luoghi scoperti. Una cinta di mura fortificate difendeva la citta, ed otto porte vi davan l’accesso; le quali, meno quella del Trionfo , prendevano tutte il nome da pa- gane deita, come Ercole Marte Cerere Esculapio... Vasti e popolosi ne erano i subborghi, che si esten- devano lungo il Serc-hio e fino alle falde de’ monti pisani ed Agnano. Molti templi ne abbellivan 1’ in- terno. Quello consacrato a Vesta sorgeva ove e adesso FUniversita. Il tempio di Marte e quello di Apollo occupavano lo spazio su cui presentemente (1) Evcssosqiic focos cintiquae gentis etruscae (Properzio). trovansi le chiese di san Michele in Borgo e di san Pietro in vinculis. Griove Minerva e Pallade v’ avea- no anch’ essi simulacri e sacerdoti, e le vestigia d’ un tempio ad essi sacro ravvisansi nelle esterne mura della chiesa di san Felice. Cerere e Venere avean tempio ove poscia ebber chiesa san Niccola e sant’ Andrea in CMnseca. Ad Ercole — la deita tutelare de’naviganti — era sacro un magnifico tem- pio in eminente situazione presso la cala Labro- nica e non lunge dal porto pisano, allora tutto ornato di statue e di cospicui edificii, fra i quali primeggiava la Triturrita, vasto castello costruito nella laguna e munito di triplice torre. Di esso canto il poeta di Numanzia, nel suo Itinerario : Liberi alfin dal burrascoso assedio Del mare irato navigar potemmo Sino all’ altezza del pisano porto, Donde giunger fu grato a Triturrita; Tal si noma il castello. Esso nelF onde Isolato s’ inoltra in su sporgente Artefatta mnraglia: onde chi vuolsi Costruir quivi sua magion, il suolo Pria costruisce. Attonito mi fece L 1 illustre porto a lei contiguo, omai Per concorso di popoli famoso E per ricchezze e per poter che fatto L’ hanno emporio di Pisa. Ei si protcnde Nel mare aperto in ammirando aspetto; Ma il nndo lito, or tutto schiuso ai venti, Asil non ha donde securo sfidi Eolo minaccioso il navigaute (1). « Tandem nimbosa man's obsidione solnti Pisano Porlu contigit alta sequi. Inde Triturritam petimus, sic villa vocalur Quae latet expulsis insula pene fretis, Namque manu junctis procedit in aequora saxis Quique domum posuit, condidit ante solum. Contiguum slupui. Portum, quem fama frequenlat Pisarum emporio, diviliisque maris. Mira loci facies: Pelago pulsatur aperto Inquc omnes ventos litlora nuda patent. Nam nullus tegilur per brachia tuta reccssus Eolias possit qui prohibcre minas ». (O Presso del porto dilungavasi verso Luni ed esten- deasi sin a Tortona la famosa via Emilia, cbe si partiva da Ancona e percorreva la Toscana marit- tima, attraversando Pisa. Le armate romane fnron impiegate da Emilio Scauro console, alia costruzione di questa via, una delle tre piu grandi strade dei Romani (1). La citta aveva un Circo massimo, una Nauma- chia, un Foro e dei Teatri, le vestigia d’ uno dei quali sembro al Targioni di rinvenire nell’ attual piazza de’ Cavalieri. Nel foro (2) sorgeva il tempio ad Augusto dedicato, ed il vasto Arsenale restava presso 1’ Arno ov’ e adesso la chiesa di san Bene- detto. L’ antico palazzo Pretoriano ed il tempio di Diana sorgevano ove ora e situata la cliiesa di san Torpe, nel luogo istesso in cui la popolar tradizione accenno esser costruita la casa di Pelope. Il palazzo ed il tempio d’ Adriano ergevansi sulla piazza che al presente prende nome dal Duomo, e fin la arri- II Dempstero, al pari di Rutilio, chiama citta questo castello. Il Fanucci soggiunge esser ella la piccola Venezia del vetustissimo seno pisano. Ognuno la pone in different! situazioni. Il Tempesti, sulle succilate parole di Rutilio pre- cipuamente fondandosi, vuole fosse eretta laddove sorge 1’antica fortezza di Livorno. Qui e da avvertirsi che Rutilio incornincio il suo viaggio marittimo nell’ anno 416 di G, C„ e quindi nella ultima epoca di floridezza pel porto pisano al tempo dei Romani. — II Canlini, riferendo come il Targioni con- sideri in. Labrone, Porto-Pisano e Turrila tre luoghi distinli, argomenta che un solo paese essi formassero, come al presente (egli dice) Costantinopoli, Ga- lata e Pera; basando il suo ragionamento sulla voce contiguum usata da Rutilio. (1) Bergier, Sur les grands chemins de V Empire Romain, vol 1, — Di- lungavasi da Roma col nome di Flaminia: presso Vada essa prendeva il nome di Aurelia.— Per la via Claudia i Pisani conducevansi da Pisa a Lucca. Sull’ Itinerario Anlonino la distanza trade due citta e fissata a m. p. 12. (2) Rutilio Numaziano trovo in esso, fralle altre, la statua di suo pa- dre, stato proconsole dei Romani in Pisa: « Hie oblata mihi sancti genitoris imago « Pisani proprio quern posuere foro. 57 vavano le Terme (1), dagli antichi scrittori cele- brate e con enorme dispcndio condotte secondo alcuni nel secolo d’ Augusto, sotto quello d’ Anto- nino giusta le congetture d'altri. Contigue ad esse sorger doveano le altre grandi fabbriche degli ipo- causti dell’ eloetasio e tors’ anco della palestra e (1) Targioni, Viagrji in Toscana , tom. VII. pag. 49. II Gori (op. cit) vanta 1’ ampiezza e la magnificenza delle Terme pi- sane, ma non per ampli e magnifici vestigi veduline; che di esse e d’altri edifizi scrisse il Fanucci nella sua Dissertazione Accademica sulla storia mi- lilare pisana : « Noi non abbiamo idea ne del Circo, ne delle statue erette agli antichissimi eroi della patria, ne de’ templi, ne de’ bagni, ne de’teatri e de’gran palagi, cose che ben sappiamo per autorita incontrastabile esservi un tempo esistite. Unico miserando avanzo di edifizi balneari rimanci il Laco- nico , noto per popolare erronea tradizione sotto il nome di Bagno di Ne- rone. — Quand’anco non ci corresse obbligo di darne succinlo ragguaglio, pur ameremmo farlo onde a rossore ed a pieta si muovessero coloro cui spet- terebbe 1’ incarico di vigilare sui patrii monumenti, e che del nobile ufficio (si caro un tempo ai loro avi) sembra siansi dimenticati od abbian onta. II Bagno sudatorio e conliguo alia porta a Lucca. Fa parte d’ un orto urbano, ed un cancello sollanto lo divide dalla pubblica via. Nel muro, che su questa rimane, scorgonsi due iscrizioni le quali fan fede delle cure poste nell’ addietro alia conservazione di queste ruine. Una di esse fu latinamente dettala nell’ anno 1693 da Benedetto Averani, e contiene queste parole: — Le reliquie di muraglie che tu guardi, o viandante, sono delle Terme delle quali Pisa anticamente servivasi. Le altre parti essendo dal tempo edace state consunte, ei risparmio non di meno il Sudatorio, il quale non rovesciato da innumerevole serie di anni, ne dalle ingiurie de' barhari, a se richiama oc- elli studiosi di antichita, Entra e contempla attentamente, se ti diletta lo stu- dio delle antiche cose: osserverai 1’ ordine delle finestre, ed in qual modo il calore si ddTondesse per mezzo di tubi; nulla troverai soltratto alle tue in- vestigazioni; ne vorrai credere che facile sia il trovare altrove alcun che di perfelto in questo genere; e insieme ringrazierai la provvidenza del serenis- simo Cosimo III dei Medici, granduca di Toscana, il quale affinche non peris- se totalmente questo insigne monumento della antichita, ordind che fosse avuto in cura e in diligente custodimento ». Il Bagno e di forma oltangolare con quattro nicchie perfettamente se- micircolari alternativamente scompartite, sotto le quali slanno altrettanti pi- lastri. Nel ripiano di esse gira un vuoto circolare ( pluteo ) in cui stanno verti- calmente disposti vari tubi di terra cotta quadrilunghi. In faccia all’ingresso scorgesi un vacuo alto a sostenere qualche ornato. Sotto di esso e un’aperlu- ra larga oltre un braccio la quale mette in un canale che, lutto muraglialo tomo I. 8 58 de’ portici, le quaU tutie in una linea estenclevansi sino aU’antica porta Latina (1). Fuori di questa trovavansi i romani Acquedotti, di cui restanci solo pochi ruderi, per altro bastanti a farci apprezzare la magnificenza delF edifizio, il quale dilungavasi per cinque miglia dalla citta fino al luogo denominato Caldaccoli (2). Quivi non lungi erano le pubbliche Terme, che in altri tempi assunsero il nome di S. Giu- liano. Due altri monumenti appartenenti agli ultimi tempi del gentilesimo sussistono tuttora. Sono questi due vasti ipogei, 1’ uno dei quali c di presente ed a volta, s’estende per la lunghezza di circa 14 braccia, dopo di che sper- desi fralle macerie e le rovine. Gli archi che sostengono queslo canale, al pari delle nicchie, sono formati di mattoni lunghi un braccio, tagliati a co- no nel cenlro. Gli anlichi archi letti davano a quesli il nome di Pentadoron. La volta e a semicerchio oltangolarmente forata nel suo mezzo, con intorno otto finestre per le quaii doveva discender la luce a traverso il marmo specu- lare, mentre solevasi otlurare il foro di mezzo con uno scudo di metallo ( clipeo ). Il Robertelli, primo a descriver V edifizio ed ultimo a esaminarlo in uno sta- 10 men del presente deplorabile, ebbe campo di vederne il pavimento tutto condotto a lastre di marmo della grossezza di circa un dito, inclinato verso 11 fornello di mezzo ( ipocausto ) e sostenuto da pilastri alii circa due braccia. Il Gori lascio scritto che le pareti e le volte n’ eran ricoperle d’ un intona- co levigatissimo di polvere di marmo. Varie fuorno le opinioni dei diversi illuslratori di quest’ edifizio circa V epoca a cui sembra appartenere: ma quesle opinioni possono facilmente combinarsi ammeltendo restauri ed abbel limenti in epoche posteriori al suo primitivo inalzamento, che secondo il Pagni risale innanzi il secolo d’ Augusto. Quei che piu diffusamente illustra- rono questo monumento ed i cui scritti sono a stampa, furono il Robertelli pel primo; quindi M. Ceffini, Gio, Rodio, Girolamo Bacci, Anton Francesco Gori (nella terza parte delle Iscrisioni Antiche), i! Morrona, e finalmente l’ ab, Francesco Fontani ( Viaggio piltorico della Toscana ). (1) In appresso delta a Parlascio , ora a Lucca. Forse da quest’ istesso lato esisteva al tempo dei Romani un Anfileatro, ossivvero in appresso un lo- cale per le pubbliche assemblee, traendone argomento dalla voce parlascio che signifies appunto parlamento , consiglio. (V. Lami, Antichila Toscane , in cui sulla parola parlascio ritrovasi una intera dissertazione). I copiosi scavi fatti nel luogo in cui e supposto sorgessero tali edifizi, I’ abbondanza di marmi, le colonne in altri tempi di cola tratte, ne rendono probabilissima 1’ esistenza, (2) Dalle accurate descrizioni del Targioni e del Morrona rilevasi come quest’ ammirabil delubro appartenga ai tempi piu splendidi di Pisa colonia ro- mana. In quanto al nome di Caldaccoli , soggiunge il primo esser egli derivalo inaccessible (1), e trovasi sotto la chiesa di san Mi- chele in Borgo; 1’ altro, sotto quella di san Pietro in vinculis, e adesso ridotto a cappella sotterranea. Se di tanti edificii, di tanti illustri delubri, di- strutti piii die dal tempo dal vandalismo degli uo- mini, omai non restano che poche ed inforrni ve- stigia, e somma ventura che quasi intatti siansi trasmessi fino a’ nostri tempi i due funerei decreti che il Magistrato pisano fece imprimer sul mar mo onde tramandare alia posterity la memoria degli onori solenni resi alle ceneri di Lucio e di Caio, figli di Marco Agrippa e della impudica Giulia, ed ambo insigniti del nome di Cesare, per esser ne- poti e figli adottivi di Ottaviano Augusto che in essi sperava sostegno nella autorita deH’impero (2). II primo, educato fra le mollezze e le turpitu- dini d’ una corte effeminata, mori diciottenne in Marsilia nell’ anno 756 di Roma, recandosi a far parte dell’ armata in Ispagna ; e Dione e Tacito non tacquero il sospetto del popolo di aver Livia, moglie d’ Augusto, procurata con veneficio la morte del giovane principe; 1’ altro ebbe fine non meno infeiice, e forse dalla stessa mano affrettata; dalle voci calidae aquae significant! le non lontane sorgenli d’ acque termali, che forse anticamente cola pure ritrovavansi. L’ illustre Cocchi, Dei Bagni Pi- sani , enurnerando vari marmorei frammenti di remota antichita esistenti nei bagni attuali di san Giuliano, mostra da questi miseri avanzi d’ antica ma- griificenza potersi arguire che i Pisani anco nei tempi elruschi posero cura ad abbellire quell’ ameno soggiorno; e dalla sua interpetrazione d’ una mat concia iscrizione, cola pur rinvenuta, vedesi che quivi ancora siccome nelle altre terme romane trovaronsi piccoli lempli detti dai Romani aediculae , sacri alle Ninfe. (1) Il Morrona pole osservare e fare un disegno del sepolcreto esistente sotto la chiesa di san Michele; e tanto il disegno quanto la descrizione tro- vansi nella sua opera: Pisa illustrata ec. tom. 3. (2) Il primo di questi marmi fu rinvenuto allorquando restauravansi i fondamenti della Cattedrale, dopo 1’ incendio del 1596; V altro quasi con- temporaneamenle fu scoperto nei tempietlo di santa Maria della Spina. Serviva cola per mensa d’ altare, essendone il lalo scritto rivolto dalla parte inferiore. Ughelli, Italia sacra. Venezia 1708, voL III. pag. 342. imperocche ferito ad Artagera in Armenia, piu non si ricbbe e spiro, ritornando a Roma, in Limira citta della Licia, trascorso un anno dalla morte del fratello. Letterati di molta erudizione illnstrarono questi decreti, chiamati impropriamente dal Noris col no- me di Cenotafi Pisani (1). Rimandando alle costoro opere chi fosse vago d’ogni piu minuta partico- larita su questo soggetto, crediamo per altro non poterci esimere dal riportare le versioni dei due decreti, avvegnache molte utili notizie sonoci porte da essi sullo stato di Giulia Ossequiosa (2). « Anno 4.° dell’ Era Yolgare, 19 settembre: (756 di Roma). « Nel decimoterzo delle calende di ottobre in Pisa, nel Foro, entro il palazzo Augustale, presenti alio scrivere Q. Petilio , Q. F. P . Rasinio , L. F . Basso , 1/. Pupio, M . F. Q. Sertorio, Q. F. Pica , Cneo Ottavio , Cneo F. Rufo , A. Albio , A. F. Gutta . « Essendo che per aumcntare gli onori alia memoria di Lucio Caio Cesare augure, console de- signate, principe della gioventu, patrono della no- stra colonia, figlio di Cesare Auguste padre della patria, pontefice massimo di vigesimaquinta su- prema sua potesta tribunizia, Caio Canio e Caio Festo Saturnino duumviri stabilir dovessero cio che (1) Noris, Cenotaphia Pisana Caii et Lucii Caesarum. — Pagni, Ceno- taphia Pisana , (L’ originale esisle ms. nella Biblioteca Magliabechiana di Firenze; una copia esattissima trovasene nella libreria del Seminario di santa Caterina in Pisa). — Corsini, Dissertationcs etc. (2) 11 primo a pubbl icargli per le stampe fa Curzio Picchena nelle note a Tacito, Francfort 1609. Furono riportati nel nostro idioma dal Fanucci nel l.° volume della sua Storia dei tre popoli marittimi ec e venner da noi ri- scontrali col testo latino, il quale e deltato nel piu purgato stile di que’ tem- pi. Esistono nel Camposanto urbano di Pisa; e nella ultima classificazione dei monumenti in esso contcnuti, furon loro apposte le letlere d’ ordine M.‘ 0/ sopra tal cosa convenisse di fare: e poiche nato del popolo romano fra gli altri molti e mas- simi onori verso Lucio Cesare, augure e console designato ec., per il consenso di tutti gli ordini con somma premura ha stabilito le annue inferie e l’eterna dimostranza di cordoglio verso 1’ ottimo estinto principe, cosi qui si e data la cura a Caio Saturnino duumviro ed ai decurioni di esaminare ed eleggere, 1’ uno e gli altri, un luogo che ne sembri il piu idoneo, da comprarsi a pubbliche spese dai suoi padroni privati, onde collocarvi in fronte un’ ara presso la quale, in tutti gli anni nel deci- mosecondo delle calende di settembre, dai magi- strate da quelli che vi presiederanno alia giustizia e da tutti coloro che in tal giorno ne avranno fa- colta e diritto, cinti di toghe lugubri, si faccian pubblici sacrifizi ai di lui Mani, ed incoronando di bende abbrunate un bue ed un’ agnella neri ai me- desimi vi si immolino, e sopra ciascuna di quelle vit- time ardenti versino un 5 urna di latte, una di miele ed una d’ olio. Quindi sia facolta ad ogni altro di far cola ai di lui Mani libazione funebre, ne al- cuno vi mandi piu d’ un cero, una face ed una co- rona. I duumviri che avranno immolato, velando in parte colla toga il capo loro e in parte discinto giusta il rito Gabino (1), vi arderanno una cata- sta di legna; dopo di che partiranno. « Lo spazio sul quale verra dinanzi all’ ara am- mucchiafca e composta quella catasta, si estenda a ogni lato per quaranta piedi e sia intorno assie- pato con robusti steccati, al quale oggetto vi si condurranno annualrnente delle salmerie di legnami ed apposto e infisso in linea dell’ ara un gran cippo (1) Il rito Gabino ordinava che si accendesse il rogo col braccio de slro coperto dalla veste, la quale era sostenuta sotto il braccio sinistro. — Ved. Ferrario, Costume Antico e Moderno. I di marmo, siavi inciso e scolpito questo decreto, il quale, come i decreti antecedenti (1), risguarda i di lui onori: poichc quanto alle altre solennita che in quel medesimo giorno fosse piaciuto o piacesse di vietare o di fare osservare, dovra seguirsi cio che ne avra stabilito il Senato del popolo romano. Yadano percio al piu presto de’Legati per ordine nostro all’ imperatore Cesare Augusto padre della patria, pontefice massimo ec., ed in vigore di que- sto decreto chiedano a lui, come coloni Giuliensi della colonia Giulia Pisana Ossequiosa, che si de- gni permettere che tutte queste cose vengano fatte ed escguite (2). « Anno 5.° dell’E. V. (757 di Roma). « Astanti alio scrivere Q. Sertorio Furio , Attilio Tacito , P . Rasinio, L. F. Basso , L. Lappio , P . F. Tallo, Q. Sertorio , Q, F. A/pio Pica , C. Vezio, L. F. Vircula , M: Brio , M. F. Frisco, A . Albio, A. F. Gulta , Tito Petronio, Tito F . Po/lione, L, Fabio, Sesto Aponio, Sesto F . Cretico, C . Canio , C. F. Sa- turnine , L. Otacilio , Q. F. Pantera presenti. « Mancando nella colonia nostra, per le contese dei candidati, le prime magistrature quando ac- cadde cio che sotto trovasi scritto; ed essendo nel quarto giorno delle none d’aprile giunto un nunzio, portante che Caio Cesare, figlio di Cesare (1) Forse i decreti, ai quail quivi si allude, giacciono sepolti nel luogo stesso da cui questo fu tolto; ed utile sarebbe che chi ne ha il potere s’ oc* cupasse del loro ritrovamento. (2) II Roncioni, ai cui tempi furono rinvenuli questi due decreti, al- lorquando per cura dell’ arcivescovo Carlo Antonio del Pozzo si collocarono nel Camposanlo, vi uni i rispettivi argomenli, i quali, scolpiti nel marmo, veggonsi tultora solto ciascuno di essi. Quello relativo ai presen'.e decreto, \oltato dal latino idioma, dice: « La colonia Giulia Pisana ricevuta la nolizia della morle di Lucio Cesare figlio di Augusto, slabili che ogni anno si faces- sero le esequie ai di lui Mani con delerminalo rito, da tseguirsi per mezzo dei magistrati e di quetli che ivi presiedono alia giuslizia. Dalla fondazione della cilia di Roma V anno 755 cc ». 63 Augusto, padre della patria, pontefice massirno, custode dell’impero romano e preside di tutto 1’ orbe della terra, nipote del divo Imperatore il quale dope il consolato guerreggiando oltre gli estremi confini della potenza romana, ivi felice nelle sue imprese e giovevole all’ impero, dopo vinte e fatte suddite grandi e bellicose nazioni avendo ricevuto dclle ferite in servizio della Repubblica, era per fato crudele stato tolto di vita: additato gia al popolo romano come principe giustissimo e simile in tutto alio virtu del padre suo, unico ap- poggio della colonia nostra: e mentre non era an- cor quieto il lutto die la colonia aveva assunto per la morte di Lucio Cesare designato augure ec., avendovi tal caso rinnovato e moltiplicato il do- lore universale, tulti i decurioni e i coloni, non essendovi nella colonia ne duumviri ne prefetti, convennero infra loro, stante una calamita si grande ed improvvisa, esser d’ uopo che dal di in cui venne annunziata la di lui morte lino a quello in cui le sue ossa verranno trasportate e riposte e fatte le convenienze dovute ai di lui Mani, tutti quanti, mutate le lietc vesti in funeree, chiusi tutti i templi degli Dei immortali, i bagni pubblici e le botteghe, debbano astenersi dai conviti; che le matrone della nostra colonia debbano mettersi in lutto, e che il giorno della morte di Caio Cesare, che e V ottavo delle calende di Marzo, debba notarsi quale a Roma il giorno di lugubre memoria per la disfatta d’Al- lia (1), e debbasi vietare che pubblici sacrifizi o preghiere, sponsali e conviti pubblici nei giorni an- niversari della sua morte vengano fatti, ne spet- tacoli scenici, ne giuochi nel Circo in quel giorno ()) Presso il flume Allia, tributario del Tevere, accadde sanguinosa batlaglia tra i Galli e i Romani con tale disfatta di quesli, che i vinci tori en- trarono in Roma e laridussero in cenere: (anno 389 av. PE V., 363 diRoma), mai si rappresentino e si veggano, poichc in esso si sacrifichera ogni anno ai suoi Mani per mezzo ^ del magistrato nel posto e nella guisa stabiliti pei funeral i di Lucio Cesare. « S’inalzera inoltre nel luogo il piu cospicuo della nostra colonia un Arco, ornato colle spoglie delle vinte nazioni e dei popoli soggiogati da esso. Sopra di quello si collochera la di lui statua pe- destre con trionfale ornamento, ed ai lati di essa saranno poste due statue equestri inaurate rappre- sentanti Caio e Lucio CesarL Ed appena che, secondo la legge della colonia, potremo creare i duumviri, interponcndo essi la loro pubblica autorita, riporteranno nelle pubbli- che tavole tutto che e stato come sopra stabilito dai decurioni e dai coloni. Frattanto Tito Statuleno Junco, principe della nostra colonia, flamine augu- stale, pontefice minore, sia pregato accio per mezzo di messaggi, scusando la presente urgenza della colonia e ponendo in iscritto questa volonta di tutti la indichi all’ imperatore Cesare Augusto padre della patria, pontefice massimo e di vigesima sesta potesta tribunizia. « E tutto cio cosi come qui sopra scritto, che Tito Statuleno Junco, principe della nostra colonia, flamine ec. facendolo con libello presentare alfim- peratore Cesare Augusto, pontefice massimo ec., ne procuri P approvazione, e che tutte le sopra espresse cose fatte e costituite per consenso di tutti gli ordini, essendo consoli Sesto Elio Catone e C. Senzio Saturnino, debbano esser osservate e si debba fare in tal guisa, adesso da Lucio Tizio Allio e T. F. Rufo duumviri, ed in perpetuo da quelli che saranno duumviri, prefetti o altra qualsiasi magi- stratura, e che debbasi il tutto segnare in pubbli- clie tavole da pubblico scrivano, come Lucio Tizio, Allio e T. F. Rufo duumviri alia presenza dei pro- questori decretarono » (1). (1) A questo decreto e sottoposto il seguenle argomento: « La colo- nia Giulia Pisana, udita la morte di Gaio Lucio Cesare figlio d’ Augusto, sta- bili che dal giorno in cui fu data notizia della di lui morte fino a quello in cui fu riportato il suo cadavere, ognuno si astenesse da ogni genere di diver- timento, e a quello fossero fatti i funerali nel modo stesso con cui erano stati fatti a Lucio suo fratello; e che inoltre si facessero un arco e delle statue. Dalla fondazione della citla di Roma V anno 757 ec. ». — Oltre a centocin- quanta avanzi di scullure consistenti in urne, cippi, iscrizioni, statue e frammenti diversi, tutti spettanti ai tempi romani e per la piu gran parte rinvenuti nell’ interno della citta od a breve distanza, stanno adesso ordi- natamente disposti nel Camposanlo urbano. — Da molte iscrizioni, oltre i marmi funcrei da noi per intero riportati, e dato desumere lo stalo di Pisa nelP epoca di cui presentemente discorresi. Quindi ci crediamo in obbligo di accenarne alcune, le piu important!' al nostro assunto, notando alia fine le sorgenti a cui potra ricorrere chiunque destderasse un ragguaglio piu esteso, piu erudito e completo. — Tralle interessantissimee da considerarsi la seguenle riportata dal Grutero e molli altri, imperocche ella sta ad autenticare cio che poco innanzi asserimmo: aver i Pisani sin dai primi tempi del dominio romano avuto un eollegio di fabbricatori navali. E da notarsi peraltro che il marmo esistente nel Camposanto conlrassegnato della lettera d’ordine D* non e che una copia dell’ antico, il quale piu non si trova nella cilia. « Marco Nevio Reslituto, della tribu Galeria Pisana, Iascia per teslamento al eollegio de’ fabbricatori di bastimenti dell’ antichissimo Porto Pisano in denari quattromila seslerzi (100 scudi rom), con questo che ogni anno alsuosepol- cro celebrino i parentali, mandandogli le annue inferie con spargere il suo tumulo di rose; le quali sacre funebri cerimonie se omesse avessero i fabbri- catori navali, allora i fabbri marangoni ( fabri tignarii , calafati) facciano le islesse cose con esigere da’ primi quattromila sesterzi a tilolo di multa ». « Pare, secondo questa iscrizione (son parole del Cantini, Storia citata vol. I. p 79) che f arte di fabbricare legni marittimi in Pisa fosse in quei tempi ridotta a corpo morale, vedendosi capace di eredilare e rammentala col litolo di eollegio , solito darsi allora, come adesso, ai soli corpi morali: quindi e necessario credere che simil arte fosse gia molto estesa ed occupasse gran numero di Iavoratori, si pel continuo fabbricarsi navigli negli arsenali di Pisa, e perche ivi piu che altrove si sapesse quell’ arte, si perche ivi fosse in gran copia il legname da costruzione, Ed essendo quest’ arte un corpo morale, e ne- cessario persuadersi che avesse i suoi regolamenti ed i suoi particolari rap- presentanti ». La seguente iscrizione esiste nel palazzo della famiglia Roncioni in Pisa: « A Quinto Largennio figlio di Quinto della tribu Galeria, essendo edile in Pisa Severo Quinto Largennio Cresimo suo padre perche per l’onore del du- TOMO i. 9 66 plice seggio dono alia pisana Repubblica la somma di cinquantamila sesterzi ». Notisi che la espressione « Reipublicae Pisanorum » allro non sta ad indicare che il tilolo della romana amministrazione governaliva di Pisa, — Questa iscrizione, riportata da lulti i cronisti pisani, dal card, Noris, dal Fabrucci, dal Gori, dal P. Zaccaria ec., fu dapprima illustrata da Valerio Chimentelli, nelP opera intitolata Marmorum Pisanum de honore Bisellii ec. Bologna 1666. L’ onore del Bisellio consisteva nell’aver doppio seggio in senato, il che dava dritlo a due voti. Altra iscrizione di maggiore importanza e che il Chimentelli avrcbbe forse di preferenza illustrata se a’ suoi tempi stata foss’ ella ove e di presenle, e quella qui vollata in italiano, esistente nel Camposanto sotto lettera B**: « A Quinto Atrio Jucundiano vice pretore di due seggi (Bisellario) slato onoralo dell e decorazioni di decurione, il Senato cd il popolo pisano, per aver egli aggiunto al lesoro dell’ Annona 6020 sesterzi e per aver falto a sue spese le tende (vela) al teatro e tutte le suppellettili occorrenti ». L’ originate di questo marmo che, come vedesi, rammenta il teatro, i decurioni e V onore del Bisell o in Pisa, stava anlfcamente nel refettorio del convento di s. Francesco de’ Ferri, e di la fu trasportato in Firenze. Il Pagni lo illustro nella sua opera ms, da noi rammentata: e l’apografo della iscrizione fu falto collocare dal- T avv. Fanucci nel Camposanto, correndo 1’ anno 1811, accio il tempo non ne sperdesse la memoria. — Fra i monumenti sepolcrali cola conservati trovasi menzione dei nomi di G. Bellico Nalale Tebaniano console, uno dei quinde- cemviri flaviali del collegio flaviale istiluito dagl’ imperatori in Pisa (Sarcofago di num. XIII), di Tito Elio Lucifero liberto d 1 Augusto Antonino (Sarcofago di num. LXV), di Aufidia Vittoria (Urneola di num. 137), di A. Calpurnio Rustico (Urna di num. 1-50), di M. Annio Proculo decurione della colonia d’Ostia, fla- viale di Vespasiano e patrono de’ fabbri navali ostiensi (Sarcofago di num. XXXVI), ed al suo lain destro e conservata la memoria della di Iui madre An- nia Jucundia. — Vedesi pure un anlico busto credulo di Faustina Seniore , lollo da IP esterno della chiesa di s. Martino (XXIII), Altre iscrizioni ricordano i nomi di T. Murzio Glicone (GG), di Q. An - quirinnio (HH), di Mezzia Januaria (LL),di L.Apisio Pollione Coronario (V*), di T Cestio (Z*), di Caio Veianio Elitta il quaie fece fare vivendo, sicco me e cola avvertito, un monumento per se e per Claudia Euplea sua moglie, colla minaccia d’ una multa di venticinquemila sesterzi in favore dell’ erario pubblico a chi avesse osalo seppellire altre persone, o in qualche allro modo fare oltraggio alia tomba: (P iscrizione e al num. II; il monumento al XXXVII). Allro sarcofago, esisti to nella chiesa di s. Zeno, dimostra una baltaglia contro i Dacii disfalti dall’ imperatore Traiano (XXXIi). Da s. Piero in Grado, ove esaminollo il Gori, fu nello stesso recinto tratto P epitafflo al sepolcro di Sergio Elio Diogene falto per se e per la sua famiglia (G*). Altra iscrizione ricorda Gemina Mir tale a cui il marilo Achille Epafra eressc un monumento, minacciando di multa cui avesse ardito di rimuoverc il corpo della con- sole (I*). Un edile, console e pontcfice della Repubblica pisana, di nome Fe- lice Erculeo, e rammentato nella iscrizione conlrassegnala di lettera (H*), Que- sla iscrizione, rinvenuta nell’ orto di una cereria in Pisa, ed illustrata dal Ric- , '<§* 67 ciardi, dimostra come questo personaggio, stato due volte edile ed una volla console, fu nominato cavaliere dell’irnperatore. Ebbe adunque ancor Pisa, al pari delie piu III ustrl citla, dei cavalieri sin dai primi tempi dell’ irnpero. Altra iscrizione a Galerio Severo , esistente presso la famiglia Roncioni ed illustrata dal Chimentelli e dalP Averani, insieme alia suindicata comprova 1* istiluzjone degli Edili in Pisa. Ai sunnolati frammenli va unito quello d’ un architrave marmoreo con grandi lettere indicant! il nome di Sesto Ottavio Augusto (E*). Presso i ceno- tafii di Lucio e Caio leggonsi le epigrafi sepolcrali di Pompea Acate Jonicena moglie di Cornelia Felice (K*), e di Cneo Ottavio C. Luperco (L*). Un fram- mento di colonna miliaria trovato nella via Emilia verso il porto pisano, ncl luogo ora detto Rimazzano, porta scritlo che P imperatore Elio Adriano Anto- nio Pio fece restaurare ed ampliare quella via a miglia 188 da Roma (N*). Altra colonna miliaria, posta anticamente a 4 miglia da Pisa, siccome porta segnalo nella iscrizione, ricorda i nomi degl’ imperatori Graziano e Valenti - niano . Stava presso san Piero in Grado, e fu illustrata dal Chimentelli nel* P opera citata, pag. 229. Un frammenlo d’ iscrizione ricorda V imperatrice Giu- lia Augusta moglie di Settirnio Severo Pertinace. Stava nella facciata della chiesa di san Bartolommeo di Pugnano (P*). Altro piccolo marmo, che ora sta al lato del suddetlo, porta il nome di Sulpicia Liberta Saturnina, Ricorda il p. Zaccaria che per un’ altra Safumina moglie di M. Aurelio Giustiniano milite nella IV coorte, eravi una marmorea epigrafe presso la chiesa di san Zeno. Ora trovasi in Firenze. E pure collocato nel Camposanto un frammento di frontespi- zio di marmo granitico speltante ad un tempio dedicato a Cerere, fatto erigere da Atla ricchissima liberta di Nerone. Stava infisso questo marmo nella parete meridionale del Duomo in faccia alio Spedale. II Noris fra le famiglie romane stabilite in Pisa nota la Petilia la Rasinia la Pupia la Sertoria P Ottavia 1’Albia la Lappia la Veltia la Pelronia la Fabia l’Aponia la Cania V Otacilia l’Allia e la Tizia. — Sul maggiore o minor lustro di questi nomi possonsi consultare le opere seguenli: C. Sigonio, De nomini- bus romanorum liber. Onofrio Panvinio, De antiquis romanorum nominibus li- ber, nel Thesaur antiq % roman. del Grevio vol. II, le opere dello Streinn, del- P Augustini e delP Ursino nel vol. VII. della medesima raccolta, il Rupert! Ta bulae genealogicae , e C. Cantu, Documenti alia Stor. Univers. vol. V. (O) nomi e famiglie romane. Famiglia pisana di nome romano era pur quella di T, Statuleno Junco principe della colonia Juliense, fliminc Augustale, di cui e menzione nei de- creti funerarii di Lucio e Caio, insieme alle famiglie de’ decurioni che li avea- no firmati. Trattandosi d’ opera scritta pel popolo, forte ci duole che i limit! impostici ne vietino di tessere un ragguaglio ancor che breve delie cerimonie e del le cariche civili, religiose e militari dai Romani trasmesse ai popoli sog- giogati. Queste notizie, indispensabili a ben conoscere l’epoca da noi discorsa, possono altingersi in copia dai dolti nelle opere del Sigonio, del Panvinio, del Goguet ec.I men dotti possono ricorrere al Costume antico e moderno descritto dal Ferrario. A noi basti P aecennare come in Pisa (a somiglianza dei due consoli in Roma) eleggevasi ogni anno un magistrate dei duumviri. II costoro 2>^V\- 68 -aa^' ufTicio era di riferire gli affari ai decurioni della citta, come i consoli al senato. Cicerone (in Agr. 2 ) dice che i decurioni in ogni colonia avevano ad esser cento, e ad essi aggiungeansi tutti coloro che avevano un patrimonio di ccnlo- mila numrai (2b00 scudi romani), Avevano i duumviri due littori coi fasciden- tro i confini della loro giurisdizione. E qui giova il rammenlare come dei lit- tori, dei fasci e della sedia consolare aveano i Romani appresa la costumanza dai lucumoni e larti etruschi. Nell’ anno 719 di Roma non era ancora slabilita la durata delle funzioni dei duumviri (Pighio, Annals Rom. tom. II): sembra dappoi che fosse fissata ad un anno; cosi noi veggiamo nei decreti surriferiti restare in carica. L. Tizio e T. Allio scelti 1’ anno antecedent, per non essere ancora slati nominati i nuovi duumviri in Pisa a cagione delle contese fra i candidate, le quali dipendevano dai partili patrizio e plebeo che dividevano Roma e le provincie. Secondo il Chimentelli (op. cit. cap. VII.) dovrcmmo cre- dere che nella colonia pisana fosse costume l’eleggere dei prefetli dell’Erario: ad esso con lungo ragionamenlo s’ oppone il Noris ( Cenolaf . Pis. p, 35 e seg.) concludendo crearsi in Pisa a quei tempi dei proquestori, i quali custodivano gli archivi e il denaro pubblico. Concludera le nostre citazioni di monumenli romani ilframmento d’iscrL zione illustrato dal Cocchi ( de' Bagni Pisani , Firenze 1750. Milano 1824). Esso conserva la memoria d’ un certo Erote y aquario e custode delle Terme Pisane (ora note col nome di Bagni di san Giuliano) per aver dedicato o restaurato un tempio alle Ninfe Salutifere. Essa vedesi infissa presso la porta per cni scendesi ai Bagni orientali. — Solto il loggiato interno, di faccia alia scala prin- cipale per cui si scende ai primo piano, e posto sopra una mensola un pre- zioso cippo romano colla iscrizione: Corinna A. Octavi V. S. L. M. Questo marmo serve a comprovare come fmo da si remola epoca si tenessero in conto quei bagni, ed anco la stessa famiglia d’Augusto sen compiacesse (X.Descriz. storica ed arlislica di Pisa e suoi contorni per cura di R, Grassi t. III. pag. 225). Queste iscrizioni, queste urne, ed i tanti delubri di templi e di cospicui edifizi romani di cui oggi veggonsi adorne le Chiese ed il Camposanlo, chiara- mente rivelano, siccome scrisse G. Ludovico Biancopi, la dissoluzione di una grande capitale, e mostrano aver V antica Pisa fornito i materiali a Pisa mo- derna. — (V. Due lettere inediie sopra alcune notizie intorno a Pisa e a Firenze , indirizzate al Principe Enrico di Prussia , Lucca 1781). V. Monumenli Sepolcrali della Toscana. Raccolla di sarcofagi , urne ed altri monumenti di scultura del Camposanto di Pisa incisi e pubb. per cura di G. P, Lasinio figlio , 1824 25. Martini Jos. Theatrum Basilicas Pisanae. Romae 1705. Cantini Lorenzo, Saggi istorici d' Antic hita Toscane. Firenze 1796. Gori Ant. Franc. Inscriptions antiquae inEtruriae urbibus extantes. FIo- rentiae 1727. P. Zaccaria, Excursus literarii per Italiam. Venetiis 1754. Glo. Gherardo de’ Rossi, Lettere sul Camposanto di Pisa ec. Roma 1785. '\r CENNI GENERALI. Storici d’ogni maniera e d’ogni eta sonosi da secoli affaticati a lodare i Romani sic come i conquistatori della terra, gl’ incivilitori del mondo conosciuto, poco arrestandosi sulle nefandita da essi com- messe, pochissimo sui popoli da cui ebbero tesoro di dottrine e di civilta, e che abilmente seppero far disparire dalla faccia del mondo affinche incerta e povera ne suonasse la fama alle postere genti. I loro poeti ne tacquero o ne calunniarono i nomi: gli storici ne rammentarono soltanto le sconfitte ed i tempi di corruzione e di dissolvimento, celandone ingiustamente le vittorie ed i fasti... In tempi in cui dall’Alpe sino a S cilia ogni cittadino e fratello, quella nefanda politica che mostrava ai Romani un estraneo in cbiunque fosse fuor del loro altare e della loro famiglia, ed in ogni estraneo un nemico ed in ogni nemico una preda, merita ben altri nomi di quelli che retori e pedanti le tributarono, come di ben piu attente investigazioni sono degni i popoli che sotto V influenza di quella si dissiparono come fiumi maestosi, tutti confusi e riuniti in amplissimo lago per, opera di tremenda alluvione. Squarciato il velo delle speciose apparenze, il Verri, filosofo intemerato e giusto quant’ altri mai, di quei conquistatori parlando, co^i conclude: “ Furono i Romani grandi piu che buoni, illustri piu che felici, per istinto oppressori, per fortuna mirabili, per in- dole distruttori, generosi nelle malvagita, eroi nelle ingiustizie, ma- gnanimi nelle atrocita „ (1). I popoli da loro immolati, degni di miglior fama, colie suc- cessive cadute grandi lezioni offrirono alle genti venture — se delle lezioni della storia sapesse il popolo o potesse approfittare. — Gli Efcruschi, primi tra coloro, ebbero politica affatto diversa da quella da cui veggiamo regolarsi le mosse dei Romani. Essi preferirono alia potenza ed alia gloria la liberta: al governo loro non doman- darono conquiste nuove, ne signoria in lontane regioni, ma sicu- rezza all’interno, ed universale amore e moderazione. I poeti chia- marono eta dell’oro il regno di Saturno nell’ Etruria, e cio dicendo furono piii giusti storici degli storici stessi. Il governo federativo assennatamente predilessero, siccome quello che a difendersi dalle aggressioni straniere e piu valido e pronto, mentre affascinar non (1) Verri, Notti Romane. -w 70 si lascia dai prosperi eventi, lie sedurre da progetti ambiziosi. Un tal governo sinclie puro e saldo si mantenne tutelo i loro destini non solo, ma quelli d’ altre genti generose e valenti le quali di poco precedettero o di poco seguirono la caduta degli Etrusclii, allor- quando per corruzione di costumi, per lusso smodato, per crescente ignavia quei legami che assicuravano la comune prosperity furono allentati e poscia infranti. Distrutto il dominio etrusco ed insieme con esso quello dei Sabini, dei Latini, dei Sanniti, dei Brnzii, po- poli si poco cogniti e tanto degni di ammirazione, perde V Italia la felicita, le ricchezze, la popolazione, la vera liberta. II popolo romano, quel popolo re, alio splendore d’un gran nome, alia perniciosa gloria delle conquiste sacrificando tanti beni pin reali e pill preziosi, ogni ragion di diritto ponendo nel nerbo del braccio, ebbe a regnare non diverso da despota sanguinario e brutale sulle genti d’ Etruria sinche, spento in esse ogni spirito na- zionale, giunse a persuader loro esser elleno stia legittima conqui- sta e non aver piu dritto alia rivolta. Allora soltanto, miscbiato al sangue degli anticbi incoli quello di stranieri e di schiavi, allento il freno e degno riguardare quelle reliquie di popoli come suoi cit- tadini (1). Tal fu la magnanimita del Romano sui popoli conqui- stati. Tal fu la durissima ed inevitabile sorte degli Etruschi! (2) Queste sommarie considerazioni altre piu particolari ne evo- cano alio spirito, e vertono esse sulla rapida caduta di tante sa- vissime istituzioni, sulla oscurita cbe ricuopre le glorie artistiche e le letterarie degli Etrusclii. Come e perche — ognun si domanda — cosi presto videsi tolto il primato nelle arti, e per qual fatale ca- gione la memoria di queste, che pure in sommo grado sappiamo essere state fiorenti nelle loro citta (3), non ci fu tramandata per opere architettoniche, per isculture, per dipinti, tranne quelle inser- vienti agli usi familiari ed a quei religiosi. — L’ Etruria, appunto allorquando sembrava attingere 1’ ultimo grado della perfezione nelle arti del disegno, nel momento in cui gettava le basi d’ istituzioni di non peribile ricordanza, obbligata a difendersi dalle invasioni di fe- (1) Sismondi, Histoire des Republiques ltaliennes du moyen dge. — Preface. (2) Saint Paul, Heine, Montesquieu, Gibbon, Micali, C. Cantu ( Storia Universale lib. F, cap. 2. 3. 6. 11, e V Epilogo dei lib. IV e V). (3) Secondo Eliano (Varia Historia lib. IX. cap. 16) v’erano in Etru- ria 1197 citta, mentre ai di nostri non sappiamo conlarne che circa trecento, fe per ailro da credersi che solto il nome di citta si comprendesse dal greco narratore ogni ragguardevole terra o castello. roci nemici, dovette interrompere e trasandare il culto delle pacifi- che arti e addarsi tutta a quelle della guerra onde resistere con longanime ardore alle arrni dei Romani. Intanto la Grecia, nel cui seno 1’ Etruria era stata a deporre, qual madre provvida e feconda, i semi d’uno stupendo incivilimento; scacciati per opera di Trasibulo da quella citta, che nel secolo XIX rinascer doveva a migliori destini, i trenta tiranni che la tenevano oppressa, parve riconcentrasse nella sua splendida metropoli tutta l’umana grandezza per diffondersi di la in ogni sua provincia. Men- tre nelle etrusche s’ inoltrava il romano, e condannandole a condi- zione servile spegneva o trapiantava al di fuori i semi d’ una sa- pienza di cui forse per anco non era pienamente maturo il frutto, di quelle arti le quali non s’erano potute svolgere a volo sublime, e col cessar dall’ essere schiave del solo fasto religioso le minute e puerili opere cambiare colle popolari e monumentali, la Grecia era gia il tempio prediletto delle arti prosperanti all’ombra di due giganti onnipossenti, la liberta e la forza (1). Posta mente a cotali condizioni facile e lo spiegare la causa di tanto abbattimento e di cotanta oseurita dall’ un lato, di tanto vigore e splendidezza dall’altro: oseurita che dappoi venne aumen- tata dall’ignobile oblio con cui Greci e Romani fecero a gara in ricuoprir le memorie dell’ antica nutrice, di cui hanno a maravi- gliarsi coloro soltanto i quali ignorano essere 1’ ingratitudine vizio di nazioni come d’ individui; e quanto piu grande il benefizio, tanta maggior cura porsi dal beneficato a celarne la vera sorgente (2). Abbenche la storia dell’ Etruria dopo la sconfitta al Vadimone trovisi fusa in quella di Roma e piu non ci presenti che oscuri av- venimenti e dapprima rivolte generose ma infruttifere, poi mac- chinazioni e congiure soffocate e spente prima di portar frutti, ed infine quella apatia e quella estinzione totale delle antiche credenze e delle istituzioni, per cui si rileva F esser gia subentrate novelle e dirazzate generazioni all’ antica trapassata nazione, talche monotono e tristo e il metro di sue vicende, siccome quelle della vita dello schiavo, sino al punto in cui ruinato e disciolto F impero romano (1) V. Ia memoria Sopra il merito degli scrittori Etrusclii paragonato con quello de' Greci, dell’ avv. G. Fierli (negli Atli delV Accademia di Cortona , vol. VIII). (2) Angelo Mazzoldi. Delle Origini Italiche e della diffusione dell' 1 2 inci- vilimento italiano aW Egitto f alia Fenicia , alia Grecia e a tutte le naiioni Asia - tiche poste sul Mediterraneo . Milano 1840. F. la Prefaz , passim. e riassunta F Etruria a nuovo splendore, ritornando a formare una provincia separata ed indipendente che si governa con proprie e li- Tbere leggi, pur tuttavia andremo indicando alcune di quelle ultime lotte tra Romani ed Etruschi; estremi sforzi e impossenti d 1 una gente decaduta per liberarsi dalla estranea tirannide, i quali ci ap- pariscono siccome i pallidi raggi d’ un sole che e omai giunto al tramonto. Fu nelF anno 208 av. l’E. V. (546 di Roma, XI della prima guerra punica) che in Roma, al tempo dei Comizi, sopraggiunse la nuova della prima sollevazione degli Etruschi (1). Caio Calpurnio, vicepretore in Arezzo, aveva scritto al Senato doversi il principio di questa sommossa ai maldomi Aretini. Pero la presenza del console M. Marcello valse a contenerli in sogge- zione ed a nuovamente farli pieghevoli al giogo. II romano per al- tro, ad impedir che da essi nuovi tumulti fossero eccitati, ordino loro di dare per ostaggi centoventi figli di senatori, i quali furon tratti alia metropoli. — Contemporaneamente C. Ostilio vicepretore percorreva tutta la provincia col resto delFesercito onde sopire i movimenti dei desiderosi di civili mutazioni. Non trascorse gran tempo tra queste e nuove turbolenze. Asdru- bale, fratello d’ Annibale, entrato in Italia con un nuovo esercito, sollecito alia rivolta i popoli d’ Etruria e dell’ Umbria per mezzo d’ ambasciatori (547 di R. ). Mentre Annibale trionfava intanto al- F estrema parte d’ Italia, quindi contra i Romani, da quella guerra troppo minacciosamente occupati per dar mente e riparo alia insur- rezione delle provincie, una parte di queste si univa al partito africano. Yinto Asdrubale al Metauro e con tutte le sue truppe scon- fitto da Claudio Nerone e Livio Salinatore nelFanno 548 di Roma, M. Livio proconsole si reco per senato-consulto nelle provincie ri- voltate d 1 Etruria a chieder ragione dei loro lib eri moti ed a seve- ramente reprimerli. Andiamo avvisati col Noris che i Pisani non abbiano in co- tali sommosse avute corrispondenze col resto d’ Etruria. Citta espo- sta grandemente alle aggressioni navali e terrestri, e contenuta dalla fortissima guarnigione romana in essa alloggiata, ella era in- abile ad ogni libero moto di concerto colle altre citta d 1 Etruria. EF altronde omai troppo debole per resistere, senza l’assistenza dei Romani, alle tremende incursioni del Liguri, a cui ella, abbenche (1) Tito Livio, lib. XXIII, 73 fosse ligure in remotissimi tempi, si mostro dappoi costante nemi- ca (1), dovette riguardare lo straniero siccome il peggiore tra i due mali, e fu astretta di buon’ora a far causa a parte nelle vicende della Toscana. Ed oltre ad un secolo dopo, allorquando arsero le guerre so- ciali, Pisa, in condizione piii dolce e tranquilla delle altre citta italiche, al vantaggio proprio piii che al comune avuto riguardo, stimo esser migliore avviso il prestar man forte alia romana Repub- blica che il collegarsi a quelli da essa chiamati sudditi ribelli. Per altro la maggior parte d’ Etruria concorse a coteste guerre, le ul- time che V Italia contra Roma muovesse. Convenuti a Corfinio, citta toscana al cui nome aggiunsero quello d ' Italica, dodici popoli (2) si strinsero a sacra alleanza, e giurarono combattere insieme sotto una comune insegna nel nome d’ Italia (3). Cola essi deposero ostaggi, ed in un consiglio a cui cinquecento de’ piii gravi cittadini intervennero alia testa di genti forti per numero e per valore, elessero, ad esempio della romana Repubblica, due consoli e dodici generali da rinnovarsi annualmente. Memori delF antica potenza italiana sin che i di lei popoli furono avvinti in fraterna lega, e delle sue miserie quando le divisioni prevalsero, convinti non potersi di tante provincie lontane e sepa- rate organizzare uno stato solo, era lor mente rinnuovar F esempio (t) V, Cenni Generali pay, 23. — Umbri, Siculi e Liguri furono i primi abitatori del territorio loscano dei quali siaci pervenuta qualche notizia ri- montante air anno 1910 av. F E. V. Polibio scrive che i Liguri ai primi tempi etruschi estesero il loro domi- nio dalla costa del mare fino a Pisa, e per terra fino ad Arezzo (V. Cluverio, Ital, Antiq . lib. II. cap. I. — Inghirami, Storia della Toscana P. /.). Ai tempi pelasgici Pisa fu tolta ai Liguri, ai quali insieme con Luni ella apparteneva (V. Licofrone, Le Profezfe di Cassandra , v. 1336). Si fu allora che il dominio di Vada, apparlenuta a Vollerra, passo nei Pisani. Dalla parle di Pisa, siccome allrove notammo, furono si mal certi i limiti, che alcuni scrittori confusero i nomi di Etruria e di Liguria. Forse a tal causa debbesi ascrivere Fopinione del Targioni, Viaggi in Toscana, [om. X. pag.443; ripetuta dalF Inghirami, Sto- ria cit. Epoca II. pag. 98, aver i Liguri tenuto lungo tempo Luni, Lucca e Fisa, finche non furono scacciati dalle armi romane. (2) I Sanniti pei primi, i Marzii, i Picentini, i Marucini, i Ferenlini, i Peligni, i Campanii, gP Irpini, gli Apulii, i Lucanii, gli Umbri, i Lalini e piu tardi gli Etruschi. (3) Viteliv in etrusco, scritto da destra a sinistra. tomo I. IQ nuovi edifizi: suntuosissimi monumenti rimpiazza- i vano gli antichi per troppo severa e rozza forma mal’ adatti alle volutta e alle mollizie de’ tralignati abitatori; preziosi marmi adornavano la citta, sta- tue e colonne decoravano in grande numero il foro, gli anfiteatri, i circhi. Epoca luminosa do- vette esser questa per Pisa nel magistero delle arti, se a traverso cosi lungo novero di anni e ad onta di si tremendi sconvolgimenti sociali pur ne pervennero sino a noi le reliquiel (1) Anno 11 . — Giunto Augusto alia fine dell’un- decimo lustro del suo impero, assunse il nipoto Tiberio a sublime dignita, dividendo con esso il governo delle provincie, delle cui armate ei lo creo comandante (2). Merita un cenno la proibizione fatta da Ottaviano a tuttc le provincie dell’ impero di non accordare alcuna onoranza maggiore del- 1’ ordinario ai governatori ed agli altri pubblici ministri durante il loro impiego, no per due mesi dopo la loro partenza; imperocche per ottener si- mili adulatorie dimostranze si commettevano infi- nite iniquita e soprusi. Anno 14. — Morto Augusto in Nola, Tiberio si affretto a dare un gran crollo alle concessioni che per gli ordinamenti del suo predecessore venivano (1) Tralle altre sono da accennarsi le due colonne di granito orientale, sovrastate da graridi capitelli marrnorei di non spregevol lavoro, inerenti al muro esterno della fabbriea ora occupala dalPUftlzio della Cassa di Risparmi, piu anticamente chiesa di s. Felice, ed ai secoli romani tempio di pagane divinita. Sono ne’due capitelli, il cui stile evidenteraente appella ai tempi degli Antonini, ratHgurati Giove ed Arpocrate con ai lati Diana, Pallade, Iside e Vesta, Sepolte. per due terzi nel terreno quelle colonne che or fanno misera mostra di se, altesero invano per lungo tempo una menle provida e il- luminata che logliendole alia ignominia sapesse disporne al decoro di non ignobile edifizio, — Ora e forse troppo tardi. . . Ed e il popolo che si accusa di disprezzo ed oblio pe’ monumenti dell’ arte! (?0 Svetonio In Tiber, cap. XX. XXI, Vcllcio Patercolo lib. II, TOMO I. 12 J 90 accordate agl’ Italiani. Tra quelli che 1’ imperatore affrettossi a toglier loro si fu lo statuto che nel giorno medesimo assegnato in Roma pe’Comizi in ogni citta italica si convocasse il popolo, onde a ciascun individuo fosse libero di deporre il pro- prio voto pe’ magistral da eleggersi; e questo tra- smesso dai Decurioni a Roma, aggiungevasi a quel degli abitanti della metropoli. Accennammo gia alio stato civile e politico dei popoli d’ Italia sotto i Romani, facendo menzione delle colonie e dei rriunicipi. Tra questi ultimi es- sendo Pisa, ci arresteremo a dar breve conto dei governi municipali. — I municipi erano, tra i reggi- menti dati dai Romani ai popoli soggetti, e i me- glio ordinati e i men degli altri conducenti a ser- vitu. Essi conservavano le loro antiche consuetu- dini, formulate o no in leggi si generali (cioe co- muni alia provincia) che municipali (cioe ristrette alia citta). Ogni vincolo sociale fra gl’ Italiani es- sendo innanzi ai Romani consistito soltanto in uno stesso linguaggio ed in assemblee generali, cosi sotto di essi il servaggio non peso colla forza che oggi esercita su popoli nati a diversi destini. Il municipio era gravato inverso la metropoli dell’ob- bligo di mandar soldati agli eserciti romani e di pagare annue contribuzioni, la cui quantita rego- lavano i bisogni dello Stato. Erano distinte col nome di tributa e vectigalia (1). Era, insomnia, una specie (1) Tributa erano le imposizioni fisse j dividevansi in personali , mobi- liari e locative. Vectigalia erano le imposizioni delle provincie pagate in de- nari-, diceansi slipendiaria se a rate e quole prestabilite; decime prediali se d’incerto prodotlo, o designanti la decima parte della raccolla delle terre allo- gate dallo stato. Le locazioni de’ pubblici pascoli diceansi scrilture , c porlorio il diritto d’ importazione e d’ esportazionc gravitante sulle merci che enlra- vano nelle provincie, o ne uscivano. Sollo Auguslo la rendila dell’ impero, am- niontante a quasi 96 milioni di lire (loche era a quo’ tempi da cansiderarsi di vassallaggio; ma in questo, al contrario de’ se- coli feudali, signore e vassallo erano egualmente cittadini. Dicemmo i municipi ostentare le forme del governo della capitale. Vedemmo i decurioni rap- presentare il senato ; i duumviri i consoli, eletti dal popolo e dal senato. Capitale e provincie reggeva un governo misto. Senato esercitante aristocrazia. Popolo esercitante democrazia. Potere assoluto affidato a gente eletta e removibile. I Comizi, anco allorquando da Augusto furono resi provincial^ seguitarono a riserbare al popolo 1’ elezione dei magistrati e la sanzione delle leggi. I Comizi fa- cevansi per curie, per tribu e per centurie (1). Nei Curiati ogni cittadino avea diritto al voto. Cessarono essi appena gP Italian! vennero iscritti alle tribu di R,oma; e se in talune conferme la legge esigeva la loro presenza, venia questa rap- presentata dai trenta littori che per lo innanzi li ragunavano. I Comizi tributi eleggevano le cariche inferiori di Roma, e quelle delle provincie ai tempi della repubblica; ma la potenza legislativa di essi scadde di tanto sotto gl’ imperatori, sedicenti rap- presentanti del popolo e sovrani, che a null’ altro fine piu s’ accoglieano se non per udire proclamar gia fatte quelle nomine che per lo innanzi dal loro suffragio unicamente dipendevano. I Comizi centu- riali o maggiori erano tenuti dai cittadini che si adunavano secondo le ricchezze, sempre piii pre- valendovi chi piu di quelle possedesse. In essi crea- vansi i magistrati, e lino il re de’ sacrifizi; ratifica- vansi le leggi, giudicavansi i delitti di lesa maesta. siccome il quadruplo della somma rappresentata adesso da una tal cifra), fa Irovala scarsa: vennero imposte nuove lasse, e le gabelle s’ introdussero, Solto di lui stabilissi pure un corso regolare di Poste. (1) Comitia centuriala , ex censu et aetate ; curiataex generibus hominum ; tributa ex regionibus et locis. Ant, Test. 'w to: © 92 e quanto spettava alia pubblica salute. Formavansi le centurie colla estrazione a sorte di cento fra i censiti, die si dividevano in cinque classi. Ogni centuria adunavasi separatamente, poi teneasi conto della plurality de’ voti di ciascuna, sicche tre voti formavano la maggioranza, e sempre eran quelli dei ricchi che prevalevano, poiche le tre prime classi di censiti ( i proprietari di centomila a ses- santamila assi ) eran sempre d’ accordo. Dei magistral del municipio nominammo altrove la maggior parte: aggiungeremo i decemviri eser- citanti giurisdizione in certe cause fino a determi- nata somma: oltre a questi eranvi il quinquennale, il censore o curatore , il difensore, gli edili , gli at- tuari (1). I pubblicani riscuotevan le imposizioni, e di questi ultimi Tito Livio indignato sclamava: Ov’ essi sono ivi annichilito e il pubblico driito, e la libertd de ’ cittadini perduta . I Municipi, regolati col dritto italico, dettero opera ad una libera costituzione, cbe fu poi la sor- gente delle istituzioni repubblicane del medio evo. Su questa ritorneremo piu tardi. Qui basti il far cenno che da quel diritto, in prima esclusivo ai la- tini, dappoi esteso a pressoche tutta 1’ Italia, niun privilegio yenivasi a concedere al cittadino, bensi la citta godea per quello la propriety quiritaria del terreno (2) ed il commercio, dal che derivava 1’esenzione dall’imposta prediale, e la capacita del- Fesercizio della mancipazione, delF usucapione e della vindicazione (3). (1) V. Sigonio, De antiquo jure provinciarum (nel Thesaur , Antiq. et hi- sloriar. ltaliae del Grevio, vol. 2. Panvinio, Reipubl. Roman. Comment. (2) I Quiriti , nobili della prima costituzione, erano cosi delti dalla lancia 0 quir ) da essi portata. La proprieta quirinale era quella del terreno acquistato alia cilia, a simiiiludine del dirilto riconosciuto da Romolo a favore delle Ire prime tribu dei Romani da lui istituile. (3) Mancipazione (m as ci patio')-, mediante essa le persone soggelte ad 93 Tiberio togliencio i Comizi alle provincie, il cli- ritto di nominare spcttante al popolo trasmise al Senato, e ne astrinse i mernbri a votare ad alta voce, se presente o i satellite — e quelli dominando col terrore e i cittadini dei municipi privando d’ ogni privilegio, fecesi arbitro assoluto d’ Italia. Frattanto le campagne ogni di piu isterilivano, e mani mercenarie o schiave infingardamente eser- citavano la poca agricoltura ch’omai restava al- F Italia. Questo squallore delle arti agricole era pero d’ incremento alia navigazione. Immense ricchezze si profondevano pel mantenimento delle due gran flotte poste a guardia dell’ infero c del supero mare; 1’ una stanziata ad Ostia e ne’ porti dell’ Egeo su- periore e del Mediterraneo, V altra a classe presso Ravenna, o a Pola nelF Istria a custodir 1’ Adria- tico, r Ionio e parte dell’ Arcipelago (1). Oltre a queste classi, continue flotte solcavano e risolca- vano le vie del mare per trar dall’ Africa, abbon- dantissima in grani, il vitto d’ Italia, ed altri tras- portarne da Alessandria omai divenuta sede di vi- tale industria e di civilta, e centro del commercio del mondo (2); non bastando piu di gran lunga la un vincolo acquislavan facolta a Iiberarsene. Mediante Vusucapione ( usucapio ) acquistavansi dirilti sopra cose e sopra individui delerminati con determinate condizioni. Mediante la vindicazione (riNDicATio') V uomo libero avea diritto di riacquistare il proprio possesso. V. Savigny, Storia del diritto romano , cap, I— II. Vico, Storia fondamen- tale del diritto romano t t. III. lib. IV. (1) Carlo Ant. Marin, Storia civile e politica del commercio dei Vene- ziani , vol. 1. Discorso preliminare. (2) Augusto conobbe si bene Y importanza di questa provincia che de- creto niun senatore potesse mai averla in governo, e neppur senza sua licenza porvi piede. Un semplice cavaliere amminislravala con potere assoluto, ma dall’ imperatore dipendente. Ad Alessandria 1’ esser soggetta ai Romani frutto $ accrescimento immenso di potenza, dovuta all’ estesissimo commercio ed alia navigazione. Cosi un popolo aborrente dal mare dovette al mare lutta la pro- sperity di cui un popolo puo godere dopo aver cessato d’aver nella istoria nome e destini indivisi. (V. C. Canlu, Stor. i miv. Ep. V. cap. XIX). 94 feconda Etruria Annonaria, la Sicilia, la Sardegna al consumo de’ Romani. In tutto cio Tiberio non pote non riconoscere una causa permanente d’ in- fiacchimento delle forze d’ Italia, e al Senato scri- vendo svelava le piaghe dell’ impero: « II disuso delle tante leggi antiche, e, quel che e peggio, il di- spregio delle tante del divo Augusto, hanno assi- curato lo scialacquare. Perche chi vuol far cosa non ancora vietata la fa con timore ch’ ella si vieti. Chi senza pena puo farla proibita non ha piu timore ne yergogna. Perche regnava gia la par- chezza e la masserizia? Perche ciascuno si tempe- rava, perche noi eravamo tutti cittadini di Roma, e non avendo signoria fuori d’ Italia non ci veni- vano siffatte voglie. . . Le vittorie di fuori ci hanno insegnato a sciupare la roba degli altri, e le civili discordie anco la nostra. Non vi e chi rifletta quanto 1’ Italia abbia in tal guisa bisogno di pro- dotti esterni, e che la yita del popolo romano e ogni giorno dipendente dall’ incertezza del mare e delle tempeste. Se le yettovaglie delle provincie yenissero a mancare, chi nutrirebbe noi e gT in- numerabili nostri servi e i contadi ? vivremmo noi della magnificenza delle nostre case, de’ nostri giar- dini, e colle nostre foreste? » (1) Anno 26. — Riportata in questi tempi grande vittoria siT Traci per opera di Poppeo Sabino, sto- lida ed infame adulazione venne ad accrescere il gaudio dell’ imperatore. Undici citta dell’ Asia mi- nore presero a contendersi innanzi al Senato per conseguire il priyilegio di edificare un tempio a Ti- berio. Ipepeni, Tralleni, Laodicensi e Magnesii fu- (l) Tacito, Annali lib. III. §• 84. V. I. M. Pardessus, Tableau du commerce anterieurement a, la decouverte de V Amerique , servant d’ introduction a la col - lection de lois maritimes. Paris 1834. Introduction, t. I. pag. 49—83. -aaMT 95 rono esclusi; gl’ Iliesi vantavano Troia esserc stata madre di Roma. Alicarnasso, Pergamo, Mileto, Efeso per insufficenza di diritti vennero scartate. II giudizio pendea fra Sardi e Smirne. E i legati della prima portavan fuori la pretesa, autenticata da un decreto de’ popoli d’ Etruria, d’esser di san- gue di nostrani, dicendo Etruschi e Lidii parenti, per aver Tirseno ( o Tirreno ), figliuol d’ Ati, per la soverchia moltitudine degli uomini abbandonato il paese natio al fratel suo Lido, ed il nome d’en- trambi essersi cosi reso perpetuo nell’ Asia e nel- 1’ Italia. Questa pretesa, se non documento, per lo meno insigne testirnonianza ci porge delbopinione cor- rente gia da gran tempo in Italia sull’origine dei Tirreni-Etruschi, ed in epoca in cui i sacri libri degli aruspici non per anco erano smarriti e di- strutti (1). Anno 37. — Spento 1’ astuto tiranno da altro non men crudele tiranno, vider le italiche provin- cie reintegrarsi negli antichi diritti, ed abolito il dazio della centesima parte solito a percipersi su tutte le vendite agl’ incanti negli stati italiani. Cosi operava 1’ infame Caio Caligola (2) ad acquistarsi fama di principe moderato ed ingraziarsi alia plebe, facile ad esser acciecata dalla liberalita de’grandi (3). (1) V. Tacito, Ann % lib. IV. §. 55, 56. — Carlo Troya, Storia d ’ Italia del medio evo. Napoli 1839. De’’ popoli barbari avanti la loro venuta in Ita- lia ec. Parle I. lib, IX. pag. 465, 469. — Il Senato nellc sue servili discussioni saggiamente preferi Smirne, i cui abitanti avean sovvenuto Pesercito di Silla periclitante spogliandosi de’propri abiti per rivestire le romane assiderale le- gioni. (2) E noto come per rendersi popolare Caio si cacciasse tra la plebe ve- stito da semplice soldato, siccome gia uso il prode Germanico padre suo, cal- zando i rozzi stivaletti della milizia delti caliga , donde il nome di Caligola a suo gran dispetto rimastogli. (3) Svctonio in Caio cap. XVII. Dione lib, LIX, w- -w~, 96 Anno 39. — Caio Caligola coniinciando a deso- lar le provincie con incredibili estorsioni di denaro, provo agl’ infelicissimi quanto stolti suoi sudcliti come diversa dal mattino soglia esser la sera di molti regnanti (1). Quale a quest’ epoca esser dovesse la civil con- dizione di Pisa pensiamo potersi arguire da un in- teressante passo dell’ Annalista romano (2). Antico municipio della Repubblica, antichissima colonia di questa, Pisa, al pari di Lucca e Fiorenza, sembra non soccombesse alia deserzione dei cittadini, come soggiacervi dovettero quelle citta che per sponta- nea richiesta o forzatamente accolsero nel loro seno colonic militari ai tempi degl’ imperatori, le quali tosto ricaddero nella primitiva desolata votezza appena che quella raccogliticcia moltitudine de’soL dati, terminato il tempo del servizio, ripatriava, non trattenuta ne da maritaggi in essa non usati, ne da scambio di gentili affetti di figliuolanza o di pa- rentela. Nelle antiche colonie eransi vedute all’ in- contro legioni intere co’ loro tribuni, centurioni, e soldati di un corpo istesso concordi d’ affetto in unita ed amorevole comunanza, formare siccome una piccola repubblica. Quindi non manomessa da successive bande di soldati faziosi, vincolata dai nodi di famigiia, che infine c immagine di tutta ben ordinata societa, Pisa colP attivita interna pote riparare in gran parte ai danni derivatile dalla in- coltura del territorio, dalle imposizioni accresciute, dagli straordinari tributi. Anno 44 a — In quest’ anno vicn da’ Cronisti pi- sani fatta menzione del supposto viaggio a Pisa dcll’apostolo Pietro. A lor detto partitosi egli da (1) Muratori, Ann cit. anno 37. (2) Tacilo, Ann. lib. XIV. g. XXVII. Wit? Napoli fa spinto cla’venti sul lido pisano, e sbar- j ca to ad uno scalo, il quale poi e dal suo nome e da certi gradini che rendeano ai navigli piu age- vole la discesa nelhArno, ebbe il nome di san Pie- tro in Grado fad Gradus ArnensesJ, ivi appunto ercsse un altare al Dio de’ cristiani, convertendo grande numero di abitanti alia sua fede. E sulle vestigie di quel primo altare fu sullo scorcio del decimo secolo eretto uno splendido tempio (i). I Cronisti riportano inoltre aver san Pietro, in que- sto viaggio, battezzato tragli altri un tal Pierino, greco di nazione, consacrandolo vescovo di Pisa; sicehe da esso dan cominciamento alia serie dei rettori della Chiesa Pisana, ed instituito insieme san Paolino primo vescovo di Lucca. — Il martirio spense dappoi la vita di questi e quella di altri molti fedeli, immanemente fatti trucidare da’primi persecutori del Cristianesimo alio falde de’ monti pisani, 11 Muratori (2) cita le seguenti parole d’ un ser- mone di sant’ Isidoro su san Pietro: « Simon Pietro figlio di Giovanni, fratel d’ Andrea, nato nel borgo di Betsaida della provincia di Galilea, che e presso lo stagno di Genazaretli, il cui primo nome fu Bar- giona. ..ec,, dopo aver fondato la Chiesa d’Antio- chia sotto Claudio Cesare s’incammino a Roma, dietro al comando del Signore, per abbattere la pretesa dottrina di Simon Mago, ma coll’ aiuto e per la grazia di Dio venne a Pisa entrando nel fiurne Arno; e poiche era vicino l’inverno si di- spose a passarlo colei, ove avendo dimorato per sei mesi, costrui presso la discesa nel mare una (1) Vedi questi Annali all’ anno 989. (2) Muratori, Scriptores rerum Italicarum , t. VI. pag. 13 "few. 98 chiesa, che poi al suo nome fu dedicata da san Clemente » (1). Anno 49. — Sotto il regno dell’ imbecillc Clau- dio furono decretate leggi provvidenziali a tutelare gli schiavi. In pari tempo incominciossi a proce- dere contro i giudei, cui si avean per commisti i cristiani, espellendoli da Roma per esserne prodi- giosamente cresciuto il numero (2). Fu quello il primo segnale delle persecuzioni contro una reli- gione alia quale cinque secoli bastarono per can- cellare d’ in sulla terra le impronte d’ una credenza basata sull’ odio e sull’ egoismo, e che sul mondo avea regnato colla forza conculcatrice del dispo- tismo* Anno 51. — Il primo concilio di cristiani tiensi a Gerusalemme (3), in cui venti anni avanti il Cri- sto contava appena cento venti discepoli. Co’ mar- tirii crescenti crescevano essi ad ingente moltitu- dine (4), tale da spaventare i tiranni, i quali nel loro cieco sbigottimento non vedeano ne’ loro con- vegni sotterranei, ne’ loro riti misteriosi e notturni, ne’ loro mistici banchetti (5) che trame sovverti- (1) Dal Muralori (op. cit.) in conferma di cotal tradizione vengono ci- tate le opere seguenli, ove di essa e tenuto discorso. Fra Bartolomeo Spina da san Concordio, Sull' origine di Pisa. — Il Pantheon , anlico libro trovato nella biblioleca Pontificia da Ugo Pisano arcivescovo di Nicosia, in cui n’e menzione nella III. parte, alia rubrica della consacrazione degli altari, Il suddello arci- vescovo, ai tempi di Clemente IV, copio da cotesto libro quanto speltava a tal tradizione; ed autenticala la copia col suo sigillo, portolla a Pisa correndo il gennaio del 1268. Riposta dappoi nella sagrestia della Cattedrale, insieme a tanle altre peri nell’ incendio di questa, V. Baronio, Annali ecclesiastici , t. I. a. 44. Manni, Storie selectae cap. 518 Tronci, Annali Pisani 1. 1. p. 8. (2) V. Atti degli Apostoli XVIII. 2., e Svelonio in Claud , cap. XXV. Judaeos impulsore Christo assidue tumulluantes Roma expulit . (3) Sull’ osservanza della Domcnica, — V. Baronio, Annali eccles. t. I. p. 360, ann. 51 §. XV. (4) Tacilo, Annali lib. XV. « eorum multitudo ingens » ann. 50, 51. (5) Le Agape, cene crisliane nelle quali dopo le preghiere fatle in co- mune imbandivasi il mistico agnello, furono istituile neli’anno 63. Vocatur — 'J& trici deir orcline pubblico, conciliaboli e congiure contro il governo (1). In Pisa i sotterranei tuttora esistcnti, e di cui facemmo altrove menzione, dovettero dar ricetto a numerosi stuoli di martiri che ne’ secreti lor pe- netrali riunivan le turbe, e le iniziavano ai precetti dell’ evangelo e delle verita eterne per la emanci- pazione dell’ uman genere, facendo testimonianza col loro sangae (2). Anno 64. — Caduto 1’ impero in balia di cotal tiranno, che vincendo in astuzia Tiberio e Claudio in stolidezza sorpasso anche 1* infame Caligola nella immanissima crudelta e nella sozza lascivia, Roma corse rischio in tal’ anno d’ esser distrutta pel vio- lento incendio dal furibondo capriccio dell’ iniquo imperatore procurato (3), il quale rovescionne la colpa su i cristiani, da quell’ epoca ognor piu spie- tatamente straziati. — Immensi dazi vennero impo- enim Agape id quod dilectio apud Graecos est , . . inopes refrig erio isto juva- mus Tertull. Apolog. cap. XXXIX. (1) Sola a comprendere pienamente 1’ intimo senso della voce religigne ( feligio , rannodaraento : nempe a rcligando et nomen religionis a vinculo pie > tatis esse deductum quod hominem sibi Deus religaverit , Lactant. lib. IV. cap. 28) la semplice filosofica dottrina del Crislo, oltre alle accuse di fomen- tare politici sovvertimenti s’ ebbe pur quelle di celebrare nefande turpiludini, e tener ginnasio di oscene perversita. Contro queste piu stolide che scellerate menzogne e a’di nostri opera vana tener parola. Contro quelle ci piace rife- rire i detti con che l’impavido Giustino difendeva al cospelto d’Antonino la fede cristiana: « Noi vi riconosciamo per imperatore, e al tempo istesso chie- diamo a Dio che la sapienza coll’ impero vi accordi. . . fazione de’cristiani e lo stare uniti nella stessa credenza, nella stessa morale, nella stessa speranza. Facciamo una congiura per pregare Dio in comune e leggere le same scrit- ture . . . noi ci chiamiamo fratelli , disposti a morire gli uni per gli altri », Apol. ad. Ant. P. — V. F. Moise, Storia dei dominii slranieri in Italia , vol. I. cap. VI, Cantu Storia univ. Dccumenti , vol. III. (2) Marlire significa testimone. La voce Vangelo suona grata novella , ad annunciar la quale furon mandali gli Apostoli ( mandato ), Chiesa nel suo pri- mitivo significato esprime adunnnza , scuola. (3) Duro sei giorni. Incomincio il 19 luglio, anniversario di quello su- scitato dai Galli nell’ anno 390 av. V E, V. 2Zvv- 100 sti, cd orribili estorsioni sulle conculcate ed emuntc provincie furono a violenza eseguite per provve- dere aide spese occorse a rifabbricar R,oma. Anno 08. — Torpe, milite di Nerone, ricusando prestare omaggio alle divinita pagane, soffre il mar- tirio e muore insieme a gran numero di cristiani. Pisa celebra 1’ anniversario del suo santo cittadino il 29 aprile nel tempio erettogli sin dal 1144 lad- dove, a detto dei Cronisti, il fnribondo Nerone avea fatto erigere il simulacro di Diana; — intorno al quale chi si eompiace di speciosi favoleggiamenti trovera pascolo sovrabbondante nella descrizione fattane dagli antichi scrittori di cose pisane (1). Anno 69. — Galba, Ottone, Yitellio succedutisi nel breve volgere di diciotto mesi (68, 59) dopo il bestiale Nerone, speditamente si misero a correre sulla via di sangue, nella quale bene aveanli indi- rizzati i loro iniqui antecessori. Sotto il secondo di costoro furon diretti i navigli del porto pisano e degli altri porti d’ Italia verso le coste della Gallia Narbonese all 7 inutile impresa di sollevarla a pro cli Yitellio contro Yespasiano, eletto imperatore dalle legioni d’ oriente e d’ occidente. Le turbolente milizie precipitatcsi in Italia dietro Vitellio insieme alia soldatesca dell’ estinto Ottone, avevano intanto messo a ruba ed a sacco tutte le provincie spargendovisi avide di prede e di assas- sinii. Ne queste miserie cessarono gia col cessar delle gare pel contrastato impero. Roma riprese flato un istante sotto Vespasiano, non cosi 1’ Italia ; poiche egli, nella sozza sua ava- rizia, i tributi delle provincie accrebbe smisura- tamente, sperperando le reliquie delle altrui do- (l) V. Roncioni, Slorie Pisane ms. Taioli, Storie Pisane ms. Benincasa, Vita di S. Torpe. — A. De Rossi, Vita de’ Santi e Beati toscani , Roma 1731- 101 vizie per impinguare le proprie (69, 79). Un lampo trainee per le desolate contrade sotto Tito (80, 81), ma lo segui nuova tenebra imperando il truce Do- miziano (71,95), secondo persecutore dei cristiani; ottavo conculcatore d’ Italia; duodecimo de’ Cesari. Nerva (96, 97) e Traiano (97, 117) vollero che 1’ epoca del loro reggimento segnasse tempi meno perversi; ed abbenche si dell’uno che dell’altro ne- lasto sia il nome nelle pagine del Cristianesimo, ad opere buone come a proprio istituto inclinarono. Quest’ ultimo i savi provvedimenti dal padre adottivo incominciati prosegui, miglioro estese con mirabil saggezza, e le gia scemate gravezze delle provincie diminui ancora (99). Da’ consigli della consorte, Pompea Plotina, traendo ammaestramen- to, pose freno alle vessazioni degli aborriti ed in- gordi pubblicani nelle provincie : diede alle citta d’ Italia denari e rendite perche a carico de’ pub- blici erarii si alimentassero gli orfani di gente li- bera: tolse li abusi ed i monopolii del grano, e die vita alle corporazioni de’ fornai. Pero della istitu- zione d’ ogni riunione o societa d’interessi privati si falsamente sentiva, che ricusandosi alia forma- zione di qualunque abbenche piccola di esse, diceva esser cosa contraria al buon ordinamento degl’ im- peri. Proibi alle citta il far regali col denaro pub- blico. Ordino che in Roma e nelle provincie ai voti, soli ti farsi per 1’ Imperatore correndo il terzo di di gennaio, s’ aggiungesse la condizione pur che governi a dovere la repubblica e procuri il bene di tutti. Egli aboli 1’ azione criminale di lesa mae- sta, ne voile si proferisser sentenze contro gli as- senti ; e in un rescritto detto: meglio e in dubbio lasciare impunito un reo , che il condannare un in- nocente (1). No questo dettato smenti quello con V7 (1) Plinius in Panegyr. — Lege o, Digestis de poenis. ST rk 102 cui esordiva al suo impero; imperocche dando la spada al prefetto pretoria no, vuolsi e’ dicesse: s’ io adempio al mio dovere adopra questa per me, con - tro di me se vi manco (1). L’ impero tocco sotto Traiano il colmo della sua grandezza. La navigazione, decresciuta sotto li ul- timi tiranni di Roma, riprese yigore ed atti vita. Spintosi egli medesimo fino alia foce dell’ Eufrate, imbarcatosi sul Tigri verso il golfo Persico e tra- versando l’Oceano, addito nuovi mezzi d’ incre- mento al commercio ed alia indastria navale, con durevole affezione eccitati da lui con si fatto ar- dore che, divenuto gia vecchio, vedendo salpare un naviglio per le Indie, esclamava: s’ io fossi pin giovine recherei la guerra cold . Per tal modo ebbe Pisa a risentirsi grande- mente de’ benefizi d’ un governo provvido e mite. Il di lei porto mantenutosi in fiorente condizione venne ampliato, abbellito, assunto a insueta pro- sperity. Forse da quell’ epoca datano le splendi- dezze d’ ornamenti e le sontuosita, di che il poeta di Numanzia ci tramando la memoria (2). Certo bensi e che in quell’ epoca il porto e la vicina citta attinsero il culmine di tutta la possibile grandezza cui era lecito sperare ad Alfea-Giulia sotto il do- minio dei Romani. Ed e percio che a questo punto stimiamo op- portuno, fatto tesoro di quanto per diversi scrit- tori con sentenza diversa fu detto circa il romano porto di Pisa, consacrare ad esso alcuni speciali cenni per i quali, se tanto ne e dato, apparisca scevro d’ ipotesi e di contradizioni tutto che di piu (1) Le parole di Tacito, da noi gia riporlate in senso generale parlando dc’ tempi d’ Augusto, sono dall’ annalista romano particolarmente applicate al governo di Traiano, (V, pag. 53, nota 4). (2) Vedi pag. 85. K 103 5 certo sopra di esso fu sin qui scritto dai suoi il- < lustratori. Fu opinione d’ alcuni, che nella piu rimota an- tichita la foce dell’ Arno costituisse il solo porto di Pisa. Yenne cio dedotto dall’ aver Servio annotato come Pisa, nel linguaggio de’ Lidii, volesse signifi- care unico porto (1); ne e improbabile che in tempi di poco posteriori alle gigantesche imprese della antichissima deviazione del Serchio (2) c del taglio maraviglioso della Gonfolina — opere si stupende che gli Etruschi ne vollero attribuito 1* onore al- T Ercole Tirreno — la foce dell* Arno formasse una stazione sulficiente pe’ piccoli navigli quali a quei tempi impiegavansi. E l’Arno stesso pote esser ca- pace di sostener tali navigli sinche il suo alveo di- vise col Serchio, e le acque di esso insieme alle proprie in rapido corso condusse al mare (3). — Ma non sanamente avvisarono, a parer nostro, coloro (1) Servio ad Aeneid, lib X, « Pisas Lydii singularem porlum signifi- care dixerunt ». (V, pag. 12 nota 1), (2) Vuolsi che il Serchio in remolissimi tempi sboccasse nel lago di Bientina (V. Targioni, Viaggi in Toscana , t. II. (3) Sulla testimonianza di Plinio (Sfor, Natur. lib, II. cap. V), di Stra- bone ( Georg . lib. V), e di Rutilio dicemmo come il Serchio si unisse all’Arno sboccandovi presso l’antico arsenale, ove formava un angolo sul qual sedea la cilia, Ma il Roncioni ( Stor . ms. pis.') pretende che il Serchio entrasse solo per porzione nell’ Arno, e fa lunga disamina su i due nomi di Aeser e di Auser , il primo dei quali speltante al Serchio, 1’allro al fiumicello Auser , il quale a delto del cronista doveva a quei tempi esser considerabile e meno povero d 1 2 3 acque di quello che oggidi lo sia, avendo in tempi piu recenli deviata la sua foce dall’Arno nel mare. — Manifesto appar 1’ errore del buon canonico pisano a chiunque ponga ad esame la questione ancorche leggermente, e sen- za il formidabile apparato con cui fecesi a combatterla il Targioni. Bene per aliro s’avvisd il Roncioni nel notare che un ramo dell’ Osari (oggidi Ozzori) correva pel piano alia destra di Pisa, e giunto presso al mare vi faceva un piccolo laghelto, il quale riliene il nome anlico di Porto delle Conche (oggi in- terrato afTatlo e denominato Ponte delle Conche ), e cola presso il detto fiu- micello sboccava in mare. « Vicino a queslo porto, aggiunge il cronista pi- sano, anlicamente furono fabbricatc molle case, e si conservarono fino a che V s.-U. 104 i quali inclinarono a credere che dalla foce del- l’Arno, per quanto ampia potesse ella essere, do- vessero sciogliere le flotte pisane fin dalla piu fio- rente epoca degli Etruschi, ne i documenti anda- rono siffattamente dispersi da lasciar sussistere siccome ammissibile questo vaneggiamento (1). II porto di Pisa si estese in quel luogo del lit- torale toscano a cui li antichi geografi, e tra gli altri Strabone, dettero il nome di seno pisano: esso occupava la baia formata dal promontorio di La- brone ( Caput Labronis ), e dal primo poggio che s’ incontra movendo da Pisa, dalle cui appendici essa baia veniva circoscritta. A questa, la quale ora e la pianura su cui siede Livorno, sta in faccia il banco della Meloria. La distanza tra Pisa e il seno pisano sembra essere stata di poco oltre due mi- glia geografiche, difficile restando ai di nostri il determinare la precisa misura della indicazione di circa 20 stadii lasciatane da Strabone. — In quanto alia situazione del castello chiamato Turrita o Tri- turrit a, sembra potersi essa fissare al punto in cui i Romani si fecero padroni di questi luoghi, e da loro stessi furono ampliate e adornate di bellissime cose; ma la potenza loro mancata . . corsero i bar- bari per queste parti rovinando e depredando ogni cosa, ed allora mi credo io che furono desolate queste abitazioni. Che elle vi siano slate da noi Pisani non se ne dubila, sebbene al presente (1610) in queslo luogo non se ne veg- gano che bosehi grandissimi. Non sono ancora settanta anni che Palla Ru- cellai, e Antonio Roncioni fratello di mio avolo, uomini dottissimi e invesli- gatori delle cose antiche, a comune spesa fecero cercare in questi luoghi de- serli, e vi trovarono dimolti marmi e antiche sepulture, e un gran numero di medaglie, una parte delle quali delto Rucellai condusse a Firenze, e allra rimase in Pisa nelle nostre case ». (1) Cosi il Muratori, Antiq. Jtal., t. II. pag. 1074, dicendo: Babes portion pisanum prope Liburni castellum: scilicet olim Arnus illic suas exonerabat aquas , ejusque fluminis fauces porlum pisanum efformabant. Ex quo Genuenses locum attrivere et Pisanus populus Arnum coeyit breviore via ad mare descen- dere , portus ille cessavit , si mostro poco preciso facendo il porto pisano for- mato dalla foce dell’ Arno; mentre molto meglio si sarebbe apposto asserendo essere stata la foce dell’ Arno non molto distanle dal porto pisano. di presente e l’antica fortezza di Livorno. Cola il littorale proiettandosi sul mare, aggiungeasi alia penisola da quella antica difesa del porto etrusco costituita. Ruderi di torri a pietre quadrate, quad dagli antichi Toscani fabbricavansi, giacciono sparsi su tutto questo tratto di littorale, ed avvalorano 1’ emessa sentenza. Da esse la Triturrita avea do- vuto ricevere il nome anco innanzi quel tempo in cui videla Rutilio, tutta adorna di monumenti e di cospicui edifizi. L’ ingresso del porto restaci adun- que indicato da questi avanzi di torri, e puossi determinare a circa seicento braccia dal Marzocco verso Pisa, e quattromila dall’attual porto di Li- vorno. La strada che dal castello di Turrita con- duceva a Pisa non potea oltrcpassare in lunghezza le otto o nove miglia, tenendo una via meno obli- qua di quello che per l’attuale si faccia. Costeg- giando essa il littorale giungeva sino alia foce del- l'Amo, il cui corso, stando al parere dei piu, era volto verso ponente, facendo angolo dopo aver passato d’ un miglio san Piero in Grado; si che continuava da tramontana a ponente sboccando in mare in faccia a libeccio. Da questo antico corso dove coll’ andar del tempo gradatamente deviare attesi i colmamenti di sabbia, cagionati dalla posh zione medesima della sua foce, ed il rialzamento del suo alveo. L’ antico letto, rimasto palustre per lungo tempo, fu poi coperto dalle piante boschive, ed i successivi interramenti ne dileguarono ogni vestigio; pero ch’ei corresse neir accennata dire- zione, prossimamente passando pel luogo denomi- nate Stagno , abbiam documento in una carta ap- partenente ai Codici Strozziani, nella quale e scritto sotto la data dell’ anno 983: terra sitco ad ripam Ami , in loco ubi dicitur Stagno. Que’ continui in- TOMO I. 14 ^4 ) 106 terramenti allontanarono ognor piu Pisa dal suo porto, e vennero a restringere per tal modo la foce dell’ Arno da alterarne gia sensibilmente la primi- tiva situazione anco innanzi ai tempi repubblicani; da cio debbesi inferire che se al secolo decimo quella foce era atta a dar ricovero ad assai con- siderabili navigli, infinitamente di piu esserlo doveva in epoche anteriori (1). L’antica Turrita pertanto, situata alia parte au- strale del porto (2), era sotto i Romani residenza d’un tribuno e quasi luogo di delizie per le ric- che famiglie romane. E se, stando sempre al senti- mento di chi la pose ov’ e di presente la vecchia fortezza di Livorno, volessimo accordar questa opi- nione con quella d’ altri che la congetturo situata nel luogo gia noto sotto la denominazione di fonte san Stefano , ed ora con quella del Lupo, c forza supporre ch’ ella, dilungandosi su yasto spazio di (1) Della prossimita di Pisa al mare, maggiore ne’ tempi etruschi e ro- mani che ne’ repubblicani, fan testimonianza Lucano ( Phars . lib. 11. v, 401) il quale di Pisa favelld come di citla situata sul mare: « Hinc Tyrrhena vado frangentes aequora Pisae , e V Itinerarium Portuum vel positionum navium d’anonimo, unito all’ Itine- rarium provinciarum Antonini Augnsti; Venezia 1518, ediz. Aidina, p. 183, che pone A Portu Pisano , Pisis fluvius millia passuum 8. — A Vadis Portui Pisano m. p. 18: nell’ ediz. di Goderf. 1512, a c. 87- — A Portu Pisis fluvius plus minus millia 8. (2) Cosi penso il Tempesti. II Targioni suppone la Turrita etrusca e romana non dovesse essere il castello che ne’ bassi tempi difendeva il porto pisano, e la immagina situata al di la della fonte di san Stefano, presso il luogo detto la Paduletta. Nella Tavola Peulingeriana, prosegue il dotto pro- fessore, essa e segnata sopra una strada militare che da Vada conduceva a Pisa (quella che altualmenle, lungo la riva del mare, passando per Torre del Romilo e Montenero, porta a Livorno, e di la protendevasi a Pisa). — Nel- 1’antica Corografia dell’ Italia data dal Cluverio trovasene indicala la stazione nel luogo detto il Capannone : Ad ipsum Ami ostium pisanus fait portus apud vicum vulgo il Capannone , juxta quem fuit Turrita sive Triturrita villa. Altri la pone a san Pietro in Grado, altri in altri luoghi, secondo che lor detta la fantasia o la ricevuta opinione. 0 / 107 pacse, formasse non un piccolo cumulo di edifizi, > ma sibbcne un vastissimo e popoloso castello. Presso Triturrita fu detto esistcre il celebrato tempio d’Ercole... e qui la confusione c 1’ incer- tczza delle different! ipotesi inspessiscono per mo- do, da sopraffare ed incutere spavento al piu baldo. Par null’ ostante, per non venir meno all’ assunto che ci togliemmo, procederemo ordinatamente e guardinghi dentro Y inestricabile laberinto. Le prin- cipal! ipotesi s’appoggiano sulle parole di Tolorneo e su quelle dell’ Itinerario Antonino, le piu antiche clfe di esso faccian mcnzione; ma chiaro appari- sce a chiunque si ponga ad esaminare il senso di esse, come il geografo greco collocasse quel tem- pio non gia sulle spiagge di Livorno, ma sivvero vicino a quella ove attualmente e Yiareggio, tra il promontorio della Luna e la foce dell’ Arno verso levante, ed il romano lo indicasse siccome esistente lungo la strada militare di Emilio Scauro tra Yada e Pisa (1), ove furono trovati monumenti bastevoli a comprovare essere quella stazione su la mede- sima linea, e percio di parecchie migiia discosta dal porto pisano (2). A cio non consente il Targioni; e con citazioni le quali sarebbero di non ambigua autorita se in diritto senso adoperate, ei fortilica il suo opinare, il quale in conclusione ha per iscopo l’addimo- (1) Ilinerarium Provinciarum Antonini Augusti : Vadis Volaterranis (da Volterra) millia passuum 22, ad Herculem m. p. 11 , Pisae m. p , 12. (2) Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana , vol. 11. p. 718. 11 Targioni, per logliere P ultima affacciata difiScolla, immagino che un ramo della ramrnenlala via Aurelia si dipartisse, dal ponte della Fine, e di cola passando per le Parrane menasse a Livorno e ad Herculem; ma il Tem- pest!, coritraddicendo a questa ipotesi e mostrandone 1’ insussistenza, crede preferibile F atlenersi lilleralmente all’ Itinerario, non trovando ostacolo ad ammeltere la possibile distanza di dodici migiia, come sta in esso segnato, Ira il tempio d’ Ercole e Pisa. — ^ 108 strare il tempio d’ Ercole esistito nell’ estremo lern- bo della spiaggia marina (1), laddove dappoi il norrie di Labrone , sappostogli dal promontorio sul quale si erigeva, conservossi nel subborgo in epoche po- steriori attenente al Porto Pisano ( Liburnum, da Labronern ) (2), e nell’ emissario del Calambro - (1) Vuole il Targioni che cola lo abbian collocato Sanson nella carla d’ Italia antica e 1’ Anonimo Ravennale ( Guidone prele di Ravenna ) scrittore dell’ VIII secolo. Paolo Giovio, facendo menzione della flotta francese coman - data dal Doria, dice : Exinde ab infami littore Sardiniae descendentes , Liburni portum tenuere , quern antiquitus Ciceroni Labronern fuisse constat hodieque apud incolas priscum id nomen retinet , lib. XXVI*, e parlando del viaggio di Francesco Ferruccio, comrnissario della Repubblica fiorentina in Volterra, s’ esprime ne’ seguenti termini: Caploque ilinere secundum Caecinam amnem ad vada Volaterrana descendit , atque inde per Liburnum , antiquae Labronae Turrilum oppidum , Pisas contendit y Ma e chiaro non esser qui alcuna men- zione di tempio. Del silenzio di Rulilio su questo tempio, ch’ei certoavria dovuto vedere se fosse surto sulla piaggia marina, si consola il Targioni sottilmente argo- mentando da cio, dover questi essere a tal* epoca distrutlo gia da parecchi anni; imperocche molto innanzi il quinto secolo in quella parte d’ Etruria do- minava esclusivamente il Cristianesimo, a tale che nelle isole piu prossimane erano stabiliti ordini inonastici, Sui quali il pagano delie Gallie non tralascia di sfogar la sua bile: « Processu pelagi iam se Capraria tollit, « Squalet lucifugis insula plena viris. « Ipsi se monachos Graio cognomine dicunt « Quod soli nullo vivere teste volunt. « Munera fortunae metuunt, dum damna verentur: « Quis nam sponte miser, ne miser esse queal? « Quaenam perversi rabies tarn stulta cerebri? « Dum mala formides, nec bona posse pati ». Rutilio Numaziano , lib, I. v. 439—48, (2) II Cluverio per primo asseri esser Livorno in quel luogo ove negli Itinerari nntichi trovasi designato : ad Herculem aut Labro Fanum , et Porlus Herculis Labronis vel Liburni ( Hal . Anliq. t. 1. p. 268), e cosi dicendo pose una lal confusione tra tutti cotesti nomi, che coloro i quali lo seguirono, e Ira essi quei che di Pisa piu esplicitamente parlarono, il Chimentelli ( De honore Bisellii p. 230); Leandro Alberti, Descrizione delV Italia p. 37; il Coc- chi, Trattato de ’ Bagni di Pisa p. 12, francamente ripeterono Ja inesatta dcnominazione di Ercole Labrone , — Se per Labrone poi debbasi intender porto pisano o siwero Livorno od altro scalo diverso dal porto di Pisa, ma pur scmpre sul littorale toscano, e questione a cui V oscurita de’ pochi ^&!^DQks\/\- 109 ne (1). Tenne il Tempesti una conciliatrice opinione, e voile a sua posta inalzare il tempio d’ Ercole sulle alture del monte maggiore presso la marina, la ove questi divideasi dall’altro poggio detto Cor - bulone (2). Ritornando al porto pisano concluderemo con poche osservazioni forniteci dal pretore poeta. Ma- ravigliosa, a dir suo, era 1’ abbondanza di alghe di che quell’ ampio seno si ricopriva, offrendo cosi ai navigli maggior sicurezza col rattenere tra i loro avviluppamenti le ondate (3): e di tanta quantita documenti tramandatine dai Romani non ci permetle dar adeguata risposta. Il Targioni distingue nel seno pisano Ire luoghi diversi: Livorno ( Liburni , Labro , Liburna ), Trilurrita e Porto Pisano , notando come Cicerone a Quin- zio fratcl suo impiegato in Sardegna, indirizzandogli un tal Luceio, scrivesse: Erat autem iturus ( Sardiniam ) ut aiebat ad nr idus aprilis at aut Labrone aut Pisis conscenderet , lib. II, epist. 6. — A spiegare il qual passo fa d’uopo seguir, non volendo, P opinione del Targioni, significarvisi la foce dell’ Arno e Porto Pisano, ovvero andare in traccia di quel Labrone siccome fa il Re- petti dietro P opinione del Cocchi (op. cit. nota 11), sin alia bocca della Bruna ( Brona ) indicata sull’ Itinerario d’Antonino, e sulla Tavola Teodosiana col nome di Salebrona, ed ora insieme con altri confluenti foce della Humana e porto di Castiglione della Pescaia. (1) Calambrone suona Cala di Labrone . Questo emissario fu scavato sotto i Medici, innanzi laqual’epoca le acque dei fossi (ITgione, Cigna ec,) che per i ponti di Stagno e per la Paduletta fuori delie rnura settentrionali di Livorno in mare si dirigono, univansi colie onde del seno pisano, i cui flutti giungendo fmo al loro sbocco, gran parte del tratto percorso dal Ca- lambrone ricopriva. (2) II sovraccitato scrittore ne indicd la situazione presso a poco nel posto medesimo in cui, correndo l’anno 1693, venne erelto il monastero, da parecchi anni soppresso, di Valle Benedetta. In appoggio al di lui avvjso cila un istrumento di vendita del 1231, ove son le parole strata de Porto Pisano usque alle muracce de Fano Ercule. Le quali valgon per esso ad indicare es- sere il tempio esistito nel luogo anzidetto, ed ivi presso trovarsi anticamenle una strada selciata conducente al porto. — Il Morrona, Pisa illustrata , vol. 3. p. 533, credette ravvisar frammenti architeltonici di quella fabbrica, pur tut- tavia da alcuni moderni scrittori considerata qual parto di riscaldata immagi- nazione, in molti ornament! della chiesa di san Pietro in Grado. (3) « Sed procera suo praelexitur alga profundo « Molliter offensae non nocitura rati: 110 rinvenne i segni anco il Targioni in varie escava- zioni da esso fattc eseguire sni posto ove il porto erasi esteso nell’ epcche sue piu remote (1). Prima d’ entrare nella baia che formavalo, Rutilio ebbe a notare il nudo lido, il quale, privo di scogli e di ripari, lasciava libero campo all’ imperversare dei venti d’austro (2). Pero se ivi trovar non era dato alle navi sicuro ricovero, uno comodissimo cd am- pio ne offriva loro la stazione presso il porto si- tuata, e della quale non manca Rutilio di porger ragguaglio (3). A cotesta specie di darsena appro- dati i viaggiatori, solevano di cola portarsi a Pisa per la via di terra; il quale uso non esclude per altro l’esistenza di un ampio ingresso all’ imboc- catura del flume, ne quella d ? altra piccola stazione appie dell’antico arsenale, e formata dal confluente dell’Arno e del Serchio (4). A queste poche ed incomplete notizie limitasi quanto n’e dato conoscere intorno all’ antico porto dei Pisani, ed agli ediflzi contigui quando la repub- blica di Roma vi dominava sovrana. Ne e da spe- « El lamen insanas cedendo inlerligat undas, « Nec sinit ex alto grande volumen agi ». (. Rutil . lib. I. v . 537). (1) Apple della ripa ove finiscc il piano di Livorno « alia profondita di poche btaccia fu Irovata immensa quantila d’ alga ridolta quasi in Icrriccio, che non lascia piu luogo di dubilare che avesse gia la sua sede nel fondo del porto ». (Targioni, op. cit. vol II. pag, 39 1 ) . (2) I versi a cio relativi furono da noi citali alia pag. 55. ( 3 ) (4) « Tenapora navigii clarus reparaverat Eurus... « Puppibus ergo meis fida in statione local is « Ipse vehor Pisas qua solet ire pedes •», (Rutil. lib. I. v. 54 1), « Conum pyramidis coeuntia flumina ducunt « fnlratur rnodico frons palefacta solo. Sed proprium retinet comuni in gurgitc nomen, « Et ponlum solus scilicet Arnus adit ». (Idem ibid. v. 567). cpyv- - /wX? 111 rare che coll’andar clegli anni possa di viepiu va- lida luce rischiararsi il tema per noi trattato; im- perocche il tempo e la mano degli uomini si affa- ticarono a tutta possa sulle pocbe vestigia per le quali fosse concesso all’ investigator coscienzioso rintracciare li antichissimi tempi di Pisa, senza va- gar pe’ capi della fantasia. Facendo tesoro di quanto ne fu tramandato su cotale argomento da tutti che ci precedettero, dovemmo frequentemente sdegnarei contro la vandalica mania che de’ piu vetusti mo- numenti e delle patrie memorie ne fa scemi, insa- namente demolendo e sfregiando. Si fu per la di- spersione di queste che, fatti inabili a pronunziar di per noi un giudizio libero e proprio, dovemmo timidamente star paghi a ripetere le altrui parole, scevrando da queste le piu ipotetiche e mal certe, delle quali pur troppo non e penuria. Anno 4i7 . — Grandi cambiamenti nelle leggi municipali presentansi sotto il governo d’ Adriano, principe che al piu umano ed al piu illuminato Traiario per lungo novero d’ anni nell’impero suc- cesses avvicendando atti pii e virtuosi a’ piu cru- deli e nefandi. Di questo nuovo ordinamento legi- slative, il quale si mantenne in vigore insino al quarto secolo dell’ Era Volgare, e d’ uopo far cenno siccome quello che di non poco influi sui futuri destini delle provincie e dei municipi pe’considera- bili mutamenti stabilitivi. Il poter dei Comuni fu per volere di Adriano ristretto piu che sin allora da qualunque de’ suoi antecessori fatto si fosse, imperocche magistrature e cariche di propria invenzione ando egii da per tutto introducendo. E’ nomino quattro Consolari aventi in cura le otto maggiori provincie d’ltalia (1): (l) Venezia ed Istria. Emilia. Liguria. Flaminia e Piceno. Toscana ed Umbria. Piceno suburbano. Campania. Sicilia. 112 le altre minori affido a Correttori od a Presidi (1). Abbenche ci sia tolto il precisar li uffici di costoro, sembra che avesser potere di sopravveglianza ed assunto di bon regolare le nmnicipali amministra- zioni; li abusi gia introdotti da ingordi e venali magistrati estirpando, e col giudicare e per fine alle contesc tra citta e citta ed alle fazioni divi- denti in piu una citta sola, tentar di ristabilire la pace e la tranquillita ne’ territorii. Muniti di tali facolta, questi nuovi amministratori venivano a ri~ durre sempre piu alia forma aristocratica il go- verno municipale; e cio forza e che avvenga sem- pre cola dove non il popolo si sceglie i suoi ma- gistrati, ma dal consiglio imperiale sono essi eletti fra i ben affetti suoi ministri, ed a somme stabilite ne vien limitata la giurisdizione. Elementi stranieri congiunti a questo potere molesto alia liberta de J municipi, ed alia spenta am- bizione di cittadinanza romana, faceano omai si che amor della patria e rispetto di consuetudini fosser divenuti nomi di ombre. La potenza de’nuovi regolatori sarebbe quindi riuscita profittevole a te- ller saldo un edificio tendente a totale disfacimento, se T abuso, in che facilmente trascende chiunque ha per legge il proprio arbitrio, non avesse dato alia superstite indipendenza municipale un crollo supremo. Quindi intolleranze in alcnni di giogo servile, e congiure mal basate di pochi piu presto spente nel sangue che appieno conscie ad esse me- desime, tradimenti e spionaggi in altri col nome di devozione alia pubblica sicurezza, timore e basse mire in ognnno, infiacchimento del corpo sociale e dissoluzione per tutto. 111 PYattanto una nuova potenza ergea rigogliosa- raente la testa, e da strisciante rettile trasforma- yasi in idra tremenda — i pretoriani — insolente railizia isti tuita clalla codardia d’ Augusto. Giunse essa a tal punto d’ insuborclinazione e di licenza negli ultimi tempi del rornano dominio, che dei carnefici del popolo — gi’ imperatori — si fece essa medesima imperatrice e carnefice. In cotesta epoca il di lei prefetto s’ ebbe in mano V intero ^overno dello Stato, ne mal gli fa data da un istorico (1) moderno il nome di gran visir dell’impero; imperoc- chc questo impero mal non sarebbesi assimigliato al dispotismo senza freno degli asiatici tiranni. E come il reggimento degl’ imperatori cadesse nel potere assoluto ne fan fede i diritti lor confe- riti, che alia volonta di essi davan forza di leg- ge (2). La sovranita del popolo, com’ e sempre di (1) Bolta, Histoire des peuples d ’ Italie , t. I. Introd. (2) Constitute principis est quod imperator decreto , vel edicto y vel epi- stola constituit ; nec unquam dubitalum est quin id legis vicem obtineat , cum ipse imperator per legem imperium accipiat. Cosi Caio ne’suoi Istituli desti - nati all’ insegnamento del diritto, ed i quali, cominciati sotto Antonino, firiiti sotto Marco Aurelio, dcttero fondamenlo a quei di Giustiniano. Essi furono scoperti da Niehbur a Verona nel 1816, e pubblicati nel 1820. (Vedi Cesare Cantu, Storia Univers. vol. 5. cap. XIV). I fondamenti primi della legisla- zione romana furono, oltre al Ic leggi delle XII tavole ed agli antichi senato- consulti, le leggi e gli editti\ quelle erano il resultato delle risoluzioni prese dai patrizi e plebe dietro istanza di un superior magistrato, o dai co- mizi in centurie per rogazione di un magistrato plebeo, e furon dette pie- bisciti ; questi veniano cmanati da* pretori e dagli edili. Dappoi li atti de- gl 7 imperatori ebbero forza di legge, e questi o introduceano nuovi diritti, ed eran detti mandata edicta ; o non erano che applicazioni e schiarimenti al gia esistenlc, e diceansi rescripta , decreta , epistolae , interlocutiones : i migliori giuseconsulti compilavano rescrilti e decreti. Cosi crescendo a dismisura le leggi, fuvvi mestieri d’ Un ordinamento. Ofilio ai tempi di Cicerone fu il primo, Salvio Giuliano sotto Adriano fu il secondo, e la sua compilazione ordinata dall’ imperalore, approvata dal senato, seguita da’ quattro giuridici da esso dati all’ Italia, fu dappoi inserita nelle Pandette. ( V. Varnkoenig, Histoire externe du droit romain. Hugo, Storia del diritto romano fino a Giustiniano , De Savjgny, Storia del diritto romano. TOMO I. 15 5pyv- 114 tanti altri suoi diritti, riducevasi in fumo; e la ma- gniflcata preponderanza del senato si ristrinse a decretare onori divini alle adultere imperial!, apo- teosi ai tiranni, nuovi nurni a ravvivare la spenta fede delP incredula Roma. A tale stremo di civile dipendenza videsi ri- dotto l’impero principalmente sotto Adriano; peroc- che da lui ebbe origine il consiglio del principe, anima dello Stato, da cui siccome suprema corte d’appello emanavano decreti sotto la presidenza delPimperatore; da lui vidersi create nuove cari- che di palazzo per cui il maneggio dello Stato di- venia segreto d’ anticamera; istituito Pavvocato del fisco interveniente ad ogni causa interessante il re- gio erario; istituiti segretari e referendari di corte nelle persone de’ cavalieri; stabilito un codice per- petuo norma a’vegnenti dominatori, per prender coraggio — se di tali incoraggiamenti a chi impera facesse bisogno — , ad allargar Pingegno ad ogni ampla novita stringendo in fascio patrizi, senator! e plebe, e le volonta degli uni ponendo in urto colle volonta degli altri, le proprie far quelle di tutto lo Stato. Dal gia detto apparisce come del danno deri* vato alia Italia pe’ nuovi provvedimenti legislativi piu che ad Adriano debbasene dar colpa al latente dissolvimento sociale a cui gia da gran tempo era dato si irresistibile impulso, da esser ormai impos- sibile all’ impero ristarsi sulla via della estrema ruina, quando anco P impero sel fosse veduta dap- presso. Menle provvidenziale e cor giusto mostro pertanto il successore di Traiano colle colonie fon* date od accresciute, nelle citta erette o ristabilite, ne’monumenti per tutto con profusione moltipli- cati. La sua saviezza ei mostro ne’viaggi, non per ostentazione c con grandi spese eseguiti, ma per : reale vantaggio de’popoli soggetti, framezzo i quali ad acquistar nuovi lumi sal civile ordinamento delle nazioni si piacque assidersi disimpegnando le cariche dei magistrati del luogo; si die ei fa ar- conte in Atene, pretore in Toscana, ditlatore, edile e dnumviro nelle citta del Lazio, demarco (4) in Napoli, quinquennale in Italica sua patria, nella Spagna, ed in Adria citta dei snoi maggiori (2). Altri monumenti di sapienza e di prudente con- siglio ei lascio nella compilazione dell ' edilto perpe- tuo, collezione delle leggi rnigliori, fonte del di- ritto romano fino alia rifornia Teodosiana, e base delle Pandette. Rifulsero la saa pieta ed il bell’ani- mo nella proibizione d’ uecider gli schiavi, nella abolizione degli ergastoli nelle case private, nel condonare tutti i debiti che da sedici anni in Ita- lia e fuori aveano i privati cittadini coll’ erario reale, regalo di ventidue milioni e mezzo di scudi d’ oro. — Pero durante li ultimi anni d’ impero le crudelta, le superstizioni, i vizi ne soperchiarono le virtu e fecero maledire al suo nome. Ordino uc- cisioni inopportune: sperse i Giudei: perseguito aspramente i Cristiani, i quali pero, non piu ascosi nelle catacornbe e negli antri, gridavano ai loro op- pressor! : « Quando il principe preferisce alia verita 1’ opinione, e’non ha potenza maggiore del ladrone nel deserto » (3). Tal fiata riste, pentito, dai mar- tirii, e penso erigere un tempio al Cristo; se non che li oracoli degli Dei strepitarono con tal vee- menza, che gli fu forza cambiar consiglio. Anno il8. — Adriano, secondo le notizie por- teci dal Roncioni, fu il secondo imperatore romano A zjjloi; pKOizo; capo del popolo, V, Tillemonl, Memoires des Empereurs. D'one Cassio li Sparziano in vita Badriani , Lebeau e Crevier, Gibbon etc. (3) Giustino, Apol.ad Anton. I. §. 2. che di sua presenza degnasse Pisa: Nerone es- sendo suo avviso doversi considerare pel primo (1). s Yuole il cronista che Adriano quivi fabbricasse un palazzo, un anfiteatro, e le Terme; moli ch’ ei dice esserc esistite fuori della porta del Leone, fa- cendone fede le medaglie ed i marmi che per quelle parti furono in copia rinvenuti. Erigevansi li edi- tizi Adriani presso a poco sul termine dell’ attuale via Santa Maria, sull’ area occupata dalla Catte- drale, nell’ interno della quale trovaron posto sei colonne scannellate che avean dovuto abbellire, se- condo 1’ opinione del cronista pisano, il portico delle Terme. Anno 138 . — Italia sotto li Antonini ebbe tran- quillity prosperosa, pacifica industria, accrescimento d’ arti e manifatture, abbenche le arti d’ intelletto cadessero nel triviale, nel goffo, nell’esagerato — vizi d’ eta corrotte. — I lunghi anni di pace, che sotto cotali principi le fu dato trascorrere, vennero ad intervalli molestati soltanto dai flagelli della pesti- lenza e dai massacri ancor sofferti de’ cristiani — quelli pero mitigati dai provvedimenti e dalle liberalita degli umani imperanti, questi l’allentati ogni di e non piu protetti dal sovrano. — Anto- nino (138-160) regnaiido da giusto, beneticando i suoi sudditi, rendendo a floridita ed a ricchezza le provincie italiane, ben merito che al proprio nome quello sino allora inusitato di Pio andasse unito senza che ne movessero scherno i presenti, ne 1’ eta venture gliel ritogliessero. (1) Storie Pisane ms. vol . I. in princ — Il Roncioni suppone che i censi e Iribuli dell’occidente dell’ impero si portassero tutti a Pisa. Il medesimo slo* rico aggiunge come Nerone per la seconda volla torpasse a Pisa nell’ anno 68 > di Cristo, dopo l’incendio di Roma; ed allora ordinasse la morte di san Torpe, i il quale « fu baltezzato (cosi il inanoscritlo) a pie de’ monti pisani da un ere- mita a una fonte, la cui acqua ha la virlu di far tornare il latte alle donne ». 117 II successore di lui Marco Aurelio (161-179) con nuovo esempio dividendo l’impero col fratel suo Lucio Vero, cerco non iscemare il ben essere delle sue provincie e si adopro a porre argine ai morbi che terribilmente v’ infierivano. Parco di morte, forse pero non fu estraneo a quella del fratel suo dissoluto. Con se stesso rigoroso, forse nol fu troppo con chi gli stava d’ attorno; ma l’indulgen- za , se riprovevole in altri quando 6 soverchia, e virtu nei principi, e delle piu rare. Anni 480-284. — Se li ottantaquattro anni tra- scorsi dalla morte di Nerone a quella di Marco Aurelio eostituirono l’epoca la piu felice per l’uma- nita, i centoquatfcro (1) che si contano dalla ele- vazione di Commodo a quella di Diocleziano ne segnarono la piu infausta. Durante questa mise- randa epoca fatti inauditi preser posto nella isto- ria, tali da farci domandar maravigliati non come si presto cadesse V impero, ma come tanto potesse durare. Vidersi imperatori assunti alia porpora ed uccisi pochi di appresso perche, troppo amanti di virtu e temperanza, sdegnarono immergersi nel lezzo delle nefandita romane (Elvio Pertinace). Vidersi porre all’ asta V impero e la imperatoria dignita dagl’ imbaldanziti pretoriani e venderli al maggior offerente, per poi scannar questo dopo sessantasei giorni di turpitudini (Didio Giuliano). Trenta tiranni salirono sul trono con breve intervallo, tutti con- taminati 1’ uno del sangue dell’ altro — e fosse stato quello il solo sangue!.... — padroni della vita dei sudditi, e liberalmente valendosi di questo diritto, essi poi alia lor volta dovettero riconoscere una possanza superiore e dispotica — la soldatesca omai infrenabile — nel modo medesimo che innanzi (stra- ti) Dal 17 marzo ISO al 29 agoslo 284. 118 na cosa, e pur vera!) i tiranni del mondo avean tremato della plebe (1). Pero mentre correva per la societa del genti- lesimo 1’ eta finale, per la cristiana correa il seeolo dell’ eroismo. Uccisi a tal numero che una sola toniba talvolta ne accoglieva migliaia (2), dannati a strazi la cui menzione fa inorridire (3), i Cristiani serbavano tra gli strazi e le agonie tale una co- stanza ed una pieta, tanta una abnegazione e una fraterna amorevolezza, che i Romani medesimi, scossi all’ aspetto di cotali virtu, ignorate da’ loro Dii e benedette dal loro culto, a poco a poco ne disertarono i simulacri a tale che i compratori mancarono allc vittime (4); e stanchi delle orgie dei sacri lupanari, della caterva degli dei affolla- tisi in Roma da tutto il mondo, stanchi dei maghi dell’ oriente e delle streghe della Grccia (5), scam- biata la gloria dell’uccidere in quella del patire, 1’ imprecare alia terra ed al cielo dello scettico nella preghiera del credente rassegnato, cercarono scampo ai mali onde erano oppressi in un culto d’ amore che distoglie gli sguardi dalle umane soz- zure e li fissa al cielo in un’ aspirazione, in un voto. (1) Nerone, assiso ai lascivi banchetti Ira Poppea ed il cineda Paride, ode il grido della plebaglia in lumulto e s' alza; e, composto il viso a umilta, le getla il tovagliuolo per accennarle che il divo figlio di Giove s’ affrelta a sodisfarla. Aureliano, scrivendo al prefello dell’ annona, raccomandasi soprat- lutto di far satolla la plebe: Ncque enim populo romano saturo quidquam po- test esse laetius. (2) Aringhi, Roma subterranea, Visconti, Memorie romane d,' anlichita. (3) Dopo efferate torture ungeansi i pazienti di miele ed esponeansi al sole perche le mosche li consumassero : allri avvolti in pelli d’animali get- lavansi ai cani: altri coperti di catrame, Nerone li facea accendere e se ne servla la sera per fanali ne’ suoi volultaosi giardini (Tacilo, Annali lib. XV. c. 44). II rogo, le caldaie e soprallutto il circo, erano supplizi d’ogni giorno. (4) Luciano in Alexand. 25. (5) Festo ad voc. Strigas. Strigas , ut ait Verrius , Graeci arp/yya<; ap- pellant quod maleficis mulieribus nomen inditum est. 119 in una fidanza infallibili. — Cosi lc dieci persecu- zioni de’ Cr istiani saccedutesi in questo secolo fu- rono altrettanti luminosi trionfl della fede. Dimen- tico od esecrato il norne dei carnefici, vivo alle be- nedizioni rimasc quel delle vittime : la dove sor- gevano i roghi i patiboli sorsero templi ed altari ad ammaestrare i posteri come la verita nei com- battimenti si afforza e si distende : simile al raggio del sole che cadendo nell’Oceano non vi si spenge, ma T acque stesse riempie di se e ne fa quasi un oceano di luce. Viemaggiormente, nel periodo da noi discorso, citta e provincie s’affamavano, si diserlavano. Non agricoltura in esse, creatrice di ricchezze; non in- dustria che queste tramuta, non commercio che le diffonde (1). Le campagne insalvatichite divenian preda del fisco o de’ ricchi, i quali se ne impingua- vano in modo da possedere intere provincie; for- mando cosi immensi latifondi, ruina antica d’ Ita- lia (2). Per tutto uno sgomento, una desolazione spaventosa, che sembrava pesasse sulle genti d’ Ita- lia colla forza d’ una maledizione divina. Vidersi in quelli anni disastrosi intere famiglie d’italianile quali, rinunziando all’omai vano e dispregiato dritto di cittadinanza romana, sciamarono per altro cielo e prescelsero d’abitare tra i goti ed i vandali... Ed eccoci omai a questo estremo flagello dell’ im- pero. Provenivano quelli dal Caucaso fin dalla piu remota antichita, e di la eransi disparsi ad infe- star l’Asia e l’Europa: muovevan questi dalle rive del flume Ural; e dal centro dell’ Asia, traversata per tutta la sua lunghezza l’Europa, si portarono (1) Canlu, Storia univ. Epoca VI, cap . XV * — Bossi, Storia d' Italia vol. VIII-X (2) Latifundia perdidere Italiam. Plinio, Storia Nai % c, XVIII. 120 sino su i lidi Siculi e Campanii (1). Gia sotto Do- miziano aveano costoro, noti sin qui col nome di Geti, forzato l’impero ad un tributo (150). Sotto Gallieno s’erano mostrati invasori formidabili, spin- gendosi fin sopra Roma (261). Ai tempi d’Aure- liano e’s’ebbe le sue truppe da loro sconfitte in Piacenza (271). Fortificata in appresso piu salda- mente la citta sacra e troncata la via al torrente barbarico presso Fano, al Metauro, a Pavia, 1’ im- prudente imperatore penso supplire alia scarsezza d’agricoltori nelle italiche terre mandandovi a coF tivarle i prigionieri delle estranee nazioni. Cosi scaldo F Italia nel seno (ne fu 1’ unica volta) la vi- pera che dovea piagarla a morte. Altri barbari poi vi sopraggiunsero eolle famiglie e gli armenti, ed il funesto esempio si rinnuovo di Costantino; men- tre allora ed innanzi assoldavansi goti, eruli, van- dali, alani a riempir le legioni, assumevansi alle piu alte dignita, e il sangue del settentrionale imbastar- diva quello della razza italiana. L 5 epoca del tre- mendo sconvolgimento soprastava: ed alia Italia per risurgere pure dal Paganesimo romano alia sociale unita del Cristianesimo occorreva passare, quasi via di espiazione, attraverso i secoli della barbaric. Anno 284. — * Nominammo Diocleziano. Sul suo impero fa d’ uopo arrestarci un istante, imperoc- che segno questo V epoca di grandi mutamenti nella costituzione dell’ impero — mutamenti ch’ esser non potevano che in peggio. — Fiaccata la preponde- ranza dei pretoriani surrogando a costoro nella custodia di Roma due legioni illiriche, dette dei Gioviani e degli Erculei, Diocleziano fe’ guerra fino ai nomi di tribuno, di console, di censore. Alla sem- plieita di principi meno ribaldi fe’ questo, non il piu (1) Troya, op. cit, t, I. Moise op. cit. t. I. Inlrod. cap. IX. i 121 ribaldo ma il piu alieno dal nome d’ Italia, succe- dere il fasto asiatico, e creati insoliti e nuovi uf- fici, in modo strabocchevole moltiplicate le cariche di presidi di vicari di maestri, ed anzi tutte quelle di ragionieri e riscuotitori de’tributi, la patria non sua, Italia, tratto come terren di conquista. La sede dell’impero erro da Roma in Milano, di la in Ra- venna, in Aquileia, nelle Gallic, sul Danubio, nel- l’Asia minore. Le arti decadevano a grand! passi, 1’ architettura soprattutto; arte resa grande sol da grandi nazioni. La letteratura, servile retrograda inetta, perdevasi nei tronfii ed abietti panegirici per gl’ imperatori, e nelle faticose futilita degli acro- stici: se non che una vigorosa e novella se ne impiantava tra le surgenti generazioni cristiane. Sotto tal governo, sino all’ antico significato del nome d’ Italia fu manomesso; — poiche divisala in diciassette regioni; retta ciascuna da un partico- lare governatore, 1’ Italia propriamente detta vollesi fosse costituita dalla Venezia, dalP Emilia, dalla Liguria, e porzioni del Piceno, della Flamina e della Toscana. — Sotto gl’ imperatori colleghi per quat- tro corti si moltiplicarono gli esempi d’ un fasto smodato, ed il numero de’ ministri del lusso e dei vizi insieme alle rniserie del popolo, maggiori sem- pre ove piu ferve la gara della pompa cortigia- nesca (1). (1) Diocleziano sentendosi scemare le forze per regolare 1’ impero abdied, e, volenleroso e spontaneo scendendo dalla pompa regale alia pace di privata splendidezza, visse nove anni rlspeliato dal popolo pel cui bene erasi deposto; e consultato da coloro cui avea rimesso il carico dell’ impero, «Coia esclamava, ora vivo, ora vedo la beliezza del sole ». E sollecilato da Mas- simiano suo antico collega a riassumer la porpora, « A cio non mi consiglie- resti, diceva, se lu vedessi i bei cavoli che di rnia mano ho piantati a Sa- lona ». E su i regnanti diceva « quanto spesso quatlro o cinque ministri si collegano insieme per ingannare il principc, al quale, separato dal reslo degli TOMO I. 16 122 Anno 307. — Galerio, uno fra cotestoro, mosso da libidine di regnar solo, scese in Italia e corse fin sotto Roma: pero non osando cingerla d’asse- dio, pose campo a Terni ( Inter amna ); e di la, pauroso di tradimenti, egli traditorc, rifece la via percorsa, ed in mezzo a saccheggi ed a stragi si rintano nella Pannonia, degno piu del titolo di la- drone e d’ assassino d’ Italia che d’augasto impe- rante. Pisa non dove esser compresa nel numero delle citta devastate; imperocche, per recarsi a Roma e tornarne, Galerio avea dovuto premier la via di Lombardia, della attual Romagna e delle Marche, giungendo sino a Terni. Anno 312. — Sol dopo questa lunga sequela di oppressori sanguinarii giungiamo a Costantino. II primo imperatorc che aborrendo far di se stesso un Dio in trorio, alio splendor di questo sollevo l’lirnilta della Croce. Narra Eusebio aver cio udito dalla bocca del- 1’ imperatorc medesimo, da lui battezzato, il quale scendendo in Italia, giunto a poca distanza da Roma seorse in mezzo all’esercito suo uno splendore a foggia di croce, con dentro le parole : Per questo segno vincerai (1). Tale e l’origine della sua con- versione alia fede del Cristo. Forse e’spero con essa dar nuovo impulso alio Stato ; ma istituzione uomfni, rara o mai giunge !a verila, e ad esso lullo cfo ch’essi vogliorfo san far volcrc. Non potendo veder le cose co’ propri occhi erode di operar savia- menle stando sulla fede di molti che gli altcstano la medesima cosa, E intanlo nulla egli vede, ne sa la verila; egli e inganualo e venduto, conferisce le ca riche a viziosi o inelti, Irascura i meritevoli, e, abbenche savin, resla pieda della corruttela de’ suoi corligiani ». Aurelio Victor in epilome. — Vopisco in vita Aurel. (1) Txvty\ vnd<;. Percio Costantino ordino che d’ allora irmanzi, in- vece de’simulacri degli Dei procedesse le armate uno slendardo, cui fu daln il nome di Labaro, col monogramma di Cristo ~tj\ ■ m 123 del fondatore del Oristianesimo non fu il carnbiare la faccia d’ un regno, sibbene quella di tutta Fuma- nita. Percio non valse a Costantino far argine della novella dottrina alle antiche credenze, e V edifizio della sua mente, come tutta umana opera, crollo e si converse in nulla, o piuttosto d’ assai peggioro le condizioni dell’ impero, poiche la divisione fat- tane apri irremissibilmente le vie d’ Italia a tuttc barbare nazioni. Anno 330. — Fu Costantino, in confronto dci caduti despoti, probo uomo ed amante di virtu. Ma non pochi de’ suoi ordinamenti ne onorarono sotto parecchi aspetti, piu che la mente, il cuore. Posta la sede d’ un nuovo impero a Bisanzio, ei diserto le antiche sedi di quello dietro traendosi il solito codazzo di magnati e di satelliti potenti per oro e per grado, e con questi schiavi, ricchezze, masserizie, e percio quanto restava all’ Italia di col- tivatori, di industriosi, di trafficanti. Le braccia straniere venivanle rilasciate in vece degli schiavi affrancati i quali raccoltisi in turbe vagabonde, in- solenti, mendiche, sdegnavano inchinarsi al lavoro traendo alimento dalle liberalita de’ ministri e dei ricchi convertiti a penitenza. Concussioni de 1 pub- blici funzionari non piu frenate dalla vicina pre- senza del principe: inimicizie e fazioni pe’ diversi dogmi, ora inferite sotto auspicii diversi. Alla ca- lamity dei pretoriani sottomessi subentrata la quasi ugualc de’ vigili, novellamento istituiti. Discor- die e risse tra potesta civile e militare fatte per supremo comando indipendenti 1’ una dall’ altra (1). (1) Granvi due general! supremi: uno di cavalleria (inagister equitum ) , r allrodi fanteria ( magister peditum)-, ambi dipendevano da un generalissimo ( magister ulriusque militiae). Diviso V impero questa carica fu spartita in olto. I due stavano acquartierafi presso il Reno, il basso ed alto Danubio e r Eufrate, a far fronte alle invasion!. Ne dipendevano trentacinque coman- -A Ammutinamenti nolle corrotte e mal pagate milizie. y Irruzioni crescenti degli accaniti ed ora insultanti S nemici. Tntti questi mali in Italia. In sulle rive del Bosforo un altro Campidoglio, atenei. circlii, portici, acquedotti, con spoglie tratte dalle metropoli italiche — una nuova Roma col no- me di Costantino; • — il quale a far onta all’ antica era forse mosso, piu che dai dileggi, dai rimbrotti, dagli odii suscitatigli cola dalle sue innovazioni (i), dalla speranza di far barriera piu valida alle mi- naccianti invasioni dei barbari stanziati tra il Da- nubio ed il Tanai. i danti, duci (duces) c coTUi ( comites ) sparsi per Ie dioecsi e le prefetture. Le legioni non piu di seimila, ma di soli millecinquecento uomini si compone- vano, ed a riempirne Ie file occorse a Costantino assoldare 40,000 goti, for- manti una schiera delta dei fedcrali (agmcn foederatorum) d 1 onde poco stante uscirono i flagelli d’ Italia. (V- Moise, op. cit, t. I, c. V). (1) Le piu dinotate furono quesle: V abolizione degli speltacoli gladia- torii ; la proibizione agli aruspici d’esercilare il loro nriestiere nelle case par- ticolari; Posservanza della Domenica- minaccia di morle ai veterani, spogliali di beni se non asc.rivessero i loro figli alia milizia; proibizione ai giudei d’inquielar chi tra loro si converlisse al Crislianesimo, c pene a chi abbrac- ciasse il Giudaismo ; editti fulminanti conlro chi non pretideva moglie, e pri - vilegi decretati agli ammogliali; eniolle savissime e provvidenziali leggi emano Costantino, che non e nostro assunto lo cntnncrare. — V. Muratori, *4n- nali 315—337. Eusebio, Vita Constant. San Girolamo, Chronic. Zosimo, Hist. Temistio, Oration , Codin o, Origin. Constantin. mm3*. A I LEGGITORI Allorche la luce della storia e mula sui falti cli una citld , utile sembra svolgere le pagine della nazione o della provincia cut per qualche modo appartenne , onde negli andamenli di questa congeiturarc, se non iscorgere , gli andamenli di quella. Di tal massima io credo penetrato V onorevole signore Enrico Vallancoli Monlazio , a diradare , se pur si pud , il huio che involve Pisa Elrusca e Romana , varie cose d? Etruria e di Roma rapidamente discorse. II quaclro per lui cost dclineato termina con gli ultimi anni di quel Coslanlino, cui mold donano, contendon moliissimi il nome di Grande. Cerlo e che solto Coslantino la polenza ro- mana ne si presenla simile ad un insieme di grandiosi edificii, che sebbene in mille parti minaccianti rovina , nella forza del- V unions sostengonsi ancora — e della sua vasta ombra spaventa pur anco i nemici. 31a egli medesimo smembrando e dividends trai figli Vimpero, ne spezzo V ultimo punteUo , e gli fe’divo- rare la via di quel precipizio , per cui gid da gran tempo lo spingevcino i cangiati costumi dei popoli , P auloritd illimitata degP imperatori di rado buoni , tiranni spesso , infausti quasi semprc $ il peso dcgli anni, e quella legge d 9 incessante vicenda che tulle le create cose affatica. \s rVXDK /\/v ANNALI PIS A H I '< 0 * .wSSfii § BREVE RIASSUNTO DELLE COSE DISCORSE SIN QUI. L’ origine cli Pisa c incerta tra le tenebre dei secoli. Non manca chi la voglia Etrusca (4): i pin la vogliono Greca; ma di questi, altri da Nestorc dopo I’incendio di Troja (2), altri fondata da Pe- lope capo di una colonia di Pisii Alfei, c gia fio- rente la dicono sin da quando Deucalione trasse in Ausonia i suoi Pelasghi (3). Si aggiunge die Pe- lope si fabbricasse magnifica abitazione nella pre- positura di s. Tor pc alia porta di Parlascio (4); che i Pelopidi, lieti di terra si fertile ed amena, dietro I’ autorevole consiglio ed esempio del loro signore, edificii costruendo, assai nella cultura del suolo e moltissime cure spendendo nell’esercizio dellc armi, resero, in poco tempo, la nuova patria Florida e formidabile. Certo sembra che Pisa fosse potente, colta ed ormai Etrusca tre anni dopo la rovina di Troja, (1) Scrvio, Illustrazioni a Virgilio , lib, X, (2) Slrabone, Geografia lib. V. (3) Calorie, Frammento. Dionisio d’Alicarnasso, Slorie lib. XVIII Plinio Sloria Nalurala lib. V Solino e Zaccaria Liho, Brcviario Cronologico. (4) Cosi fu della pcrche probabilmenle v’ esisle in vicinanza un An fileatro quando Pisa fu colonia romana, ed e queila poila die si vede mu rala Ira san Torpe e I’allual porla a Lucca. A 128 ^ mentre al pio esule soccorreva con millc gu < guidati da Asila ai danni dci Rutuli: testimonianza s ne fa Yirgilio (Aeneid. lib. X) con quei pochi versi, ma che si misureranno colla eternita: Ma se il Mantovano, e con lui Tito Livio, Diodo- ro, il Biondo, il Sigonio, Winkelmann, Caylus, Guar- nacci, Micali, Muller, Michelet . . . pongono Pisa nel novero delle citta d’ Etruria, la nebbia che cuopre tutte I’ eta remote ci nasconde T epoca nella quale in potere degli antichi Toscani cadeva, e (cosa piu miseranda) cio che ella fu sotto di cssi, e cio che si fece. Solamente ci dicono in genere i piu rispet ^ tabili istorici che Pisa tra tutte 1’ Etrusche citta si distinse nelle arti belle (lo che attestano in lor muta eloquenza urne cinerarie, vasellami , idoletti in bronzo ed in rame trovati per yarii scavi nelFagro pisano (1)); e che su tutte primeggio per industria commerciale cd agricola e per imprese navali. Dei quali ultimi fatti abbiamo sufficiente ragione nella situazione geografica di Pisa, e nella corografia del di lei suolo. La prima e appena variata oggidi; molto diversa la seconda. Pisa era allora non divisa dall’Arno, ma ba- gnata al lati dalP Arno c dal Serchio, i quali rasen- tandola, sotto di essa si univano e formavano un corpo d’acque sufficienti a sostenere qualsiasi nave di quei giorni (2). Aveva il mare assai piu vicino; Tertius ille hominum, divumque interpres Asylas, Mille rapit densos acie atque liorrentibus hastis. Hos parere jubent Alpheae ab origine Pisae, Urbs Haetrusca solo, etc. Roncioni, Storia ms. pisana , lib I. Targioni, Viaggi in Toscana. (2j Strabone, Gsografia. Rut. Mum. Itinerario. (1) Morrona, Pisa illuslrata nelle arii del disegno. Canouico Rafi'aello 129 comodissimo un porto (1). Si aggiunga ora a que- sto la ubertosa pianura, le colline apriche, il dolce clima che natura largivale, ed intenderemo che non senza ragioni ci dicono luminosi i destini di Pisa ai tempi Etruschi. Forte gia di molti secoli, non diede Pisa forse pur un pensiero al nascimento di Roma. Ma questa figlia di Romolo parve in se avvcrare la favola di Pallade, che balzo gigante ed armata fuori della testa di Giove. Simile all’aquila che comincia ad agitarsi nel suo nido; poi sporge l’ali, quasi ten- tando l’aere; si solleva; ardisce provarsi al volo, e, sentendosi forte, lo spiega, ne rista finche tutto misurato non abbia lo spazio: la troviamo incerta prima ne’ suoi angusti confini; poi alle prese colie vicine genti; poi progressivamente nemica, vinci- trice, signora d’ Etruria, d’ Italia, del mondo. La perdita della seconda Deca di Tito Livio non ci lascia scuoprire in qual epoca precisa Pisa cadde sotto il potere del Lazio : pare che avvenisse verso l’anno 473 di Roma, quando tutta Etruria dovette soccombere domata dalle armi nemiche e piu dalla propr-ia mollezza. Ben e vero peraltro che fu poi trattata piu a modo di sorella che di schiava. Yi hanno molte ragioni di creder Pisa alleata dei Romani fino dall’anno 232 av. G. C., mentre da questa citta sciolse le vele Quinto Fabio Mas- simo per correre a fiaccare 1’ orgoglio della ribel- lata Sardegna. Due anni dopo, a cagione di nuova sommossa dell’ isola medesima e di quella di Corsica, in Pisa si riunirono le legioni romane affine di assogget- tare intieramente e T una e l’altra. (i) Del Porto pisano diremo a luogo migliore. tomo i. 17 pyv- 5w 130 Anno 225 av. G. C . — Reduce dalla Sardegna, sbarco le sue legioni in Pisa Cajo Attilio Regolo. Da qucsto punto in poi fu Pisa stazione delle forze romane die andavano a portare la guerra ai Li- guri, ed antemurale opposto alle incursioni di que- sti feroci figli delle mcntagne. Aizzati da odio an- tico, istigati ora furtivamente ed ora apertamente dai Cartaginesi, non cessavano essi d’infestare e deprcdare tutto il territorio pisano e tutta la spiag- gia marittima. Battuti, parevano pigliar forza dalla strage; ricacciati nei loro casali, ne li traeva di nuovo ben presto la sete della vendetta. In pace — raa per apprestare la guerra — assalitori a vi- cenda e assaliti: spesso vinti, talvolta vincitori: sin- che dovettero cedere alfine; e gli Apuani fra essi, comecche ricusarono consegnare le armi, furon costretti a dare armi, fanciulli, vecchi, donne e quanto si avevano di piu caro, ed abbandonare pur anco le avite sedi ed i sepolcri dei loro maggiori. 180. — Liberati cosi i Pisani dal flagello dei piu irrequieti nernici, resero grazie al Senato di Roma e lo pregarono d’ una colonia. Fu accolta la preghiera: Pisa divenne colonia romana, # senza peraltro perdere il diritto di municipio, di man- tenere cioe le proprie leggi e la propria religione. 90. — Nelle guerre sociali rimasti i Pisani devoti a Roma ebbero il privilegio dei suffragi, ascritti all’antica tribu Galeria — privilegio dal potente con- cesso, che il piu delle volte avvilisce. Sotto i due triumvirati — aurora della tirannide in Roma — nell’ arsenale di Pisa si diedc opra in- defessa a costruirc delle navi, e non di rado si for- nirono anco truppe navali agli ambiziosi ; dal che nuovo vuoto di popolazione. Pervenuto all’ impero Gttaviano, e stesasi sul mondo quella pace che dovea succedere al nascere 131 air antica, in ossequio clell’ augusto benefattore, si chiamo Colonia Giulia ossequiosa. Sembra che sotto Cesare Augusto le sorti cli Pisa migliorassero: certo che niuna citta pote pro- seguire d’affetto piu riverente tutto che lui riguar- dava. Lo si conosce dai funebri onori decretati a Lucio e Cajo Cesari nati da Giulia figlia dcH’im- peratore, e da Agrippa (1). Anno 44 dell J E. V. — Quest’ anno e celebre ne- gli annali pisani per l’arrivo in Pisa dell’apostolo Pietro. Dicesi che ergesse un altare ad grcidus ar- nenses; che molti illuminasse del lume della vera fede, e tra questi un tal Pierino consacrasse ve- scovo di Pisa. Dove la tradizione portava inalzato da lui quell’ altare, sorse poi la chiesa di san Piero in grado. Ad ogni modo e fuori di dubbio che Pisa fu tra le prime citta ad accogliere il Cristianesimo, e ad attestarlo coi soffriri e col sangue. 70. — San Torpe in mezzo a molti altri pisani, sotto Nerone — innumerevoli lo attestarono succes- sivamente sotto la maggior parte degl’ imperatori lino a Costantino — che non sapevano, le coro- nate tigri, come la face della verita non si spenge nel pianto e nel sangue, ma cresce invece e si av- viva. Del rimanente, nel periodo che accennammo, le sorti di Pisa furono presso a poco siccome quelle delle altre citta deH’impero. Ebbe grandiosi edificii per l’insensato ed cmpio fasto di Nerone; tornata ebbe a vigore la sua navigazione dall’ambizione di Trajano; qualche lampo di felicita, molte tenebre di miseria. (1) Vedi Fariucci, Storia dei tre popoli mariltimi ec., 0 i cippi stessi marmorei nel famoso Camposanto urbano. 132 Ma frattanto la divina credenza del Cristo an- dava trai Pisani mettendo viepiii salde radici, di- latandosi e germogliando. Nell’ anno 313 dell’E. V. Pisa aveva a vescovo Gaudenzio. Egli assist© al sinodo congregato in La- terano dal pontefice Melchiade (1). II medesimo Gaudenzio fu presente al concilio celebrato in Roma da s. Silvestro papa 1’anno 324. Otto anni dopo Costantino trasferiva sul Bosforo la sede dell’impero romano, e gli dava cosi 1’ ultimo crollo. Arti, commercio, ogni luce, d’ occidente pas- sava in oriente. Anno §92 . — Agostino, poi luminare della Chiesa ed inalzato agli onori dell’ altare, tocco dal divino Spirito per mezzo di s. Ambrogio, attraversando la Toscana onde recarsi a Roma, visito tutti i luoghi ove sante e divote persone abitavano. Sui monti pisani trovo alcuni romiti: resto con loro non po- chi giorni; istitui 1’ ordine dei frati Eremitani; e nella solenne quiete della solitudine di Lupo Cavo, tra quelle grotte profonde e cupe dimenticando il mon- do, da quelle grandi masse di pietre avvicinandosi al cielo, scriveva della vita eremitica e della citta di Dio. Quivi compose pure un libro sulla SS. Tri- nita, dopo un portento avvenutogli, siccome dicono. Narrasi che egli, ardito pel suo robustissimo ingegno, volesse giudicare di Dio Trino ed Uomo con la corta veduta della umana ragione. Nell’ an- dare verso Livorno s’ imbatte lungo il lido in un giovanetto, il quale fatta una piccola conca nel- 1’ arena, vi versava con un cucchiajo dell’acqua del mare, e faceva trapelare dal volto e dagli atti che pretendeva asciugarlo. Al quale Agostino mostro (1) Sanctus Gaudenlius primus est post sanctum Perinum , qui reperia- tur in pisano throno sedisse , cujusque memoria habetur in concilio sub Mel- chiade summo pontifice. f 1: eompassione dello stolto pensiero; ed cgli, il gio- < vanetto, « del pari sara possibile a to cornprendere coirumano intendimento il mistero della Triade ». Disse, e spari. 11 santo tomato allora al romitorio di Librafatta scrisse il trattato che sopra notammo. Raccomando agli eremiti quel luoghi beati; lasciovvi molte me- mories oggetto tint’ ora di venerazione, e mosse alia volta di Roma (1), ove poi nel 395 fu consa- crato vescovo d’ Ippona (Bona) in Africa (2). Anno 394. — Gildone, governatore d’ Africa, ri- chiesto di soccorso dalT imperatore Teodosio con- tro il tiranno Eugenio, si rifiuto d’ inviargli pur un soldato o una nave. La guerra prima, poi la morte dell 5 imperatore sospese la vendetta. 397. — Imbaldanzito Gildone comincio a farla da re; e posto insieme un forte esercito di fanti e di cavalli, quasi sfidando la forza di Roma, vieto che le si conducessero piu vettovaglie. Cost Roma, gia tribolata dalla fame per antecedenti disgrazie, fu oppressa da orribile carestia. Faceva dunque mestieri di molte vele per menar grano dalla Fran- cia e dalla Spagna, e luminosamente punire il danno e T onta da Gildone recati. Bastimenti d’ ogni ma- niera si costruirono in Pisa: rintronavano i lidi a tanto fracasso di costruzione, ed il porto non po- teva contenere tante navi (3). 398. — Sul finire dell’inverno la formidabile ar- mata, di qui, fece vela. Assistita dal cielo arrivo, vide, vinse (4). 400. — Un nugolo di barbari si versa sull 5 Italia, e succedonsi... varii, ma procellosi. Oh qual diluvio! (1) Can. Raff, Roncioni, Storia ms , pisana — Arrosli, Memorie ms. di piu cose notabili di Pisa. (2) Muratori, Annali d ’ Italia. (3) Claudiano, De hello Gildonis. (4) Muratori, Annali d' Italia. 134 c S Anrco 404. — Ceclono all’ ultimo sforzo dell’ ita- < liano valore: alfine Roma e costretta a comprarsi i a prezzo cl’ oro. 409 — Alarico a guisa di torrente corse le vi- cinanze di Pisa, tutto clevastando e spogliando (1). 415 — 16. — Dinanzi all’ orde barbariche dal- 1’ alpi irrompenti fuggiva da Roma Rutilio Numan- ziano, per ripararsi in Francia sua patria. A schi- vare le difficolta eel i rischi del viaggio terrestre, partiva per la foce del Tevere e costeggiava il lit- torale toscano. Pervenuto al porto di Pisa si reco alia citta onde visitare una statua inalzata a Clau- dio suo padre, che aveva rettamente governata la Toscana sotto gli ultimi imperatori d’ occidente (2). 41 7 . — Pisa era ancora ligia all’impero, con magistral romani e proprie leggi, regolata per con- soli e per tribuni. In seguito Eruli, Unni, Goti ebbero in Italia il campo e la preda della vittoria t 493. — Stabiliti i Goti in Italia, Teodorico loro re, da Ravenna, suo seggio, penso richiamare i bei giorni d’Augusto. Anco Pisa, le tante volte flagel- lata dagli invasori, respiro e rammento i giorni della sua grandezza. 500. — Riattivata la navigazione i Pisani reca- vano grani e vettovaglie: una fortuna di mare som- merse la piu gran parte clelle navi. Teodorico si mostro magnanirno in queste disgrazie (3). Poco dopo disponeva che a trasportare le pubbliche biade e difendersi all’ uopo dalle navi ostili si costruisscro mille dromoni (4). 510. — Siccome era invalso 1’ uso di chiudere (1) Agathias, De bello Goth. (2) Rutilio Numanziano, Itinerario. (3) Marco Aurelio, Cassiodor. tom. I. (4) Speditissime navi da carico. 135 gli alvei de’fiumi con siepi ad oggetto della pesca, Teodorico comandava si aprisse anco nell’ Arno libero il corso alle navi e alle barche (4). All’uopo delle cose marittinie teneva in Pisa, come in ogni altro porto di mare, un suo vicario. Anno 527. — Ma Teodorico disparve come lam- po; e disparve conlui per ailora la speranza d’ Italia. Giustiniano, imperatore d’oriente, penso rigua- dagnare il bel paese all’ impero. Un’ armata di Greci di Unni e di Schiavoni, spedita da lui, diede molte battaglie ai barbari e li disfece. Pisa la sperimento funesta piu dei Goti: essendochc verso l’anno 539 vide da essa rovinarsi la sua Turrita (2) e sguar- nirsi il suo placido golfo (3), Tornata sotto i Goti pel valore del loro prode re Totila, si sottomise poi a Narsete Y anno 553 (4). Sotto lui, dichiarato duca d’ Italia dalla corte di Costantinopoli, Pisa ebbe come l’altre citta pace; ma, secondo alcuni, travagliata dalP avidita di ricchczze del duca me- desimo. 568. — Alboino con tutli i suoi longobardi mosse ai danni d’ Italia. Dali’ alto del monte, die poi fu detto Monreale, contemplo il bel paese die stava per occupare. La un regno o una tomba — disse — ; c ruinarono come oceano nel piu hero coruccio. La storia non determina esattamente quando Pisa divenne Longobarda. Chi vuole cio accaduto nel 570, chi nell’anno seguente, nelle scorrerie che una parte dei barbari fecero per la Toscana, in- tanto che 1’ altra attendeva all’assedio di Pavia (5). Probabile sembra che avvenisse a tutto il 575; (1) Cassiodor. op. cit. tom. I. (2) Vedi pag. jOo. (3) Fanucci, Storia dei ire celebri popoli marittimi d’ Italia, (4) Muralori, Ann ali d' Italia. (5) Idem, ibid. I ! ~>-\A — 136 ^ mentre ci si disse che a questo tempo Italia per ^ i la maggior parte fa presa dai Longobardi (1): seb- ^ bene non manca chi voglia che Pisa si reggesse a rriodo di comurie, anche dopo che i Longobardi aveano gia fermato il piede in Italia da 45 anni (2). Anno 603. — II fatto sta che in quest’ anno Pisa dovette essere potenza assai rispettabile; mentre a trattar di pace o di tregaa con Y Esarca, che te- neva Ravenna in nome dell’ Imperatorc d’Oriente, vi mandava un suo messaggio il pbntefice san Gre- gorio. Cosi ne scrive il medesimo: Abbiarno mandato un inviato nostro a Pisa , quale lo abbiarno creduto piu a proposito, per trattare coi Pisani di pace o di tregua ; ma nulla ne abbiarno potuto ottenere , e gia essi Pisani hanno preparato i loro dromoni per uscire fra poco in corso contro i sudditi delV im- peratore (3). 643. — Morto in quest’ anno s. Pellegrino, Ales- sandro vescovo di Pisa si reco, con altri vescovi di Toscana, Lombardia e Romagna, a venerarne le sante reliquie. 649. — Il 5 ottobre si dava principio ad un c-on- cilio di vescovi italiani nella sagrestia della basi- lica Lateranense. Opportune, vescovo di Pisa, fu uno del bel numero de’ cento e cinque vescovi inter- venuti. 674. — Sulla sede vescovile di Pisa eravi Mau- riano o Mavezzano. 680. — Egli intervenne al concilio celebrato contro i Monoteliti. 715 . — Una controversia insorta tra Luberziano vescovo d ? Arezzo e Adeodato vescovo di Siena per giurisdizione, fa che Luitprando, diciannovesimo re Paolo Diacono, De Gest. Longobard. lib, II. cap. 32. Vedi Repelti, Dizionario geografico , fisico e storico della Toscana. S. Gregorio Magno lib. II. epist, 35. Vcdi anche Fanucci, dei Longobardi, intimi un sinodo: ad esso assisto Massimo, vescovo della chiesa pisana (1). Anno 742. — In quest’ anno la chiesa pisana era governata dal vescovo Andrea (2). 7 43. — II papa Zaccaria, volendo stabilire varii canoni di disciplina ecclesiastica, aduno un concilio di molti vescovi in Roma: tra essi risplcnde Gio- vanni I, che tenne la chiesa da quest’ anno al 747. 752. — In quest’ anno Gualfredo, nobile perso- naggio di Pisa, con due suoi compagni fondo un monastero in luogo chiamato Palazzuolo , vicino a Populonia (3). 750. — II Sigonio cd altri storici susseguenti scrivono che in questi tempi Pisa fosse soggetta a Desiderio, poi ultimo re dei Longobardi, siccome duca di tutta la Toscana. E piu probabile che ogni citta avesse un duca suo proprio (4). 773 . — Invitato da papa Adriano, scese in Ita- lia Carlo Magno. Pisa aveva, di quel tempo, un duca militare e politico incaricato di guardare e difendere la spiaggia toscana dalle piratiche scor- rerie dei Greci; aveva palazzo e corte ducale, ed il diritto di batter moneta (5). 774. — Adalgiso, o Adelehi, flglio del vinto re Desiderio, vedendo disperate le cose, s’ imbarco in porto pisano per recare a Costantinopoli inutili de- siderii di vendetta, e speranze di niiova conquista(6). 775. — II papa Adriano, reso consapevole di (1) Muratori op. cit, (2) Vedi Istorie di Corsica scritte da Giovanni detlo il Grasso, corso, a carte 207. (3) Mabill. Saecul. ///, Benedectin. par. II. (4) Muratori op. cit. opera altrove cit. acono, De Episc. Metens. 18 nuove vittorie di Carlo Magno dal cittadino pisano Gaufrido, si congratula col conquistatore e lo prega di rimettere in liberta il vescovo di Pisa, condotto verisirailmente in Francia coi vescovi di Lucca e di Reggio, perche la loro fedelta era sospetta (1). Anno 801. — Pervenuta in Persia la fama delle gesta di Carlo Magno, Arronne, re di quel paese, manda all’augusto Carlo messaggi e ricchi dona- tivi : prima di compiere la loro missione gl’ inviati stettero in Pisa (2), 802. — Di questi giorni, nei quali il lume delle lettere taceva sventuratamente per tutta Italia, Pisa pote andar superba di veder fiorire un suo figlio, Pietro Diacono. Il quale professo le belle lettere in Pavia nel palazzo istesso di Carlo Magno, e lui pure ad esse informo; passo quindi in Francia; e, ve- nerabile per canizie e per sapere, il primo raggio di scienza vi accese (3). 804. — Il freno della chiesa di Pisa fu in mano di Giovanni II fino all’ anno 820. 821. — Cadde quindi in quella di Platone: cor- reva 1’ anno ottavo dell’ impero di Lodovico Pio. 826. — Sessantatre vescovi, tra i quali quello di Pisa, Giovanni III, si univano in Roma a con- cilio sotto il pontefice Eugenio II. Fra le altre cose stabilirono che in tutti i palazzi episcopali, nelle case de’ parrochi di campagna, e ovunque vi fosse bisogno, si ponessero scuole di lettere ed arti libe- ral (4). Bell’esempio, che mai non doveva far obliare alle eta posteriori come la vera religione non e ne- mica del sapere, ma dell’ ignoranza! (1) Muratori op. cit. (2) Baronio pag. 498. Annali Metens. (3) Eginardus in vita Caroli Magni. Il Muratori ( Annali d’ Italia) regi- stra le cose qui raccontate all’ anno 781. (4) Baronio Annal. Eccles. Labbe, Cancilior , tom. VII. 139 Anno 828 . — Quest’ anno c famoso per una spc- dizione contro i Saraceni (1). Da qualchc tempo facevano essi incursioni, e mcttevano a sacco l’isole e le coste d’ Italia. Sull’ cscmpio di Scipione 1’ Af- fricano, parve ben fatto di rintuzzarc la rabbia e I’ ardire di questi nemici portando la guerra nei loro focolari. Lo perche il conte Bonifazio, arbitro supremo dellc armate d ? Italia in nome dell’ impc- ratorc Lodovico Pio, allestita una piccola flotta, insicme con alquanti altri conti di Toscana, Corsica c Sardegna, mosse dal porto pisano (2). Sbarco fra Utica e Cartaginc in Africa. E inutile ridire la ferocia dei combattimenti : da un lato e dall’ altro religione e interesse ; onde le battaglic erano car- neficine. La spedizione non fu coronata dell’ esito die forse si aspettava; ma i Saraceni, avvezzi a se- minare dovunque il terrorc e la dcsolazionc, im- pararono almcno come ancora i Cristiani potevano portare c 1’ uno e 1’ altra nelle case degli oppres- sori. In seguito di questi fatti 1’ imperatorc Lodo- vico Pio confermava ai Pisani i privilegi loro con- cessi dall’ augusto suo padre, di crearsi cioc ogni anno de’ consoli e vivere con le loro leggi (3). 829. — Nell’ archivio arcivescovile di Pisa si tro- va un istrumento risguardante la chiesa di s. Mar- tino a Settimo, dal quale appare che in quest’ anno la chiesa pisana era retta pel vescovo Platone II. (1) Si danno varii significati alia parola Saraceni, adoperala dai grcci c dai latini per indicare gli Arabi. Gli uni la spiegano per ladri o masna- dieri , c gli altri per orientali. Casiri, Bill. Arab. Bisp. tom- II. pag. 19. (2) Bonifazio, secondo di questo nome, successo a Bonifazio I suo pa- dre. Era egli conte o governatore di Lucca, e nel medesimo tempo rnarchese o custode dei conflni della provincia, e duca di tulla la Toscana. Laonde i conti di tuttc le citta da lui dipendevano. (Vedi Muratori, opere piu volte cit.) (3) Muratori, Annali d' Italia. Questo fatto e posto dal Morrona sotto la data dell’820; dal Roncioni, Storia ms ,, sotto quclla dell’ 823. Anno 837. — Bingo o Biusgo, longobardo, gui- dava il pisano ovile ai pascoii della salute. 841-42-43. — Tennela chiesa pisana il vescovo Zanobio. 844. — Nel 15 giugno il papa Sergio II cingeva preziosissima corona al capo, e regale spada al fianco di Lodovico II figlio dell’ imperatore Lotario. Alla sacra cerimonia assistevano moltissimi arcivc- scovi e vescovi : tra essi il vescovo di Pisa Gio- vanni IV (1). 848-49. — I Saraceni, imprudentemente chiamati in soccorso dai duchi di Benevento e di Salerno, a guerra tra loro, s’ impadronirono della Calabria; disfecero un esercito che Lotario spedito avea per discacciarneli. Altri tra loro, spintisi con una flotta nel porto di Luni, distrussero quella un giorno si fa- mosa citta, e lo campagne adiacenti saccheggiarono. Brulicava il mare dei tanti bastimenti degl’ infedeli che Roma minacciavano e Italia tutta. Il Pontefice, il quale rammentava come questi ladroni nell’846 erano piombati su Roma, e la loro crudelta e la loro ingordigia sui contorni e nella basilica di san Pietro sfogata aveano (2), invito alia comune sal- vezza gP Italiani. Accorsero ; ed i Pisani tra loro. S’ impegno una battaglia navale presso Ostia. La notte divise i combattenti, ed un vento furioso di- sperse le navi dei Saraceni, le quali ruppero in varie isole (3). 877. — In quest’ anno fu vescovo della chiesa pisana Platone III, come appare per un istrumento, sotto numero 219, che si conserva nell’ archivio archiepiseopale. Il padre Ughelli ( Italia Sacra ) (1) Anastasio Bibliotecario, e Baronio. (2) Muratori op. cit. (3) Idem, ibid. 141 dice che fiori nell’ 860, e che in un istrumento della chiesa di Lucca e nominato nell’ 870 (1). Anno 880. — Da contratti del medesimo archi- vio si ha ch’ era vescovo di Pisa Giovanni, quinto di questo nome. 882. — Calcinaja, piccolo paese della diocesi pi- sana, ebbe il vanto di dare un arcivescovo a Ra- venna, Romano, il quale gode dell’ intima arnicizia di Stefano V quando, nell’ 885, fu questi assunto al soglio pontificale (2), portando sovr’ esso la prima nobilta di Roma e le piu rare virtu. Sino all’ anno 926 le sole notizie che abbiamo risguardano i vescovi che la pisana chiesa gover- narono, cioe : 909-10. Ardingo. 911. Teodorico, di nazione oltramontano, che dono al Capitolo de’ suoi canonici la chiesa di santa Maria di Mezzana con tutti i beni ad essa appar- tenenti. 917. Turrucchio. 918. Yolsghidio. 920. Uno dopo 1’ altro Vuolferio ed Auzione. 924. Atto I. 925. Giovanni IV. 926. Giunse nel porto di Pisa Ugone marchese e duca della Provenza, figlio del conte Teodobaldo e di Berta, nata da Lotario re della Lorena. Ap- pena conosciuta la morte dell’ im per atore Beren- gario egli ambi alia corona d’ Italia, e nulla lascio intentato per ottenerla. In quest’ anno si reco a Pisa, capo della provincia Toscana (3). A lui ac- corsero ambasciatori di papa Giovanni X e quasi (1) Alla fine dell’ opera verra data una serie cronologica dei Vescovi e Arcivescovi di Pisa, riordinata dietro indubitati documentidi recente rinvenuti. (2) Rossi, Storia di Ravenna. (3) Liulprando, Hist. lib. 1U % cap. V. 142 tutti i principi italiani, e lo invitarono a prendere $ la corona d’ Italia, ripromettendosi che rimenerebbe la eta dell’ oro. Egli fu proclamato re in Pavia (1), consacrato in Milano. — II diadema splende sulla di lui fronte, peso orribilmente sui destini d’ Italia. Era in questo tempo vescovo di Pisa Arrigo, Anno 980. — Fu vescovo di Pisa Zenobio II. 9S5. — Abulkasem, uno dei re saraceni dell’ Afri- ca, vedendo fiorir Genova nelle cose del mare, penso fare un bel colpo. Colto il destro, vi piombo sopra con poderosa flotta. Taglio a pezzi quanti osaron resistere : legni, vele, cordami rapi. Genova non fu col pita mai da eguale sventura. Molti ge- novesi ch’ebbero la fortuna d’involarsi, trassero allora a Pisa. Vi trovarono fratelli di sciagura, ac- coltivi dopo 1’ infortunio di Luni. — Pisa crebbe; e sebbene il Serchio non confluisse piu coll’ Arno, e il golfo presso Labrone fosse assai ristretto, non ostante pote sorgere quasi regina sul Mediterraneo. 940-58. — Resse la chiesa pisana il vescovo Gri- maldo celebre per molte livellazioni, e per rendite concesse ed oblazioni al Capitolo dei suoi canonici. 965. — Ottone il grande, invitato come libera- tore da tutti gli ottimati d’ Italia e proclamato im- peratore nel 961, parti da Roma per ritornare in Germania. Passo da Pisa, e vi dimoro qualche giorno con la sua corte. Confermo tutti i privilegi, 1’ esen- zioni tutte prodigate alia citta dagli antecedenti imperatori, e molti nuovi favor i le aggiunse. Presi della dolcezza del clima e della fertility del suolo, alcuni dei nobili che facevano corteggio ad Ottone lo addomandarono di qui rimanere col di lui bene- placito; ed egli li benefico del consenso e di molti ' ' Ra questi nobili ebbero origine chiarissim^ fo. (1) Liulprando, Hist, lib. Ill . cap. IV. Muratori op. cit. 143 miglie pisane: Casamatti, Qrlandi, Ripafratta, Vis- conti, Verchionesi, Gusmani e Duodi. Da Lanfranco Duodi derivarono poi, sccondo che alcuni avvisano, i Gualandi, Sismondi e Lanfranchi (1). Anno 967 . — Nel mese di aprile fu tenuto un concilio d’assaissimi vescovi in Ravenna: v’era, tra gli altri, Alberico di Pisa. — Lo presiedevano 1’ irn- peratore Otione e il pontefice Giovanni XIII. 980 . — Meditando Ottone II la conquista della Magna Grecia, mando varii gentiluomini per soc- corso di navi a Pisa. La morte troncando i giorni dell’ imperatore, ogni progetto del pari troncava. 986 . — A capo della chiesa pisana sedeva ve- scovo Raimberto. 1000. — In quest’ anno i Saraceni, guidati da Musetto o Musatto loro re, si stabilirono nella Cor- sica e nella Sardegna. Vedremo ben presto i Pisani a snidarneli. 1001. — Ugo, in principio marchese di Brandi- burgo, poi venuto in Italia con Ottone III, fermo la sua dimora in Firenze come vicario dell’ impe- ratore. Avvenne che andando lui a una caccia nella contrada di Bonsollazzo si smarri per il bosco, e ca- pito, alia sua avvisione, a una fabbrica dove si usa di fare il ferro. Quivi trovando uomini neri e sfor- mati che, in luogo di ferro, pareva che tormentas- sero con fuoco e con martella uomini, dimando cio che era: fugli detto che erano anime dannate, e che a simile pena era condannata l’anima del mar- chese Ugo per la sua vita mondana, se non tor- nasse a penitenza: il quale con grande paura si rac- comando alia Vergine Maria, e cessata la visione rimase si compunto di spirito, che tomato in Fi- (0 Alcuni storlci rimettono questo fatto all’anno 980 solto 1’ impera- tore Ottone II. Vedi Sismondo Sismondi, Storia delle Repubbliche Jtaliane dei secoli di mezzo. -wx ■WV?, c 144 & M renze tutto suo patrimonio d’ Alemagna fece ven- dere, e ordind e fece fare sette badie. La prima fu la badia di Firenze a onore di Santa Maria; la se- conda quella di Bonsollazzo, ove vide la visione; la terza fece fare ad Arezzo; la quarta a Poggi- bonizzi (Poggibonzi); la quinta alia Verruca di Pisa; la sesta alia Citta di Castello; 1’ ultima fu quella di Settimo; e tutte queste doto riccamente (1). II medesimo Ugo fondo anche la chiesa di san Niccola (2) pro remedio animae suae (3). Anno 4003. — Dalla Sardegna e dalla Corsica i Mori fecero un’ incursione nel territorio di Roma, mettendo a sacco e a ferro ogni cosa che loro si parava davanti. Per non cadere nelle loro mani il Pontefice fu costretto a fuggire. Una lettera di lui giunse ai Pisani : che volessero difendere la Santa Chiesa, e far di ricuperare quanto erale stato tolto. I Pisani non sapevano a qual partito appigliarsi: da un lato gli spronava la devozione al supremo gerarca, la gloria e 1’ interesse; dall’ altro il timore dci Lucchesi, sin da quci tempi loro rivali e nemi- ci (4). Ma Filippo Visconti, uno de’ consoli, parlando (1) II compilatore ha copialo questo fatlo dalle Storie Florentine del Villani, Cronaca lib. IV. cap. 2, non volendo portare giudizio sulla raccontala visione, e non osando omettere cosa che neda Porigine di untenipio il quale co-pochi suoi avanzi parla d’antichila remotissima e di rara magnificenza. Non manca peraltro chi 1’ abbazia della Verruca, intitolala a san Michele Ar- cangelo, vuole esistenle fin dal 996, e che allora il vescovo di Lucca Ge- rardo la diede in enfiteusi a Majone abate di san Salvatore di Sesto. (2) Rilevasi da una enunciativa antica scritta in un libro appartenente ai monaci di Verruca, ove si leggono queste parole: In festo sancle Thomae apostoli de sero debent pulsari campanae tribus vicibus , ad duplum pro anima D. TJgonis marchionis qui fecit hanc ecclesiarn in honorem s. Nicolai. (3) Ecco la frase usitata, con cui sovenli volte grandi delinquenti cre- dettero, per la donazione di poche terre a qualche chiesa o a qualche rnona- stero, aver soddisfalto ampiamente alia divina e alia umana giustizia. (4) I primi germi d’odio tra Pisa e Lucca furono seminati per la invi- dia quando Ugo, marchcse di Toscana, fece della citta di Lucca piutloslo che di Pisa la sua sede principale. Crcbbero allora che Arduino, marchese d’ Ivrea, -O? Kl. 145 generose parole, la paura sgombro, inanimi l’ardire. Onde sotto il comando dell’ amrniraglio Orlandi una flotta di scelte navi e delle piu valorose genti for- nite, mosse e fa a Civitavecchia. A dieci miglia da questo porto si scontrarono le due armate. Da una parte prevaleva il nurnero, dali’ altra il valore. Si combatte per la vita; ma alia fine la vittoria rac- colse 1’ ali sulle prore pisane: diciotto navi e mol- tissimi prigionieri ne furono il premio. A1 tornare dei vincitori in Pisa trovarono che i Luccliesi ave- vano fatto un’ incursione nel territorio pisano; ma eglino, costretti venire a battaglia, furono disfatti ad Acqualunga (1). Anno 4004. — Imbaldanziti dai loro prosperi successi, i Pisani rimontarono le navi; mossero alia volta della Sardegna. Giunsero; corsero varie terre; dietro i loro passi fu incendio e desolazione: poi, ricchi di bottino, ripatriarono a preparare una spe- dizione assai piii formidabile. 4005. — Infatti avendo inteso che i Saraceni dalla Calabria recavano giornalmente grandissimi danni ai Cristiani, uscirono contro essi : li trovarono forti nella citta di Reggio. Dapprima gli strinsero d’ assedio; ma poi, impazienti d’ indugio, s’impadro- nirono della citta per assalto. Tutti i barbari fu- rono passati a fil di spada; predate le loro cose. e il duca Arrigo di Baviera si dispularono la corona d’ Italia, mentre si crede che i Pisani stessero pel monarca alemanno, e i Lucchesi pel re ilaliano, (Vedi Repetti, opera allrove citata). (l) Roncioni, Storia ms. — Alcuni annalisti mettono queslo avvenimento air anno 1002, altri al 1004. Essi si cangiano queste due epoche per un altro fatto accaduto a Pappiana, siccome dicesi, donde i Lucchesi furono dai Pisani respinti fino a Ripafratta, Se veri son quesli fatti, osserva il Muratori, inco- minciamo a scorgere che le citta ilaliane alzano la testa, e si atlribuiscono o vero si usurpano il dritto regale di far la guerra. Pare anche che in questi tempi non vi avesse in Toscana un capo per infrenare siifatte discordie. TOMO i. 19 ,yw- -\zxr< 146 Nc qui ristettero i Pisani; che, a farsi sempre piu ricchi e famosi, si scagliarono sui Saraceni in Amal- tea, in Tropea, in Nicotera. II di 6 agosto torna- rono al patrio lido guidati dall 5 ammiraglio Pandolfo Capronesi. Ma qual crudele spettacolo si paro loro dinanzi ! Pisa era squallida ; consumata in parte dalle fiarame — che Musetto, avuta contezza del come ella era sprovvista d’armi e d’ armati, vi si era gittato sopra all’ improvviso; aveva devastato, incendiato. — Ne la citta sarebbe ormai stata che un mucchio di cenere, se Chinsica Sismondi o Gismondi udendo gridare al fuoco al fuoco, non fosse volata a quelli che reggevano la repubblica, ed aperta loro la disgrazia della patria, non avesse fatto dare nelle campane a stormo, Questo suono che cangia ogni cosa in arme, ogni uomo in soldato, mise lo spa- vento nql core de’ Saraceni; onde frettolosamente risalite le navi, tornarono in Sardegna (1). La parte della citta rimasta preda delle fiamme ebbe nome dalla Eroina a cui fu inalzata una statua, ad at- testare che anco sotto il cielo d ? Italia sanno es- servi donne spartane. Del resto, maggiori della sveniura, i Pisani si diedero a ristorare i loro danni coi danni ai Mori cagionati; i grandi, e l’istesso vescovo Pietro, da- vano all’ opera conforto e sprone. Pisa rinacque piu bella dalle sue rovine, ed alletto fin dai primi momenti la speranza e il desiderio di rifarsi sui Saraceni delle perdite sofferte, e di lavarne l’onta nel loro sangue (2). (1) II Muratori sembra dabilare del fatto narrato: crede poi favoloso cio che abbiain detto di Kinsica. — Kinsica non e per Iui che una voce araba, la quale significa traffico. Per altri e voce tedesca, che suona segno conosci- tivo , II vero si e che non puo credersi la statua inalzata alia valorosa Si- smondi, quella figura che vedesi in via san Martino, incastrata nel muro, a deslra di chi muove verso la porta Fiorentina. (2) I fatti per noi racconlati il Muratori li pone all’anno seguente, fa- 147 Anno 1006 . — Da quest’ anno al 1013 fu ve- scovo di Pisa Guidone. 1013 — A lui successe Lamberto. Sotto di que- sto vescovo ( opina il Yolterrano nelle sue Storie ) fu presa dai Pisani la Sardegna; ma egli va errato. La conquista avvenne l’anno seguente (1). Que- st' anno vennc in potere dei Pisani la terra di Piombino. 1014. — Da due diplomi, uno risguardante le monache di santa Giustina di Lucca, Y altro i ca- nonici d’ Arezzo, appare essere stato nel contado di Pisa 1’imperatore Arrigo (2); ma ben altro fatto rende illustre quest’ anno. Dicemmo come i Pisani anelassero il momento di punire in Musetto i guasti e la vergogna rice- vutine. Eccoli adunque in Sardegna, poderosi di gente e d’armi. Nella battaglia, a cui si accinsero subito i Saraceni, l’esito pende lungamente incerto. Vi fu poi un momento che i Pisani parvero venir manco; ma i capitani di coraggiose parole, del loro esempio e di gagliardo rinforzo sovvenendoli, co- strinsero alfine i nemici a ritirarsi. Musetto non sapendo a qual partito appigliarsi, si diede alia fuga. Allora i Saraceni furono totalmente rotti, e moltis- simi fatti prigionieri. Arricchiti di grosso bottino, dopo ordinate alia meglio le cose, i vincitori tor- narono sulle rive dell’ Arno a portarvi uno dei piu be’giorni; quello che splende alia luce di un giu- sto trionfo. 1015 . — Venuto a morte il vescovo Guidone, il clero ed i canonici non volendo essere senza capo cendone accorti esser suo avviso che i Pisani sconfiggessero, si, i Saraceni a Reggio di Calabria, ma non di Reggio s’ impadronissero. (1) II Muratori tiene che awenisse nel 1017, (2) Muratori, Antiq. Ital . Dissert. XVIII— LXII, Il Tronci, sulPautorila dell’ Ammirato, segna questo fatto al 1015 nel libro dei Vescovi di Vollerra. 148 in un tempo in cui la Repubblica nall’altro respi- rava che guerra, si adoprarono aH’uopo. Ma sia che non avessero cui degnamente eleggere, sia che nei voti discordassero, mandarono al vescovo di Lucca Teogtimizo, o Grimizo, che questa bisogna volesse egli addossarsi: ed egli alia preghiera con- discese. In questo tempo la diocesi di Pisa perde dal lato di Fiorenza, ove si stendeva sino a Pietra Fatta (1), perde le pievi di Empoli, di san Gene- sio, di Cerbonara, di Lavajano, di Tojano, di Pa- lude, di Triana, di Tripallo, di Aquento, di Fa- brica, di Carata, di Osigliano, di san Gervasio, di Palajese, di Mugliano, di Gegillarazza, e di Su- binanese. Dal lato di Lucca le pievi di Corvara, di Ci- tro, di Camajore, di san Silvestro. Dal lato di Volterra le pievi Garbonese, di Pa- trense, di Coranese, di Peccioli, di Parra, d’lval- tene; mentre prima il confine della diocesi pisana era determinate per un gran sasso, posto in un luogo chiamato Crifferra (2). Anno 1016 . — Raccolta nuova gente, Musetto fu ad inquietare le coste marittime dei Cristiani. Papa Benedetto, timoroso per altrui e piii per se stesso, mando a Pisa un suo legato, pregando i consoli e il popolo che in nome del Cristo voles- sero un’ altra volta mettersi in armi contro 1’ im- placabil nemico. Ricolmo d’ ogni onoranza 1’ inviato pontificio, il generale consiglio della Repubblica si (1) Si pare da questa iscrizione, che incisa in pietra vi si trovava: Ti- tus Flaminius et Titus Ovintus , consules pisani hie posuerunt fines civitatis , et ab hinc fines noslri episcopatus , et comitatus plebium dioecesis pisanae. (2) Che le rammentate pievi fossero tutte sotto la giurisdizione di Pisa lo ahbiamo da un istrumento rogato, a tempo deli’ arcivescovo Uberto, daser Mariano Del Bizzarro, da ser Jacopo di ser Giovanni, da ser Bartolomeo di san Casciano, e da ser Raffaello di Gio, di Piero di Cascina. riuni nella chiesa cattedrale a’ piedi del Dio degli $ eserciti. Unanime rimbombo il grido di guerra. II s legato spiego il gonfalone di Santa Chiesa, lo con- segno al Senato, e, testimone dei sensi pin gene- rosb si affretto a ripromettere al Papa una vittoria che ben presto successe. Infatti sciolte le vele, i Pisani non stettero molto a trovarsi a fronte Mu- setto. « Compagni, parlo all’armata l’ammiraglio, qual egli si fosse Marchionne Masca, o Biondo Benigni, la liberta della patria, la vita delle vostre mogli , de’ figli vostri, V onor della Chiesa di Dio e della fede di Cristo e sulla punta delle armi nostre: ve ne mostrate degni campioni »; e furono addosso ai nemici cosi, che questi ne sostennero a stento il primo scontro. In breve ora la sorte della pugna fu decisa. Il mare rosseggio del sangue de’ Saraceni; molti rimasero prigionieri, e tra essi (secondo ta- luno avvisa) la regina istessa (1), fatta poi morire per la sua baldanza: il re giunse appena a salvarsi su piccola barca. Riconducendo i vincitori alle rive natie, il ca- pitano voile far risovvenire i navali trionfi di Roma. Prima fe’ entrare nella citta sopra navi tolte ai bar- bari i prigioni e gli schiavi con tutta la fatta preda. Venne dopo 1’ armata coi propri vessilli spiegati al- F aure, e quelli al nemico rapiti volti sossopra: in- tanto suonarono a festa dalla flotta tamburi, trombe ed altri militari strumenti, le campane dalle sacre torri; che la Religione e la Patria debbon esser sempre congiunte. La gioja si estese per molti giorni e quasi per tutta Italia, e tra’ nomi de’ potentati suono famoso il nome de’ Pisani. Anno 1019 . — Di quest’ anno null’ altro si sa se non che vescovo di Pisa era Ugo. Ma ne resta (0 Ditmaro lib. VIII. 150 assai coperto il bujo dallo splendore degli anni seguenti. Anno 1021. — La vittoria suol esser superba: la superbia mal cauta: e i Pisani lo mostrarono. Tenevano la Sardegna non molto munita, quasi do- vesse bastare il loro nome a farla sicura. Questo appunto voleva Musetto. Cogliendo il momento, si scaglio nell’isola: quantunque gli abitatori facessero sulle prime ogni prova per resistergli, dovettero alia fine cedere alia prodezza del numero. Pattui- rono col Re che, dove in termine d’ otto giorni non venisse loro soccorso, si renderebbero, salve peraltro persone e robe. — L’ aiuto manco; ed i Cristiani tennero la data fede: non cosi il tiranno che, calpestandola, li fece tutti trucidare crudelis- simamente. 1022 . — 11 sangue delle vittime gridava ven- detta: ne i Pisani furono lenti a farla. Invitarono i Genovesi a sterminare il nemico comune. L’ un popolo e 1’ altro fecero un grande sforzo di navi e di gente, e, riunite l’armate, si misero alia volta della Sardegna. Musetto mando una parte del suo esercito a scontrarle; poi con tutte le sue forze venne a soccorso — raa invano — che i Genovesi e i Pisani rivaleggiando in valore, ben presto lo ri- dussero a tale da dover commettere un’ altra volta a rapida fuga il proprio scampo. Il possesso nuova- mente dell 1 isola e ricchissimi tesori furono il pre- mio di queste eroiche fatiche: ma furono altresi seme di prime ire tra Genova e Pisa, che vedremo dar poi si lacrimevoli frutti. Pare che alfine i Pi- sani avessero la signoria dell’ isola, i Genovesi le ricchezze di Musetto (1). Si aggiunge che i Pisani, (l) Gli annalisli pisani e genovesi non vanno cf accordo su queslo punto. Probabilmente gli uni e gli allri sono stati piu amici del loro paese che 151 fortificata la citta di Caglieri ed i piu importanti luoghi dell’ isola, divisero il governo di Sardegna nei qaattro giudicati o reami di Caglieri, Torri volgarmente Sasseri, Gallura e Arborea, e che li diedero a quattro de’ piu nobili concittadini (1), i quali a tanto fasto pervennero che essi re, le lor mogli furono nominate regine. Anno i030. — La cosa e che i Pisani avevano appena munite le piazze dell’ isola, quando seppero Cartagine occupata dai Saraceni, simili al fuoco in un incendio, che mentre e spento in un luogo sorge gigante in un altro. Baldi di tanti vantaggi su’ barbari riportati, e quasi orinai credendosi proteggitori della Cristia- nita, pensarono i Pisani d’ andare ad attaccarli nella nuova lor sede. Sessanta galere fecero vela sotto il comando di Lamberto Orlandi, o, secondo alcuni, di Giovanni Ricucchi. L’ armata giunse fe- lice ed improvvisa. Al capitano parve meglio strin- gere la citta d’ assedio, che tcntare la battaglia. Infatti i Saraceni cbber ben presto difetto di vi- veri; del fare sortite era nulla; poiche sapevano, parte per fama, e parte ancora per esperienza, quali nemici si avessero intorno. Vedevano dunque che dovrebber rendersi alfine. Se non che, impa- zienti, gli assediatori ardirono un giorno 1’ assalto. Qui guadagnavan le mura: la eran respinti; ma sui della verita. Vedi Mons. Foglietta, Storie Genovesi. Breviar. Pisan, m Script. Rer. Ital , tom. VI. Manno, Storia della Sardegna tom . II. Muratori Annali , ad ann, 1021, (1) E piu probabile che nel regime dell’ isola i Pisani non facessero al- cuna innovazione; sendoche, come dimostra il Muratori ( Antiquit . Ital. Dis- sert. V— XXXII) v’era gia in Sardegna la divisione dei giudicati, ed i giudici usavano liberamente il litolo di re. Null’ altro dunque avran fatto i conqub statori che obbligare i giudici delle quattro provincie a riconoscere il loro alto dominio. Il medesimo Muratori da fondamento al sospetto, che molto piu tardi i Pisani fissassero verarnente il piede in Sardegna. 152 monti dei cadaveri de’ loro fratelli i superstiti ri- salivan piu fieri : intanto altri rompevan le mura, e dalle aperture di queste come dal di sopra, ir- rompevano. I Saraceni furon morti o prigioni; e tra questi il re, la regina di nome Bianca, ed un loro figliuolo. Lasciata buona custodia neila soggiogata citta, i prodi tornarono coi loro prigionieri a trionfare sub f Arno. Ma i trionfatori sentivano la legge del Cri- sto — tra le catene, come sul trono, neila polvere come sugli altari, siamo tutti fratelli — onde, lungi dall’infierire contro i cattivi, con tutta la umanita addolcirono loro la sventura. Del che presa la re- gina Bianca ed il figlio, dimandarono d’essere am- messi a quella Religione che tanto sapeva ispirare agli uomini amore degli uomini. Il Senato \olendo convenientemente festeggiare un fatto tanto solenne accompagno a Roma i due illustri infelici, ove ri- generati furono nelf acqua battesimale per mano di Giovanni XIX. Ne qui i Pisani ristettero; ma di si calde preghiere circondarono il pontefice, che di- chiaro il giovanetto re di Cartagine, ed eglino glie ne diedero il possesso (1). A questo racconto di gioja fa contrapposto una scena di dolore registrata negli Annali del diligen- tissimo Muratori, cioe: che il giorno della Nativita del Signore Pisa pati un incendio. In Nativitate Do- mini Pisa exusta est. Non e da stupire se il fuoco appiccatosi in un luogo, si diffuse fino a prendere gran parte della citta; poiche molto legname con- correva a fare il piu gran numero degli edificii, e paglia li copriva (2). Anno 1031 . — Atto era vescovo di Pisa. (1) Vedi Carlo Sigonio, Scipione Ammiralo fiorentino, ed il Gordorie neila sua Cronologia. (2) Muratori, Antiquit. Ital. Diss. XXI. 153 Anno 1032 . — Dietro tanti bencmeriti del po- polo pisano il papa Giovanni XIX in quest 5 anno, ultimo del suo pontificate, concesse varii privilegi ai Canonici ed al Capitolo di Pisa, loro assicurando tutto che posscdevano e in avvenire posseder po- trebbero. Ecco il documento autentico: Joannes episcopus servus servorum DEL — Dilectissimis filiis nostris spiritualibus Canonicis Sanctae Del Genitricis , semperque vir- ginis Mariae , vobis, veslrlsque successorlbus in perpetuum, etc. Igitur notum sit omnibus tarn presentibus, quam futuris , quia canonici pi- sanensis ecclesiae devote supplicarunt nostrum Apostolatum per Joan- nem praefatae ecclesiae diaconum, ut confirmaremus illis, et omnibus eorum successoribus omnia, quae nunc retinent ex parte canonicae , ubi constituti sunt propter divinum opus perficiendum. Nos autem divino spiramine compuncti inclinavimus mentes nostras ad peragen- dam voluniatem praenominaii diaconi, et ceterorum Deo servientium canonicorum. Confirmamus itaque illis quicquid nunc ad presens re- tinent, sive quae per subsequentia tempora in pvaedicta canonica acquirere possunt , idest decimationem , vineas , et terras , nec non et reliqua praedia. Quicumque autem ex his omnibus a jam dictis ca- nonicis auferre tentaverit, sciat se incurrere in laqueum eternae ge- bennae. Insuper ex auctoritate Ommipotentis Dei, et b. Petri apostoli , et nostra, sciat se excommunicatum, et maledictum , et a communione ab Ecclesia separatum, atque cum Juda et diabolo condemnatum. Similiter sicut superius missum estper nostrum Apostolicam auctoritatem confirmamus eis praedium, quod vocatur Pedianum , et reliqua omnia, quae ibi absque tenimento canonice acquisiverunt, seu quae ex antea acquirere possunt. Si quis autem praefatum praedium a canonica Sanctae Mariae auferre voluerit anathematis vinculo perpetualiter se sciat esse condemnatum. Placitum quoque quod peregerunt praedicti canonici cum archipresbitero Bonizone, jubemus per A.postolicam aucto- ritatem , ut nullus dux, sive marchio, episcopus, comes, vicecomes, vel magna, parvaque liominis persona audeat illud requirere , vel re- capitare\ quia ante nostri Apostolatus praesentiam relatum est, in conspectu Bonizonis arcliipresbiteri quicquid ipse per studium suae malignitatis in eos delinquit; qui autem illud placitum requirere pro- sumpserit perpetuae maledictioni subiaceat. Constitutum et peractum TOMO I. 20 TOMO I. 154 est hoc praeceptum a nobis in persona canonicorum Sanctae Mariae, qui sunt: Petrus Domini gratia archipresbiter. — Petrus decanus, et cantor. Joannes archidiaconus. — Joannes presbiter, et primicerius. — An- dreas presbiter. — Albizo presbiter, et custos. — Dominicus presbiter. Amalfredus presbiter. — Ursus presbiter . — Bonizo presbiter. — Joannes presbiter. — Leo presbiter. — Teredo presbiter. — Vuinizo presbiter. — Albertus presbiter. — Joannes diaconus. — Petrus dia- conus. — Albericus diaconus. — Dominicus diaconus. — Leo clericus. Berues Jilius clericus. — Vuido clericus. — Orbertus clericus. Ut autem verius credatur, et ab omnibus conservetur perpetua- liter , nostris propriis articulis confirmavimus hoc privilegium, insuper nostram papalem Bullam subtus imponi jussimus. Joannes Divina praeunte dementia Sanctae Catholicae , et Apo- stolicae Ecclesiae apostolicus praesul. Datum, et scriptum per manus Petri cancellarii sacri Latera- nensis Palatii in mense madio Indict. V. Anno 1033. — Un tale, per nome Ricco, gover- nava la chiesa pisana. 1034. — Alcune manoscritte cronaclie di Pisa dicono che in quest’ anno i Pisani presero Bona, la patria di sant’ Agostino, ed Utica ove Catone inse- gno come si possa morire invitto dinanzi a chi tutta abbia vinta la terra. 11 Roncioni poi e lo Spina ne parlano di nuove spedizioni nella Sardegna e di nuovi trionfi: lo che conferma anche il Morrona, appoggiandosi ad una iscrizione in marmo esistente nella facciata della Primaziale pisana. Ma la spedizione a Bona sem- bra appartenere piuttosto all’ anno 4036. Per l’altra contro Sardegna, molti dubbii le si Ievano contro: vi ha almeno sbaglio nell’ epoca, e falsita nelle cir- costanze (1). (1) Vcdi Muralori Script , Her. Hal. tom. III. cart. I., e Manno Storia di Sardegna , altrovc cilata. Loco bfn Sigilli. 155 Anno 4035. — Ne al coperto d’ ogni attacco si e la impresa ai danni dei Saraceni nell’ isola di Li- pari., mentre nel torao VI. Rer. Ital. non se ne fe’ pure una parola. Nullostante si vuole che i Pisani, armate quaranta galere, volassero a liberar Lipari dalle mani degl’ infedeli. Inaspettati piombarono sul porto : parte delle navi nemiche presero, parte af- fondarono. Cinta poi d’ assedio la citta, non ando molto che 1’ ebbero sottomessa; e di la stendendosi su tutta 1’ isola, fecero un grosso bottino. Prezio- sissima, tra le altre cose, ne portarono la testa e una mano del glorioso apostolo s. Bartolomeo; le quali reliquie onorevolissimamente conservansi an- cora alia venerazione comune nella cbiesa mag- giore. Taluno, a distruggere questo fatto, ne fa sapere che i Pisani non potettero rinvenire questi sacri avanzi, mentre fin dall’ anno 832 il corpo del santo era stato portato da Lipari a Benevento, e quindi a Roma nell’ anno 983, per comando del- F imperatore Ottone (1). Ma questa difficolta non e insuperabile; conciossiache puo agevolmente sup- porsi che parte si, e parte non avessero trasferite delle auguste spoglie. Non cosi facilmente puo con- ciliarsi la storia delle gesta sopra notate con un’ al- tra istoria, la quale dice non avere i Pisani nep- pure tirato d’ un arco; che appena la nuova del- F appressarsi loro suono tra la barbara gente, que- sta, come foglie dinanzi al turbine, si disperse ed in sicuro luogo si ritiro, nella speranza che F ar- mata pisana trovando un paese vuoto di robe e d’ abitatori, lontano e disastroso, nol vorrebbe te- nere, ed eglino potrebbero tornare ad abitarvi. La speranza fu delusa, poiche i Pisani tennero F isola (1) Sigeb. nella sua Cronaca Fanno 840, secondo Leone Ostiense lib. I. cap. 26. 156 e la munirono. Oh! la spcranza discese dal cielo consolatrice unica all’ uomo, eppure lo inganna! Anno 4036 . — Da Lipari Farmata vincitrice si di~ resse su Bona, come accennammo sotto Fanno 1034. Tagliarono a pezzi molti infedeli, e tra gli altri il loro re medesimo: poscia carichi di ricchezze tor- narono alia patria. Era allora in Italia F imperatore Corrado per far di sedare certi tnmulti in Lombar- dia. A renderselo amico Pisa mando degli amba- sciatori, tributandogli la corona del re di Bona. Ed egli, F imperatore, ebbe carissimo il dono; e lodando F affetto dei donatori, ne mostro poi sempre buon grado, ricambiandoJi di molto amore (1). In questa circostanza si die pure cominciamento al ponte Vec- chio (ponte della Fortezza) il quale era di legno, e compimento non ebbe che nelF anno 1046. 1040. — Una buona mano di pisani soldati era verso Yiareggio. Ingelositine i Lucchesi, misero in- sieme un esercito per isbandarli; e difatti li ave- vano stretti in evidente pericolo. Se non che so- pravvenendo altri Pisani, i Lucchesi si trovarono tolti in mezzo; e venuti a battaglia in un luogo detto Palucle, furono sbaragliati, non pochi morti e non pochi prigionieri (2). 4044. — Appare da contratti esistenti nelF archi- vio arcivescovile che in quest’ anno fu eletto a ve- sc-ovo di Pisa Obizzo, il quale per molti anni fe’ della sua cattedra cattedra d’ amore e di sapienza. Egli (1) Pisani feceruni stolum magnum et vicerunt civitatem Bonam in Africa et coronam regis imperatori dederunt riporla il Muratori, ma nell’ an- no 1035 dei siioi Annali; calcolandosi forse secondo lo stile pisano nei docu> menti dacuitrasse la nolizia. I Pisani, come osserva il medesimo, anticipano di 9 mesi l* anno volgare. (2) Il compilatore non ha osato togliere questo falto, che il Tronci rac- conta del suo senno migliore. Fa peraltro notare non essere appoggialo a va- lid! document!, e che, ritenendolo anco per vero, dovelte essere di ben pic- colo momento, mentre i piu accurati annalisti non ne fanno menzione. 157 consacro la chiesa di s. Michele in Borgo (1); so- scrisse una Bolla di Leone IX per la chiesa di Porto; di molti beni dono il priorato di santa Maria a Fine, come mostrasi per un privilegio concesso al mede- simo priorato dal pontefice Anastasio Panno 1454. Anno 1050. — Musetto, pari al vulcano che nella quiete prepara 1’ eruzione, costretto a cedere alia forza dei Pisani, andava scorrendo le coste affri- cane attizzando ire, allettando speranze, seminando odii, disponendo vendette. E come d’ ogni parte gli venivano aiuti, posta insieme una grossa armata, rinavigo alia volta della Sardegna, Yi giunse il 20 d’ agosto. L’ incendio di alcuni borghi annunzio il di lui arrivo. Non e a dire che i Pisani fecero bar- riera al torrente che inondava. Congiunti a non po- chi isolani allagarono del sangue nemico la terra; ma la loro schiera assottigliava, quella dell’ oste pareva farsi ogni momento maggiore. Nullostante sentendo dolce la morte onorata, specialmente allora che si spende in difesa della patria, fecero le prove estreme; ne Musetto pote levare la bandiera del trionfo che attraverso a monti di cadaveri de 9 suoi e sulP ultimo cadavere degli eroi di Pisa. Fatto padrone dell’isola, si diede per ogni guisa a fortificarla; poi ne cinse la corona. — Pesante di tanti delitti, i Pisani doveano ben presto strapparla. 1052. — Pervenuta la notizia delle cose di Sar- degna al pontefice Leone IX, ne fu punto del piu vivo dispiacere; e, desideroso della quiete e della sicurezza dei Cristiani, mando un legato a Pisa per incitarla alia recuperazione delf isola. Cio non dovette che aggiunger esca al fuoco; poiche Pisa era troppo interessata a difendere il proprio onore. A vero dire il popolo era snervato da lunghe e (1) Vedi Leg. D. Agost. Man. Camald, Storie di detto Ordine part. II. lib. II. cap. 9. ^0 w ' e @i dispendiose imprese, spaventato dalla strage della fresca giovcntu che formava le guarnigioni sarde; ma troppo ne andava di gloria. Laonde accolsero unanimi il consiglio dell’inviato pontificio, dal quale udirono che il dominio dell’ isola sarebbe loro in per- petuo, ove lo riconoscessero dalla Sede Apostolica. Si elessero dieci persone per gli alTari della guerra; le principali famiglie gareggiarono in fornire uomini e navi; una poderosa armata fu in punto: ammi- raglio Jacopo Ciurini, o, secondo alcuni, un tal Gualduccio uomo della plebe, ma pieno d’ ingegno militare; e si fe’ vela. La prepotenza dei venti porto la flotta all’ isola di Corsica. Scese le truppe a terra e ben accolte, vi piantarono insegne di pisano do- minio (1). Racconciate le navi, si rimisero in via portando seco il corpo di santa Reparata, che si conserva tuttora nella pisana Primaziale. La fama precorse 1’ arrivo dell’ armata ; e Musetto, calco- lando cio che gli tornerebbe a miglior pro, avviso di non attenderla. Onde spogliata 1’ isola d’ ogni bene ed incendiatala, torno vergognosamente in Barberia. I Pisani trovando cosi arso e distrutto il paese, si diedero a restaurarlo; provvistolo di abitatori, munitolo di viveri ed assicuratolo di guar- die, furono alia patria vittoriosi senza combattere (2). (1) Taluni vogliono che non a caso, ma a bella posta fu in Corsica un distaccamento di pisani, Di qui pure alimento alle discordie che vedremo tra Pisa e Genova. Vedi Fanucci, Storia dei tre celebri popoli marittimi etc. (2) Cosi il Tronci e la Storia ms. del Taioli. Ma primierarnenle vi e forse sbaglio nella data del fatlo. L’ accuratissimo Muratori lo segna all’an- no lOoO de’ suoi Annali d' Italia, riportando queste parole del lib. VI. Rer. I tal, pag. 167 : Pisani cum Romana Sede firmata concordia , cum privilegio et vexillo Sancti Petri invaserunt Regem et ceperunt ilium et totam terram , et coronam imperatori dederunt. Et Pisa fuit firmata de tota Sardinea a Romana Sede. Il medesimo annalisla dubita forte dell’ esistenza del fatto. In secondo luogo molli scrittori variano alfallo le circostanze- Non dicono che Musetto fuggisse, non aspeltando 1’ arrivo dei Pisani, ma che combatte comeun leone; Anno 1053. — Abbiamo veduto la citta ricca ormai di gloria guerriera: il 15 agosto di quest’ anno ce la offre tutta bella della gloria della pace. Dodici nobilissimi cittadini si riunirono per dar principio alia pia Opera della Misericordia. Nel loro cuore parlo fortemente la misera condizione di povere fanciulle che non trovano chi le impalmi, perche non hanno da comprare un marito: senti- rono nel piu profondo deli’ animo la ignominia ed il danno dell’ uomo fatto schiavo dall’uomo; cer- carono nel silenzio delle case quella indigenza, che vergognando di stender la mano languisce nello stremo di tutto. E a metter qualche riparo a questi mali contribuirono 25 libbre di Grossi ciascuno, pre- gando quel Dio, che c carita, che all’umile offerta benedicesse, sicche fosse alba di giorno luminosis- simo neiravvenire. La preghiera non ando dispersa; poiche la santa istituzione, ogni di piu prosperando, e oggimai inesausta sorgente di sovvenimento di conforto a chi penuria a chi soffre. Del rimanente la citta di Pisa era di quei tempi in quattro parti distinta, che si chiamavan quar- tieri. Si appellava il primo quartiere di Ponte , ed aveva per insegna un gonfalone vermiglio; quar- tiere di Mezzo il secondo, ed aveva lo stendardo con sette liste gialle in campo rosso; il terzo di fuor di Porta aveva una porta bianca in campo vermiglio; il quarto di Chinsica una croce bianca in campo rosso. In ciascuno dei quartieri v’erano tre dei ram- mentati cittadini. Per quel di Ponte , Piero Orlandi cavaliere, M, Raimondo Lanfranchi dottorc, Paolo che doppiamente ferito cadde da cavallo, e fatto prigioniere fu condotto a Pisa, ove mori Ira i ferri. (Vedi, tra gli altri, Sismondi Storia delle Rcpubbliche Italiane ). Il fatto sta che vi e molla incerlezza. 160 di M. Vittor Ricuc-chi mercante; per quel di Mezzo , M. Anoteo o Antico Visconti cavaliere, M. Andrea da Caprona dottore, Napoleone conte di Donora- tico; per quel di Porta , M. Jacopo Masca cavaliere, M. Pantaleone Carletti cavaliere, Giacomo Secca- rnerenda mercante; finalmente per quel di Chinsi- ca, M. Obizzi Upezzinghi cavaliere, M. Simone del Pensa o Pancia dottore, Anselao del Mosca mer- cante e conte di Porto. Anno 1055 . — Vittore II eletto papain quest’an- no intimo e celebro un concilio in Firenze. Ncl- l’essere in questa citta riceve sotto la sua prote- zione i canonici di Pisa (1). Sotto quest’ anno medesimo il Muratori, senza as- sicurarla, riporta la notizia d’una guerra fra i Pi- sani e i Lucchesi, i quali si diedero battaglia in un luogo detto Vaccoli. , vicino a Lucca, ed i Pisani ri- masero superior! : Pisani vero vicerunt. 1060 . — Anco Niccolo II trattenendosi in Firenze prese all’ ombra del suo proteggimento i canonici pisani: V originale della Bolla esiste nell’ arcliivio capitolare. 1062 . — Numeroso naviglio pisano ando in aiuto di Roberto Guiscardo duca di Puglia. 1063 . — A preghiera di un canonico di Pisa, papa Alessandro II conferma alia chiesa Primaziale tutto che erasi acquistato per la di lei canonica (2). In quest’ anno era qui vescovo Guido Pavese (3). Egli comincio il suo ministero in un’ epoca glorio- sissima, poiche in quelf anno i Pisani fecero 1’ im- presa di Palermo. Irritati contro i Saraceni che la dimoravano ed (1) Apparisce da una Bolla del rammentalo pontefice, esistentc neH’ar- chfvlo capitolare c segnata del n.° 125o. (2) La Bolla relaliva csisle nelCarchivio capitolare. (3) Sonovi conlratti di lui fino all’ anno 107G, — a s^/SKjhl 1G1 incessanti inquietavano il pisano commercio, pattui- rono che i due lratelli normanni Roberto e Rug- gero batterebbero i nemici dalla parte di terra, in- tanto che essi farebbero di aggrcdirli dalla parte del mare. Infatti, sotto il comando del conte Gio- vanni Orlandi, una grossa armata passo in Sicilia. Palermo fu stretta d’ assedio; dopo alcuni giorni fu data una battaglia nella quale assediati e asse- diatori fecero estreme prove di valore: da ogni parte gran numero di uccisi. I Pisani seguitarono ad impedire che nella citta entrasse aiuto di sorta alcuna; e bene spesso rinnuovarono assalti con mille istrumenti di guerra. Un giorno pensarono tentare un gran colpo dal lato di mare. Una grossa catena assicurava il porto. Il generate fe’ romoreggiare dalla parte di terra per tenere a bada gli assediati; in- tanto die di grand’ urto nella rammentata catena, e pote spezzarla, ed impadronirsi del porto prima che i nemici ne fossero* accorti. Avutone sentore accorsero i bar bar i e con impeto tanto, che i pi- sani si ristrinsero a se aspettando che il nugolo pas- sasse. Intanto il capitano andava rammentando i loro trionfi, e gli esortava a non volere spengere in un giorno lo splendore di molti anni. Quindi pi- giiando a fare le parti di primo soldato, col la spada alia mano si lancid nel piu folto e nel pin dnro dei nemici. L’ esempio fu scintilla cui gran fiamma se- condo. I Pisani tanta spiegarono forza e coraggio che i nemici andarono poco a poco mancando, e alfine dovettero cedere ed abbandonare Palermo. Entrati i vincitori caricarono cinque navi d’ infinite ricchezze, prede gia fatte sui Oristiani, e le con- dussero a Pisa con infinita allegrezza (1). (1) Lo conferma monsignor Francesco Venturi vescovo di san Severo; ed il Volterrano con qucstc parole: Pisani Panormum in Sicilia ademerunt , TOMO I. 21 'i u 162 Depositato siffatto tesoro nell’erario della Re- pubblica, si agito gravemente in qual cosa lo si do- vrebbe impiegare. Comecche riconoscevansi tanti prosperi successi dal Cielo, fu avviso comune di eri- gere un tempio che degno fosse di Dio e meravi- glia all’universo. Impero mandarono ambasciatori a Sua Santita che della opportuna facolta volesse esser cortese, ed al re Enrico di Germania spedi- rono Aldobrando Visconti. Alessandro II non solo annul, ma alia nascitura chiesa fu largo di moltis- simi privilege cd il Re le costitui una regia dote. Periodic si comincio la grand’ opera la dove, sulle rovine delle Terme dell’ imperatore Adriano era sorta la chiesa di santa Reparata, ed il nuovo tem- pio fu intitolato a Maria sempre Vergine madre di Dio, ed avvocata dei peccatori (1). Molti anni vi vollero per condurlo a tale vaghezza e perfezione, per cui pochi gli stanno a confronto, quasi nessuno lo supera, specialmente ove si consideri che la mag- gior parte delle pietre singolari portate furono di Ma F. Tomm. Fazelo non dice che i Pisani pigliassero Palermo. II Muratori poi, dopo aver citate le parole degli antichi Annali pisani « Pisani ceperunt nrbem » aggiunge: Il Malaterra assicura essere accorsa tanta mollitudine di musulmani e di cittadini, che i pisani se ne tornarono a casa, contenti di portar via, come in trionfo, la catena spezzata. Egli e bensi fuor di dubbio che essi trovate in quel porto sei navi di ricco carico, cinque ne diedero al le fiamme e la piu ricca seco menarono a Pisa, dei cui immenso tesoro si ser- virono dipoi per dar principio alia magnifica fabbrica del loro Duomo. Di questa gloriosa impresa resta tultavia la memoria in versi in un marmo nella faccialadi quel maestoso tempio, e che si legge stampata in molti scrittori. Ne qui si parla della presa della citla di Palermo, ma sibbene delle cinque navi bruciate e della ricchissima menata via: con aggiungere che sbarcati i Pisani fuor di Palermo vennero alle mani coll’esercilo dei Saraceni, ne fecero un gran macello. ... dopo di che alzate le ancore se ne tornarono tutti festeg- gianti a Pisa. ( Annali d' Italia, anno 1063). (1) Nell’ archivio capitolare conservasi un istrumento da cui si vede che, avanli la edificazione del Duomo, ivi era la canonica sotlo titolo di santa Maria: nel detto slrumento son soltoscrilti I’arciprele, il primiccro, ed otto canonici. 163 comprendere in esso 1’ alba foriera del risorgimento delle arti. Anno 1065. — Sull’esempio di Niccolo II, papa Alessandro II riceve sotto la sua protezione i Ca- nonici ed il Capitolo di Pisa: la Bolla relativa con- scrvasi nell’ archivio capitolare. Sotto quest’anno Leone Ostiense (lib. 3. cap. 25J racconta che Barasone, uno dei re della Sardegna, fece istanza a Desiderio cardinale ed abate di Monte Cassino, per aver monaci da fondar un monastero nelle sue eontrade. Dodici religiosi, d’ ogni uopo forniti, partirono sopra una nave; ma i Pisani la bruciarono e di tutto fecero deserti i poveri mo- naci, per invidia dei Sardi: Maxima Sardorum invidia ducti . Cio mostrerebbe, osserva il Mnratori (Annali d’ Italia ann. 1065), che i Pisani non signo- reggiavano in Sardegna. 1066. — Dicesi che i Genovesi tenendosi offesi perchc i Pisani avevano occupata l’isola di Corsica, si portarono con un’armata fino alia foce dell’ Arno; e fatte alcune prede, frettolosamente tornarono ad- dietro (I). Gli storici genovesi non ne fanno pure una parola. 1070. — Ma anch’ essi ne dicono che Genova e Pisa furono alle mani tra loro nell’ anno presente. Narrano che i Genovesi annate dodici galere, sei delle quali erano cariche di merci, corsero alia bocca d’Arno e vi commisero molte ostilita (2). (1) Vedi il dolt. Marangone, Breviario Cronologico di Pisa. (2) II Sigonio, Girolamo Serra e molti altri dicono che i Genovesi usci- rono cosi in armi, perche i Pisani li avevano nuovamente assaliti in Corsica. Il Tronci lace questa circostanza, appuntando invecc il tradimento dell’ar- mata genovese, la quale venne sotlo colore di andare a portar mercanzie in Levante. Gli anlichi Annali pisani poi non dicono altro che in quest’ anno sorse gran guerra Ira Genova e Pisa. (Tom. VI. Rerum Italic.') Avutane notizia i Pisani armarono pur essi in furia p v ^ delle navi, e spintisi addosso ai nemici tolsero loro > sette galere: le rimanenti scamparono fuggendo. Vuolsi da taluni (1) che questa vittoria avvenisse il giorno della festa di san Sisto (6 agosto), ed ag- giungesi che a questo santo, nel cui di solenne eransi gia mietute altre palme, s’ inalzo allora un tempio che splende ancora sotto il di lui titolo. In quest’ anno medesimo fu e si trattenne qual- che giorno in Pisa papa Alessandro II (2), il quale, nel di 6 ottobre, consacro in Lucca la cattedrale di s. Martino. Anno 1072. — Quel Guido Pavese che dicemmo vescovo di Pisa nel 1063, in quest’ anno, col con- siglio de’ cherici e suoi fedeli, eresse a Collegiata la chiesa di s. Pietro in vinculis (3), di patronato (l) Sigonio, Dott. Marang. P. Gord. e Volterran. (2”) Vedi Platina e Tareagn. (3) Vuolsi che questa chiesa fosse dedicata ad Apollo. I Pisani la dedi- carono al Principe degli Apostoli dopo che egli dissemind tra loro la luce dell’ Evangelo. La consacro solennemente P arcivescovo Pietro P anno 1119, Al priore di questa chiesa fu poi sottoposta la chiesa parrocchiale di sant’ An- drea fuor di porta, che egli la conferisse a suo piacimento. Nel 1221 papa Onorio III, con una Bolla datata del 23 gennajo approvo, come falto avevano Celestino III ed Urbano III, Pordine dei canonici Regolari Agostiniani di s. Pietro di Pisa, loro confermando tutti i beni, e nominatamente la parrocchia di sant’ Andrea; la quale non ostante fu cagione di gran conlroversia l’an- no J36S. Delegati dal Pontefice a giudici il priore di s. Frediano di Lucca e Guidone abate di s. Michele di Pisa, senteuziarono : Che la chiesa di sant’ An- drea apparteneva alia prioria di san Pietro: che dal priore di san Pietro ne sarebbe approvato ed istituito il curalo: che questi in certi giorni dell’anno assisterebbe alle sacre cerimonie nella chiesa di san Pietro; nel giorno di sant’ Andrea pagherebbe al priore un censo annuale di 40 soldi, e darcbbe desinare a lui e a’di lui canonici; nella Domenica delle Palme offrirebbe al- l’altare di san Pietro una candela di una libbra di cera; e tutta finalmente ^ col priore dividerebbe la cera degli onori funebri di quei parrocchiani che 5 non fossero sepolti ne in san Pietro, ne in sant’ Andrea. San Pietro in vinculis \ resto collegiata per lungo tempo; poi si ridusse a commenda; in seguito di- izio di monaci Olivetani ; oggi non e che prioria. episcopate: lo abbiamo cartapecora, conservato Anno 1 073. — 11 17 ehessa Beatrice, madre 165 da relative contratto in nell’archivio arcivescovile. gennajo era in Pisa la du- della celebre contessa Ma- tilde, e il duca marchese Gottifredo, i quali pro- nunziarono un placito a favore del monastero di s. Ponziano di Lucca (1). 1075. — Dopo l’avvenimento del 1070 i Pisani e i Genovesi non fecero che scambievolmente per- seguitarsi, colla peggio ora dell’ una ora dell’ altra parte; ma sempre con danno d’ ambedue, special- mente per il commercio. In quest’ anno, il 13 agosto, un buon numero di galere genovesi uscirono dal porto e si recarono a mettersi intorno al castello di Yada onde impadro- nirsene. I Pisani, ben sapendo che Yada non po- teva correr pericolo d’ esser presa se non con lun- ghissimo tempo, pensarono portar la guerra ai Ge- novesi nel loro paese. Infatti allestite le navi, si cacciarono verso Genova; e pervenuti a Rapallo, castello di quella riviera, vi si accamparono, e dopo fieri assalti in breve tempo V ebbero preso, sae- cheggiato arso, uccidendo e menando prigionieri non pochi di quei paesani. Non poteva tacerne la fama. Giunse alle orecchie dei Genovesi che assediavano Vada; ed eglino, temendo danni maggiori, di su- bito rimbarcarono e ripatriarono (2). Alcuni ag- giungono che nel ritorno s’ imbatterono nei Pisani ed impegnarono un’azione orribilmente sanguinosa; ma dopo lungo contrasto, prevalendo in agilita i legni nemici, furon posti in fuga e per lungo tratto inseguiti (3). (1) Fiorent. Append, Memnr. di Matilde , pag. loO. (2) Laraaggior parte degli storici pospongono questo fatto all’anno 1079. (3) Vedi Fanucci op. cit, Grassi, Descrizione storica e artistica di Pisa. 166 Anno 1076 . — II 18 aprile termino in Pisa il corso di sua vita la duchessa Beatrice, come costa dai versi di Donizone (1): Octo decemque dies aprilis dum sinit ire Christi post ortum vera de Virgine corpus Anno milleno bis ierno septuageno. Principessa di gran pieta, di ugual prudenza e di animo virile, gloriosa di aver educata a tanto sa- pere e a tanta virtu la sua figlia, meritava bene che i Pisani ne onorassero l’augusta spoglia. Essi adunque la seppellirono in una bellissima tomba tutta istoriata di basso rilievo, la quale stette per lungo tempo in alto fuori della porta del Duomo verso il campanile, poi fu collocata nell’ interno della chiesa, e finalmente portata a fare meravigliosa comparsa nell’ urbano Camposanto, ove la morte, se non c bella, perde almeno 1’ orrore. AH’ anno 1810 parleremo di quest-’ ultima tras- locazione. Frattanto riportiamo 1’ epitaffio antico in- ciso nella tomba, e la iscrizione che a’ nostri tempi fuvvi posta al piede. QUAMVIS PECCATRIX SUM DOMNA VOCATA BEATRIX IN TUMULO MISSA JACEO QUAE COMITISSA. » Anno Domini MCXVI. XI K. augusti obijt D. Matilda fel. mem. Comitissa, quae pro anima genitricis suae Beatricis Comitissae vener. in hac tumba honorabili quiescentis in multis partibus mirifice bane dotavit eeelesiam, quarum Animae requiescant in pace. An. Domini MCCCIII sub digniss. operario Burgundio Tadi occasione graduum fiendorum per ipsum circa eeelesiam supradictam tumba superius notata bis traslata fuit tunc de sedibus primis in eeelesiam , nunc de ecelesia in bunc locum , ut cernitis, excellentem. Ritornando ai funerali della duchessa Beatrice, troviamo che il monaco Donizone sopra citato si adiro contro Pisa, perche quivi e non in lib. I. cap. XX. 167 furon composti quelli avanzi prcziosi, cui lamento sotto una terra contaminata di pagani, cli turchi, d 1 2 3 africani, di libici e di caldei. Compiangiamo il poverello chc non intendeva come il sonno di morte non si allevia ne si aggrava sotto il piede di qual- siasi; ma sappiamogli grado a un tempo che in questa gnisa ne fece conoscere che Pisa era gia famoso emporio e porto franco a qualunque na- zione dischiuso (1). Anno 1077 . — Landolfo, successo a Guido nel vescovato di Pisa, ottenne dal Pontefice V jus so- pra i veseovi di Corsica, ove ando poi legato del medesimo pontefice. Furon pure concessi dei pri- vilegi all’ abate di san Michele. 1078 . — La contessa Matilde (2) fece larghi doni al Vescovo di Pisa ed al Capitolo, meta a ciascuno. Ecco il documento (3): IN NOMINE DOMINI NOSTRI JESU CHRISTI DEI AETERNI. Anno ab Incarnatione ejus millesimo septuagesimo octavo. Sexto K. Septembris. Indictione xv. in Episcopio S. MARIAS pisanensis Ecclesiae , ubi nunc D. Landulfas elect as episcopus praeesse videtur. Ego Matilda filia q. Bonifatii marchionis atque duels , quae professa sum lege vivere Salica , offertrix et donatrix, ipsius pisa- nen. Episcopji, et Ecclesiae, praesens praesentibus dixi. Quisquis in sanctos, ac venerabiles locos ex suis aliquid contulerit rebus, juxta auctoris vocem, in hoc saeculo centuplum accipiet, insuper , et, quod melius est, et vitam aeternam possidebit. (1) Vedi Muratori, Annali d ’ Italia. (2) La celebre contessa Matilde successe al padre suo Bonifazio sotto la lutela della madre Beatrice. Per la morte di questa rimasta sola al governo della Toscana e degli altri avili suoi stall, fe’subito conoscere rari pregi. La fama che di lei dura e giustissima ricompensa alia di lei mente c al di lei cuore. (Vedi Muratori). (3) L’originale esisteva gia presso un tal capitano Cammillo Lanfranchi, il quale stretto dalle piu calde preghiere de’ signori canonici perehe volesse concederlo alParchivio capitolarc si fu inflessibile, ed a slcnto condiscese a lasciarne pigliar copia. Ideoque ego quae supra, Marchionissa, atque. Ducatrix dono et offero a presenti die in eundem pisanen. Episcopium pro animae patris , matrisque et meae mercede, eo tamen ordine, et ut infra le- getur. Id est, curtem unam, quae vocatur Scannello , et medietatem curtis Popoclij, et medietatem curtis Casadici, et medietatem curtis Lusiliauli, et medietatem curtis Montis Veturnij, et medietatem curtis Castri Vecchij, et medietatem curtis castri Sancti Ambrogij domos, colcoles, cum castris, et cappcllis in ibi habentes , seu cum casis mas- seritijs, et omnibus rebus, vervis , atque ancillis ad supradictas curtes, et cappellas, seu castra pertinentibus. Iuraque mea, quae habeo in locis, et fundis plebis Sancto Petri Barbaroli, et plebis Sanctae Ma- riae, Barbaresae, et plebis Sanctae Mariae Gessi, et plebis Sancti Burdignani, et sunt praefatae curtes cum ipsis jam dictis castris, et cappellis, et cum supradictis rebus ad ipsas curtes , et castra, seu cappellas pertinentibus, sunt inquam per mensuram ad juxta in to - turn sexcenti Mansi, et si amplius de meis juribus, et rebus ad ipsas curtes, et castra, seu cappellas pertinere inventum fuerit. Quae omnia, ut supra legitur, per Jianc ojfertionis cartulam supradicti episcopij in potestate persistant, proprietario jure, ut dictum est, et lam praedi- ctae curtes, et castra, seu cappellae cum pertinentibus, cum seminibus, et vineis, cum areis suis, terris arabilibus, et gerbis, pratis, pascuis, sylvis, et stallareis, rivis, ripibus, et paludibus, seu molervdinis, pisca- tionibus , et venationibus, cultis , et incultis, divisis, et indivisis, una cum omnibus terminis, accessionibus, et usibus aquarum, et aquaedu- ctibus cum omnibus juribus adiacentibus, et pertinentiis eorum per loca, et vocabula ad ipsas curtes, et castra , seu cappellas pertinenti- bus. Quas etiam curtes, et domos, colcoles, cum tarn dictis castris, et cappellis, seu rebus omnibus ad eas pertinentibus, jusque meum supra dictas, una cum accessionibus, et ingressibus, seu cum inferioribus, et superioribus suis, qualiter superius legitur, in integrum ab hac die in eundem episcopium cedo, dono, confero, et per presentem cartulam ojfertionis confirmo. Insuper per cultellum, festucam nodatam, guan- tonem, et vasonem terrae, seu ramum arboris ad partem ipsius epis- copijs legittimam facio traditionem, et investitu/ram, et me exinde fo- ras, expulsam guarpivi , et absentem feci, et ad ipsius episcopij pro- prietatem habendam relinquo , et faciat exinde episcopus, qui nunc est electus, et pro tempore in eodem episcopatu ordinatus fuerit, et ca- nonici, qui nunc, et pro tempore in canonica supradicti episcopatus Sanctae Mariae pisanensis ecclesiae ordinati fuerint, et comuniter, et caste vixerint, eo tamen ordine, ut supra legitur, quicquid voluerint 169 pro animae patris, matrisquae, maeque mercede. Ita tamen, ut me- dietas praedictorum bonorum sit in sumptu, et usu praedicti episcopij , altera vero medietas ad usum, et sumptum praedictorum canonicorum communiter, et caste viventium. Eo tamen modo, ut non liceat epi- scopo, vel canonicis supra dicta bona commutare, vel alienare, seu locare, aut in beneficium dare, vel aliquo alio modo alicui concedere, nisi pro utilitate ejusdem ecclesiae. Quod si episcopus non observaverit, praedicto usufructu careat, usquequo se emendaverit, et concessio, et alienatio irrita habeatur, et praedictorum bonorum ususfructus deveniat ad aedificationem, vel restaur ationem, seu terrarum acquisitionem supra- dictae ecclesiae, aut in redemptionem captivorum, concessa facultate ali- cui clerico, vel laico, qui hoc pro timore Dei curare voluerit. Quod eodem modo de supradictorum canonicorum parte constitutum est. Et si dicti canonici canonice non vixerint praedicto usufructu careant, usquequo ad communem, et castam redierint vitam, similiter in pote- statem civium deveniat. Insuper, et hanc conditionem supra dicto tenore Episcopo imponimus, ut annualiter anniversarium matris meae Beatricis honorifice celebretur, et omnia supradicta habeant pro mer- cede animae patris, matrisque, et meae, sine omni mea, et haeredum, ac prohaeredum meorum contradictione, vel repugnatione. Si quis vero, quod futurum esse non credo, immo si ego ipsa Matilda, quod absit, aut ullus de haeredibus, et prohaeredibus meis, seu quaelibet apposita persona, contra hanc cartulam offertionis ire quandoque tentaverimus, aut earn per quodvis ingenium infringere quae- sierimus, tunc inferimus ad illam partem, contra quam exinde litem intulerimus mulctam, quae est poenae auri optimi lib. duo millia, et argenti pondera quatuor millia, et quod repeterimus vindicare non valeamus. Sed praesens cartula offertionis diutmmis jirma permaneat, atque persistat, inconvulsa constipidatione connixa, et pergamenam cum atramentario de elevavi paginam . Hanc cartulam offertio- nis tradidi Teurpeti not. d. Imperatoris scribendam, et rogandam. In qua supradicta confirmans testibus obtuli roborandam. Actum in Bur go Marturae feliciter. Ego Matilda in hac cartula offertionis a me facta subsc. MA TIL Signum DA ►£< DEI GRA TIA Si qua est. Ego Ardericus judex interfui, et subscr. Signa manuni: — Eoberti fil'd q. Gulielmi. — Erverii filii q. tomo i. 22 Arnulphi. — Odoardii filii q — Pabani filii q. Rodilandi. — Gua- landi filii q. jSigherii. — /Sigherii q. Matthei. — Gherardi q. Lanfran- chi. — Adthonis filii q. Ghisle. Testium lege viventium Salica. Rainerii fil. suprad. Sighei'ii. — Guadulfini filii q. Caroli et Gherardi filij Golfidi. — Testium omnium lege Longobarda viventium. Ego supradictus Teurpetus notarius d. Imperatoris scriptor hujus cartulae ojfertionis post traditam compiler}, et dedi, etc. Anno 1081. — Nell’archivio episcopate esistono | istrumenti dai quali appare che da quest’ anno fino all’ anno 1085 fu vescovo di Pisa Gherardo, il quale istitui un monastero di monaci Bcnedettini, a cui diede la chiesa di s. Lussorio fuori della citta, c molti terreni in dono. E da una Bolla di papa Gregorio VII, segnata VI Nonas Martii, e diretta all’ abate Leone, si vcdono concessi molti privilegi alia Badia di san Zenonc di Pisa. Ma quello che rende memorabile l’anno presente si e 1’ approvazione di una specie di codice marit- i timo, fatta in Pisa dall’ imperatorc Arrigo IV (1). 1 Pisani vi lavoravano da qualche tempo, e lino dall’ anno 1075 era stato presentato al pontefiee Gregorio VII, e ne avea riportato il pieno gradi- mento. D’ora in poi servi di norma a tutte le com- mercianti nazioni (2), ed assicuro la integrity, la giustizia e la eguaglianza. 1084. — Il medesimo imperatorc Arrigo, teste rammentato, fu largo di molti privilegi al Capitolo (1) Il Muratori (Antiquit. med. aevi. Dissert. XLV) rlporta Plmperiale Diploma ove leggesi « Gli usi e le consuetudini che hanno nellecose di mare , not le osserveremo loro, appunto come portano le loro costumanze ». Inoltre a chiaramenle mostrare ai Pisani la loro liberta, Plrnperatore dice che non ^ mandera alcun marchese o ministro in Toscana, senza un lodo dei dodici consoli pisani: e molti altri favori che agevolmente risconlrare si possono anche nella Storia del Fanucci. (2) Vedi Grassi op. cit., c Rcpelti Dizicnario storico e geografico 171 dei canonici pisani: neirarchivio capitolare conscr- vasi il clocumento, ed c 1’ infrascritto : IN NOMINE SANCTAE ET INDIVIDUAE TRINITATIS. llenricus Divina favente dementia Romanorum lmperator Augustus. Justis pctitionibus facilis debetur assensus, et pijs petitionibus promptus pro posse effectus. Ideoque indinatus amove Dei , et sandae Ecdesiae , nostrorum Frincipum interventu in presentia vero Patriar- diae Aquileiensis , et laudabilis Paduensis Episcopi aliorumque multorum RR. episcoporum, nee non in praesentia marchionis Al- berti, et Rainerij item marchionis , et Vgonis comitis , ceterorum- que nostrorum principum, concedimus silvam tumulum Pisanorum a faucibus veteris Serchi, usque ad fauces Ami, et a fossa Cuc- cij usque ad mare ad utilitatem, et ad usum canonicae ecclesiae Sandae Mariae, et tertias piscariae de Stagno. Praeterea firmamus eiusdem canonicis s. pisanae ecdesiae omnia, quae eorum juris sunt, videlicet curtem de Pappiana, decimas, praedia, domos, et familias, et cetera omnia, tarn privata, quam communia, et imperiali eis libe- ralitate concedimus, et largimur guaringangas omnes , quae eorum praedijs adhaerent, vi nulla persona magna, vel parva audeat, eos ex praenominatis rebus inquietare, vel aliquo modo faticare, videlicet nec marchio, nec aliquis episcopus, nec homo alicujus Ordinis. Item statuimus, ut tarn personae canonicorum eiusdem ecdesiae, quam et res eorum sub tutela nostrae defensionis habeantur, ut securi, et absque ulla perturbatione possint vacare Deo, et servitio s. Matris Ecdesiae. Si quis autem temeraria praesumptione hujus nostri praecepti decre- tum infringere tentaverit, nostraeque constitutionis violator extiterit, sciat se nostrae malae voluntatis periculum incurrere, et banni nostri poenam se compositurum, scilicet centum libras auri optimi, medieta- tem nostrae Camerae, et medietatem ip>sis Canonicis, qui pro tempore ibi fuerint. Signum Dom. Ilenrici IV. Regis Romanorum Imperatoris Au- gust i III. Loco ^ Signi. Burrardus cancellarius Vice II. archi cancellarij recognovit. Dat. x. Kal. Junij. An. D. I. MLXXXIV. Indit. vij. anno autem D. Enrici Regis IV. Romanov. Imperat. III. Regni XXVIII. Impcrij primo. Actum Sutriac in Christi nomine. Amen. 172 Anno 1088 . — I Saraceni africani, eredi della ferocia di Musetto, inquietavano le coste d’ Italia. Papa Yittore III anelando di veder castigata la baldanza di questi ladroni, e sentendo che Pisa e Genova potrebbero facilmente fiaccarla, si adoprd a riconciliarle e stringerle contro i barbari (1). Ne dovette trovar gran pena nel raggiungere la meta; sendoche le due potenze sentivano che nelle osti- nate loro contese s’indebolivano entrambe e la- sciavan adito all’ altre d’inalzarsi sulla loro rovina. Si scese a trattative: si stabili oblio de’danni scam- bievolmente cagionatisi, aiuto reciproco in ogni caso di rnolestia, e sollecito armamento contro i Sara- ceni dell' Africa. — Si giuro, e Genova e Pisa risuo- narono tutte di pace. Nei porti intanto si affrettavano gli apparecchi di gaerra, sicchc in poco tempo messe in mare e riunitesi le annate, con prospero vento navigarono alle spiagge nemiche di Tunisi. Ivi sbarcati gli eserciti talmente travagliarono la citta, che in breve dovette soccombere. Le vie mareggiaron di sangue: fedeli o infedeli, che monta? — era sangue umano. Da Tunisi i vincitori corsero sopra Elmadia, citta, sccondo alcuni, novanta miglia a ostro di Tunisi, e qui pure recarono il terrore e la strage. Estesero la loro escursione anche sopra altri luoghi del litto- rale; finche, sazie della preda tra loro divisa, le due armatc tornaron ciascuna alia patria (2). (1) Pietro Diacono Chron , Cassia, lib. III. cap. 71. (2) Essendovi molta incertezza tra gli annalisti nel fissare l’epoca di questi fatti, segnandoli alcuni all’anno 1075, altri al 1077, ed altri ad altri anni, abbiarno creduto bene attenerci al Muratori, il quale al 1088 li riferi- sce. E ne fa osservare il gran contraslo che esiste tra gli scrittori nel de- terminare le citta prese dall’ armi collegate. Meadia, Alrnadia, Deamiata, Li- bia, Sibila, Siviglia, Tunisi vengono in campo; menlre Pietro Diacono parla d’una sola citta conquistata. Stando adunque al piu probabile, si conclude 173 I Pisani dovevan piangere la perdita di Ugone Visconti, capitano insigne per nobilta e pin per va- lorem caduto in qaesta spedizione, come cadono i forti. Ma il dolore resto assorto nella gioja del trionfo. Colie ricchezze tolte agli Africani si abbelli di doviziosi paramenti e di suppellettili la chiesa cattedrale, e quella di san Sisto di padronato della repubblica. Dae altri avvenimenti rendono illustre l’anno presenter primo, lo inalzamento al vescovato pisano di Daiberto, nato dalP illustre famiglia de’ Lanfran- chi de’ Rossi di Pisa; secondo, la traslazione in Pisa dei corpi de’ santi martiri Efeso e Potito. Anno 1089. — Dicesi che dalle liete cose del- 1’ Africa pigliando nuovo coraggio, i Pisani anda- rono contro i Mori della Spagna e presero e sac- cheggiarono Almeria, citta situata sal mcditerraneo tra i confini dell’ Andalusia e del regno di Marcia. Intanto avanzava la edificazione del Duomo. A farlo ricco di rendite i Pisani spedirono Aldobrando Visconti e Grualando Orlandi ambasciatori all’ impe- ratore Arrigo IV, a cui domandassero alcune ville per lui nello stato di Pisa possedute, e dal di lui padre alia chiesa cattedrale promesse. I voti furono paghi; poiehe 1’imperatore dono la corte di Pap- piana e di Rigoli, la selva di san Rossore, la fossa Cuccia ed altri possessi : come si pare dal privilegio di Arrigo concesso nelP anno sesto del di lui im- perio, 34 del di lui regno, Indiz. XII. 1091. — Ove si stesse a diverse cronache della Corsica, si segnerebbe al 1089 il fatto che sotto quest’ anno registriamo, cioc che papa Urbano II col Muratori, che lo sforzo dei Pisani fu contro Tunisi: e sembra pure ve* rosimile che I’impresa terminasse per concordato tra essi ed il Re di Tu- nisi, il quale sborso loro molti tesori, promise non piu corseggiare sopra le coste d’ Italia, e rilascio tutti i cristiani schiavi. yf D'w'X/V 174 concesse ai Pisani c al loro vescovo Daiberto 1’isola di Corsica. Chiaro parla la Bolla che il pon- tefice spediva da Benevento il 23 maggio per rnano del cardinale Giovanni. UR33ANU8 EPISCOPU8 SERVUS 8ERVORUM DEI. Dilecto fratri Daiberto Pisanorum episcopo, ejusque successoribus canonice substituendis in perpetuum. Cum omnes insulae secundum statuta legalia juris publici ha beantur, constant etiam eas religiosi imperatoris Constantini liberali- tate , ac privilegio in b. Petri vicariorumque ejus jus proprium esse collatas. Inter cidentibus autem plurimis Divina dispositione judicio- rum calamitatibus, proprietatis hujus in quibusdam passa est Ecclesia Romana jacturam. Ceterum, et canonicis, et legalibus institutis ro- manae dignitatis proprietas , non prolixitate temporum, non divisione regnorum ulla diuturnitate possessionis excluditur ; licet igitur annis plurimis Romana Ecclesia Corsicae possessione caruerit, praedecesso- ris tamen nostri Gregorij VII in ejusdem jus noscitur auctore do- mino redijsse. Nos igitur dilectissimi fratris nostri Daiberti Pisano- rum episcopij ac nobilium civium et carissime b. Petri filiae Ma- tildae Comitissae postulationibus inclinati , quia multum iam dudum obsequij Pisanorum gloriosa nobilitas romanam sibi Ecclesiam fecit obnoxiam, praedictam insulam vice nostra pisanae Ecclesiae consilio clericorum, cardinalium, aliorumque nostrorum fidelium committimus, et condonamus, ita videlicet , ut quamdiu eadem pisana civitas epi- scopium non invasione tirannica, sed cleri, et populi electione cano- nica per romani Pontificis manus acceperit, quemadmodum Landul- fum, Giraldum, et te, carissime frater Daiberte, accepisse dignosci- tur, et quamdiu, in ea, quam hodie exhibet Ecclesiae Romanae fideli- tate perstiterit, hujus nostrae donationis locationisve gratia perfun- gatur, ea scilicet conditione interiecta, ut per annos singulos lucanae monetae lib . 50 Lateranensi palatio remota qualibet occasione per- solvat. Hujus ergo nostrae locationis tenorem inconcussum omnino manere nostra Apostolica auctoritate sancimus, quamdiu ac ipsi pre- scriptae fidelitatis, pensionisque tenorem debita devotione servaverint. Quo circa Successores nostros rogamus , ut tarn pro Beatae Mariae semper Virginis reverentia, quam pro nobilissimae cwitatis Pisanorum amore , ac familiaritate, eadem dilectionem, eadem honorificentiam pi- sanae Ecclesiae semper impedant rogamus, et Daiberti presentis epi- scopis successores et universos pisanae urbis cives post praesentia tem- ,yw- -WN 175 pora secuturos, ut eamdem fidelitatem, eamdemque devotionem Roma- nam Ecclesiae semper exhibeat , ut jirma inter utrosque fides, benigni- tas, amicitiaque domino annuente, permaneat (1). Dat. Beneventi IV. Kal. Julij per manus Joannis S. Rom. Eccles. diaconi cardin. Indict. XIV. Anno Dom. lncarn. MXCI. Pontijicatus autem Domini Urbani PP. II. IV. Loco Sigilli. Soltanto doveano i Pisani pagare ogni anno cin = quanta lire lucchesi al palazzo di Laterano, e go- vernar l’isola di Corsica in nome della Sede Apo- stolica. Anno 1092. — Non contenti di questo dono, Daiberto e la contessa Matilde istigarono papa Ur- bano II a mostrare viemeglio riconoscenza ai Pi- sani, che con le loro vittorie avevan fatto arginc ai Saraceni. Ed il pontefice inalzo il vescovato di Pisa ad arcivescovato, con la supremazia sui ve~ scovi di Corsica. Ne toglie ogni dubbio la Bolla che qui riportiamo. URBANUS EPISCOPUS 8ERVUS SERVORUM DEI. Dilecto in Christo fratri Daiberto Pisanorum episcopio, eiusque successoribus canonice substituendis in perpetuum. Cum universis sanctae Ecclesiae filijs ex Apostolicae JSedis au- ctoritate , ac benevolentia debitores existemus, illis tamen locis , atque personis, quae specialius , ac familiarius Romanae adherent Ecclesiae, quaeque ampliorem ejus gratiam obedientia gratiori officijsque fre- quentioribus, et auxilijs amplioribus promerentur, propentiori nos con- venti caritatis studio imminere. Ipse enim per Prophetam Dominus ait. Honorificantes me honorificabo. Discipulis quoque suis angustia- rum quae pro eo pertulerant , retributionem promittens dixit. Vos estis, qui permansistis mecum in tentationibus meis, et ego dispono vobis, sicut disposuit mihi pater mens regnum. Quia igitur in tanta tamque diuturna schismaticorum tempestate Pisanorum gloriosa ci- vitas multis jam dudum laboribus et obsequijs sanctam Romanam Ec- clesiam Apostolicam sibi fecit obnoxiam, tua quoque fraternitas Di- je>jK ■ /\/v/57k XV 176 vmo caritatis ardore succensa, ob ejasdem sanctae Romanae Eccle- sicie libertatem , non solum impendit, sed et ipsa super impendi pa- rata est , et nostris laboribus cooperata, multisque modis tribulationum particeps effecta, cooperante Domino, benejiciorum meritis respondere curamus, ut sicut nos praeteritorum memores sumus ita, et ipsi tan- tae gratiae favore donati futuris temporibus sanctae Romanae Eccle- siae fideliores, ac devotiones existant, et benignori matri semper auxi- liando, adiuvando obsequendo respondeant. Divinae siquidem Maje- statis dispositio Pisanae urbis gloriam nostris temporibus, et Sarace- norum triumphis illustrare, et saecularium rerum provectibus promo - vere, et prae comprovincialibus exaltare dignata est. Ea propter, et nos Divinae pietatis prosecutores , et cooperatores earn in spiritualibus quoque glorificare deer evimus, sicut praedecessores nostros multis civi- tatibus olim fecisse scriptorum ccclesiasticorum testimonies comprobatur. Consilio itaque fratrum nostrorum episcoporum, presbiterorum, ac dia- conorum cardinalium, aliorumque nostrorum fidelium assensu, immo precibus incitati, carissimae quoque beati Petri filiae Matildis comitissae, quae se extremis quibusque pro causa Apostolicae Sedis exposuit. Obnixis postulatiombus inclinati, ad honor em Sanctissimae Dominae nostrae Dei Genitricis Mariae, sanctorum apostolorum principum Petri , et Pauli, Corsicanae insulae episcopatus regendos , ac disponen- dos sanctae Pisanae Ecclesiae, cui, auctore Deo, carissime frater Daiberte , praesides , praesentis decreti auctoritate committimus, atque subijeimus, teque frater venerabilis, in Archiepiscopum ejusdem insidae promovemus, idem juris, et idem honoris tuis quoque successoribus perpetuo indulgentes; qui cleri, ac populi electione legitima per Ro- mani Pontificis manus intraverint , quemadmodum Landulfum Gerar- dum, et te ipsum ordinatos esse cognoscitur, Corsicana etenim insula tarn prolixitate spatiorum quam negligentia pastorum, tarn insolentia dominorum quam nostrorum desuetudine legatorum, multis intervenien- tibus impedimentis ab Apostolicae Sedis obedientia ac devotione, de- ferbuit , et dissolution i ac dissipationi dedita ecclesiastici ordinis pene deseruit disciplinam, quam profecto tua, tuorumque successorum vi- gilantia, quia es illis vicinior, et Sedi Apostolicae familiar ior es in justitiae regulam, et christianitatis vigor em, annuente Domino , refor- mat optamus , atque praecipimus. Unde , frater in Christo carissime , vestrae jurisdictioni, dispositioni, procurationique committimus eccle- siarum illarum bona secundum Deum regenda , defendenda , et quae male distracta , et illicite usurpata reperietis , in usus ecclesiasticos restituenda, ut auctore Deo illic ecclesiasticae disciplina religionis re- 177 ferveat. Palleum igitur fraternitati tuae, plenitudinem videlicet ponti- ficalis officij ex Apostolicae Sedis liberalitate concedimus, quo intra ecclesiam tantum ad Missarum celebranda solemnia tibi, ac successo- ribus tuis uti licebit, ijs tantum, qui subscripti sunt , diebus solemni- bus id est Nativitate Domini, Epiphania, Ypopanton, Cenae Domini Pascha, Ascensione, Pentecoste, tribus solemnitatibus Sanctae Dei Ge- nitricis, ac Virginis Mariae, Natalitijs S. Jo. Baptistae, et Sanctorum Apostolorum , commemoratione omnium Sanctorum, Consecratione Ba- silicarum, et suffraganeorum Episcoporum , ac Clericorum, et annuo natalitio tui die, in solemnitate beati martiris Sixti pontificis, cujus indumenti honor efficaci actuum vivacitate servandus est, ejus ergo te volumus per omnia genium vindicare , liujus enim indumenti honor humilitas, atque justitick est. Tota igitur mente f rater nit as tua se exhi- bere, festinet, in prosperis humilem, et in adversis ( si quando eve- niunt ) cum justitia erectum, amicum bonis, perversis contrarium, nul- lius unquam faciem, contra veritatem recipiens , nullius umquarn fa- ciem pro veritate loquentem premens, misericordiae operibus juxta vir- tutem substantiae insistens, et tamen insistere etiam supra virtutem cupiens. Infirmis compatiens, benevalentibus congaudens, de alienis gaudijs tamquam de propris exultans, in corrigendis vitijs saeviens, in facundis virtutibus auditorum animum demulcens , in iracundia animum sine ira tenens, in tranquiUitate autem severitatis justae cen- suram non deserens. Haec est , Frater carissime, Pallei cccepti digni- tas, quam si sollicite servaveris, quod foris accepisse ostenderis , intus habebis (1). Locus ^ Sigilli et Signaturae, Bene Valete. Datum Anagniae per manum Joannis Sanctae Romanae Eccle- siae diaconi cardinalis xi. leal. maij. Indict, vi. anno Dominicae Incarnationis MXCII. Pontificatus vero D. Urbani pape II. anno v. Hoc exemplum litterarum Urbani II. est fideliter descriptum ex autentico in carta pergamena archivij Apostolici nostri S. Angeli die 4 junij 1618. Scipio cardin. S. Susannae, Sanctae Rom . Eccles . bibliothecarius. Locus Sigilli. Bartolom. Carrara secretary (1) L’ originate di questa BoIIa esiste nell’ archivio di Caste! sanl* An- gelo in Roma: ve ne ha poi copia nell’ archivio archiepiscopale di Pisa, ed in quello delle Riformagioni di Firenze. TOMO I. 23 mV ,5yw- ujyT> S^y\n- 178 Anno 4095. — Quest’ anno e pieno di avveni- menti. Prima di tutto venne e stette alcuni giorni in Pisa il papa Urbano II, a cui con ogni possi- ble ossequio l’arcivescovo Daiberto mostro ricono- scenza per essere stato inalzato a tanta dignita. In secondo luogo giunse in Pisa con una flotta e ricco tesoro Matilde, figliuola di Ruggeri conte di Sicilia, per impalmarsi a Corrado re d’ Italia. II quale la giovinetta sposa e (piu impaziente) le di lei ricchezze attendeva. Le nozze furono celebrate con tutta onoranza. Ma Corrado doveva tremare del sacro rito, egli che tutti aveVa calpestati i do- veri di figlio per cingere una corona. Peraltro quello che piu inonta e la spedizione di Terra Santa. Gregorio YII fu il primo che concept l’ardito disegno di liberare il sepolcro di Cristo: lo diffu- sero i Pellegrini che senza numero visitavano la Palestina; lo afforzo l’eremita Piero, pingendo le persecuzioni che la soffrivano i poveri cristiani, e in ogni guisa profanate le memorie della redenzione; gli die compimento lo zelo di Urbano II. Dio lo vuole, grido egli nel concilio di Piacenza e poi in quello di Clermont. Dio lo vuole ripete un’ infinita moltitudine, e corse a prendere la Cro- ce (I). Anco Daiberto assisteva all’ assemblea di Chiaramonte (2). Reduce in patria parlo la piu calda parola dello zelo; e le navi pisane furono in mare, come quelle dei Genovesi e dei Yeneziani, per tras- portare i campioni della Croce e fornir loro prov- (1) A1 grido Dio lo vuole faceva eco l’interesse. La rernissione delle pene dei peccati, per concessione d’indulgenza plenaria, sospirata allora per- che rarissima, invitava i delittuosi, di cui non vi aveva penuriaj il desiderio di rigustare la liberta de’ laici traeva non pochi monaci; gli stati incitava la propizia occasione di slabilimenti commercial!', e di nuove vie di ricchezza. (Vedi Mura tori, Sismondi, Boss! ec.) (2) Fanucci, op. cit. 179 visioni e da bocca e da guerra. Pisani ac Veneti propulsant aequora remit, dice Folco, uno degli antichi storici della guerra sacra (I). Anno 1097. — Giunti i crocesegnati a Nicea la cinsero d’assedio, e poi la presero d’ assalto il 14 luglio. 1098. — Marciarono quindi sopra Antiochia, no- bilissima e ricchissima citta della Soria, ove dicesi che i Pisani facessero valorosissime prove. Peraltro Pesercito crocesegnato non pote entrarvi che il tre di giugno, dopo nove mesi d’ assedio, e per uno strattagemma di Boemondo (2). Il quale percio avuta la signoria della citta e del territorio, con- cesse ai Pisani una contrada e facolta di eserci- tarvi qualsivoglia negozio che loro talentasse, e d’ amministrarvi la giustizia come sulle loro rive dell’ Arno. Ma ad onta di cosi prosperi succcssi la forza dei Crociati era assai diminuita — era manifesto il bisogno di nuovi e valid! soccorsi. — S’inviarono ambasciatori in occidente ; e si fu allora che Dai- berto, spiegando tutta la sua eloquenza ed autorita, indusse i Pisani ad armare 120 galere per Terra Santa, e voile andar egli stesso a dividere col suo gregge la vita o la morte e le sorti dell’armi. Presi di tanto animo i Pisani, in general consiglio scelsero l’Arcivescovo per capitano dell’armata: sotto gli ordini di lui la governo il console Ilde* brando Matti. L’armata parti, e, dice PAmmirato nelle sue Stork Florentine, molto s’ illustro nella impresa. Il 27 febbrajo di quest’ anno medesimo ser Bu- jamonte rogava un istrumento pel quale Albertino (1) Du Chesne, Rerum Franci, car , lom. IV. (2) « E Nicea per assalto, e la potente « Antiochia con arte. ( Gerus , Lib. Cant. I). 180 di Ugo, sindaco della Comunita di Volterra, conve- niva col sindaco di Pisa, Roberto di Pietro Gai- tano, di prendere a nolo due grosse navi per tra- sportare a Gerusalemme i crocesegnati volterrani. Pattuirono a carico del Comune di Volterra ogni spesa per le due navi necessarie; il nolo di 50 lire pisane ogni due mesi* niun rifacimento di danno ove le navi perissero o predate dai nernici o da naufragio sommerse; e doppio sborso della valuta ove cntro un anno non le avessero restituite. Anno i099 . — La muraglia verso levante fu il posto dei Pisani al celebre assedio. La fabbricarono un castello di legname che sorgeva a livello delle mura, e di la fortemente pugnarono. Dicesi che mentre stavano combattendo, accesi a cose egregie dair ingenito valore, e dall’esempio di Cucco Ri- cucchi il quale alto sul castello spiegava lo sten- dardo di Pisa, il Crocifisso (1) splendente in cima al vessillo, volse la faccia ai combattenti e loro a chiara voce parlo: — Seguitate, che avete vinto. — Di qui credesi la costumanza di portare il Croci- fisso rivolto verso le ordinate file nei sacri riti ; costumanza seguita dai pontefici e da tutti che godono 1’ apostolico privilegio di farsi precedere dalla Croce. Gerusalemme, battuta dai crocesegnati con in- credibile eroismo, cadde ai i5 luglio ; GolTredo, Baldovino ed Eustachio fratelli di lui, e Cucco da noi sopra citato e Coscetto dal Colie di Pisa, fu- rono i primi a guadagnare la sommita delle mura e saltar entro la domata citta (2). (1) Pia Iradizionc porta che questo Crocifisso sia quello che si porge a baciare al magnifico Magistrato civico, quando va ad assistere ai sacri riti nella Primaziale in certi solenni giorni dell’ anno. (2) Non possiamo dispensarci da varie considerazioni, Primieramente non abbiamo documenti che ne atteslino dei Pisani tra coloro che primi -/'l/\X£k v 181 Non 6 dei nostri annali dipingere la strage dci vinti scannati anco a pie dcgli altari, e su qua] suolo? su quello ovc il Cristo perdonava ai suoi stessi crocifissori. Non e de’ nostri annali ridir tanti orrori, c si abominevole oblio della Religione nella cuna della Religione. Molti ne registro la Storia, molti ne avvolsc nella sua notte, il mistero. — Dio peso certamente e puni tutto. Nella citta di Nazaret i Pisani si diedero a pur- gare e ristorare la chiesa dedicata alia Nativita della Yergine. Avvenne — secondo die narrano — che cavando certe rovine fu rinvenuto un Croci- fisso di legno in niente danneggiato, cadutovi forse mossero contro la santa cilia. No cio voglia tornarci grave, poiche il primo corpo di crocesegnali non fu, per la maggior parte, che la sentina degli uo mini perduli, i quali lungo il viaggio tanle commisero rapine e ribalderie, si flaccamente adoperarono, che moltissimi perirono sollo la spada degli irrilali popoli Ira cui passavano; poche migliaja giunsero a Coslanlinopoli limosi- nando. II sccondo corpo fu dai Turchi disfatlo. — Neppure col pio Buglione and 6 in Palestina l’armata di Pisa: (cio non toglie perallro che molli pisani seguissero le sacre inscgne, i quali facessero poi eslreme prove di valore). Pare che allc poteuzc marillime fosse aflidata la sicurezza d’occidente. Le 120 galerc, di cui il Tronci ne parla, non parlirono che net 1099. Sollo quesl’anno riporla il Muratori: Stolns Pisanus in Bierusalem ivit cum navibus centum vigint\ De quo stolo Daibertus ejusdcm ecclesiae archiepisco- pus fuit duct or et domnus. Nel lorn. III. delle Memorie di piii uomini illu- stri pisani si dice che la flolla parti nel marzo 1099. E qui insorgono i conlrasli tra gli annalisli pisani egli slorici dell’ emule repubbliche. Dicono i primi che a Pisa si debbe la massima gloria nel con- quislo di Gerusalemme ; i secondi che l’aquila di Pisa non comparve se non dopo che il gran sepolcro era stato liberato; e si aflorzano dell’uso di proverbiarcogni lento soccorso, chiamandolo Soccorso di Pisa. Si aggiunge che la flolla pisana tardo, perche attraversata nel viaggio dall’ armala del greco imperalorc Alessio, coinandata dall’ ammiraglio Lantulfo. Anna Comnena Ce- saressa racconta che s’ impegno una ballaglia fra Palara e Rodi. Menlre piu bolliva la pugna, una improvvisa lempesla disperse le navi dell’ una e del - 1’allra parle; i Pisani a stenlo si ricomposero in Rodi. Ed ivi intanto che Gerusalemme cadeva, imbaltutisi nei Vcneziani vennero a sanguinosa pugna, dimenlicando gli uni c gli altri di esser Cristiani Italiani Crociali, per non ascoltare che le private loro animosita, (Vedi Muratori e Sismondi). Sdegnando lo spirito di parlito, ne pare, che ove solo riflettasi alia let- 182 coi muri caduti, o forse sepoltovi dai nemici delie sacre Imagini. I Pisani con somma venerazione lo tolsero, e lo portaron poi, ricco tesoro, alia patria. I piu famosi trai pisani che andarono in Palestina sono, oltre 1’ arcivescovo Daiberto: Olderigo Vi- sconti che fa Iuogotenente del generale Jacopo Ciurini, Lottorio di Lanfreduccio, Federico di Al- bitone, Tozio dal Faggio, Gherardo di Gaitano, Erittone Duodi, Passerino Pillistrelli, Jacopo Griffi, Asso Pardi, Azzone dal Nicchio, Gano Formatini, Erittone Rocca, Pietro di Parlascio, Guido da Buti, Lanfranco di Gualando, Duodo Rossi, Pietro del Grotto, Bernardo Marignani, Opizo de Domo Petri, tera onde Daiberto informa della presa di Gerusalemme il ponlefice; e, come vedremo nel testo, all’essere Fammiraglio arcivescovo pisano nominato pa- triarca della santa citta, si abbiano assai argomenti onde conchiudere che i Pisani al conquisto furono presenti, e ne furori gran parte. Riguardo al portento avvenuto a Cucco Ricucchi, sono troppo frequenli sifTalte cose riella guerra di cui parliamo. Tornava conto ai generali vedere, e forse vedevano, coll’occhio del fanatismo, ora s. Giorgio, ora degli angel*; e la moltitudine vedeva, udiva coi sensi de’ suoi capi, e correva irresistibiie alle battaglie, Riconosciamo ed adoriamo la onnipotenza di Dio, ma dubitiamo forte di visioni troppo comuni nelle storie di tutti i popoli, — Del resto la notizia che Coscetto e Cucco salissero trai primi sulle mura di Gerusalemme si appoggio pel primo sopra una iscrizione sotto V arco della Fortezza di Li- vorno, in quesli termini — 10 COSCETTO DA COLLE PISANO FUI IL PRI- MO A SALIRE SOPRA LE MURA DI GERUSALEMME — , e pel secondo so- pra un’arme trovata, al dir dell- Arrosli> nel disfare una parete del casa- mento Ricucchi, nella qual arme leggevasi — 10 CUCCO RICUCCHI FUI IL PRIMO CHE CON QUESTA PARTIGIANA ENTRASSI IN GERUSALEMME. — Ne parla anche Ginguene Histone litteraire d’ Italie, Insomma avvisiamo do* versi tener per vero cio che dei Pisani dice il padre Ferrari, Gesuita : In Hierosolimorum inclita divinaque expcditione auxilium voluntarium ac valen- tissimum attulerunt ; sebbene ci slringe 1’autorita di Guglielmo arcivescovo di Tiro, il quale assicura i Pisani non esser giunti che verso il fine del 1099. Ne lusinga poi l'encomio del Guarini: Pisa al ferir invitta, al vincer nata , Pugnar Goffredo in sul Giordan la vide , E schiere disarmar Perse e Numide Di sacre spoglie e piu di gloria ornala ma nello stesso tempo ne afiligge il silenzio dell’ immortal Torquato. 183 Bartolotto Passaglia, Ugo Visconti, Francesco delle Statere, Cucco Ricucchi, Ridolfo Upezzinghi, Guido da Ripafratta, Duodo Cortevecchia, Vecchio Bor- donese, Simone Roncioni, Vecchio Bocchetta, Ezze- lino da Caprona, Coscetto dal Colie, Guido dal Colie, Raimondo Visconti e Giovanni Visconti. Daiberto, dai principi e dal clero congregati nel tempio della Resurrezione, fu d’ unanime consenso eletto patriarca di Gerusalemme (1). Dalle mani di lui riceve la investitura del regno il pio Golfredo, proclamato re otto giorni dopo conquistata la cit- ta (2). A1 nuovo patriarca furono poi assegnati molti possessi onde e la sua dignita con decoro, e la sua famiglia con agio sostenere potesse. Anno ilOO. — Urbano II non potette godere in terra il frutto delle sue apostoliche fatiche; egli mori il 29 luglio dell’ anno decorso. Gli succedette Pasqualc II, al quale Daiberto scrisse in nome di Goffredo e di tutto l’esercito breve istoria della fortunata intrapresa (3). Compiuto cosi il conquisto, parte dell’armata pisana rimase, a preghiera di Goffredo, per proteg- gere ed ingrandire il nuovo regno; parte si mise in via per tornare alia patria. Quando furono nel dominio dell’ imperatore Alessio, dal quale nel loro (1) Daiberto era, qual si conveniva alle cose d’ Oriente, pieno di sa- pere e di zelo. Onnipotenle poi sui voleri dei Pisani e dei Genovesi ; laonde anche Pinteresse ebbe parle nella di lui elezione. (2) Raccontauo che nella sacra cerimonia Goffredo si lascio appena po* sare la corona sul capo, e tosto di sua mano la depose dicendo: Si scon- viene portare preziosa corona , qui dove il Redentore del mondo la porto di pun- gentissime spine . Queste parole ebber lacrime di tenerezza dagli astanti, non imitazione nei regi che successero. Tanto lusinga lo splendore di un dia- dema ! (3) La lettera e riportala dal cardinal Baronio, e comincia : Pascali Papae Romanae Ecclesiae Pisanus Archiep. Aposl, Sedis legalus et Godefredus dux 184 passaggio in Palestina erano stati molestati, vollero fargliene pagare il fio. Difatto gli tolsero molti luo- ghi, e, danno di tatti maggiore, ne fecero prigione il primogenito CaloiannL L’ amore paterno co- strinse l’ imperatore a domandare la pace, la quale fugli accordata con queste condizioni: Che i navi- gli pisani potrebbero scorrere i mari dell’ impero orientale senza temere alcun danno. Che i pisani mercanti avrebbero una loggia, una contrada, un fondaco ed una chiesa in Costantinopoli. Che po- trebbero crearsi un console, arbitro di tutte le loro differenze, senza che gl’ imperiali in esse si mischias- sero (1). Che i Pisani sarebbero liberi d’ogni da- zio o gabella imposta o da imporsi in avvenire. Che entro determinate tempo, a rifare i Pisani dei danni cagionatigli nel loro passaggio a Gerusa- lemme, 1’ imperatore fornirebbe di regii paramenti il Duomo di Pisa. Le condizioni furono adempiute da un canto e dall’altro: i Pisani restituirono ad Alessio le terre ed il figlio; ed Alessio invio alia pisana Primaziale molti e ricchi doni, nei quali la materia era vinta dal lavoro. Non e a dirsi con qual gioja i vincitori rividero la patria, e con quale la patria li raccolse. Appena le insegne ondeggiarono all’ aura spiegate presso le rive dell’ Arno, tutto fu festa. Sopra una nave erano in bell’ ordine disposte le spoglie tolte ai ne- mici, e, prezioso tesoro, in mezzo ad esse i corpi dei santi Nicodemo principe de’ Farisei, Gamaliele mae- stro di s. Paolo, ed Abibone uno dei settanta di- scepoli del nostro Signore Gesu Cristo : corpi cui a Pisa inviavano Daiberto e Goffredo (2). (1) Vedi Codino Curopalala cap. Vil. de mensa Imperatoris n 9. (2) Queste venerate reliquie hanno nel la Primaziale magnifico altare e nobile urna con questa iscrizione: GAMALIELIS WICODEMI ET ABIBAE, 185 Dicono che portarono anco un bellissimo vaso di porfldo (1) ed il Crocifisso di Nazzaret, di cui so- pra parlammo. Un infinita di popolo della citta e di tutti i con- torni, preceduta dai ministi i del Cielo, usci all’ incon- tro, e con tutta pompa accompagnarono e posero le sante reliquie nella chiesa Primaziate, ove sono ancora onorati d’annuale solennita. In tempo che cosi liete cose avvenivano, Finclito e piissimo Bu- glione infermava, e il 18 luglio passava a vita mi- gliore lasciando dopo di se una memoria piena di PATRIS, FILII AC NEPOTIS, UT ECCLESIA DOCET, ClVIUM TERRENAE AC COELESTI, HIERUSALEM, FAELICI TEMPORE PISANORUM TRADE* CTA CADAVERA MARMORE SUB HOC RECONDUNTUR, — Altra volla, in una tavoletla prcsso I’allare, leggevasi : Hoc in sarcophago rcquiescunt Corpora sacra Sanctorum , quorum nomina dicta , trium , Sanclus Gamaliel , Abybas , et Nicodemus Insimul ipse paler filius , atque nepos. Gamaliel divi Pauli didascalus? olim, Doctor , et excellens israelita fuit , Consilii magni, fideique per omnia cullor , Narrat ut historiae scriptor Apostolicae. Nobilis Abybas patris hvjus filius almi Extilit , angelica virginitate nitens , Mosaycam legem colens quoque sic adolescens Credidit in Christum cum genitore pio. Magna in Evangelio preconia sunt Nicodemi , Dum sepelit Christi Corpus honorifice , Hie est ille quidem , qui se debere renasci Audiit a Christo , denique martyr obit. Hoc Epigramma legens korum suffragia quaere , Teque recommendans quaere salutis opem. Quatenus ad Christum dignentur fundere vota. Ut paradisiacis donet adesse Choris Be his sanctis vide in actis Apostolorum cap. V. et XXII 3 In Evangelio sancti Joannis cap. HI. et XIX , Et in Breviario III. Augusli in festo Inventionis s. Stephani. (1) Narrano che queslo vaso sia una del le Idrie, neile quali il Salva- tore converse l’acqua in vino a lie nozze di Cana. Rimase per lungo tempo nel Duomo, poi fu Irasportato nel Camposarilo urbano. TOMO i. 24 CSr' benedizioni (1). Accorso a Gerusalemme Baldovino di lui fratello, fu con unanime consentimento eletto re. Fra il quale e il patriarca Daibcrto v ebbero ben presto grandissime dissension! ; sendoche Baldovino voleva mischiarsi nelle cose della Chiesa Gerosolimi- tana, delle quali sostenitore, acerrimo forse, Daiberto ne scrisse a Boemondo principe d’Antiochia, ed im- ploro la di lui protezione. A far quasi dimenticare i mali d’ oriente, la con- tessa Matilde i canonici pisani sotto la sua prote- zione accoglieva, largheggiando inverso di essi di pri- vilege come ne abbiamo contezza dalF infrascritto documento: Matilda Dei gratia, si quid est. Sanctis, et Domino dicatis locis dignum est nos manuum nostrae protectionis porrigere, et in eis pro Coelesti Bege militantibus de abundantia nostrarum faculta- tum subsidia praebere. Qua propter omnium sanctae Dei Ecclesiae, nostrorumque jidelium, tarn praesentium, quam futurorum novent indusiria, quod nos ob pium amore Beata matris Domini nostri Ma- riae, et ob remedium animae matris mee bo. me. Beatricis, nec non et omnium parentum nostrorum, canonicos pisani episcopij in hono- rem B. M. Virginis aedijicati, atque res omnes illorum, iam acqui- sitas, et in futurum acquirendas, tarn mobiles, quam immobiles sub manu nostrae defensionis suscipimus. Praecipientes, et jirmiter per praesentis paginae scriptum statuentes, ut neque comes neque viceco- mes, neque scario, neque castaldio , neque : aliquis publicorum 7nini- ' strorum, neque aliqua magna, vel parva persona praenominatos ca- nonicos, praesumat inquietare, aut molestare in personis, aut rebus illorum , atque disvestire de omnibus, quae modo possident, et quae in futurum possidebunt, absque nostrae praeceptionis auctoritates. Insu- per etiam omnes villanos in terra dictorum canonicorum habitantes relevamus, et absolvimus ob omni gravamine, et oppressione publi- corum ministrorum. Jubentes, et per hujus nostri scripti autoritatem jirmiter, et inviolabiliter statuentes , ut neque comes, neque vicecomes, neque castaldio, neque scario, neque aliquis publicorum ministrorum (l) Guilliclm. Tyr. Abbas Uspergensis , Fulcherius Carnolens. Bcrnardus Thesaur . et alii. 187 ad p taciturn faciendum ante se, praedictos Villanos compellere, aut ad publica servitia ducere , seu in terra illorum albelgarias facere praesumant. Praetera concedimus , et per praesentis paginae scriptum con- firmamus, supra nominatae ecclesiae Sanctae Mariae , ut liceat ca- nonicis et ministris illius ecclesiae, habere, et possidere absque ali- cujus contradictione silvam Tumuli, et quaringangas omnes, quae sunt in capite terrarum canonicorum, quas modo habent aut in fu- turum habebunt, et liceat illis terras suas in paludes et fiumina ex- tendere quantumcumque poterunt. Si quis contra hujus nostrae con- cessions paginam venire praesumpserit , quinquaginta libras optimi argenti supra nominatis canonicis, et item alias quinquaginta Came- rae nostrae componat, et insuper nostrae rnalae voluntatis poenam incurrat, ut autem hoc verius credatur, et firmius teneatur, Sigilli nostri impressione insigniri mandavimus, et manu propria subscri- bentes corroboravimus. Actum est hoc feliciter in villa Papiani, et datum per manus Ugonis capellani vii. Idus junij anno vero Dominicae Incarnationis millesimo centesimo Indit. viii. MA TIL Sigimm DA gg DEI GRA TIA Si quid est. Ego Ardericus judex interfui, et subscr . Anno 1101 — Per interposizioni cT uomini auto- revoli e destri Baldovino e Daiberto parvero ricon- ciliarsi. II giorno in cui nacque il Dio della pace, nella chiesa di Betelemme, in mezzo ai prelati ed ai principi del nuovo regno, Baldovino fu coronato, e giuro favore ed obbedienza ai ministri della Chiesa. Poco dopo mostro di qual animo giurato avesse, scac- ciando Daiberto dalla sua sede. Ma i Pisani e i Genovesi intanto andavano scor- rendo le coste della Siria, e di molti porti impadro- nendosi. Ne Assur potette resistere al loro valore, benche assediata tre volte invano dallo stesso Gof- fredo; ne Cesarea, quantunque i Mori intrepidamente idessero. Nell’ ana e nelF altra cilia i conqui- fecero ricchissima preda. Anno U02. — Di questi tempi non era la citta di Pisa cerchiata di mura. Le era difesa un numero sterminato di tori i (1), e, migliore di ogni difesa, il petto ed il braccio dei cittadini. Nacque quest’ anno il pensiero di fortificarla di muraglie: a dar comin- ciamento fabbricarono la porta che oggi diciamo a mare, e che allora si disse Legazia (2). Osserva il Muratori che la contessa Matilde, senza titolo regale, in questi tempi faceva da regina in Ita- lia. Non e da stupire se talmente ella andava dila- tando il suo favore e potere : ella che cosi largamente e dappertutto versava i suoi doni. Ai Pisani special - mente ne fu prodiga. Xnfatti in quest’ anno largi a Foscolo Scarpetta, donde la casa de’ Grilfi nobili pi- sani, diversi luoghi vicini a Peccioli, e fra gli altri il castello che, traendo il nome dal nuovo possessore, si appello Montefoscolo. Questo castello fu per molto tempo sotto la famiglia Griffi la quale diede sempre alia repubblica uomini egregi, che le crebbero in ogni guisa decoro col loro valore e col loro senno (3). Secondo che ne dicono gli antichi Annali pisani, in quest’ anno si appicco il fuoco in quella parte di Pisa che chiamasi Kinsica , ed incitato dalla violenza (1) Alcuni ne portano il numero fino a 6000. Cerlo e che esse furono causa di calde dissensioni tra’ ciltadini riguardo all’altezza. II bcnemerilo arcivescovo Daiberlo Lolse via ogni lite, persuadendo ed ordinando che fos sero tutte eguali. Papir. neW archivio Roncioni. (2) Da leyatus (ambasciatore) perche di la ordinariamente spedivansi gli ambascialori della repubblica, (3) Dopo varie vicende le terre di Montefoscoli furono tra molti divise. Vi si distinguono una deliziosissima villa del conle Mastiani Brunacci, stata gia considerabile convento di Gesuiti, ed una villa dell’ immortale Andrea Vacca Berlinghieri, che in mezzo a bel bosco d’ acacie inalzava un tempielto ad Esculapio ad onorare la memoria dell’illuslre suo genitore Francesco. La collinetta, in cui sorge questo tempio, chiamasi Torricchio. Vedi Polloni, Monumenli vetusti di Pisa. 189 del vento che soffiava fortissimo, cagiono non pochi danni (1). Anno 1103. — Circa questo tempo ebbe compi- mento la famosa Primaziale, la quale, miracolo di bellezza e di magnificenza, invitando alia imitazione dei Pisani gli altri popoli d’ Italia, die massimo im- pulso alia cultura delle arti. La contessa Matilde, pia com’ era, savia e generosa, affinche fosse la nuova casa di Dio portata a sempre maggiore perfezione, fu liberate di nuovi beni al Duomo di Pisa ed ai Canonici. Ecco il documentor IN NOMINE DOMINI NOSTRl JESU CHRISTI. % Anno ab ejus Incarnatlone MCI1I. Indict. XI. actu est hoc Nonantulae. Matilda DEI gratia si quid est. Sanctis, et venerabllibus locis de nostro conferre debemus, qul sanctorum praesldla quotldle deposcimus. Qua propter et nos, ut re- mlsslonem peccatorum consequamur, sanctorum inter cesslone, et anl- marum bo. me. Patrls , et Matris meae remedlo, et prece, ac carltate omnium bonorum hominum nostrum fidelium pisane clvltatis reddendo concedlmus, et concedendo reddlmus operae Sanctae Mariae plsanae clvltatis ad perpetuum habendum, videlicet usque ad expletionem ope- ns ecclesiae ejusdem clvltatis, et finlta opera canonlcls, qul juste, et regularlter Ibidem pro tempore vlxerlnt, castrum Paplanl, et curtem, et omnia el pertlnentla, et castrum Clvurnl, et curtem, et omnia si- militer et pertlnentla donamus, et petlum unum de terra eodem mo- do donamus operae Sanctae Mariae, et post finltam operam cano- nlcls, qul ut superlus dlxlmus, canonlce vlxerlnt; quae petla de terra, est posita foras muros clvltatis prope eccleslam Sanctl Nicolai, et tenet unum caput In fiumlne Arm, et allud in terra , quam detinet caplt. Sanctl Nicolai, et unum latus in via publlca, et allud In terra jillorum q. Baronicelll, et filiorum comlti. Praeclplentes itaque prae- clmus ut nullus archieplscopus , eplscopus, dux, vel marchio , comes, vicecomes, vel allqua, etc. (1) II Muralori ( Annali d' Italia) parla di un inceiidio della parte ap- pellata Chinsica sollo l’anno 1099. « In quest’anno, dic’egli, resto bruciata tutta Chinsica, cioe una parte della citta di Pisa dove, a mio credere, abilavano i mercanli mori che venivano a trafflcare in quesla citta ». 190 Onclc poi dominare F aperto piano, cd al caso di nemiche aggression! poter darne segnale alia citta cd ai municipii, si voile edificare in opportuno loco una fortezza. Non si fu incerti nella scclta del sito. E chi non lo vedeva adattatissimo nella pin alta ed ardua cima dei monti pisani, lungi dalla citta circa sei miglia? Di la F occhio spazia nella estesissima sottoposta pianura; vagheggia le parti supcriori del Yaldarno, la Yaldinievole e la Yaldera, stende F ala su quasi tutta la liviera di Genova, e appena i monti di Provenza Farrestano. La dunque s’innalzo alFuopo grandiosa rocca, cui nomarono Verruca o Verru- cola; voce che i latini impiegarono a significare una parte di monte elevata ed aspra (1). Nel mentre che di questi mezzi di sicurezza si munivano i Pisani in occidentc, in oriente seguita- vano le loro conquiste. Baldovino gli aveva eccitati a sottomettere il famoso porto di Accon, oggi san Giovanni d’ Acri. Unitamente ai Genovesi lo assalirono per mare. Dopo lunga lotta, e lungo e sanguinoso assedio, Accon propose di an endersi, purche gli abi- tanti potessero uscire salvi con quanto valessero a recar in dosso. Si conclusero c fermarono i patti: ma quando gli assediatori videro i Saraceni carichi di oggetti preziosissimi, piombaron loro sopra e li spo- gliarono. Che mai non puo la esecrata fama del- F oro ! (2). Anno 1104, — Insaziabili, andarono da una ad altra intrapresa. Sotto Tancredi attaccarono i porti di Laodicea e di Solino. Sotto il re Baldovino poi (1) Che la fortezza della Verruca fosse edificata riel 1103 rilevavasi da questa iscrizione, siluata sotto il cordone del bastione nella muraglia occi- dentale — A DI DODICI GUGNO MCIII. — Ne torna dolce riprodurla, poi- che cssa e uno dei piu antichi monumenli delia lingua volgare- (Vedi Grassi, Descrizione slorica e artistica di Pisa e suoi contorni ). (2) Vedi Fanucci op. cit. 191 mossero contro Tolemaicle insieme coi Veneziani e coi Genovesi. La cinsero per terra e per mare, e la combatterono gagliardamente per venti giorni. Dopo i quali gli assediati non potendo piu resistere e non avendo speranza alcuna d’ aiuto, si resero a patti, e la citta consegnarono. Un tale acquisto era di sommo momento , poiche faceva ai Cristiani molto piu libera la via di Terra Santa. Laonde il re voile mostrarne gratitudine alle tre repubbliche, per F armi delle quali era stata Felice F impresa. Divisa dunque la citta e le rendite di Tolemaidc in tre parti, ne concesse una a ciascuno de’ tre popoli guerrieri (1). Eccoci al punto che sopra accennammo, della cacciata di Daiberto. Non che Baldovino lo espellesse con aperta violenza; ma di si cattivi trattamenti lui gravo, e la di lui chiesa si duramente oppresse, che, colma la misura della sofferenza, il patriarca passo prima in Antiochia, poi se ne venne in Italia a tes- sere al pontefice la dolentc istoria de’ suoi dispiacei i e delle imposture macchinategli contro. Pasquale II lo udi benevolo; ma ad appurare le cose, e trattarle con tutta giustizia, ritenne Daiberto, scrivendo nel medesimo tempo a Gcrusalemmc ed invitando chi il buon patriarca volesse di qualche torto appuntare. Nell’ agosto dell’ anno prcsentc, secondo che ab- biarno da Tolomeo da Lucca in Annalibus brevi - bus (2), comincio la guerra fra i Pisani e i Lucchesi, e ne segui una battaglia in cui i Pisani ebbero la (1) II Foglielta, slorico genovese, atlribuisce tutlo I’onore di queste gesla alia sua gente. Dice che i Genovesi furono rimunerali della lerza parte di Tolemaide: lace dei Pisani e dei Veneziani: ma se furono eomuni le spese e i disagi e i rischi dell’ armi, perche non dovette esser comune la ricom- pensa? Baldovino non era si corlo di senno da commettere una ingiuslizia, la quale gli avrebbe alienato due popoli che erano cerlamenle il maggior so- slegno del di lui trono. (2) Vedi Muratori, Annali d’ Italia. ' e ne condussero prigioni i castellani. Anno 1105 . — La guerra continuo anco quest’ an- no cd i Pisani per due volte restarono sconfitti, se- condo le memorie rccate dal Fiorentini ( Manor k di Matilde lib. n j. Non si sa ben intendere come tali guerre succedessero fra questi popoli della To- scana, sottoposti pure alia contessa Matilde, la quale sembra strano che o permettesse o non avesse forza o maniera di calmare si fatte sanguinose gare (2). Baldovino intanto dava concession) di stabilimenti ai Pisani, e largiva loro privilegi, nominatamente aila casa Fandolfo, figlio di Fiopia (3). 1106. — I porti di Laoclicea e di Solino prossi- mo ad Antiochia, cui dicemmo attaccati dal principe Tancredi, in quest’ anno furono da lui espugnati col- l’aiuto dei Pisani e dei Genovesi (4). 1107. — Correva il terzo anno da che il Ponte- fice scrisse a Gerusalemme invitando chi potesse ac- cusare il patriarca Daiberto; ma per attendere, ne una parola insorse contro di lui. Fu dunque il Papa sollecito di restituirlo alia sua sede patriarcale, ac- compagnandolo con un Breve apostolico. Ma diver- samente parve a Dio ; conciossiache Daiberto giunto in Sicilia amo passare qualche giorno in Messina, ed ivi gravemente infermatosi, il 14 di giugno volo a scordare la gloria terrena nella gloria celeste, e 1’ esilio in quella patria ove non sono tiranni. Da che Daiberto rimase patriarca in Gerusalem- me, non abbiamo mossa parola sul vescovo di Pisa. (1) Librafatla o Ripafratta, castello ad olio miglia e mezzo dalla cilia, lungo la via chc mena a Lucca. Dovremo parlarne spcsso nel seguilo degli annali. (2) Vedi Muratori, Annali d' Italia , (3) Diplom. nell’archivio di Genova, Diplom. Pisan nell’ archivio delle S i Riformagioni di Firenze- (4) Vedi Fanucci, op. cil. 193 Non e peraltro da credersi chc il ponte fice la lasciassc senza pastore, amorevolissimo com’ era verso lei, e della religione zelantissimo. Troviamo, in certe scrit- ture dell’ anno 1106, rammentato Pietro Moriconi monaco Camaldolese ed abate di s. Michele in Borgo. Pare che egli fosse immediato successore di Daibcrto, sebbene rUghelli inclina a crederlo eletto nel 1103, Tenne esso la sede archiepiscopale fino al 1119 o al 1120 (1); consacro la chiesa di s. Pietro in vincu- lis , come appare da una lamina di piombo tra le reliquie conservata; ed acquisto molti terreni e ca- stclli al suo arcivescovato. Nelle mcmoric antiche di Pisa si scorge che circa questi tempi veramente comincio a governai si a modo di comune. Lc guerre chc Pisa c Lucca si facevan fra loro, mostrano liberta, ed acquistata od usurpata parte di dominio. Da questo punto in poi non si tro- vano pin conti, neppure nel governo dellc citta prin- cipali della Toscana. E probabile chc la contessa Matildc, ne’ tempestosi tempi di tantc guerre da lei sostenutc c fatte, fosse obbligata a ccdere alle citta potenti parte dellc sue e tuttc le rcgalic de’ conti chc gia n’ erano governatori. Resto salva solamcnte T autorita marchionalc (2). Anno 1108. — A ricambiare i Pisani del forte bi accio prestatogli nella presa d’ Antiochia e di Lao- dicca, il principc Tancredi, croe del Tasso, loro con- cede una strada in ciaseuna dellc due citta, per sta- bilimenti c commercio franco in tutte le terre e porti del suo principato (3). Cosi, col crescere del nuovo (1) Vedi Agost. monaco del monastero degli Angcli di Firenze, nelle Cronache di delta religione, p. 2. lib. Il, cap IX — X. (2) Mura tor i Annali d' Italia. (3) Diploma nell’ archivio delle Hiformagioni di Firenze. — Cav. Dal Borgo, Diplomi Pisani. TOMO I. 25 ■w 194 regno , cresceva la prosperita de’ popoli marittimi d’ Italia. Anno 1109 . — Essi andarono con Baldovino ad assediar Scida, o Y antica Sidone; ma dovettero riti- rarsene perche poderosamente soccorsa dal califl'o d’ Egitto (1). 1140 — 11. — Verso la fine del 1110, o sul prin- cipio del 1111 giunse in Pisa Enrico V, cui Pandolfo Pisano chiama sterminatore della terra (2). Egli trovo die i Pisani e i Lucchesi guerreggiavano an- cora la guerra cominciata tra loro l’anno 1104, negli ultimi tempi della quale i Pisani riportarono tre vit- torie, e ripresero il contrastato poggio e castello di Ripafratta. Stando cosi le cose, interpose Arrigo la sua mediazione, fatta piu valevole dall’esercito che lo accompagnava, e concilio la pace (3). II Fanucci ne dice (lib. I. cap. X. della sua Storia) che i Pisani, per la loro preponderanza in Siria, po- (1) Vedi Fanucci. II Tronci racconta sotto quest’anno un fatto stra* nissimo. Lo trascriviamo colie di lui parole, per chi voglia crederlo. « In quest’ anno venne uno smisurato serpente nello stato di Pisa, e se ne stava in campagna vicino alia prioria di s. Niccolaio di Migliarino, facendo grandis- simi danni, e la cilia percio era in grandissimo spavento. Giovanni Orlandi, nobile e valoroso cavaliere, ando pensando come potesse togliere il timore delle genii, e rimediare ai pericoli. In fine ordino una gran gabbia di ferro con uno sportello capace per entrarvi una vitellina, congegnalo pero in modo che mosso un filo dal detto serpente, che verisimilmente sarebbe enlralo a divorarla, si serrasse il detto sportello gagliardamente. Si parti il cavaliero con altri; e raccomandatosi prima a Dio, e avuta licenza dai consoli, con dusse seco la delta gabbia, e postovi I’ animate e aggiuslato il detto sportello si ritiro. Il serpente, che vide 1’esca, tiro a quella volta per cibarsene; ed entrato dentro e trovatosi in un pun to prigione, fece ogni sforzo per il suo scampo, ma non li riusci: che subito accorsovi 1’ Orlandi co’ suoi compa gni con lance 1’ ammazzarono, e lo fecero porlare a Pisa, e per trofeo, ho inleso dire dai vecchi, che fu appeso nelle volte del Duomo a vista di lutli ». (2) Pandulfus Pisanus in vita Paschalis II. (3) Cum rnagno exercitu Pisas venit , el fecit pacern inter Pisanos et Lucenses : in qua guerra Pisani devicerunt Lucenses ter in campo , et castel - lum de Ripafracla recuperaverunt el Riparn } unde lis fuit , retinuerunt ( An- nalcs Pisani, tom. VI, Rer. Ital .) . MS tettero conchiudere coll’ imperatore Alessio Comneno il piu solenne trattato di pace e di commercio; e ne riporta le acccttazioni e le ratifiche cambiatesi tra Fimpero di Costantinopoli e la repubblica di Pisa. II diploma pisano fu fatto il 14 maggio 1111, e pre- sentato da una missione composta di Guido Clerico, Bonfilio sacerdote, Ghcrardo Visconti, Ildebrando fi- glio di Ranieri, Alferio Console, Pietro Giudice, Guido liglio di Bono Pipino, e Odimondo Curopalata figlio di Otto. Il diploma in risposta e pieno dei piu grandi privilegi e favori per i Pisani: fu fatto ncl mese d’ottobre dell’ anno seguente. Anno 1112. — Instancabilc nella sua generosa pieta, la contessa Matilde regalo di molti beni i mo- naci di s. Gorgone, e la chiesa di s. Vito, cui prese inoltre sotto la sua peculiare protezione. Fatto anclie piu bello avveniva il 7 settembre. Volterra e Pisa, salva la sovranita e il dominio della sopralodata marchesa di Toscana, si stringevano in amicizia. Fu concluso il trattato dal conte Ugo del conte Ugo per la comuni ta di Volterra, e da Ra- nieri di Simone Rosso Mini per la comunita di Pisa. Ser Giunta rogo l’istrumento (1) nella chiesa di san Giusto in Volterra. Anno 1113 . — Da certe scritture esistenti presso i conti della Gherardesca si ricavo, che ai 20 febbrajo la contessa Cecilia, vedova del conte Ugo, ed Ugo Visconte, in mano del vescovo di Lucca, di Ruggeri vescovo di Volterra, d’ Ildebrando vescovo di Pi- stoja e di Rolando rappresentante dell’ Arcivescovo pisano e dei Canonici fiorentini, rinunziarono a tutte le case, terre e ragioni ecclesiastiche, per ogni guisa dal gia conte Ugo tenute. Infrattanto la Selva Palatina , oggi Migliarino, (1) Conservasi nell’ archivio di delta cilia. -A 196 donata dalFimperatore Arrigo III a Orlando Orlandi, confermavasi al di lui nipote Gualando, dalla mar- chesa Matilde; ma questi fatti spariscono in faccia al gran fatto delle Baleari (1)* Lc isole Baleari, Majorica, Minorica cd Ivica, situate fra il mare Africano e il marc Ibcro, furono il primo punto occupato dai Mori quando dalF Africa ruinaron sulla Spagna e yi si fortificarono, e ne fc- ccro ricettacolo delle loro Industrie e rubcrie navali, ed orribile prigione ai povcri cristiani che la sven- tura nelle lor mani gittava. Ai tempi di cui ora par- liamo, Nazaradeo re di Maj orica corseggiava conti- nuamente le coste di Spagna, di Francia e d’ Italia; (1) Fra gli annalisti e gli storici avvi gran diversita neir epoca della spe- dizione contro le Baleari. II Sabellico dice che fu fatla nel 1 1 08, e gli lengon dielro Gonzalo d’lllescas nella sua Hislor. Pontif. nelia vita di Pasquale II; Franc. Diego nella sua Hist de' Conti di Barcellona; Peracchi, Trattato delle Isole ; Jacopo Bleda (Cronica dell’ espulsione de' Mori), e il Volterrano. Il Tar cagnotla, Leandro Alberti, F. Filippo Bergamasco ( Supplem y delle Cron.) ed il Doglioni fissarono la spedizione all’ anno 1112, la viltoria al 11 1 4. Il Platina, Gio. Villani, Bicord, Malespini, Scipione Ammirato ( Storia Fiorentina) ed il Biondo dicono che i Pisani mossero per la della spedizione P anno 1117. Gli annali pisani, a cui si conforma anche il Muralori, registrario la intrapresa gloriosissima alle armi crisliane nel 1114. Il Tronci afforza que sta opinione con un Epitaflio, da lui copialo in Marsilia nella chiesa della badia di s. Vittorio. Eccolo: Verbi incarnati de Virgine mille peractis Annis post centum bis septem connumeralis , Vincere Majoricas Christi famulis inimicas Tentant Pisani Maumeti regna prophani. Mane neci dantur , mulli tamen his sociantur Angelicae turbe, Coelique locanlur in urbe % Terra destructa Classis redit aequore ducla , Primum ope Divina , simul et viclrice carina. O pia victorum bonitas! defuncla suorum Corpora classe gerunt Pisasque reducere quaerunt : Sed simul adductus ne turbet gaudia luctus , Caesi pro Christo tumulo clauduntur in isto , Il compiiatore crcde che si polrebbero conciliaro moltc delle opinioni distinguendo i preparalivi della spedizione, dalla spedizione; e percio segue Sismondo Sismondi, il quale narra la conquisla pigliando le mosse dal 1113. 197 ed era opinionc die nolle sue carceri languivano vcntimila cristiani. II commercio volcva che si liberassc il mare dalle piraterie; la gloria che si rintuzzassc l’orgoglio dei Mussulmani; la Religione che si distruggesse il nido della piii dura cd obbrobriosa schiavitu. Invitati dun- que all’impresa dal paterno zelo del Ponteficc, i Pi- sani non dovettcro stare in forse. Era il giorno di Pasqua, e un popolo infinito dalla citta dal contado accorreva a ricevere la ve- scovile benedizione. L’ arcivescovo Pietro, in cui avresti detto rivivere il patriarca Daiberto, presento alia moltitudinc la Croce, e: I vostri fratelli gemono tra le catene degli infedeli; i seguaci del Cristo sono ad ogni istante tentati di rinunziare alia fede, 'per sottrarsi agli strazii dei Saraceni — dissc con una eloquenza ispirata. Fra gli uditori v’ crano alcuni vccchi che militato avcvano c trionfato contro i Mori in Sardegna, in Bona, in Almeria. Allc parole dell’ arcivescovo Pie- tro rivisse in loro la memoria dei giorni passati; la fcbbre dell’ onore si riacccse: volcano rinverdirc, ma erano ormai troppo appassiti. Nullostante non mancarono d’eccitare col racconto delle loro gesta c col loro entusiasmo la vigente generazione, ad ac- quistare a Pisa nuove palme che dimenticar facessero lc palme mietute. La gioventu si commuove, prende la Croce, e chiede impaziente di scioglier le vele. Ma quegli che avevan senno migliore, sentendo di doverla fare con citta fortissime, contro innume- revoli orde di barbari, e contro un re in cui mal discernevasi se maggior fosse il valore o la pcrizia delle cose militari, tarparono l’ala al primo ardi- mento, e pensarono dover fare imponenti preparativi di guerra : e si die mano all’ opera. Intanto si scclsero dodici ambasciatori per inviarli a Sua Santita, e ad un tempo capitani futuri della imminente guerra, i quail furono Azzo Marignani console, Gherardo di M. Gherardo Gherardesca, Ghc- rardo Visconti, Aldobrando di Rinaldo Orlando, Ar- rigo Errici, Arrigo Masca, Lottario Gusmani, Duo- done Duodi, Ridolfo Parlascio, Lamberto Ricucchi, Pietro Gualandi e Robertino Francardi. L’ Arcive- scovo fu dichiarato capitan generale. Accolti con tutta gioja dal Papa, a lui fecer pre- sente che presti a levar 1 ancora non altro attende- vano se non che un legato apostolico che alF armata assistesse; e null’ altra facevan domanda se non d’aita all’ uopo, e del soccorso d’ incessanti preghiere, che il cielo coronasse F impresa di lieto evento. A cui il Ponteficc : andassero pur di buon animo che Pisa gli restava nel piii vivo del cuore : e testi- mone di favore, loro concesse lo stendardo di santa Chiesa, del quale usar potessero per ogni eta. Dicesi anche che desse all’ arcivescovo Pietro la Croce c suo legato lo eleggesse; e F asta con Faquila, inse- gna del popolo romano, consegnasse al console Azzo Marignani, concedendo di piu indulgenze e di tutti i peccati remissione a chiunque della spedizione si fa- cesse parte. Al ritorno degli ambasciatori in patria tutto prese animo maggiore. S’ invitarono i Genovesi a dividerc i rischi e la gloria — essi diedero belle parole, ma le smentiron col fatto chiedendo un anno per essere in punto. — In difctto di questi aiuti terreni, i Pisani fidarono negli aiuti del cielo e partirono. Partirono il 6 agosto, giorno di san Sisto, ormai memorabile per molte vittorie, nel nome di Gesu, i nemici del quale andavano a debellare. Terribil- mente bello il vedere infmiti navigli che, quasi mo- bile selva, si dilungan dal lido ! Terribilmente subli- me il vcder innumerevoli prodi che lasciano le dol- -/xrdG 199 cezze del loco nativo, c vanno a sfidare gli uomini e gli elementi ! Trecento fur on le navi che sciolsero dal porto pisano, di varie maniere ma tutte munitis- sime di soldati, di vettovaglie, di macchine, e d’armi. S’ erano inoltrati di poco quando il mare ingrossando, furon costrette a raccogliersi in Yada ad attendervi il tempo propizio. Cio fu la salute di Pisa. Concios- siache i Lucchesi, Coni' uom che a nuocer tempo e loco aspetta , appena seppero mossa la spedizione, si levaron ai danni di Pisa. Rimasa con pochi abili al- r arme, sprov vista, perche lungi ogni sospetto d’ es- scr cosi assalita, tremo la citta dell’ imminente peri- colo. Messaggeri furon tosto inviati all’ armata che sapevasi sull’ ancore in Yada. — Che faranno i prodi? Lasciare la propria terra esposta a diventar preda dei Lucchesi lo tolga il cielo ! — Rinunziare al- 1’ impresa dopo spesi tanti tesori negli apparecchi, dopo le promesse date al pontefice, dopo aver chia- mata sopra di se 1’ attenzione d’ Italia tutta ver- gogna! Nell’ agitare diversi consigli cadde in animo di mandare ambasciatori alia Repubblica fiorentina, di quei giorni a Pisa amicissima, che volesse acco- modarle nerbo di truppe capace di custodirla fino al ritorno della flotta. Il divisamento non falli: poi- che il Senato di Firenze, riflettendo che i Pisani si erano mossi a preghiera del Papa, e che stavan per fare benefizio a tutta la Cristianita, incontanente armo pedoni c cavalieri, e alia difesa di Pisa gli ebbe mandati. Il capitano fermo il suo campo a due miglia dalla citta; ed affinche i Pisani fossero tran- quilli sulla onesta delle loro donne, bandi che sotto pena della vita niun soldato osasse metter piede en- tro la citta: uno vi entro; si fu condannato a im- piccare. E furono vane le preghiere de’ Pisani che il gencrale gli volesse perdonare: solamente otten- nero che nol facesse morire sul terreno. A quest’ uopo & 200 | i fu compro a nome del coinunc di Firenze un pic- i colo campo, ed ivi fatta la giustizia voluta dalla mi- ? litar disciplina. Del rimanente i Lucchesi si ritirarono (1), e l’ar- mata pisana riposando sui Fiorentini si rimise in via. Si diressero alia Sardegna tanto per avere piu ac- certate notizie, quanto per i soccorsi de’ feudatarii che i Pisani avevano in quell’ isola. Fu cosa di po- chi giorni lo unirsi F armi di quei Regoli o Giudici gia preparate; e salparono. Yiaggiarono tre giorni in mezzo a molte difficolta, c sforniti di tutto che rende ai nostri di facile la navigazione. II terzo giorno crudele tempesta, fatta poi piu truce dalla notte, batte orribilmente Farmata, per cui si teme naufragio. Sul fare del giorno scuopriron terra; vi diressero le prore ; e comecche s’ imagina sovente quello che si desia, pensando esser giunti alle Ba- learic i primi legni sbarcarono le loro genti, che si diedcro ad inseguire i pacifici abitanti, e menar gua- sto per il paese. Non ando molto che dovettero sgan- narsi, chiariti che non le Balearic ma quelle eran le coste della Gatalogna. La tristezza si fe’ donna di tutti ; e si raccolsero sul lido dubitando che quel po- polOc molestato da loro senza volerlo, non si levassc in arme a fare le sue vendcttc. I consoli spedirono subito nobilc ambasciatore Aldobrando Orlandi al conte di Barcellona Raimondo Bercngario, il quale neppur lascio condurrc a tcrmine la varia istoria dellc cose; ma troncando a mezzo il discorso del- (l) Cosi il Tronci, cosi Gio, Villani (Cron. Fior. lib. IV, cap XXXI), cosi Ricordano Malespini (Slor. Fiorent. cap. LXXI), e cosi inolli altri storici eJ annalisli. Holla e Muralori al conlrario non dicono nulla dei Lucchesi in quest’ anno, e Sismondi ne fa sapere, al cap. V. della Storia dellc Repubbli- ^ che llaliane , che invece di commellere delle oslilila contro Pisa, n soccorso per la spedizionc. Nemici delle gare fralerne, vorrcminc quest’ ultima opinione. -A^wGK_x? 201 l’Orlandi: Grazie al cielo, gli disse, che la vostra flotta tocco illesa il mio porto, e nemica a Nazara- deo, del quale per i miei regni, non avvi peste maggiore al mondo. Non solo vi faro paghi di vet- tovaglie e di quanto bramate , ma voglio inoltre con- durre le mie genii a divider con voi i perigli e V onore. E rimando l’Orlandi colmo di ricchi doni. Intanto la fama batte per ogni dove in quei con- torni le sue instancabili ale, narrando il generoso consiglio dei Pisani ; ed oltre il conte di Barcellona, ne corsero a parte Guglielmo signore di Mompellieri con venti legni di truppa pedestre e cento cavalieri, Almerico signore di Narbona con altri venti legni, ed il conte di Rosa con sette bastimenti carichi d’ arme, d’ armati e di vettovaglie. L’ armata cosi cresciuta mosse dal porto di Gi- ronda, san Felice; ma venti contrari la spinsero al porto di Salo, ove inclemenza di mare e di cielo ed cstrema penuria di viveri la costrinsero a lungamente temporeggiare. Sverno lungo i lidi di Barcellona, ove per la furia di cruda tempesta settanta navi patirono orribili danni. Non per questo venne manco 1’ animo dei Pisani; ma tirarono bentosto i bastimenti sul lido, li racconciarono, e mandarono in Provenza per prov- visioni. Al muggito della procella che stava per piom- bargli sul capo, Nazaradeo non si stette. Tre erano i part it i ch’ ei poneva innanzi ai suoi savii: guerra; domanda di pace ; preghiera d’ aita a qualche altro potentato saraceno. Si avviso migliore il trattare di pace; e ambasciatori di pace furono immantinente spediti al generale delF armata pisana. Io vi cedero tutti i cristiani a me schiavi ; vi rifaro di tutte le spese della spedizione; vi forniro largamente quanto faccia mestieri al ritorno, diceva Nazaradeo, ed ag- TOMO I. 20 ~'V' TOMO I. -A/*' 202 giungeva le piu alte minacce. A cui i Pisani: trat - teremo di pace, risposero, quando sia cominciata la guerra; e Y ambasciatore torno al signor suo, come Faraldo ad Argante, dicendogli: arrnati , o mio si- gnore; che tardi? Anno Hi 4 . — Alcune navi pisane si diressero ad Ivica per esplorare il paese e gli andamenti degf ini- mici. Giuntevi miser o a terra delle genti onde far qualche preda. Usci ad impedirli la cavalleria nemica; ed i Pisani, fatti alcuni prigionieri, rimontarono le galere e tornarono all’armata. Altre navi esploratorie mossero a Maj orica. Na- zaradeo invece di uscir loro contro, mando dicendo che bramava abboccarsi con i capitani, e che avreb- be rimeritato questo favore con quante yettovaglie loro abbisognassero ; ma non si voile prestar fede ad un infcdelc, e ritornarono alia flotta. Quale inat- tesa gioja ! Trovarono esservi giunto il cardinale Bo- sone legato apostolico: pochi giorni dopo crebbero di ottanta galere, inviatevi da Pisa in rinforzo. Chi comprende qual conforto scende ncl cuore quando taluno accorre a seco lui dividere i rischi e le fati- che ; chi provo o sa immaginare la dolcezza dell’ ab- bracciar un fratello che vien dalla patria, dopo che si e da lei lungi da tanto tempo, sent! r a con quale letizia F armata accolse le navi d’ aiuto ! Non era piu tempo d’indugio. La primavera in- vitava ad agire: si fe’ dunque vela. 11 vento d’ aprile spiro oltre ogni dire propizio, e le navi veleggiarono ben tosto di faccia ad Ivica. Col favore della notte fecero lo sbarco: i nemici non osarono impedirlo; ma fuggendo dinanzi alia fiumana d’ arrnati irrompente, si concentrarono e stiparono nella citta. Alla falda di un arduo monte, munita dalla parte del piano di piu cinti di mura, difesa da vasti ed alti torrioni, questa citta era ben duro scoglio: tanto piu che a -few. 203 nome di Nazaradeo la custodiva un uomo valorosis- simo, Albunazar o Abiel Mazer. Ma queste difficolta. non fecero che raddoppiare il coraggio nei Pisani. Ebbero appena formato il campo, e spiegate le tende, che col raggio del giorno nascente si disposero all’ assalto. Gli assediati fecero una sortita : si scontrarono. . . e strage da una parte c dair altra infino alia notte. A1 nuovo di alcunc macc-hine cominciarono a bat- tere la muraglia , ed. ogni genere d’ armi volava a nembi. Intanto una parte della flotta incrociava. da lungi alle alture, perche i Mori di Spagna e d’ Africa o quelli di Majorica non sovraggiungessero ; e 1’ al- tra parte gareggiava con Y esercito di terra a flagel- lare il porto. Ed in cio si distinsero per opere me- ravigliose Bartolotto, Eufonso, Epitone, Pietro, e Guido da Parlascio. Cosi passarono varii giorni: di qua validi attacchi, di la valida resistenza: macchine da un lato, ripari dall’altro: dappertutto dispregio di perigli, portenti di valorc e rivi di sangue. Ma i Pisani costrussero un gran castello di legno, sul quale posto un ariete, percossero piu che mai rnuri e torri. Cio- decise la prima vittoria; poiche, sebbene i nemici si studiassero di riparo, il montone tempesto cosi, che una torre caddc con tanta rovina da fare scuotere il suolo come per terremoto. Ba- std: attraverso a nugoli di polvere, sulla macerie si cacciano i prodi dell’ Arno, e primi Ugonc A^isconti e Duodo Duodi. Un moro fa barriera del suo corpo ove la muraglia manco, e Aldobrando Orlandi Y uc- cide : il primo recinto e ormai dei Pisani. Nel- r ebrezza del lieto evento si da Y assalto al secondo muro, entro cui i nemici ripararono, ma invano. Solo dopo sette giorni fu super ato. Restava un terzo cinto di mura, o, secondo al- cuni, la gran rocca. Feroci per la doppia vittoria i \ — — — — — — — — 204 ^ Pisani gli si mettono attorno, con i montoni tcmpe- ^ stanclola. Crollan le mura; ruina una torrc ; mancano i clifensori sotto una grancline di strali chc gli ag- gressori lanciano a gara. Cade Albunazar; Ivica e de’ Crocesegnati. Entrarono essi nella citta; e spo- gliatala delle sue tante ricchezze, onde piu non fosse ricettacolo di piratic fortezze e muraglie distrussero. Poi ordinate alia meglio le cose di tutta l’isola, fe- cero vela alia volta della maggiore delle Baleari. Yi sbarcarono a forza il giorno di san Bartolom- meo, 24 agosto, e fecero alto a tre miglia dalla citta. Valorosi campioni, parlo 1’ arcivescovo Pietro, eccola la citta ove il tiranno opprirne i nostri congiunti ; ove sono le ricchezze predate net nostri mari; la citta nemica di Dio dacche vi alberga il distruttore della Cristianitd . Difensori della fede , coraggio. Su lance e spade; il ladrone paghi del suo sangue il tanto sangue dei Cristiani bevuto , e di cui tanta ha sete. Mostratevi invitti, e con nuovi eroici fatti riem- piete di meraviglia la terra , si ch’ ella sia un tern- pio di gloria immortale per voi . Ne vi scuori la rimembranza de 7 vostri fratelli caduti nel domar Ivica, soggiungeva il legato apostolico. Eglino valo- rosamente morendo hanno lasciato a noi argomento non di lacrime, ma d ’ invidia. Eglino pel mio lab- bro vi esortan dal cielo . Eglino saranno testimoni delle vostre gesta. Nell’ ora del cimento ricordatevi che non abbiamo la vita , se non per ispenderla a pro della religione e della patria. Proruppe un grido di feroce entusiasmo, ne altro vedevasi che un impugnar d’armi, ne udivasi altro che un domandar impaziente di cor r ere alia citta. Ma i capitani frenarono quelF impeto intempestivo s per ragunarsi, e la maniera discorrere di guerreggiar questa guerra. -r^rJS' 205 in vista. La sua. sanguigna luce cadendo direttamente su Majorica, parea versarvi la estrema maledizione di Dio; dal che nuovo animo ai campioni della Croce. La domane si mossero verso la citta: verano vicini, quando i Saraceni uscirono per affrontarli. Ugone Belloni cavaliere pisano ed altri che lo segui- vano li ricevettero cosi, che molti sul suolo estinti, e molti furono in fuga. Continuamente ingrossando, i Mori si divisero in due schiere, c facevano di met- tere in mezzo le prime squadre clei Pisani; ma questi avvedendosene, si ritirarono combattendo. Allora il grosso de’ Saraceni si riverso su loro, e correvano rischio d’ esser tagliati a pezzi : se non che accorsero Gugiielmo d’ Arles, e Sicherio Gualandi; collo sten- dardo di Pisa, il conte Ampuriano; coll’ insegna di santa Maria Maggiore, Ildebrando Orlandi; e con quella del Pontefice, Azzo Marignani: dietro loro F esercito irrompeva. Orribile fu la battaglia, orribile il macello dei Mori. La mente, nemica degli anni e dell’ oblio, ha conservato il nome dei piu prodi in quel conflitto, i quali furono Ugone da Parlascio e Duodo Duodi consoli, Ricucco Orlandi, Ranieri Ti- grini, Gherardo Gaetani, Albertino Bellomi, Guido Buti, Gualando ed Alberto Gualandi, Ugone Gusmari, Guido Rossi, Viviano Abati, Lanfranco Albizzone, ed un tale Poppino dell’ infima gente del contado, il quale fece prove maravigliose — disinganno antico al misero orgoglio di certi grandi, i quali mirano il vulgo quasi a nulla sia capace ! — Ferito egli d’ una freccia, la svelse e con quella stramazzo un nemico, tre altri ne uccise colla spada, e cadde come quer- cia che ruina tutte abbattendo le minori piante al- l’intorno. Freme d’ ira Nazaradeo vedendo tanto macello de’ suoi, e i superstiti vergognosamente stretti entro le mura. Ristoro V esercito, e dieder fuori di nuovo. 206 I Pisani li aspettavano ; corse ii suolo cli sangue, ed ovunque monti di cadaveri. Peri fra gli altri Corace, uno dei capitani generali del re, ferito di Lancia da Pietro Grosso; Bernardino Marignano e Pietro da Parlascio mostrarono miracoli di coraggio c di forza: la maggior parte dei nemici rimasero sul campo, la rimanente ebbe assai di ripararsi entro la citta. Maj orica era piuttosto tre citta in una, che una sola citta. La prima appellavasi Arabatalgidith forte di cinquanta torri, fabbricata dallo stesso Nazaradeo. La seconda Babelgidith, e la terza Elmodemia. As- sieme faceano un circuito di quasi cinque miglia, e presentavano paurosa pompa di cento settantaquattro torri. II fiume Essecchino le partiva, e cinque ponti riunivanle. Castella altissime di legname mobili sulle ruote e sorpassanti F altezza delle mura, arieti, baliste, e quante macchine poteva inventar Farte, furon ben presto in uso. Frattanto in patria moriva santo Guido, della an- tichissima famiglia de’ Gherardeschi: egli void ad af- frettare colie sue preci in cielo la vittoria de’ suoi concittadini (4). Anno 1116 . — Preparavan essi sempre piu fieri gli animi e F armi, quando videro a presentarsi am- basciatori del re nemico. Recavano, come la prima volta, larghc promesse e ancor piu larghe, e inoltre preziosi vestimenti e tesori. Ma la sbaglio questa volta Nazaradeo, stimando una merce anco la virtu e la fede: die i Pisani gli rinviarono i messi signi- (1) Le ossa di santo Guido dall’ oratorio di santa Maria di Gloria, da lui fabbricato nella selva di Caslagnelo, ove mcno solilarii i suoi giorni, fu- rono trasferite priina nella prepositura di Donoralico, poi a piu grandi onoFi nella pieve di Caslagneto, quindi ad onori grandissimi nella capitale di Pisa, La qual ultima traslocazione diede argomento ad una delle tele che della Primaziale adornano le augustc pareti. 207 ficandogli, che solo listaranno allorquanclo Majorica avranno soggiogata. Eppure il re barbaro ad onta delle patite disfattc avea tuttora settantamila fanti, tremila cavalieri, quattromila areieri e gran numero di frombolicri . . . chc monta? gli antichi pisani contavano i nemici dopo avcrli abbattuti. — Colie loro macchine si die- dero a flagellare le mura, e ne rovesciarono una cor- tina di circa quaranta passi. Per la, gridava il legato apostolico; e i pedoni per quella rottura si precipi- tavano. Ma non potendo la cavallcria sostcnerli in quell’ ingresso ingombro di rovine, furono costretti a ritirarsi pagando a caro prezzo 1’ inesperto consi- glio del legato pontificio. Ingagliarditi da questo suc- cessor i barbari dalF alto de‘ bastioni beffavano gli assediatori. L’ indomani nuovo assalto e nuova repul- sione: ma nello stesso tempo un fatto che merita csscre registrato accanto ai fatti di quell’ Oi azio, che stette solo contro Toscana tutta. Un tal Ranieri Pi- sano, cognominato il Malcontento, sdegnoso degli schcrni che i saraceni contro i fedeli lanciavano, c fidente nella sua gagliardia, solo stette contro tutti i mori: cadde; ma sopra una montagna di cadaveri nemici. E qui comincia un’ iliade di sventure pei Croce- segnati — come direbbero oggidi. — I guerrieri si metteano di mala voglia per le tante difficolta del- 1’ impresa, e piu perche pareva si avesse la peggio. Figlia dei continui disagi e della intemperie dell’ aria e del patimento di buone aequo, cruda malattia si stese pel campo; i conti di Barcellona e d’Ampuria volevano dipartirsi velando 1’ onta della vile risolu- zione col pretesto di dover andare a difendere le proprie terre, cui i Mori avevano molestate si, ma crano stati respinti. I Pisani fecero tali dimostranze, pregaron talmcnte, chc i compagni d’impresa restarono. 208 In questa guisa furono anclF essi i collegati tcsti- moni di lacrimevole sciagura. Una notte i Mori usci- rono silenziosamente, e, come Argante e Clorinda descritti dal Cantore della Gerusalemme, appiccarono il fuoco ad uno dei castelli di legno. Si alzarono i vortici delle fiamme, il fumo si sollevo come un tur- bine : corse il grido dell’ air armi; F esercito fu tutto sossopra; ma senza pro. Si delibero di fabbricare due altri castelli e piu grandi. La esecuzione tenne dietro al dire con tanta sollecitudinc, che Nazaradeo sent! rasa la sua baldanza, e mando per soccorso a Bu- tale signor di Denia, ed a Maroch altro signore dei Mori, stringendoli con questo patto: che vorrebbe esser piuttosto tributario ad essi, che soggetto ai Pisani, inimicissimi a Maometto ed ai seguaci di lui. L’ uno e F altro potente risposero che gli sarebbero ben tosto in aiuto. Periodic inorgoglito Nazaradeo, celebro la fausta nuova facendo dare nei timpani, nei tamburi e nelle trombe. Lo strepito della gioja pervenne alF orecchio del campo cristiano, e, poco dopo, la causa di tanto tri- pudio. Il conte Raimondo raunati i capi delF esercito fe’ loro tutto palese. Yenti navi volarono verso Ivica onde chiuder la via ai Saraceni che verrebbero. Stet- tero alF erta sul principio, poi si rassicurarono, inso- lentirono in seguito; e come se nullo vi avesse peri- colo, si diedero a scorrere intorno famelici di preda. Ecco all’ improvviso sopraggiunge Butale. Le navi dei pisani son quasi vuote. Egli le assalta. Bernardo Marignano, che era sulla prima nave, si difende: onore al coraggio infelice! Alla fine peraltro la sua nave fu presa con altre tre. Al loro ritorno gF in- gordi predatori, sul punto di cadere in mano dei nemici, si diedero alia fuga, riparando per selve e luoghi inabitati, ove a stento trovarono in alimento radiche d’ erbe e carne di asini — cibo troppo largo w,e ® 209 per chi al proprio interesse pospone l’interesse della patria ! Butale giunge in Majorica. Con tutto cio Naza- radeo si vide astretto acl aprir nuovi ragionamenti di pace. Ai quali non pochi dei soci porgevano fa- cile orecchia, e dicevano: poter i Pisani tenersi pa- ghi d’ aver doma Ivica, di liber are tanti schiavi cri- stiani, quanti Nazaradeo ne offeriva. Ed a queste parole si univano voci di mormorazione perfino con- tro i prelati, che se ne stavan tranquilli nei loro pa- diglioni, intanto che i guerrieri sotto l 1 arme suda- vano, e per la patria, pei figli e per loro stessi me- navan ore penose tra il sanguc, le stragi, le morti. Ma i consoli pisani sostenevano troppo manche- vole la loro impresa ove si tornassero conienti del solo riscatto degli schiavi; avvisavano, ne senza ra- gione, che appena partiti il barbaro re si sarebbe gittato sulle coste dei Cristiani, fatto piu crudele dalla vendetta; c con quest i cd altri consimili pensieri il loro esercito a durar confortavano. E durarono in- fatti ad onta che del continuo stento, di noja e d’in- fermita non pochi morissero. Alla vista di tanta costanza dispero Nazaradeo, e il dolore in pochi di lo trasse a morte. Gli suc- cesse Butale, che, a mostrarsi degno re, sbocco su- bito a provocare T esercito cristiano. La fortuna sui primi passi gli arrise: i Crocesegnati ebbero duro scontro, e Raimondo conte di Barcellona fu mala- mente ferito. Invece che ferito, i Mori lo pubblicarono morto; e con insano fasto ai pisani insultando: tra poco , gridarono, incontrerete ugual sorte , e la me- moria delle Ba/eari sard a Pisa d’ or rove e sgomento. Iattanza si fattamente superba attizzo piu che mai 1 ira e il coraggio. In un istante i fedeli furono un al- tra volta a travagliar la citta, battendola con le mac- 27 TOMO I. 210 chine, una pioggia d’ armi versandovi, e tra F altre certe fiaccole di fuoco lavorato che porto guasti or- ribili. II muro fu rotto in tre luoghi, e volevano ir- rompere per essi : ma quel di e F altro ne furono ri- buttati. Sul far della notte, sette fortissimi soldati ebbero presa una torre: di la, colF animo di sette squadre, ! piombarono sui nemici e ne fecero indicibile carne- licina. A tanto esempio Fesercito non ebbe piu ri- tegno; sbocco dalle tre brecce come torrente; men- tre dalF altra parte F intrepido capitano Eufrasio e il di lui figlio, rivale al padre nella via dell 1 onore, e tutti i loro soldati entrarono parimcnte. Stretti da ogni verso i Mori cessero alia forza la prima citta, ritirandosi nella seconda: cio accadeva il giorno di santa Dorotea v. e m. 7 febbrajo. Atterriti i Saraceni cercarono di placare il ne- mico, e si raccomandarono al conte Raimondo, pro- mettendogli tutto che potesse desiderare. Ed egli con- voco i capi e scaltramente adopro per modo, che la maggior parte ai consigli di concordia scendevano. Stava per raggiunger la meta, quando entro tutto armato Pietro Albitonc, ed in mezzo all’ assemblea avanzandosi: Non e tempo , disse, di tr attar e d’ ac- cordo , ma di soggiogare Majorica . Una citta cadde; V altre due vacillano. Stoltezza ed onta non cogliere alloro che manif estamente e per noi. Il conte Raimondo senti nelF animo queste parole, e sdegnato si ritrasse dal combattere; ma negli altri rivissero i sensi generosi, e si torno al cimento. Respinti tre volte, fecero sempre prove maggiori ; ne ristettero finche da un lato Ugone Visconti coi suoi soldati, dalF altro Francardo co’ suoi, soverchia- rono. I Saraceni si ristrinsero nella terza citta; ma lasciarono per le vie cataste di cadaveri, quasi a sga- bello per assaltarli nel nuovo asilo. © I Pisani riposarono alcun poco, sciogliendo in- £ tanto le catene di moltissimi schiavi. Ristorati ap- S pena si rimisero alle offese; e la presa dell’ ultima citta fu meno dura prova; die i Saraceni scuorati, centuplicato dai lieti successi era il cuore degli ag- grcssori. Alfeo con le sue genti sali il primo in for- tissima torre ; ne uccise il castellano, e buona pezza battutala, v’ inalbero la sua insegna. Sbigottiti i Saraceni si affollarono nella reggia, ultimo riparo e per natura e per arte fortissimo. Ma i Mori erano Y ultimo raggio di una face che muore: sfavillarono prima di estinguersi, bravamente resistendo; con tutto cio non poterono impedire ai Pisani in breve ora Y acquisto delle torri piu forti. In qucsti fatti Guido Pisano ebbe rinomanza che sfida i sccoli. Di questo tempo i Canonici di Pisa concessero alF Abate di san Zenone la chiesa di san Michele di Plajano in Sardegna, nella diocesi di Sasseri, ed al- tri beni con recognizione di censo annuale (1). Anco Fimperatore Arrigo concesse in quest’ anno un pri- vilegio alia chiesa pisana. L’ autentico serbasi nell’ar- chivio delle Riformagioni in Firenze: noi lo trascri- viamo, esscndo non tanto noto. IN NOMINE SANCTAE, ET INDIVIDUAE TRINITATIS. Henricus Divma favente dementia IV Romanov. Imper. August. Quod alijs Ecdesijs intuitu religionis non nunquam impartiri solemus, hoc praecipue et pisanam Ecdesiam a nobis impetrare non renuimus. Unde legatorum pisanae civitatis hoc est Petri consults darissimi viri, item Petri vicecomitis nostri , atque Teobaldi juris consulti nostri fidelis postulationi benignitatis aures accomodantes praedidam sanctam ecclesiam Virginis Dei Genitricis Mariae in no- stram defensionem recipimus , eique publicarum functionum immuni- tatem pia devotione deferimus, quo magis valeat libere divinis mi* nisterijs invigilare, divinisque praeceptis obsecundare. Praecipientes (1) Vcdi 1'islrumento relativo nell’archivio capitolare. iX/w 212 ergo praecipimus, ne ullus vel dux vel marchio, seu judex publicus, vel aliqua publica persona ingredi audeat in ecclesias, aut villas, loca, vel agros, seu quaslibet possessions, quas sub imperio nostro supra dicta pisana Ecclesia jam nunc possidet, vel hibet, vel in fu- turum possidebit, vel habebit, neque ad causas audendas, nec ad fodra exigenda, aut mansions, vel parata ibi faciendas, aut fidejussores, aut homines ipsius ecclesia constringendos, sed nec praestationes ullas, aut illicitam exactionem a quoquam hominum ibidem requirendas ali- quo in tempore concedimus, sed liceat his, qui vel nunc in eadem venerabili ecclesia divinis ministerijs insistunt, vel in futurum in eo- rum locum succedent, omnes praedictos ordines, res quiete possidere, eoque libentius tarn pro nobis, quam pro totius imperij statu Divi- nam misericordiam exorare. Si quis autem hoc nostrae Serenitatis praeceptum contemnere, vel in aliquo violare praesumpserit, sciat se poenali centum librarum optimi auri obligation constringi, cujus di- midium nobis, dimxdium praefatae venerandae ecclesiae inferant. Ne autem super his omnibus aliqua suboriator ambiguitas, Sigilli nostri impression praesens instrumentum iussimus signari. Signum Bom. Henrici IV. Romanor. Imperatoris invictissimi. Loco m Signi. Burrardu cancellarius, et Monsteriensis episcopus recognovit. Dat. viii. kal. Junij Ind. ix. Anno Dominicae Incamationis millesimo centesimo decimo sexto regnante Henrico IV Rege Roma - nor. Regni ann. x. Imper. vi. actum est in Christo feliciter. Amen. Ego Bonus sagri Later anensis palatij judex authenticum hujus vidi , et legi, et in exempt, isto subscr. — Ego Ildebrandus judex sacri palatij Lateranensis authenticum hujus vidi, et legi, et hie subsc. — Ego Ugo notarius Apostolicae Sedis authenticum hujus vidi, et legi, et hie subscr. — Ego Gerardus notarius domini Imperatoris authen- ticum hujus vidi, legi, et exemplavi, etc. Nel concilio congregato da papa Pasquale II il 6 marzo nella Basilica Lateranense (1), il Vescovo di Lucca mosse lamento che i Pisani avevano oc- cupato alcuni terreni alia sua chiesa pertinenti: i Pisani sorsero alia propria difesa, e la disputa ando molto in lungo. w ^ (l) Abbas Uspergens. Labbe Concilior. tom. X. 213 Ma lasciamo questi piccoli conquistatori in pace: ^ la tromba guerriera ne fa F ultimo invito alle Baleari. Anno 1117 . — Non restava, per compire la im- presa, che prendere il Cassaro o castello del re. Bu- rabe, invece di accingersi alia suprema difesa, sail segretamente una nave con soli sette compagni, per campare la vita colla fuga. Ma gli fall! il vile dise- gno; che i Pisani avutone sentore, gli fur on sopra e lo trassero prigione. Ncl di lui luogo i Mori alza- rono tosto un altro infedele, Alante spagnuolo. Egli pure senti troppo incerta sulla fronte la corona, e col favore della notte, quando piu cupa e silenziosa avvolgeva nella vasta sua ombra il cielo, la terra e F onta di un re che non sa morire, s’ involo per non dare in mano dei pisani. I quali, decisi all’ ultima prova, presentarono al castello tutte le macchine. Il combattimento fu piu che mai accanito. La disperazione da un lato ; pu- gnava dalF altro la impazienza di una certa vittoria. Grcmite eran le mura di torri di legno alzatevi dai Saracini, dalle quali combattevano uomini no, ma leoni. I Pisani con canapi uncinati addentavano le torri, e giu a precipizio : sotto le immense rovine ri- manevano a migliaja tronchi e pesti assaliti e assa- litori. Nel medesimo tempo d’ogni parte volavan fiaccole ed armi, e sopra ponti di legno, da castelli alle mura gettati, i vincitori entrarono. Entrarono il tre aprile dopo ventisette mesi d’ incomodi e di pericoli, e con un mare di sangue ne fu segnata F epoca immortale. In breve spazio la fama di tanto successo empic il mondo, e dappertutto furono gioje e grazie al cielo: mentre i conquistatori, trovate infinite ricchezze, obliavano le sofferte fatiche, i di- sagi, gli affanni, le ferite, le morti, e di sterminati tesori appagarono la ingorda inestinguibile sete di farsi potenti. Grandissimo fu il numero dei prigionieri; -a/\>G' 214 tra essi il re Burabe, e la rcgina, moglie del de- funto Nazaradeo, ed un di lui figlio giovinetto. Ma mentre li conducevano ad accrescere la pompa del loro trionfo non insolentivano i vincitori; li prose- guivano, al contrario, d’ ogni cura che poteva ad- dolcire 1’ amara loro fortuna. Altro fatto non dee mettersi in oblio: cioe che i vincitori, prima di sciogliere le vele, raccolsero le salme dei loro fratelli; e se eran caduti senza baci e senza pianto, non volevano che restassero senza un fiore nel terreno nativo. Le portarono infatti fino a Marsilia. La sorvenne il pensiero che quelli avanzi potrebbero contristare i} lieto ritorno; e li compo- sero nella chiesa di san Vittore, e di funebri pompe e di memori versi gli onorarono. Partirono col con- forto che almeno quelle ceneri di prodi dormivano entro una terra di fedeli. All’ arrivo, le madri, per la maggior parte, riabbracciarono nell’ estasi del- r amore i loro figli ; quelle che gli aveano perduti dissero, a modo delle Spartane, di averli per la pa- tria generati: e fu un giorno di gioja. Ne sola- mente in Pisa e nello stato di lei, ma in Roma e in tutta la cristianita si diffuse allegrezza; sendo che i Pisani avevano fiaccati i nemici di tutto il Cristianesimo. Doveva Pisa mostrarsi grata alia citta di Fi- renze per csserle stata, in tanto cimento, sostegno e scudo: ne a vero dire tardo. Anzi immantinente spedi al Senato Fiorentino, offerendogli a mercede qual delle due cose gli talentasse; o due bellissime colonne.di porfido, o certe porte di metallo. Ed essendo stato risposto che volentieri accetterebbero le due colonne, i Pisani le mandarono tosto, avvol- tele in bello scarlatto; le quali furon collocate da- vanti la porta del san Giovanni, ove fanno superba mostra tuttora. I Pisani ebbero voce di averle prima 215 aflogate (1), e i Fiorentini, che nol conobbero, fu- ron chiamati ciechi (2). Ma nci Pisani non pub sup* porsi tanto vile gelosia, in mezzo ai piu caldi sensi di gratitudine: il proverbio poi contro i Fiorentini conta forse piu antica data: Vecchia fama nel mondo li chiama orbi. Altra colonna, parimentc di porfido, fu donata alia chicsa Cattedrale; e risplende per lungo tempo sopra la porta grande, a monumento della riportata vittoria: poi, tolta di la, fu collocata nel tempio al canto sinistro della tribuna, dicontro ad un’ altra simile dal destro canto. II dono fu reso piu prezioso per le due porte di cui sopra dicemmo. Non parve peraltro di aver pienamente satisfatto ai doveri di religione, finchc non si provvedesse di perenni suffragi all’anime dei generosi pcriti in guerra, e le cui saline narrammo composte nella pace dei forti in Marsiglia. Si edifico dunque una chicsa nel quartiere di Chinsica, dcdicata all’ apostolo sant’ An- drea; e di sufficienti cntrate munitala, vi si condus- sero i monaci di san Yittore di Marsiglia onde con giornalicrc orazioni pregasscro quiete agli spiriti, quei sacerdoti mcdesimi che il corpo de’ prodi aveano composto nella quiete del sepolcro (3). (1) Ricord. Malespini, Istoria Fior. cap. LXXVI. G. Villani, Cronic. lib. IV. cap. XXXI. (2) Aminirato, Istoria Fiorentina. (3) La chicsa rammentata, racchiusa nella fortezza falta fabbricare dai Fiorentini P anno 1473, servi poi di chiesa parrocchiale, Del monaslero non resla vestigio alcuno, ne si pud dire fino a quando vi slessero i lodali mo- nad. Parlili quesli ne fu fatla una commenda dal Papa, la quale, nelP an- no 1403, teneva Giuliano arcivescovo di Tarso, che annul del suo consenso quando i Tisani, con buona graziadi Gabriello Maria Visconti loro signore, concessero la chiesa di sanl’ Andrea in Chinsica ai PaJri de’ Servi della Bea- tissima Vergine. Dagli annali de’ Servi apparisce che i Padri Servili, al- P epoca della costruzione della fortezza, passarono a sant’ Antonio in Spaz- zavento, e sanl’Andrea fu assegnata, col volger degli anni, alia Confraternila dell’ Arcangelo Raffaele: oggi e semplice cappella privata. ♦ =<5XD A1 legato Apostolico, ed agli altri prelati che erano stati all’ armata, si diedero doni onorevolissimi; all’ arcivescovo Pietro, il giovanetto figlio del morto re Nazaradeo. E il buon pastore con tanto affetto gl’ infuse nelF animo la verita e le virtu dell’Evan- gelo, che egli domando d’esser cristiano. Fu giorno di universale letizia il giorno del di lui battesimo (1). In seguito gli fu conferito un canonicato della Cat- tedrale : e di tanta modestia, di virtu tante fe’ risplen- dere la sua vita, che i Pisani, presi d’ affettuosa am- mirazione, supplicarono al Pontefice che al regno paterno volesse restituirlo ; ed il Pontefice fu cor- tese. Di Burabe non mancano documenti ch’egli pure si cristianasse, ma non si sa ove chiudesse i suoi giorni. La Regina poi in Pisa rinacque alia fcde ed in Pisa mori, come si pare dai seguenti versi latini intagliati in marmo nella facciata del Dupmo: Regia me proles genuit; Pisae rapuerunt. His ergo cum nato bellica praeda fui , Maioricae regnum tenui ; nunc condita saxo. Quod cernis, jaceo fine potita meo. Quis quis es ergo tuae memor esto conditionis, Atque pia pro me mente precare Deum . Ne stringe di stupore che il cardinal Baronio, uso a minutamente raccontare cio che nel tempo di ciascun pontefice ebbe luogo, abbia obliato affatto le imprese da noi dcscritte, ed a cui i Pisani si accin- sero, a preghiera del pontefice Pasquale II. Ma in- liumerevoli altri scrittori, profani ed ecclesiastici, nc fanno onorevolissima testimonianza: come testimo- nianza rendono i fatti dell’ amorc onde la Santita Sua proscgui la pisana Repubblica; mentre a nobi- lissime dignita illustri pisani furono sublimati. Gli an- (1) II sig. Pecheux, pillore del re di Sardegna, dipinse questo falto in un quadro che vedesi nella Primaziale. t 2L/va- -a 217 nali registrars il nome di tre onorati del cappello c ; cardinalizio, cioe: Ugone Yisconti che, dopo essere stato cappellano di Sua Beatitudine, fu mandato a govcrnare la citta di Benevento con titolo di prefctto; e la rese alia Chiesa luminosi servigi. A pegno che pensava al suo nativo suolo, benche ne fosse lungi, fe’ edificare e doto in Pisa nella contrada del Borgo, la chiesa di san Filippo. Restava poco sopra al dicontro dell’ al- lora badia di san Michele dei Camaldolcsi. Col pro- gresso del tempo la chiesa di san Filippo fu di strutt a, e vi si fabbricarono invece botteghe e case: il titolo per altro nc fu trasferito nel magnifico tempio di san Giovanni. Pietro, dell’ antichissima e nobilissima famiglia Della Ghcrardcsca de’ conti di Donoratico, fu egli pure in prima cappellano, e poi scrittore di Sua Santita: uomo di gran valore e prudenza nel trattare gravi cose. Nello scisma contro Innoccnzo II segui 1’ anti- papa Anacleto ; poi col suo credito e col suo molto sapere promosse Yittore; inline torno all 1 2 obbedienza d’Innocenzo, ne piu si tolse dalla unita di Santa Chiesa. Crisogono Malchidome, parimente scrittore di Sua Santita, fu assunto al cardinalato col titolo della diaconia di san Niccolo in carcerc. Egli fondo e doto in Pisa la chiesa di santa Eufrasia (I). Sotto papa Gelasio II fu eletto cancclliere di Santa Chiesa (2). Anno 1H8. — La citta di Roma era fatta nuova (1) Qucsla chiesa fa parrocchiale in principio; n’ebbero il padronato i Grim , poi i Sancasciani 5 in seguito fu addetta alia convenluale dei Cavalieri; nel 1729 cesso d’ esscr parrocchia, e fu concessa ai PP. Carmelilani scaizi -, nel 1810 fu data ai fratelli delle sacre slimmate di s Francesco, che tultora la conservano. Vedi Grassi, Descrizione slorica e artistica , ec. (2) Vedi il Ciaccone. TOMO I. 28 i\%<) d 218 Babilonia, che tutti nel temporale paclroneggiavano. Decreto percio Gelasio II d’ andarsene lungi. Difatti imbarcatosi con sei cardinal! e molti nobili e chie- rici, felicemente navigando pervenne a Pisa. Ben al- trimenti eragli 1 iuscita un’ altra fuga, nel 2 di marzo, quando , spaventato dalF improvviso arrivo di Ar- rigo Y, s’ imbarco nel Tevere per scendere al. mare. II mare era grosso; scoppio orribile tempesta; e i soldati tedeschi battevano le sponde del Tevere. Ebbe dunquc il povero papa assai merce di scampare, tolto sulle spalle dal pisano Ugone Visconti cardinale TAla- tri, e portato al castello d’ Ardea. II 2 settembre Pisa nella pin viva allegrezza ac- coglieva il grand’ ospite. Si stabili come una gara tra lui ed i cittadini. Egli concedeva loro ogni di piu privilegi: essi ogni di pin gli tributavano onori e riverenza. Lo pregarono i Pisani che volesse con- sacrare la nnova loro Cattedrale, ed egli condiscese. Ne corse intorno la fama, intanto che si preparava ogni sorta di magnificenza pel rito solenne. Il 26 settembre Pisa era un oceano di popolo. Alla sacra ceremonia intervennero i cardinali ed i vescovi che Sua Beatitudine accompagnavano; la maggior parte di quelli della Sardegna; la Chiesa di Lucca accorse co suoi canonici, priori e abati; sacerdoti, diaconi, chierici senza numero. In mezzo a tanta pompa, papa Gelasio offerse il nuovo tempio a Colui che tempio si fece di propria mano Funiverso (1). Confermo poi alia pisana chiesa la dignita archiepiscopale, conces- sale, come dicemmo a suo luogo, fin dall’anno 1082 ( 2 ). (1) Vedi Pietro Diacono lib. IV. delle Cronache Cassinensi. (2) Pietro Diacono dice non che Gelasio II confermo, ma che istilui l’arclvescovato in Pisa: primus in eadem urbe Archiepiscopatum instiluit. (Cron, Cassin. lib. IV. cap. LXIV). Gli Annali pubblicati dall’ Ughelli, Italia Sacra , dicono: Pisanam Eccle- siarn lam privilegio quam ore in Metropolitanam confirmavit sublimitatem. >1QXDC' 219 Autorizzo, col consenso di Pietro arcivescovo di Pisa, Odemondo dei Masca ed i figli di lui a conce- des a san Bedenetto la Chiesa di san Silvestro. Fe’ largo dono di molte santc reliquie, d 1 indulgcnze gran- dissirne, d’ onorevolissimi privilegi; ed ai Pisani be- nedicendo, ai primi d’ ottobre risali le navi alia volta della Francia. Anno 1119 . — I Genovesi non potevano tolle- rare Y autorita conferita all 1 arcivescovo di Pisa sui vescovi della Corsica: pcro sfogarono il loro mal talento colle armi (1). II Caffaro, storico genovese, scrisse che usciti i suoi con 16 galere presero molti pisani in Goloccio, e seco loro una gran somma di danaro (2). 1120. — II pontefice Callisto II, successo a Gela- sio, dopo essere stato tre giorni in Lucca passo a Pisa, ove fu incontrato dal clero c dal popolo con magnifica processione; c per tutto il tempo che vi si trattenne fu ricolmo d 1 onori. Supplicato dai Pi- sani che si degnasse consacrare alcuni altari, fu cor- tese di tanta consolazione alia citta. Cio indusse in errore V autore della vita di lui, il quale scrive che Callisto facesse la consacrazione del tempio (3), gia Gli Anriali pubblicali dal Mura Lori, Rerum Italicarum tom. V, hanno: Et de- dit Archiepiscopum Pisanae civitati , quia usque tunc tantum Episcopus erat , exceplo Daiberto , qui quamvis declaratus , non potuit residere quia eodem tempore fuit creatus Palriarca civitatis Sanctae Hierusalem. E negli atli del- PArchlvio pisano, dali alia luce nel tom. III. Antiq. Italicarum, Daiberto ne- gli anni 1094 e 1098 s’inlitola Pisanae civitatis Archiepiscopus Queste diverse opinioni si concilierebbero ammettendo, che Urbano II elevasse la chiesa di Pisa al grado arcivescovilc; ma che non avendo i vescovi di Corsica voluto riconoscere per loro arcivescovo il pisano, Gelasio Ilridie questo diritto alia chiesa di Pisa, e con maggiore etHcacia. (Vedi Muratori, Annali d’ Italia, anno 1118). (l) Annales Pisani , tom. VI. Ker. Ital . S (2) Caffarus, Annal. Genuens. tom. IV. Rer , Ital. b (3) Royatus ab Pisanis et cum magna instantia postulatus mojorem ec- rC\ clesiam Reatae Marine, lota ibidem Tuscia concurrente , dedicavil solemniter. Vitae Callisli II. 220 cledicato alia SS. Vcrgine da Gelasio II, come affcr- mano tutte le cronache pisane, e una pergamena antichissima della chiesa maggiore. Prima di partirsi il buon pontefice, a monumento del suo affetto, con- fermo ai Pisani tutti i privilegi da’suoi antecessori largiti: la insegna di Santa Chiesa nelle spedizioni; giurisdizione temporale sulla Sardegna, spiritualc sulla Corsica ; e che i vescovi di quest’ isola fossero dal pisano arcivescovo consacrati. In tempo che queste cose accadevano, i Geno- vesi con ventidue gale-re vennero all’ imboccatura dell’ Arno; ma i Pisani gli assalirono, e li misero in rotta pigliando loro sci galore. Cosi dicono gli antichi Annali di Pisa (tom. VI, Rev . Ital.) Tutto all’opposto poi dice il Caffaro (AnnaL Genuens.) Non 22, ma 80 furono le genovesi galere, a detto suo, e di piu 28 golabi e quattro grosse navi : portavano innumerevoli macchine da guerra, e ventiduemila combattenti tra fanti e cavalli. Si poderoso esercito incusse tale ter- rore ai Pisani, che prestarono orecchio a un trattato di pace de Ute Corsicae (1). Stolto 1’ amore della pa- tria, quando si apertamente svisa e calpesta la vcrita! In quest’ anno era arcivescovo di Pisa Azzo, prima arcidiacono di Piacenza, e crcato poi cardinale, quando si rcco ad assistere alia consacrazione del Duomo di Volterra (2). Quest’ arcivescovo fece molti acquisti alia sua mensa, come si vede da istrumenti conservati nell’archivio arcivescovile. Anni 1122-23. — Nel concilio celebrate in La- terano, papa Callisto II elesse tredici cardinali, tra (1) Vedi Muratori, Annali. (2) Ne il Panvinio, ne il Platina, ne il Ciaccone dicono che Azzo fosse cardinale; ma confessando essi che Callisto fece molte ordinazioni, e di queste tre sole conoscendosene, eni lutta ragione di credere fra le ignole quella dei nostro arcivescovo, della quale antichi manoscritti pisani tengon proposito. 221 cui splcnde Matteo Diacono, pisano, sccondo chc as- scrisce D. Ferdinando Ughclli. Questo piccolo fatto scolora in faccia alle di- scordic riaccese tra Pisa e Genova, se pure si erano spente. Callisto II, a cui dispiaceva troppo la rottura fra due popoli die meglio avrebber potuto impie- gare le loro forze in Oricnte contro gl’ infedeli, chiamo a se gli ambasciatoi i de’ due popoli al sopra rammentato concilio Later anensc. No segui un gran contradittorio. La decisione fu rimessa a dodici ve- scovi e dodici arcivescovi, i quali agitarono la que- stione, ma non vollero proferire sentenza. Gualtieri arcivescovo di Pvavenna, ed alcuni altri con lui, con- sigliarono al papa di spezzare la pietra dello scan- dalo togliendo le chiese di Corsica dalla soggezione dell’ arcivescovo di Pisa. Udito cio Azzo, che era presente, gitto la mitra e Y anello a’ pie del ponte- fice, dicendo, che non sarebbe piu ne suo arcive- scovo, ne vescovo . Ed il pontefice a lui: fratello liai mal fatto , e te n’ avrai a pentire . Infatti il giorno dopo ordino a Gregorio, cardinale di sant’ Angelo e poi papa Innocenzo II, di leggere il decreto che da li innanzi i vescovi di Corsica cessassero d’ esscr sot- toposti alia chiesa pisana. E cio invece di calmar la dissensione fra i Genovesi e i Pisani, maggiormente F accese (1). Anno ii24. — Difatti secondo gli Annali geno- vesi, lib. I, abbiamo che non si mise tempo di mezzo alle ostilita (2). Era in quest’ anno arcivescovo di (1) I! Muralori nei suoi Annali riporta tulle queste cose, per noi tra- scrilte sull’ autorita del Caffaro, il qual ne fu testimone. (2) II Caffaro scrive che venendo dalla Sardegna 22 navi cariche di molto avere e scortate da nove galee pisane, 7 galee genovesi a gonfie vele navjgaron conlr’ esse; alia vista delle quali i Pisani intimoriti si rifugiaron nel porto di Vado, e le scortate navi abbandonarono. I cronisti pisani non ne fanno parola. (Muratori, Annali d’ Italia ), 222 Pisa Ruggieri, stato prima vescovo cli Volterra, il quale, da quello che mostrano molti contratti esi- stenti neir arcivescovile archivio, di grandi beni la sua mensa arricehi. Anno U25. — 11 3 di marzo ser Yitale di Ric- cardo rogo un istrumento, esistente tuttora nell’ ar- chivio di Volterra, in forza del quale le due rcpub- bliche, Pisana e Volterrana, si obbligarono a vicen- devolmente difender si e a proprie spese : la prima era rappresentata da Gradulfo di Ranieri Scaccieri, la seconda da Buonaccorso di Nuccio Allegretti. Nella state i Genovesi usc-irono un’ altra volta ai danni di Pisa con dieci galere, come scrivono alcuni, e secondo altri con diciotto. Scorsero il mare di Corsica e di Sardegna sommamente danneggiando. Al ritorno scesero sino a Porto Pisano, eel alcuni navigli presero e merci e prigioni. Dicdero anche la caccia ad una nave la quale portava quattrocento uomini e ricco carico ; la perseguitarono per quattro giorni, ma non poteron raggiungerla : per fortuna di mare ando a rompere alia foce dell’ Arno. Allora i Genovesi corsero sopra Piombino; vi trovarono una nave e 1’ arsero : batterono il castello ; diedero fuoco al Borgo, e menando prigioni gli abitanti, rifurono a Genova nel mese di settembre. Nel dicembre papa Onorio II nomino tredici car- dinali, nel bel numero dei quali fu Uberto di Ratta Anfranco pisano. dl26 . — Dicemmo che nel mese di settembre dell’ anno decorso i Genovesi batterono il castello di Piombino ; non pero Y ebbero preso. A giungere a capo del loro disegno, fecero in quest’ anno un grande sforzo d’ armata. Ottanta galerc, tre grosse navi e quaranta altri legni furono intorno alia rammentata fortezza. Eroica fu la difesa; ma fu giocoforza soc- combere a tanta possa. Strage, devastazione, incendii so contrassegnarono la vittoria. Di la i Genovesi piorn- barono sopra molti altri luoghi cosi, che trovanclosi i Pisani molto al disotto, chiesero cd ottennero pace a condizioni poco onorevoli. Fra le cjuali quella di gettar giu tutte le case fino al prime palco, condi- zione assai strana e che noi non crederemo, men- tre anche molti annalisti genovesi non ne fanno menzione (1). Porto qualche conforto la Bolla che Onorio II sped! al pisano Arcivescovo il 17 luglio, con la quale gli restituiva la primazia su i vescovi di Corsica, il diritto del Pallio gli confermava, e gli concedeva quello di farsi precederc dalla Croce. Dilegua ogni ombra di dubbio la Bolla sopraddetta, che nelFar- chivio delle Riformagioni si conserva in Firenze, e che qui trascriviamo : HONORIUS EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEL Venerabili Fratri Rogerlo pis. Archiepisc. ejusque successoribus canonice instituendis in perpetuum. Ad hoc in sancta matre catholica , et universali Romana Ec- clesia, quae justitia sedes est, nos , auctore omnium bonorum Deo , cognoscimus constitutos, ut suam Ecclesijs tibi justitiam conservemus, et si quid perperam gestum esse noverimus, rationis consilio ad recti- tudinis tramitem reducamus, quatenus, et quae corrigenda sunt , or- dine judiciario corrigantur, et quae recte statuta noscuntur in sui vigoris robore perseverent. Praedecessor equidem noster sanctae mem. Urbanus papa instituivit, et charitatis intuitu, consilio episcoporum et cardinalium, et aliorum fidelium assensu pisanae Ecclesiae, et Daiberto, qui ei praesidebat, ejusque successoribus canonice intranti- bus Corsicanae insulae episcopatus regendos , et disponendos commisit atque subiecit , eumdemque Daibertum in archiepiscopum insulae Cor- sicanae promovit, et Corsicanis episcopis, ut ei, tamquam Metropo- litano suo obedirent , per obedientiam praecepit. In magna namquae, et diuturna scismaticorum tempestate, quam romana tunc temporis patiebatur Ecclesia, Pisanorum civitas multis laboribus fecit obno- (1) Vedi Girolamo Serra, Sloria deW arnica Liguria c di Genova, "v f 224 xium; Corsicana vero tam prolixltate spatiorum , quam negligentia pastorum , dominorum insolentia, et desuetudine legatoris Sedis Apo- stolicae deferbuerat, et dissolutioni, ac dispositioni dedita ecclesiastici ordinis pene deseruerat disciplinam. Proinde idem praedecessor no- ster tot a Pisanis collatorum beneficiorum meritis digne respond'd, et Corsicanae ecclesiae, quae Pisanis proprior est , debita charithte pro - vidit. Postmodum vero papa Gelasius ejusdem charitatis respectu idem juris , et dignitatis , quod a Dom. Urbano PP. pisanae Ecclesiae collatum fuerat, auctoritate sui privilegij conjirmavit. Quo de hac luce assumpto, praedecessor noster Calistus ejusdem rationis conside- rations, quod ab antecessoribus ejus Urbano, et Gelasio datum, et conjirmatum pisanae Ecclesiae fuerat, privilegij sui munimine robo- ravit. Jenuenses autem Tionori pisani populi invidentes, et eorum in- crementum aequo animo non ferentes , hujus rei sumpta occasions guerram contra Pisanos moverunt, unde caedes, incendia, et multe christianorum captivitates, peccatis exigentibus, contigerunt, et de bac- cando in christianos saracenis multa crevit audacia. Propterea Jenu- enses ad urbem venientes romanum clerum, et populum sollicitare attentius statuerunt, suadentes eis, magnum esse romanae Ecclesiae de- irimentum, nisi concessa dignitas pisanae auferetur ecclesiae. Assere- bant enim romanam ecclesiam liujus guerrae causam, ac fomentum existere. Et si Corsicanorum episcoporum consecratio ad proprium dominium romanae revocaretur ecclesiae, indubitanter inter se et Pi- sanos, pacem, et concordiam pervenire. His igitur causis Dom. PP. Calistus pads amator inductus, donationem illam pisanae Ecclesiae a suis antecessoribus factam, et a se ipso firmatam, pads intuitu, re- cessavit, et scripti sui pagina irritavit ; ceterum neque suis, neque no- stris temporibus, inter Pisanos et Jenuenses, est ad hac concordia consequuta. Post commissum vero nobis a Deo romanae Ecclesiae re- gimen , tu Frater Pogcri pisanae ecclesiae archiepiscopus et consules , ad nos mittentes, ut de Corsicanorum episcoporum, quae pisanae ec- clesiae a predecessoribus nostris Urbano, Gelasio , Calisto collata fuerat, et sine praecedente ipsorum Pisanorum culpa, et absque ju- dicia ablata. Justitiam faceremus suppliciter rogavistis ; praesentibus etiam Pisanis Jenuenses, ad nostram postea praesentiam venientes, ut eisdem sacrae ablatio a papa Calisto facta per nos firmaretur, nihi- lominus postulaverunt. Nos autem utrosque alligenter ad pacem fa- ciendam monuimus, sed pacem ab eis prece, vel monitis impetrare nequivimus. Jenuenses enim, qui ad nos venerant, sed ad hoc non esse a populo suo missos, neque ejus mandata posse transgredi asse- rebant. Ilabito igitur fratrum nostrum episcopum , et cardinalium consilio, quod utrosque populos ad pacem cogi ratione debere, conve- nimus, Legatum ergo nostrum comitem tunc diaconum cardinalem , cum scriptis nostris Jenuam, et Pisas misimus, praecipientes, ut in manu ejus, juramento firmarent, se de sacra Corsicae, et Gueva, resque ad tunc proximum sancti Michaelis festum nostris jussionibus obedire. Transacto itaque termino, utraque pars ad nostram venit praesentiam. Nos autem diligenti studio, ad pacem inter eos statuen- dam, quamvis non profecerimus, laboravimus ; denuum cum ab eis quaereremus, ut juramento jirmarent, se nostris obedire mandatis , Jenuenses se adimplere non posse dixerunt, et quod cui consulatus terminus esset expletus. Tunc comunis deliberatione consilij Pisano- rum super hac causa jur amentum recipimus, et ne Jenuenses aliquam rationabilem contra nos occasione praetenderent , secundum eis , et ter- tium per nostros Nuncios, et litteras terminum dedimus. Qui profe- sto neque tenuerunt, neque pro se excusationem canonicam direxerunt. Cum ergo inter romanam ecclesiam et pisanam quaestio remaneret, et Pisani ad requirendam ecclesiae suae justitiam non desisterent, fratres nostros archiepiscopos, episcopos, et abbates qui causam, et commodum rei gestae a praedecessore nostro papa Calisto plenarie noverant, convocavimus. Quibus in sagro Lateranensi palatio in no- mine Domini congregatis, resgestas praedecessorum nostrorum Urbani, Gelasij, et Calisti tradidimus, et quid inde a nobis postquam apo- stolicae Sedis onus assumpsimus factum fuerat, et quantum pro pace inter eos componenda labor averimus, ostendimus, rogantes in ea ca- ritate, qua venerant, ut justa quod eis Sancti Spiritus gratia revela- ret, nobis consulerent. Postmodum vero adiurat infidem, quam Beato Petro, et romanae debebant ecclesiae, responderunt se nulla alia causa, nisi divina charitate, ad id, quod dabant, consilium fuisse adstrictos, quod nimirum consilium praescriptum proprijs roboratum manibus ediderunt. Cujus videlicet scripti verba haec sunt. Spiritus Sancti dictante gratia. Dominus Honorius sacratis- sirnae , et apostolicae Sedis episcopus, diversarum provinciarum ar- chiepiscopis, et episcopis, abbatibus quid de negotio pisanae ecclesiae juste et canonice faciendum foret, petijt consilium. Quibus rationa- biliter visum est, quatenus, et be. me. Urbani, Gelasij, et Calisti pri- vilegia, et cuncta inconcussa permaneant, et pisanam ecclesiam de- bere restitui Corsicanis episcopatibus, absque judiciario proprio or- dine spoliata, et scripto huic subscripserunt. Arcliiepiscopi, Gualterius TOMO I. 29 Ravennas , Romualdus Salernitanus, Otto Capuanus, Rofridus Bene - ventanus; et episcopi Vuillelmus Urbevetanus, Guido Aretinus, Grego- rius Teracinensis, Pandulphus Franensis, Clarissimus Assisiensis, Ro- bertus Aversanus , Riccardus Cajetanus, Trasmundus Signinus, Joanne Catenas , Gualfredus jSenensis, Guafridus Suessanus, Ranulphus Caser- ranus, Jacobus Faventinus, Etho Sutrinus, Petrus Castellanae Civita- tis, Benedictus Nepesinus, Ilditho Soanensis, Gherardus Ameliensis , Benno Caesenatens, et Petrus Tuscanensis; et abbas 8. Laurentij Aver- sani, Matteus, et Joannes sanctae Sophiae , atque Joannes Camaldulen- sis, prior: interfuerunt etiam episcopi, Benedictus Lucanus, Andreas Lunensis, Bernardus Marsorum, Petrus Clusinus, et Otho Tudestinus ; absentes quoque, Eldegario A. Tarraconae , Gualterius Magalonae, et Gottifridus Florentinus episcopi assentes, et consilium suum per proprias licteras praebuerunt: propterea collaterales fratres nostri episcopi, et cardinales, in unum convenentes, de hoc inter se consu- lentes post multas disceptationes, et subtilitates ab omnibus qui in unum convenerant hoc judicatum est: Quod papae Urbano, ex auctoritate Romanae Ecclesiae, etiam contra voluntatem ipsius insulae episcoporum, licitum fuerit pisanum episcopum provisorem, et metropolitanum Corsicanae ecclesiae constituere, successoribus autem ipsius D. Gelasio, et D. Calisto id ipsum itidem licuisse suis privile- ges confirmare ; et quia pisanae ecclesiae a tot romanis pontijicibus collata, et conjirmata dignitas sine manifesta culpa, et judicio auferri non debuit : nunc judicatum est, earn di. ei. dignitatem debere resti- tui, et facta de donatione illius romanorum pontificum privilegia in- concussa servari. In hoc etiam honoratorum Vicorum Petri praefecti , consulum, et aliorum romanae urbis sapientum, atque nobilium con- venit assensus. Hoc ergo, quod ab archiepiscopis, episcopis, et abba- tibus collaudatum, a cardinalibus judicatum, et a baronibus appro- batum fuerat, justum esse noscentes, in conspectu omnium, te, caris- sime in Christo frater Rogeri pis. archiepiscopo de consecratione epi- scoporum Corsicanae insulae per baculum investimus. Nunc itaque secundum consilium, et collaudationem archiepiscoporum , episcopo- rum, et abbatium, et nobilium romanorum assensum, praedecessorum nostrorum Urbani, Gelasij, et Calisti privilegia ecclesiae pisanae fa- cta, concussa permanere statuimus, et per presentis privilegij paginam consecrationem episcoporum Corsicae tibi, et te pisanae ecclesiae restituimus. Item secundum iam dictorum privilegiorum tenorem, tam- quam proprius ejusdem insidae metropolitanus episcopatus , et episco- pos ipsos, regendi, ordinandi, et consecrandi, atque ad Synodum, tarn 227 in metropolitana pisana ecclesia, quam in ipsa insula convocandi, ad onorem Dei, et ejusdem pisanae ecclesiae habeas potestatem, Pallei quoque usum, qui praedecessoribus tuis pro ipsius insule praelatione a nostris antecessoribus est concessum, nos tam tibi, quam tuis pre- decessoribus confirmamus, his videlicet diebus, qui subscripti sunt , id est: Nativitate Domini, Epiphania, Ipopanthon, Caena Domini, Pascha, Ascensione, Pentecoste, tribus solemnitatibus Beatae Dei Ge- nitricis Mariae, Natalibus sancti Joannis Baptistae, et Ss. Apostolo- rum, Commemoratione omnium Sanctorum, Consecratione Basilica- rum., Suffraganeorum Episcoporum, et Clericorum, Anno Natalitij tui die; in festivitate s. Sixti; in Inventione et Exaltatione sanctae Cru- cis; in Anniversario Consecrationis pisanae ecclesiae; in festivitatibus sanctorum martirum Stephani, Laurentij, et Epliesi, cujus Corpus in eadem ecclesia requiescit, et in solemnitate beatae Agatae virginis, et martiris; sane per pisanam parrochiam, et insulam corsicanam, Cru- cem ante te, et tuos successores deferri concedimus. Si qua igitur in futurum ecclesiastica, secularisve persona lianc nostrae constitutions pa- ginam sciens contra earn temere venire tentaverit, secundo, tertiove com- monita, si non satisfactione congrua emendaverit , potestatis, honorisque sui dignitate careat, reamque se divino judicio existere, de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sanctissimo Corpore, et Sanguine Dei, et Do- mini nostri Jesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine di- strictae ultioni subiaceat. Cunctis autem et dictae ecclesiae juxta ser- vantibus sit pax Domini Nostri Jesu Christi, quatenus, et hie fructus bonae actionis percipiant, et apud districtum judicem premia eternae pads inveniant. Amen. Loco ^ Sigilli. Et (bene valete) Signi. Ego HONORIUS Catholicae Ecclesiae episcopus subscr. Ego Crescentius Sabinensis episcopus subscr. Ego Guglielmus Praenestinus episcopus subscr. Ego Guido Tiburtinus episc. subscr. Ego Bonifatius card, presb. tit. S. Marci subscr. Ego Gregorius card, presb. tit. Apostolov, subscr. Ego Benedictus presb. card. tit. Eudoxie subscr. Ego Corradus presb. card. tit. Pastoris interfui subscr. Ego Deusdedit presb. card. tit. Damasi subscr. Ego Saxo presb. card. tit. S. Stephani subscr. Ego Petrus presb. card. S. Susannae subscr. Ego Joannes presb. card. tit. S . Grisogoni subscr. 228 ^ Ego Petrus presb. card. tit. S. Calixti subscr. Ego Petrus presb. card. tit. S. Marcelli subscr. Ego Sigitho presb. card. tit. Ss. Marcellini, et Petri consensi subscr. % Ego Gregorius presb. card. tit. S. Sabinae subscr. >$< Ego Gherardus presb. card. tit. Ss. Aquilae, et Priscillae subscr. Ego Ubertus presb. card. tit. S. Clementis subscr. >$* Ego Gregorius tit. S. Angeli card, diaconus subscr. >%< Ego Eomanus diaconus card. S. Mariae in Porticu subscr. >$< Ego Ego diaconus card. S. Teodori subscr. Ego Stephanus diaconus card. S. Mariae in Cosmedin subscr. Ego Joannes diaconus card. S. Nicolai subscr. Ego Angelus diaconus card. S. Mariae in Dominica subscr. Ego Jacintus prior subdiaconorum sanctae Basilicae subscr. Ego Ilumannus sacrae Basilicae subdiaconus subscr. >J< Ego Nicolaus sacrae Basilicae subdiaconus subscr. Ego Silvius prior subdiaconorum de Cruce subscr. >& Ego Joannes subdiaconus de Cruce subscr. %< Ego Petrus subdiaconus subscr. )$< Ego Caleph. subdiaconus subscr. Ego Matheus sacrae Basilicae subdiaconus subscr. >$< Ego Joannes qualiscumque subdiaconus subscr. >$< Ego Bobus subdiaconus sacri Palatij subscr. >$< Ego Girardus subdiaconus subscr. Ego Stephanus sacri Palatij subdiaconus subscr. ^ Ego Bonifatius clericus subscr. Datum Eaterani per manum Aimerici s. Pomanae Ecclesiae diaconi cardinalis, et cancellarii xii. Teal. Augusti Indict, iv. Incar- nationis Dominica An. M. C. XXVI. Pontificatus autem Domin. PLonorij papae II. Anno secundo. Originate asservat. in archiv. Reformat. Florentiae. Frai cardinali sottoscritti ve ne sono due pisani: Pietro Della Gherardesca del titolo di santa Susanna, ed Uberto del titolo di san Clemente. Anno 1127. — I Milanesi, ansanti di sottomettere la citta di Como, fecero venire da Pisa buona copia di artefici a fabbricar navi, castelli di legno, grosse baliste ed altri ordigni di guerra (1). Frattanto l’ar- (1) Anonymus Poeta Comensis, tom. V. Rer. Ifal. 229 civescovo Ruggeri, col consiglio clci consoli, clonava ai suoi canonici la cortc cli Pappiana (i). Eel Ugonc cli molti suoi posscssi arricchiva la cliiesa pisana, cli cui godeva un canonicato quantunque prete cardi- nalc. Eccone il piccolo documentor IN NOMINE DOMINI JESU CHRIST I DEI AETERNI. Anno ab Incarnatione ejus M. C. XXVII. tertio nonas Octob. Indict, v. Manlfestus sum ego Ubertus canonicus ecclesiae archieplscopatus sanctae Marine Pisanensls , et Romanae Ecclesiae cardlnalls presblter. Quia per banc cartulam pro remedlo anlmae meae, et parentum meo- rum dono, trado, Omnlpotentl Deo, et jam dlctae canonicae meam partem integram de castello, et burgo, et podlo, et curte, et dlstrlctu de Camajano , et omnl ejus pertlnentla, et de castello, et burgo, et podlo, et curte, et dlstrlctu de Popogna, et omnl ejus pertlnentla, praedictam meam partem Integram de omnibus, quae supra leguntur in Integrum cum inferiorlbus, et superioribus suls, seu confinlbus, seu Ingressibus suls, et cum omnl jure, et pertlnentlls earundem Omnlpo- tentl Deo, et jam dlctae canonicae, ut dictum est, dono, trado etc. Anno 1128 — I Pisani donarono ai Padri di Val- lombrosa la chiesa di san Michele in Sardegna (2). 1129. — Una squadra di galere genovesi approdo a Messina, e vi trovo ancorata una squadra di navi pisane. S’impegno immantinente una battaglia, cd i Genovesi ebbero propizia la sorter occuparono una buona somma di danaro, ma la restituirono ad istanza di Ruggeri duca di Puglia (3). 1130. — II 14 febbrajo fini la sua vita in terra papa Onorio. Gli successe Innocenzo II, il quale ebbe (1) Nell’ archivio capilolare esiste il relativo islrumento rogalo da ser Ugone notaro apostolico XV. kal. Julii, Indict. IV, presenti Gualando di Gualando, Gherardo d’ Ugone Visconti, Enrico di Guinillone, Enrico di Ro lando, Ildebrando d’ Albitone, Raniero di Raniero da Ischia, Sicherio di Si- cherio Visconti di Pisa. I consoli erano dodici; poi si chiamarono anziani. (2) Scipione Ammirato, Istorie Florentine. (3) Caflari, Annales Genuenses, lib. I. ■v A- 230 fin da principio il soglio avviluppato di minacciose nubi. A schivarle prima die si square iassero a tem- pesta, lasciato suo vicario in Roma il vescovo di Sabina, navigo felicemente a Pisa, dove fu accolto con sommi onori. Provava egli pungentissimo dolore di vedere due potenti repubbliche straziarsi per cru- dclc discordia tra loro. Laonde pregd esorto am- moni, e dispose F animo di Pisa alia riconciliazione. Si disponeva a risalir la nave alia volta di Genova, quando il cardinal Matteo di nazione francese, gia monaco Clunacense, poi vescovo d’Albano e legato in diverse provincie, fedele compagno di papa Ono- rio, fornito e bello delle piu grand! virtu, sulle sponde dclF Arno dormi nel bacio del Signore. Periodic papa Innoccnzo si trattenne a celebrargli ei mede- simo solenni onori. Fu sepolto nella chiesa di san Frcdiano (1). Pervenuto a Genova spiego il pontefice, siccome in Pisa, il paterno suo zelo per toglier via una volta micidiali gare che tornavan funeste a tutta la Cri- stianita: e fu stabilita una tregua sin che il ponte- fice riedesse dalla Francia, ove era per celebrare il suo primo concilio in Chiaramonte. In questo concilio Innocenzo fece la sua prima creazione di cardinali, fra i quali furon due pisani; I). Balduino monaco Cisterciense discepolo di s. Ber- nardo, c Guido de’ Conti di Caprona, il quale, spedito legato in Francia, ebbe Y onore che san Bernardo gf indirizzasse la sua epistola 196. A lui si debbe la fondazione della basilica di san Torpe in Pisa. In tempo che il vero papa nominava cardinali questi due pisani illustri, un altro, cioe D. Pietro monaco Cassinense, ne promuoveva Y antipapa Anacleto. Anno 1131. — Il Regolo del giudicato d’Arborea (1) Vittorelli, Add. al Cucione, in Onorio II. 231 in Sardegna, tenendosi maltrattato dai pisani prego d’ aiuto i genovesi, e a meglio guadagnare ed assi- curarsi viepiu il loro fay ore, dono alia chiesa di san Lorenzo di Genova un ricco benefizio e la meta di ccrti monti copiosi di miniere d’ argento. Anno U32. — Papa Innocenzo ritornando di Francia, per la strada di Pontrcmoli venne in Pisa. Qui volendo stabilire defmitivamente la pace tra lc due repubbliehe Pisana e Genovese, chiamo da Ge- nova ambaseiatori plenipotenziari, ed essi e i pisani obbligo a starsi contenti del suo giudicato. A1 che tutti assentcndo, il buon pontefice null’ altro disse che queste parole: Sia tra voi pace ferma e stabile ; custoditela e mantenetela . Nell’ atto istesso voile per altro ed attestare a ciascuna repubblica la sua ri- conosccnza per tanti servigi alia Chiesa renduti, e togliere per quanto pote quel seme che si grand i ger- mogliatc aveva c potea germogliare sanguinose dis- cordie. Levo dunque Siro vescovo di Genova dalla soggezione dell’ arcivescovo di Milano, col conferirgli la dignita archicpiscopale e sottomettere ad esso i vescovi Marinense, Nebbiense, Acciense, Robiense e F abate Partimacense. Alla chiesa pisana concesse il Primato dell’ isola di Sardegna e del vescovato d’Aleria, Biagno e Sagona in Corsica, e le fece sog- getto inoltre il vescovo di Populonia. In questa guisa voile appagare F uno e F altro popolo. In tale fidanza, rimase il pontefice in Pisa atten- dendo il re Lotario che gli aveva promesso di scen- dere in Italia, e rimetterlo sul soglio pontificio in Roma (1). Attese, ed il re per quest’ anno non giunse. Avvennero peraltro due fatti degni di meinoria, cioe: (I) Ad inlelligenza comune deve notarsi che quando una parte di car* dinali inalzo al papato Innocenzo II, un’ altra parte, e piu numerosa, elesse I’anlipapa Anacleto. Questi teneva Roma: Innocenzo era coslrelto ad escirne, Vedi Muratori, Annali. 232 la morte di sant’Ugone yescovo grazianapolitano, il quale fu da Innocenzo II canonizzato nelF anno se- guente 1133(d); e la conferma del cardinale Uberto Rossi Lanfranchi pisano ad arcivescovo di Pisa, il quale, nel tempo dello scisma delF antipapa Anacleto, dimoro di la dalF alpi. In quest' anno soltanto egli ascese al soglio arcivescovile pisano; conciossiache esiste un contratto nelFarchivio archiepiscopale, ac- cettato dalF arcivescovo Ruggcri nel 1131, pel quale contratto il conte Arduino figlio di Guido dona al- F arcivescovo di Pisa la quarta parte di tutto che gli vcnne da Cecilia moglie del conte Ugo, nella corte, nel castello e distretto d’Aqui. Nel presente anno poi 1132 toviamo da Uberto cardinale soscritta una Bolla di san Benedetto di Mantova, nella quale si nomina arcivescovo di Pisa. Anno 1133. — Il re Lotario tenne fmalmentc la data parola passando in Toscana. Si abbocco con papa Innocenzo a Calcinaja (2). Seco lui concordato il come sicuramente rimetterlo sul trono pontificio in Roma, si misero in camino alia volta di questa citta; il re per la strada regale, il pontefice per la ma- rittima fino a Viterbo, ove riuniti andarono insieme alia superba regina de’ setti colli. La Innocenzo prese alloggio liberamente nel palazzo di Laterano, ed il Re colla sua gente sul monte Aventino. L’ antipapa occupava i piu forti luoghi di Roma: andava nullo- stante tergiversando e chiedendo pacifico esame di sue ragioni; ma i fatti non rispondevano alle parole. D’ altra parte Lotario, il quale non avea seco che (1) Vedi il cardinale Baronio. (2) Calcinaja, antico castello sulla riva deslra dell’Arno, ha confine colla pianura di Bientina: avremo luogo di fame varie volte parola. Intanto ram- mentiamo qui la del iziosa villa di Montecchio anlicamcnte dei Gambacorti, poi de’Grancia e fattoria de’ PP. Certosini, ora de’ signori Lawley. 233 duemila cavalli (1), non poteva ridurre Anacleto al dovere. Giunsero le armate dei pisani e dei geno- vesi, e le cose cangiarono d’aspetto; conciossiache in breve tempo Civitavecchia con altri piccoli luoghi fu urF altra volta soggetta a papa Innocenzo. Pure tuttocio non bastava a snidare F antipapa, ben forti- ficato ed assistito dal favore di molti nobili romani. Anzi, poiche Lotario rallento nel fervore di difenderlo, dopo che fu consacrato imperatore, ed all’ approssi- mar della state se ne ando in Lombardia, Innocenzo vedendosi mal sicuro, nel mese di settembre torno per ricovero in Pisa, ovc ritrovo il popolo costantis- simo nelF onorarlo, nelF amarlo ed anco in servirlo. Circa tre mesi prima, cioe il 24 giugno, i Pisani aveano pure accordata una mano di gente a Ro- berto di Capoa, e gli avean promesso valido soc- corso di cento legni pel marzo prossimo venturo. Dichiaratisi cosi zelanti pel pontefice e pet gli amici di lui, meritarono che san Bernardo li volesse per tutti i sccoli ricolmi dell' onore di questa sua lettera: Pisanis nostris consulibus cum conciliarijs , et civibus universis Bernardus dc Claravalle pacem, et salutem , et vitain aeternam. Benefaciat vobls Deus, et meminerit fidelis servitij et piae com- pcitionis, et consolationis, et honoris, quae Sponsae filij eius in tem- pore malo, et in diebus afflictionis suae exhibebitis. Et quidem hoc iam impletur ex parte, et orationis hujus non nullus capitur fructus. Digna plane retributio celeri iam compensatur effectu. Iam pro me- ritis Deus tecum actitat, populus, quern elegit in haereditatem sibi, omnino populum acceptdbilem, sectatorem bonorum operum. Assumi- t-ur Pisa in locum Romae et de cunctis urbibus ierrae ad Apostoli- cae Sed.is culmen elegitur, nec fortuito, sive humano contigit istud consilio, sed Coelesti providentia , et Dei benigno favore fit qui dili- gentes se diligit. Qui dixit Christo suo Innocentio > Pisam in habita, Falco Benevent. in Cronic. TOMO I. et ego benedlcens benedlcam el, hie habitabo , quoniam elegi earn. Me auctore tiranni siculi malitiae pisana constantia non cedit, nec minis concutitur, nec donis corrumpitur, nec circum venitur dolls. 0 Pi- sani, Pisani , magnificavit, Dominus facere vobiscum , facti sumus lae- tantes. Quae civitas non invidet f Serva depositum urbsjidelis , agnoscs gratiam, stude praerogative non inveniri ingrata, honora tuum, et universitatis patrem, honora mundi principes, qui in te sunt, et ju- dices terrae, quorum te praesentia reddit illustrem, gloriosam , f amo- sam, alioquin si ignoras, te, o pulchra inter civitates, egredieris per greges sodalium tuorum, pascere haedos tuos. Sapientibus sat dictum est, commendo vobis marchionem Engelbertum, qui domino Papae, et amicis ejus missus est , in adiutorium. luvenis fortis, et strenuus, et, si non fallor, fidelis; habetote cum vestris precibus magis com- mendatum, qui et ego ei vos amplius commendare curavi, monuique ut vestris potissimum consiliis innitatur. Anno H34. — Eletta Pisa a sua stanza fino a che Dio provvedesse alio scisma d 1 Anacleto, Inno- cenzo II vi tenne un Concilio generate il 30 di mag- gio. Sono^ periti gli atti di quella insigne sacra adu- nanza, alia quale concorsero i vescovi ed abati di tutto F Occidente. Ne fu anima e vita san Bernardo, allora luminare della chiesa di Dio. Sappiamo che l’antipapa vi fu di nuovo fulminato d’ anatema, alcuni vescovi di lui fautori deposti. Re- duce dalla sua legazione in Dania, giunse al concilio il cardinale Martino. Nella estrema poverta, avea potato a stento alimentarsi lungo il viaggio : non po- tea dar piu passo allorche tocco Firenze. Quel vc- scovo gli dono una chinea per compiere il suo ca- mino, e crede averne cosi compro il volcre. Infatti gli tenne dietro a Pisa per dar fine ad una causa che avea dinanzi al pontefice; e comincio a tentare varii cardinali per il voto loro. A Martino lo do- mando, come se lo tenesse sicuro. E Martino a lui: Vescovo, io non sapeva di tue cose a questa corte ; tu m? hai ingannato: te’ dunque il tuo dono e vattene con Dio. Questo fatto raccontava poi san Bernardo -r^T\£} 235 a papa Eugenio III; c giungendo alia tanta miseria del cardinale, dicea maravigliando : E non ti pare, Eugenio , cosa cV un altro secolo, che un legato venisse daila terra dell ’ oro senz oro ? Prima di terminare il concilio pisano, Innoeenzo col consiglio di quei padri levo agli onori dell 1 * 3 al- tare sant 1 Ugonc vescovo grazianopolitano, del quale accennammo al 1132, anno della di lui morte. Creo pure molti cardinal! (1); e dopo sciolta la sacra adu- nanza, invio a Milano san Bernardo con Guido car- dinal, di nascita pisano, col vescovo d 1 Albano Mat- teo, personaggio di rare virtu, e con Goffredo ve- scovo di Sciartres (2). Per la mediazione di questi legati apostolici e di san Bernardo, il popolo mila- ncse si sottomise ad Innoeenzo II ed all’ augusto Lotario. Roberto II principe di Capoa torno a Pisa a sol- lecitare gli aiuti promessigli, e ne meno due consoli e circa millc soldati. Sergio duca di Napoli fu tutto lieto, e n ebbe ben donde; poiche aiutato da’Pisani pote respingere daH’asscdio di Napoli il formidabile duca di Sicilia. Nullostante Benevento, Capoa ed Aversa caddero in mano di Ruggeri. Si tratto quindi di pace; e Ruggeri disse concederla purche, prima della meta del mese d’ agosto, Roberto si ricono- scesse suo vassallo, e le terre perdute cedesse. Ro- berto venne un’ altra volta a Pisa a seongiurare di sostegno il Papa e i Pisani, ed attendervi il soccorso dell 1 imperatore Lotario. In quest 1 anno troviamo un nuovo marchese di Toscana, Ingilbcrto (3). San Bernardo nella sua let- tera 130 ai Pisani caldamente lo raccomanda. (1) Vedi il Bollario, ed il Surio. (2J In vita S. Bernardi lib . II. cap . //. (3) « Ingilbcrlus de Marchio Tusciae inveslitus est. Qui postea defensus % 236 Anno i i35. — Ruggeri avea ripreso le armi, e come fulmine scorreva e riportava vittoria. In pochi di Roberto non ebbe piu che la speranza di riotte- nere il suo principato. Stava percio sempre in Pisa al fianco di papa Innocenzo, il quale a dir vero avea assai cura delle cose sue, vedendo ogni di piu tron- carsi la via al ritorno in Roma. AH’ improvviso si sparse la notizia della mortc di Ruggeri. — I Pisani allora approntarono ottomila combattenti, e con vcnti navi accompagnarono il principe Roberto a Napoli. Al loro giungere la citta d 1 A versa ricliiamo il suo antico principe. Yenti altre navi pisane tennero die- tro alle venti prime. Afforzati cosi i prodi dell’ Arno si accinsero a egregie cose. La citta d’Amalfi si pre- sentava facile preda, e i Pisani Y assalirono : Y assa- lirla e il prenderla fu un punto solo. Quella antichis- sima citta ando tutta a sacco: innumerevole c pre- zioso fu il bottino trasportato alle navi. In questa occasione i Pisani trovarono e poi recarono a Pisa il Codice delle Pandette, in ogni canto dell’ Europa, anzi del mondo, rinomato (I). Da Amalfi con eguale successo batterono Scala, Revello, Atturina ed altri piccoli luoghi. Di questi ed altri fatti servivasi san Ber- nardo per ricondurre all 1 amicizia Y imperatore Lota- rio ed i Pisani. Mi sorprende J scriveva il santo, mi sorprende o Lotario che voi abbiate formato del pen- sieri contrarii ad uomini meritevoli di doppio onore . Io dico de’ Pisani, che primi e soli fin qui hanno a pisanis, el a lucensibus ubique ofifensus, el victus apud Ficeccbium in Campo, Pisas cum lacrimis fugiens, a pisanis est vindicalus ». Annali Pisani , tom. VI. Rer. Ital. (i) Questo ammirabile codice de’Digesti, scritlo per ordine di Giusti- niano l’ anno 533 in Costantinopoli, alia caduta di Pisa fu portato a Fi- renze, ove forma oggi uno de’piu bei lesori della biblioleca Laurenziana. Merita di esser lelta, rapporlo alle Pandelle, la digressione islorico-critica del chiarissimo Fanucci, nella sua Storia de’ tre celebri popoli marittimi ec % lib. I. cap. XIV. 237 alzato il vessillo contro gV invasori dell’ impero Dove trovare una cilia fedele come Pisa , nelV uscire armata, fedele nel ritornare deirimpero sostenitrice ? Non sono stall i Pisani quelli che fugarono dalV as- sedio di Napoli il siciliano tiranno ? Non sono stati i Pisani quelli che hanno espugnalo Amalfi, Revello , la Scala e la Fratta, credute inespugnabili ? I Pi- sani hanno meritato molto, possano ancora mcri- tare (1). Anno U36. — Papa Innocenzo in quest’ anno, settimo del suo pontificate, confermo alia chiesa di s. Niceolo di Migliarino i beni dalla contessa Matilde concessile, e posti entro questi confini : da Monti one alia fossa Nuova, dal mare alia fossa Magna. In quest* anno parimente fu decisa una lite tra l’ar- civescovo pisano cardinal© Uberto, e i visconti Arrigo e Ridolfo figli di Gualfredo. Contendevano fra loro pel possesso del territorio della corte di Cintoja (2) e del colle di Leoli; e ciascun dei pretendenti alle- gava la prescrizione di 40 anni. Ne fu lasciato il giudizio ai consoli e al popolo pisano, e a Berto e Manfredi. Giuravano il lungo possesso i testimoni del- l’una e dcH’altra parte. Per giungere in qualche modo a capo, i giudici vollero che si eleggessero da ciascun lato due campioni che, duellando tra loro, facessero aperto al mondo chi dicesse il vero, chi il (1) S. Bernardo, Epistola 140. (2) Di Cinloji non restano che pochi avanzi tra Bicntina e Buti : fu peraltro nobilissimo castello. II Morrona assicura la esistenza dell’ abbazia di santo Stefano di Cintoja fin dal 1099. Nel 1104 vi s’ inlrodusse la regola Camaldolese, secondo che dicono gli annali Camaldolesi ed il padre Mallei. Pare che P abbazia fosse fondata dall’ illuslre famiglia degli Upezzinghi. Fu in seguilo ammensata alia Camera apostolica. Nel 1285 fu resliluilo il ca- slello e la chiesa agli Upezzinghi: Castrum Cintoriae et ecclesiae sancli Ste- phani , . .sancti Laurentii, sancti Martini cum lota curte sua quae est in loco ubi dicitur Petra Lata — Nel 1308 esislevano ancora e chiesa e convenlo. Poi decaddero per ruina di guerra. falso. Grli avversari dell’ arcivescovo si ritirarono cla questa sentenza (1), e 1’ arcivescovo trionfo. Da un istrumento. di lui, esistente nell’ archiepisco- pale archivio pisano, si conosce ch’ egli fe’ dono di molti beni alia sua chiesa. In quest’ anno venne a Pisa Sergio duca di Na- poli ad implorare, come il duca di Capoa, soccorso dal Pontefice e dai Pisani. Ebbe buone parole, a cui non risposero i fatti : laonde il duca se ne torno scon- tento al suo stato ridotto all’ estrema penuria di vi- veri, e sull’ orlo d’ estrema rovina (2). L’ imperatore greco Giovanni mando ambasciatori a confermare la pace, gia fatta coll’ imperatore Ales- sio suo padre; a pegno della quale invio sacri arredt ricchissimi alia chiesa maggiore. Ugone Duodi ando console de’ Pisani a Costantinopoli. Anno U37 . — Finalmente 1’ imperatore Lotario era sceso in Toscana. Ai cenni di lui la flotta de’ Pi- sani si porto contro Amalfi, che ricaduta era in mano di Ruggeri. Alla vista di cento pisane navi la citta fe’ un gran sborso di danari, e rendendosi schivo F eccidio. Dopo 1’ acquisto di molti altri luoghi ma- rittimi, i Pisani ebber ordine d’ assediare la citta di Salerno. L’ assedio comincio il 18 luglio, ed essi vi fccero mirabili prove non solamente di coraggio, ma anche d’industria militarc, avendo preparata altissima e stupenda macchina per espugnare cosi dura for- tezza. Quando piu si animavano all’ impresa, e spe- (1) II Tronci osamino bene l’autenlico docnmento di questo fatto nel- I’arrhivio arcivescovile di Pisa, e ne fa la piu viva protesta per togliere alia narrazione la inverisimiglianza ehe presenta. Cerlo che non sa comprendersi come, sotlo yli ocelli del pontefice, si dovesse permellere cosa si scandolosa ; ma in quei tempi si vidcro ben altre stranezze. Da maravigliare molto piu si e che nel secolo dei lumi si usino ancora, a provare giuslizia onore e verita, i mezzi usati nei secoli della barbnrie. (2) Muratori, Annali d' Italia. ^ ravano gia tencrsi la vittoria, F imperatore e il papa scesero a pacifico trattato. Non e a dire che i Pi- sani s’ adontarono. Bruciata la sua macchina — c forse bruciata dai Salernitani — spiegaron le velc, e voleano tornare alia patria. II papa potc ritenerli; ma la cattiva intelligenza insorta cosi, fu cagione che la rocca, ove Ruggcri si era ritirato, non fu presa (1). Ruggeri non tardo a rialzarsi terribile. Lo per- che vedcndo Innocenzo che ogni altro passo era in- darno, sped] a lui il sommo abate di Chiaravalle che 10 inducesse ad abbandonare lo scisma, riconoscere 11 vero pontefice e sostenere la unita della Cliiesa. Non venne meno certamente in tal occasione la facondia e lo zelo di san Bernardo; e Ruggeri mostro desi- derio che il papa e F antipapa gli mandassero cia- scuno trc cardinal!, onde conoscere qua] fosse la vera elczione tra i due che si contrastavano il soglio pon- tificale. Dopo qualche tempo infatti Innocenzo II mando i cardinal! Almerico cancelliere c Gherardo, e seco loro san Bernardo; Anacleto mando dal suo canto i cardinali Matteo cancelliere, Pietro Pisano uomo di raro talento^ e Gregorio, tutti zelanti del suo partito (2). Scesero in campo san Bernardo e il cardinal Pietro; ed il santo spiego tal pompa irre- sistibile di ragioni e di eloquenza, che indussc il car- dinal a riconciliarsi con papa Innocenzo. In una cronaca ms. della famiglia Gambacorti appare che i Pisani ottennero la custodia di Napoli per sette anni. In questa cir costanza essi edificarono nella via delFOlmo una chiesa all’apostolo s. Jacopo, la quale fu per molti anni chiamata la Chiesa dei Pisani , poi degV Italiani, a differenza di quelle di altri popoli. (1) Vedi Muratori, Annali d’ Italia, all’ anno prcsenle 1137, (2) Vedi la Cronaca Beneveniana. Anno H3S. — II 25 gennaio Dio voile liberare ^ la sua chiesa dal peso dell’antipapa Anacleto (1). Per accidente si favorcvole risorse l’autorita d’Innocenzo, il quale riconciliatosi con tutti i cardinali e fra gli altri col cardinale Pietro Pisano, si diede a risarcir chiese, a collocarvi degni ministri, ed arricchirle di preziose suppellettili. Riediflco il monastero di santo Anastasio, detto poi clelle tre fontane; lo doto sicche vi si potessero mantener monaci ; e domando che vi vcnissero de’ religiosi da Chiaravalle, in benemerenza di san Bernardo. Yennero infatti con un abate, il quale fu poi Eugenio III; e tanto sparsero intorno odore della loro virtu, che non pochi invaghirono efficacemente a vivere a modo monastico in quei chiostri. Da istrumenti conscrvati nelFarchivio arcivesco- vile si raccoglie essere stato aftidato il governo della chiesa pisana al cardinale Balduino, monaco Cister- ciense. Egli era pisano, secondo che asserisce 1’ abate di Buonavalle (2), al quale si unisce il P. Mariques (3), dichiarando Baldovino nobile di sangue e discepolo di san Bernardo, e a tutta possa sostenendo ch’ egli non era francese. Il cardinal Baronio pensa che que- sto Balduino fu quegli che tenne 1’ abazia di Rieti, ed al quale san Bernardo fece dono della sua letter a 201. Ma le cronache di Pisa e gli autori riferiti dal Ciac- conio nella Storia de’ Ponte/ici e Cardinally ogliono che fosse diverso. Difatti Baldovino abate, fu figlio del conte Bernardo X, e fratello del cardinale Ri- naldo abate Cassinense: mori ncl 1140, e fu sepolto nella cattedrale di Rieti, ove Y 1 1 agosto si tributano (1) Orderic. Vital, Historian Ecclesiaticae lib. Xlll. Falco Benevent. in Chronic, on, (2) Vita di San Bernardo , lib. II. cap. VIII. « In Tuscia Pisis soli na* talis gloria, et magnum ecclesiae lumen Balduinus cITulsit ». (3) Cronache Cislerciensi } cap. VIII. 241 solenni onori a lui, chiaro per santita c per mira- coli ; mentre F Arcivescovo cli Pisa, di cui tenghiamo parola, non mori che nel 1146. Ben e vcro cli’egli pure fu posto nel numero de’ beati delF ordine Ci- sterciense (1). Questo arcivescovo Balduino ebbe gra- zia presso papa Innocenzo, dal quale ottenne il se- guente privilegio: INNOCENTIUS EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEL Venerabili Fratri Balduino pisano Archiepiscopo, ejusque successoribus canonice promovendis in perpetuum. Tunc apostolicae Sedi, et romanis Pontijicibus honor integre conservatur , si unicuique ecclesiae sua dignitas custoditur , roinanae siquidem ecclesiae consueta benignitas, et discreta humilitas, quos devo- tos, et mansuetos filios reperit, alios dignitatibus et honoribus sibi am- plius facit obnoxios, alios familiaritatis, et dilectionis prerogativa su- blimat. Aequum etenim, et rationabile est, ut quorum benejicia, et obsequia nos suscepisse recolimus, eorum devotioni , non mensura pari, nec quantitate aequali, sed ex abundantis gratiae benevolentia libenti ammo respondere curemus. Quia igitur de discordia, et guerra, quae inter pisanam, et genuensem extitit civitatem, rnultae hominum clades, et captivitates Christianorum innumerae provenerunt ; nos quorum praecipue interest singulorum saluti tain temporaliter, quam spiritua- liter paterna sollicitudine providere, pro bono pads, et recornpensa- tione episcopatum, quos utique a praedecessoribus nostris romanis pontijicibus ecclesiae pisanae concessos in insula Corsicae a predeces- sore tuo bo. me. fratre nostro archiepiscopo Uberto accepimus in Galluriensi judicatu duos episcopatus Gultellinensem videlicet, et Ci- vitatensem, et Populoniensem episcopatum tibi , tuisque successoribus, et per vos ecclesiae pisanae concedimus, et metropolitano jure subijci- mus, vosque primatus honore super Turritanam provinciam decora- mus; legationem quoque Sardiniae a predecessor e nostro papa Urbano praedecessoribus tuis concessam , tibi, tuisque successoribus praesentis scripti pagina roboramus ; denique ut pisana civitas, quae favor e (1) Vedi il Calendario dell’ Ordine Cisterciense, lib. III. cap. XXIV. Tommaso Dempstero, Catalogo degli Arcivescovi di Pisa. TOMO I. 31 242 Coelestis Numinis de inimicis Christiani nominis victoriam frequenter obtinuit, et eorum urbes plurimas subiugavit , amplius honoretur Equo albo, cum nocco albo in processionibus utendi , et Crucem , vexillum scilicet Doritinicum, per subiectas vobis provincias portandi, tibi, tuis- que successoribus licentiam damns. Pallei quoque usum fraternitati tuae concedimus, ut videlicet, et secundum consuetudinem pisanae ec- clesiae perfruaris, et in consecrationibus trium episcoporum in Cor- sica, Aleriensis scilicet, Adiacensis, et Saguntini , ac praedictorum duorum in Sardinia, et Populoniensis episcopi, quorum metropolitanus existis. Si qua igitur in posterum ecclesiastica, saecularisve persona ' hujus nostrae constitutions paginam sciens contra earn temere venire tentaverit, secundo, tertiove commonita, nisi praesumptionem suam congrua emendatione correxerit , potestatis, honorisque sui dignitate careat , reamque se divino judicio existere de perpetua iniquitate co- gnoscat, et sacrosanctissime Corpore et Sanguine Dei, ac Domini Pedemptoris nostri Jesu Christi aliena fiat , atque in extremo examine districtae ulsioni subiaceat. Cunctis autem haec ipsa servantibus sit pax D. N. J. Christi, quatenus et hie fructum bonae actionis perci- piant, et apud districtum judicem premia aeternae pads inveniant. Amen. Amen. Ego Innocentius Cathol. Eccles. episc. subscr. In questa bolla, clopo Sua Santita, si sottoscrissero 28 carclinali fra preti, diaconi e suddiaconi. Col pro- gresso del tempo ne fu spedita copia autentica dal cardinale Scipione Corbcllucci del titolo di santa Su- sanna, dall’archivio di Castelsantangelo in Roma. Anche Corrado III, inalzato al grado di re d’ Ita- lia dopo la morte di Lotario, concesse ai Pisani il seguente privilegio: NOMINE SANCTAE, ET INDIYIDUAE TRINIT ATIS. Curradus Divina favente dementia Pomanorum Pex Secundus. Dilecto, et venerabili Balduino Pisanorum archiepiscopo, eius- que successoribus canonice substituendis in perpetuum. Si sacrosanctis Dei ecclesiis, et regni fidelibus, maxime episcopis, de facultatibus regni nobis a Deo collati, aliqua liberalitate regia confer amus, non credimus regnum diminuere, sed augere. Praedecessores enim nostros reges, et imperatores ecclesias ex novo fundasse , etfundatas ex bonis regni dotasse cognovimus. Fa propter omnibus nostris fidelibus, tarn praesentibus , quam futuris notum esse volumus, quod pietatis intuitu, sereniss. interventu Beltrudis augustae consortis regiae celsitudinis, et gloriae. Interventu etiam christianissimi germani nostri Ottonis, reverendi Frisingensis episcopi, nec non et abbatum, videlicet Ber- nardi Claravallensis magnae sanctitatis viri , atque Adam Eberacensis, tibi venerabili Balduino Pisanorum archiepiscopo, tuisque successo- ribus in perpetuum, e regali largitione donavimus, atque concessimus, et inconvulsa permanere pragmatica sanctione decernimus, quae pro- priis nominibus subnotantur, scilicet curtem de Avasse cum bovario, et morlo, et omnibus suis pertinentiis. Terras in palude pisana juxta burr as positas. Item unam petiam de terra , pratum in praefata pa- lude prope campum de Arsula positum, quae cohaeret ab uno capite terrae monasterii sancti Viti, ab alter o capite jluvio Auseris, latus unum extenditur in Palude, alterum latus in Ducaria, quae dicitur Cula, sicut ipsa Ducaria defluit versus praefatum jluvium Auseris, curtem de Blentina cum omnibus terris, et rebus ad ipsam curtem pertinen- tibus. Placitum, et fodrum de Buiti. Placitum, et fodrum de Vico. Auturissulae placitum, et fodrum S. Joannis de Vena. Placitum, et fodrum. de Silva longa. Gonfum vetus, et novum. Placitum, et al- bergaria de Pugnana, et Valtriana. Placitum, et fodrum de Vada, et Rusignano, et omnes terras, et res in supradictis duabus curiis marchiae pertinentes. Paludem totam de Mortaiolo, et tertiam in Stagno positam. Feudum Spectariorum , qui morantur in Bur go S. Pauli in Kinsica. Presas Casciaulensium, et illorum de Ripula in Campo Lepoano positas, praedictas igitur curtes cum omnibus suis pertinentijs , et omnibus terris, vineis, montibus, et planis cultis, et in- cultis, silvis, boscarijs, stipetis, pratis, paludibus, pascuis, aquis, aqua- rumque decursibus, piscarijs factis, et faciendis, salinis, molendinis, in tarn dictis curtibus, et praenominatis locis, et eorum finibus regio juri pertinentibus tibi praefato Balduino venerabili archiepiscopo, tuis- que successoribus concessimus. Confirmamus etiam contractum habitum inter praedecessorem tuum TJbertum, et abbatem de Morronq, scilicet de Morrona, et Vivario , et eorum pertinentijs. Praeterea irritum de- cernimus feudum de Livorna concessum irrationabiliter marcliionibus; videlicet Gullielmo Francigenae , ejusque fratribus. Decernimus etiam, ut de his omnibus nulli personae ecclesiasticae, vel saeculari feudi nomine, vel aliquo alio titulo liceat aliquid ab ecclesia alienare, quod si factum fuerit, irritum liabeatur. Praeterea donamus, et con- cedimus tibi, tuisque successoribus in perpetuum tributum, quod Ripa- 243 244 ticum vocatur, et ab omni parte civitatis debetur atque statuimus, ut a quibuscumque petitur, et exigitur a te, tuisque successoribus ad par- tem pisanae ecclesiae petatur, et exigatur. Si quis igitur archiepis- copus, episcopus, dux, marchio, comes, vel aliqua persona ecclesia- stica, seu saecularis contra hanc nostrae constitutionis, et donationis paginam aliquid praesumpserit, centum libras auri purissimi, medie- tatem Camerae nostrae, et medietatem praefate Ecclesiae componat. Ut autem haec nunc, et in perpetuum rata, et inconvulsa permaneant, Sigilli nostri impressione corroborari mandavimus . Testes quoque quae praesentes aderant, subnotari fecimus, quorum nomina haec sunt : Otto Frisigensis episcopus. — Adam Eberacensis abbas. — Sigil- bertus Bambergensis electus. — Gothescalcus de Sancta Cruce. — M. Henricus marchionis Luipoldi filius. — Henricus comes de Lechete- hemunde. — Manegaldus de Vuarde. — Hialther de Louenhusen. — Gottofridus castellanus de Humber ch. — Folchinus magister schola- rum Frisigensium, et alii quam plures. Loco Signi. D. Curradi Regis Romanorum Secundi. Ego Arnoldus cancellarius vice Alberti Maguntini archicancel- larii recognovi. Anno Domin. Incarn . M. C. XXXVIII. Indict, se- cunda. Regnante Conrado Romanorum Rege Secundo. Ann. vero re- gni ejus secundo. Eat. Noremberch. xiv. kalend. Augusti in Christo feliciter. Amen. Originate asservat in archiv. Reformat. Florentiae. Anni 1139-40. — Le cose di Toscana furon tutte in disordine per guerre dei toschi popoli tra loro (1). 1141 . — Seguitarono ostinatamente tra i pisani e i lucchesi (2). Da certi manoscritti si ebbe che i lucchesi messo insieme un buon esercito andarono (1) Miserabilis et infelicis Tusciae nunc res divinae atque humanae nullo servato ordine confunduntur. Urbes, castra f burgi, villae, stralae pu- blicae , et ipsae Deo consecrntae ecclesiae omicidis , raploribus exponunlur. Pe- regrini clerici , monachi , abbates , presbyteri , ipsi supremi ordinis sacerdotes , episcopi t archiepiscopi , primates vel patriarcae in manus talium traduntur spo- lianlur, distrahuntur , Et quid dicam ? verberantur, occidentur. Petrus Chi- nicens. lib. V. ep XXXIV. (2) Lucenses adversus Pisanos , dice il cardinalc Baronio, in Annalib. Eccles. ab hunc annum. 245 contro il castello cli Aghinolfo, tenuto per la repub- blica di Pisa. Riuscirono clifatti ad insignorirsene, quantunque fosse gagliardamente difeso. Tra i pri- gioni fu rarc-ivescovo pisano. Diffusa la notizia di queste cose, e pervenuta agli orecchi de’ pisani ac- corsero prestamente al castello. Trovarono i luc- chesi che se ne tornavano vittoriosi. Furon loro so- pra, quando meno se l’aspettavano: li misero in rotta, il prelato e la fatta preda ritolscro, e il ca- stello stesso ricuperarono. Non per questo manco F animo ai lucchesi; anzi andarono ad ostilmente assalire il castello di Fucec- chio. N’ era signore il marchese Alberto, amicissimo de’ pisani; il quale si difese da prima con somma bra- vura. Ma poi, venutogli mono il coraggio, venne a raccomandarsi ai pisani che volessero sostenerlo. Ed essi gli mandarono difatti buona mano di soldati, per cui i lucchesi dovettero desisterc dalF impresa ; ed il marchese rientro sicuro nel suo castello. Che que- sto fatto mettesse nuovo sdegno nel cuore de’ luc- chesi soverchio e il dirlo. Ben il mostrarono eglino tornando ad inquietare il castello cF Aghinolfo. Fatti- tisene padroni lo fortificarono, perche i pisani non lo potessero agevolmente riprendere; ma questi con tanta bravura e con tanto ordine lo battagliarono, che in breve ora F ebbero ricuperato. Lo mantennero in seguito munitissimo di vettovaglie e di genti, hn- che sei anni dopo lo vendettero per cinquemila fio- rini al figlio di Manfredi. I pisani presero in seguito il castello di Yorno, e quello delF isole di Palude, ove fecero trecento pri- gionieri, cambiati poi con altrettanti pisani che erano in potere de’ lucchesi. Questi ben lungi dal quietarsi, mossero con grosso esercito contro il castello del monte de’ pisani; ma dovettero lasciare l’intrapresa perche le truppe di Pisa volarono a difenderlo. Anzi y\A rw 246 non contente esse cli aver messo in fuga i nemici, si avanzarono al castello cli Massa Lucchese; lo presero e gran parte delle abitazioni abbruciarono. Dopo vari tentativi cli vendetta i lucchesi cessarono dalle armi, non potendo per allora far meglio. Anno 1 142. — In quest’ anno papa Innocenzo fece la sua sesta ed ultima creazione cli cardinali. Fra essi fu Guido Moricotti da Yico (1), carclinale dia- cono, e poi, sotto papa Celestino, carclinale prete del titolo di san Lorenzo in Damaso. Egli ebbe la for- tuna di ricevere la lettera cli numcro 332 da san Bernardo (2). 1144. — Dalla corte di Roma anclarono dei le- gati al re Corrado. II carclinale Guidone Pisano, dei conti di Caprona Cancellieri, era tra essi. Peraltro cjuesto fatto e un nulla in confronto dei tanti che riempiono Y anno presente. La speranza cli sorte migliore richiamo in campo i Lucchesi contro Pisa. Con grosso esercito si por- tarono ad attaccare il castello di Morrona (3). Lo batterono valorosamente: ma gli abitanti resistettero con sommo coraggio, finche v’ accorsero i Pisani guidati da Gerardo e Lorenzo Gaetani e cla Guglielmo Orlandi. Si venne allora a campale giornata. L’ esito (1) Vico Pisano, ricca un tempo e popolosa terra, ed importantissima barriera contro le nemiche aggressioni tin da che Pisa scosse il giogo e venne a liberta. Nel 934 il pisano vescovo Zanobi conferiva la chiesa cli Vico ad un tal prete Giovanni. Nel 1002 il marchese Adalberlo lo vende a Leon Giu- dice, e questi ad un certo Ugo nel 1011. Nel 1138 Corrado II lo dondall’ar- civescovo di Pisa. Seguitando dovremo di Vico parlare soventi volte. (2) Vedi il Ciaccone. (3) Morrona vanta origine assai velusta. Governavasi in prima per suoi proprii conti. Poi fu dominio del vescovo di Volterra sin al 1115. Indi pas- sava all 1 2 3 arcivescovo di Pisa; piu tardi alia pisana repubblica assoggeltavasi. Nel 1089 vi si fondo una badia per i monaci di san Benedetto, la quale fu donata ai monaci Camaldolensi nel 1109. Questo castello e eelebre specialmente perche di la venne Tilluslre famiglia Da Morrona, dalla quale discese lo scrit- tore Alessandro, cosi di Pisa bencmerilo. della pugna resto lungamcnte incerto. Finalmente i Lucchesi ebbero la peggio: molti ne morirono, molti restarono prigionieri. Fiorentini e Sanesi incitarono viepiu questo incendio. I Sanesi e i Fiorentini alle rotte tra loro, cer- carono gli uni e gli altri la lcga di qualche popolo. I primi si unirono col conte Guido Guerra c coi Lucchesi, i second] coi Pisani. Condotto da Ulrico marchese di Toscana, F esercito di Firenze corse per- fino sotto le mura di Siena e molti borghi abbrucio. Insieme coi pisani diede orribile guasto alle castella ed alle villc del conte Guido; e cogliendo in una imboscata i Sanesi, che per vendetta erano corsi a saccheggiare il contado di Firenze, ne fece moltissimi prigioni. II territorio poi do’ lucchesi fu quasi tutto messo a fuoco, c di essi non pochi furon menati pri- gionieri in Pisa, ovc dovettero desiderare lungo tempo le dolcezze della loro patria (1). Anclic tra i Pisani e i Veneziani vi ebbero delle osti- lita. La gclosia dell’ impero de’ mari fece si, che ovun- que le navi delle due repubbliche si riscontravano danneggiavansi ed oltraggiavansi a tutta possa (2). In questo lacrimcvole stato di cose resto vacante la Sede apostolica il 25 febbrajo. II sacro Collegio de’ cardinali si raguno nella chiesa di san Cesario, e quivi, il 27 febbrajo, di comune consenso elesse papa Bernardo Pisano, abate Cisterciense, gia discepolo di san Bernardo, insignc per prudenza e bonta di vita. I nobili di Roma, sognando l’antico ordinc di cose, volevano opporsi alia di lui elezione qualora ricusasse di confermare con 1’ apostolica autorita la rinnovazione, per loro fatta, del senato. Si levarono infatti e concitarono a tumulto la plebe, sicche il * i (1) Annales Pisani , lorn, VI, Rerum Italic , (2) Dandul. in Chron. tom. XII, Rerum Italic. nuovo gerarca supremo, Eugenio III, clovette uscir- sene segretamente cli Roma e ritirarsi nella rocca cli Monticelli. Fu solcnnemente consacrato il 4 cli marzo al celebre monastero cli Farfa nella Sabina. Passo otto mesi a Viterbo; e solamente verso le feste del Santo Natale pote tornare a Roma (1), ove fu ac- colto con immenso giubbilo dal clero, clalla maggior parte dei nobili, e da quella stessa matta plebe che poc’anzi gli aveva fatto tanta guerra. Qui mentre Eugenio III si prepara a riempire del suo nome la terra, ne sia permessa una piccola cli- gressione sulla patria eel antececlente vita cli lui. Fra le rupi scoscese del pisano Appennino, sopra d’ una eminenza in prossimita della Verruca, sorge F antico castello di Montemagno. Qui nacque il pon- tefice Eugenio III, della famiglia dei Paganelli (2). (1) Cardin. De Aragona in vita Eugenii III , p. I. tom. V. Rer. Ital. (2) Stimiamo prezzo dell’ opera schiarire, meglio che potremo, questo punto di sloria. Due sono i Montemagni : il pisano, detto Montemagno di Calci; ed il lucchese, dello anche di Cainajore, fra la vallecola di Camajore e la Val di Serchio. La origine di ambedue e vetusta: mentre di Montemagno pi- sano si fa menzione fin dall’anno 780; e Montemagno lucchese riel secolo X aveva gia illustri famiglie, fra le quali i Paganelli, che del castello si rilro- vavan signori, Questa e una gran prova che Eugenio III non fu dei Paganelli di Montemagno lucchese; poiche san Bernardo non dice che il pontefice fosse di riobile stirpe e potente : arizi tutto I’opposto, siccome risconlrasi nella let- tera sua 237: Cotesto e il dito di Dio che suscita dalla polverc il mendico , ed alza dal mondezzojo il povero , affinche segga coi principi della terra e prema un soglio di gloria . — E nell’ epistola 138, mostrando come i Romani nutrivano calde speranze di restringere la potesla della Chiesa, per man- care in Eugenio gli argomenti delle forze umane, — Molti hanno detto , scrive il santo, molti hanno detto: la scure e oggimai alia radices e questo il tempo di lagliare la vigna. Piu chiaro finalmente che altrove parla nella let- tera 236 diretta ai cardinali: E qual senno si fu scendere a rozzo uomo , e fat- tagli gittare la scure e l’ ascia o la marra , trarlo at pontificio palagio , alia cattedra di Pietro sollevarlo , vestirlo di porpora e bisso , cingergli la spada onde punir le nazioni t i popoli correggere , * re inceppare , incatenare le mani dei grandi? E non iP era Ira voi un qualcheduno cui tali cose si addicessero meglio ? Pare proprio ridicolo che un cencioso sia tolto a presiedsre ai prin- cipi, t ad imperare ai vescovi , e disporre di regni e d 1 imperi . — Ridicolo , o 249 La quale seconclo alcuni annalisti fu nobilissima, ccl im tempo feudataria di Montemagno; secondo altri cl’ infimo stato. Del chc non vorremo darci pensiero alcuno; poiche se l’ingiustizia dei viventi fa guar- dare d’ occhio differente il tugurio del povero c il turrito palagio del ricco; i posteri, che giudicano chi fu, tutti guardano con occhio eguale: anzi clovreb- bcro favor ire a chi al loro tribunale si presenta cli- cendo: lo nacqui nella polvere ; niuna mano si stese a sollevarmi ; m agitai nella mia oscuritd ; fissi gli ocelli al cielo; sorsi , fui scala a me stesso, ed ascesi; la luce che vesto e tutta mia, Rigenerato nelF onde battcsimali, il nostro Paga- nelli ebbe nome Pietro. Di buon’ ora s’ inizio alia carriera ec.clesiastica; vi si educo nella citta di Pisa, ovc poi tenne il vicedominato della Primaziale (1). miracolo ?. . , . Non niego polersi credere che questa sia slata opera di Dio , il quale solo fa cose ammirande. — Era dunque Eugenio III non de’ Paganelli feudalarii di Montemagno lucchcse; ma di poveri Paganelli di Montemagno pisano: al che da non poco peso I’autorila di popolare tradizione. Donde in queslo caslello la Via del Papa? Perche a chi lassu giunge mostrasi un tugu- i io gia cascante, e gli si dice: Ecco I’abitazionc del papa? La maggior parte poi degli storici dicono Eugenio III pisano, accomunando la gloria di Pisa e del di lei territorio. Per le quali cose mi sembra poler concludere col signor Repelti che la somiglianza di nome ne’ due Montemagni, la esistenza in cia- scuno di una famiglia Paganelli, ha falto nasccre la questione in qual dei due Eugenio III avesse i natali; ma non c’ e dubbio che questo vanto appartenga a Montemagno di Pisa. (l) Qual dignita si fosse il vicedominato non e ben definite. Alcuni la confusero con P arcipretura; ma, come si rileva dal cap. Volumus 89 dist., andarono errati. Anzi in un istrumento dell’ archivio pisano 1’ arciprete cede al vicedomino, menlre ie iscrizioni sono cosi: Ego Villanus archiep. — Ego comes Domini Archiep, vlcedominus subscr . — Ego Villanus s. Marine archipresbiter subscr. Al contrario in posteriori conlralti il vicedomino vien dopo V arcidiacono e P arciprete. Muralori ( Antiq . Iial. diss. 63), P. Lod, Tommasini ( de veteri et nova disciplina Ecclesiae tom. /.), Ducange ( Glossario latino ), sostengono che il vi- TOMO I. 32 ''yv 250 Portatosi in seguito a Chiaravalle, ucli dalle labbra di san Bernardo la dottrina purissima del cristiane- simo. Yesti Y abito monastico pigliando il nome del suo maestro; ne tardo col suo sapere e colle sue virtu a godere ammirazione e dignita. Era abate dei santi Anastasio e Yincenzio, presso Roma ; quando la necessity di avere sul soglio del maggior Pietro un uomo grande di mente e di cuore, fe’ che ' il sacro Collegio lui v’ inalzasse. Infatti non smenti punto le concepite speranze. Contemperando dolcezza e rigore, pote assopire gli odii de’romani, specialmente con- tro quelli di Tivoli; ed appena vide un raggio di serenita nel suo regno, penso a diffonderla fra tutti i cristiani. Prima sua cura fu la Toscana, ove le di- scordie trai lucchesi e i pisani metteano tutto sos- sopra. A riconciliare le due repubbliche, avviso ottimo mezzo far venire in Italia Pietro abate di Clugni, poi santo, ricco di buona fama; ed egli venne. La sto- ria non ha notato cio che si fcce, se pure qualche cosa si fece da questo invitato ministro di pace; ma comunque stia la bisogna, il buon volere di Euge- nio III e certamente lodevolissimo. Nel medesimo tempo corsa voce che i costumi in Sardegna erano affatto sbrigliati, ed era specialmente rotto ad ogni vizio il giudice d’ Arborea, Eugenio inviovvi Y arci- vescovo di Pisa cardinal Balduino, che quel popolo frenasse, e quel regolo riducesse a retto sentiero. Il venerando legato mori, non sappiamo se nell’ isola o cedomino corrispondc al rnaeslro di cnsa d’ oggidi, ma con autorila maggiore. Curavano dei beni vescovili, e, mancando 1’ arcivescovo, custodivano il palazzo e le rendite del vescovaio. Che, sempre che la .... Chiesa vaca Si fanno grassi slando a concistoro. (Danle, Parad . XVI'). Forse il vicedomino soscrivevasi il primo, a sede vacante , e quando trat- lavasi di lili Irai vassalli,- in altre occasioni soscrivevasi dupo le prime di- gnila. 251 per viaggio. Fu scritto trai beati dell’ ordine Cister- ciense: gli successe il pisano Villano Villani. Anno 1146. — Pareva che tanto zelo dovesse fruttare ad Eugenio III amore, non che riverenza. Ma invece i romani si mostrarono seco lui si incli- screti e violenti, ch 1 2 egli fortemente disgustato se ne parti di Roma. II 25 aprile era in Sutri ; il 29 mag- gio in Viterbo, dove confermo i privilegi alia chiesa pisana per mezzo di una Bolla indirizzata al pisano arcivescovo, e sottoscritta da vcntun cardinale. Da Viterbo venne a Pisa (1); ne fa mestieri dire con quanti onori e con quanta gioja vi fosse accolto dai suoi concittadini. Il cardinal Baronio raccontando come Farcivc- scovo Fulcherio di Tiro ascese alia sede patriarcalc Gerosolimitana, nomina un tal Giovanni Pisano, arci- diacono della terra Tirense, il quale piu tardi fu creato cardinale da Eugenio III. In quest’ anno a tanta dignita fu elevato Gherardo Pisano de’ conti Gaetani. Questi, spedito poi da papa Anastasio IV in Germa- nia, ondc comporre una causa dell’eletto alia chiesa di Magdeburgo, parlo con F imperatore si ardite pa- role, e contro al volere di lui voile cosi, che con- citatane F ira, dovette partirsi senza nulla trarre a capo, e mori per viaggio. Ma toFniamo ad Eugenio. 1147 . — Dopo essere stato a Pisa ed a Lucca (2), probabilmente per istabilir, se poteva, la pace tra le due repubbliche, passo in Francia onde promuovere la nuova crociata per Terra Santa ove gli affari de’ cristiani erano in cattivo stato, specialmente da che gf infedeli avevan ritolta la nobil citta di Edessa in Soria. La zelante eloquenza dell’ Abate di Chiara- (1) Vedi la maggior parte dei manoscrilti pisani; F. Filippo da Ber- gamo; il Biondo e il Ghirlandacci Storia di Bologna , (2) Anonym us Casin. torn V. Rerum Ital. valle I’ avea pcrsuasa nell 1 anno antececlcnte a Lodo- vico VII di Francia ed a Corrado III re di Germa- nia. La grande spedizione parti; cd i Pisani in aiuto armarono la loro flotta, di cui fecero ammiraglio Ranieri Bottacci. Forsc ad impegnarveli sempre piu Corrado III re dc : Romani concesse ai canonici di Pisa un pri vilegio simile a quello delF imperatorc Ar- rigo (I). Un altra crociata fu fatta di francesi e spa- gnoli contro i saraceni di Spagna. Vi accorsero dal- 1’ Italia i pisani, ma principalmente i genovesi. Nello spazio di questo e del seguente anno (1148) Lisbona, Bueza, Almeria, Tortosa ed altre citta dovettero ce- dere all’anni collegate. Anno 1149. — Papa Eugenio torno a visitare la dolce sua patria Pisa. Nei varii giorni che la fcce beata della sua presenza intervenne all’ auguste ccri- monie nella Primaziale, e consacro la chiesa di san Paolo a Ripa d’ Arno, come si ha da qucsta memoria scrittavi in una pietra quadrata: — in nomine domini DEI AETERNI AMEN. D. I. A. 1149. XV. KAL. NOVEMBRIS INDICT. XII. A D. PAPA EUGENIO HOC ALTARE CONSECRATUM fuit. — Di qui il buon pontefice s indirizzo a Roma, ovc sorti lo attendevano di vario aspetto. II re de’ Romani, Corrado III, vcdendo infrut- tuose le fatiche d’ Eugenio in pacificare le due rc- pubbliche di Pisa e di Lucca, comando egli alfinc la pace, la quale fu dai pisani ai lucchesi concessa a condizioni assai dure: che demolissero il castello di Vorno, cui i pisani avevan venduto al nipote di Man- fredi, e questi ai lucchesi: che Corvara ed Uguc- cione rendessero con tutte le sue pcrtinenze: che ricedessero ai pisani il possesso del castello Aghinolfo, il dominio del quale entro due mesi sarebbe stabi- lito: che il castel grande disfacessero, nel termine di (1) II documento aulcntico e nell’ archivio capilolare di Pisa. -AA^ 253 quindici giorni, senza mai piu edificarlo; cd altrc condizioni chc appaiono dall’ istrumcnto autentico esistente gia prcsso la nobil famiglia pisana dc conti Griffi. A fermar questa pace furono inviati il vescovo di Costanza Ermanno, ed il conte di Ruetchin Ram- botto (1). I quali acconciarono ad un tempo ccrte differenze trai canonici della Primaziale e Y abate di san Rossore (2). Anno 4150. — Alla pace, cbe abbiamo detto co- mandata da Corrado 111, starebbe dicontro la bat- taglia chc gli antichi annali pisani narrano seguita tra Pisa e Lucca con danno immenso di quest’ ul- tima (3); ma il silenzio di tutti gli storici e cronisti ne fa dubitare fortemente. Dubitare peraltro non si pud chc papa Eugenio, ncl mese di ottobre, si rccasse a Ferentino, ove molti arcivescovi e vescovi crco e consacro (4). Ivi promosse pure molti cardinal}, ncl cui bel numero il suo congiunto Arrigo Moricotti monaco Cistcrcicnsc, quel Giovanni Moriconi che dicemmo arcidiacono della chiesa di Tiro, e Rolando, chiamato da alcuni Bernardo, monaco Cisterciense del monastero di Chia- ravalle (5). A1 cardinale Arrigo Moricotti furono scritte due lettere da Arnolfo vcscovo di Lisicux (6). I pisani in quest’ anno si strinsero coi genovesi in una lega che durcrebbe 19 anni. I consoli dellc (1) Appare da relativo documento nell’ archivio capitolare. (2) Quest’ ultimo fatto sembra potersi segnare trai fasti deli’ anno an- tecedenle. (3) Annales Pisani tom, VI. Rerum Italicarum. (4) Johann, de Ceccano, Chron. Fossae Novae. Romualdus Salernitan, in Chron. « Rex Rogierus archiepiscopos et episcopos terrae suae a papa Euge- nio consecrari jussit ». (5) Sul conto di questi cardinali merilan d’essere riscontrati il Baro- nio, il Ciaeeone, e PUghelli nelle sue Addisioni. (6) Vcdi Biblioteca Palmcnse . Ediz. ullim tom. III. 254 due repubbliche la formarono; la giuraron cento cittadini dell’ una e dell’ altra parte: F interesse la consigliava e la guarentiva al momento, prontissimo a romperla all’ occorrenza. Le condizioni ne furono, che 1’ una e 1’ altra repubblica si starebbe dalle scam- bievoli offese di persone, di cose pubbliche e private, per mare e per terra; se un genovese o un pisano venisse oltraggiato, la patria dell’ oltraggiatore ne farebbc vendetta sulla persona o sulla roba, a se- conda dell’ oltraggio; ne potrebbe mandare assoluto il colpcvolc senza licenza di chi Y offesa path Le ini- micizie d’ una repubblica sarebber divise dalF altra. Molestata F una, F altra dovrebbe soccorrerla da una sino a quattro galere, secondo il bisogno. Le prede che sugli avversari potessero farsi, ugualmente sa- rebbero divise, ne di tregua o di pace cogli inimici si parlerebbe, senza il consenso d’ ambedue i comuni. I capitoli furono fermati, sottoscritti e giurati: la pace bandita in Pisa e in Genova (1). Altra pace procuro a Pisa il pontelice Eugenio. Da che i Pisani s’erano amicati col re di Sicilia Ruggeri, e le prese citta rcstituite gli avevano, nu- trivano i Romani contro Pisa non poco risentimento. Lo stesso Eugenio ebbe sentito nell’ animo che i Pi- sani le cose risolvessero, senza pur volgergliene una parola. Nullostante la carita della patria ragiono si poderosa nel cuore del virtuoso papa, che si adopro con tutto il petto a toglier via ogni rancore. Infatti spediti a lui ambasciatori Bernardo Marangoni e Ranieri del Parlascio, i Romani si congregarono in Campidoglio, e la pace fu conchiusa in questi termini : N. S. Eugenio per la Dio grazia papa III , con tutta r apostolica Corte Romana , e noi cinquanta (l) Tulto questo si ha da manoscrilte cronache pisane. V Inleriano ed il Foglielta, genovesi, non discordano sulla pace, ma non ne accennano le parlicolarita. pr\/v _____ < 255 eccelsi senalori, e tutto il magnifico popolo, diamo e fermiamo pace perpetua col magnifico popolo pi - sano, deponendo ogriira, contesa, disturbo , differenza , ingiuria, inimicizia, e ogni danno ricevuto fvno a questo giorno . E noi (cosi dissero gli ambasciatori sopraddetti) per i magnifici consoli , e popolo pisano riceviamo , e ratifichiamo la detta pace , rimettendo ogni ingiuria e sdegno , removendo ogni Hie e d/i- scordia. — Dat. V anno VII. di Eugenio III. nella Indiz. XIV. il di 12 di marzo 1151. Anno 1151. — Se le virtu di un cittadino for- mano il patrimonio della gloria della citta, segni pure la pisana repubblica il nuovo atto generoso di Eu- genio, che ci aflrettiamo a qui registrare. Gli arci- vescovi di Colonia e di Magonza su cui gravi cause pesavano, vennero a Roma con somme immense di denaro, pensando che varrebbero a spogliare in que- sta guisa de’loro torti la soma: tanto pin die il pontefice si trovava nelFestrema difficolta. Ma egli neppur piegando a quei tesori uno sguardo, i due arcivescovi disdegnosamcnte rimando. — Primo esem- pio , scrivea san Bernardo, che Roma rigettasse del- r oro (i), Roma ch’ era stata per lo pin un mercato! 1152. — Tanto disinteresse congiunto a tant’ altre rare doti, non e stupore se ad Eugenio fruttarono un altra volta un accordo coi romani, da cui avea dovuto nuovamente fuggire. Rientro tranquil! o nella superba capitale il 6 settembre (2), e vi fu con infl- niti onori ricevuto (3). 1153. — Era venerabile ed obbedito dappcrtutto, quando Iddio lo chiamo a se, con immenso dolore (1) Quando haclenus aurum Roma refudit. (Sand. Bernardi, De consider, lib. III. cap. III). (2) Robertus de Monle, Append, ad Sigebert. (3) Johann, de Ceccano, Chron. Fossae Novae. Romuald. Salernit. in Chron . A 256 cli tutta cristianita, 1’ 8 di luglio mentrc egli climo- raya in Tivoli. Fu sepolto in san Pietro, presso 1’ al- tar maggiore. Iddio voile onorare la tomba di lui con delle miracolose guarigioni (1); intantoche gli uomini pieni di riverenza ricordavano: da lui rac- quistatc all’ apostolica Sede tante citta e terre; tante discordie sedate; tanta mente, tanto cuore. Una di lui memoria e nel portico di santa Maria Maggiore; un altra nclla fortezza di Terracina nel muro verso mezzogiorno, in questi termini: Eugenius papa III. hoc opus gloriae ipsius me- moriam repraesentans fieri jussit. Qui mira animi et honesti studio praeditus, regalia multa longo tem- pore amissa Beato Petro restituit , quorumdam vitium in modurn honestatis redegit , ne quid Iudices a quo - quam peterent , neve quid a quoquam ante decisam causam reciperent, post decisam oblatum quid vere- cunde, et cum gratiarum actione susciperent. Ad Eugenio fu fatto due giorni dopo successorc Corrado vescovo di Sabina, romano di nazione c della nobil famiglia di Suburra, il quale prese il nome di Anastasio IV. Uomo di virtu singolare, ottimo di costumi, solo di prudcnza, grande di santita, dei ne- gozii della corte romana espertissimo. Appena assiso sul trono pontificio spedi il cardinal Gherardo Pi- sano legato in Germania a Fcderigo — troppogfin- (1) GofTredo, Vita di S. Bernardo Giov. Snlisberlens. Policratico lib. V. cap, XV. Padre Mariqucz, Cronache Cislerciensi , nelle quali trovasi il se- guente epitafllo : Hie jacet Eugenius defunctus , cerne sepulcrum , Cui pia cum Christo vivere vita fait. Pisa virum genuit , quem Claravallis alumnum Exhihuit , sacrae Religionis opus, llinc ad Anastasij translalus marliris aedem , Ex abbate pater summits in orbe fuit Eripuit solemne jubar, mundique decorem , Julius, octavum sole ferente diem. teressava procacciarsi il favorc cli questo principe, nipote di Corrado III, a cui era successo, di grande accortczza, di petto forte, di valore impareggiabile, amante sidle prime della giustizia, inflessibile e sc- vero si, che andava talvolta al barbarico. Poco dopo, e precisamente il 16 agosto, cesso di vivere in Roma il cardinal Guido dei conti di Ca- prona, cancelliere della romana chiesa: fu sepolto nella sua diaconia de’ santi Cosimo e Damiano, c in una lapide dietro Y altar maggiore fugli posta que- sta iscrizione: Guidoni cancellario diacono cardinali pisano , qui Altare majus hujus ecclesiae construi fecit . Sedis Apostolicae Guido cancell arms, in se Quam nihil est rnundi gloria , more probat. Pisa virum peperit , quern donat Roma sepulchro , Vix par itur a parem , vix fruitura pari. Non opera pictoris eget , non marmore sculpto , Non titulo celebri tam titulosus homo. Tertio post idles augusti praeripit ilium Virtutum titulis invidiosa dies. Huic sine node diem, vitam sine morte, quietem Det sine fine quies, vita , diesque Deus. Il 6 settembre l’arciprete ed i canonic! della pi- sana Primaziale furono lieti del seguente privilegio pontificio: ANASTASIUS EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEL Archipresbitero, ccteterisque pisanae ecclesiae Beatae Mariae canonicis tam praesentibus , quam futuris canonice intrantibus in perpetuum. Pia postulatio voluntatis effectit debet prosequendo compleri , quatenus, et devotionis sinceritas laudabiliter enitescat , et utilitas po- stulata vires indubitanter assumat. Ea propter, dilecti in Domino filii, vestris justis postulationibus libenter annuimus, et praedecessorum no- strorum fe. mem. Calisti, et Eugenii romanorum pontificum " “ TOMO I. 5w 258 inhaerentes, ecclesiam beatae Genitricis Dei Mariae, in qua Divino mancipati estis obsequio, sub beati Petri, et nostra protectione susci- pimus, et praesentxs scripti privilegio communimus ; statuentes, ut quas- cumque possessiones, et quaecumque bona eadem ecclesia in praesentia- rum ad communem fraternitatis vestrae substentationem juste, ac legi- time possidet, aut in futurum concessione Pontificum, largitione re- gum, vel principum, oblatione fidelium, seu aliis justis modis, Deo propitio, poterit adipisci, firma vobis, vestrisque successoribus , et per vos eidem ecclesia illibata permaneant, in quibus hie propriis duximus exprimenda vocabulis. Ecclesiam sanctae Vivianae in Soarza cum omni proprietate canonice s. Mariae cum adiacentibus, ecclesiam sanctae Cristinae in Chinsica, ecclesiam sancti Martini in Guassolongo , eccle- siam s. Mariae in Mellana, ecclesiam s. Mariae in Villarada, eccle- siam baptismalem s. Mariae in Arena cum suppositis cappellis, et decimationibus, ecclesiam de Orticaria, ecclesiam de Putignano, eccle- siam de Fasiano, ecclesiam s. Bartolomei de Tumulo; r occam de co- mitello cum pertinentiis suis, quiquid etiam habetis in castello Tripalli, et ejus pertinentiis, castellum de Scannello cum pertinentiis suis, et aliis castellis, cum suis pertinentiis quemadmodum a recol. mem . Bea- trice, et Matilde comitissis ecclesiae pisanae collata esse noscuntur. Quidquid habetis in curte, quae dicitur Pappiana, et quidquid habetis in curte de Populogna ; rutum pisanae civitatis, centum solidos de Ripa, qui dari propter cereum consueverunt. Quicquid habetis in castello, et curte castelli novi, et castelli veteris de Camojano, terram apud Carrajam Gunduli, quam vobis bo. me. Gaetanus devotionis in- tuitu contulit, ex qua ecclesiam in honorem b. Joannis Evangelistae assensu vestro aedificavit. Terram, quam habetis in Pesciano cum ec- clesiae sanctae Margaritae, et ejus pertinentiis. Censum, qui vobis per- solvitur a Lontriariis, qui in Stagno piscant. In Sardinia monasterium s. Michaelis de Plajano, cum ecclesiis, curtibus, et aliis pertinentiis suis officium ecclesiasticum, et beneficium populi pisani in portu de Turribus. Praeterea vestram matricem ecclesiam plenae dilectionis brachiis amplectentes, antiquas ejus, et rationabiles consuetudines, conjirmamus, unctiones scilicet injirmorum, et decimas pis. parrochiae, Eladae, et vini omnis, pecuniarum vero omnium tres ex integro portiones, tarn de civitate ipsa, quam de burgis, et villis, et territoriis, quae a majori ecclesia baptisma suscipiunt, et oblationes vivorum, et mortuorum, quae ad majorem ecclesiam conferuntur, ut nullius unquam vobis * ve- strisque successoribus calliditate, aut violentia subtrahantur, sed in -w 259 communem usumfructum integrae, stdbilesque permaneant: id ipsum et de oblationibus Missae episcopalis, quae praesentibus canonici celebra- tur, statuimus, excepto auro, vel precio pro auro. Nee in majori ec- clesiae ullus introducatur, vel ordinetur canonicus, nisi communi ca- nonicorum , vel majoris partis consensu , ordinatum vero nulli omnino episcopo liceat officio, seu benejicio, sive canonico privare judicio. Nullus etiam ecclesias, quae in proprietate canonica majoris ecclesiae sunt, et earum clericos praeter communem canonicorum, vel majoris partis voluntatem ordinare, vel inquietare praesumat. Olivas autem, et cereos nulla civitatis, et burgorum ecclesia praeter matricem eccle- siam, et praeter monasteria, et in his praeter monacorum, etfamilia- rium usum benedicere praesumat, et praeter ubi antiquissime conces- sum esse dignoscitur. Baptisma in majori tantum celebretur ecclesia, sicut antiquitus observatum est excepto timore mortis. In Sabbato Sancto nullus missam cantare, et campanas sonare praesumat, donee apud majorem pulsentur ecclesiam. Populares, quoque processiones, nisi in majori fiant ecclesia. Praeterea praesentis privilegii auctoritate sancimus, ut canonicorum defunctorum bona nunc, et in futurum a nemine auferantur, sed in utilitatem fratrum communiter viventium, quiete, et integre dimittantur. Porro qui ad majorem soliti sunt eccle- siam sepeliri, sepulturas solitas non relinquant, sed qui ad aliarum ecclesiarum transeunt sepulturas, sive in civitate, sive in burgis judicio- rum suorum quartam partem ecclesiae matrici derelinquant. In omnibus autem ecclesiis, in quibus mortuorum exequiis interessetis, missarum vobis celebrationes cum oblationibus suis concedimus. Sane priorum, canoni- corum electiones, et locationes monasterialium cappellanorum, qui vi- delicet populo Divina officia administrant, episcopi, et canonicorum consensu fiant. Praeterea Sedis Apostolicae auctoritate statuimus ut divisio silvae de Tumulo, sicut a venerab. Fr. nostro Villano pisano archiep. ex mandato jam d. praedecess. nostri papae Eugenij facta, a nobis assignata esse dignoscitur, futuris temporibus rata, et incon- cussa permaneant, nec quisquam vobis, vel successoribus vestris in- vitis divisionem ipsam unquam praesumat infringere, sive occasione qualibet perturbare. Decernimus ergo, ut nulli hominum liceat prae- fatam ecclesiam temere perturbare, aut ejus possessiones auferre, vel oblatas retinere, minuere, aut aliquibus vexationibus fatigare, sed omnia integra conserventur eis, pro quorum gubernatione , et substen- tatione concessa sunt usibus omnimodis profutura, salva in omnibus Apostolicae Sedis auctoritate. Si quis igitur in futurum ecclesia stica, saecularisve persona hanc nostrae constitutionis paginam sciens con- 260 tra earn timere venire tentaverit, secunda animadvers. commonita , si congrua satisfactione se non emendaverit potestatis suae prioris di- gnitate caveat , et praeterea ream se Divini judicii existere de perpe- trata iniquitate cognoscat, et a sanctissimo Corpore et Sanguine Dei , et Domini Redemptoris nostri Jesu Christi aliena fiat, ac in extremo examine districtae ultioni subjaceat. Cunctis autem in eodem loco ita servantibus sit pax Domini nostri Jesu Christi, ut hie fructus bonae actionis percipiant, et apud districtum judicem praemia eternae pads inveniant. Amen. Ego Anastasius Catholicae Ecclesiae episcopus. Loco © Signi S. Santit. Sequuntur subscriptions cardinalium. Ego Imams Tusculanus episcopus. Ego Ugo Ilostiensis episcopus. Ego Gregorius presbiter card. tit. S. Calisti. Ego Guidus presb. card. tit. S. Chrysogoni. Ego Ubaldus presb. card. tit. Sanctae Praxedis. Ego Jordanus presb. tit. Sanctae Susannae. Ego Octavianus presb. card. tit. Sanctae Ceciliae. Ego Astaldus presb. cardin. tit. Sanctae Priscae. Ego Joannes presb. cardin. tit. S. Equitij. Ego Otho diaconus card. tit. S. Gregorij ad velum aureum. Ego Ilyacintus diaconus cardinalis S. Mariae in Cosmedin. Ego Joannes diaconus card. Ss. Sergij, et Bachij. Ego Otho diaconus card. S. Nicolai in carcere Tulliano. Datum Laterani per manum Rolandi sanctae Romanae Eccle- siae presbiteri cardinalis, et cancellarij VI. Idus Septemb. Indict, prima Dominicae Incarnat. Anno 1153. Pontificatus vero Anastasij papae IV. Anno primo. A questo privilegio tenne dietro nuovo attestato d’amore paterno nel mese di dicembre. I ANASTASIUS EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEL Dilectis filijs Canonicis pisanae ecclesiae salutem, et apostolicam beneditionem. Et si commissum nobis ojficium pro Ecclesiarum omnium statu nos cogat attentius cogitare pro illis tamen specialiter nos invigilare oportet, quae beato Petro a nobis propentius adhaerere noscuntur. Tkgpy'W- 261 Ideoque dllecti in Domino filij, quoniam bona, et possessiones eccle- siae pisanae quidam parrochianorum pisani archiepiscopatus violen- ter detinent occupatas, et reddere contradicunt, si postquam venera- bilis frater noster pisanus Archiepiscopus a vobis fuerit requisitus, canonicam justitiam de ipsis facer e forte noluerit, tibi, fili arcliipres- biter , et aliis sacerdotibus vestris canonicam in eos sententiam pro- mulgandi licentiam damns, statuentes, ut sententia ipsa usque ad condignam satisf actionem fir miter teneatur, nec ab aliquo praesumptione aliqua violetur. Anno 4154. — Conccssc papa Anastasio IY cle’ pri- vilege anco al priorato di santa Maria. Mori egli il 2 dicembre; il tre gli successe Niccold vescovo d’Albano, personaggio in' ogni guisa esemplare, e as- sunse il nome di Adriano IV. 1154-1155. — In sulle prime sperimento quali con- seguenze puo avere una miseria di chi preme un soglio. Imperocche, verso la quaresima essendo ve- nuto Guglielmo re di Sicilia a Salerno, Adriano gli mando con lettere credenziali il pisano cardinale Ar- rigo Moricotti. Ma siccome nella lettera pontiflcia solamcnte eravi il titolo di signor della Sicilia e non quello di re, Guglielmo si adonto si fattamente, che il legato bruttamentc rinvio senza voler dargli ascolto; ed al governatore di Puglia ordino di muovere la guerra alio Stato ecclesiastico, come egli fece. A punire 1’ orgoglio di Guglielmo, o meglio a pa- scere sempre piu la propria ambizione, si disponeva Federigo I. Bisognoso a tal uopo di flotte, ebbe per questo accolti onorevolmente Tacito Duodi, Onolrio Lanfranchi e Rosso Bottacci mandati dalla Repub- blica pisana a lui, secondo alcuni, alia dieta di Ron- caglia presso Piacenza, secondo altri al suo sccndere in Toscana. Certo e che in quest’ anno ingiunse ai Pisani di allestire la loro armata, come rilcvasi dai segment i versi (1). (I) Guntero Ligurino, lib. III. 262 Occurrere Duel proceres , quos bellica Pisa Miser at, aequoreis celeberrima Pisa triumphis; Pisa peregrinis statio bene nota Cacinis, Hos jubet in siculum condicto tempore regem Cogere belligeras , atque emunire carinas. Era in quest’ anno console di Pisa Cocco Griffi, a cui prerogative incomparabili fruttarono Y alto onore di regolare il freno clella Repubblica diciassette anni continui. Ci sia permesso di raccogliere qui tutto che Pisa a lui debbe, sebbene non tutto appartenga all’ anno presente. Sotto di lui si die cominciamento, il 1132, al magnifico Tempio battesimale. A dirigere e solleci- tare la fabbrica furono scelti due operai, Cinetto Ci- netti ed Arrigo Canccllieri, entrambi di Pisa. Alio zelo di essi i cittadini corrisposero, sottoponendosi ogni famiglia al tributo di un soldo d’ oro, equiva- lente ad un fiorino. Trentaquattromila furono le fa- miglie che lo pagarono (1). Cio merita attenzione perche ne da contezza della somma popolazione di Pisa a quei di — cosa d’ altra parte che non debbe parerci strana, dietro il florido commercio e le si potent! armate della pisana Repubblica. — In secondo luogo sotto il consolato di Cocco di Tacco Griffi si cinse la citta di mura. Si fece primieramente il tratto che si estende dalla porta a mare sino alia estremita del Campo- santo a ponente; e vi furono sei porte, cioe: 1. a Porta a mare posta nel circuito dell’ arsenale, ed ivi era la fortezza dei Pisani (2). 2. a Porta de 9 Lecci , oggi murata, dirimpetto la via Garraja di s. Yito. (1) Vedi Michel. Da Vico, Marangone, e l’Altestato dell’operajo Pietro Gualandi conservato in un libro dell’ Opera, (2) La detla porta e oggi mu rata ; ma esistono tuttora gli avanzi del- l’arsenale nella Cittadella, ov’abita il 7.0 Corpo It. d’ Artiglieria. 263 3. a e 4. a Murate pur esse, e d’ignota dcnomi- nazione. 5. a Porta Buoza, chiamata cosi clalla nobile fa- miglia Buozi, a capo alia via clello stesso nome. 6. a Porta del Leone, sopra la quale quel leone di marmo vedevasi che sta ora sulla parte interna delle mura, sull 1 angolo fra il Battistero e il Campo- santo. Di qui la cinta si seguito fino alia via Calcesana, e sette porte vi furono. 1. a D’ ignoto nome, alia meta del Camposanto. 2. a Porta di santo Stefano , dicontro al palazzo arcivescovile (1). 3. a Porta di Parlascio corrispondente alia via sant’ Anna. 4. a Murata, e d’ignoto nome. 5. a Yicina alia soppressa chiesa di san Zenone, appcllata Porta monetaria , perche fuori di essa bat- tevansi le monete. 6. a Porta della Pace , incontro alia via di san Lorenzo. 7. a Porta Calcesana , a capo della via cosi no- minata. Seguitando, la muraglia si continuo fino al ponte alia Spina, oggi ponte alle Piagge o alia Fortezza, pel quale in fortezza si passa; e questo nuovo recinto fu intersecato da due porte. 1. a Porta alle Piagge per esser presso la riva del- l’Arno, detta anche di san Barnaba. 2. a Porta della Spina , per la quale si apriva il passo al detto ponte. (1) In un rituale antico della chiesa pisana il Tronci Irovo, che nella tecza giornata delle Rogazioni, quando il Clero si partiva dalla chiesa di santo Stefano fuori delle mura, per la porta di santo Slefano rientrava in citta. — y. 264 Finalmente si cinse la parte meridionale della citt-a, e in questo recinto vi furono cinque portc. 1. a Di san Marco , dal subborgo di questo no me, racchiusa poi nella nuova fortezza, dopo Y apertura dell’attual porta Fiorentina . 2. a Di nome sconosciuto, fra la chiesa di san Martino ed il Carmine. 3. a Di sant’ Egidio o Romana . 4. a Di sant ’ Antonio (1). 5. a Porta Legazia, ora porta a mare. In questi medesimi tempi si fece la escavazione di vari fossi, onde nella bassa pianura della citta Y acque non im- paludasscro ; a comodo dei naviganti si eresse vicino a Livorno la fonte detta di santo Stefano; il Porto Pisano di due altre torri si muni; s’inalzo una torre sullo scoglio della Meloria e la rocca di Riprafratta, frontiera efficacissima contro i lucchesi. Non per questo rallentava Fardore nel fabbricare san Giovanni. Tre grosse colonne si facevan recare dalFElba, due dalla Sardegna, d’ ogni parte bei mar mi. Ne a tante spese venne meno la Repubblica, ricca com’ era, ed in comune cd in particolare, pel com- mercio che i pisani facevano sulla faccia di tutto il mondo. A florir loro la via de’suoi stati Rinaldo, principe d’ Antiochia, loro concesse dei privilegi con la Bolla seguente (2). Privilegium principis Rainaldi Antiochiae et prin- cipissae Constantiae de dono Pisanorum qui sunt Laodicea. IN NOMINE SANCTAE,ET INDIVIDUAE TRINITATIS etc. Amen. Universis sanctae Matrls Ecclesiae filijs praeseniibus, atque fu- turls notijicari, ac manifestari volumus. Quod ego Rainaldus Dei gratia Antiochenorum principes, unague Constantia eorumdem prin- (1) Ora Barriera Vittorio Emanucle. (2) Archivio delie Riforinagioni in Firenze. 265 cipissa Boemundi junioris filia perenni jure donamus, et concedimus ecclesiae Sanctae Mariae, et Archiepiscopo pisanae civitatis consuli- bus, et senatoribus, et communi populo, tarn in pisana provincia quam in nostra manenti, et legato Britate terrain ad construendam domum in portu civitatis Laodiceae , quae terra extenditur subptus ecclesiam JS. Heliae ante domum templi, et domum. magistri Ugonis usque ad mare quod contra est et extenditur per litus maris usque ad quan- dam carreriam, et murum antiquum, et in superiori parte usque ad fossatum. Sciendum est autem, si judicio curiae terrain recuperare possunt, quam in praedicto portu Vuillelmus Embriacus possidet in propriis usibus, nostris redibit terra, quam superius illis d&dimus. In- super haereditario jure illis donamus domum in civitate Antiochena, quae fuit Dom. Odoni de Tyro, et dimittimus illis, et condonamus per totam terram nostrum a quibuscumque partibus venerint medietatem totius juris, quod per consuetudinem intrando, vel exeundo, emendo, vel vendendo, dare soliti sunt, et illos, sive sint in mart, sive sint in terra nostra, ab om.ni posse nostro protegemus, et defendemus. Prae- terea, si in terra nostra naufragium passi fuerint illos, et res eorum salvabimus, et protegemus , et si quispiam illorum in terra nostra mortem passus fuerit, res ejus parentibus suis servari faciemus. Insu- per, si inter se querelam habuerint, non in curia nostra, sed in sua juxta statuta eorum tractabitur. Et si de nostris hominibus, et suis querela fuerit, in curia nostra audietur; ut autem hoc donum fir mum, et inviolabile permaneat, his litteris annotari, testibusque subscribi, et principali impressione muniri fecimus. Factum est hoc per manum Gaufridi cancellarii nostri anno ab Incarnat. Dom. MCL1V. Indict. II. Hujus rei sunt testes Ga- rento de Saona, Galterius de Surdavalle, Gaufridus Constabularius, D. Leonardus , Leo Majopolis dux, Marsatan de Margaht , Arnal- dus de Gafardan, Bobertus de Surdavalle, Ugo de Volera, Ilentas- dus de Lenni, Petro de Juvenale. Data est Carta in palatio Antio- cheno decima die mensis maij. I fasti dell’ anno presente si chiudono colla glo- ria di sette galore mandate, sotto il comando di Gab- briello Orlandi e di Buzzacchcrino Buzzaccherini, in aiuto del re Guglielmo di Sicilia. Anno H56. — Trovasi che san Guglielmo duca d’ Aquitania mori in quest’ anno nel dominio pisano TOMO I. 34 266 in un luogo chiamato Stabulum Roclis o Valle mala, vicino a Castiglione della Pescaja (1). Baldovino IV, necessitoso d' aiuto, fece coi Pisani un trattato di pace in Accon (san Giovanni d’Acri) il 2 novembre (2) donando loro nella citta e porto di Tiro facolta di giudicarvi i loro propri nazionali in tutte le cause, tranne quelle che portassero pena di morte. Inoltre concesse ai medesimi uno spazio di terra presso Tiro, ed in Tiro un fondaco, come F aveva loro concesso F avo suo Baldovino. Final - mente s’ interpose mediatore fra i pisani ed il fratel suo Almerico conte di Assalona. Le storie manoscritte di Pisa dicono che era tut- tora primo consolo il benemerito Cocco Griffi, e ch’egli fece costruire tre ponti sul flume Era. Abbiamo detto che i Pisani ottenevano privilegi in Oriente: non minori ne ottenevano i pisani cano- nici dalF amorevolezza del pontefice Adriano IV (3). Primieramente avuta egli notizia che molti beni della chiesa pisana erano stati usurpati, scrive ai canonici che ove V arcivescovo, ricercatone, non vo- glia procedere contro gli usurpatori, eglino contr’ essi promulghino canonica sentenza, la quale resti in vi- gore sino a che non sia data satisfazione. In secondo luogo mandando un suo cappellano con alcuni del monastero di san Ruffo nel Delflnato, i quali veni- vano per far cavare pietre e colonne onde abbel- lire il claustro del loro monastero, Sua Beatitudine ai canonici lo raccomando. Ed essendoche il pisano Capitolo aveva una lite coll’ abate e co’ monaci di san Rossore, per conto di una parte di Tombolo, (1) Il cardinal Baronio scrive la morte di questo sanlo all’anno H36; ma pare che il santo medesimo ne facesse allora correr voce per atlender meglio al le cose dell’anima sua. (2) Vedi il Muialori e il cav. Dal Borgo. (3) Vedi le lettere sue nell’ archivio capitolare. 267 (lite agitata sotto i quattro pontefici antecedent e non pcranco cessata, benche divisi quei beni trai liti- gant) Adriano IV commise la causa ai vescovi di Siena e di Lucca. I due delegati non avvisarono ugualmentc; Sua Santita avoco dunque a se la que- stione; la tratto con somma destrezza e sentenzio. I monaci volevano rccalcitrare; ma egli scrisse loro: male addirsi ad uomini che doveano starsi sem^pre in orazioni, ed onorare incessanti la divina Maesta, lo starsi in litigi; e conchiudeva che qualora non si stessero a quant’ egli avea stabilito, non avrebbe lasciata impunita la loro presunzione. A queste non dubbie prove d’ affetto verso i pisani canonici voile quindi mettere il colmo, loro confermando tutti i privilcgi concessi da’ suoi antecessori (1). Anno 1157 . — Ai 22 maggio confermava pure ogni privilegio alia chiesa ed all’ arcivescovato di Pisa, con una Bolla data in Laterano per man di Rolando cardinale e cancellicre di Santa Chiesa. La dolcezza di questi favori fu amareggiata da terribile incendio che fece un guasto spaventoso nella strada di Guidone di Tedice, chiamata poi del Ga - rofano. Oltre la perdita delle cose, dovette Pisa piangere la perdita di molti e nobili cittadini, trai quali Simone del Parlascio, Arrigo Villani, e Vittorio Bonatti, detto da altri Vecchio Bonachi, i quali erano provveditori della citta. Facendo senno da tanto in- fortunio che ncl quarticre di Chinsica rinnuovavasi spesso, per esservi in buona parte fabbricato di le- gno, decretarono che quanto si fattamente fosse co- strutto si disfacesse. Balduino intanto non si adopro invano presso il suo fratello Almerigo. Il 2 giugno, per pubblico istru- mento rogato in Assalona, il conte concesse al po- (l) Vedi la Bolla relativa nell’ archivio capilolare. 268 polo pisano, rappresentato dall’ arcivescovo e clai con- soli, la rneta de’ diritti d’ introduzione, d’ estrazionc e vendita dei generi che i pisani avrebbero introdotti ed estratti tanto dalle parti di terra, quanto da quelle di mare in Joppe. A questo aggiunse molti privilegi e civili e religiosi, che si risSontrano nel seguente documento : IN NOMINE SANCTISSIMAE ET INDIYIDUAE TRINITATIS Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen. Notum sit omnibus tarn praesentibus, quam futuris, quod ego Ab mericus per Dei gratiam comes Ascalonis per voluntatem, atque lau- damentum Domini , atque fratris mei Balduini regis Hierusalem , dono, concedo , atque confirmo tibi Dom. Villano Pisarum venerabili archie- piscopo, unaque consulibus earumdem communitatisque omnibus Pi- sanis dimidium ejus juris, quod ad me pertinet, et cum intraverint, et cum exierint, et cum emerint, et cum vendiderint Pisani in Jope , tarn per terram, quam per mare. Dono etiam Pisanis plateam unam in Jope, ut in ea componant s'ibi domos, et faciant ibidem forum s'ibi. Concedo eisdem locum unum ad fabricandum sibi in eo ecclesiam, si tamen dominus, ac magister Christianitatis Patriarcha hoc ipsum concesserit, ut igitur hoc meum donum, haec mea concessio, atque confirmatio rata, firma, et illibata in perpetuum permaneant, et nul- lius fraudolentia, aut violentia circumveniri possint, vel turbari, car- tam presentem sigillo meo corroboro. Testibusque subscripts commu- nio. Factum est hoc anno Incarnat. Dominicae MCLVII. Indict, v. Hujus quidem rei testes sunt Fer. Episc. Achon, de fratribus Templi, Gottifredus Fulcher j de fratrib. Hospitalis, Will. Crolleht, de ho- minibus vero meis Simon de Hosden, Rainaldus de Jope, Itechlinus de Samulach, Albertus Will, de Ciro, Will, de Tiberiade, Guido de Mirabello, Bartolom. Suassionensem, Cerbertus, Lambertus, Gi- rardus de Paminni, Lambertus de Jope, Will. Rufus. Datum in Ascalone per manum Rodulphi cancellarii iiii. nonas junii. Chi avrebbe detto che Balduino conciliatore di pace, diventerebbe, e si presto, ai Pisani nemico! Eppure ando cosi la faccenda: tra le genti di lui e quelle di Pisa vi furono delle rappresaglie. Ma e vero che la concordia fu piu presto intorbidata che 269 S tolta; poiclie in breve ora fu perfettamente 1 ^ lita. E in questa occasione il Re fece ai Pisani rnoltc altre donazioni. Eccone F autentico istrumento. IN NOMINE SANCTAE ET INDIVIDUAE TRINITATIS Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen . Notum sit omnibus tarn praesentibus, quam futuris, quod ego Balduinus per gratiam Dei in Sanctam Jerusalem Latinorum rex quartus consilio, et concessione Melisemdis reginae matris siquidem meae pacem in hunc modum facio cum pisanis. Pisanis itaque per se, et per suos omnes homines quaerelas universas omnium rerum, quae eis ablatae sunt mihi regi, et omnibus meis hominibus dimittunt, quas usque ad diem hanc contra me, atque meos homines aliquo modo intendere poterant exceptis his, quas honoribus .suis contra dom. hie- rosolemtanum patriarcham, et clericatum Cesariae, et abbatem, et monacos JS. Mariae de Latine intendere possunt; et ego rex per me , et per omnes meos homines quaerelas universes rerum omnium, quae mihi, vel hominibus meis ablatae sunt, pisanis , et omnibus eorum ho- minibus dimitto, quos usque in hodiernam diem contra eos, eorumque homines aliquo modo intendere poteram. Pisani insuper, et homines eorum me rege salvum, et fidii/m reddent, et omnes meos homines, tarn in personis, quam in rebus eorum in mari, et in terra, neque extra- neis hominibus studiose me, vel homines meos ojfendere permittent; et ego rex et homines mei salvos , et fidos reddemus pisanos, et ho- mines eorum tarn in personis, quam in rebus in mari, et in terra, neque extraneis hominibus studiose eos ojfendere permittemus. Excipio tamen eos, quos mei homines invenerint portantes ferrum, aut ligna- men, aut picem, seu arma ad vendendum in terra Aegypti. Quod si tarn hominos mei res ipsorum eis abstulerint, propterea pax non rumpa- tur. Insuper ego rex dono Pisanis in Tyro vicecomitatum, qui in eo- rum propria curia pisanos justijicare debeat. Reservo tamen meae curiae quaerimonia traditionis , et mortis, quam in mea curia judi- care faciam secundum justitias, et rationes meas. Tribuo etiam Pi- sanis carrucatas quinque de bona terra juxta Tyrum et in Tyro fur- num unum. Quin immo reddo, et confirmo eis quicquid bonae me- moriae Dom. rex Balduinus avus meus in Tyro, vel in regno suo olim pisanis concessit, et regio privilegio corroboravit, quod est continens. Ita concedimus Pisanis in Tyro in ruga justa porticum quinque do- mos liberas , et quietas ab omni tributo, vel redditu in perpetuum w,e ® 270 jure liaereditario ad vendendum, vel dandum cuicumque voluerint pos- sidendas. Naves vero suas, et negotia, quae in Tyro adduxerint, vel de Tyro iraxerint, exceptis peregrinis, et aliorum hominum quam pi- sanorum mercatibus, seu negotiis instando in Tyro similiter ab omni redditu, et datione, libera, et quieta. Praeterea si aliquis ex pisanis in toto regno Hierusalem mortuus fuerit, res eiusdem mortui sint li- berae, et reddantur familiae, aut genii suae. Placet etiam mihi, ut Amalricus frater meus comes ascalonitanus cum pisanis paciscatur. Has igitur, quas supra memoravi conventiones pads inter me, et pisanos, et homines meos, ac homines eorum reformandae, et in perpetuum, praestante Deo, conservandae laudo, et concedo, et subscripts testibus sigilli mei sub pressione muniri praecipio. Factum est autem hoc anno ab Incarnat. Dom. MCLVII. Indict, v. Hujus quidem predictae pa- ds testes sunt: Bertramus de Branca forti militiae Templi magister, Gaufridus Fulcherii ex Templi commilitonibus unus , Frater Girar- dus Hugonis praeceptor Hospitalis, Frater Guglielmus de Grosseto, Amalricus comes ascalonitanus, Pobertus de Porta, Rainaldus Fal- conarius. Dat. Accon per manum Rodulphi Bethelemitae episcopi, regisque cancellarii iv. non. novembris. Ego Uguccio nepos Gallici judex, et not. dom. Imperatoris au- thenticum hujus vidi, et legi, et fideliter exemplavi. Ego Albagnanus judex, et notarius dom. Friderici Rom. Im- peratoris, et pis. civitatis cancellarius, authenticum hujus vidi, legi, et subscripsi. Ego Albertus dom. Friderici Rom. Imperatoris judex ordinarius, et notarius authenticum hujus vidi, et legi, et hie subscripsi. Ego Hdebrandvs dom. Friderici Romanor. Imper at. judex or- dinarius , et notarius authenticum hujus vidi, legi, et hie subscripsi. Exemplar authenticum asservatur Florentiae in archivio Re- formationum. Anno 1158. — Adriano udendo che l’imperatore Federigo si preparava a passare un’ altra volta in Italia, stimo bene spedire a lui due legati i quali furono il cardinal Giacinto Bobo romano, e il car- dinal Arrigo Moricotti creatura, come gia sappiamo, d’ Enrico III, ed allevato nel monastero di Chiara- valle sotto la disciplina di san Bernardo. Federigo gli accolse e li rimando colmi di doni. Non tardo poi a risccndere in Italia egli stesso. Il di lui ritorno 271 fece che i potentati di Toscana si composero in una pace generate per vent’ anni. Vedevano sorgere dal- F alpi una nube che ingrossava a tutta la penisola minacciando, ed il periglio li riuni. — Pisani, senesi, il conte Guido, e il conte Alberto di Prato, da una parte; dall’altra lucchcsi, liorentini, pistojesi ed i capitani di Garfagnana. Nel medesimo tempo i Pi- sani si dichiararono per Fedcrigo, da cui richiesti di soccorsi, quasi vassallaggio, mandarono una schiera di sagittarii ed un’ altra di costruttori di macchine militari. Erano consoli di Pisa Pellario e Lamberto Ciguli, Guidottone Visconti, Bulgarino Bulgarelli, Torpetc Duodi, Pandolfo Signorelli, Arrigo Federighi, ed Ilde- brando Gualfredi. Provveditori erano Bernardo Ma- rangone, Ranieri dal Parlascio, Ugone Pagano, tide- brando Mazzi e Marignano Causiclico (1). Federigo ridusse ben presto l’infelice Milano a domandare di assoggettarsi. Arbitro delle sorti di quasi tutta Italia, acluno una nuova dieta in Ronca- glia per decidervi di chi fossero le regalie , vale a dire ducati, marchcsati, contee, zecche, dazii, ponti, pescagioni, ed altri simili proventi. Cedendo la ra- gione del diritto alia ragione delF armi, — tutto e del - V Imperative — grido una voce universale: il solo pisano Bulgaro, il piu sapiente promotore dello stu- dio e della scienza del diritto, dissenti, e stette per le citta italiche: nobile fatto con che siamo superbi di chiudere le cose del 1158, e che vorremmo scol- pito nel cuore di ognuno ; sicche, se non v’ ebbe per lo passato penuria di vili, non vi fosse per l’avve- nire chi volesse o vendere la verita all’oro, o pro- stituirla alia forza! Anno 1159. — Il principio di quest’ anno e disgra- (1) Vedi M. Bernardo Marangone. - 272 ziatamente famoso per nuove discordie tra Federigo ed Adriano IV. Gli storici del primo dicono che il Papa mendicava ogni pretesto per romperla (1), quelli del secondo dicono che F Imperatore vantava con somma insolenza diritti sullo stato ecclesiastico — forse v’ era del male dalF uno e dalF altro canto. — Comunque sia, il cardinale Arrigo Moricotti pisano, rcputando seco le tante rovine che potevano deri- varne, scrisse al yescovo di Bamberga favoritissimo di Sua Maesta, e che virtu e senno grandemente ac- coppiava, pregandolo di adoperare per la riconcilia- zione. Egli rispose a lui ed anche al ponteficc: far mestieri cedere a qualche cosa; mandare legati adatti per placare r Imperative, tornare a scrivere a que- sti con dolcezza , altrimenti non si smorzerebbe una scintilla la quale stava per suscitare inestinguibile incendio. Mando papa Adriano quattro cardinali, e tra essi il nostro Arrigo Moricotti, cardinale de’ santi Achille e Nereo; ma Fire, invece di calmarsi, si ag- gravarono. La morte tolse Adriano IY da tante difficolta il primo di settembre. Tre giorni dopo fu elevato in suo luogo Rolando da Siena, canonico di Pisa, il quale assunse il nome di Alessandro III. Intanto che cosi andavano le cose in Italia, i Saraceni corseggiavano i mari circonvicini cagionan- dovi danni infiniti. I Pisani, armate died galere, mos- sero per infrenarli. Li avevano cercati inutilmente per yarii di, quando s’ imbatterono in quattro loro navi che ayevano predato una grossa nave genovese carica di mercanzie. Vederle e con tutta furia assa- lirle fu una cosa medesima. I Saraceni giudicarono stolto consiglio il combattere: onde, lasciata la fatta preda, si diedero alia fuga. (1) Radevicns, De gestis Federici /. lib. II. cap. XV /\rd( 273 La nave genovese fu condotta a Pisa; ma poi re- stituita sollecitamente a Genova, nuova arra cli pace. Anno 1160. — Quest’ anno, a detta del Maran- gone, furono consoli di Pisa Lamberto Grasso, Boc- cio Bottaccio, Gismondo d’Arrigo, Bolso di Pietro, Arrigo di Federico, Ugone di Tedicone, il quale mori ncl tempo del suo consolato, Ranieri dal Parlascio, Lanfranco Lanfranchi, e Cocco Grid!: i loro nomi si trovano nel seguente istrumento di donazione al- F Opera del Duomo. IN NOMINE SANCTAE, ET INDIVIDUAE TRINIT ATIS. Amen. Justum est piis petitionibus clementer annuere, et in pisana majori ecclesia Sanctae Mariae construenda vigilanter operam dare. Ideo nos Lambertus Grassi de sancto Cassiano , Sigismundus Henrici, Coccus filius quondam Griffi, Bulsus quondam Petri , Henricus Rai- nerii q. Friderici, Boccius Rainerius de Parlascio , Lanfrancus Ugo- nis, et Ugo quondam Tedicionis consules Dei gratia Pisanorum con- silio majoris partis senator um hujus pisanae urbis, tibi Benedicto dilecto fratri recipienti in vice Joannis operarii operis pisanae eccle- siae Sanctae Mariae pro loco ipsius operis damns , et irrevocabiliter concedimus ecclesias videlicet: Embolum , et scalas, et stateram, quae sunt in Constantinopoli, et sunt ab imperatore operi Sanctae Mariae concessa, ita ut deinceps libere , et absolute sint in tua tuorumque suc- cessorum , rectorum istius operis Sanctae Mariae , potestate, ad au- gendum, et meliorandum , ad honorem, et utilitatem praefati operis Sanctae Mariae. Et neque archiepiscopus, neque clerici, neque con- sules pisani , neque missatici , nec vicecomes, neque embolarii , qui modo sunt , pro tempore erunt, nec aliqua persona occasions comunis pi- sanae civitatis potestatem habeat aliquo modo de praedictis omnibus vendendi vel pignorandi, aut alienandi. Si quis vero contra banc no- strae institutions, ac largitionis paginam venire tentaverit, sit compo- siturus publico nostrae civitatis poenam librarum centum optimi ar- genti. Et quia nos praememorati consules, haec omnia in perpetuum volumus observari, imitantes etiam voluntatem et scriptum domini Balduini piae recordationis pisanae ecclesiae arcbiepiscopi, et do- mini Yillani nunc venerabilis ejusdem ecclesiae praesulis, ideo banc nostrae irrevocabilis donationis, et concessions paginam sigillo no- TOMO i. 35 274 stro plumbeo Sanctae Mariae comunis hujus pisanae civitatis jussimus insigniri, et haec omnia ad perpetuam jirmitatem, atque memoriam Uguccionem dom. Imperatoris judicem ordinarium, et sacri Latera- nensis palatii notarium scribere rogavimus. Acta sunt haec in veteri Capitulo pisanae canonicae Sanctae Mariae, praesentia et testimonio Pellarij q. Gualandi, lldebrandi Familiati jilii JJgonis, Gerardi Ugonis de Fabro nunc pisani camerarii , ac jilii quond Anno Dominicae Incarnationis M. CLXI, quinto decimo kalend. Aprilis. Indictione viii. Ego Ugo consul subscripsi. Ego Lamberto consul subscr. Ego Coccus consul subscr. >%< Ego Henricus consul subscr. >£< Ego Bolsus consul subscr. Ego Sigismundus consul subscr. >$< Ego Lanfrancus consul subscr. Ego Boccio consul subscr. Ego Rainerius consul subscr. Ego Uguccio dom. Imperatoris Friderici judex ordinarius, et sacri Lateranensis palatii notarium hoc praeceptum mandato con- sulum scripsi. Originate asservatur in archivio Operae Primatialis ecclesiae Pisarum. Questo documento e segnato di due sigilli : uno coll’ imagine di Maria Vergine e la iscrizione Mater Dei , ed in giro Signum Sanctae Mariae pisanae civitatis ; l’altro con aquila nel mezzo, e all’interno Ur bis me dignum pisanae noscite signum. La pace che all’ anno 1258 dicemmo stretta fra tutti i potentati di Toscana, fu in quest’ anno un poco turbata. Morto il conte Uberto di Prato gli successe il suo figlio Guido, sotto la tutela della Repubblica pisana, perche tuttora in eta fanciullesca. Della quale prevalendosi i fiorentini e i lucchesi, gli davano con- tinue molestie. I pisani con lui confederati dovettero andargli in soccorso. Ne avvenne una battaglia con grandissima strage da ambe le parti. Firenze e Lucca, V- pretendendo allora che i patti fossero stati violati, ritorsero Tire loro dal conte Guido contro Pisa, e mostraron far grandi, straordinarii preparamenti. Alla minaccia de’ quali Pisa non si resto colle mani sui fianchi; ma sebbene facesse poco caso di tanti ru- mori, attese ai mezzi di forte difesa. Peraltro, sia che i Fiorentini, librate meglio le cose, vedessero che eglino e non i Pisani avevano la pace yiolata; sia che non stimassero savio consiglio cimentarsi in que- sta occasione con Pisa, non fecero per allora altra novita. Guelfo, duca di Spoleti e marchese di Toscana, venne al Borgo di san Genesio. Di qui mando a tutte le repubbliche e citta della provincia che gli spedis- sero ambasciatori e deputati ai quali aprire la sua volonta. L’alta stima in cui era tenuto ottenne cio che non avrebbe potuto Y autorita della forza. Pisa invio il suo arcivescovo Yillano, ed i consoli Lam- berto Grasso, Bolso Casapieri, Arrigo Federighi. Pre- sentatisi al Duca, egli disse loro: ch’era venuto per ricevere da ciascuna citta giuramento di fedelta, e per darlo a ciascuna; per collegarsi di nuovo con tutta la Toscana, e il suo principato stabilire su basi piu solide. Ogni suo desiderio fu pago : ed egli, onde attestare ai pisani amorevolczza, confermo ai cano- nici della Primaziale tutto che imperatori e re aye- vano loro largito (1). I pisani, in ricambio, invitarono il duca Guelfo a trasferirsi a Pisa onde seco loro celebrarvi la santa Pasqua, che era vicina. Accolto lietamente V invito, il Marchese di Toscana si mise in via. Tutta la no- bilta ed infinito popolo furono ad incontrarlo. Ono- rato, di tutto provvisto, di grandiosi regali cumulato, si trattenne varii giorni. In uno de’ quali andato al (1) Vedi nell’archivio capitolare queslo privilegio dalo in san Genesio. 275 few - - - 276 palazzo de’ consoli, giuro egli per il primo che avrebbe sempre i pisani carissimi, che li difenderebbe sempre e cogli averi e colla persona. I consoli rinnuova- rongli allora il giuramento dato dai loro ambascia- tori nel borgo san Genesio. Dopo di che il Duca, preso congedo da’ suoi ospiti, parti per le altre citta toscane, ove ricevere il medesimo giuramento. A questi giorni di dolci onoranze ne tennero dietro altri non meno dolci. Essendoche un figlio di Tolo- meo signore di Toscanella, chiamato Giannetto, vo- lendo stringersi ad un popolo che tanta, per tutta Italia, godcva stima e reputazione, sen venne a Pisa. Espose ai consoli com’ egli amava confederarsi colla Repubblica pisana, offerendosi e giurando di servirle fedelmente. Non pote non esser accolta la domanda. L’ Arcivescovo ne riceve il giuramento: i canonici gli resero i debiti onori. Quindi ricevuto il pisano stendardo, se ne torno questo principe al suo stato pieno della piu viva allegrezza. I consoli di quest’ anno donarono all’ Opera del Duomo di Pisa i beni che la citta possedeva in Co- stantinopoli, vale a dire una intiera strada con una chiesa concessa da quell’ imperatore. Alla donazione apposero la condizione che ne arcivescovo, ne ca- nonici, ne magistrati alcuni potessero di quei beni far vendita, onde restassero sempre alia Primaziale (1). Dopo questo fatto i consoli mandarono uno de’loro colleghi con tre galere in Sardegna, a prcnder Co- st anti no giudice di Gallura. Condotto egli in Pisa unitamente alia sua moglie e ad una sua figlia, ed onorato d’ogni piu bella accoglienza, vi passo varii giorni nella massima gioja: poi rimonto una nave per andare a visitare con la sua moglie il Santo (i) L’ autenlico di qucsta donazione trovavasi presso M. Porzio Grifid nobile pisano. 277 Sepolcro, ma la sua figlia lascio raccomandata ai pisani (1). Anni 1161-62 — I milanesi fecero invano Festre- mo di sua possa per respingere Federigo e F armi delle citta italiane che lo aiutavano. DalF aprile del 1161 alF aprile del 1162 guasti, orrori, crudelta, ed infine la citta misera totalmente distrutta. Federigo istesso partecipo la nuova della sua piena vittoria ottenuta in virtu di quel Dio per cui regnano i regi e divengono potenti, ai consoli ed all 1 uni verso po- polo pisano (2). Non so quali sentimenti desto una tal lettera nei generosi prodi delFArno. Ben dovea ribollire di santa ira ciascuno, udendo attribuito al Dio di carita il piu crudele spettacolo che si vedesse mai: un popolo cacciato co’suoi piccoli figli, co’suoi infermi e moribondi dalle sue case: rapiti i di lui tesori, i suoi arredi e le venerate reliquie; poi rasa dalle fondamenta una delle piu nobili citta. Fuma- vano ancora le ceneri di Milano, e Federigo in Pa- via meditava assoggettare le due Sicilie. Bisognoso percio di potente marina, penso di far entrare nelle sue vedute i pisani. Allettati essi da mille magnifiche promesse, rima- sero al laccio. Inviarono alF Imperatore il console Lamberto con alcuni legati, e fu conclusa la gran lega; della quale ccco F atto autentico (3). Cl) Marangone, Cronache ms. (2) Maniyssa Diplomat, collecta a nobil equit. Navarreth. (3) Fa estratto dall’archivio della Comunita di Pisa P anno 1394, in tempo di Giovan Gabrielli arcivescovo di Pisa, da ser Giovanni Palmieri da Caseina sindaco e procuralore del comune, per mano di ser Jacopo di Nocco, parimente da Caseina, cancelliere, e fu riposto neH’archivio archiepisco pale, sottoscrilto dai Ire cancellieri dell’ arcivescovato ser Antonio di Gar done da Calci, ser Tommaso di Tommaso da Campiglia e ser Carlo d’ Ar rigo Vecchiani. — Di questo documenlo ne fa parola anche il Giovio ne’suo Elogi. Chi poi volesse leggerlo in ilaliano, veda Fanucci Storia degli antichi popoli cc. Cap. I, pag. 16—21, ediz. di Pisa 1818, lomo II. 7!yf^h5y%Ay IN NOMINE SANCTAE ET INDIVIDUAE TRINITATIS. Fridericus divina favente dementia Romanorum Imperator Augustus Decet imperialem excellentiam votis omnium ac petitionibus jidelium suorum clementer annuere, illorum praecipue quorum fides, et devotio circa sublimationem imperii et nostram ita liquido resplen- duit, quod ipsorum praeclara et honesta servicia pro sui magnitudine et multitudine aliis imitanda proponuntur. Congruum etiam et ra- tiondbile videtur, nos eorum fidelibus obsequiis ex nostra imperiali largicione et ex benejiciorum gratuita collatione ita gratantes re- sponder e, quod hujus nostrae pietatis exemplo minus jidelium animos ad serviendum jideliter imperio alacrius provocemus. Quanto enim potiora bene merentes de nobis benejicia recipiunt, tanto majorem co- ronae nostrae gloriam accrescere credimus et provenire. Unde quia universi cives Pisani nostri jidelissimi et imperio semper devotis - simi, pro suis magnijicis et multiplicibus serviciis quae ad probationem, et commendationem jidei suae nobis et imperio frequentius exhibue- runt, ampliorem dilectionis et gratiae favor em apud nostram Maje- statem sibi thesaurizaverunt ; omnium jidelium tarn futurorum quam praesentium viderit aetas et congnoscat quanta benignitate, quam largijlua imperiali munijicentia Pisanorum merita merito respeximus , praesertim cum per suam industriam et virium potentiam honorem et gloriam imperii atque statum reipublicae ipsi prae ceteris gloriose sem- per adauxerint et semper augere proposuerint. Quanta enim fidelitate et probitate pisana civitas a prima sui fundatione caput suum in- ter alias civitates extulerit , quanta etiam constantia divis Anteces - soribus nostris regibus Romanorum et imperatoribus fidelissime ser- viendo perseveranter adhaeserit, nos per multa scripta et relationes sepius audivimus , et insuper ex ipsorum operum attestatione id ipsum luce clarius constat. Placet igitur nostrae clementiae, ut pisanus populus pro sua fide , ac devotione honestissimum de nobis semper ac- cipiat emolumentum, ut eo ferventiores ad promovendum honorem im- perii semper existant, quojidem et strennuitatem patrum suorum ho- nestis moribus, et perspicuis virtutum operibus emulantur. Inde est, quod nos siquidem Fridericus Dei gratia Romanorum imperator Augustus , damns , et concedimus in feodum vobis Lamberto consuli pisano, et Vil- lano, Heinrico, et Bozio , et Sigerio , et Opizoni legatis cum eo recipienti- P bus pro civitate vestra, totum quod praefata civitas vel quaelibet per- sona habet et tenet de rebus regni, et totum quod regno et imperio V JpGrtinet, sive de Marchia, vel alio modo } quoquo iure vel consuetudine, 5 ) ®av 279 vel pertinuit retro a XXX annis vel pertinebit in civitate pisana et ejus districtu per terras et insulas. Et concedhnus et damns in feo- dum vobis Comitatum vestro districtui sicut tenet turris Benni ad Arnum et ad Cannetum et inde ad Barbiallam, et sicut trahit ab Ebula ad Montem Tiniosum et ad Burrianum et Quercetum et ad castrum Corniae, inde ad Scerlinum, et sicut trahit marina ad Portum Erculis : ab alia parte fluminis Ami, sicut trahit Planesule, et com - prehendit curia Cintoriae, et sicut trahunt confinia inter vos et Incen- ses usque ad pontem Mogioniae, et inde sicut sunt confinia districtus pisanae civitatis. Et ut pisani, et ii qui de eorum districtu sunt, et eorum res, sint liberi etiam sub consulatu et judicibus et potestatibus de seipsis liber e, sicut eis placuerit. Et pisana civitas habeat plenamju- risdicionem, et potestatem faciendi justiciam et etiam vindictam, et dan- di tutores et mundualdos, et alia que judex ordinarius vel quilibet potestate praeditus ab Imperatore habere debet ex sua jurisdicione in suo districtu, et in suos quos concessimus ei et concedemus. Et Pisani , et qui de eorum districtu sunt, a nulla persona debeant foderari neque hospitari, et Pisani potestatem habeant ducendi eos in expedicionem et ad omnem districtum suum, et quicumque negociatorum voluerit transire ad eos causa negociandi, sive per terram sive per aquam, secure vadat et a nullo aliquo ingenio impediatur, nisi sint in banno domini Impera- toris. Negociatores autem pisani per Siciliam et Calabriam et Apuliam, et Principata et per totum imperium nostrum liber e sint, et vadant per terram et aquam absque omni pedagio et drittura, nec cogantur emere vel vendere, ultra suum velle, nec alius quilibet aliquo ingenio prohibeatur a Pisanis emere. Et concedimus, et damns vobis in feo- dum litus maris, et tantum juxta hoc quod libere Pisani in eo facere naves et galeas, et exercere suas mercationes possint, et quod in eo nobis pertinet a Civitavecla usque ad Portum Veneris, et quod nullus possit in eo, vel faucibus aquarum infra terminum contentis facere portum, vel applicare cum mercibus contra voluntatem pisanorum. Praeterea damns et concedimus vobis similiter in feodum medie- tatem Panormi et Messanae et Salerniae et Neapolis cum medie- tate eorum districtus, et cum medietate agrorum et portuum vel aliorum, quae excoluntur ab ipsis civitatibus, et totam Gaetam et Mazari et Trapoli cum totis agris, et caeteris quae suprascri- pta sunt, et in unaquaque alia civitate, quam Guillelmus detinet, ru- gam unam cum domibus convenientem pisanis mercatoribus. Volumus quoque et statuimus et faciemus jurare Episcopum lunensem qui investituram regalium et Comitatus a nobis receperit, vel quicumque 280 alius pro nobis tenuerit, ut faciat Pisanos securos et res eorum per sacramentum, quod personae et res eorum salva.e sint in omni du strictu suo per se et per omnes suos. Haec supradicta omnia damns in feodum et concedimus Communi Pisanorum, et per praesentis privi- legii paginam confirmamus quam subter aurea Bulla nostra signari jussimus, et de supradictis investivimus Pisanos per ensem, quern manutenebamus. Dantes eis terciam partem Thesauri Guillelmi dicti regis, ut sit eorum. Hoe est sacramentum quod praestabunt principes domini Impe- ratoris Pisanis. IN NOMINE DOMINI. Amen. Principes, qui ibunt vel erunt in expedicione supra regem Guillelmum vel ejus successorem, vel aliquem qui terrain eius tenuerit, iurabunt, quod vivam guerram facient sine malo ingenio et dolo, et Pisanos et eorum res per bonam fidem sal- vabunt, et eos non derelinquent, nisi justo Dei impedimento reman- serit, sine fraude et malo ingenio, et quod nec Imperator nec ipsi facient pacem vel finem vel treugam vel guerram recredutam sine para- bola omnium consulum Pisanorum vel eorum majoris partis, qui in expedicione erunt data, sine vi cum rege Guillelmo vel ejus successore vel cum alio, qui illam terrain tenuerit, et sine fraude, donee in ex- pedicione erunt. Praeceptum, et conventum factum Pisanis a domino Friderico Romanorum Imperatore salvare juvabunt et firmum tene- bunt, nec erunt aliquo tempore in consilio vel facto, ibi vel alibi, ut rumpatur, immo ut salvum fiat, et omnes rectores, quos imperator vel ipsi in partibus illis constituerini, jurabunt, quod totum quod Im- perator Pisanis dat et concedit, ibi, sicut in praecepto continetur, firmum tenebunt, nec tollent vel minuent, per se vel per alios ; et si aliquis voluerit toller e vel minuere, adiuvabunt eos inde per bonam fidem; ita ut omnes rectores, quos Pisani ibi constituerint, jurent adiuvare rectores, quos imperator ibi habuerit similiter. Haec est securitas Pisanorum quam dominus Fridericus Imperator Romanorum praestitit eis per sacramentum fidelium suorum, ex suo mandato factum in praesentia sua. IN NOMINE DOMINI. Amen. Imperator dominus Fridericus, nec per se nec per alium, faciet finem vel pacem vel treugam vel guerram recredutam sine concordia omnium Consulum Pisano- rum, vel eorum majoris partis facta sine vi; et quod Principes, qui ibunt in expedicionem, ante quam ad expedicionem moveant, jurare faciet, ut dictum est, et faciet exercitum, et vivam guerram supra regem Guillelmum vel eius successorem vel contra omnem hominem, 281 qui earn terram tenuerit contra ejus voluntatem; in quo exercitu erit ipse vel magni principes Alamanniae cum exercitu, bona fide et sine fraude. Et erit ille exercitus in Apulia ante kalendas Septembris proxi- me venientis, si nunciaverit Pisanis, ab hodie usque ad, proximum Pascha Pentecosten, eos velle facere hostem ad kalendas Septembris. Et si Pi- sanis ad praedictum terminum Pentecostes nunciatum non fuerit , tunc postea Pisani debent praescire, si fieri debet in sequenti estate usque ad festum Sanctae Mariae medii Augusti ; et si tunc praescive- rint Pisani, movebunt per totum proximum Madium, postea absque fraude vel quocumque aliorum mensium voluerit dominus Imperator usque ad kalendas Septembris, ita quod ex tempore medii Augusti praesignet mensem. Et si • in sequenti estate tunc non fuerit, debent prescire per unum annum tempus motionis, et tunc in capite anni motio fieri debet, dum tamen fiat a kalendis Madii usque ad kalendas Septembris. Et Imperator per se vel, ut dictum est, per suos prin- cipes, cum exercitu intrabit Apuliam, antequam Pisani movere debeant; et si Imperator non venerit in liostem, non exiet de Italia, donee Pi- sani erunt in expedicione, et si opus fuerit eis vel civitati eorum, eis absque fraude succurret vel civitati. Hoc observabit nisi Dei impe- diment remanserit, quo transact, sine fraude recuperabit, vel nisi remanserit concordia utriusque partis. Et quod totum, quod dot et concedit, sicut in praecepto continetur, firmum tenebit, nec toilet vel minuet per se vel per alium id vobis Pisanis ; et si aliquis voluerit hoc facere, vos inde adiuvabit; et si defeodo, quod vobis dat et con- cedit, litem vel molestiam a Welfone, vel ejus filio vel eorum succes- sor vel ab aliqua persona pro eis habueritis, vos et civitatem ve- stram inde adiuvabit per bonam fidem usque ad finem factam. Et si vos stando in servicio Imperatoris vel faciendo guerram pro eo, vel postea ea occasione aliquis homo, vel civitas fecerit vobis guer- ram, inde vos adiuvabit per bonam fidem usque ad pacem factam, nec faciet finem sine vobis. Et si Pisani fecerint guerram praecepto Im- peratoris cum Januensibus vel pro ei ostem , vel palam fuerit eos guer- ram eis pro eo facere , vel palam guerram eis indixerint precept Imperatoris, Imperator non faciet cum eis pacem vel finem vel treu- gam vel guerram recredutam sine concordia omnium consulum Pi- sanorum, vel eorum majoris partis, facta sine vi et absque mala vo- luntate; et super eos faciet ostem ei ibit ad obsidionem, ita si Pisani viderint eum sine fraude, sine gravissimo impediment hoc facere non posse, tunc non teneatur, et eo tempore quo viderint eum sine fraude TOMO I. 36 A sGS 282 facere posse , teneatur. Et non faciet cum eis jinem, quod Januenses castrum Portus Veneris non dent el; et tunc, vel si ante ceperit illud, ipse dabit Pisanis illud castrum disbrigatum cum suo iure, et pertinentia in feodum , et per praeceptum suum confirmabit ; et viij diebus ante quam exercitus Pisanorum esse debeat ad obsidionem, ipse erit ad obsidionem Januae, et postea vivam guerram faciet Ja- nuensibus, et Pisanos et eorum res et eorum ostem salvabit et eos non derelinquet, nisi justo Dei impedimento remanserit, sine fraud z et malo ingenio ; et faciet jurare Marchiones de Montsferrato et de Gavi et de Wuasto et Marchiones de Busco et Opizonem Mala- spinam et Comites de Lavania, quos poterit sine fraude, ut Pisani sint securi in eorum fortia cum suis rebus ;■ et si Januenses fecerint Pisanis guerram aliqua occasione ex supradictis, quod eos inde adiu- vabunt usque ad pacem factam, et vivam guerram facient Januznsi- bus; et si Imperator Januam ceperit, vel sine condicione se reddi- derit ei Portus Veneris, castrum disbrigatum Pisanis in feodum dabit, ut dictum est ; et si contingent earn destrui , homines de Janua qui ibi pro habitantia remanserint, vel in ejus districtu juxta marinam, et alios, qui in castris et villis juxta marinam pro habitantia fuerint usque ad Portum Veneris, Pisanis jurare coget ad ostem et adiu- torium et guerram eorum, et non reddere malum meritum eis etiam si solummodo guerram vel ostem, ex precepto domini Imperatoris, Pisani fecerint. Ilii vero sunt, qui hoc sacr amentum fecerunt : dominus Cunradus, videlicet illustris Palatinus comes Rheni, Odalricus dux, Gebehardus comes de Luggenberg et frater ejus, comes Marquardus, Burckardus de Hasenburc. Hoc est juramentum, quod Lambertus consul Pisanorum fecit, et quod facient omnes consules pisani et Commune civitatis domino Friderico Romanorum Imperatori, scilicet consules quicumque modo sunt, et futuri quicumque de cetero erunt debent facere. IN NOMINE DOMINI. Amen. Ego Lambertus consul juro, quod ab hac hora in anteafidelis ero domino Friderico Romanorum Impe- ratori sicut de jure debeo domino et Imperatori meo, et non ero in facto vel consilio, quod perdat vitam suam vel membrum vel impe- rium vel honorem suum, et iuvabo eum retinere coronam suam et imperium et honorem, tpuo navigio ire potero, et in illis terris, quae sunt juxta marinam et nominatim civitatem pisanam cum Comi- tatu suo et districtu contra omnes homines; et si perdiderit, iuvabo 28 < A. eum recuperare bona fide. Et juro, quod Commune Pisanorum far ciet ostem et expedicionem per mare cum sua fortia, postquam Im- peratoris exercitus intrabit Apuliam, et movebit per illos terminos , ex ercitum Imperatoris, quantocius poterit, sine fraude, et malo in- genio, et iuvabit dominum Imperatorem conquistare Siciliam, et Apu- et in illis terris, quae sunt iuxta marinam; et si acquisita fuerit Si- cilia, vel Apulia, vel Calabria, vel principatus Capuae, iuvabunt Pi- sani eum retinere, et si perdiderit, recuperare bona fide, contra omnes homines , et nominatim contra Guillelmum Siculum et eius succes- sores vel quemcumque, qui aliquam harum terrarum occupabit vel tenebit contra voluntatem domini Imperatoris, et vivam guerram fa- cient, et non facient finem neque pacem neque treugam neque guer- ram recredutam cum eodem Willelmo Siculo vel eius successoribus vel cum aliquo tenente aliquam supradictarum terrarum contra vo- luntatem Imperatoris et absque eius parabola. Et iuro, quod faciam iurare Pisanos propria manu hoc sacramentum fidelitatis et pacti, secundum quod consules consueti sunt facere iurare populum sub con- sulatu, et quod iuvabunt eum retinere, et si perdiderit, recuperare to- tam marinam ab Arelata usque ad montem Sancti Angeli ; et post- quam exercitus Pisanorum se moverit ad ostem et ad expedicionem , non derelinquet exercxtum imperatoris, nisi iustum Dei impedimen- tum inter cesserit. Et iuro, quod quicumque civis pisanus iurabit sub meo consulatu, in Sacramento populi, ipse iurabit, quod ipsam fide- litatem, quam consules imperatori iurant, inde per se observabit; et faciam eum iurare, quod pactum et concordiam quae inter domi- num Fridericum Romanorum imperatorem et Pisanos est, similiter observabit bona fide, absque fraude et malo ingenio. Item iuro, quod si Imperator praeceperit Pisanis, ipsi facient guerram Januensibus, et non facient pacem vel treugam vel guerram recredutam cum eis sine parabola domini Imperatoris; et si Imperator praeceperit, hoc anno Pisani venient in obsidionem Januae cum fortia sua mense iunii, iulii, vel augusti, si fecerit eos praescire usque ad octavam Pentecosten, et non derelinquent exercitum imperatoris, nec movebunt se de obsidione, nec treugam facient, vel pacem cum Januensibus sine parabola imperatoris, vel ante captionem Januae. Et haec su- omnia, ut dicta sunt, observabo toto tempore mei co " ecipiam aliquem in consulatum qui hoc sacrament Haec omnia observabo sine fraude et malo inge\ qui sunt in scripto facto inter Pisanos et Imperatorem, et ibit ad Ham et Calabriam et principatum Capuae, quo suo poterit navigio, 284 iusto Dei impedimenta remanserit, vel concordia utriusque partis . Isti iuraverunt: Lambertus consul , Villanus, Heinricus , Bozius } . Sigerius, et Obizo. Haec est conventio facta inter dominum Fridericum Romanorum imperatorem, et Lambertum consulem pisanum. IN NOMINE DOMINI. Amen. Ego Lambertus consul cum le- gatis pisanis qui mecum sunt, pro civitate nostra paciscor et con- venio cum domino Friderico Romanorum imperatore, quod fideli- tatem, quam ei facio, et sacramentum omnes Pisani • consules, qui modo sunt, iurabunt unusquisque propria manu, et quicumque aliquo tempore futuri sunt, seu aliquis , qui regimen habebit civitatis, et pi- sani debent facere, pisani et eorum consules semper facient, et obser vabunt omnibus successoribus eius regibus et imperatoribus, quando requisitum fuerit ab eis per imperatorem seu regem, aut per se aut per suos certos nuncios, et firmaverint praeceptum factum a domino Friderico Romanorum imperatore, sicut ab ipso factum et firmatum est, quod facere debent. Si autem aliquis futurorum regum seu im- peratorum expetierit a Pisanis ostem, vel eos guerram facere volue- rit, secundum quod de domino Friderico Romanorum imperatore dictum est, faciet eos securos , quemadmodum dominus Fridericus Romanorum imperator fecit. Testium, in quorum praesentia supradicta omnia hinc inde or- dinata et confirmata sunt, iuxta tenorem praesentis paginae, nomina haec sunt: Dominus Reinaldus Coloniensis archiepiscopus et archicancellarius, Eberhardus Babenbergiensis episcopus, Heinricus Leodiensis episcopus, Ortliebus Basiliensis episcopus, Gero Ilalberstadensis episcopus, Erlebaldus Stabulensis abas, Udalricus cancellarius , Heinricus prothonotarius , Stephanus capellanus, Fridericus dux Svevorum filius illustris regis Cunradi, Cunradus Palatinus comes Reni, Marchio Theodericus de Saxonia , Marchio Albertus de Saxonia , Dietboldus dux Boemiae, Comes Teto , 285 Dux Udalricus, Comes Rldolfus de Phullendorf, Comes Ulricus de Lenzeburc, Willelmus mcirchio Montisferrati, Menfredus marchio de Wasto, Hugo Magnus marchio de Wasto , Marchio Oblzo Malaspina, Wldo comes de Blandrato , Marquardus de Grumbach, Comes Udalricus de Ilurnlngen, ■ Comes Gebehardus de Luggenberg, Cunradus burcgravlus de Nurenberc, Marquardus de Luggenberg, Bernhardus de Hurstmere , Degenhardus de Helensteln, Arnoldus de Blberbach , Egelolfus de Ursellngen, Burkardus de Hasenburc, Cunradus de Ballenhusen, Bertolfus trlscamerarlus , Hartlmannus camerarlus et films elus Radegerus camerarlus , Helnrlcus marlscalcus, Lupoldus de Grlndelaha, Ulricus de Salhaha, Slgevoto camerarlus. Loco Signi. Slgnum Domini Frlderlcl Romanorum Imperatorls trlumphatorls Invlctlsslml. © Ego Reynaldus Romani Imperil archlcancellarlus recognovl et subscrlpsl. Ego Odalrlcus cancellarlus vice Relnaldl Coloniensis archle- plscopl et archlcancellarll recognovl. Acta sunt haec An. Dom. Inc. M. C. LXII. Indict, x. Re- gnante Domino Frlderlco Romanorum Imperatore glorloslsslmo , Anno regnl elus x. Imperil vero vll. Datum Paplae post destructlonem Medlolanl vlll Idus Aprllls, fellclter, amen. ( Collazionato coll’ original e esistente nel R. Archivio di Stato in Pisa, Diplomatico, Atti pubblici). 286 Abbiamo creduto bene riunire insieme queste cose passatc tra i Pisani e 1’ imperatore Federigo, sebbene appartengano la maggior parte al 1162, per non tron- care in due il racconto. Torniamo ora ad un fatto die forma la gloria piii bella del 1161. In quest’ anno mori il glorioso confessore san Ranicri. Dalla nobil famiglia degli Scaccieri, della quale vedevasi un sepolcro nel chiostro della chiesa di san Francesco (1), nacque san Ranieri il 1118(2). Ebbe a padre Gradulfo Scaccieri, uomo di molto valore ed estimazione in servir la Repubblica; a madre la nobilissima donna pisana Mingarda Buzzaccarini. — Nell’ eta delle speranze, ai genitori che tutti amore e in mezzo alle delizie il nutrivano, ne fe’concepire le piu liete. Ne furono poi smentite; poiche dando opera agli studi, ne percorse per modo 1’ angusta ed aspra carriera di que’ di, che parve a’ suoi con- cittadini giovane stupendo ; e giunsero perfino a chia- marlo miracolo del mondo, Per altro gli acquistati beni dell’ intelletto nol seppcro guardare dai mali del cuore. Anzi bello della persona e gentile, ricco d’ agi e di nobilta, trovo il mondo tutto lusinghe per lui, e ad ogni licenza si ruppe. Scandalo al suo paese, si avvolgeva nel fango cl’ ogni suo libito; quando il corso Alberto, che tanto in Pisa spargeva odore di santita, se gli mise attorno, a modo di amoroso pa- dre ammonendolo, e in breve dall’ ebrezza de’ piaceri lo scosse. Al lume della ragione ridotto alia buona (1) Molti sepolcri andaron perduti nel nuovo pavimento di mattoni in quel chiostro. Cosi 1’ ignoranza di chi presiede a siffatti lavori ha tolto alia antiquaria moltissime cose che le sarebbero state di non piccolo documento. (2) Molti cronisti pisani pongon la nascila di san Ranieri all’ anno 1128: ilia in questo caso si fisserebbe la di lui conversione all’eta di 9 anni, cosa assurda, Crediamo meglio seguire il sistema dei Bollandisti, i quali fanno re- trocedere la nascita del santo di anni 10. via, e meglio a quel lume chc viene dal cielo, rico- nosciuta Ranieri la sozzura dei suoi giorni trascorsi. si diede a cercare di cancellarla col pianto. Di la- crime il giorno, di lacrime si pasceva la notte, e gli eran dolci; poichc i suoi occhi stavano volti al cielo. Ma non bastava ch’ egli si fosse di se vergo- gnoso e dolente entro le sue parcti, come face na- scosa. Egli era stato esempio di vizii alia societa; doveva esserle esempio di virtu. Si fe’ dunque istan- cabile non in una pieta sterile, ma in una carita ope- rosa. I peccatori ammoniva ed aiutava a penitenza; ai dubbiosi, di consiglio; ai poveri, di vesti e d’ali- mento; agl’infermi, di fratellevoli cure; a tutti co- me potea meglio sovveniva. Passato cosi il giorno, offerivalo al Cielo; e, come la rugiada della notte sulla stanca natura, pioveva sul di lui capo la ru- giada delle divine bencdizioni. Primo trai voti del rinnuovato suo cuore, era quello di poter visitar i santi luoghi che 1’ Uomo del dolore asperse de’ suoi sudor i, delle sue lacrime, del suo sangue ondc redimere F umanita. E ne pre- gava incessante F Eterno nelle cui mani sono i euori degli uomini, che volesse dell’ arcana onnipotente sua voce parlare all 1 animo de’ di lui genitori, sicche as- sentissero ch’ ei si staccasse dal loro seno. Sorrise al priego Iddio, e Ranieri dai cari suoi benedetto, fu ben presto con altri gentiluomini sopra una galera alia volta di Gerusalemme. Parve che l’onde e i venti sentissero di qual uomo venerando la nave an- dasse carca. Tranquillo il mare, propizie F aure, in breve tempo furono a Ioppe. Avea recato Ranieri danaro assai: a distaccarsi dal mondo, distribui tutto ai poverelli. Cede di piu ad una sua sorella quanto gli verrebbe da’ suoi genitori, che seppe alii! ben tosto volati a vita migliore; e cosi sciolto da quar lella vita, si mise a piede in via per Gerusal 288 Non e a dire quali sentimcnti quei sacri luoghi in lui risvegliarono. Segnati tutti dalForme della Redenzione, egli li baciava e si trovava celeste! Fu- manti ancora del sangue da’ suoi concittadini versato per toglierli dalle mani delF infcdele, egli li baciava, e provava le dolcezze della patria e della religione fatte piu soavi, confuse insieme. Sul monte dove il Cristo bevve sino all’ ultima feccia il calice delle amarezze e della morte, vesti Ranieri il ruvido abito di penitenza, nel giorno appunto die al Sol si scoloraro Per la pietd del suo Fattore i rai. Da questo giorno ando quelle memorie visitando, in pianto stemperandosi, e nelle fatiche del di, e nclle veglie della notte macerandosi sempre. Dio sta tutto favore con lui, e gli uomini lo venerano come Famico del Signore. Cosi rnenava egli la sua vita quando giunsero in Gerusalemme alcuni nobili pisani, e tra loro Ranieri Bottacci. Ranieri il santo li vide; e comecche si possa abbandonare il loco nativo, non obliarlo, delle cose di Pisa con sommo amore li addimando. Udi tra le altre cose cssere stato inalzato alia sede pon- tificate Bernardo di Montemagno, col nome di Eu- genio III; e ne gioi tutto, ripromettendo dal favore di lui lieti destini alia patria. Dopo trattenutosi coi suoi compatriotti in dolcissimi colloqui, Ranieri si porto ad orarc nclla chiesa di Nazaret ove il Salva- tore delF universo fu concetto; cd ivi per quaranta giorni c quaranta notti di sua presenza quel popolo consolo. Tre anni passo nel luogo dove nostro Signore avea digiunato; ed ivi per tre quadragcsime non prese cibo che il giovedi e la domenica. Torno in seguito al Santo Sepolcro; quindi mosse al monte i r^T { Tabor ove gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni si bearono nella vista della gloriosa Trasfigurazione. Cento e cento difficolta se gli attraversarono ; raa egli fido in Dio, si cjnse i fianclii di fortezza, e tutto supero. La quaranta giorni e quaranta notti passo in assidue preghiere, e merito die il ciclo gli piovesse ncir animo le incomprensibili consolazioni che nel- F animo degli apostoli avea versate. Ricolmo di que- ste dolcezze si ricondusse a piangere nella chiesa del Santo Sepolcro donde per sette anni continui non si allontano piu, ad inccssanti orazioni attendendovi. Ed essendoche egli sapeva tutti comprendere i do- lori del Crocifisso, e fortemente gli ragionavan nel- F anima quelle voci di lui : Chi mi ama mi segua, cerco d’imitarne i patimenti ad ogni istante morti- ficandosi, e d’erbe e d’acqua nutrendosi. In questo tempo la Repubblica spedi Ranieri Bot- tacci a capo di nobile ambasccria al Soldano di Ba- bilonia. Appena egli ebbc compiuta la sua missionc venne per scioglicre un suo voto a rivedere i santi luoghi. Una mattina, entrando nella chiesa del Santo Sepolcro vide Ranieri inteso alle sue orazioni, che parea F angelo della preghiera. Le oneste e liete ac- coglienze e piu agevole comprendere che descrivere. II Bottacci prese a scongiurare il santo, che volesse una volta ritornare alia patria; ma egli nulla voile promettere : visitassero il Giordano ; intanto egli chie- derebbe dal cielo se dovesse seco loro dipartirsi. Cosi fecero infatti : al ritorno, Ranieri disse loro al- tra essere la volonta di Dio. Al che rassegnandosi il Bottacci ed i compagni, dinanzi a Ranieri si pro- strarono, che li volesse benedire e pregar loro un felice ritorno. E Ranieri si prostese pur egli nella polverc, e: Dio clelle misericordie , esclamo, non tocca al figlio del fango a benedire ai figli del fango. Tu 289 TOMO I. 290 benedici a tutti, o Signore ! Un riso dalF alto baleno sul volto di Ranieri, e fu ai supplichevoli sicuro pe- gno di propizio yiaggio. Erano il Bottacci ed i suoi partiti da Gerosolima di tre di, quando al santo FEterno fece manifesto ch’egli pure partisse. Ed egli si mise in via soletto e silenzioso. Non pote peraltro far si che il popolo nol trapelasse. All’uscir della porta della citta una folia se gli strinse intorno, pregandolo, poiehe aveva stabilito di abbandonarli, non cessasse almeno di rac- comandare alia Diyina Maesta la conservazione del regno gerosolimitano, da tutte le parti minacciato. Il santo invoco su quei piangenti il fayore del cielo, li .esorto alia spcranza, e seguito il suo sentiero. Prese il yiaggio lungo il lido del mare. Giunto a Ioppe trovo che i suoi concittadini stavano per mettere alia yela verso occidente. Chi sa quali emozioni accompagnano Facquisto di un bene sospirato tanto, ma non piii sperato, conoscera con quale allegrezza Ranieri fu accolto. Si monto la nave, e via; tutto era secondo. Si erano dilungati non molte miglia da Ioppe, allorche il marinaro che stava alle vedette, annun- zio che a tutta yoga venivano alia loro volta due grossi navigli. Gran timore colse tutti; perocche in quel mare scorrevano molti corsari. Ma come piu e piu le due navi si avvicinarono, videro sventolare su quelle lo stendardo di Pisa. Il timore cesse il luogo alia piu dolce consolazione. Si salutarono; si avvicinarono, si ricambiarono le mille prove di fra- tellevole affetto, e continuaron ciascuni la loro via. Dopo varii giorni ecco a destra la Sicilia, a si- nistra la Sardegna, ecco la patria qual gioja rivederla, dopo esserne stati lungi ! Le rive natie parvero csultare sotto i pie di Ranieri. Patrizii e plebei, e Farcivcscovo istesso, furono a visitarlo, e 291 a disbramare la lunga sete di rivcderlo. Sciolto egli appena da queste accoglienze, void alia primaziale a render grazie all’ Altissimo. Dai piedi dell’ara di Dio passo al sepolcro della madrc, nella chiesa di sant 1 Andrea in Chinsica; e la pianse lungamente ed oro; che se non aveva potuto chiudere alia diletta gli occhi moribondi, crescesse almeno sulla di lei tomba un fiore nutrito dal pianto del figiio. Molto popolo era concorso a quel tempio col santo; ed egli tolse a dire parole di vita. Addito Favello de’eari suoi, e mostro il nulla delle cose umane; disse come F uomo dee sempre studiarsi tesoreggiare i tesori del cielo; invito tutti a penitenza e narro di se stesso, da che la grazia divina lo tocco per mezzo d 1 Al- berto, fin al suo riedere in patria. I suoi detti fu- rono suir anima di ciascuno come pioggia in riarso campicello. I monaci e F abate di sant 1 Andrea sel volevano tener con seco, e ne lo scongiurarono ; ma Ranieri predilesse il monastero di san Vito. Ivi dimorava mi- racolo alia citta, accettissimo al cielo. A lui accor- revano tutti i bisognosi, e per suo mezzo sovr essi trionfava la grazia di lassu. Sett 1 anni con le sue pa- role, e piu col suo esempio, diffuse il regno della virtu L 1 Evangelio era il pascolo del suo cuore, il pane che agli altri frangeva: l 1 Evangelio, sapienza ed amore, legge dell 1 umanita fatta divina. Da que- ste auguste pagine aveva appresa la carita dei po- verelli: era sempre al loro soccorso. Appreso aveva a sofferire e perdonare; e F offese obliava, lc mole- stie ricambiava d 1 amore. Santo del suo patire e d 1 in- numerevoli virtu, vide appressarsi F ultim 1 ora senza temerla. Clriese il conforto de’ sacramenti; e, piu ormai del cielo che della terra, cliiamo gli astanti attorno al suo letto di morte: Temete in Dio il vo- stro giudice, amate in Dio il padre di tuttij disse. 292 e nella pace cle’giusti mori il 47 giugno 4164. Che si voglion dire i sacri bronzi di san Vito da se stessi suonanti? E come quelli di tutti i templi da se stessi rispondono? Recate gigli e rose: via lo squallor delle funeree gramaglie: e morto.il Santo. Un torrente di popolo accorse d’ ogni parte. Alla chiesa primaziale furono trasportate le preziose spo- glie, e composte in marmoreo sepolcro. Dio quel se- polcro cangio presto in altare. Ranieri fu ascritto al numero de’beati. Pisa riposa sotto le ale del di lui patrocinio, — invidiata cui fece Iddio preziosissimo dono d’un iiglio, che tanto cura di lei nella corte del cielo! Anno 1162. — Per isfuggire alia prepotenza di Fe- derigo, papa Alessandro III mosse alia volta di Fran- cia. Giunto a Livorno, i pisani n’ cbbero sollecito avviso ; e 1’ arcivescovo e molti nobili cittadini an- darono a fargli riverenza. Del che ricordevole il buon pontefice, prima d’arrivare a Genova, in un luogo, di cui gli annali non hanno serbato il nome, consacro vescovo di Luni il pisano Pipino Arringhi padre del console Gismondo. Unitamente al quale Gismondo erano consoli in quest’ anno Lamberto Lan- franchi, Buonaccorso di san Casciano, Arrigo del Ca- ne, Ildebrando Yannucci, Bonetto Yernacci, Pietro e Lorenzo d’Albitone, Formelio e Lamberto da Vico. Il cardinale Arrigo Moricotti, legato della Santa Sede in Francia, ebbe F onore di battezzare una fi- glia di quel re Lodovico Settimo, natagli F anno pre- sente. Ad onta della pace tra loro, i Genovesi e i Pisani la ruppero in Costantinopoli. Insorsero alcune ver- tenze per ragione di commercio, che ambedue i po- poli vi facevano alia gagliarda. Invece di terminarle amichevolmente, venncro all’ armi. Raccoltisi insieme mille pisani assalirono i genovesi, i quali sostennero A SJS& 293 T impeto ncmico per tutto il giorno. L’indomani tor- narono alle prese; cd alcuni veneziani e greci ai pi- sani si unirono. Laonde i gcnovesi ebbero la peggio; dovettcro cederc e ritirarsi in salvo, lasciando lc loro merci in abbandono. I pin savi trai pisani vo- levano rispettare il fondaco de’ nemici; ma prevalendo al senno de’ pochi il furore de’ pin, fu dato il sacco, fino ad asportarne il valore di trentamila perperi (1). Danno anche maggiore pei genovesi, rimase prima prigionc, poi nel tumulto ucciso un nobilc givanetto figlio di Ottone Raffa. Battuti, dcpredati, quci povcri mercanti s’ imbar- carono c se ne tornarono a Genova, ove le prime parole furono, tra le laerime e F ira, la istoria della rotta pace, delle ingiurie e de’ danni patiti. Un grido di vendetta risuono per ogni contrada di Genova, e un dar di piglio all’ armi, un apprestare cd armare dodici galere e un chieder unanime di levar 1’ an- cora contro Pisa. I consoli frenarono quell’ impeto, riflcttendo die per esscre stata conculcata la giustizia da altrui, non si acquista da noi il diritto di concul- carla: e mandarono ambasciatori a ridomandare la fatta preda, c riparazione agli oltraggi. I pisani non fecero conto dell’ ambasceria : fu dunque intimata la guerra. E le dodici galere, che gia erano in pronto, corsero a Porto Pisano; affondaron tre navi; prc- sero una torre e la diroccarono; e tornarono a Porto Vencrc ad attendervi che farebbero i pisani, e starvi preparati ad ogni occorrenza. Yi ancorarono assai tempo senza che Pisa si muovesse; poiche soprag- giunta alFimprovviso, nulla aveva in ordine. Per lo che inorgoglita F armata genovese, ando contro Ca- praja; molti luoghi abbrucio; e tutto il territorio (l) Caffari Annal. Genuenses lib I. tom, VI. Rerum Italic. II perpero e una specie di moneta degPimperatori greci. 294 scorrendo, vi fece danni infiniti. Quindi sui lidi della Corsica e della Sardegna volando, vi predo uomini e cose. In quei mari prese anche certe navi, e tra l’altre una galera su cui andavano il console Buo- naccorso Sancasciani e molti nobili cittadini. Gioi di una gioja feroce Ottone Ruffa orbato, come dicemmo, di un figlio nel tumulto di Costantinopoli, e, a guisa d’ orsa, trai pisani prigionieri gittandosi, voile espiare il sanguc d’ uno col sangue di molti. . . Ahime! inse- gno il Cristo dal monte la legge del perdono; ma pochi de’suoi seguaci Fappresero! Il console Buonaccorso fu tratto a Genova in catene ; ma non vi geme lungamente, per mediazione del gran cancelliere dell’ imperatore di Germania, il quale non solamente valse ad ottenere la liberazione del console, ma anche a riunire i due popoli, sicche desistettero per alcuni giorni dalle ostilita. Peraltro nell’ animo dei pisani bolliva la vendetta. A guisa del vulcano mostrarono tranquillita intanto- che si disponevano alia tempesta; e quando fu in pronto, 1’ ira scoppio. Con dieci galere ed altrettante saettie desertarono Capo Corso; presero Pianosa e due navigli carichi di mercanzie, e di molti geno- vesi fecero strage. Un altra nave parimente ricca di merci sorpresero vicino all’ Elba, e colie tre navi e con cinquanta prigioni ripatriarono. Pareva doves- sero restarsi paghi: ma invece, sapendo che buona parte della flotta di Genova era a Porto Venere, allestirono trentasei galere e molti legni minori, e sciolsero per isterminarla. I genovesi presentendo il turbine che stava per investirli, mandarono all’ im- peratore Federigo, pregandolo che volesse ricomporre o pace o tregua fra le due repubbliche. Del che avuta contezza i pisani spedirono pur essi degli ambascia- tori, Arrigo Cane, Pietro Albizzone, Ugone Gismondi, e Marzucco e Ranieri Gaetani fratelli. L’ imperatore 295 ricerco di loro ragioni Tuna e l’altra parte; vi ebbc lungo contrasto, ne la cosa parve chiara abbastanza a Federigo. Siache dunque volesse egli appurare rne- glio le cose, siache meditasse altri disegni, ingiunse tregua a’ due popoli fino al suo ritorno dalla Ger- mania, ove lo respingeva la mancanza dei viveri. Fe’ giurare duccento cittadini dell’ uno e dell’ altro lato; promise ch’egli a suo tempo risolverebbe la lite; ritenne Arrigo Cane e Ranieri Gaetani; gli altri ambasciatori, e di Genova e di Pisa, rimando. Ed eccoci a dover registrare uno dei grandi mali di Pisa, derivable per la speranza di grandi beni. Presi dalle lusinghe di Federigo, a lui si attac- carono. Si diffuse la nuova di questa lega, e Flrnpe- ratore greco e Guglielmo di Sicilia scacciarono i pisani dal suo stato, spogliandoli dei banchi, delle mercanzie, dei fondi. Unico riparo a tanta rovina era rinunziare all’ alleanza del tedesco ; ma i pisani nol vollero, intimoriti piu della forza vicina che della lontana. In questa guisa provarono una scossa fieris- sima nel loro commercio, esclusi dalle Sicilie, dalla Grecia e da Costantinopoli (1). E qual n’ebbero com- penso dal tiranno settentrionale ? Anno 1163. — Assopiti appena gli sdegni fra i pisani e i genovesi, si svegliaron feroci tra i pisani e i lucchesi. I lucchesi avevano occupata la rocca di Castiglione di Yal di Serchio; lo perche i consoli di Pisa mandarono contr’essi il loro collega Aldo- brando Familiati con buon esercito. Si scontrarono; appiccarono la battaglia, ed i lucchesi, forti di nu- mero e di valore, si avevano la meglio ; se non che (1) Fanucci, Storia deitre celebri popoli marittimi ec. lib. //. cap. I. Il Muratori ( Annali d' Italia) racconta questi fatli all’anrio seguente, regislrando che Guglielmo di Sicilia non si contenlo di occupare le mercanzie de’ pisani, ma fece anch’ essi prendere, quanti ve ne avevano nel suo regno. 296 certi tecleschi che i pisani avevano a soldo, diedero dentro con tanC impeto, che quei di Lucca dovettero levarsi dal castello e pigliare la fuga verso la loro citta. I pisani gf inseguirono lunga pezza; molti ne uccisero, molti ne trassero prigionieri, ed ebbero riacquistata la rocca. Chi sa quanto coraggio viene dai prosperi suc- cessi, non trovera strano che i pisani adoprassero quindi pin che mai a’ danni de’ loro avversari. Pre- sero, saccheggiarono, disfecero dalle fondamenta il castello di sant’ Agata; depredarono la villa di Chiesa e di Maciuccoli, e cosi di guasto in guasto arriva- rono al ponte di san Pietro. La i lucchesi si erano fatti forti: in quello scoglio ruppe F ardire de’ pisani; ed erano sul punto di ripiegare, quando il console Familiati: E fia vero , disse, e fia vero, o compagni , che possidte fuggire? Ma badate almeno chi vi sgo- menta! Vinceranno i lucchesi che voi le mille volte vinceste? Volgete loro la faccia , e bastera per che gli abbiate in pochi istanti tutti prigioni. Onnipotenza della parola! le schiere che pur ora mal si regge- vano, spogliato ogni timore, si rianimano, riprendono la battaglia, F esercito nemico sbaragliano e lo ricac- ciano fino alle porte di Lucca. Ivi alzarono il campo non per battere la citta, ma per mostrare il loro nulla ai lucchesi. Infatti vi rimasero ben otto di — parte stavano, e parte conti- nuamente scorrevano il territorio saccheggiando. — A maggior onta di Lucca fecero batter moneta con insegna di Croce pisana da un lato, F Aquila impe- riale dalF altro, in onore delF impero a cui eran fe- deli. Al che aggiunsero una gara di cavalli e il cin- golo militare a molti soldati. Contuttocio i lucchesi non si fecero vivi : allora i pisani si misero in cam- mino pel ritorno, lanciando, per addio, contro la citta molte frecce, e con molti giuochi schernendola. Lungo il viaggio clisfecero il ponte cli san Pietro ed il borgo, e molte altrc castella diroccarono. E ben agevole immaginarc che i lucchesi avrcb- bero voluto rendere ai pisani datteri per fichi. An- davan percio ricercando di unirsi seco loro molte delle toscane citta, non risparmiando grandiose of- ferte. La loro voce non ebbe un’ eco. Nullostante con le genti che si avcvano di Lombardia, essi vol- lero tcntare un colpo. Guidati dal loro capitan ge- neralc Marcaccio, s’avviarono a santa Maria del Giu- dice, e di la, per il monte d’onde si scende ad Agnano. I pisani si accorsero ben presto del tentativo, ed ai lucchesi fu preclusa la strada; sicclie dovettero ri- tirarsi con la vergogna di un 1 inutile impresa, aggiunta al furore di sospirata vendetta. Assicurati i pisani volsero il pensiero a cingere di mura il castello di Yada, c lo cinsero. Nel loro porto misero compimento alia torre, e sull’ alto leva- rono una croce in onore del vescovo san Niccolo. I due consoli Ranieri Gactani c Lamberto Lan- franchi, che di sopra accennammo ritcnuti seco dal- Fimperatore Federigo, andarono in quest’ anno ac- compagnando per Fimperio il gran cancelliere Rinaldo arcivescovo di Colonia, c ricevendo il giuramento di fedelta all’ imperatore. Per scrvire al quale si die principio in Pisa a costruire quaranta galere, che sarebbero volte con- tro la Sicilia: in poclii mesi furon in punto. Nel me- desimo tempo il conte Aldobrandino novello giuro fede al popolo pisano, promettendo: che per mare e per terra gli sarebbe in aiuto ; i suoi sudditi d’ eta maggiorc di quindici anni , ugual giuramento preste- rebbero; in tutte lc citta, castella, c in tutto il di- stretto suo osserverebbero le leggi, i capitoli, i bandi TOMO I. 38 298 fatti per i consoli della pisana Rcpubblica; e niun pisano sarebbc astretto a pagare balzello cli qual- siasi maniera. Accettarono queste promesse i consoli Pietro Albizzoni, Ranicri Gaetani e Guidone Fagiani: gli altri consoli in quest’ anno erano Contevccchia, Boccio, Yillano Ricucchi, Marzucco Guinizelli, Ri- dolfo Alfieri, Goffredo da san Felice, Guittone Otta- viani, Lamberto e Guido Balbi. Anno 1164. — La Sardegna era divisa in quat- tro parti, che si chiamavano giudicati. I governatori si nomavano giudici o regoli, i quali pigliando il nome dei capiluoghi Gallura, Arborea, Turn c Ca- glieri, s’ intitolavano giudice o regolo galluritano, arborese, turritano, e caluritano. Tutti questi go- vernatori erano sotto F alto dominio di Pisa: cio non impediva per altro gare tra loro; sendoche la pisana Repubblica seguiva F utile massima di far 1 i- spettare ai popoli la propria signoria; ma non oppri- merli, anzi lasciarli reggere a modo loro. All’ cpoca di cui parliamo Barisone, giuclicc di Ar- borea, avanzava tutti gli altri in ricchezze c in pos- sanza. E comccche da questa faculta s’ ingeneri per lo piu superbia e ambizionc, F arborese teneva a vile gli altri giudici, ed anibiva a cangiare il suo seggio di regolo in soglio di re. I Pisani, invecc di romperla apertamente con lui, favorivano ed aiutavano i di lui emuli, i giudici di Turri e di Gallura. Vedendo Barisone che non avrebbe potuto raggiungere F or- gogliosa sua meta, e fors’ anco mal durarc nella lotta, ebbe ricorso ai Genovcsi. Esultarono quest’ invidiosi, che si videro schiuderc un adito a recare una ferita alia pisana possanza. Ecco il momento, ragionava loro nelF animo la gelosia di stato, ecco il momento di conseguire per coperti sentieri cio che apertamente non abbiamo potato . V isola di Sardegna e per noi; 299 poiche Barisone, da noi sostenuto, sard sempre agli ordini nostri. Si offersero dunque pronti al regolo suppliche- vole, e lo esortarono a domandare a Federigo la investitura del regno dell’ isola di Sardegna. Barisone non esito un istante a spedire in Ger- mania il vescovo di santa Giusta; e Genova con suoi ambasciatori lo accompagno. Espose il vescovo al- 1’ imperatore il desidcrio di chi lo inviava, promet- tendo che Barisone terrebbe il regno siccome un feudo dell’impero; ogni anno grossa somma di da- naro, ed ora sborserebbe quattromila marche d’ar- gento. Federigo, avvezzo a vendere come a comprar tutto, assenti alia domanda: ed all’ assenso tenne die- tro il fatto. I Genovesi con un’ armata c con quat- tro ambasciatori imperial^ corscro all’ isola; tolscro Barisone, e sano e salvo lo menarono a Genova. Di la lo condussero a Pavia ove 1’ imperatore 1’ atten- deva. Si preparo magnificamente la chicsa di sail Siro. Disposte tutte le cose, il primo agosto, o sc- condo alcuni il 3, Federigo corono Barisone re di Sardegna. Eran present! gli ambasciatori pisani, ne potettero contenersi : ma, coll’ accento della piu giu- sta indignazione, E questo dunque il premia , dissero a Federigo, che voi date a coloro i quali si volen- terosi si strinsero al vostro trono? tante per voi fe- cer battaglie, tanti sfidarono nemici , tante consuma- rono imprese con fortezza dispendio e fedelta? Spo- gliarli della Sardegna che il lor sangue compro, il cui possesso tanti anni sanzionarono , tanti confer - maron pontefici ed imperatori? E donarla ad uomo oscuro , loro suddito, a somma loro ingiuria e ver- gogna ? <1 Federigo rammentando quel tutto e dell 9 imp era- ? k tore , pronunziato in B.oncaglia, risposc la Sardegna 4 ^ esser sua, ed egli potcrla concedcre a cui piu gli 300 talentasse. Lc quali parole non potendo soffrire gli ainbasciatori pisani, se ne tornarono a Pisa (1). Ma il bello fu che Federigo quando si credeva di stcnder F unghie al denaro pattuito, trovo che il nuovo re non era ricco che di promesse. Pien d’ ira, perchc illuso eel illusosi, stava per trarre in Germania prigione quel coronato da scena: se non che i Genovesi fecero prima securta per esso; quindi sborsarono veramcnte il denaro dopo alquanti giorni. Peraltro Barisone non cangio sorte; dalle catene dell’ impero passo a quelle di Genova, per la stessa cagionc : F estremo della miseria. Frattanto i Pisani non perderono questo tempo; ma unitisi agli altri tre regoli sardi irruppero nel giudicato d’ Arborea, e quasi intieramente F ebber distrutto : ne Barisone vi mise piede mai a regnarlo. Barisone, piccolo ma vero testimonio, che la corona sul capo del vano stolto e ludibrio degli uomini e della sorte. Del resto ad onta delle ardite parole dette a Bar- barossa, le cose non si ruppero tra Pisa e F Impero : sia che Federigo trovasse poi giusto il rimprovero; sia che non gli tornasse tarsi avversa una repubblica, primo suo braccio nelle imprese marittime ch’ei me- ditava. Anzi il 30 novembre giunse in Pisa Cristiano cancelliere dell’ impero, menando seco F antipapa. Al quale antipapa non volendo in modo alcuno prestar onore Villano, Farcivescovo della citta, se ne fuggi all’ isola di Gorgona, ove si stette flnche F antipapa (t) II sig, Emanuele Repel ti nel suo Compendio storico di Pisa (arti - colo eslratto dal suo Dizionario geografico fisico-slorico della Toscana) osserva che queste parole o non furon delte dagli ambasciatori a Federigo, o furon diverse da quelle che i pisani annalisli trascrissero, Polrebbe osservarsi cheun animo pieno d’ indignazione si sfoga, e non pensa appresso chi,- e dell’es* sere andato impunito I’audace linguaggio dell’ ambasceria pisana evvi ragione nel bisogno che de’ pisani avea Federigo, il quale lutlo freddamentc calcolava. 301 rimase in Pisa: il clero, seguenclo Forme del suo pastore, qua e la si disperse, quasi da peste riparando. In questo tempo sorse un tumulto tra alcune terre della maremma ed altre di Yal cF Era. Peccioli e borghi si danneggiarono colla ferocia di grandi na- zioni. I pisani vollero reprimerlL Spedirono percio due consoli, Ranieri Gaetani e Lamberto Grossi, con un esercito. Peccioli (1) era il castello principale di Val d’Era, e quello che avcva piu molestati i cir- convicini: la dunque si diressero primamente i pi- sani. Il castello, quantunque molto forte e ben mu- nito, stretto gagliardamentc ed assediato, dovette ren- dersi a discrezione e pati il sacco; ma i capi s’ erano ritirati nella rocca, che, muragliata a guisa di for- tezza, dominava tutto all’ intorno. Con castelli di 1c- gnami ed arieti F esercito pisano diede Fassalto: fu forza a quei di dentro rendersi. Fatti prigioni furono inviati a Pisa; la rocca dalle fondamenta ruinata. Il medesimo giuoco fecero F armi pisane a Ca- sanuova (2), a Lari (3) ed altri luoghi sin presso Volterra. Sparsero poco sangue; di molti borghi trionfarono; alle terre vinte si fccero rifare dcllc (1) Grossa terra delle colline pisane, sollo la giurisdizione ecclesiastica del vescovo di Volterra, Sulla cima del colie esistono tultora gli avanzi di una gran lorre quadra la quale, a detto del Targioni, comunicava con un’al- tra a levanle per mezzo di un ponte. Nel 1115 la famiglia di Caligliano, pa- drona del castello, lo cedeva al vescovo volterrano, Nel 1128 si chiamava Pecciore , siccome appare da un istrumenlo riportato dal Muratori, Ribellatisi al loro signore i Pecciolesi scelsero a loro capo Giovanni Borgherucci, che e quell’ islesso che cadde in quest’ anno in mano de’ pisani, Nel seguito dovremo di Peccioli accennare varie volte. Pertanto si noli che quella chiesa trovasi proposilura dal 1163. (2) Antico fortilizio pisano nominalo fino dall' anno 1128, come altesta il Muratori. (3) Notabile terra nella Val di Fine. Prende il nome da un antichis- simo castello, gia posto presso l’antica via Emilia. Signoreggia buona eslen- sione sulla frontiera delle colline pisane. La prima menzione, che se ne fa, e del 1067. Lari segui sempre fedele le sorti della Repubblica pisana. ~*$< Signi. Signum Domini Frederici Romanorum Imperatoris invictissimi. Ego Cristianus cancellarius vice domini Reinaldi Coloniensis electi et Ytalie archicancellarii recognovi. Acta sunt hec anno Dominice Incarnactionis M. C. LXV. In- dictione xiii, regnante Domino Frederico Romanorum Imperatore vi- ctor iosissimo, Anno regni ejus xiii, Imperii vero x, amen feliciter. Datum in Regali Curte Frankenevorth xv kalendas Maii (1). Abbenche i Pisani avesscro cosi riacquistate lc loro ragioni, non potcvano darsi pace del colpo che i Genovesi avevan tentato: c i Genovesi dal canto loro bollivano dell’ ira che nasce dal veder fallita un’ impresa che teneasi sicura. Un popolo e 1’ altro si trovo la mano sull’elsa del brando. La tregua non finita proibiva tirarlo dalla guaina: la rabbia pre- valse, e si fu all’ armi. I pisani primi s’ impadronirono di una nave di Genova che vcniva carica di mer- canzie. I genovesi ne mossero lamento presso 1’ im- peratore. Questi spedi Corrado suo cappellano, uomo di prudenza e destrezza singolare a quei di, che una parte e 1’ altra ascoltasse e saviamente componesse le cose. II quale rccatosi in Porto Venerc, si fecc venire dinanzi il console di Pisa e quello di Genova. Si disse molto da entrambi. I genovesi rivolevano la nave e le tolte robe; i pisani, allcgando varie loro ragioni, niegarono restituirle. Ad onta che l’inviato (1) Collazionalo con una copia del sec. XIV esislente nel R, Archivio di Stalo in Pisa, Diplomatico, Atti pubblici. TOMO I. 39 vv?/" 30G imperials con ogni industria adoprasse, trovo tronca ogni via di concordia. I consoli si minacciarono scambievolmente ; alle minacce l’armi; alFarmi gli oltraggi tennero dietro e i danni. Una battaglia cru- dele tra alcune galere delle due repubbliche contras- segno il principio delle rinate ostilita: il console ge- novese ferito, la nave del console pisano presa e con- dotta col console a Genova. Allora la pisana Repub- blica fe’ alia rivale nuova disflda. Una nave di Pisa, ricca di merci, cadde in mano de’ genovesi: poco dopo tre pisani vascelli, di merci pur carichi, ebbero ugual sorts. A’torti antichi aggiunte le perdite nuove, i Pi- sani approntarono otto galere e Y ebbero mandate in Provenza, ondc attraversare cola il ligure com- mercio, e chiudere per quel lato a Genova la via a provvedere vettovaglie. Genova, che non dormiva punto, vi spedi un’ armata di quindici navi, dalle quali la piccola flotta pisana fu ricacciata per la fiu- mana del Rodano. Pervenutane notizia in Pisa, parve ai consoli do- ver tentare un diversivo. Lo perche allestite tren- tuna galera, sotto il comando di Gherardo Gusmari come ammiraglio, e di Ugone Pagani come gene- rale in terra, furon prima sopra Capo-corso e F eb- bero arso: poi sulla nemica riviera gettandosi, al- r improvviso, il 21 agosto furono addosso alia citta d’Albenga; la batterono, la presero, la diedero al sacco e alle fiamme. La nuova di questi fatti trafisse nel piu vivo la genovese Repubblica; tanto piu che lo strale feriva inaspettato; mentre avevano dato comandamento a quei d’Albenga, che vegliassero con buona guardia. Dispersi al vento gli ordini loro, pensarono a re- spingere la ingiuria: armarono trentacinque galere e cercarono ansiosamcnte i pisani, i quali con tutte le loro navi eran passati alia fiera di sant’ Egidio in Provenza. Era noto al mondo che Raimondo signore di quel paese ed i suoi popoli si scambiavano coi pisani sommo favore; per la qual cosa i genovesi non osa- vano assalire F armata pisana, se prima non si face- vano suo il conte. A riuscire in questo disegno inviarongli adunque ambasciatori, che qualora non volesse starsi dal lato dei pisani, gli promisero Genova fedcle e vcra ami- cizia, e gli miscro innanzi magnifiche offerte. Preso all 1 esca dell’ argento Raimondo si pose dal canto di Genova, sfamandosi su mille trecento mar- che pagategli ; ed i genovesi si tennero tranquilli. Poveri ciechi, che crcdcttero amorc e fede in un cuore venale! Appena mosso attorno rumore della cosa, F abate di sant’ Egidio fu al fianco di Raimondo; c primicramente gli fcce sentire che in nulla era legato ai genovesi per un giuramento pronunziato contro chi in niente offeso F aveva. Al laccio del- F eloquenza aggiunse il laccio, ancor piu possente, dell’ oro (1), e il conte torno tutto de’ pisani. I ge- novesi, o che ben non fossero degli avvenimenti consapevoli ; o gli avessero in non cale ; o lo sdegno al scnno prevalesse; non potendo frenarsi, attacca- rono una battaglia oltre ogni pensare crudele. A stento la notte divise i combattenti. I Genovesi, che secondo gli anti chi annali pisani n’ ebbero la peggio, affogandone parecchi nel Ro- dano, e gran bagaglio e particolarmente non pochi arnesi militari perdendo, si ridussero ad Arli. Il conte che la signoreggiava si teneano propizio, e lo ri- chiesero d’ aita ; ma egli, guadagnato dalF abate di sant’ Egidio, fu sordo alF invito : quindi i genovesi * (1) Vedi il Fogliella, Storie Genovesi. • 308 yedendo nulla potere, se ne partirono dalla Pro- venza, simili a procellosa nube chc si allontana da un campo per stendersi sopra un altro, ancor piu minacciosa. Tre legni giunsero in Sardegna, e, sbarcata buona mano di genti e torri, molti edificii de’ pisani ab- bruciarono, e quei contorni misero a sacco. I Pi- sani in ricambio si gittarono su Levanto, e tutti i borghi di quella ricca terra abbruciarono : di la pas - sando sui lidi di Porto Venere, ivi pure seminarono la strage, la desolazione e Fincendio. Cosi andava la flotta della pisana Repubblica me- nando i guasti che poteva maggiori, allorche il marc incitato dalla collcra delFEterno, bolli nel piu fiero corruccio, cd undici galere infranse, disperse F altre sulFimmensa distesa dei mari, sicche potettero sal- varsi a fatica. Una, sopraffatta dalF onde nemiche, venne in mano dei corsari. Non per questo cessaron dalFire; anzi sempre piu s’ inquietarono continuamente. Scorrevano i mari, battevano, predavano, abbruciavano ; le semente gua- ste, i paesi dell’ un popolo e F altro spogliati : pa- reano luoghi d’ inferno: tanta vi menava ruina e scompiglio la superbia, la rabbia e la guerra fraterna ! II conte Almerico, successo a Baldovino IY nel governo di Gerusalemme, con istrumento rogato in Accon il 15 marzo dono ai Pisani un libero spazio di terra, tra la citta ed il porto di Tiro, cui si go- dcssero perpetuamente a comodo del loro commer- cio. Prezzo di questo dono, il nuovo re gerosolimi- tano ricevette dalF arcivescovo di Pisa 400 bisanzi (F oro (1). Riportiamo la copia delF istrumento relativo. 309 In nomine patris et filii et spiritus sancti, Amen. Mo- deratrix rerum diligenter providit antiquitas ut quia fragilis est me- moria hominum, acta scripture fideli testimonio mandarentur ; et quia minus negrigentia potest ubi gemina custodia adhibetur, concessit actum unum posse diversis codicibus adhibere. Per hoc enim locus surreptionis adimitur dum in cartis ponitur quod equaliter a singulis audiatur. Pine est quod pisana civitas voluit sub publica eius custo- dia retinere exemplata privilegia per manum publicam per locorum dominos pisanis concessa , et specialiter que reges et domini regni Ie- rusalem concesserunt, ut quotiens res ipsorum ostentionem exigeret, odiosas moras indulta benejicia non haberent. Ideo quorumdam pri- vilegiorum exempla conscripta manu publica decrarantur. Quorum unius talis est tenor: IN NOMINE SANCTE ET INDIYIDUE TRINITATIS Patris, et Filii, et Spiritus Sancti, Amen. Notum sit omnibus tarn presentibus quam futuris , quod ego Amalricus per Dei gratiam in sancta civitate Iherusalem Latinorum rex quintus universis mundi hominibus cuiuscumque sint lingue , seu na- tionis, tarn modernis, quam modernorum successoribus , concedo et con- jirmo spatium illud terre, quod est supra portum Tgri inter civitatis domos et aquam portus, quatinus ipsorum commoditati in sempiter- num expeditum pateat. Ita quoque ne aliquis ibidem aliquam man- sionis stabilitatem facere praesumat. Propter hanc libertatem Pisani Petro sinescalco archiepiscopi quadringentos bisancios dederunt , quatinus domum suam , quam in eadem terra edificatam habuit, auferret, et terram, in qua domus fuerat, liberam comuni omnium hominum usui, sicut supra determi- natum est, in sempiternum relinqueret. Ut autem haec mea concessio firma et inviolata permanent, testibus subscripts, et sigilli mei impres- sione corroborari feci. Factum est hoc anno ab Incarnatione Domini M. C. LXV, Indictione xiii. Sunt autem hi testes: Fridericus archiepi- scopus Tyri, Henfridus Constabularius, Gerardus de Sydonia, Phi- lippus de Monte Pegali, Henricus Bubilus, Hugo Cesariensis , Gur- mundus de Tyberiade, Guillelmus Marescalcus, Otto de Risberg, Arnol- dus de Andast, Guido de Meirire, Arnoldus vicecomes Tyri , Petrus Hugonis vicecomes Accon, Johannes de Moneta de Accon, Johannes de Guide. Datum apud Accon per manum Radulfi episcopi Bethleem, regisque cancellarii, Idus Martii. Ego Benencasa quondam Leonardi cascinensis hlius domini 310 Freclerigi invictissimi Romanorum Imperatons judex et notarius autenticum liujus vidi, legi, et obscultavi Accon in ecclesia sancti Pe- tri Pisanorum presentibus Gontulino de Ponte , Roberto Tornuli, Ugulino notario quondam Bandini , et aliis testibus ad hec rogatis Dominice Incarnationis anno secundum cursum pisanorum millesimo ducentesimo quadragesimo nono, Indictione sexta, pridie kalendas Aprilis. Ideoque prout inveni in originali munito sigillo plumbeo pen- denti, in quo ab uno latere erat impressa quedam civitas circumdata his litteris % Civitas Regis Regum omnium, et ab alio quedam ymago cuiusdam Regis coronati sedentis in regali sede, et tenentis in manu dexter a quandam crucem , et in sinistra quandam pallam ro- tundam cum parva cruce circumdata his litteris )% Amalricus Dei gratia Rex Jerusalem, non vitiato, non cancellato , non abolito , nec in aliqua sui parte raso, ita per ordinem de verbo ad verbum nichil addens neque minuens de mandato nobilis viri domini Guidonis de Sancto Cassiano quondam Galli consulis comunis Pisanorum Ac- con, et totius Sirie, transumpsi et in publicam formam redegi (1). I Pisani la ruppero in quest’ anno anche colla viscontessa Ermengarda di Narbona; ma dal seguente documento conoscesi che ben presto si acconciarono tra loro le cose. IN NOMINE PATRtS ET FILII ET SPIRITUS SANCTI, Amen. Ego Ermengarda Narbonensis vicecomitissa hominibus nostris facto iurare pacem, et ab hodie in antea omnibus diebus vite mee, firmiter tenere earn faciarn pisane civitati, et omnibus hominibus, qui modo de pisano consulatu sunt, vel in antea erunt in personis eorum, et in omnibus rebus ipsorum, in mari et in terra, in stagnis, in fiumi- nibus, in portu, in introitibus et in exitibus, in eundo et in redeundo, sanos et naufragos, et in qualicumque modo venerint in potestativo meo, salvare cum bona fide, et sine enganno, in toto districto meo. Si vero aliquando contigerit, quod homines de potestativo meo offen- dant homines de consulatu pisano, postquam ego Ermengarda de Nar- bona vicecomitissa monita fuero nuncio certo, vel sigillo conSulatus pisani infra xl dies secundum plenam iusticiam off ensam faciarn resti- tuere. Hec omnia, que superius scripta sunt de pace ista, ego Ermen- garda predicta tenebo, et attendere faciarn bona fide, et sine enganno. (l) CoIIazionalo coll’ originate esislente nel R. Archivio di Stalo in Pisa, Diplomatico, Atli pubblici. omnes consules civitatis Pise qui hodie ibi sunt, vel in antea erunt, pacem habere et tenere ab hodie in antea Domine PJrmengardi de Narbona vicecomitisse omnibus diebus vite sue, et omnibus ho- minibus de Narbona, et de tota terra sua, presentibus et futuris, in personis eorum, et in omnibus rebus ipsorum, in mari et in terra, in stagnis et in jluminibus, in portu , in introitibus et in exitibus, in eundo et in redeundo , sanos et naufragos, et in qualicumque modo venerint in potestativo nostro salvare cum bona fide, et sine enganno, in toto districto pisani consulatus. Si vero aliquando contigerit, quod homines de consulatu pisano ojfendant homines de potestativo Ermen- garde de Narbona, pisani consules postquam moniti fuerint nuncio certo , vel sigillo Ermengarde predicte infra xl. dies secundum plenam iusticiam offensam facient restituere. Hec omnia, que supe- rius scripta sunt de pace ista, ego Ugo Pagani tenebo, et atten- dere faciam, si Deus me adiuvet, et sancta Evvangelia, bona fi- de, et sine enganno. Factum est hoc anno Domini Jesu Cliristi M. C. LXV. mense Aprilis, in. kalendas Madii Fr. v. Regnante rege Ludovico in Francia. plane pacem iurav erunt cum TJgone Pagani isti, qui sunt sub- script i. Comte Girardi de Massaia, Bartolomeus quondam Galfridi, Girardus de Lescudo, Rainerius Gopolinus, Strambo de Ponte, Ugo Granzio. De Narbona iuraverunt Arnaldus de Vitrac, Raimundus de Triavilla, Petrus Monetarius, Guillelmus Bernardi , Guillelmus Mo- netarius, Petrus de Bosco, Guillelmus de Volta (1). Anno U66. — Ma 1c crude prove tra Pisa e Ge- nova seguitarono. Genova mando tre navi in Sar- degna, argomento e campo della sanguinosa discordia. II console Uberto Recalati, che le conduceva, vi fu accolto con ogni affetto dal regolo di Arborca, e si maestrevolmente ando a quci popoli persuadendo: mezza Fisola esser dei Genovesi, e doversi loro pre- stare giuramento di fedeltd; che di fatti alia ligurc 312 Repubblica lo prestarono in mano del console, a cui pure pagarono il tributo di settemila lire. Da questo priino passo incoraggiati, il Recalati si reco a Cagliari, e la fortuna gli sorrise del mede- simo volto; mentre il giudice Pietro gli prodigo ogni amorevole riverenza, gli fe’ giuro di devozione, seco lui statui di sborsare diecimila lire entro quat- tr'anni, ed ogni anno cento lire come tributo, ed una libbra di puro argent o al genovese arcivescovo. Fermi questi capitoli, e congiunte le armi, age- volmente cacciarono dal giudicato quanti pisani vi si trovavano. Del che intesa la pisana Repubblica armo molte galere: i Genovesi fecero altrettanto, e si andaron cercando colla piu rabbiosa sete di san- gue. Dio non permise che le nemiche squadre si scontrassero. La stanchezza per tante e tante guerre ingenero desiderio di pace; e se ne mosse ragionamento. I Pisani mandarono alFuopo F abate della Gorgogna con certi suoi compagni venerandi per abito mona- stico : forse avvisarono che dalla sacra veste doves- sero acquistar peso le parole degli inviati. I quali ammantati di dignitosa umilta andarono per la li- gure citta diffondendo savi consigli temprati di fra- tellevole carita e di religione. Si agito lungamente la cosa; ma dopo innumerevoli pratiche e parlari in- numerevoli, niuna meta si raggiunse; e F abate ed i suoi compagni dovettero ripatriare, senza recare alcun frutto. I Pisani sentendo punto disgradata le gara, chi non vuole la pace s'abbia la guerra, dissero; e ri- cominciarono a molestare i nemici. Certe navi spedite in Provenza presero un legno savonese, ed altri ne sommersero. I Genovesi dal loro canto non si rimascro inope- rosi; ma fccero uscire sette galere, le quali si sea- 313 gliarono sull’ isola dell’ Elba, e poi sul porto cli Piom- bino. Altrottantc galore di Pisa sopraggiunsero e si attacco un accanita zuffa, della quale pende buona pezza Fesito incerto. Dopo lungo combattimento pa- reano le navi pisane in grandissimo rischio; quando per avventura si videro alcuni navigli die da terra avanzavano, a gonfie vole, verso le flotte pugnanti. I genovesi li credettero legni nemici; e, paventando esser colti in mezzo, si abbandonarono alia fuga si sbrigliatamcnte, che gli avvcrsari inseguendoli potet- tero menarne prese due navi. Quetata la paura, Fira risurse alimentata dal disonore e dal danno: cinque galere furono immantinente alia vela in cerca di na- vigli pisani. Assai tempo corse, senzaclie loro vcnisse fatto di avvicinarsi : fmalmente si furono a fronte prcsso il porto di Yada. II numero prevaleva dal lato de’ legni genovesi, e la prodczza del numero li fece per breve ora su- periori; ma poi i pisani parvero moltiplicarsi : di tal impeto caricavano il nemico, die gli cbbcro prese due altre galere, la Calletta e la Guercia. Ai danni dc’ genovesi infrattanto si lcvo anche Guglielmo marchese di Monferrato, cd cbbc dcbcl- lato il castello di Paludi e di Otaggio (1) prima che Genova potesse soccorrcrlo. Memori del doppio pericolo, i Genovesi inviarono messaggi all’ imperator Federigo, die ncl mese di novembre era rientrato in Italia (2): i Pisani invia- rono i loro. Gravi contese successero tra gli ambasciatori d’un popolo e delFaltro nella corte di Sua Maesta. I pisani metteano in campo le continue molestie (1) Muratori, Annali. (2) Muratori, ivi. TOMO I. 40 chc loro portava Genova sul conto della Sardegna,, tenenclo a vile quanto Federigo avea F anno an- tecedente comandato, stabilendo che i pisani non fos- sero nei sardi possessi per alcuno inquietati. Conchiudeano quei di Pisa pregando F imperatore che volesse ai genovesi intimare di mai piu volgere neppure un pensiero agli affari delFisola; e F impe- ratore sodisfaceva alia dimanda. Se non che Uberto Spinola, capo delF ambasceria genovese, del piu caldo sdegno infiammato, liberamente parlo: che ingiusto era il decreto di Cesarc ; chc i genovesi non pieghereb- bero muti il collo, ma si farebbero ragione colle armi; che per molti atti di dominio si avevano di- ritto sulF isola di Sardegna : c le piu gravi minacce aggiungeva contro i pisani. Federigo freddamente ascoltando il suo interesse che suggerivagli il suo mal pro, se ambedue le re- pubbliche non si tenesse amiche, vario allora consi- glio. Richiamo la lite alia curia imperiale, mandando un arcivescovo a Pisa, un altro a Genova, i quali, come arbitri comuni , le differenze aamustassero : intanto ordino ai pisani rendessero ai genovesi i pri- gioni fatti nelle passate battaglie di quell’ anno. I due prelati sperimentarono tutto, e tutto ando al vento : si elessero cinque personaggi da un canto e cinque dalF altro lusingandosi di evento migliorc, e la lusinga fu vana. Il male torno come prima, se non piu hero. Lucca, unita con Genova, affretto un buon eser- cito, e lo fece marciare al monte san Giuliano. Vigilanti i pisani mossero ad essi contro; e, vo- lcndo tirarli al piano, se ne andavano lenti lenti. E i lucchesi, giudicando difetto di coraggio cio che era scaltrezza di senno, scesero precipitevoli, quasi tenessero gia in pugno la vittoria. Dovettero peraltro sgannarsi ben presto ; che i pisani impennando allora 315 i toy, 1’ ali al piede li affrontarono con impcto tanto c con tanto vigorc, che in breve tempo li ruppero e li mi- sero in fuga. La maggior parte non potendo pigliar la via di Lucca, senza gran pericolo della vita, fug- girono alia volta di Massa-Macinaja: nullostante ne furono molti tagliati a pezzi, molti ne rimasero pri- gioni: mcnando i quali, e ricco bottino portando, i pisani rientrarono nella loro citta (1). II canonico Raffaello Roncioni, nella sua Storia manoscritta di Pisa , racconta che in quest 1 anno il re di Marocco e di Bugia, Ammiramummo, mandb ai Pisani pregandoli d’ amicizia. I quali ne rinvia- rono gli ambasciatori ricolmi d’ ogni favore, e seco loro il console Cocco Griffi, che da quel re ottenne per la sua repubblica, chiesa, piazza, contrada, fon- daco c consolato nella citta di Sibilia. Al suo ritorno, oltrc la nuova di questc lietc cose, il Griffi reco cento vcnti cittadini ncl suo viaggio rinvenuti, e scampati avventuratamente dal naufragio dellc trc- dici pisanc galore di cui sopra dicemmo. Insieme con Cocco erano consoli Marpiglio Arcidiacono, Uguccione Lamberto, Guglielmo di Ugone, Pietro Mandati, Tedice d’Arschi, Pietro Albitone, Lanfranco di Guidonc, Fermo di Ottavio, e Burdone Bello. Anno H67. — La guerra tra Pisa e Genova con- tinue, e la flotta dell’ una ando cercando instanca- bile quella dell’ altra. Un giorno Uberto Spinola, ca- pitano di sette navi genovesi, si scontro con nove de’ pisani, e vedendosi inferiore schivb la battaglia. Poi, unitosi a quattro altre galore comandate da Ubaldo Bisaggia, torno a cercare i nemici; e gli avrebbc raggiunti per avventura, se non 1’ avessero trattenuto una quantita di legni moreschi che d’alto marc vcnivano verso lui. In questo mcntre i pisani (1) Anche il cardinal Baronio fa menzione di qiiesla guerra. r 316 si dilungarono nel loro viaggio. I genovesi sperando di trovarli in Provenza, vi andarono con sette ga- lore; ma non li scontrarono. In questo modo di cose non potendo soffrire di rimanersi al di sotto, spedi- rono a Lucca per rinnuovare con quella citta pace ed alleanza, e per dar nuovo sprone ai lucchcsi con- tro i pisani. Onde pin agevolmente conseguire il loro intcnto si obbligarono di erigere delle case a pro- prie spese in Porto Venere per i mercanti lucchesi; di piu, rifare la torre di Motronc, e pagare in con- tanti mille lire. Lusingati da un canto per tante pro- messe, spinti dalF altro per F odio antico die contro Pisa covavano, i lucchesi abbracciarono le proposte di Genova. La lega lu ferma e giurata: vi si chia- marono a parte altre citta toscane, ma tutte vi si rifiutarono. S’ erano i Pisani consecrati intieramente a Fede- rigo per tanti e tanti favori e doni di cui egli era prodigo, ma che alia perline non erano che un pezzo di pergamena. Dcvoti cosi tutti a lui, giurarono fedelta al di lui idolo, 1’ anti papa Pasquale. II quale richiesto d’ obbedienza F arcivescovo Yil- lano, fuggito come dicemmo nelF isola di Gorgona, ed avuto dal buon prelato in risposta che volea vivere e morire unito al vero vicario di Cristo, Ales- sandro III ingiustamente ed invalidamente il depose. Dopo di che per suo comandamento fece eleggerc, in luogo di Yillano, il canonico e cittadino pisano Benincasa, il 20 del mese d’ aprile. Il nuovo eletto condotto alia presenza dell’ antipapa Pasquale, che dimorava allora in Lucca, fu ricevuto con ogni pompa d’ onori e consacrato il sabato santo. La si trat- tenne fino al 22 aprile; quindi carico di privilegi, c, tra gli altri, della giurisdizione sul vescovo di Luni, sc ne torno a Pisa. Con molte e splendide feste lo accolsero i citta- dini, che in lui corteggiavano Federigo. Miseri! i quali alia scaltra ambizione dello straniero pospone- vano c sacrificavano la vera fede, Y interesse m la gloria d’ Italia. Ma ormai era tratto il dardo. Inviato Rinaldo, arcivescovo di Colonia, affinche riducesse all’ obbe- dicnza delFantipapa Pasquale i contorni di Roma, i pisani aiutarono quest’ uonio fatto pin per gl’ im- brogli del secolo, che per maneggiare il pastorale; e adoprarono con lui per prendere Civitavecchia (1). Richiesti poi d’ aita da Federigo, che in persona era ad oste intorno a Roma, gli spedirono dodici galore ben armate con due de’loro consoli; e queste en- tratc pel Tevere, e salite sino al ponte, infestarono non poco le ville de’ romani ed impedirono ogni soc- corso pel flume. Frattanto il Cielo, stanco d’un uomo che a nientc meno mirava che mettere in catcne Italia tutta, e per raggiungere F empia meta gli sdegni tra i po- poli e il deplorabile scisma della Chiesa fomentava, semino nel campo di Federigo la pestilcnza e la morte. Assottigliato il suo esercito oltre ogni cre- dere, levo egli il campo, e, per la Toscana venuto a Pisa e a Lucca, continuo il viaggio alia volta della Lombardia. Ovunque passava pareva lasciare la ma- ledizione. In Pisa avvennero temporali che atterrivan la gcnte. Dai 14 settembre sino ai 12 novembre (l) Muratori, Annali d'' Italia, a quest’ anno. Il Tronci racconta in altro modo le cose contro Civitavecchia. Dice che i pisani, sapendo ridotti a Civita- vecchia molti saraceni i quali di continuo inquietavano i circonvicini grande* menle danneggiandoli, armarono diciassette galere e mossero a quella volta. Non trovarono quei barbari; nullostante balterono e presero la citta. Non re- carono peraltro ollraggio o male alcuno agli abitatori ; soltanto li fecero pre- stare giuramento di fedclta alia pisana Rcpubblica, e di non dar piu ricetto a 1 pirati. Ottenuto cio, con la preda che sulle robe saracene avean fatto se ne tornarono a Pisa. pioggc sterminate o continue: pareva che F Eterno ^ pcntitosi un’altra volta di crear gli uomini, volesse un’altra volta annicntarli, e ad un altro diluvio schiudesse le cateratte del cielo. Ben nove volte FArno usci dal suo lotto e meno guasto e rovina per tutto il tcrritorio all’ intorno, cd in particolare nel borgo di Putignano: l’arco grande atterro del ponte di Stagno, e molti edificii spianto. A questa ruina di cielo si aggiunsero freddi ec- ccssivi, per modo che F Arno, non un flume, ma una massa irnmensa di ghiaccio si fece. Per sei giorni sovr’esso si camino come per le strade; c, cosa as- sai maravigliosa, senza rischio di sommergcrvi vi passarono carri carichi di molto peso. In questi tempi calamitosi teneano le redini del pisano governo i consoli Cocco Griffi, Brusco Cata- nelli, Stefano del Mosca, Bandino di Domenico, Pie- tro Errici, Bandino Familiati, Uguccione Baroni, Ildebrando Familiati c Ridolfo Battipaglia. Anno H68. — L’ ira di Dio apertamente parlava; F ira degli uomini non taceva. Dicono gli Annali pi- sani manoscritti, dai quali poco discordano gli An- nali genovesi, in questo tempo la citta di Genova cssere stata agitata da intestine discordie. Parve ai pisani di trarne partito, ora die cosi vedevano smem- brate le forze de’ nemici, e a’ danni loro spcdirono undici galore. I genovesi dal loro canto fecero ogni sforzo, ed uscirono con tredici navi contro quelle di Pisa; non potendo, tra F altre cose, sostenere che i pisani si vantassero, con quelli di Provenza, d’ esser essi pa- droni del mare e d’andare in traccia di que’di Li- guria per sterminarli. Dio, cui tanto displace il fasto c la supcrbia, voile mortificare i pisani, e ben prc- 319 di viveri. Gittarono esse F ancora al grado di Mcr- ‘ curio, d’onde quattro mosscro all’ Adda per ogni bisognevole. Intanto, dietro un indizio, la flotta ligurc tirava ^erso il grado di Mercurio anch’essa. Veden- dola comparire i pisani, diminuiti com’ erano di quat- tro legni, solcarono via; c ben furono avventurati nella fuga; che i gcnovesi, veggendo non poterli rag- giungere, si rirnasero. Nulla sapevano dellc quattro galore andate per viveri, ne questc di essi. Lo per- clie provvedutesi, se ne tornarono tranquille senza alcun sospetto in cerca delle cornpagne. Scoperte, furono circondatc c senza contrasto prese il 15 maggio, e condotte a Genova. Lungi dal contentarsi di questo successo, i gcno- vcsi istigaron Lucca a travagliare i pisani anco dal lato di terra. Ed i lucchesi, che nulla di piu caro attendevano, per V odio antico e non mai sazio che contro Pisa nutrivano, mossero lc loro armi. Yenncro ad assalirc Asciano (4), castcllo a tre miglia dalla citta di Pisa, c prirnieramente abbrucia- rono Quosa, detto oggi le Mulina di Quosa (18 giugiio ). . Nel travagliare Asciano i lucchesi spicgarono somma gagliardia. Maggiore ne opposero quei di dcntro sul princi- pio; e facendo coraggiosa sortita diedero addosso ai nemici si fattamentc, che temendo qualche strat- tagemma furono comprcsi d’alto spavento. Ma poi venendo i lucchesi a conoscere che poca gente te- nea loro fronte, tanto ardire corse ad essi al cuore, che investendo quelli del castello, ad onta di vigo- rosa difesa gli ebbcro messi in fuga, c la maggior (1) Questo castello era gia posto ai confini del Monte Bianco donde scalurisce la preziosa acqua acidula, o acqua santa, scoperta dal doltor Dome- nico Barsanti ed analizzata dal dotlor Bartolomeo Mesny, ed in seguito da molti eccellcnli scritlori commendata. 320 parte morti o prigioni. Accorsero da Pisa; ma non a tempo: venuti ad un combattimento ebbero i pi- * sani la peggio, e molti di loro si rimasero prigio- nieri (I), tra’ quali dodici cittadini, cioe Lamberto Maggiore , Gherardo Barattola, Sigherio Gualandi, Buonaccorso Marignani, Bulgarino di Uguccione di Gaddo, i figli di Uguccione Odierno, Ugolino di Bel- lajone Grignati, Lamberto di Battaglia nepote di Cocco Griffi, Bertini Sighieri, Attilio Upezzinghi, il figlio di Buonaccorso di Via Maggiore e Silvano di Pietro Malabarba. I quali assieme con altri moltis- simi furono mandati nellc carceri di Genova: e i genovesi ne fecero somma allegrezza, per potere cosi riavere col cambio i loro, tenuti nolle prigioni di Pisa: ma generalmente tra i popoli d 1 2 Italia cio fu creduto cosa infame, e degna delF odio di tutti (2). In tale stato erano lc sorti delie due repubbliche, allorche Villano arcivescovo di Pisa, tomato dalla Gorgona alia sua sede archiepiscopale, unitosi a Ugone arcivescovo di Genova e Gregorio vescovo di Lucca, si adopro di tutto cuore per conciliar la pace. Si affaticarono oltre ogni credere, e nulla po- tettero ottenere dalle tre ostinate citta, tranne il cambio de’prigionieri. Del resto tutto fu nulla, sen- doche ciascuna citta ostentava allettare la pace; ma prediligendo il proprio cd unico interesse, pace aborrivano. Dovendo dunque i Pisani esser in oste con Lucca, fecer lega co’ signori di Vallecchia e con la mag- gior parte di quelli di Garfagnana, a condizioni e patti espressi, che i signori legatisi con Pisa in cor- rispondcnza, rompessero la guerra dal loro verso coi lucchesi; al die loro promettevano qualsiasi (1) Muratori, Annali d' Ilalia. (2) Caffari, Annales Genucnscs , lib, /. 321 somma per levar gente. Frattanto i lucchesi otten- nero per denaro il vicino castello d’ Agnano da Tan- credi Visconti, che per la pisana Repubblica vi stava al governo. Pervenuta sidle rive dell’ Arno la nuova di cosi vile tradimento d 1 un cittadino, onde i nemici non pigliassero forza maggiore furon sollecitamente messi in campagna non pochi, i quali pervenuti ad Agnano attaccarono fiero combattimento. Ma sopravvenuto buon nerbo di lucchesi, i pisani dovettero con molto loro danno desistere dalF impresa e ritirarsi. Furono inseguiti fino a Mezzana: la facendo alto tornarono all’ armi ; e dal canto de’ pisani rimasero prigionieri diciassette cavalieri c ventisette pedoni ; da quel de’ lucchesi si morirono sedici pedoni cd undici ca- valieri: con questi danni, i nemici si divisero; e i nostri a Pisa, quei di Lucca se ne tornarono ad Asciano. Tali avvenimenti successero sotto il conso- lato di Marco Orlandi, Alberto Gualandi, Guido Galli, Udebrando Marangone, Guidone di Mcrcato, Bulghc- rino Anfossi, Torpe Duodi cd Arrigo del Cane. Tempro alquanto il duolo delle narrate disgrazie un privilegio, dato in Accon il d 6 maggio, col quale Almerico V confermo ai Pisani la curia propria, os- sia il consolato di mare, in quel porto, volendoli in questa guisa ricambiarc de’ servigi resigli nell’ assedio d’ Alessandria (1). Anno U69. — Ma i lucchesi erano tuttora in Asciano e in Agnano,. ed i pisani nol potevano so- stenere. Fermarono di riacquistare a viva forza i due castelli : c messo insieme un grosso esercito lo spedirono immantinente a quclla volta, sotto il co- (1) Qaesto privilegio conservasi nell’archivio delle Riformagioni in ^ Firenze. TOMO I. 41 322 mando del console Ildebrando Bambone. Ncl tempo stesso, onde obbligare i lucchesi ad un divcrsivo, in- viarono il console Guidone di Mercato con cento cavalieri pisani in Garfagnana, e lo fecero capo di questo paese e di Versiglia, colla commissione d‘ an- clare a molestar Cor vara, castello dei lucchesi. Gareggiarono i due consoli in ben servirc alia patria. Ildebrando giunto ad Agnano, gli diede su- bito un forte attacco. Si lusingava sorprenderlo ; ma i nemici lo difesero valorosamentc. Essendo dunque troppo arduo lo espugnare il castello battagliandolo, il console penso domarlo coif assedio, c lo strinse infatti per modo, che il soccorrerlo era impossibile. Del medesimo passo andarono le cose attorno a Cor- vara: assalto inutile, poi strettissimo assedio. Questo castello interessava assai a’ lucchesi, per lo che appena lo seppero combattuto non furon lenti a spedirvi buona mano d’ armati. Della cui mossa inteso il console Guido, mando parte de’ suoi a scontrarli. Sembrava immincnte la pugna; ma i lucchesi non vollero cimentarsi; e, valendosi della pratica de’luoghi, con molti giri schivarono i ne- mici, e vennc loro fatto di pervenire vicini al loro castello. Lo videro ormai tale, che sentivano non poter salvarlo. Ad un tratto conoscevano che non verrebbero a tenere piu a lungo anche Agnano : ten- tarono dunque colla dcstrezza cio che non poteva la forza. Mandarono in Pisa il loro vescovo unitamente al monsignor d’ Altopascio e all’ abate di san Fre- diano, i quali chiedessero e trattassero di pace e pei lucchesi e pei genovesi; offerendo di rcstituire i castelli d 1 Agnano e d’Asciano, rendere t i prigio- nieri, rifare i danni, c promettendo che dal canto di Lucca e di Genova non verrebbe piu a Pisa mo- lcstia alcuna. 323 r 2x^-v/ Le domande furono accolte, e la pace conclusa e giurata da ambe le parti. Fu dunque tolto via T assedio da’ castelli, ed Asciano cd Agnano restituiti a’ pisani. Ma quando questi se ne stavano piu tran- quilli all’ ombra della fede data e ricevuta, genovesi e lucchesi scorsero nella Yal di Serchio e le cose pisane non poco danneggiarono : — la politica degli Stati il piu delle volte non conobbc die Y utile, un nulla tenendo la giustizia e la religione. Come si seppe in Pisa della rotta fede, non 6 possibile esprimere di qual giusta ira si accesero. D’ ogni dpve suono vendetta; ed un’armatadi tren- tadue galcrc fu all’ ordine per farla. Comandata da Ranieri Gaetani ed Jacopo Yisconti, corse sopra Al- benga e nuovamente le diede il sacco. I Genovesi allestirono ancli’ essi non trentadue, ma cinquanta- due navi d’ ogni maniera ; c le mandarono verso Al- benga, sperando ritrovarvi la flotta pisana, la quale peraltro se n’era partita, ed erasi incamminata in Provenza, per piombar terribile sui legni liguri se mai vc nc avessc trovati. Dietro il rumor della fama la pure si diressc Far- mata di Genova. Scoperse i pisani per entro la foce del Rodano, in luogo dove offender li non poteva; ma li circondo si fattamente che pareano assediati. Corsi vari giorni, que’ di Pisa non sapevano a qual consiglio decidersi. Il piu sicuro era quello sciare i legni in preda ai nemici e salvarsi; si opponeva F onore, unica vita de’ prodi. consiglio erasi di far pericolo della battaglia, inccrta d’ esito e vero, ma non disperata. Conciossiache se i nemici avevano la meglio pel numcro delle navi, avevano la peggio per la bonta. Le galere pisane erano tutte grosse e benissimo armate; tra le ge- novesi v’erano molti legni piccoli. A queste consi- dcrazioni si aggiungeva il conforto della di la- ma vi L’altro grandezza 324 d’animo; dava F ultima spinta al partito di combat- <; tere il pensicro, che torna piu dicevolc perder navi ' c vita per serbarsi onorati, che navi perdere ed onore per serbare una misera vita. Fermi adunque in questo divisamento, i Pisani partirono le loro galere in tre squadre: nell’anti- guardia posero i piu scelti per forza, valorc ed esperienza. Spuntava 1’ alba del giorno allorche con impeto indescrivibile diedero nei nemici. Benche stessero vigilanti, furono essi come sorpresi, mal sapendo comprendere dondc i pisani, inferiori tanto di forze, traesscro Fardimento di venire alia pugna. Si combatte dall’una e dall’altra parte con sommo valore, e da entrambe caddero molti estinti: la vit- toria ondeggio lunga pezza inc-crta; ma alia fine, pu- gnando ogni nave pisana col valore e colla gagliar- dia di piu navi, F armata genovese resto rotta, c il maggior numero dei navigli fu preda de’ pisani con molti prigionieri. Erano in questo piede le cose, quando il Conte di Provenza, a preghiera dc’vinti, s interpose per conciliare una volta la pace tra le due repubblichc. Opro si destramente, die dopo molte pratiche rag- giunse la proposta meta concludendo: che i geno- vesi renderebbero ai pisani quanti si avevano pri- gionieri, c quanto si teneano occupato, dopo la rotta amicizia ; che non aiuterebbero ne amici ne confe- derati, ne eglino stessi moverebbero piu mai ai danni di Pisa; ma sempre la gioverebbero di soccorso e di favore, ne delle cose di Sardegna s’ impacccreb- bero in avvenire. I pisani, al contrario, restituireb- bero ai genovesi i legni ed i prigioni tolti nelF ul- tima battaglia; soltanto si terrebbero le spoglie a monumento della riportata vittoria. Con questi patti la pace fu stabilita e sacra alia presenza del contc Sw 325 meclesimo (1): ma non per questo fu durevole. Po- chi giorni clopo i pisani speclirono due galere in Provenza per loro bisogno. Comecche i mal fidi om- brano facilmcnte, i genovesi sospettarono altri fini ; pero armarono sei navi, a cui se ne aggiunsero una di Rapallo, una di Savona, ed una di Noli; e il con- solo Uberto Genovese, capitano di tutte, le guido frettoloso in esplorazione. Videro manifesto che i pi- sani non avevano mira alcuna di ostilita: adunque senza veruna offesa sc ne tornarono a Genova. I pisani sentirono l’oltraggio di questo sospetto che violava la statuita concordia; pure non ne fe- cero rimostranza. Ma la limembranza del fatto ra- gionando nella mente dc’ genovesi, conobbero che avevano svelato Y animo loro; e poiche aveano dato il primo passo nella via dclle ostilita, vollero abban- donarvisi un’ altra volta. Presero al loro soldo Trepidicino Corsaro, capi- tano di gran nome nelle cose di mare, gia stipen- diato de’ pisani, ed era loro capitalc nemico ; a due galere che aveva seco, due altre ne aggiunsero; ed unite le spcdirono ai danni de’ pisani. Difatti dopo pochi giorni predarono una pisana galera su sui erano due consoli e molti nobili citta * dini, i quali condotti a Genova dovettero gemere nelle carceri. Un’ altra galera ed una nave carica di mercanzie tenne in breve tempo dietro alia pri- ma. Prevalendo la ragione alio sdegno, i Pisani sen- tirono il bisogno di stringersi a qualche potenza. Mandarono due ambasciatori alia Repubblica di Ve- nezia, cioe Ildebrando Bambone ed Ugone Orlando, uomini forniti di molto sapere e di straordinaria pru- denza, i quali con quel senato trattassero di confe- derazione. Era allora doge in Venezia Vitale Michele, (l) Gli storici genovesi non fanno parola di lutto questo. s < ; k_>2W- 326 che con sorrima cortesia accolse i nobili ambascia- tori; ed ascoltate le condizioni della lega, le accetto egli e tntti i senatori; e l’alleanza fu giurata per cinque di ciascuna repubblica. Allegri di quest’ esito fortunato, e affine di sempre piu afforzarsi del numero degli amici, i Pisani spedi- rono al re di Sicilia Gerardo Cortevecchia console, Gerardo Barattola e Guidone Galli, onde unirsi di pace e lega alia di lui corona. Tutto fu agevolc e piano; e cogli ambasciatori pisani vennero a Pisa ambasciatori del Re per con- iermare la conclusa amista. Arrivati sopra Messina yidcro una galera, che riconobbero inimica: colie due loro le diedero la caccia e la presero: era ap- punto una galera genovese che veniva da Costanti- nopoli. Gl’inviati siciliani, rammentando che per legge del re loro tutte le navi e galere predate nel siculo dominio eran mal prese, o faceva mestieri mandarle al re, pregarono i pisani che il nernico naviglio vo- lessero rispettare; cd eglino acconsentirono e seguita- rono il loro viaggio. Giunsero in breve a Pisa: la pace fu confermata e giurata in senato, ed al po- polo bandita; e gli ambasciatori di Sicilia tornarono al proprio sovrano cumulati d’onori e di doni. In questo frattempo v’ erano in Sardegna de’ tor- bidi tra’ giudici e i loro popoli. Ad acconciare le cose i Pisani vi mandarono un console con molti cittadini; ma improvvisa tempesta spinse le galere che li conducevano a Piombino. La si stavano at- tendendo che la fortuna dell’ acque cangiasse, quando scorscro una galera genovese che si menava presa una nave pisana. Ben agevolmente s’ intende che non dovettero esitarc un momento al soccorso. Con una galera furono addosso ai genovesi; ma mentre piu facevano prove di forza e di valorc, ecco altri due legni di Genova sopraggiungere ; i quali, consa- "V gnarli in una battaglia chc stirncrebbcro uguale, e che sarcbbc poi sproporzionatissima. Fu dunque prcsa anche la galera dc 1 pisani, sopra cui erano il console c molti cittadini. Per questo fatto si accese sdegno sempre maggiore ne’ pisani ; onde a rifarsi uscirono con quattro galere, e lungo la costa di Sardegna, vicino ad Arborea, presero due legni genovesi. Cosi seguito, piu chc una guerra navale, una caccia e scambievole ruberia di navi. In quest 1 anno medesimo Ruggerino di Schiattuc- cio e Rustichino di Minuccio Minucci, consoli di Volterra, col consenso d’ altri due consoli, Alberigo di Lambardo ed Aldino di Accettante, spedirono am- basciatori alle repubbliehe di Pisa e di Siena, per lega ed amicizia, a difesa comunc contro qualsifosse, eccettuato l’lmpero (1). II 16 di settembre Almerico Y, onde sempre piu riconoscere i servigi de 1 Pisani ed impegnarli a viemaggiormente secondarlo nolle sue mire di con- quista sull’Egitto intcro, concedeva loro nuovi pri- vilegi, cioe corte, chiesa e consolato in Babilonia, ncl Cairo, ed in Rossetta e in altri luoghi egiziani a lui sottoposti (2). Erano consoli in Pisa Opitonc Goga giudice pubblico, Alberto di Bolso Bandinuc- cio, Aldobranclino Marzi, Lamberrto di Corte, Ber- nardo . Cenami, e Bolso di Ghcrardo da San Ca- sciano (3). I fatti di quest’ anno si chiudono co 1 danni ca- (1) II relalivo documenlo conservasi nell’ archivio di Volterra (2) Diploma conservato nell’archivio del le Riformagioni in Firenze, (3) San Casciano, in prossimila di Cascina. E notevole specialmenle per la sua chiesa anlichissima, rinnovata nel secolo undecimq, sotto la del eelebre pisano arlisla Ciduino, Di san Casciano si parla in una Ronifazio Vll del 1300, inserita negli Annali Camaldolesi, tom. VI; ( Mattei all’ anno 970; c dal Muratori nelle Anlichila Italiane. 328 gionati alia Repubblica pisana clagf implacabili ncmici lucchesi. I quali yedendo il disvantaggio che a se ve- niva per aver contrari i signori della Garfagnana, si diedero a tentarne gli animi; e si lungo tempo e con si fatte maniere, c specialmente coll’ oro, furono ad essi intorno, che baona parte ne fecero ritirare dalla confederazione col pisano Comune, ed attac- carsi al lucchese. Non pcraltro venne loro fatto di corromperc i signori del castcllo di Pedona, di Val- lecchia e di Vcrsiglia, i quali si rimasero sempre fedelissimi. A nni H70-1171 . — Afforzati in questa guisa i Lucchesi e i Genovesi, irritati piu sempre i Pisani, con- tinuarono discordie e guerre. I genovesi presero una galera pisana dove trovavasi, con molti altri, Ghe- rardo Grosso: ed Arrigo Giravicino, uscito di Pisa con tre galere e molti compagni, prese due navi ge- novesi cariche di merci in cui avevano parte anco i lucchesi. Questi andarono facendo imponenti mili- tari apparecchi. Non era dunque da starsi a bada: ed i consoli di Pisa tenendone lungo discorso in se- nato, conchiusero dover apprestarsi a far cadere la tempesta sul capo di chi la suscitava* Si scelsero ventotto capitani per formare un grosso esercito, e furono i seguenti: Cocco Griffi, Gottifredo Visconti, Raniero Visconti, Pellajo Lanfranchi, Sigerio Magli, Alberto Gualandi, Ranieri Tegrini, Ormanno xli Pa- ganello, Buonaccorso di san Casciano, Raniero Ricci, Marzucco Gaetani, Torpete Duodi, Boccio Bottoni, Arrigo o Gentrico Corso, Benedetto Vernac-ci, Lam- berto Corte, Gerardo Burgarelli (altri dicono Gus- mari), Ugone Gattabianca, Arrigo Federighi, Burga- rino Anfossi, Tuffa Vernacci, Gualfredo Mala, Obizo s Soga, Bernardo Cenami, Guido Marignani o Magnani, Accorso Cavalieri, Francesco Tregnani; e, secondo il Tajoli, anche Bandinaccio Testa. I quali capitani mcsso all’ordine uno squadrone di due inila cavalli e buon nerbo di pedoni, usci- rono di Pisa c si accamparono intorno al castello di Motrone. Questo castello, alia ripa del mare tra Pietrasanta e Yiareggio, era tra Genova e Pisa il pomo della discordia: piccolo si, ma importante per la vicinanza delle cave di marmo di Carrara e di Seravezza, per gli olii eccellenti di quella lunga co- stiera, e per molte ferriere non lontane dal lido (1). Tolto dai lucchesi e dai genovesi ai pisani, questi ora volevano ad ogni modo rifarlo suo. Gli diedero sulle prime parccchi e validi assalti ; ma vedcndo chc era un dar di cozzo nel muro, perche il ca- stello era rnolto forte e la guarnigione faceva mi- rabilmentc la sua prova, vi posero 1’ assedio. I luc- chesi allora, fatta testa coi genovesi ed altri confc- derati, andarono con buon esercito a Motrone per isloggiare i pisani ; ma trovandoli fortificati per modo che era impossibile in qualsiasi guisa danneggiarli, si ritirarono alia torrc di Yiareggio. Ivi pensando che i pisani non si discosterebbero d’ un passo da Mo- tron'c, se ne stavano senz’ordine. Cio fu chc decise i capi dell 1 esercito pisano alia battaglia loro neccs- saria. Invano i fiorentini si adoperarono per richia- mare la concordia: 1’ uno e 1’ altro de’ nenrici amavan la guerra, ed i lucchesi s arrogavan sicura la vittoria. Pertanto quei di Pisa si divisero in tre parti. Fu schierata la prima all’ ombra dell’ insegna di Pisa, sotto gli ordini del console conte Aldobrando, di Sigerio di Guincionello di Gualando, e del conte Al- bertino da Prato : era terribilc di ottocento tra ca- valieri, sagittarii e pedoni, e di due castelli di le- (1) Serra Marches e Girolamo, Storia dell’ antica Liguria e di Genova , £ lib. HI, cap. VI. TOMO I. 42 TOMO I. 330 gname solidissimi. La scconda, poclerosa cli settecento fra cavalieri, sagittarii e pedoni, ed altri due castelli, obbedi ad Ugo Bella cavalier pisano, al conte Ghe- rardo e ad Ugone Tedici. La terza, forte di cinque- cento cavalieri, buon numero dei quali erano nobili del vescovo di Yolterra, con due altri castelli sirnili ai sopra rammentati, era guidata dal cavaliere Arrigo Cane, ed assistita pure da Tigrino conte di Cornia. Ciascuna di queste schiere ardeva d’ esser la prima ad investire il nemico: lo perche, ad ovviare ogni scandalo, si commise Y onore del primo scontro alia sorte. Si posero in un’urna i nomi de’ capi condot- tieri delle tre squadre, onde fosse giudice il caso, anzi giudice Iddio. Per volere di lui ciascuna resto al suo posto, e nel primo ordine mossero contro il nemico; il quale, impaziente della pugna, veniva ad incontrarle. Avvicinatisi ad un trarre di strale, i pi- sani disposero le loro macchine ove credcano piu opportuno per molestare i nemici, e spinsero a dar neir oste la prima schicra, dietro la quale Y altre due irruppero precipitosamente. E con furia tanta e tanta bravura urtarono il campo nemico, che nello spazio di tre ore 1’ ebbero rotto : i soldati, colti da paura e da vilta, si diedcro alia fuga, lasciando bagagli ed insegne. Il suolo rimase coperto di cadaveri lucchesi e genovesi; furon fatti prigioni trecento cavalieri, tre consoli, settecento pedoni, e mille cavalli. Per questo fatto Lucca fu compresa di tale spavento, che non ad altro pcnso che a frettolosamente richiamar nel suo seno i miseri avanzi delF ultima pugna, e munirsi di nuove fortezze e presidii, aspettandosi so- pra ad ogni momento i vincitori. Ma i Pisani, sic- come Annibale, scppero vincere e non usar la vit- toria. Lungi dal correre su Lucca per apportarle F ultima rovina, si tenncro paghi per allora della torrc di Yiareggio. 331 X'-w Tre giorni dopo, con mangani, arieti e castelli tor- narono all’ assedio di Motrone; e per quattro di con- tinui non restarono un istante di accanitamente tra- vagliarlo. Nullostante il castello di Motrone non era agevol conquista. In riva al mare, come dicemmo, quadro di forma, con una torre ad ogni canto, al- tissimo, un torrione nel mezzo, onde si dominava e custodiva Finterno, opponeva forza di natura e d’ arte: oltredichc ottanta soli uomini lo difendevano; ma con F animo di ottanta schiere. Gli uni assalivano; gli altri ributtavano ; quelli rompeano le mura ; que- st! le ristoravano, o vi faceano riparo dei loro corpi. E cosi andarono le cose, finchc i prodi difensori, vedendo non potersi piu sostenere, cedettero il ca- stello onoratamente. Entrativi i pisani, nel primo impeto dello sdegno, lo disfecero dai fondamenti; non rammcntando chc dove semina Fira, miete il pentimento. Eglino si privarono cosi d’ un luogo attissimo per tenere sem- pre i luccliesi occupati a guardia delle cose loro. La distruzione era compiuta quando giunsero cinque galere che Genova, a cui molto importava di man- tenersi Motrone, mandava in aiuto de’ lucchesi. Giun- sero, e non trovarono altro che un ammasso di ro- vine; e non sapendo chc farsi di meglio, se ne tor- narono addietro. Allora F csercito pisano se ne vcnne trionfante a Pisa. Y’ entrarono con le proprie ban- diere spiegate, e quelle tolte ai nemici trascinate per terra; seguivano i prigionieri a piedi, e molti carri onusti di spoglie: la citta tutta risuono di quest’ inno di grazie al Dio degli eserciti: Non a noi, o Signore, ma da’ gloria al • nome tuo. Appena peraltro il tripudio del trionfo si tacque, si sent! il male fatto alia repubblica distruggendo il castello di Motrone, e parve bene riedificarlo. Messo in pronto quanto sarebbe mestieri, mandarono a dar s' / V§) J 332 principio alia riedificazione, e prima cura si fu di prov- vedersi di stcccati ed altri ripari, onde non essere impediti nel lavoro. Sembro necessaria questa misura; ne vanamente. In fatti i lucchesi calcolando di quanta importanza Motrone sarebbe in servizio de’ pisani, fecero grande sforzo d’ armati, onde stornare il loro disegno. Corsero dunque al luogo ove 1’ opra fer- yeva; ma vcdendo cosi bene fortificati i nemici, stettero in forse se dovessero tornarsene d 1 onde erano venuti. Era questo il consiglio migliore: lo sdegno pre- valse al senno: impegnarono una grossa scaramuc- cia, nella quale ebbero la peggio ; sendoche patirono e rotta e molta strage, onde fu loro forza ritirarsi. Sciolti cosi i pisani d’ ogni timore, V opera loro s’ in- fiammo ncir incominciato lavoro, e ben presto giun- sero a capo. Terminato il castello e munitolo di torri ed al- tre fortiflcazioni per poterlo difendere, vi lasciarono grosso presidio provvisto d’ ogni uopo, e se ne par- tirono. Non peraltro mossero alia volta della patria; sul castello di Corvara vennero ad oste, il quale erasi confederate co’ lucchesi. Invece di tentare F assalto, lo strinsero d’ assedio. E ben avvisarono ; che in pochi di, non potendo que di dentro ricevere aiuto alcuno, per non morirsi di fame si arr'esero. AH’ aspetto di queste cose, gli altri popoli della Garfagnana che avevano sposata la causa di Lucca, tornarono ad unirsi con Pisa. E la pisana Repub- blica li voile donati di molti privilegi ed esenzioni molte; spcrando in questa guisa farseli veramente- suoi. Ma la fede giurata per la prepotenza delle cir- costanze e perfidia; ed i beneticii largiti a chi la giura, ben lungi dal fare dei riconoscenti, fa degli ingrati. Inlatti ripatriati appena i pisani, i signori della yvv- Garfagnana, stimolati dai lucchcsi c dai genovesi, e compri per oro, alzarono nuovamente 1 insegna della rivolta. 11 signore di Carrara non voile accon- sentirvi, lo perche fu dai suoi sudditi cacciato in uno con la rnoglie e coi figli: lo stesso fcce Corso di Veltro cd altri signori. 1 quali ben ebbero mcrce della loro costanza; poichc furono ascritti alia pisana cittadinanza, e di terroni e di case forniti. II canonico Murci riferisce nei suoi Annali, aver i Pisani quest’ anno fatto lega per un quinquennio coi Yeneziani (I), conclusa da lldebrando di Parla- scio e da Ugone Orlandi: pace fu pure fermata col re Gugliclmo II di Sicilia, per mezzo di Gherardo Cortevecchia c Gherardo Barattola. Intanto Boemondo figlio di Raimondo principe d’Antiochia, insieme con sua rnoglie Urgolosa, con- fermava ai Pisani il luogo per fabbricar case in Lao- dicca, come era loro stato prima conccsso per Ri- naldo figlio del principe Baldovino (2): tutto cio accadeva sotto i consoli Gherardo Cortevecchia, Truffa Vernaccia, Guidone di Tedicc, Ridolfo Orlandi, Arrigo del Cane, lldebrando Bambone, Stefano Mo- sca, Guido della Corte, ed Uguccione di Bonone. Anno H71. — A questi successero nel consolato Alberto di Bolso, Guittonc Conte, Gismondo Pane e Porro, Uberto Carboni, Sighieri Malpigli, Silverio Vi- sconti, Guinitcllo Ardincasa e Vitale Gattabianca; i quali ebbero un anno pieno di grandissimi avveni- rnenti. I genovesi e i lucchesi, desiderosi di gustarc una volta la gioja della vendetta su Pisa, feccro di tirarc nclla loro alleanza altri popoli, mentrechc si V' (1) Qucsta Icga c in opposizione con quella che faranno i pisani il pros- simo anno coll’ imperalor greco, perfidamenle cd accanitamcnle nemico a Venezia. (2) L’ originale di qucslo privilegio e neirarchivio dellc Riformagioni in Firenze. rumori non si restarono sotto coltre i pisani ; ma in tal guisa si prepararono alle risposte, che F orgo- glio delle collegate repubbliche rimase fiacco. I Ge- | novesi tentarono il Conte di Barcellona, e furono inutili le loro pratiche ; si vantarono spiantare il ca- ste]] o di Ripafratta, e non gli fecero pur cenno con- tro. Finalmente a forza d’ argomentarsi, Lucca e Genova riuscirono a guadagnare i sanesi, i pistojesi ed il conte Guido, signore potente in Toscana (1). Allora i Pisani procurarono collegarsi con la Re- pubblica fiorentina ; e di siffatto modo usarono seco lei, che la lega fu conclusa per quarant’ anni avve- nire. Per la qual cosa il Comune di Pisa dono ai Fiorentini la meta del guadagno delle monete, due fondachi sopra il ponte d’Arno, ed una casa per i loro mercanti. Questi poi furono i patti: che si sal- verebbero scambievolmente e per terra e per mare; che i nemici d’ un comune sarebbero nemici del- F altro ; e a braccio armato si sosterrebbero F un F altro in ogni impresa (2). Frattanto Guido del For- najo, il Rosso ed Ugone, capitani di tre galere, scor- revano i mari ai cianni de’ genovesi, ai quali presero molte navi grosse e piccole, cariche e vuote; e parte ne diedero alle fiamme, parte a Pisa ne trassero. Ad un tempo alcuni nobili giovani della Compagnia della Gintura armarono una galera in comune con- tro la rivale della patria. Usciti appena trovarono una piccola nave genovese che veniva dalla Corsica, e Febbero presa. Onde poi far conto che non ba- stavano solo ad opprimere il piu debole, ma sapreb- (1) Muratori, Annali d'ltalia. (2) Gli scritlori fiorentini non fanno monzione akuna di questa confe' dcrazione di loro con quei di Pisa. 335 I w $ m) bero scontrar anche F uguale, mandarono a Genova clicendo chc spcdisse un altra galera, chc Fattende- vano per combatterc da solo a solo. Qui non si arrestano i prosperi evcnti. Lc tre galcre di cui sopra parla il nostro racconto, seguita- vano la via de’loro disegni, quando, dopo lungo cam- mi no, tornando di Gaeta trovarono chc una nave nemica, per loro presa ed a Pisa avviata, era stata sopraggiunta da due liguri galere le quali fortemente la combattevano. Le tre pisane furono immantinentc al soccorso;ne si contentarono di difendere e libc- rare la nave loro, ma valorosamcntc pugnando, po- tettero prcndere anche una delle due gcnovcsi ga- lere, e vittoriosc condurla alia patria. Altri tre capitani, cioe Gallo Tagliapagani, Jacopo Ciurini ed Alberico Pascemosca conti, con tre ga- lere mossero da Pisa alia volta della Sardegna. Quando furono sopra F Elba videro due navi geno- vesi, e si misero a dar loro la caccia. Invano queste cercarono salvarsi. Raggiunte combatterono gagliar- damente; ma ad onta di molta rcsistenza, dovettcro alia fine cadcre Funa dopo F altra in poterc de’pi- sani, con quanto eravi sopra: cose di gran valorc ed uomini. Per tal modo danneggiate e percosse Genova e Lucca, e comprcse di vivo dolore per i tanti loro prigioni in mano de’fiemici, vedendo troppo man- chevole la forza dell’armi, si misero per altro sen- tiero. Spcdirono alFImpcratore; e poiche conoscevano che favoreggiava i Pisani, non cercarono d' invitarlo ad apcrta rottura contro di loro; ma facendo velo di buonc intenzioni al maF animo, dissero che gli ambasciatori supplicassero Federigo unicamente di mandare un suo legato in Toscana, con suprema autorita, per trattare accordi e rimetter pace tra le citta della provincia, e spccialmente tra Pisa e Genova. Yoleano con questo mezzo i Genovesi riavere i loro prigioni: onde i loro inviati giunti dinanzi a Barbarossa, si diedero a circuirlo con ogni industria. Gli dissero che le toscane citta, concordi, erano lo scudo dell’ impero in tutta Italia; divise, alcuna si gitterebbe a contraric potenze; ed altre consimili ragioni. Le quali dall’ Impcratore furono trovate buo- nissime; e non si accorse forse di cio che i geno- vesi covavano in cuore; o, meglio, gli riviveano nelF animo le speranze sulf Italia da cui avea dovuto turpemente fuggire sotto Fabito di vil famiglio, in faccia alia possanza della lega Lombarda (1). Accor- tisi adunque i genovesi arnbasciatori che Federigo inchinava alia loro richiesta, lo pregarono che man- dasse in Italia Cristiano arcivescovo di Magonza, uso a sirnili negozi, esperto del carattere degli uomini non solo di Toscana, raa di tutta la bella penisola, ed il piu adatto a medicare le piaghe che tra l’alpi e il mare incrudelivano. L’Imperatore annui, e F Ar- civescovo verso la fine d’ autunno giunse in Lombar- dia. Venendo improvviso, pote passare impunemente di mezzo alle lombarde citta; valico il Tanaro prcsso Alessandria, e si trasferi a Genova condotto semprc dai genovesi arnbasciatori, i quali lungo il cammino ne tentarono Y animo; e scorto che era terreno da farvi breccia, esposero il loro desiderio ed offerirono a sua signoria gran pondo di Hanaro, ove si fosse adoprata per la restituzione de’loro prigionieri. In Genova Y Arcivescovo maguntino fu colmo di tutti i possibili onori; poi di la sano e salvo con- dotto a Lucca: lo che accese sommo sdegno negli animi dc' popoli della lega Lombarda. I quali pub- blicarono un bando, che niuno avesse da condurre grani ed altre vettovaglie a Genova: donde provennc (1) Godcl'r. Monacus in Cronicon. X/\A- 337 in questa citta orribile carestia. Per ultima ostilita contro i pisani, in quest’ anno, i genovesi tornarono a conclurre in Sardegna Barisone, e vcl lasciarono (1) ; ma non peraltro regno sull’ isola, seppure non vogliasi dire re, perche ando scorticando qualche paese del- 1’ antico suo giudicato. « In questo tempo tornando all’imperatore grcco Manuello Comneno tonciliarsi potenze marittime in Italia, e tornando del pari l’amicizia di lui a’ Pisani, mostrarono entrambi desiderio di pace. La pisana Repubblica invio due nobili ambasciatori, M. Bur- gundio e M. Marco conte, in mezzo ad onorevole comitiva; e l’imperatore Manuello liceve con somma benignita la splendida ambasciata. Si entro in trat- tative, e ben presto fu ferma un’ alleanza onorevole e vantaggiosa per la Repubblica. L’imperatore rese ai Pisani tutte le franchigie di cui gia godcvano nei porti del suo impero, c si obbligo per quindici anni a pagare, ogni anno, alia citta di Pisa cinquecento bisanti d’ oro e due tapjoeti di seta ; quaranta bisanti d’oro, e parimente un tappeto di seta al pisano ar- civescovo. Poteva riguardarsi il danaro come una pensione pagata da uno stato potente ad un debole; ma i tappeti di seta sono un tributo in apparenza umiliante per chi lo da, glorioso per chi lo riceve (2). Pure gli ambasciatori greci, venuti a Pisa in compagnia del console Alberto, ammcssi in piena adunanza del popolo il 13 di dicembre (3), conva- lidarono col loro giuramento questa nuova alleanza e con questi patti (4). (1) Mura lor i, Annali d’ Italia. (2) Sismondi, Storia delle Repubbliche Italiane , cap. XI. (3) Muralori, Op. cit. (4) Chi volesse leggerc I’ alto relalivo, lo trovcra vollo in ilaliano nella Storia del ch. Fanucci: lib. II, cap. Ill, p. 60. Ediz, di Pisa. TOMO I. 43 TOMO I. 338 Anno H72. — Quanclo Farcivescovo Cristiano seppe di questo trattato, s indispose piu die mai con- tro i Pisani; pure, dissimulando il suo malcontento, vi- sito la citta di Pisa come ambasciatore di Federigo il 3 di febbrajo, e fu ricevuto con molta magnificenza. Poscia convoco tutti i conti, marchesi, consoli da Lucca fino a Roma, c tennc un gran parlamento nel borgo di san Genesio, in Val d 1 Arno inferiore. Ivi, dopo vari negozi, propose da parte dell’ Imperatore la pace fra genovesi, lucchesi e pisani. Fin qui 1’ opera sua era degna d’un ministro del Dio di carita: ma Cristiano si mostro poi troppo parziale contro Pisa, ingiungendo che restituisse ai nemici tutti i prigio- nieri senza compenso alcuno. Punti da questa ingiu- stizia, i Pisani stettero forti ; e FArcivescovo, irritato che si ardissc non piegare il collo ad un suo co- mando, e dai genovesi e dai lucchesi attizzato in un altro parlamento tenuto nolle vicinanze di Siena, cac- cio dalla sua presenza i pisani ambasciatori; la pi- sana Repubblica mise al bando dell 1 impero, la privo di tutti i privilegi e di tutte le regalie, del diritto di batter moneta, e del possesso dell’ isola di Sarde- gna (1). Al ritorno degli ambasciatori cosi maltrat- tati, la fierezza del popolo pisano fu acerbamente irritata. Non si potea tollerare tanta ingiustizia, onde non si penso che ad armarsi. Anche il senato di Firenze, ragguagliato dell 1 accaduto da 1 suoi amba- sciatori, ordin'o pronto armamento di truppe in rin- forzo degli alleati. Le foi ze de’ due comuni stavan per uscire a campo, decise di attaccare senz’ altro i tedesclii, e toglier loro san Miniato, quando F arcive- scovo Cristiano, riflettendo che non potevano andare (1) Gli Annali di Genova riportano una lellera con la quale Crisliano da ai genovesi la notizia del bando pubblicalo conlro i pisani. Muralori, An- noli d’ Italia-, il Fanucci la trascrivc in volgare nella sua Storia , lib, II. cap. IV, pag 75. ;\rwvv- 339 a sangue all’ Imperatore siffatte cose, e prcvedendo di che sarebbero capaci Firenze e Pisa congiunte insieme, fece senno, ed assolse i pisani dal bando, e li reintegro nelle ragioni sulla Sardegna il 27 giugno. II che fatto, Cristiano si trasferi il primo luglio a Pisa : tCnnc ivi un parlamento nel quale comando che cessasse la guerra fra i Pisani e i Fiorentini da un lato, i Lucchesi e i Genovesi dall’ altro. Si riprese a trattare di pace; furono rilasciati i prigionieri; m a 1’ oro genovese corse di nuovo, ed il venale inviato di Federigo ne rimase acciecato. Fc’dunque convo- care un’ altra assemblea a san Genesio. Dei pisani vi andarono Gualfredi Mele, Sigerio Gualandi, Pietro Albizzone, Truffa Varnacci, Guidone Marignano, Fi- lippo Vernagalli e Filippo Buttaro. Raccoltisi insieme coi deputati lucchesi, genovesi e fiorentini, l’arcive- scovo fece alcune proposizioni di poco onore e molto danno per la pisana citta. Furono con giusto sdegno ributtate* Allora 1’ arcivescovo acceso d’ ira, fece proditoriamente prendere ed incatenare i pisani am- basciatori. E perche quei di Firenze rnenaron m- more di si brutto tradimento, furono pur essi impri- gionati; tra i quali distinguevasi per grandissima esti- mazione Giovanni Donati. Vennero poi tutti spediti in carcere a Lucca. Dopo questo, Cristiano, unito coi lucchesi, senesi, pistojesi e col conte Guido, si mise in punto per danneggiare il territorio pisano. Fu- manti di collera pisani e fiorentini alf avviso di tali e tante indegnita, uscirono poderosi in campagna alia difesa ed alia vendetta. L’ arcivescovo e f armi fio- rentine si trovarono presso Castel Fiorentino. I pi- sani mandarono a’ loro alleati duecento cinquanta cavalli guidati da Benedetto Benedetti e da Albiz- zello. Giunsero che il guerriero arcivescovo ondeg- giava tuttora sul partito da prendere; ma non esito piu, poiche vide cosi ingrossata F oste ncmica: rinun- n cQXaK ziando ai suoi disegni contro quel castello, volse al- trove i suoi sdegni. Ad un tempo i pisani facendo ima gagliarda di- yersione sul territorio lucchese, guastarono tutto da Lunata fino a Ponsampieri. Impauriti i lucchesi e temendo della loro stessa citta, richiamarono il suo csercito dal campo dell’ arcivescovo, il quale vedendo assottigliate le sue forze cosi, si ritiro egli pure in Lucca inseguito da fiorentini e dai dugentocinquanta cavalli pisani che lino alia citta di Lucca seminarono la desolazione. Giunto il loro esercito, i lucchesi ripresero co- raggio, ed usciron contro i pisani e i fiorentini ac- cainpati a Ponsampieri. Questi alFavviso della mossa de’ nemici divisero il proprio esercito in due schiere. Affidaron la prima a Marzucco Gaetani ed a Ber- nardo di Buonaccorso da Buriano; la seconda ad Alberto Bolso: crearono commissari Alemanno Duodi ed Ugone Tancredi. Le due osti nemiche furono a fronte il giorno di sail Michele, 29 settembre (4). Si appicco una fiera scaramuccia, e si combatte da ambe le parti con sommo valorc; da un lato per mantcnere quello ch’ erasi acquistato, dall’ altro per ritorsclo. Raddoppiava ad ogn istante il ferire; gron- dava il sangue, cadevano morti i combattenti; e dopo parecchic ore di ferite di strage di morte non sape- yasi da qual canto inclinasse la vittoria. Finalmente, poiclF ebber fatto ogni proya, stanchi i lucchesi co- minciarono a piegare; furono yinti restandone molti sul campo, molti prigionieri, e pcrdendo tre ban- diere. Gran ventura per chi pote trovare uno scampo nella fuga. I fiorentini ed i pisani se ne tornarono ciascuni alle proprio citta. Allora i lucchesi facendosi animo, ed istigati dal (l) Il Muralori dice 19 agoslo; il Sismondi 17. 341 funesto arcivescovo, manclarono cluecento soldati alia volta del castello cli Pontedera, sperando di sorprcn- derlo. Ma certi nobili cavalieri degli Upezzinghi, avuto sentore di tal disegno, con gli uomini di Yico e con altri loro amici e compagni furono ad incontrarli. Li raggiunsero sotto il castello di Montecalvoli in- aspettatamente, e tal paura cacciarono ad essi ncl cuore, che si diedero a sbrigliata fuga; nella quale inseguiti dai pisani, ne restarono molti prigionieri. Alla fama di tanti successi i signori della Garfagnana si affrettarono nuovamente alia devoziono della pisana Repubblica; quei della Yaldinievole diedero in mano dei pisani i due forti castelli di Monte-Gravante c Bozzano, per mezzo dei figli di Ubaldo. Per via di questi, cercarono i pisani aver pure la torre di Via- reggio; ma queste pratiche non sortirono alcun ef- fetto. Yenuta mono V arte, le si sostitui la forza; ed un buon esercito mosse alia volta di quella torre. II sei agosto fu travagliata di fiero assalto; ma la costanza c il valorc di quei di dentro la rintuzza- rono ; onde i pisani si risolscro all’ assedio. I lucchesi dal loro lato non furono tardi a cercar di stornarlo. Spintovi buon numero di fanti tentarono introdurli nella fortezza; ma era da’ nemici cii condata per mo- do, che riusciva impossibile soccorrerla. Contuttocio, per metter cuore in quei di dentro, si accamparono in vicinanza; ed ogni giorno seguivano co’ pisani delle scaramucce, varie di maniera c di evento. Stavano inquieti i pisani per una galera geno- vese che si teneva in quelle rive, e faceva temere che ne verrebbero delle altre. Parve quindi ai co- mandanti di dover venire a giornata campale. In fatti attaccatasi un giorno la solita scaramuccia, Ar- rigo del Cane, Mtfrzucco Gaetani ed Alberto Bolso, delle cose militari assai periti, ordinate tutte le loro genti, a bandiere spiegate le fcccro dare nell 1 oste. 342 I lucchesi v 1 erano pronti, e s’ impegno il piu fiero conflitto. Uccisi molti da ambe le parti, e senza che mai un nemico voltasse le spalle, ne sarebbe suc- cesso orribile macello, se non sopraggiungeva la notte a dividere i feroci combattenti. Ritiratisi ciascuni al proprio campo, invece di darsi al riposo, atten- devano a ristorare le forze, a preparar nuove ire per la domanc; e il nuovo sole avrebbe illuminate nuove stragi, se religiose persone non si frammette- vano. Per la benedetta opera di queste fu conclusa una tregua fra le due repubbliche, con le condizioni: che i Pisani restituirebbero liberi ai Lucchesi i due castelli di Monte -Gravante e di Bozzano, ne piu la torre di Yiareggio molesterebbero; che i Lucchesi d’ altra parte richiamerebbero a Lucca quanti si fos- sero usciti contro Pisa, ne inquieterebbero mai piu lo stato de’ pisani: che finalmente si renderebbero i prigioni da entrambi i lati. Cosi i due eserciti tor- narono ciascuno alia propria citta. Restavano peraltro infesti sempre i genovesi. Sul finire dell’ottobre (1) essi armarono segreta- mente otto galere e le mandarono verso la Pianosa, isola de’ pisani. Non provvisti abbastanza, battuti ga- gliardamente e minacciati di saccheggio, quegli abi- tanti impauriti si diedero, e consegnarono il castello a patti d’aver salva la vita e le cose loro. Ma i genovesi misero tutto a sacco; il castello intiera- mcnte smantellarono, e tutti gT infelici isolani con- dussero prigionieri a Genova. Impazicnti i pisani di vendicarsi, spediron tre ga- lere in Corsica, le quali avendovi trovate due navi genovesi cariche di mercanzie, le presero in breve tratto, e si ricovcrarono nel porto di santa Lucifera. (1) II Milratori dice nel mese di sellcmbre, riportandosi all’autorila del Cairaro, Annalium Genuenses , lib. II. tom. VI. Rerum Ital. <> Avutanc contczza i genovcsi, con alquante vclc la le raggiunscro; ed i pisani, colti all’ improvviso, vi- stisi come assediati, ed il’timore ingrandendo la forza ostile, non trovarono altro scampo che abbandonare i propri legni c salvarsi per terra: c cosi feccro. Questo piccolo danno nondimeno non abbattc punto la potenza pisana; e 1’ arcivescovo, luogotc- nentc imperiale, vedendo ormai che in niun modo poteva direttamente offenderla, di concerto co’ ge- novesi, lucchesi, senesi c col conte Guido, dccise di molestare lo stato del conte Aldobrandino. Qucsti, confederate dei pisani, all’avviso della guerra immi- nente spedi subito a Pisa ed a Firenze per aiuto. Gli fu mandato senza dilazione, e da esso nc derivo la salvezza; pcrche F arcivescovo gli aveva gia tolti c saccheggiati due castelli. Ma dopo che F armi fioren- tinc c pisanc giunscro al soccorso, il conte Aldo- brandino riprese coraggio; si prepare alia battaglia; provoco perfino il nernico: ma Cristiano senti manco T ardire; c conoscendo die restando in quelle parti sarebbe un di o T altro impegnato alia pugna, levo il carripo ritirandosi alia volta di Roma: dal che a lui ed a’ suoi, vergogna; c pace provenne al conte Aldobrandino, ai pisani ed ai fiorentini. Grave spina peraltro, c confitta nel pin profondo del cuore, erano alia pisana Repubblica quei patrizi che l 1 arcivescovo di Magonza aveva con si brutto tradimento mandati in carcere a Lucca. Non sapendo che si fare a pro loro, scesero nel consiglio di man : dare ambaseiatori a Fcdcrigo, i quali scco lui si do- lessero delle tantc ingiurio loro fattc dalF imperialc inviato, e Y augusta Maesta supplicassero che volcsse comandare la rcstituzione de’prigioni. GF incaricati di questa ambaseiata furono il conte Gherardo ed Ugone Giudice. Portatisi a Fedcrigo, in Germania, furono accolti benignamentc; c, fatte lc loro do- glianze e le loro preghiere, ebbero in risposta dal Barbarossa: eh’ e’ si maravigliava forte delle male s azioni del suo mandato; che gli giungevano nuove affatto; che ne sentiva disgusto, e lo ayrebbe fatto chiaro ai Pisani al suo prossimo ritorno in Italia; che allora farebbe loro rendere i prigionieri; che non credeva bene determinare cosa alcuna senza udir pure f altra parte ; ma si stessero di buon animo, ed assicurassero la Repubblica che non ne avrebbc spiacere, e le significassero che l’onore e T utile di lei gli stava a cuore sommamente, e lo avrebbe in breve mostrato coi fatti. Con queste belle promesse se ne tornarono i pisani ambascia- tori : ma vedremo presto non esser poi state che sonore ciance (I). Gli Annali genovesi di monsignor Foglietta con- fermano in gran parte i fatti riferiti. Aggiungono inoltre che in quest’ anno mcdesimo, affine d’ inde- bolire le forze genovesi e divertirle, i Pisani fecero che il marchese Obizo Malaspina e Moruello suo fi- glio si ribellarono a Genova; e che questi signori partiti dalla Lunigiana, e congiuntisi con quelli di Passano e Lavagna, andarono, forti di tremila fanti e centocinquanta cavalli, ad invadere le terre di Chiavari e di Sestri; ma ne furono ribattuti. Per altro le ostilita trai Malaspina ed i Genovesi erano cominciate prima del presente anno, ed in questo non fecero che continuare (2). Anno 1173. — L’ arcivescovo Villano, di cui ab- biamo rcgistrati non pochi servigi resi alia pisana Repubblica, stanco delle persecuzioni sostenute per non aver voluto aderire all’ antipapa Pasquale, lascio (1) I falti per noi narrali, Sismondo Sismondi li narra all’anno se- guente*, cosi pure il Muratori, ma da’suoi dubbi fa senlire che inclina a ere* derli avvenuti nell’ anno presente 1172. (2) CafTari, Annal , Genuens , lib. II, tom. VI. fler, Hal. 345 quest’ anno la sua sedia vescovile, per volare alia ricompensa di quei che soffrono per la giustizia (1). Gli successe il nobile pisano Ubaldo Lanfranchi (2). I Pisani rinnuovarono la lega coi Fiorentini e col conte Macario, signore di Samminiato al Tedesco. La giurarono pel Comune di Pisa i consoli Ru- berto di Pietro Pagani ed Arrigo di Ranieri Fedc- righi (alcuni aggiungono Burgone Gaetani e Ghe- rardo Bottacci); pel Comune di Firenze Bernardo Adimari e Pinello Spinelli, consoli di quella repub- blica; e per Samminiato il conte ed il suo figlio Lamberto. Lieti di questa alleanza i Pisani volscro il pen- siero a confermare alcune antiche convenzioni col re di Majorica. A tal fine mandarono a lui Torpe Duodi con molti nobili cittadini ; ed il Re gli accolse con sommi onori e favori. Il compimento della mis- sione non cost 6 che il farla conoscere a quel mo* narca. Egli appago ogni desiderio, satisfece ogni do- manda, colmo di doni il Duodi, e lo rimando nunzio della piu perfetta concordia alia patria. Fu un giorno veramente feliee per l’illustre inviato quello in cui rese conto al Senato dell’ opera sua, e n’udi pago il popolo tutto. Ma se cosi bene andarono questi, non cosi an- darono gli affari con la Repubblica di Yolterra. La quale, con quella di Pistoja c di Lucca, fece con- venzione di aiutarle con cento cavalli e con tre- cento fanti contro Pisa e Firenze e qualunque ne- mico, tranne F Impero, la Chiesa romana ed il Co- mune di Siena. Per tal modo fermavansi le cose con (1) Villano fu deposlo I’ anno 1166. Fino al 1170 tenne il suo luogo l’intruso Benincasa, rna nel 1170 Villano fu reslituito. Tutlo questo da istru- menti dell’archivio arcivescovile. (2) Di queslo arcivescovo vi sono islrumenli dall’anno 1173 a! 1208. TOMO i. 44 S istrumcnto rogato da scr Giov. Bonaventura il 4 if * aprile (1). s Non per qucsto rimase affranto l’animo de’pi- sani; ma, simili a chi viaggia per una selva, nc cura se una foglia gli cade addosso, attesero allcgri alle case loro. La citta era ormai festosa di magnifici sacri ediflzi: tratta a compimento la Primaziale; perfetta del pari la vicina chiesa di san Giovanni. Mancava un campanile che alia grandiosita dell’ altre moli rispondesse, ed in quest’ anno determinarono inalzarlo. Si diede principia a cavare i fondamenti con grande profondita e larghezza, nel mese d’ ago- sto (2), 76 anni dopo la consacrazione del Tempio maggiore, 21 dopo la fondazionc del Battistero. Ma se conoscesi 1’ epoca del cominciamento, s’ ignora quella in cui la sacra torre fu terminata. Esiste bensi una protcsta fatta, 60 anni dopo, da Benenato ope- rajo dell’ Opera del Duomo, ove egli dichiara, fra le altre cose, che attendera alia edificazione del cam- panile. Da cio raccogliesi che l’ediflcio in discorso continuo a fabbricarsi dopo il 1233 (3). Tre furono gli architetti : Bonanno Bonanni Pisano, e Guglielmo d’ Inspruch. Tommaso d’ Andrea Pisano, secondo che porta la tradizione, vi aggiunse, alia meta circa del XIV secolo, 1’ ultimo ordine dove sono collocate le campane. Per loro ebbe Pisa una nuova maraviglia: una gran torre cilindrica tutta fabbricata di marmo bianco, fasciata da duegento sette colonne sorreg- genti sei loggiati, o pei istilii : una torre la quale se non vanta bellezza di greco disegno ( che mal si ri- cerca in un’ opera di quei tempi ) e certamente non (1) Il detlo Islrumento conservnsi nclT arcliivio comunilalivo di Volterra. (2) Il Tronci precis .1 il gorno, vale a dire la vigil ia di san Lorenzo, 9 agosto. (3) Vedi Repelli, Op. allr. cit. W" * -A S\J& 347 ingrata, ben adorna e dilettevole (1): una torre chc chiaramentc mostra la magnificenza degli antichi nostri avi. Ma cjuello per cui il campanile di Pisa risveglia specialmentc lo stupore e la curiosita di tutte le per- sone, si e la sua pendenza di braccia 7. 33 in un’ al- tezza di braccia 93. 33; talche a chi vi passa vicino sembra che ad ogn’istante sia per rovinare. Su que- sto dotti ed indotti sono allc presc fra loro, litigando se la inclinazione in proposito sia dovuta al caso od all’ arte. Lasciamoli contendere a loro posta, e ripi- gliamo il nostro racconto (2). Erano i Pisani aile rotte con i Cornetani: que- st’ anno segui la pace, il primo settembre. La quale fu conclusa per dieci anni, rogata e pubblicata nella chiesa di san Pietro in Palude, e giurata dai pisani consoli, eccetto il Pagani, e dai consoli cornetani che in nome del suo comune, fra lc altre cose, per- mettono a quci di Pisa di estrarre dal cornetano dominio grano e biada secondo il bisogno, promet- tendo di piu che non lo faranno loro pagare al di sopra di cinque denari per moggio. Ad un tempo stabiliscono, che i pisani trovando navi cornetane alia volta di Genova, potranno astringerle al giura- mento di non andarvi, ma portarsi invece col loro carico a Pisa : facendo esse il contrario, i pisani po- (1) Morrona, Pisa lllustrata neWarte del disegno, (2) Chi volesse conoscere gli scrittori che hanno pronunzialo diversi pareri su questa lite, potia consultare uno scritlo di Alessandro Torri inlito- lato Cenno storico e analitico dei discordi pareri su la pendenza del campa- nile pisano ; ed un allro di Bartolommeo Polloni Opmioni sulla pendenza della sacra torre pisana pronunziate dai migliori maestri dell ’ arte. II Tronci registra I’ opinione di alcuni i quali credono, che essendovi allora nella cilia guelli e ghibellini, ed i ghibellini prevaleudo di numero, ma i guelfi il governo lenendo, questi ordinarono all’ archiletto di far pendente la fabbrica ad avviso che, come cadono facilmenle quell i edificii i quali pen- dono, cosi fanno le repubbliche. 348 tranno offenderle e negli uomini e nelle cose, scnza die intendasi rotta la pace (1). I fatti di quest’ anno si chiudono con una dona- zione all’ Opera del Duomo, fatta da Barasone di Gal- lura: eccone i semibarbari istrumenti (2). IN NOMINE DOMINI, Amen. Ego Benedictus Operarius de S. Maria de Pisas Id la fatho custa carta cum voluntate di Domino, e de 8. Maria, e de 8. Sim- plichi, e de Judisce Barusone de Gallul, e de sa muliere donna Elene de Laccu Reina appit kestu Piscupii Bernardu Kivita, cum Jovanne Operariu , e mecum, e cum Previtero Monte magno kercate nocus pro 8. Maria de Vignolas, e pro 8. N astasia de Marraiano , e pro S. Petro de Surrasce, e pro 8. Maria de Surrasce , et pro $. Lusturiu de Ornuiar, et pro S. Maria de Barathanos , e pro sa domo de Villa Alba, e de Gisalle, cum omnia pertinenthia issoro pro levare leles assepara de S. Maria de Pisas, e nois fechimus jude campania cum ise a boluntate de pare, e de Judike Barusone, e le- vare 8. 8implichi, e 8. N astasia de Marrajano, e issa corte de Villa Alba, e issa corte de Gisalle, cum omnia pertinentia issoro, e issa opera de 8. Maria leuau a 8. Maria de Laranibanos, e 8. Inissu- riu de Eroviar, e a 8. Petru de 8urake, e a 8. Maria de Surake, e a 8. Maria de Vignolas cum omnia issoro, e cum so populo de Surrate , e de Vignolas cum sa Eclethia paupera pro aver inde su Piscopatu pro su populu sa vastichia, e obedienthia sua carta li dretat .... Judike Barusone, e Costantine ispanu e Petru de Pu- pella, e prite Natale, e prite Comita portas, e prite Marchu , e prite Petru Lupu, e Conitia Gattu, e prite Gosantine Troppis, e prite Gosantine Gulpio, catteros meta testes. Esende facta cuesta campa- nia cum su Piscupu a boluntate de pare Torraremos su Piscupu sa domo de Gisalle pro anima sua, e de sos Clericos suos, e issa domo de Villa Alba, pro precu kindeli mandarum sos Consolos , e nois demus illi dua Ankillas ki furun coniuvatas, suna cum cervo (1) II documenlo relalivo conservasi nell’archivio de lie Riformagioni in Firenze. (2) Conservasi il primo nell’archivio dell’ Opera, il secondo nell’archi- vio capitolaie di Pisa, In enlrambi gl’ istrumenti Barisone si nomina giudice e re, ma di Gallura: chiara prova che non avea di re se non il nome. £>rvA/ r'^0) 349 suo in loco de mola, e sa terca in templo, cum servu de malu sennu , a sunanaran Maria Trivillo a sa terca, Torgia furchilla suna fuit de sa domo de Villa Alba, e sa terca fuit de S . Petru de Surrake, pro partire isso fetu ke fu natu, cappitu, conventu de partire sos filios de Gaccini totu mu keappe in Ankilla de S- Petru de Surake testes Judike Barusone Episcopu Iovanni de Galtelli, e prite Petru Lupu, e Gostantine Troppis, e prite Marchu, e prite Natale, e prite Gosantine Gulpio, e prite Gormita Gattu , e prite Comita prias, e Gerardu de conettu, e Vivianu Majore di portu Orisei, e Petru de Puppellu, e Ckitemel settie, e Marianu Eskise, e Isoruor de Laccio, e Frerato Sevata, e de servos de Regno, Petro Bolmos, e Craves Kiccolie, e Siani Saraca, e Jaccone Petresa attesos metatestes . Anno Domini milles. centes. septuages. tertio. IN NOMINE DOMINI, Amen. Ego Iudike Gosantine de Laccon Rex kite fatho custa carta cum boluntate de Deu, e de muire mea donna Elene de Laccon Re- gina pro vene kifatho a Sanctu Fele de vada, e a S. Joanne de Oscillili, pro anima mea, e de parentes meos, Doli su saltu de juri fai, inco tenet appare cum ' su veruri, et torau termenes de custos saltos daere surrivir de sa terra secata, collat derectu a sube du dessa continade sa bia, de locu, e dai unde a su castru des solidone, e dai unde collat, tortuve, rivu ulisu dusca amonimentu fabricatu, et dai unde girat sa serra des sa petra alba dusca assu Castru da Petru Manca, et essit a su castru de satiria, e da iunde a su castru des- selike, et essit a sa petra gnuata incouan sa via de Sulliali, terra iufakem a silva a doruele, et falat su rivu dessa pira pinta assa catina a duve si fera, appare su rivu majore cu su rivu dessa pira pinta, et da unde falat tottu cu su rivu destabite, et dainde falat a duru si regon trottos, et dajunde bactottuve su rivu de theis derectu assa vimpatorna Kicum pansos de nucule, kerraban a gultu dofe in eo benit sa via dusca asta funtana dispatula, e dajunde falat assena dessu sabuua, in co torrat supra tu dilo, e derettu a su castru, mannu dessu surgogo, et falat va a piscina de Serluctu, et essit asta bia de sullili, e da jonde tottu cu sa via do sullili a derettu assena de godonore, e daiunde collat in susse, et essit assa via de gultu- dofe, duiunde tottu ve sa via dusca assiscala Kisigertan assis cla- dithoccor de rethas e dajunde pur usa via dusca assu terra secata, et cuin si affliscat appare custos saltos ki li do a Sanctu Fele de Vada, et a S. lohanne, e sollili, et a S. Maria de gultu dofe Kin- •: biappat pertenenthla , de levarclilu negunu Judike, kin keat esser in Gallul nen pro silva nen pro glande, non pro pratu, post morte mea, et doli assoltura de casticar silos custo saltos co ad omnia saltu de secatura de rennu , e Mariane spanu, et Gostantine su fratre, et Go- santine de Thori, e Petru de Serra, et Comita de Gunale, et Bittor de Vadulatu, et Comita Pas, et Gosantine Napaia, et portusulo cum meu Inkesum testes. Et ego Judike Barusone de Gallul ki la renovo custa carta, dava vetere, a nova ki sekit patre meu Judike Gosantine, a JSanctu Fele de Vada, et a S. Johanne de Sulliie, et a S. Maria de Gul- tudofe, et bocolos sos homines de S. Johanne, e de 8. Fele de Va- dam, et de S. Maria de Gultudofe, e de 8. Felicita de Bitthe, de nolos prodare pro silva vende Judike, vende curatore de nolos pro- dare procorona, junde Judike, junde curatore, et denon tornare ne- guna opera , ne de Judike, ne de curatore, de opera de Sigillu, e de non levare ovi, ne pro Judikerie, pro curatore, ne ad istos, ne as sas luieras, kaian covinare cum suos de custas Clesias, et de prod, kil. at dare Deu in casticatos de locu, aut in silva, de curatore adi- gnos issoro, a canes issoro, a caste issoro a cavallos issoro, appa- rinde per deet de pethas, et de pelles usque in sempiternum, et Ma- riane Efiasi, et Mariane de Terra, et Baltaro lavita, et Petru Ispa- gliaru, et Gosantine Garrigaru, et servos de renu, Petro Dulumnus, Janne Saracca, Jacone Fecresa, testibus. Signum apensum. Barusone Rex Galluri. 1174 . — Alcuni regoli della Sardegna, e spe- quello di Arborea, avevano concesso ai di potere abitare in quell’ isola, e n’erano molti scandali. Giunta di cio notizia ai spedirono iminediatamente il console Ca- due galere, sotto la scorta di Pane e Porro console, visitati i luoghi piu sospetti, ne genovcsi; gravemente ammoni i giudici deir errore commesso contro la pisana Repubblica, e li minaccio, facendo loro sentire che era stato man- dato per punirli come cittadini e feudatari sleali. Eglino allegarono dclle scuse: dissero che avevano Anno cialinente Genovesi provenuti Pisani vi rone con Gaetani. II caccio i 351 accolti i genovesi per sola ragione di mercanzie; che avvisavano non essersi con cio fatti rei di alcuna colpa; ina che nullostante eran pronti al liparo: e conchiusero che a prova di fedelta erano presti a giurare di compiere quanto venisse loro imposto. II console, sebbcne non li credesse affatto innocenti, si accontento, e promise ai rcgoli di scusarli e di- fenderli a tutta possa in faccia al Senato; comando loro di star vigilanti per 1’ avvenire, e si rimise in via per tornare alia patria. Ma i genovesi, intcsi dellc cose dell’ isola, erano usciti con sei galere, e stavano in agguato per prendere il console al suo ritorno. Infatti, scopertolo appena, gli diedcro la caccia; ed il giorno di san Vito, 15 giugno, presero una delle due galere pisane : per buona ventura si salvo quclla che portava il console (1). Il quale pcrvenuto a Pisa, espose al Senato quanto era accaduto: si decise la rappresaglia, ed alia fine del mese due galere bcnis- simo armate facevano gia vela .verso Provenza. Ivi presero due navi genovesi cariche di merci ; arsero certi altri piccoli legni, e tornarono indietro. Tro- varono tre galere pisane che poco dopo le avevano seguite, e che avevano predata esse pure una nave nemica. Andando allora di conserva, si abbatterono in una sesta galera di Pisa, chiamata la Battaglia, la quale era attorno ad un galeone carico di panni che se ne andava a Genova. Non v’ ebbe mai piu facile vittoria. Le sei galere pisane, battendo tutte insieme la nave genovese, in un istante F ebbero presa, e uni tarn ente alle altre la condussero a Pisa. Non cosi fu felice la spedizionc di due galere ar- mate da Gherardo Marzucco. Se ne andavano alia volta di Marsiglia Ivi erano per merci alcune navi II Mnralori parla di un console Carone all’ anno 1170, e dice che se preso dai genovesi con la sua nave, Annali d ’ Italia , ann. 1170, S 2Xy\/\- -rsJS&l 352 cli Genova. Avuta notizia delle navi pisane, si misero in agguato per sorprenderle : ne falli loro il colpo. Poiclie scbbene le navi di Pisa scuoprisscro 1’ insi- clia e si mettessero in fuga per iscampo, persegui- tate dalle nemichc ne furono in breve spazio glo- riosa preda. Questo danno fu peraltro compensate ben presto. Alcuni nobili pisani, fatta fabbricare una grossa nave ed armatala d’ uomini e di guerrieri strumenti, si mi- sero in mare avidi di qualche illustre intrapresa. Cinque mesi lo corsero, senza trovar mai occasione di spiegare la loro forza e la loro bravura. Quando meno se Fattendeano, glie Foffri la fortuna: sendoche sopra Sardegna incontrarono tre navi genovesi che venivano di Barberia, e, senza contare il numero, si diedero a battagliarle e n’ ebbero vittoria : ne tras- sero la roba, e poi le affondarono. Abbiamo che in quest’ anno Guglielmo II re di Sicilia, desideroso di. fare qualche prodezza contro i Saraceni che ogni di piu avanzavano in Oi iente alia rovina del regno gerosolimitano, levo una grossa armata e passo in Egitto. Sbarcato presso Alessan- dria ne sacchcggio i contorni ; prese una nave pisana venuta da Venezia, non gli uomini, che si salvarono entro Alessandria: poi per tre giorni continui la citta stessa batte fleramente; ma gli venne meno il dise- gno. Imperciocche v’ crano alia difesa, oltre i citta- dini, molti stranieri di differenti nazioni, e fra gli altri i pisani, ai quali tutti importava mantenere quel porto per il loro interesse. Fu forza al re tornarsene in Sicilia; ed i pisani, in ricompensa dei prestati ser- vigi, ebbero in Alessandria maggiori esenzioni ed abi- tazioni migliori. Due leghe intanto concludeano i Pisani. Una coi Romani che la ricercarodo; e fu trattata e confcr- mata, per Pisa, dal conte Gherardo e da Ugo d’ Or- 353 lando del Tintore. L’ altra coi Veneziani, e fu con- clusa in Venezia da Bulgarino Anfossi, per cinque anni, e coi patti seguenti : che i pisani darebbero a Venezia la quarta parte delle gabelle e dei diritti sulle merci di Levante; che i veneziani, in ricambio, assicurerebbero ai pisani Y Arcipelago in modo, che niun danno potessero patire dai corsari; in ogni caso poi li reintegrerebbero senza lite od eccezione al- cuna. L’ otto settembre tornava da Venezia l’Anfossi insieme con Giovanni Duodi inviato veneziano, c su- bito la lega fu pubblicata. Venti giorni dopo (f) il Barbarossa rientro in Italia per la Borgogna e per la Savoja. Occupo Tori- no ed altre circonvicine citta resesi spontaneamente; ridusse Susa in un mucchio di pietre; corse sopra Asti; I’ assedio per otto giorni, e Y ebbe per capitolazione. Poi rivolse tutto il suo furore contro Alessandria della Paglia (2), e vi stettc all’ assedio dal 29 otto- bre a tutto il verno dell’ anno seguente. Anno 1175. — Ncl quale (3), riuscite inutili le sue macchine, le sue armi, la sua costanza, i suoi tradi- menti; ritiratosi in Pavia, comando che venissero a lui deputati da tutte le citta d’ Italia, e particolarmente dalla Toscana. Voleva Y accorto ambizioso conciliare una volta la pace, perche vedeva bene che dalle di- scordie dei toscani comuni, e specialmente di Genova e Pisa, ne potrebbe venire gran nocumento alia sua (1) Sire Raul. Histoir. lom. VI. Rerum Italicarum. (2) Alessandria ebbe questo nome per avere di fango e legati di paglia i suoi baluardi (Sismondi). (3) II Tronci segna all’ anno 1174 le cose che noi regislriamo ai 1175 Abbiamo creduto bene di farlo per I’esempio del Muratori, e per la ragione jlli in proposilo sono posteriori all’ assedio d’Alessandria, finilo, a delta i migliori slorici, nel 1175. TOMO I. 45 354 causa, o almeno la mancanza del loro aiuto, ch’egli tanto desiderava. Per la pisana Px.epubblica vi anda- rono i cousoli conte Gherardo ed Alberto Gualandi. L’ Imperatore li accolse onorevolmente; poi, chiarna- tili a parlamento insieme coi deputati di Firenze, di Genova e di Lucca, si diede con tutto F animo ad adoprarsi per ridurli a concordia. Mostro loro che i feroci sdegni onde si consumavano scarnbievolmente, danneggiavano non solo le repubbliche loro, ma ben anche F impcro. Lo per che io venni, soggiungeva, come amico comune, risoluto cli troncare tutti i liti - gii: rimettete liber amente in me tutte le differ Mize, ed io le comporrd con satisfazione di tutti. Lodarono gF inviati F imperiale pensiero; peral- tro, siccome non avevano alF uopo speciale mandato, pregarono Federigo di conccder loro almeno cin- quanta giorni per potergli rispondere; ed egli con- cesse. I deputati si restituirono quindi sollecitamente ognuno al suo paese, a riferire la volonta del Bar- barossa. Si fece in Pisa lunga e matura discussione, in seguito della quale si stabili d’ inviare nuovi am- basciatori con mandato amplissimo rapporto alia pace; essi lurono il conte Gherardo e Marzucco consoli, ed Ormanno Paganelli. Arrivati al tempo prescritto, si cominciarono le trattative. I capi principali di tante liti si riducevano a due: la Sardegna e la fortezza di Viareggio: quella perche i pisani ne pretendevano csclusivamente il dominio intero, ed i genovesi se ne arrogavano la meta; que- sta perche i lucchesi e i genovesi F avevano edificata nolle paludi dello stato pisano, donde lo danneggia- vano continuamente. Dopo lunghi discorsi finalmente F Imperatore pro- nunzio: che la Sardegna fosse divisa in due parti, e ne tencssero una i pisani, F altra i genovesi, senza 5)W- I mai piu molestarsi (1). Che il castello di Yiareggio ^ fosse dai lucchesi e dai genovesi distrutto sin dalle fondamcnta, ne mai per volger di tempo ricdificato. Questi erano i punti principali della sentenza. Ye n erano anche altri di minor conto, come : la resti- tuzione clei prigionieri, e la proibizione ai pisani di batter moneta ad imitazione del conio lucchcse. Onde fosse osscrvato quanto egli aveva deciso, Federigo ordino che ciascuna repubblica facesse giu- rare mille de’ suoi cittadini. Contuttocio i Comuni sentendosi tutti aggravati dalla imperiale decisione, ne mandarono in lungo Fese- guimento. Non poteano i pisani acquietarsi di per- der mezza la Sardegna; i lucchesi e i genovesi di distruggerc una fortezza fatta con tante spese e tanto vantaggiosa: ad onta del divieto di Barbarossa non cessarono le ostilita. Anno Ji76. — 11 29 maggio Federigo vcnne a bat- taglia con la lega Lombarda fra Legnano e il Ticino: la sorte delFarmi fu una volta per la giustizia. Percosso dalla mano del Dio de’popoli, Federigo dovette co- minciar ad allcttare pensieri di pace, e ne mando ambasciatori al Papa in Anagni. Andaron con essi alcuni nobili pisani, i quali acquistarono tal grazia presso il pontefice, che confermo ed amplio tutti i privilegi gia concessi all’ arcivescovo ed alia chiesa di Pisa. Negli annali manoscritti abbiamo che Federigo con la sua moglie Beatrice ed il figlio suo vennero a Pisa; ed in tre giorni diversi vi fecero ciascuno di loro ingresso solenne. Saputasi la venuta di Sua Maesta, furon mandati molti consoli ad incontrarla. (1) Ai pisani i giudicati di Logodoro e di Gallura; ai genovesi furono icati di Cagliari e di Arborea. Serra, Storia dell’ antica Ligu - AH’ arrivo, tutti i magistrati e molto popolo F accol- sero alia porta Calcesana. Per primo ossequio furon- gli presentate in un bacile d’ oro le chiavi della citta, in segno di padronanza; e il Barbarossa, toltele ap- pena in mano, le restitui ai consoli, con molta cor- tesia di modi e di aggiustate parole lodando la fe- delta della pisana Repubblica. Poi entro sotto un bel- lissimo baldacchino di broccato d’oro, portato da nobili giovani pisani, vestiti tutti di sontuosi drappi; passo per la via del lung’ Arno nobilissimamente ap- parata, ed ornata qua e la d’ archi trionfali e statue rappresentanti le imprese e virtu di Federigo (1). Giunto egli alia chiesa di s. Niccola, ove F atten- deva F Arcivescovo in abiti pontificali con tutto il clero, smonto da cavallo; fattesi quindi le accoglienze d’ uso, fu proccssionalmente accompagnato alia chiesa maggiore. Alla porta della quale, divotamente al so- ldo, bacio la croce di Colui al cui vicario aveva fatto tanta guerra; e, seguitando tra innumerevole e splendido corteggio, s’ inginocchio sopra ricco strato a fare la sua orazione. Pagato questo tributo alia religione fu condotto al palazzo arcivescovile, ove a lui ed a tutta la corte erano state preparate convenevoli stanze: all’ intorno tutto risuonava del grido Viva /’ impero : grido sin- cero in pochi, insignificante in molti, stoltissimo in tutti. Il di seguente fece il suo ingresso F Imperatrice; l’altro il figlio: per otto giorni che le Loro Maesta si trattennero in Pisa, continue feste ed allegrezze: (1) Non so quanto debba credersi questa venuta del Barbarossa in Pisa, dopo quello che gli avvenne a Legnano. Nel caso che voglia tenersi per vera, non si lasci almeno di notarc negli archi e nelle statue inalzate all’im- peratore, come I’adulazione abusa sovente delle cose; facendo della ferocia, della prepolenza e della piu inumana crudella una virtu. 357 gli augusti personaggi partirono, mostrando la piu viva satisfazione. L’imperatore non cliede mai segno di scontento perche i pisani non avessero osservata la pace con Lucca e Genova, com’ egli aveva stabilito e decre- tato. Forse non gf importava gran fatto; o piuttosto le angustie in cui si trovava lo consigliavano a la- sciare andar le cose onde conservarsi gli amici che gli erano rimasti: ad ogni modo i pisani avrebbero saputo provare che non per talento, ma per neces- sity s’ erano mantenuti nemici ai lucchesi ed ai genovesi. $ Anno 1177 . — Frattanto, rasa la baldanza del Barbarossa, la Chiesa di Dio comincio ad avere un poco di pace. In Yenezia si riconciliarono 1’ impera- tore ed il papa: piansc Alessandro III di gioja e te- nerezza; Federigo parve commosso di venerazione nel baciare i piedi al pontcfice, ma fremeva di vedersi umiliato. Anno 1178 . — Qual fosse l’animo suo mostrollo infatti ben presto. Poiche passato da Yenezia a Ra- venna e quindi a Cesena, s’ impossesso del castello di Bcrtinoro; ne per doglianze che gliene facesse il pon- tefice, si rimosse dal suo proponimento. Da Bertinoro passo a Spoleti, quindi in Toscana. In tal’ occasione vennc a Pisa. Ebbe stanza nel palazzo archicpisco- pale, ed ai canonaci ed al Capitolo pisano concesse un privilcgio, confermando loro tutti i favori e doni sin’ allora ad essi largiti: compivasi quest’ atto alia presenza di Ottone eletto di Bamberg, di Guglielmo marchese di Monferrato, di Enrico marchese Del Vasto, del marchese Moruello Malaspina, del conte Gherardo di Pisa, d’Ermanno Paganelli, di Guido da Montemagno e d’ altri, il 29 gennajo. Nel mese di dicembre Alessandro III creo car- dinal diacono del titolo de’santi Cosimo e Damiano Graziano cli Pisa, nipote d’ Eugenio III. Nel 1163 era egli abate di san Paolo a ripa d’Arno. Poi fu per lungo tempo suddiacono e scrittore apostolico, ser- yendo come cancelliere la Santa Sede. Perpetuo compagno d’ Alessandro III, lo fu pure a’ di lui suc- cessori fino ad Innocenzo III, ai quali giovo molto com’ uomo di somma prudenza e dottrina. Ubaldo arcivescovo di Pisa, in quest’ anno, per interesse della sua mensa obbligo quei di Bientina (1) ad abitare in certo luogo a capo di un ponte del castello verso oriente; proibendo loro di abitare altrove: e ad un^tempo loro concedendo dei beni in feudo, a larghe conclizioni. I Bientinesi prestarono giuramento d’ obbedienza e di fedelta (2). Nel archivio delle Riformagioni in Firenze esiste uno strumento, per il quale risulta un trattato di pace fra i Pisani e i Nizzardi di Provenza. Anno M79. — Pace fu pure col comune di Grasse. A questa citta di Grasse fu traslatata la sede episco- pate di Antibo, a cagione delle ostilita dei corsari. Ivi il conte di Tripoli concesse casa alia primaziale, all’ ar- civescovo ed al comune di Pisa. Anno il80. — Fra tanta varieta di cose si ag- giungevano sempre nuovi ornamenti e nuove ric- chezze di materie e d’ arte alia cliiesa maggiore. In (1) Bienlina, seu Bientina et curti Valentina. Da documento sincrono si ha che nell’857 era della chiesa romana. Nel 975 fu dala in enfileusi dal vescovo di Pisa ai marchesi Spina, poi Malaspina, e quindi da questi rivenduta al vescovo pisano nel 1116. Ne! 1138 fu donala alia pisana primaziale dal- I’imperatore Corrado II. Nel 1285 fu dei lucchesi. In breve torno ai pisani. In seguilo segui la sorte di Pisa. II Dal Borgo assicura ehe questa terra, fino a tanlo che dipese dalla Repubblica, ebbe sempre una capitania in mare. Sulla piazza di Bienlina evvi un cartelio ad atlestare come nel 1713 il gran- duca Gian Gastone vi andava ad onorare le ossa di s. Valentino martire. Da Bientina piglia il nome il lago che si eslende in prossimita, nel cui mezzo evvi un’ isola ove sorgeva gia un castello, distrutlo nel 1148. (2) Contralti nell’ archivio arcivescovile. quest’ anno Bonanno Bonanni fondeva c poneva la porta reale del Duomo, in bronzo c storiata, consunta poi in un lacrimcvole incendio, del quale dovremo a suo luogo muover parola. Risulta dalla seguente iscrizione : Janua perficitur vario constructa decore Ex quo Virgineum Christus descendit in alvum, Anno 1180. Ego Bonannus Pisanus mea arte hanc port am Uno anno perfect, tempore Benedicti Operaip Anno 1181. — In tempo che sedcva sul soglio pon- tificio papa Alessandro III alcuni andarono seminan- do false dottrine sulla Resurrezione. II clero di Pisa zelando la purita della fcde, prego Ugone Eteriano, poi santo, che volesse ribatterne i nuovi nemici; ed egli, non sapendo rifiutarsi alia pia richiesta, diede alia luce il suo libro L)e anima corpore jam soluta. Evyi ragione di credere che questo sacro scrittore fosse pisano. Furono creati consoli quest’ anno Bul- garino Visconti, il Burgense, Enrico Cane, Bernardo Cacciapoli, Ugone da San Felice, e Gherardo Cei, i quali empierono il loro consolato di molte utili cose e di gran servigio alia citta; scndoche il pubblico bene amavano veramente e la giustizia drittamente amministravano. Salendo alia sedia consolare, trovarono che l’era- rio pubblico scarseggiava perche i debitori del Co- mune erano restii al pagamento; ed cglino glistrin- sero a soddisfare, sotto la pena della privazione degli uffizi, nel termine di due mesi: cosi i privati non furono piu usurpatori delle rendite pubbliche. Spedi- rono Ugone Orlandi e Gualfredi Grasso ambasciatori alia citta di Albenga, onde fermare con essa la pace; e la conclusero di fatti con piena satisfazione di tutti, e con giuramento dell’ una e dell’ altra parte la san- zionarono. Lo stesso avvenne con quelli del castello 360 di Monte, e del castello Vultrajo, con patto peraltro che userebbero misure e pesi pisani, e col conio pi- sano farebbero le loro monete. In mezzo a queste pacifiche negoziazioni corse la fama che i giudici di Sardegna avevan tra loro discordie gravissime: il giudice d’Arborea si era guadagnato il favore di Ugone di Tossa con molti soldati; si era levato con- tro i regoli di Torre e di Caglieri, e n’eran seguiti dalF una e dalT altra parte danni considerabili. I consoli pisani, onde metter riparo a questi incon- venicnti, spedirono subito i due loro colleghi Ber- nardo Cacciapoli ed Ugone da San Felice. I quali giunti in Sardegna si diedero a comporre le liti : non persuasero; minacciarono; e quei regoli, non di buona volonta, ma per timore, condiscesero alia pace. I due consoli non pensarono che le cose fatte per forza son poco durevoli : si parve peraltro ben presto; poi- che partiti i due inviati della Repubblica i giudici la ruppero nuovamente tra loro, e tornarono siccome prima aH’armi e ai danni. Ne andava, ormai dell’onore per il Senato di Pisa, se lasciasse impunito F inso- lente orgoglio di quei sudditi. Non fu dunque lento a mandare, sopra ben’ armata galera, nuovi inviati, i quali furono Alberto Gualandi con i due consoli Bulgarino Visconti ed il Burgense. Essi scorrendo da un giudicato all’ altro; la dignita consolare interpo- nendo; minacciando ciascun regolo, che la Repub- blica gli spedirebbe contro un’ armata, e d’ ogni au- torita lo spoglierebbe, volendo clla che i propri sud- diti vivessero in pace, riuscirono finalmcnte a stabi- lire la concordia: F arcivescovo Ubaldo, che allora visitava F isola, vi coopero con tutto lo zelo della re- ligione e della patria. Tolte via le ragioni delle liti, i giudici giurarono che sarebbero amici; ma perche, da tempo antico, il giuramento c debole pegno di mantcnimento di fede, i consoli stabilirono fortissimo 361 pene contro chi primo l’amicizia rompessc; ne si partirono, finche non ebbcro fatto capire a ciascun regolo : Che obbedisse ai datigli comandi, o gliene incoglierebbe male, no potrebbe lamentarsi che di se stesso. In questo modo la Sardegna pote respirare dagF intestini tumulti. Appianate le clifficolta di Sardegna, altre ne in- sorsero per i Pisani colF imperatore di Marocco. Qual se ne fosse la causa, air improvviso aveva egli fatto chiudere il pisano stabilimcnto di commercio in Bugea, ritenere i mercanti e le merci, delle quali minacciava la perdita. Sentendo la Rcpubblica qual danno immenso le ne verrebbe ovc Y imperatore durasse nell’ira, i consoli e Farcivescovo Ubaldo gli scrissero in questi termini: All 9 eccellentissimo e serenissimo Signore Giuseppe fedele imperatore , figlio dell 9 imperatore dei Maomet- tani fedeli , re dei regi , signore dei signori , ed ehniro di tutti gli elmiri: Gbalclo arcivescovo pisano pri- mate della Sardegna , ed in essa legato della Santa Sede romana, ed i consoli pisani , e i consiglieri , e tutto il popolo pisano a lui fedelissimi in servirlo ; e che Iddio per la Santa sua misericordia lo difenda , lo protegga e lo conservi. Noi veri fedelissimi amici abbiamo cara e grata la vostra pace e la vostra amicizia, e desideriamo servire in tutto alia vostra sublimitd. Ed essendo vo - slri fedeli , ed avendo in voi la piu grande speranza e fiducia, altamente ci maravigliamo che nel vostro regno di Bugea sia stato decretato, che i Pisani non possano provvedere e comprare ne cuoiami ne bee - cumi ; e che i mercanti nostri vengano costa rite- nuti contro loro voglia , e che siano impediti di escirne a loro piacere. Per il che con tutte le ma- TOMO I. 46 m 362 niere che possiamo, preghiamo la vostra magnifi- cenza, che ben riceviate i Pisani come per lo pas- salo avete [alto, e che, se vi place, comandiate ai vostri baili cli Bugea , che non facciano rerun de- creto proibitivo ai pisani negozianti dellc cuoia, dei beccumi e delte altremerci; e che essi possano costa entrare e uscire liberamente, acciocche poi possiamo presentare a Vostra Altezza ringraziamenti mol - tissimi. Questa lettcra ebbs Feffetto desiderato. II com- mercio dei pisani fu rimesso in fiore siccome prima. Ma lc tante commerciali operazioni rcstarono fra- stornate dalla discordia coi lucchesi. I consoli volsero tutta la mente ad acconciare le differenze, e dopo lunghe contese la pace fu firmata il 16 giugno (1) a questi patti : I lucchesi renderanno agli abitanti della citta, dei borghi e subborghi di Pisa, entro quindici giorni, i beni di lor pertinenza nello stato di Lucca, comunque alicnati, donati o venduti. Non daranno mai aiuto ne in pubblico ne in privato ai ne- mici dei pisani; ma la Repubblica lucchese conccdera licenza a’ sudditi suoi di levarsi a vantaggio di Pisa contro chicchessia, purche non lucchese, ne ai luc- chesi attualmcnte confederato. I pisani avranno la meta dell’ entrate delle ripe e della dogana del sale, ne pagheranno di gabella piu che i cittadini lucchesi. Avranno pure la meta degli utili della mo- ncta che si battera in Lucca (2); i lucchesi rimbor- (1) Ptolcmeus Lucenses, Annal brev. lorn. II Rerum Italic. (2) Toloiniio d;i Lucca riporla che Lucio III, lucchese, succcsso a papa Alessandro III ai primi di sellembre, concesse in quest’ anno alia sua palria il diritlo di bailer moneta : Concessit lucensibus monetam cudendam. Ma que- slo dirilto Lucca I’aveva fino dai lempi dei rc Longobardi. Pare dunque che il privilegio di Lucio III debba ristringersi al valore che la moneta lucchese avesse libero corso negli stati della Chicsa romana. — Vcdi Muralori, Annali d' Italia , K c- 363 seranno i pisani d’ ogni spesa occorrente per la guardia del mare, per fondaco, per galere, per ambasciatori, per dogana ed altro ; F arcivescovo di Pisa avra libera giurisdizione sulle chiese e sugli ecclesiastici esistenti nello stato di Lucca ; i lucchesi non faranno guerra, ne insurgeranno con delle dif- ficolta contro i pisani, per i beni dal vescovo di Lucca posseduti nello stato pisano; che sc ne nasca discordia, non dovranno i lucchesi giovarc d’ aita il loro vescovo, per non romper la pace; nessun lucchese potra falsificare la moneta pisana, e questa avra corso in tutto il territorio lucchese. I lucchesi non potranno fare nel loro comune nuove forti- ficazioni; ma dovranno invece entro venti giorni, ancorche non richiesti dai pisani, demolire le forti- ficazioni gia fatte, ne inalzarle piu mai in avvenire; ne da Capocavallo fino alia Magra apriranno porto od altro; ne per questa estensionc ricetteranno al- cun legno qualsiasi ; o lasccranno scaricar mercanzie d’ ogni maniera : lo che solo i pisani potranno fare, o in compagnia de’ lucchesi, i quali ne avranno fa- colta per due anni; i lucchesi non metteranno im- pedimento di sorta ne ai pisani, ne ad altri che vengano a Pisa, o ne tornino per terra o per mare; coloro che verranno di Garfagnana o di Yersiglia con mercanzie dovranno prima andare a Lucca, e poi liberamentc a Pisa ; il Comune di Lucca ren- dera a quei di Corvara ed altri tuttocio che il pub- blico o i privati ritengono di loro, prendendo lc mossc da otto giorni innanzi a quello in che alia pisana Repubblica si raccomandarono, fino al pre- sente : quei di Corvara poi non saranno molestati in futuro dai lucchesi , ma dentro un anno re- stituiti loro i castelli, e la pace mantenuta per scmprc ; i lucchesi finalmcnte faranno pace coi lio- rcntini ed altri confederati di Pisa: tutto giurato da 364 duemila cli Lucca. I pisani fecero quasi le medesime promessc (4). Anno 1182. — Baldovino VI conccsse, o, meglio, conferred ai Pisani piazza nel porto di Accon (2). Air arcivescovo di Pisa continuo e consolido tutti i privilegi di papa Lucio III (3). II quale nella sua prima promozione di cardinali inalzo, fra gli altri, il nobile pisano Pandolfo Masca, dandogli il titolo dei dodici apostoli. Fu Pandolfo uomo di molte virtu e molte lettere; scrisse la vita dei Pontefici, gli Annali di Pisa e di Genova; le sue opere ma- noscritte arricchiscono in Roma la biblioteca Vati- cana: ma seguitiamo. Diciamo dunque che alcuni nobili cittadini, vo- lendo farsi maggiormente potcnti sulla citta, deter- minarono edificare un ponte sull’ Arno col nome di Ponte Nuovo onde distinguerlo dal gia esistente della Spina, il quale restcrcbbe col nome di Ponte Vecchio. Maturate le cose, i Cortevecchia, i Gualandi, i Gaetani, i Duodi e i Galli, col consenso dell’ Arci- vescovo, dieder mano al lavoro. Ma altri cittadini non meno nobili e potenti, sdegnosi di non essere stati richiesti di cooperazione, o forse ancora per so- spetto, pensarono d’ impedirlo : primi tra questi, quei d’ Albizzi, quei d’ Uguccione, di Gentilizio e di Pan- dolfo. Ed ecco una gran divisione nella citta; se- guaci da una parte e dalP altra; e la plebe, al solito, costante della sua incostanza. Nondimeno si seguito nel fatto disegno ; e, pronta la materia, si diede mano allc murella dal lato di santa Maria, nel mese di (1) Gl’istrumenli di questo traltato trovansi nell’archivio delle Rifor* magioni in Firenze. Tolorneo da Lucca dice che i pisani giurarono di tenere i lucchesi per ciliadini di Pisa, con dar loro facolla di mercatura in Pisa al pari dcgli stessi pisani, (2) V. I’istrumento nell’archivio delle Riformagioni in Firenze. (3) V. la Bolla relaliva. 3 agosto. Yi si lavoro fra continui torbicii e grandissime inquietudini ; con tutto cio toccarono la perfezionc. Non cosi peraltro and 6 la faccenda dalla parte di sant’ Antonio : si venue alle armi ; e nei tumulti civili per siffatta guisa si rimescolarono le cose, che, mute le leggi, fu lecito ogni libito. Non contenti di questo i d’Albizzi e gli altri rammentati di sopra, perche, ad onta di tutto, la costruzione del ponte continuava, essendo gli operai difesi da fortissimo numero di guardie, andarono coi propri partigiani ai danni delle case dei contrari. Presero a forza la torre di Gualfredi de’ Gualandi, e la diedero alle fiamme con quanto v era dentro. Cosi la confusione crebbe nelfinfelice citta, e, non che si potesse pensare a crear il magistrato supremo, non si adunava nep- purc il consiglio generale. Per vari mesi le cose andarono di male in peggio. Alla fine, essendo or- mai troppo chiaro che la dolce patria cadeva in rovina, molti benemeriti si riunirono, e con somma prudenza adoprando, fecero che il gran Consiglio si accolse e dodici consoli nomino. Furono essi Ghe- rardo e Pietro Visconti, Ubaldino di Simone, Vitale di Gattabianca, Bulgarino da Caprona, messer Giu- liano Casamatta, messer Andrea Ripafratta, Buonac- corso Anfossi, Giovanni Familiati, Aldobrando di Paola, Ubaldo Grasso, e Vernagallo di Andrea; uo- mini tutti di senno e di autorita, quali alle attuali circostanze si addicevano. Entrarono in carica pre- stando il solito giuramento ; ma diedero anche pe- culiare promessa di attendere con ogni diligenza, e di fare ogni prova per toglier via le division! d’animi dalla citta, senza mirare ne ad amici ne a parenti, per lo bene comune: che la carita della patria e prima d’ ogni carita. Infatti gl’ illustri magistrati chia- marono a sc i capi delle due fazioni, e gli esortarono a spogliare ogni rancore ed ogni odio; ne permct- k 366 tore che, per private passioni, la Repubblica fosse sterminata. Dichiararono insieme che ove al comu- ne vantaggio non si arrendesscro amorevolmente, sarebbero contra di loro, con tutto il rigore, i con- soli e tutti quelli di cuore veramente cittadini. I due partiti rimasero umiliati. Ad impedire che mai piii risorgessero, i consoli proibirono a quelli che non volevano che il ponte si edificasse, di toccare il gia fatto; agli altri, di andar piu oltre, perche il Comune aveva fermo di far il ponte a proprie spesc, come in effetto si fece. Per tal modo Pisa vide i suoi figli a riconciliarsi. Riparato questo, ad altro male dovetter volger la mente i buoni consoli. Aveva il pubblico legitti- mo possesso del castello di Marti. In quest’ anno la nobile famiglia degli Upezzinghi se l’usurpo. Faceva dunque mestieri procurarne la restituzione. A dir vero alcuni dei consoli pigliavano la cosa freddamente, ta- lcntando loro poco di andar contro alia detta casata potente tanto, e della Repubblica benemerita. Ma portato T affare. al Consiglio supremo, si scese nclla risoluzione di mandare con bastante soldatesca ad assalire il castello, e ripigliarlo a forza: furonvi in- viati Yitale Gattabianca e Bulgarino da Caprona. Se non che gli Upezzinghi vi si erano fatti si forti, c tennero si gagliardamente la difesa, che i pisani restando colla peggio, dovettero ritirarsi e rimet- tere questa impresa alia nuova creazione dei consoli. Anno 1183. — Non e ben certo quando Marti torno soggetto alia Ptepubblica; ma verisilmente in quest’ anno. Nel quale libero final mente di se la terra uno de’ piu fieri nemici de’ pisani, i’ vo’ dire l’arci- vescovo Cristiano di Magonza. Colpito da malattia in Tuscolo, passo a render conto a Dio della sua vita troppo aliena dal suo saero carattere. La storia con- I y M 367 sacro il sao nome, come quel d’ un tiranno, alia esecrazione dei posteri (1). Anno 1184 . — I Lucchesi e i Pisani confermarono quest’ anno la pace tra loro. II trattato si consumo nella cliiesa di san Ponziano, posta allora fuori della cita. Yi assistettero Orlando di ser Andrea, Cristo* foro d‘ Orlando, Lamberto Leracchi, e Rinaldo di Giuseppe pel Comune di Lucca; Ugone Gualandi, Mar- zucco Gaetani, Truffa Vernacchi cd Ugone Visconti pel Comune di Pisa: F istrumcnto fu rogato per mano di messer Buonostile cancelliere della Repubblica lucchese. Stabilirono: Che i lucchesi non edifiche- rebbero, ne permetterebbero di edificare dal monte fino al mare. Che non imporrcbbero gravezzc o dazi, ne muoverebbero guerra a castelli o torri nel di- stretto di Pisa, ne i pisani in qucllo di Lucca. Che si darebbcro scambievolmente la meta delFcntrate, i lucchesi delle monetc, del sale e di ripa; i pisani del sale, di ripa e del^mare, tolteci peraltro lc spcse per la torre del fanale e per le guardie marittime. Che i pisani batterebbero monetc del modesimo peso e valore di quelle di Lucca. Che finalmente i lucchesi di cio che veniva per mare pagherebbero allc porte le medesime gabelle che i pisani. Gran numero di cittadini giurarono questa pace; e Lucca e Pisa fattc sorelle, prosperarono, unite, piu che mai nel com- mercio. Anno 1185. — Pisa fedele nclFunione, intraprcn- dendo un trattato d’ amicizia e di commercio con Alfach Ebubraim figlio di Maomct Ali, re delle Ba- lcari, fece pure comprendervi i lucchesi. In nome del Dio che e pietoso e misericordioso e compassionevole ( diceva il trattato ). Questa 6 la carta dello stabilimento e vincolo di pace, cui per (l) Robcrtus De Monlc in Cliron. 368 la grazia e per V aiuto di Dio , Alfach Ebubraim figlio di Maomet figlio d’ All, che Dio mantenga , confermb con Sigerio Ugoncello Gualando ambascia- tore delT ArcivescovOj dei Consoli , del Senato e di tutto il Popolo pisano , inviato plenipotenziario. II detlo Alfach Ebubraim figlio di Maomet Ah per se stesso, e Sigerio Gualando Ugoncello per V Arcive- scovo , Senato e Consoli pisani, strinsero pace ed amicizia fra loro , con verita e fedelta; e conclusero il detto Alfach Ebubraim e il detto Sigerio , che niuna galera, niun naviglio, niun uomo di Majori- ca , d’Evizza e For mentaria far anno giammai male a/cuno, o cosa contraria agli uomini della cilia di Pisa e del suo distretto , e delle sue isole Sardegna , Corsica , Elba , Pianosa, Monte Cristo , Giglio , Ca- praja e Gorgona, quanto ancora agli uomini della cittd di Lucca e del distretto di lei, o in terra o in mare; o nella persona o negli averi ; con galere od altri navigli , o in qualunque fnodo. E Sigerio, in nome dell’ Arcivescovo e delle citta di Pisa e di Lucca, promise: Che niuna galera o nave , pi - Sana o lucchese o delle isole a Pisa pertinenti , fa- ranno cosa alcuna contraria al rammentato Alfach , o ai sudditi a lui delle quattro isole nel mare spagnuolo; ne per acqua o per terra ; ne nelle persone o nelle sostanze; in qualsiasi guisa ; ne ad alcuni si uniranno per danneggiare. Se qualche pisano o lucchese sard trovato sopra una nave ne - mica ad Alfach , sard preso come nemico pur egli. E se qualche nave di Pisa o di Lucca si troverd in una delle Baleari , avendo patito naufragio , Al- fach Ebubraim le dara soccorso e conSiglio per ri- cwperare le cose naufragate, e somministrerd anche persone , qualora i pisani e i lucchesi vogliano a taV uopo acquistarle a prezzo. Questa pace fu con- clusa nel decimonono giorno del mese (31 Maggio) -W" 369 i&w l' anno 581 della predicazione di Maometto , e della Incarnazione del Signore 1185: chiamarono Dio a testmone e mediatore , che tutte le stabilite cose fa- ranno di buona fede, senza frode o maltalento, per lo spazio di died anni e sei mesi secondo il corso della luna (4). Frattanto papa Lucio III, contro cui i romani erano senza misura imbestialiti, se ne stava in Ve- rona. La creo cardinale Ridolfo Nigello pisano, del quale parlando quel Roberto abate che fece il sup- plement alle cronache di Sigiberto, assicura essere stato uomo di somma virtu, letteratura e religione. In quest 1 2 3 anno parimente IJbaldo, arcivescovo di Pisa, dono al vescovo di Bettelem la chiesa di san Martino alia Vettola (2). Ma ben altro appella Fat- tenzione dell 1 annalista. Sinora abbiamo veduto un popolo parteggiar per F Impero, un altro per la Chiesa; ma tutto intero. Di questi tempi cominciarono a pullulare i germi della divisione in una medesima citta, i germi delle infamemente famose fazioni dei Guelfi e Ghibellini. Nacquero esse in Germania da due famiglie, spesso in concorrenza aspiranti all 1 impero : da quella d 1 Ar- rigo del Borgo di Guibellinga, e da quella de 1 Guelfi di Altdorfio. Sovente turbarono il riposo della Ger- mania: passate in Italia, divisero per lungo tempo miscramente i popoli, e furono infausta cagione d’in- numerabili inumanita e sventure. Siccome gli Arrighi, p#ovenicnti dai Ghibellini, eran sempre stati nemici dei papi, i Guelfi, loro avversari, si accostarono al par- tito della Chiesa. Cosi ghibellino voile dire partigiano dell 1 Impero; guelfo partigiano del Papa (3). I nobili (1) L’originale e nell’ archivio delle Riformagioni in Firenze. (2) L’islrumenlo relalivo conservasi nell’ archivio capitolare. (3) Botta, Storia dei popoli italiani . TOMO I. 47 teneano la parte dell’ Imperatore per difenderc le loro castella e i loro feudi, che dianzi erano esenti dalla giurisdizione delle citta. AH’ incontro il popolo, che volcva non solo godcre della liberta, ma rimetterc ancora sotto il suo dominio i luoghi che anticamente erano del distretto, e forzava i nobili ad obbedire, ripu- gnava all’ autorita dell’ imperatore. Di qui confusione ed ire feroci nel seno stesso delle famiglie: pari a quei semi che, ascosi nel frale umano, preparano la morte. Anno 1186. — Lucio III mori circa il 25 novcm- bre dell’ anno decorso. Gli successe Uberto Crinello arcivescovo di Milano, il quale prese il nome d’Ur- bano III. Risedendo, siccome il suo antecessore, in Verona, confermo all’ arcivescovo ed alia chiesa di Pisa tutti i privilegi (1). Confermo pure F esenzioni e le giurisdizioni tutte, per F avanti possedute, ai pisani canonici (2). A papa Urbano III dedico Gottifredo Viterbesc il suo Panteon. Questo autore fu cancelliere dell’ im- perator Federigo e canonico della Primaziale pisana. 1187 . — Questo nuovo anno si apre con una larga concessione di privilegi, fatta ai Pisani da Rai- mondo conte di Tripoli. Non pertanto fu infelicissi- mo a tutta la cristianita. La santa citta di Gerusa- lemme, che avrebbe dovuto ispirare in tutti i suoi abitanti cristiani la divozione ed il timore di Dio, era divenuta il teatro delF ambizione, dell’ incontinenza e degli altri vizi che accompagnano il libcrtinaggio, do- minatore ormai tra quella gente. Insorsero dissensic^ii per sete di regno; niuna fede: impunemente con molti; non peraltro con Saladino, potentissimo sultan o di (1) Vedi la sua Bolla conservata ncll’ archivio delle Riformagloni in Firenze. (2) Vedi la sua Eolla nell’ archivio capitolare, dalata da Verona per mano di Moisc cancelliere laleranense e vicecancelliere di Santa Chiesa. 371 Babilonia e d’ Egitto. II quale, mcsso insieme smisu- rato esercito, marcio alia volta di Palestina. Gli eserciti cristiani furono disfatti da lui, e piu dal tradimento dei cristiani (Rinaldo principc di Montercole e Raimondo conte di Tripoli). Nella strage iniinita cadde prigioniero anche Guglielmo marchese di Monferrato: dal che la perdita di molte citta. A Saladino importava soprattutto la citta di Tiro, c la strinse d’ assedio. Era forse spacciata senza Corrado figliolo del rammentato marchese Guglielmo. II quale Corrado, intesa la perdita di Tiberiade se nc ando in Tiro, ove fu accolto com' angelo di Dio, e per signore acclamato. Saladino assali, e Corrado ributto. Quegli gli minaccio la morte del padre; questi pro- testo esserne lieto per F onore e per la fede. E donde mai veniva a Corrado tanto ardimento? Dal valor dei pisani. Col loro aiuto aveva due volte battuta la flotta nemica: condotte nel tempo delF as- sedio due navi cariche di vettovaglie da Accon. I medesimi pisani non molto dopo presero cinque navi saracene pienc di genti e di vivcri. In seguito die- dero addosso a nove galore della flotta infedele, per modo che i barbari attaccarono ad esse il fuoco. Finalmente costrinsero il feroce Saldino a i itirarsi dalF assedio. Corrado, riconoscente alF aiuto a lui dato dai pisani nella difesa di Tiro, prodigo loro esenzioni e privilegi nelF ottobre. Tra F altre cose concedeva loro in san Giovanni d’ Acri terra, casa, forno, bagno, consolato: tutto per le loro fatiche e per il loro san- gue sparso in difesa della terra santa (I). Intanto la fama, amante di divulgare le triste piu che le liete (l) L’ istrumento veduto dal Tronci era redatto dal notaro pisano Be- nincasa d’ordine di Gallo da san Casciano, console dei pisani in Accon ed in tutta la Soria. 3 S§) 372 ^ vicende, riempiva di lutto Europa intiera, annunziando di tante conquiste tre sole citta restare in poter dei latini in Oriente, cioe: Antiochia, Tiro e Tripoli; la Palestina tntta coperta dei cadaveri de’ fedeli, e la stessa Gerusalemme caduta il 2 ottobre in mano de’ saraceni. Alla nuova dei funestissimi avvenimenti il buon pontefice Urbano infermo per dolore, che in poco tempo lo trasse alia tomba. Sepolto che fu, venne in suo luogo assunto al pontificato Alberto cardinale di san Lorenzo in Lucina, cancelliere della santa ro- mana chiesa, il quale prese il nome di Gregorio VIII. Uomo di somma mente e di sommo cuore quale lo celebrano tutti gli scrittori, coronato appena, volse ogni cura ed ogni pensiero alle cose di Terrasanta. Legati, nunzi, lettere circolarono subito per tutta cristianita, ad esortare i fedeli che si levassero per ritogliere ai nemici di Dio il regno gerosolimita- no (1). Tra gli altri interessavano al pontefice gli aiuti dei pisani e dei genovesi: che per le passate spedi- zioni sapevasi come fosser valevoli! Ma inimicizie mortali eran di nuovo fra quest! due popoli; ne po- teasi sperare che unissero l’armi in causa comune, finche F ire non fossero state composte. A tal fine il savio pontefice passo a Pisa (2), e con tutte le forze si accinse al santo scopo. Se non che il cielo voile altrimenti: colto da maligna infermita il 15 dicembrc, il 17 abbandono la terra questo sommo pastore, degnissimo per le sue rare virtu di vivcre lunghissima vita. E fu mestissimo duolo non solo per la pisana Re- pubblica, ma per la repubblica tutta dei fedeli. La (1) Le lettere, allora spedite, Irovansi negli Annali di Ruggero Hove- deno, e negli Annali ecclesiastici del cardinal Baronio. (2) Verisimilmente il 10 di dicembre. in un momento le vide spente alio sparire di tanto raggio. Yeramente lacrimoso il di, che magistrati, patrizi, cittadini e popolo, coperti tutti di lugubri vesti ed in pianto stemprandosi, accompagnarono il venerando cadavere al riposo del sepolcro nella Primaziale. Per la morte di Gregorio VIII si riaccesero le ostilita fra Genova e Pisa. I pisani andarono con un’ armata nell’ isola di Sardegna, e tutti i genovesi cacciarono dal giudicato di Caglieri, spogliandoli d’ ogni avere (1). AH’ avviso di questi fatti i genovesi allestirono immediatamente un grosso esercito col quale passare a Porto Pisano. Ed uscirono difatti: ed erano a Porto Yenere, quando ecco comparire a Genova una lettera del figlio di Barbarossa, Arrigo, coronato re d’ Italia l 1 anno 1186, il mese di gennajo, e da quell’ cpoca in Italia residente. Il quale pregava i genovesi di dcsistere per amor suo dalP offesa dei pisani: ed i genovesi richiamarono e disarmarono la preparata flotta, per non dispiacere a tanto principe. Con tutto cio Fulcone da Gastello tolse il comando di dieci galere, con le quali corse in Sardegna; i pisani non poco infesto, recando ovunque parecchi danni; e, preso il castello di Bonifazio dai pisani fab- bricato, lo distrusse dalle fondamenta. I pisani volevano sorgere a vendetta; quando pure ad essi pervenne una lettera del re Arrigo che s’ in- terponeva tra Pisa e Genova, come amico comune: e per allora ai mali fu posto rimedio. Frattanto i car- dinali si occupavano d’ eleggere il nuovo pontefice. I continuatori degli Annali genovesi del Caffaro incolpano i pisani otta paee e di spergiuro. L’ accusa non e senza fondamento. Ma le :i pisani provenivano dalla strana decisione di Federigo. 374 Anno 1188. — II sei gennajo, solennita della Epi- fania, fa nella Primaziale pisana scelto il card inale Paolo vescovo di Palestina, e nella medesima chiesa coronato il giorno dopo, col nome di Clemente III (1). Consacrato appena se ne parti di Pisa alia volta di Roma, pieno della grande idea di seguire i pen- sieri cle’ suoi predecessori: io vo’ dire il riacquisto di Terrasanta. Difatti confermo subito la indulgenza plenaria,gia concessa a chiunque pigliasse la croce; invio a tutti i principi; e la Religione, spesse volte dalF ambizioso orgoglio de’ grandi conculcata, questa volta la vinse. Due cardinali vennero a Pisa. La loro prudenza e l’autorita pontiflcia giunsero a fermar pace tra i ge- novesi e i pisani. I quali liberi dalle vicine turbolenze, volsero Y animo anch’ essi all 1 Oricnte. Dargli un pen- siero e decidersi all’ armi fu un punto solo. Cinquan- tadue galere uscirono sotto gli ordini dell 1 arcive- scovo Ubaldo Lanfranchi, degno imitatore di Dai- berto e dell’ arcivescovo Pietro. Confortato papa Clemente da queste cose, voile eternare la memoria della pace tra Pisa e Genova conclusa, inviando ai Pisani la bolla seguente, alia quale uniamo il breve con cui furono accompagnati i due cardinali di santa Cecilia e di san Marco. (1) II padre Pagi discorda dal Tronci, dal Sigerio, dal Panvinio, dal Ba- ronio e dagli altri che flssano la elezione di Clemente III il 6 gennajo 1188. Sostiene invece che successe il 19 dicembre dell’ anno precedente, due giorni dopo la morte di Gregorio VIII. Nelle cronache pisane riportale dall’Ughelli ( Italia Sacra , tom. Ill) si legge: XIV Kalendas Januarii cardinalis Paulus proencstinus episcopus in eadem ecclesia majori , pontifex summits electus est , levatus ab hospitio Sancti Pauli de ripa Ami , et largente domino Clemens HI vocalus est. A dir vero sembra poco probabile che, in lanta urgenza di cose, il sacro collegio volesse lasciar vacanle la sede pontificia per venli giorni, come sostiene il Tronci. CLEMENS EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEI. Dilectis filiis Consulibus, et Populo pisano salutem, et apostolicam Pro sedandis iurgiis, et contentionibus sopiendis, que inter vos, et Januenses, instigante hnmcini generis inimico , a longis retro tempo - ribus, occasione Sardinie pullularunt , dilectos filios nostros P. ec- clesie Sancte Cecilie presbiterum , et S. Sancte Marie in via lata diaco- num cardinalem, viros utique providos, et discretos de consilio , et assensu fratrum nostrorum ad partes illas duximus destinandos. Ut igitur cuiuslibet dissensionis scrupulus in hac parte de cetero sopia- tnr, et nulla possit , auctore Domino, materia scandali suboriri, Uni- versitati vestre sub debito iuramenti quod nobis super hoc prestitistis, mandamus, atque precipimus, quatenus mandata, que predicti cardi- nales super omnibus, et singulis capitulis ex parte nostra vobis indi- xerint, sicut ex ore nostro prolata suscipiatis, et inviolabiliter sine contradictione qualibet observetis. Scientes quod Januensibus sub si- mili districtione hoc idem dedimus in mandatis. Dat. Laterani xiv. Tcalendas Iunii Pontificatus nostri anno I. (1) . Inutiliter inter discordantes compositiones siccae sententiae pro- ferrentur, si ad memoriam posterorum non redigerentur in scriptum, et ad recidivae contentionis scrupulum ecitandum eis omnis disce- ptandi aditus clauderetur. Ea propter, dilecti in Domino filii pad vestrae, et tranquillitati in posterum providere volentes, compositio- nem, quae inter vos, et dilectos filios nostros consules, et popidum januensem, et civitates vestras per dilectos filios Petrum tit. Sanctae Ceciliae presbiterum, et Sofredum Sanctae Mariae in via lata dia- conum cardinales Apostolicae Sedis legatos, est provide confirmata, sicut in eorum authentico continetur , et ipsa est a partibus sine pra- vitate recepta , et iuramento firmata, devotioni vestrae duximus con- firmandam. Auctoritate apostolica statuentes ut futuris temporibus inviolabiliter observetur. Quam etiam justa praedictorum cardina- lium scriptum authenticum praesenti paginae duximus inserendam (l) Collazionato coll’ originate esistente nel R. Archivio di Slalo in Pisa, Diplomatico, Alii pubblici. benedictionem. CLEMENS EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEI. Dilectis filiis Consulibus , et Populo pisanae dioecesis in perpetuum. & 376 de verbo ad verbum, cujus tenor tails est, videlicet : Petrus Del gratia tltulus Sandae Ceclllae presblter , et Sofredus Sandae Marlae In via lata diaconus cardinales Apostolicae Sedls legatl, unlversls Del fidellbus in pace, et diledione colend, pads, et dlledionis amo- rem. Inter cetera, qua Summo Pontlficl, utpote patrl et pastori uni- versalis Ecclesiae, Imminent ex officio pastoralis solllcltudlnls exequenda, curam ad hoc tenetur gerere specialem, ut materia seditionis, ut scan- doll prorsus tollatur de medio, et tranqulllltas Inter Del fideles per Christl gratiam, et ejus solllcltudlnem conformetur. Hac igltur con- sideratione indudl, et speclaliter habentes ad subventlonem Terrae Sandae respedum , fel. record. PP. Gregorius prlmo, et subsequen- ter eldem substitutus ven. P. universalis Ecclesiae Clemens per se, et slbl subdltos instantissime laborarunt, ut Inter Pisanos et Januenses } quos inlqua et perlculosa guerrarum sedltlo dlvitlus nos absque suo et allorum discrimine fatlgaverat per bonum pads ad plenum pos- sent, quxlllante Domino reformari. Instanter prolnde commonltl con- sules Plsanorum juraverunt, prout praedido domino PP. Clementi placult, super omnibus controverslis, quae Inter Januenses et Pisa- nos vertebant, stare mandatls ejus, quaecumque per se Ipsum, vel per certos nuncios, aut literas suas els imponeret. Et nobiles prudentes viri Nlccolonus, et Picchius, nuncll Januenslum consulum contlnuo hoc Idem In anlmam ipsorum consulum juraverunt. Quo facto gra- tanter pads osculum ad invlcem slbl dederunt domlnus PP. autem de comuni conslllo suorurn fratrum incontinentl praeceplt ip sis Januensibus, ut mllle de clvlbus suis , quos Plsanl ellgerent, ut unum homlnem in anlmam totius popull eodem modo facerent pacem iu- ramento firmare. Similiter etlam praeceplt ipsls Pisanls , ut mllle de clvlbus suls, quos Januenses ellgerent, ut unum homlnem in anlmam totius popull eodem modo facerent iuramento firmare, quod per Del gratiam fellclter adlmpletum est. Super hoc ergo solltam , et pater- nam gerens solllcltudlnem Summ. Pont, ad imponendum finem su- pradidls lltlbus, et controverslis. Nos, licet in sufficlentes et imma- ritos, de comunl fratrum conslllo speclaliter destlnavit, certam in nonnullls artlculls formam dlffinlendl praefigens. De speclall ita- que Apostolicae sedls mandato mercandl, immo faenerandi detesta- bile genus, quod donnlcalla consuevlstls nomine palllare in Sardinia penitus Irrltamus, vobls et Januensibus praeclpientes sub debito iu- ramenti, ne praeteritls hulusmodi contradibus aliquid addatls , vel ul- terius de novo tales praesumatis inire. Licentlam, tamen habeatls ea absque omni dolo et fraude colligere, quae vobls e tall mercatlone ,*v 377 debentur. Praecipimus etiam vobls Plsanls, ne quovis Ingenlo all - quod Impedimentum praestetis, quo minus Januenses unlversa pl- gnora et possesslones quas In Sardinia habent, vel habere debent, et praecipue plgnora Bartolum que regls Arboreae qulete et pacl- fice teneant, quo usque ipsls de sorte plenarla fuerlt satlsf actum. Hoc ipsum vobls Januensibus de plgnorlbus et possesslonlbus Plsa- norum sub dlstrlctu slmlll praecipimus observandum. Vobls quoque Plsanls dlstrlcte sub deblto luramentl praecipimus, ne allquod per vos vel per alios praetestls Impedimentum, quomlnus unlversl judlces Sar- dlnlae, et decern de magnatibus, et potentlorlbus In unoquoque judl- catu, et Interposlto luramento, promlttant omnlmodam securitatcm Januensibus, et unlversls de eorum dlstrlctu In terra et aqua, et ubi- cumque habent posse, et facultatem, et ut de suls homlnlbus, quotles Januenses contra Ipsos quaerlmonlam deposuerlnt , faclant els lustltlae plenltudinem exhiberl, nee Impedlmento sltls, quomlnus praedlcta luramenta securltatls In terra et In marl firma, et llllbata serventur. Vobls etiam tarn Januensibus quam Plsanls In comune praecipimus sub deblto luramentl, ut liberam vobls ad Invlcem promlttatls habere facultatem, atque licentiam per pelagum quocumque volueritls navl- gandl, et ad portum, quemcumque volueritls, appllcandi, et ex Inde merclmonla transuehendl. Praeterea vobls Plsanls sub deblto lura- mentl praecipimus, ne Januenses prohlbeatls ad clvltatem, et alia loca de dlstrlctu, et fortla vestra llbere accedere, et apud vos, slcut amlcos negoclarl. Hoc Idem vobls Januensibus sub slmlll dlstrlctu erga Pi- sanos praecipimus observandum. Salvls decretls ab utraque clvltate absque malltla factls. De caeterls autem capltulls Id statuentes prae- cipimus observandum, ut si qua partlum se In allquo senserlt prae- gravatam, et voluerlt justitlam postulare, Ilia pars contra quam fue- rlt quaerela deposlta, de piano, sine omnl dolo, et absque ulla ma- lltlosa dllatlone, et quollbet mallgno subterfuglo, coram judicibus, slve arbltrls ab utraque parte electls, el parti, quae conquaesta fuerlt, exlilbeat justltlae complementum. Sententlas quoque, quas praedlctl judlces, slve arbltrl , duxerlnt promulgandas, praecipimus utrlque parti, ut consules suos faclant Intra. quadraglnta dies a tempore la- tae sententlae numerandos fideliber, et slve fraude executlonl mandare. Et ut hoc, quod statulmus debltum fortlatur effectum, praecipimus, ut Januenses de clvltate plsana, et Plsanl de clvltate januense ab lio- dle intra menses duos, vel plures; si voluerint, judlces, slve arbltros ellgant, qul interposlto luramento promlttant, se quod praedlximus TOMO I. 48 378 de justitia facienda fideliter adimplere. TJt autem , quod in fine po- nitur ; melius memoriae commendetur, et tarn hoe, quam supradicta omnia firmius observentur suo deVito iuramenti vobis Januensibus et Pisanis districte praeeipimus, ut firmam, et perpetuam inter vos de cetero pacem teneatis, et ubique tarn in terra , quam in mari incon- cusse servetis, et in nullo in personis, vel rebus studiose vos praesu- matis offendere. Haec autem iuramenta pads per majores consules civitatis singulis annis, et per trecentos idoneos viros, quos Pisani de civitate januense, et alios trecentos , quos Januenses de civitate pi- sana duxednt eligendos, qui tamen pacem istam specialiter non v)ra- tim habuerint, et per unum publicum hominem in animam totius populi praesente, et acclamante populo de sexto in sextum annum praeeipimus innovari. Statuimus quoque, ut consules sive rectores qui pro tempore fuerint in alterutra civitate praedicta innovationis iura- menta exigant, recipiant et faciant sine dolo et fraude praestari. Si vero, quod Deus avertat, contra pacem supra firmatam pro Co- mune alterutra civitatis contra alteram off endendo fuerit f oris factum, pace in suo robore permanente, per archiepiscopos utriusque civitatis, et duos viros jurisperitos, quos ipsi archiepiscopi elegerint, sine dolo, et fraude et malitiosa dilatione in integrum emendetur offensa. Uli autem jurisperiti , quos archiepiscopi secum elegerint, statuimus, ut iurent, quod bona fide cum ipsis archiepiscopis ad reformationem pads laborabunt et statuimus, atque praeeipimus, ut consules dvitatum, justa quod archiepiscopi ordinaverint, fideliter, et bona fide studeant observare, adimplere, et executioni mandare. Statuimus etiam, ut consules illorum mercatorum , qui ad diversas provincias destinantur, iurent, quod de querimoniis, quae ad eos deferentur, bona fide justi- tiam facient, et executioni mandabunt, et ad pacem inviolabiliter observandam absque ornni fraude studium adhibebunt, et operam ejfi- cacem. Haec omnia supradicta ex parte domini Papae, et auctoritate. Qua de mandato ejus fungimur, in hac parte vobis consulibus pisanis et januensibus, et per vos universitati dvitatum vestrarum, quarum vicem de mandato ipsarum geritis , in hac parte mandamus, atque praeeipimus, ut ad bonum , et purum intellectum perpetuo, et inviolabiliter observetis. Ut autem haec deffinitio, et statutum nostrum perpetuam firmitatem, et irrevocable robur obtineat, praesenti scripto, et Sigillorum nostrorum munimine vobis tradimus insignitum. Data, et recitata est haec settentia in Lucana civitate in Curia domini episcopi lucensis, presentibus eodem dom. Guglielmo episcopo Incense, et Alcherio Vecchii lucense potestate, et Donato de Ricottis, a/v- et Locterio Bernardi ejus consiliariis, et Bonfilio eiusdem lucanae ci- vitatis publico cancellario, et Forteguerra, et Rolando Guarmignani, et Jacobo de CerVasiis iurisperitis, et Salamoncello, et Ildebrandino ftlio Malpilii, et Borcaino Alteminello de Alteminellis , Batroso, Guidone Uberti de Fralmo, et Ildebrando de Gottellis egregiis lucensibus consulibus, et Gargosso de Alica, et aliis pluribus nobilibus Lucanae civitatis concivibus, et multis alii lucani populi, et praesentibus pi - sanis consulibus , videlicet Ugone Aide vicecomite , Ildebrando Bambone, et Vitale Gattabianca, et Lamberto olim Rainerii Pandulplii, et Phi- lippo olim Vernagalli, et Pipino olim Ilenrici Fiderici, et praesenti- bvs viris sapientibus civitatis Pisanae, scilicet Bulgherino vicecomite olim Ugonis , et Uguccione olim Lamberti Bonis, et Gaetano Bur- gundi, et Bulso olim Petri Albitonis, et Gulielmo filio Gerardi Se- retti, et Ugone olim Bernardi Marignani iudice et notario ; praesen- tibus quoque Nicola Ebriaco januense consule, et Nuccelone viro utique sapiente , et Guglielmo Caligopalli publico januense cancellario. Anno autem Incarnationis Dominicae millesimo centesimo octua- gesimo octavo. Indictione sexta non. Iulii. Decernimus ergo, ut nulli omnino hominum liceat hanc paginam nostrae constitutionis, et prae- dictorum fratrum nostrorum sententiae paginam infringere, vel ei ausu temerario contra ire, si qua igitur in futurum ecclesiastica, sae- cularisve persona hanc nostrae constitutionis paginam sciens contra earn temere venire praesumpserit, secundo, tsrtiove commonita, nisi reatum suum congrua satisfaction correxerit, potestatis, honorisque sui caveat dignitate, reamque se divino judicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sacratissimo Corpore et Sanguine Dei, ac Domini Redemptoris Jesu Christi aliena fiat, atque in extremo exa- mine Divinae subiaceat ultioni. Cunctis autem praedictam compositio- nem, et pacem servantibus sit pax Domini Nostri Jesu Christi, qua- tenus et hie fructum bonae actionis percipiant, et apud districtum judicem premia aeternae pads inveniant. Amen. Amen. Amen. Ego Clemens Catholicae Ecclesiae episcopus. Benevalete. Loco Sigilli. In rotunditate Sigilli impressum est: Domine doce me facere voluntatem tuam. Et in medio (Sanctus Petrus) (Sanetus Paulus). (Clemens PP. III). Ego Joannes tit. Sancti Marci presbiter cardinalis subscript. sr -r^JsGi 380 Ego Laborans presbiter cardinalis Sanctae Mariae Transtiberim tit . Sancti Callisti subscr. >$f Ego Pandulplius presb. card. Basilicae XII Apostolorum subscr. Ego Albinus tit . Sanctae Crucis in Hierusalem presb. card, subscr . Ego Alexander presb. card. tit. Sanctae Susannae subscr. © Ego Jacintus Sanctae Mariae in Cosmedin diaconus card, subscr. Ego Gratianus Sancti Cosmae et Damiani diaconus card, subscr. >s< Ego Ottavia,nus Sanctorum, Sergi et Bacchi diaconus card, subscr. >J< Ego Gregorius Sanctae Mariae in porficu diaconus card, subscr. Ego Joannes Felix Sancti Eustachii diaconus cardinalis juxta templum Agrippae subscr. >£< Ego Joannes Sancti Teodori diaconus card, subscr. >£ Ego Bernardus Sanctae Mariae Novae diaconus card, subscr. Ego Gregorius Sanctae Mariae Aquiro diaconus card, subscr. Datum Laterani per manum Moysi sanctae romanae Eccle- siae subdiaconi vicem agentis cancellarii secundo Id. Decembris, anno M. CLXXXVI1I. Pontificatus vero Clementis papae III, anno primo. Originale asservatur Florentiae in Archivio Reform. Notammo all’ anno decorso, che il prode Corrado marchese di Monferrato concesse vari privilegi ai Pisani : quest’ anno ne fu largo a quella societa mer- cantile che in Levante grandeggiava sotto il mode- sto titolo degli Umili : cccone il relativo istrumento. IN NOMINE SANCTE, ET INDIVIDUE TRINITATIS Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen. Ut omnibus in posterum clareat, et nulla ambiguitas questio inde emergat; manifestum facio ego Conradus Marchionis Montis ferrati filius, quod dedi atque tradidi , et concessi hominibus pisanis societatis Vermiliorum, et eorum successoribus, qui sunt modo, vel erunt in civitate Acconis , omnes domos, et balneum, et furnum, si ibi est, et ecclesiam Sancti Petri, et totam terram vacuam, que est a funda regis usque ad Portam Jofredi Torti cum omni earum iure, et per- tinentiis a via publica, que est a funda regis recta linea a porta civitatis prope cimiterium, et ex alia parte usque ad mare, et donavi atque concessi eis duo millia Bizantiorum ad f undam, et catenam Ac- conis singulis annis percipiendorum per terminos statutos de Assisiis, -ft, -rj-JZK-JPL 381 et extra Acconem , prope Acconem , molendinum unum aque cum omni suo mre, et jardinum unum bonum, et in partibus Acconis donavi, atque concessi, et tradidi eis casale Sancti Georgii cum omni suo iure, et pertinentiis, quod fuit Benrici Bufali, et Castellum novum regis , quod habebat comes Iozolinus cum omni suo iure, et pertinen- tiis. Bee omnia predicta donavi, et concessi predictis hominibus pre- fate societatis, et eorum successoribus, vel quibuscumque ea eis dare placuerit ad tenendum, et vendendum, et pignorandum, seu alienan- dum , et quicquid eis inde placuerit faciendum, et donavi, et concessi eis omnia predicta libera, et absoluta ah omni talia, et tributo, ita quod nullum inde servicium facere teneantur, neque mihi, neque regi, vel alicui potenti, eo quod optime et viriliter mecum permanserunt in defensione Christianitatis, et Tyri, et promisi me eis defensurum omnia predicta ab omni persona, et loco, et nulla arte, vel ingenio faciam , vel fieri permittam, quod in aliquo de predictis eis fiat di- minutio sed omnia ea integra, et illibata eis, et eorum successoribus observabo per me et meos successores, et observari faciam meo posse eis omnibus. Et si predictas res predictis hominibus pisanis societatis Vermiliorum a me prefato Conrado donatas, et concessas ipsi diviserint, eas divisiones firmas tenebo, donee predicta societas duraverit, et etiam post societatis divisionem, omni tempore firmas tenebo prenominatas divisiones, ita quod non permittam , quod ali- quis eorum aliquid de predictis rebus perdat, seu ammittat, sed libe- ram suam partem unusquisque ad tenendum, et vendendum, et alie- nandum, et quicquid voluerit, inde faciendum, et in Pisanorum Curia vendendi, et alienandi, et pignorandi, et quicquid eis inde placuerit faciendi comuniter, vel divisim liberam facultatem habeant. Et ut hec mea donatio, et concessio eis firma, et inmutabilis perseveret, hoc presens privilegium plumbeo meo Sigillo coram subscriptis testibus muniri feci. Huius quoque rei vocati sunt testes, Dominus Paganus de Caypha, Obertus nepos, Lobelias quondam Tyri Castellanus, Ber- nardus de Templo tunc Tyrensis vicecomes, Bellamutus, Obertus Orgioli. Actum est hoc anno Dominice Incar nationis, millessimo centessimo octogessimo octavo, Indictione vj, in Castello Tyri mense Madio ( 1 ). (1) Copia aulentica falla nel 1249 dal notaro Benincasa del fu Leonardo da Cascina, che si conserva nel R. Archivio di Slalo di Pisa, Db plomatico, Alii pubblici. 382 Furon consoli quest’ anno Ugone Visconti, Ilde- brando Bambone, Lamberto Pandolfi, Filippo Verna- galli e Pipino Federighi. Anno 1189 . — Giuntc le armate d’ltalia, Guido di Lusignano, infclice re di Gerusalemme, le condusse alFassedio di Accon o Tolemaide, nel mese d’ agosto. Mentre stringevano questa importantissima citta, Guido e la sua moglie confermarono ai Pisani tutti gli ottenuti privilegi: di piu donaron loro case, chiese, forni, bagni nella citta di cui inyestivasi: dal che sommo conforto agli assedianti per sostenere le guerriere fatiche. 1190. — Saladino intanto raccoglicva un dilu- vio d’ infedeli e piantava il campo contro i cristianF, sicche trovaronsi ristretti fra la citta e 1’ esercito nemico, ed in miserable stato. E quantunquc fos- sero poi rincorati per 1’ arrivo dei fiamminghi, nulla potettero fare che difendersi sino alia primavera dell’anno presente. Nella quale finalmente Fimpera- tor Federigo arrivo a Gallipoli; sopra un’immensa quantita di legni preparati valico lo stretto delF El- lesponto, ed i cristiani allettavano le piu belle spe- ranze; ma diversi erano gli arcani consigli di Dio. Dopo aver combattuto colla piu misera strettezza di yiveri e con le spade dei turchi, era giunto il Bar- barossa col suo esercito poderoso al flume Salef. Il caldo insopportabile persuase all’ imperatore di ba- gnarsi in quelle gelide acque, e sventuratamente vi perde la vita il 10 giugno (1). Scuorate per tanto disastro le sue schiere, a stento pote condurle fino ad Antiochia il duca Federigo, valorosissimo flglio del- F estinto. La trovando ogni dolcezza, i tedcschi, usi (l) Abbiarno credulo dover variarc in questo il leslo del Tronci, il quale dice esser Federigo Barbarossa giurilo ad Accon a salvamenlo, ed esservi stato accolto con sornma allegrezza: cosa contraria a tutti quanti gli slorici. TO 383 sotto aspro e duro ciclo, si sfrenarono ad ogni intem- peranza di vivere, della quale caddcro vittima la mag- gior parte. 11 disgraziato capitano non pote condurne ad Accon che scarsissimi avanzi. Nullostante il loro ar- rivo rianimo i cristiani, e yennero nella determinazione di tentare un assalto generale. I pisani ebbero la parte del mare, cd i Templari e il duca Federigo furon con loro. La parte della citta comprcsa fra il ponte del flu- me Belo ed il palazzo episcopale fu affidata ai vene- ziani; ai genovesi insieme cogli Ospitalieri fu com- messa quella parte che si estendeya dagli alloggia- menti tedeschi fino alia casa del conte Raimondo; la parte meridionale 1’ ebbero fiamminghi, olandesi, fri- soni e danesi. Lasciati scelti soldati alia difesa dei campi, tutte le schiere mossero unitamente alF assalto. Successero fatti d’ arme per ogni eta memorabili. Ma Saladino attacco gli accampamenti cristiani intanto che essi battevano la citta; e quantunque quelli che v’ erano rimasti a guardia facessero stupcnde prove di valore, dovettero alflne ritirarsi. In poco tempo furon saccheggiati i padiglioni, molte insegne rapite. Lo perche, a salvare i loro alloggiamenti, dovettero gli assalitori dimettere la intrapresa: tornando i quali Saladino raccolse i suoi, contcnto d’aver salva la citta. I fedeli dovettero piangere molti estinti, tra i quali il medesimo duca Federigo. Ne perirono poi settemila per carestia: in seguito F infaticabile Colo- rado di Monteferrato provvide vettovaglie; ma le cose restarono disperate fino alFanno seguente, in cui cola giunsero i re di Francia e d’ Inghilterra. In questo il governo della pisana Repubblica muto forma. Pisa fu in prima regolata da un re. Ai re ten- nero dietro i consoli, il cui regime servi, in principio, moltissimo al pubblico bene ; sendoche i magistrati posponevano ogni carita alia carita della patria. Ma le ricchezze e la potenza aumentando, s ingenero da 1 422 in Italia a ricevere la sospirata corona impcriale. II 22 novembre finalmente furon sazie lc sue brame, e fu coronato, con sua moglic Costanza, per mano cFOnorio III. Era costume che alia solenne cerimonia tutti i potentati cl’ Italia mandassero degli ambasciatori. An- che in questa occasion© quasi tuttc le citta vi spe- dirono, ed in particolare le repubbliche di Pisa e di Firenze. La solennita si compie: era fatale da qualche tempo cbe ogni incoronazione fosse contras- segnata da qualche infortunio, e lo fu pur questa. « Avvennc (racconta Ricordano Malespini) che un « grande signore, che era cardinale, convito a man- « giare gli ambasciatori di Firenze. E andati al suo « convito, uno di loro veggendo un bello catellino « (cagnolino) di camera, il domando. Dissegli (il cardi- « nale) mandasse per esso a sua volonta. Poi il detto « cardinale convito Faltro di appresso gli ambascia- « tori di Pisa: e per lo simile rriodo invaghi uno di « loro del detto catellino, e si glielo domando. Ed « egli glielo dono, e disse mandasse per esso a sua « volonta, non ricordandosi Favesse donato all’ am- « basciatore florentino. E partito il convito, F amba- « sciatorc di Firenze manclo per il catellino ed eb- a lungo, dice il Tronci, presso il padre ab. Silvano Razzi camaldolese, il quale riferisce ancora in sommario la Vila del padre Bartolomeo Pisano, medesima- mente monaco camaldolese, di cui non si ha allra cognizione se non che, slando egli ncl monastero di san Frediano di Pisa, era in molta venerazione. Dicedi lui il Fortunio queste precise parole: Praeslit mira sanciitaie , multisque fuit clarus miraculis. Di qui merito, morlo che fu in questi stessi tempi, che il suo corpo fosse sepolto so'tto 1’ altar maggiore di della chiesa, dove sino ad ora si e conservato incorrotlo, e lo abbiarno (dice egli) piu voile, in certe so lennila dell’ anno, vedulo moslrare ai popoli con gran devozione. Ed invero non e da credere (sebbene per cagionc delle guerre, pestilenze, ed altri slrani accidenli se ne sono perdute le memorie) che se non fosse stato uomo di Santa vita, e noto per miracoli, avesse avulo sepollura solto l’ allare d’ una chiesa principale. bclo. Poi vi mando 1’ ambasciatore di Pisa, e trovo come Faveano avuto F ambasciatori di Firenze: recollosi a onta c dispctto, non sapendo coni’ era intervenuto. E trovandosi insieme i detti ambascia- tori per Roma, richiedendo il catellino, venneno (vennero) a villane parole, e di parole si tocca- rono (vennero ai fatti), onde gli ambasciatori di Firenze fnrono soperchiati c villaneggiati, perocche gli ambasciatori di Pisa aveano cinquanta soldati di Pisa. Per la quale cosa tutti i fiorentini che erano in corte del papa e dell’ imperatore, che erano gran quantita, e anche ve ne ando di Firenze per volonta, onde (de’qaali) ne fu capo messer Oderigo Fifanti, si si accordarono e assalirono i detti pisani con aspra vendetta. Per la quale cosa scrivendonc a Pisa, com’ erano stati soperchiati da’ fiorentini e ricevutane vergogna, incontanente « feciono (fecero) arrestare tutta la roba de’ fioren- « tini che si trovo in Pisa, ch’ era grande quantita ». Era potesta in Pisa Buonaccorso d’ Arrigo del Cane; in Firenze il pisano Ugo del Grotto (t). Anno — « I fiorentini (segue il Malaspini) « per fare restituire a’ loro mercatanti, piu ambasce- « rie mandarono a Pisa, che per amore dell’ amista « antica dovessero rendere la detta mercatanzia. Non « F assentirono ( i pisani ) dando cagione che la « detta mercatanzia era barattata. Alla fine si arre- « carono (si condussero) a tanto i fiorentini che « mandarono pregando il comune di Pisa: che in « luogo della mercatanzia mandassono (mandassero) « altrettante some di qualunque vile cosa fosse a « soddisfazione del popolo, e che non se lo rccassono « (recassero) a onta, e il comune di Firenze resti- (l) Apparisce da un istrumento col quale Federigo confermo ai pisani tulti i privilegi, come fecc anche 1’ anno seguente. la quale affrontatasi con alcuni legni genovesi, fu fatta prigione e condotta a Genova. Questa perdita infiammo d’ ira piu forte i pisani, i quali anelando rifarsi, mandaron fuori im- mantinente due navi e quattro galere. Non ando molto che queste si scontrarono con una carovana nemica, ed assalitala, quasi tutti i legni ne presero; molte persone menaron prigioni, e s’ arricchirono di mercanzie di sommo valore. Guerreggiavano cosi una guerra minuta, quando dovettero cessarla per satisfare piu compiutamente sani. Ma inverosimile e del pari che i pisani entrassero nel porlo di Genova, ne si prevalessero della buona forluna per impadronirsi forse anche della stessa citta, Irovatala, come dice il Tronci, del tulto sprovvista. Chiunque legga nel testo 4e cose ch’egli racconta sotto I’ anno 1244, non pud fare a meno di conoscervi confusione e ripugnanza di falti: lo perche ci siamo per- messi di modificarli. 441 agl’interessi di Federigo. Buonaccorso da Padule, potesta allora di Pisa e chc ad essa aveva gia reso rilevanti servigi, congrego il Consiglio generale nella chiesa maggiore; e con bella orazione i cittadini esortando, persuase loro di mettere in or dine una bella armata con la quale sorprendere Portovenere. Centotre navi veleggiaron ben presto alia volta di quel luogo; ove felicemente arrivati, lo travagliarono con tanto impeto, che in breve lo presero a forza, lo saccheggiarono e vi fecero molti prigioni. Poi, provvistolo di buon presidio, se ne tornarono coi prigionieri e con la preda (1). Anno I2k6 . — In questa papa Innocenzo avea fatto gran maneggi coi principi della Germania, onde si venisse alia elezione di un nuovo re, senza nep- pure aver riguardo a Corrado figliuolo di Federigo, che non era ne scomunicato, ne deposto, Fu scelto Arrigo langravio di Turingia, col braccio del quale spero il papa di spiantar tutta la casa dell’ impera- tore. Ad onta di cio i pisani rimasero fedeli a questi, e, gelosi del di lui favore, si tennero sempre pronti a compierne la volonta: il freno del comune era in mano di Rinaldo Machillonia. 1247. — Tanta fedelta dispiaceva oltre ogni cre- dere ad Innocenzo IV ; e ne scrisse ai Pisani lcttcre risentitissime (2): eglino erano irrcmovibili. (1) Alcuni annalist) di Genova narrano ben allramente Ie cose. Dicono che saputosi in Genova l’armala pisana essere uscita per insidiare certi Icgni genovesi carichi di mercanzie di gran prezzo, quella repubblica mando su- bito due navi da guerra, chiamata una la Corona , l’altra il Paradiso , le quali enlrate nel porto di Trapani ivi trovarono cinque navi pisane e le ridussero in cenere, salvandone sol tanto una nominata la Fiorina , ricca di preziosissime merci. Dopo di che passate a Palermo e inconlralivi de’ loro propri navigli da carico reduci dalla Soria, liscortarono a salvamenlo nel porto di Bonifazio, Giudichi il letlore da qual lato slia la verita: a noi sembra non essere, almeno intiera, ne dali’uno ne dall’altro. (2) L'originale conservasi nella biblioleca vaticana. TOMO i. 56 < Anno 1248. — Insieme col marchese Oberto Pelavicino fecero un poderoso armamento contro i gcnovesi. Ma sparsasila notizia che gl’imperiali erano stati rotti sotto Parma, avvisarono meglio di starsene per allora (1). 1249. — Intanto il pio re di Francia Lodovico IX avea preparata una nuova spedizione per Terrasanta, e F avea fatta passare a Cipri sopra un grande stuolo di navi fornitegli a nolo da Genova. Yenuta la pri- mavera sciolse le vele verso TEgitto, ove giunse innanzi a Damiata il 4 di giugno. Non senza fatica peraltro, essendoche fu disturbata non poco per risse seguite tra i genovesi ed i pisani, e per una contesa fra i veneziani e il bailo di Cipro. I primi vennero a battaglia e sparsero sangue per non pochi giorni: il patriarca di Gerusalemme, il vescovo di Leussons e il contestabile di Francia sedarono finalmente i tumulti. D&miata fu presa in un giorno, e per qual- che tempo arrise la fortuna. 1250. — Ma cangiaron poi faccia le cose, e fu pianto per tutta la cristianita, essendo stati i cro- ciati intieramente battuti, ed il re stesso rimasto pri- gioniero degTinfedeli. In questo mentre i giudici di Sardegna ebbero ardire di ribellarsi. Sui pisani pesavano molte cen- sure ecclesiastiche fin dai tempi di Gregorio IX; il re Enzo nel combattere per il padre era caduto in mano dei bolognesi. V occasione dunque di scuotere il giogo sembrava a que’ regoli favorevole, ed al- zaron la bandiera della indipendenza. Avutane no- tizia i pisani si mossero con grande armata, della quale fecero capi M. Francesco Conti, M. Giovanni Visconti di Capraia, e M. Vernagallo. (l) CafTar i , Annales Geriuenses , lib. VI. tom VI. Her. Italic, (m ir ; k 443 AH’ appressarsi della poderosa flotta i giudici ri- bellati, colti da paura, ammassarono argento ed oro e quanto aveano di meglio, e si diedero alia fuga coi principal! cittadini dell'isola, complici della ribel- lione. Lo perche, giunti i pisani, quasi senza trarre d’arco racquistarono tutto e ne spedirono la nuova a Pisa, ove se ne fece grandissima festa con pub- blica allegrezza. Radunatosi il Consiglio generalc tratto di rimunerare i patrizii che aveano la spedi- zione diretta, ed aveano a pro della patria durate fatiche, sparsi sudori, sfidati cimenti. Onde gli altri pigliasser aniino di -adoprare a vantaggio del co- mune colla speranza di un premio, e piu per non tenere la Sardegna in mano di gente straniera, fu decrctato finalmente: Si da il giudicato di Caglieri a M. Francesco Conti , quel di Gallura al Visconti , quello d’ Arbor ea ai Visconti di Capraia , ed a 31. Vernagallo quello di Sasseri. Premiati cosi largamente i capitani, i soldati furono satisfatti con denari. Ma se tanto agcvole era stato il racquisto di presso che intiera l 1 isola, un punto vi era difficile assai, il ca- stello di Castro, fondato dai pisani nel distretto di Caglieri, tenuto per essi dal marchese Giovanni o Chiani, e da questi consegnato poi con vile perfidia ai genovesi. Fu mestieri assediarlo e batterlo lunga- mente. Dicesi che nel tempo del lungo assedio, i pisani vi edificarono la chiesa di san Pancrazio ed una bella torre. Riusciti alia fine vincitori passarono a battagliare santa Gilia, dove abitava il rammentato marchese. Presane la terra, lui pure ebbero in loro poterc, e gli diedero morte quale meritava un tra- ditorc. Compiute in questa guisa lietamente le cose se ne tornarono festanti alia patria, nella quale per altro pote diffondersi poca gioja perche contristata dalla morte di Federigo. Il quale sorpreso da mor- tale dissenteria nel castello di Fiorentino in Capita- 444 nata di Puglia, fini i suoi giorni il 13 dicembre, di sacro alia gloriosa vergine e martire santa Lucia. Quali si fossero le circostanze della di lui morte, bello e tacerlo: si narrano mille favole, forse una verita ten ibile : clic il figlio Manfredi lo soffoco con un guanciale postogli sulla bocca, per avere i tesori e parte dei regni del padre. Fuor di dubbio si e, che i pisani si dolsero dal piu profondo dell’animo del precoce fato di lui, sebbene per lui fossero dalla Chiesa disuniti, e rapporto ad esso poteano ben a ragionc trovar verificati quei detti del sapientissirno dei re: Maledetto V uomo che pone nell 9 uomo la sua fidanza. l T dita la morte del genitore, Corrado s’intitolo subito re di Napoli e di Sicilia: si denomino anche Cesare diccndo: a se spettare Fimpero, poiche, avanti la deposizione di Federigo II, era stato dichiarato re dei Romani. Ma siccome avvisava la forza essere maggior ragione che i titoli, penso venirsene di Sve- via in Italic con esercito potente, e coll’ aiuto dei pisani e dei veneziani ebbe volonta di passare in Puglia. Dove Manfredi, altro figlio naturale di Fede- rigo, aspirava al trono siciliano, sgombratasene per avventura la via con un parricidio; e si appellava soltanto governatore e procuratore del regno, met- tendo frattanto capitani e soldati a sua devozione in tutte le fortezze onde a poco a poco godersi piena signoria. Era potesta di Pisa Arrigo Nulli, sotto il cui governo tocco il ter mine di sua mortale carriera il beato Odemondo Masca. Odemondo Masca, d’ una delle piu nobili fami- glie pisane, potentissimo di ricchezze, di parentele e di amici, tostoche valse a conoscere la nullita delle cose terrene, diede un addio ai genitori, ai possessi, agli amici, ai congiunti, e si chiuse in un claustro 445 per offerirvi e consumarvi la vita in onore di Gesu Cristo. Coltivando ivi incessante la virtu, si fece degno di ascendere gli altari. Un altare ed un tempio in questo istesso anno sacrarono i padri del Carmine, con licenza dei ca- nonici pisani, alia vergine santa Margherita, nella chiesa di sanf Apollinare in Barbaricina, pagando a censo annuale due libbre di cera al Capitolo. Cre- sceano cosi i fasti ecclesiastici di Pisa, e ad un tempo le glorie cittadine, fornendo essa a potesta di Siena Vcntriglio di Guido Ventrigli. Anno 1Z51. — Del pisano comune ebbe il freno il conte Tommaso della Cornia: il favorc di lui valse molto a Corrado. Il quale volendo mandare ad ef- fetto i suoi disegni, ardi nel mese d ? ottobre calare in Italia e muovere verso Napoli (1). Manfredi, che sotto modesto titolo reggeva la Sicilia, disgustato perchc i napoletani, i capuani e gli aquinati non aveano voluto riceverlo, ando ad incontrarlo e riverirlo a Pescara. Nominatolo re, si querelo seco lui di Napoli : diede a questa citta col- pa di ribellione e di maesta lesa, perche recatovisi come regale procuratore a dare gli ordini richiesti dal bisogno, gli aveva serrate le porte in faccia. Porse Corrado orccchio a queste parole; accolse di Manfredi i consigli, e col suo esercito e coi pisani s’ avvio contro la citta fattagli odiosa. Napoli per- tanto si trovo stretta di tale assedio, che fu forza rendersi. Si rese a patti; ma i patti non furono os- servati. Corrado, aspirando al soglio dei Federighi, voile mostrare che n 1 era degno, emulandone la cru- delta e la perfidia. Napoli e tutto il regno furono teatro d’ infinite barbaric e di sacrilegii infiniti; fin- (1) Il Tronci ha seguito I’autorlta del Malespini e del Villanl. — II Muralori sosliene che il passaggio di Corrado a Napoli fu I’ anno 1252. 446 che, non sembrandogli di non avere esercito assai per eseguire i suoi consigli, se ne torno Corrado in Germania ad affrettare soccorsi dal suo suocero il daca di Baviera. Mentre cosi nel Nord si addensavano nuove nu- vole procellose contro la povera Italia, Yitale arcive- scovo di Pisa^ a preghiera di don Gabrielle priore di san Donnino, concesse di fare nuovi edilizi presso quella chiesa, claustro e casamenti verso levante, purche fossero dedicati all’ onore di santa Maria ad mar-tires, di san Donnino, di san Venanzo e di altri santi: prete Ricovero, cancelliere dell 5 arcivescovo, ebbe la fortana di porre nci fondamenti la prima pietra ed una croce (1). Anno 1252. — L’ anno decorso i ghibellini di Fi- renze con masnade di tedeschi entrarono nel castello di Montaja in Valdarno e lo ribellarono. I fiorentini vi andarono a porvi F assedio, ma dai ghibellini furono rotti e cacciati. « Per la qual cosa, dice Ri- « cordano Malespini, i fiorentini (cavalicri e popolo) « coi lucchesi e altra amista, del mese di gennaio « (1252) v’ andarono a oste, e non lasciarono per lo « tempo contrario e per le grandi nevi elf erano al- « lora, che non ponessono (ponessero) F assedio intorno « al castello (permodoche non vi potea entrare ne « uscire persona) gittandovi entro pietre con edifici « (macchine) ». Yedendosi i fuorusciti ghibellini in manifesto pericolo, e conoscendo che non potrebber resistere colle loro forze, ricorsero ai senesi ed ai pisani cui ben sapevano poco amici a Firenze. Que- sti in fatti sollecitamente mandarono in loro aiuto molta gente a piecli ed a cavallo, la quale non po- tendo penetrare nel castello, si pose a campo alia badia di Coltibuono, un miglio presso a Montaja. (l) Vedi l’istrumenlo nell’archivio arcivescovile. I fiorentini, temcndo d’ esser colti in mezzo, laseia- rono quanti bastassero a guardia degli steccati, e con il grosso farono incontro ai pisani cd ai senesi per costringerli o a sloggiare, o a venire a battaglia. Yeggendo cio i senesi ed i pisani si ritirarono, non senza danno dei loro bagagli e della loro retroguar- dia: onde quclli del castello si arresero a prigioni, e tutti ne furono menati a Firenze : e il castello fu disfatto (1). Dopo di cio i fiorentini andarono ad oste a Pi- stoja e guastarono d 1 intorno ; poi, non potendo far altro nel territorio pistojese calarono a Tizzano, ca- stello dei pratesi, e vi posero T assedio. Mentre a questo attendevano, ebbero novella che i pisani e i senesi guerreggiavano contro quelli di Lucca, e stabi- lirono volare in soccorso dei loro alleati, espugnato appena il castello. Poco dopo, inteso che i lucchesi erano stati sconfitti a Montopoli, e che i pisani erano gia in via verso la citta con molti prigioni, amara scese nel cuore dei fiorentini la fama di questi fatti: venendo a patti cogli assediati, li concessero loro quali li vollero. Cosi avuto il castello il 24 agosto, si levarono e passarono in Valdarno inferiore per seguire i pisani. Li sopraggiunsero a Pontedera, ed incontanente attaccarono ferocc battaglia il primo di luglio. Si combatte lunga pezza: finalmente i pi- sani furono rotti e cacciati sino alia badia di san Savino. Piu di tremila prigioni furon tratti a Lucca ed a Firenze; e cosi i prigionieri lucchesi restarono sciolti e legarono con le loro funi istesse i propri vincitori : giuoco di quella Dea che solo c costante nella sua incostanza, e che muta sovente in funerali i superbi trionfi. (1) Ricordano Malespinl, 448 Anni 4252-53. — Inorgogliti per la inattesa for- tuna ed aiutati da gagliarda mano di liorentini, tor- narono quindi i lucchesi ai danni di Pisa verso la valie di Serchio. Ad osservare i movimenti loro venne l’esercito pisano, appena ristabilito. Giunse al Serchio; vide al di la del liurne i nemici divisi in due squadre, e tragitto : oltre ogni dire accanita s’ impegno tosto la pugna : feriti, morti in un campo e nell’altro; e dopo lungo e crudele combattimento si fe 1 sosta dalle armi, senza poter giudicare per cui stesse la vittoria. Intanto un esercito della Repubblica fiorentina faceva altre imprese, tra le quali primeggia la som- missione di Yolterra. 4254. — Poiche 1’ ebbero compiuta, di la mos- sero alia volta di Pisa contro cui speravano poter fare belle prove, essendo ella divisa da intestine tur- bolenze. Eravi potesta Fabro Fabri da Bologna. Sotto di lui i nobili giunsero al colmo della inso- lenza verso la plebe: la quale si stanco alia fine di soffrire, e tumultuariamente sollevandosi, si voile sot- trarre alle soverchie gravezze. Creo nuovi magistral; gli antichi espulse; ne alcuno di questi pate rigo- dere delle sua dignita senza dichiararsi pel popolo. Qualche famiglia delle piu ragguardevoli ( e cio suona sovente delle piu superbe) amaron meglio ri- nunziare alia patria e vivere nei desiderii dell' esiglio, che inchinare alia plebe : tra queste famiglie furon la casa degli Upezzinghi e la casa Lei, ceppo di- stinto in molti rami, come casa del Turchio, Buttari, Lancia, Galli e Vernagalli. In questo stato di cose ecco all’ improvviso i fiorentini : ne potendo i pisani far resistenza, scesero nella determinazione di acconciare le cose all’ ami- chevole. Mandarono a quest’ uopo degli ambascia- 449 tori a scontrare i nemici, e clomandaronli cli pace (1). I fiorentini aderirono, e la pace fu ferma con que- sti patti, duri per Pisa, ma voluti dalla circostanza. Che i Fiorentini , scrive il buon Ricordano, in perpetuo fossono (fossero) franchi in Pisa , senza pagare gabella e cliritto di mercatanzia, che entras- sero o uscissero di Pisa per mare o per terra: che i Pisani terrebbono (terrebbero) il peso di Firenze , e la misura dei panni, e la loro monela alia lega di quella del comune di Firenze; e di non fare con - tro ne guerra a ’ fiorentini , ne dare aiuto privato o pubblico ai loro nemici . Inoltre i fiorentini addiman- darono o il castello di Piombino o quel di Ripafratta. Comecche i pisani rifletterono che Firenze, posse- dendo Piombino, avrebbe volto Fanimo alle cose di mare, e cagionato per tal modo alia loro citta gran- dissimo nocumento, amarono meglio cedere Ripa- fratta. Ne presero adunque i fiorentini possesso, e poco dopo lo diedero ai lucchesi loro confederati : quindi se ne tornarono a Firenze menando seco cin- quanta ostaggi dei migliori cittadini pisani a securta della pattuita concordia: tutto questo accadeva entro il mese di settembre. In questo mentre, succedendo a Vitale de’ Marzi, saliva la sede arcivescovile di Pisa Federigo della nobil famiglia dei Visconti. Vestite appena le inse- gne della sua dignita, si accinse a renderle vera- mente luminose spiegando tutto V apostolico zelo; e, come primate e legato nato di Sardegna, si affretto a visitarla (2). (1) Ricordano Malespini dice: che i pisani avendo inteso le vittorie dei fiorentini , e come aveano presa la citta di Volterra , shigottiti mandarono loro ambasciatori ai fiorentini , colie chiavi in mano , in segno di umilta, (2) Cosi dagli atli di ser Rodolfino notaro, esistenti nell’archivio arci- vescovile. TOMO I. 57 .yw- w 450 Anno 1255. — La tranquillita della Rcpubblica glielo persuadeva; misera tranquillita, non mai lacri- mata abbastanza quanclo e il frutto della oppressione. Allorche senti V amarezze e vorresti respingerle, ep- pure ti e forza tracannarne il calice fino alf ultima feccia. 1256 . — Nelle passate guerre contro i genovesi i pisani avevano loro tolto Trebbiano e Lerici, e fabbricatovi un forte borgo con due grandi torri. Sovra la porta di esso, framezzo alle due torri, in una pietra lavorata a modo di una balla di mer- canzia, aveano fatto incidere questi rimbrotti: Stoppa in bocca al Genovese , Crepacuore al Portovenerese , Strappa borsello al Lucchese. Ora che i pisani erano umiliati, i genovesi conven- nero coi lucchesi di assalire quei due castelli per tentare di riprcnderli, e distruggere ad un tempo quella iscrizione ignominiosa. Andarono dunque sopra Lerici e cominciarono a battagliare il borgo edifi- cato dai pisani; e quantunque quei di dentro faces- sero valida resistenza, dovettero alia fine arrendersi. Cosi avvenne di Lerici consegnato dai difensori, salve le persone e le robe: era potesta di Pisa Jacopo Neapolioni (1). Non e a dire con qual cuorc i pisani si sentirono sopraffatti. Messe insieme delle genti corsero su Ri- pafratta per torla di mano ai lucchesi. I quali ac- corsero alia guardia del castello; ma sulle prime ebbero dai pisani una spelazzata (2). Allora doman- darono soccorso ai fiorentini incitandoli con dire, che Pisa aveva infranti i patti della pace. Il fatto (1) Alcuni vogliono che fosse inveee Alamanno della Torre milanese; ma egli, a delta del Malespini, era potesla di Firenze in quesl’anno. (2) Muratori, Annali cf Italia. 451 sta che i fiorentini si levarono subito, e, passati nel contaclo di Lucca cd unitisi all’esercito lucchese, vennero coi pisani a battaglia. Inferiori questi di forze, si andarono a poco a poco ritirando; ma giunti a Ponte a Serchio, furon messi in mezzo ed inticrarnente sconfltti: fra morti e presi ne manca- rono piu di tremila. Usando del prospcro vento i fiorentini corsero il territorio pisano fin alia chiesa di sant’ Jacopo in Poggio, do v’ era allora un convento di canonici Re- golari. Qaivi, narra Ricordano Malespini, tagliarono un gran pino, e batterono in sul ceppo del detlo pinOj e coniarono fiorini d' oro (I). E per memoria, quei fiorini, che in quel tempo furono coniati, eb- beno (ebbero) per segno , tra’pie di san Giovanni , quasi come un trifoglio a guisa di un piccolo al- bero (2). Coi nemici tanto vicini alia citta ; senza speranze di soccorso perch e Manfredi di Sicilia, nel quale po- tevano forse riporre qualche fiducia, era cosi lontano cd occupato anche di troppo nelle cose sue proprie, i pisani dovettero inchinarsi un’ altra volta ai fioren- tini e domandar pace. La ottennero a patti assai piu duri dci primi, e fra gli altri: che a beneplacito del popolo di Firenze fossero tenuti i pisani a disfare o cedere il castello di Motrone, e lasciar cosi libera quella spiaggia al commercio dei loro nemici. Prima di consegnare questo castello i pisani de- liberarono diroccarlo, onde non dare eglino stessi un nido agli avversari. E perche i fiorentini non si sdegnassero, mandarono a Firenze un ambasciatore il quale ottenesse la debita liccnza. Ritorno ben pre- (1) Sappiamo che il baiter monela era segno di giurisdizione, (3) Si chiamarono poi zecchini gigliali. 452 sto con la risoluzione desiderata, ed il castello di Mot rone fu subito ruinato (1). Le sventure e i bisogni stringevano la Repubblica di Pisa. Sola contro i Guelfi, non venne bensi meno a se stessa; ma veggendo che in Germania non si decide vano ad eleggere un imperatore, ardi un gran fatto; lo maneggio segretamente; poi nel mese di (1) Non a tutti andera a sangue questo racconto su! diroccamento di Motrone; percid trascriviamo qui, come nota, cio che il Tronci dice riguardo all’ambascialore, e le diverse opinioni sul fallo in queslione. « Conferi egli il negozio ad un suo amico intrinseco; ed egli lo consi- glid a parlarne, prima che in senato, ad Aldobrandino Ottobuoni, quale era uno degli anziani molto stimato: e perche piu facilmente si ottenesse il fa- vore ando ancor lui in sua compagnia, e con tanto bel modo lo strinse, che promesse di fare ogni possibile; ed entrato in consiglio, e introdoltovi l’ambasciatore pisano, lascialolo esporre l’ambasciata della sua repubblica, egli persuase in maniera tulti, che senza difticolla fu conresso ai pisani quello domandavano. L’ambasciatore, per mostrarsi grato all’ Ottobuoni e obbligarlo all’amicizia in futuro, in occasione di ringraziarlo gli pose in mano una borsa piena di fiorini d’oro, ed egli la prese per se onde mostrar di fare slima del dono; ma subito la rese all’ ambasciatore, non volendo acquistarsi nome di vendere le grazie della sua repubblica. « Ritornd 1’ ambasciatore a Pisa con la risoluzione desiderata, e subito fu fatto rovinare il castello di Motrone, non senza grandissimo disgusto dei pisani. « Discordano in questo fatto gli Annali dei genovesi e dei fiorentini. Di- cono quell i che due anni addietro, quando i pisani ebbero la pace con i fio* rentini, nei medesimi compromettessero ancora le dififerenze vertenti fra loro e i genovesi, e che da essi fosse lodato che i pisani dovessero render Lerici, con Trebbiano; il che avendo poi rieusato di efleltuare, pereid si movessero armatamano a recuperarli, e incitassero i fiorentini a risentirsi della sentenza non eseguita, Di questo non parlano ne il Malespini ne il Villani, ne l’Ammi- rato; variano solo in dire, che i pisani andarono contro il castello del Ponte a Serchio e non contro Ripafratta, e che il tratlato per conto del castello di Mo« trone con POltobuoni non riuscisse allrimenti nel modo accennato di sopra; ma che, sebbene era lui di parere che si dovesse distruggere, quando li furono offeFti qualtromila fiorini gli paresse di reslar offeso, sebbene non lo dimo- stro; e sentito 1* ambasciator pisano, e scoperta la premura che mostrava, che si dislruggesse quel castello, si mutasse; e, tomato il giorno seguenle in consiglio, con vive ragioni persuase, che compliva per tulti i modi che il ca- stcllo restasse in piedi, e che cosi fosse deliberalo, e vi fossero mandate a slanziare guardie della repubblica fiorentina », marzo spedi nobile ambasceria ad Alfonso il saggio , re di Castiglia, e lui proclamo a regolare V impero. Gli ambasciatori plenipotenziarii di Pisa si pre- sentarono a quell’ augusto nel pubblico consesso dei grandi e dignitarii di lui, e lo salutarono re dei Ro- mani e monarca dell’ impero romano, allora vacante. Ecco i due instrumenti della elezione e dell’ accet- tazione (1), alia quale e congiunta la concessione di amplissimi privilegi al Comune Pisano. IN NOMINE PATRIS, ET FILII, ET SPIRITUS SANCTI. Amen. % Quia vos excellentissimum, et invictissimum et triumphatorem dominum Alfonsum Dei gratia Regem Castelle, Toleti, Legionis, Gallethie, Sibilie, Gordube, Murscie, et Gienne, commune Pisarum, et tota Ytalia, et totus fere mundus cognoverunt excelsiorem super omnes reges, qui sunt, vel fuerunt unquam temporibus recolendis, presertim gratia Spiritus Sancti vobis divinitus inspirata vos dote multiplici decorante, et vos etiam sciverunt pre aliis pacem, veritatem , misericordiam, et justitiam diligentem , et esse pre aliis Christianissi- mum, et circa Ecclesiam Romanam a primis fere cunabulis devotis- simum et fidelem, et cognoverunt etiam vos ad ampliationem honoris Matris Ecclesie Romane, et bonum statum, necnon etiam romani imperii Mo animo aspirantem, et imperium nimium vacasse, et ab emulis dilaniatum, et vos cognoverunt esse natum de progenie domus Ducatus Svevie, ad quam de privilegio principum, et de concessione romane Ecclesie Pontificum imperium juste et digne dignoscitur per- tinere, et successive ad vos, qui ex ea domo descenditis recta linea, et per vos cum succedatis excelso Manueli olim Romanie imperatori, imperia abusive divisa in unum videantur posse colligi , et in vo- bis divinitus cohuniri, sicut tempore Cesaris, et Constantini chri- stianissimi fuit unum, et propter predicta motus animorum, et oculi sanctorum , et discretorum hominum , et principum , et baronum, et dominorum, et comunium et totius populi Ytalici, et etiam teoto- nicorum, et aliorum de imperio in habendo vos dignum, in romano- rum regem, et in imperatorem sunt directi. Ideo ego Bandinus Lan- cea quondam filius domini Guidonis Lancee de Casalei de Pisis mis- (t) Possono leggersi, volti quasi interamente in italiano, nella Storia dell’ aw. Fanucci, lib. III. cap. I. saticus , ambaxiator , sindicus , el procurator Communis Pis arum, sindicatus nomine pro Communi et ex bailiis, et potestatibUs, et mandatis mihi concessis per publica instrumenta ad gloriam Dei, et ad honorem gloriosissime Virginis Marie Matris Christi Dei vi- ventis, et omnium Sanctorum, et Sanctarum Dei, et ad honorem Sancte Matris Ecclesie Bomane, et eius antistitis, suorumque fra- trum, et ad honorem, et bonum statum principum , baronum, co- mitum, marchionum, procerum, et aliorum omnium dominorum, et civitatum, terrarum, et omnium comunium, et totius populi chri- stiani, et imperii romanorum, invotata gratia unius Dei, et indivi- due Trinitatis, Vos dominum Alfonsum predictum presentem pro toto imperio romanorum, et eiusdem imperii nomine, et totius po- puli de imperio, eius negotium utiliter gerendo, in romanorum re- gem, et in imperatorem romani imperii nunc vacantis eligo , et as- summo, promoveo, atque voco. Quare nos predictus Alfonsus rex predictam electionem assumtionem, promotionem, et vocationem, et omnia predicta Spiritus Sancti gratia invocata, ad gloriam Dei, et ad honorem Virginis Sancte Marie, et omnium Sanctorum, et San- ctarum, et ad honorem Sancte Matris Bomane Ecclesie, et eius an- tistitis, suorumque fratrum, et ad honorem, et bonum statum prin- cipum, baronum, comitum, marchionum, procerum, et aliorum omnium nobilium, et civitatum, terrarum, et omnium comunium, et totius populi christiani, et imperii romanorum acceptamus, reci- pimus, volumus, et firmamus, et in signum, et in investituram dicti imperii. Ego iamdictus Bandinus sindicus, sindicatus nomine pro Comuni Pisano, et pro omnibus suprascriptis, ut servus Jhesu Chri- sti per vetus , et novum testamentum, et crucem, et ensem vos pre- dictum dominum Alfonsum investio, et flexis genibus osculum pads, et fidelitatis pedi vestro porrigo , et ex nunc vos pro comunitate pi- sana, et pro omnibus predictis pro romanorum rege, et imperatore recipio, et ab hac hora in antea habebo, et tenebo, et ut modo legitimo imperatori adhereo, toto tempore adherebo, etiam vestris filiis, et he- redibus vobis in hoc honore succedentibus, et sic ad sancta Dei Evan- gelia iuro. Quam investituram, et que omnia predicta nos predictus Alfonsus rex, sicut dictum est, recipimus. Et ad veritatis memoriam de predictis perpetuo conservandam, dictus sindicus et prefatus do- minus rex me Matheum Notarium filium quondam Salvii de civitate Pisarum de prefatis omnibus, ut superius scripta sunt, cartam, et cartas publicas, unam, et plures, et semel, et pluries scribere, et fir- mare, et in publicam scripturam redigere rogaverunt. Acta sunt hec SS"" 455 omnia in Villa de Soria de Yspania regni Castelle in palatio re - gali suprascripti domini regis in presentia mei Mathei Notarii su- pradicti , et in presentia dominorum fratris Stephani de Ordine Fra- trum Predicatorum archiepiscopi Turritani, et fratris Laurentii de Portugalia de Ordine fratrum Minorum, penitentiarii domini Pape , et prosecutor'is crucis negotii in tota Yspania, et Suerii Petri epi- scopi de Zamora, iamdicti domini regis Notarii, et Garthie Petri archidiaconi Marrocchitani, testium ad hec specialiter vocatorum, et electorum, Dominice Incarnationis anno millesimo ducentesimo quin- quagesimo sexto secundum cursum Pisarum, et quinquagesimo quinto secundum cursum Yspanie. Indictione quartadecima , quintodecifno Kalendas Aprilis. Ego Matheus Salvii quondam filius domini Frederici serenis- simi romanorum imperatoris notarius predictis omnibus interfui et hec omnia rogatu predicti domini Alfonsi in romanorum regem et in imperatorem electi, et prefati sindici ad veritatis memoriam per- petuo conservandam scripsi, et meo signo firmavi (1). Segue il Privilegio concesso dal cletto re Alfonso imperatore alia Comunita di Pisa. IN NOMINE PATRIS, ET FILE, ET SPIRITUS 3ANCTI. Amen. Nos Alfonsus Dei gratia in romanorum regem, et in impera- torem electus, rex Castelle, Toleti, Legionis, Gallethie Sibilie, Gor- dube, Murscie, et Gienne. Cognoscentes devotionem sinceram, et fidei puritatem, quam commune Pisarum erg a romanum imperium, et antecessores nostros romanorum imperatores, et Maiestatem nostram semper habuit pre ceteris clariorem , et servitia magna et excelsa, que hactenus prestitit, et in antea, dante Domino, habebit, et affectuose prestabit nobis , et nostris filiis, qui honore imperii fuerint decorati convenimus, et promittimus tibi nobili viro Bandino Lancee filio quondam Domini Guidonis Lancee de Casalei de Pisis missatico, ambaxiatori, sindico, et procuratori communis Pisarum, sindica- tus nomine pro ipso comuni, et civitate Pisarum recipienti, quod faciemus, et curabimus ita toto conamine, et posse nostro, quod dante Domino, eiusque favente dementia, imperium romanum consilio, et auxilio communis Pisarum , et aliorum nostrorum fideliurn obtinebimus, 456 et manutenebimus universum, et quod tempore nostre coronationis Ro- mam vel ad dominum Papam secundum quod alterum magis de con- silio nostro et ipsius communis Pisarum, et aliorum fidelium imperii , et regnorum nostrorum processerit, veniemus magnijwe, ac potenter , ut nostrum decuerit Maiestatem, et quod ad imperium manutenen- dum, et augendum erimus studiosi pro posse nostro, et operam da- bimus efficacem. Et quod imperii fideles nostros manutenebimus iu- stitia, comodo, et honore, et injideles subiugabimus nobis iuxta divi- nam potentiam nobis datam, et precipue Pisanos, ut fidelissimos ho- norabiliter tractabimus et devotos, et eos ex nunc sub nostra custo- dia, tutela , protectione , omnique defensione recipimus contra omnem, personam , et locum, et omnes suos honores, et iura, dignitates, pos- sessions, privilegia , bona, consuetudines , comitatum, et districtum eis servabimus, et servari faciemus, et mandabimus per officiates nostros , prout nunc habent, et tenent, et eisdem a dims romanorum impera- toribus sunt concessa, et ex nunc ea omnia auctoritate, qua fungimur, confirmamus, et tempore nostre imperialis Corone per privilegium promittimus confirmare , et ex nunc comitatum, districtum, civitates, castra, villas, loca, et insulas prout communi Pisarum a divis ro- manorum imperatoribus sunt concessa , tibi pro communi Pisano, et ipsi communi Pisarum in feodum, et nomine feodi damns, concedi- mus, et largimur, et ea auctorizare, et defendere ab omni persona, et loco tibi pro dicto communi, et ipsi communi Pisarum promit- timus ; et inde te per vexillum, quod in manu tenemus de nostris armis invcstimus, et tempore nostre coronationis ensem, et vexillum eidem comuni concedemus. Quare ego supradictus Bandinus sindi- catus nomine pro dicto communi Pisarum, et omnibus adherenti- bus dicto comuni promicto et convenio, vobis suprascripto domino Alfonso Dei gratia in romanorum regem, et in imperatorem ele- cto, quod commune Pisarum Maiestatem vestram, et personam ve- stram, et filiorum vestrorum, et omnium nuntiorum, qui pro vo- bis fuerint, salvabit, et custodiet in terra, et mari, et ubique iuxta suum posse, et scire, omni tempore, bona fide. Et quod comune Pisarum non erit in consilio , consensu, vel facto, quod vestra Maiestas, vel filiorum vestrorum, vel vicarius vester in Ytalia, vel capitaneus vester in Tuscia, sive nuntii, atque officiates perdant vi- tam vel membrum, vel capiantur mala captione, aut perdant im- perium vel honorem, regnum vel terram , que nunc habetis, vel in antea, dante Domino , acquisiveritis, et si sciret, vos, et ipsos inde defendet juxta suum posse, et si non posset Vestre Maiestati, ac fi- vvx ® liorum vestrorum, et cuilibet predictorum citius, quam potent nuntia - bit, et vos, et ipsos recipiet honorabiliter debitis reverentia, et honore, et quod omnia, et singula consilia, que vos, vel aliquis pro vobis pe- tieritis a dicto communi jideliter, et recte dabit, prout Divina gratia ministrabit, et quod omnes credentias, quas sibi mandaveritis, vel vi- carius vester in Ytalia sibi mandaverit, sive capitaneus in Tuscia, servabit, et tenebit, et ad dampnum credentie non manifestabit. Et quod operam, et studium, et iuvamen dabit comune Pisarum iuxta suum posse, ut actenus alicui imperatorum fecit, vel facere consue- vit, quod imperium universum in tranquillitate, et pace habeatis, et possideatis in perpetuum, vos, et vestri filii legittimi qui vobis in hoc honore successerint, bona fide, sicut romanorum unquam aliquis ha- buit imperator, etiam si aliqui de imperio, vel pro imperio contra- dixerint. Et quod omnia, et singula, que alicui romanorum impera- torum antecessorum vestrorum dictum comune fecit, vel tenetur fa- cere, seu consuevit , faciet vobis et vestris filiis legittimis qui vobis in hoc honore successerint, tarn per mare, quam per terrain bona fide, sine fraude remota omni malitia. Et quod sacramentum fidelitatis imperatoribus consuetum, tarn per potestatem, quam per capitaneum populi, et anthianos et senatores , et capitaneos militum, et con- sules ordinis maris et consules mercatorum terre, et consules artium, et omnes officiates et populum universum, tarn de civitate, quam de districtu, et insulis qui sacramentum populi Pisis prestare consue- verunt, dictum comune prestabit ad vestram , vestrorumque nuntio- rum requisitionem, et ex nunc ego dictus Bandinus sindicatus no- mine pro dicto comuni, invocata Christi gratia et auxilio, ad gloriam Dei omnipotentis, et ad honorem gloriosissime Virginis Sancte Marie, et Archiepiscopi, et Archiepiscopatus pisani, et Sancte Marie Maioris ecclesie pisane eiusque Capituli, et aliarum ecclesiarum, et dictorum potestatis , capitanei, anthianorum, et aliorum omnium predictorum in animas dicti comunis , et omnium, et singulorum Pisanorum, ex li- centia, et potestate mihi data per publicum instrumentum bulla cere Pisani comunis bullatum, sacramentum fidelitatis f ado, sicut unquam Pisani consueti sunt facere imperatoribus romanorum vobis domino Alfonso predicto excellentissimo et invictissimo romanorum impera- tori et iuro. Et ex nunc, comitatum, districtum, civitates , castra , villas, loca , et insulas prout comuni Pisarum a divis romanorum imperatoribus sunt concessa a Maiestate Vestra pro comuni Pisa- rum sindicatus nomine me in feodum fateor recepisse. Et ad veri- TOMO L 58 458 tatls memoriam de predictis in perpetuum conservandam prefatus dominus Imperator, et dictus Sindicus me Matheum notarium filium quondam JSalvii de civitate Pisarum de prefatis omnibus, ut supe- rius scripta sunt, cartam , et cartas publicas unam, et plures semel, et pluries scribere, et jirmare, et in publicam scripturam redigere rogaverunt. Acta sunt liec omnia in villa de Soria de Yspania regni Castelle in palatio regali suprascripti domini regis in presentia mea Mathei notarii supradicti, et in presentia dominorum fratris Ste- phani de Ordine Fratrum Predicatorum archiepiscopi Turritani, et fratris Laurentii de Portugalia de Ordine Fratrum Minorum, pe- nitentiarii domini Pape, et prosecutoris Crucis negotii in tota Yspa- nia, et Suerii Petri episcopi de Zamora iam dicti domini regis no- tarii , et Garthie Petri archidiaconi Marrocchitani, testium ad hec specialiter electorum et vocatorum, Dominice Incarnationis anno mil - lesimo ducentesimo quinquagesimo sexto, secundum cursum Pisano- rum, et secundum cursum Yspanie quinquagesimo quinto. Indictione quartadecima , quintodecimo Kalendas Aprilis. Ego Matheus Salvii quondam jilius domini Frederici serenissimi romanorum imperatoris notarius predictis omnibus interfui et hec omnia rogatu predicti domini Alfonsi in romanorum regem et in imperatorem electi, et prefati sindici ad veritatis memoriam perpetuo conservandam scripsi, et meo signo firmavi ( 1 ). Anno i257. — Ne la elczione d’ Alfonso pei pi- sani fu stolto ardimento: molti potentati la riconob- bero, e se ne allegrarono: anzi se Alfonso avesse cu- rato pid dclle cose della terra, egli che tanto curavasi di quelle del cielo, il mondo lo avrebbe ammirato sul soglio dei Federighi a fame dimenticare le cru- delta. Checche ne fu, i pisani ne ritrassero sommo vantaggio, attivando il piu florido commercio sulle spiagge della Spagna. Era potesta di Pisa Riccardo da Villa milanese, e Bonifazio Gazzani da Modena era capitano del popolo. Sotto i quali durando le ire tra Genova e Pisa, i genovesi spedirono sedici galcre contro i pisani, che, avendone settc soltanto, (1) CoIIazionato coll’ originale esislente nel R. Aichivio di Stato in Pisa, Diplomatico, Atti pubblici. c ^-v\ 459 schivarono la battaglia, prudentemente ritirandosi sotto una torre della riviera di Sardegna. Era in questo tempo il castello di Castro assediato dal pi- sano giudice di Arborea. E non potendo quci di dentro pin sostenersi per fame estrcma, si rescro, con sommo duolo di Genova c gioja somma di Pisa. Intanto in Levante i genovesi la rompevano coi ve- ncziani. I pisani si allearono con quest’ ultimi l’anno seguente. Anno 1258. — Fecero in Modena questo concor- dato: « I veneziani e i pisani, e tutti die per vene- « ziani e pisani distinguonsi, si difenderanno scambie- « volmente in qualunque luogo ultramarino, tanto in « terra quanto in mare, e si aiuteranno contro i « genovesi, sia che i genovesi offcndano i veneziani « ed i pisani, o sia che i veneziani ed i pisani offen- « dano i genovesi ». S’ interpose il buon ponteficc Alessandro IV, suc- cessore d’ Innocenzo, ma nulla ottenne per allora. Dai pisani specialmente potea ripromcttersi obbe- dienza, avendoli l’anno decorso sciolti dall’interdetto per mezzo di fra Mansueto dell’ ordine dei Minori di san Francesco, come si ha da questa bolla. ALEXANDER EPISCOPUS SERVUS SERVORUM DEI. Dilecto fillo Poenitentiario nostra fratri Mansueto de Ordine Minorum, salutem et apostolicam benedictionem. Clemens semper , et mitis in suis aciibus Mater Ecclesia ilium benignitatis circa suos filios tenet modum, ut tanquam vehementer in operibus pietatis exultans, quasi amoenas sibi delicias existimans misereri, eligit magis servare mansuetudinem, quam rigorem, et igno- scere potius, quam sevire. Unde si culpam in quocumque reperiat , vel offensam , quia delectabile, ac jucundum est sibi dimittere delin- quentem , et poenae dimissione, vel moderatione jocundum libentius, parcit, quam feriat, et plus se illi propitiam exhibet, quam severam. Nam et agnoscit, quod revera tunc de aliquo egregie vindicta sumi- tur } cum ei magnanimiter indulgetur , idest in suis praecipue querit, 460 et optat Ecclesia, quod in suo benigno collecti gremio amove , ac de - votione projiciant , et in suorum duleedine uberum continuo delectentur. Sane accedentes ad presentiam nostram ambasciatores, et sindici Communis Pisani ex parte ipsius communis nobis supplicarent, ut dictum commune paratum mandata nostra suscipere , ac servare per omnia reverenter in nostram, et Apostolicae Sedis gratiam admittere curaremus , ojferentes nobis, quod dictum commune, dictam ecclesiam , legatos, et nuncios ejus ac familias eorumdem in personis, et rebus nunquam offendent , nec ullo tempore in aliquo contra Ecclesiam erit , eamdem, nec adversus ipsam inimicis ejus, vel adversarii adhaerebit, aut contra earn praestabit auxilium, vel favor em, sed Ecclesiae lega- tos, et nuncios humiliter, et devote suscipiet, et eos congrua reveren- tia, et honorificentia pertractabit, dictum quoque commune in civitate pisana, el Histrictu ipsius res, et bona, quae fuerunt prelatorum, et familiarium suorum, et illorum omnium, qui dudum in galeis capti fuerunt diligenter, et sine fraude inquirere, et ea, de quibus inveniri poterit, quod ad illos de civitate, et districtu praedictis praesentes, et absentes etiam provenerint, per eos, aut haeredes, vel successores eorum, si forte deresserint, restitui facer e teneatur. Ad haec praedi- ctum Pisarum Commune in civitate ipsa, vel circa earn in loco apto, quern ad hoc duxerit designandum, quoddam Hospitale construi fa- cient, in quo tarn pro aedificiis, quam pro dotatione ipsius usque ad quinquennium decern millia librarum pisanae parvarum, videlicet duo millia quolibet anno expendet. Hujusmodi autem hospitale verae gu- bernationi, dispensationi et defensioni nullo modo subiacebit, ab omni jure et jurisdictione diocesani episcopi et cujusque alterius prorsum exemplum. Nos itaque more pii patris, qui offendentes filios odisse non potest, te, de cujus circumspectione plenam in Domino fiduciam obtinemus, ad partes illas propter hoc duximus destinari, discretioni tuae per apostolica scripta mandamus; quatenus, postquam praedi- ctum commune de praedictis omnibus faciendis, e plenarie adimplen- dis, ac observandis, cautiones, et securitatis idoneas , et sufficientes curaverit exhibere, et de stando praecise mandatis nostris super omni- bus injuriis, et ojfensis Ecclesiae legatis, et nunciis praedictis , et fa- miliis eorumdem, ad etiam quibuscumque aliis occasione ipsorum, et discordiae ortae dudum inter Ecclesiam, et quondam Fridericum olim Romanorum Imperatorem illatis, corporate praestiterit iuramen- tum, ac nihilominus de non offendendis Ecclesiae legatis, ac nunciis praedictis, et eorum familiis, et de suspiciendo eos humiliter, et de- vote, ac ipsis reverenter, et honorifice pertractandis, et quod ullo tempore contra Ecclesiam ipsam erit , neque adversus earn ipsius ini - micis, et adversariis adhaereJbit , aut contra ipsam praestabit auxilium , vel favorem, prout superius est expressum. Statutum fecerit post ca- pitulum de fide catolica in suis capitularibus aductandum , quod sta- tutum potestates civitatis ipsius, qui pro tempore fuerint in eadum in principio sui regiminis, aG universi, et singuli civitatis praedictae observare jurabunt, ex de quo fideliter observando, quilibet potestas pisanae civitatis successor em suum praestare faciet in perpetuum iu- r amentum, et de hoc etiam cautionem, et securitatem idoneam, et suf- ficientem ipsum commune exibuerit. Praefatum commune, ac omnes clericos, et laicos, viros, et mulieres civitatis, et districtus praedictorum, absentes, et quoslibet, qui nomine pisano censentur ab omnibus inter - dictorum, et excomunicationum sententiis, quas incurrerunt, et quae in ipsos fuere prolatae occasione captionis, et spoliationis praelatorum, et familiarium suorum, et aliorum, qui dudum in galeis cum prae- latis capti fuerunt eisdem, ec etiam servitii, seu obsequii praestiti ab ipsis quondam Friderico olim Romanorum Imperatori, et ejus filiis, seu nuncii, vel officialibus , seu fautoribus, vel coadiutoribus , sive com- plicibus eorundem, et pro quibuscunque injuriis, vel offensis illatis, vel factis ab eis eidem sedi , seu legatxs, vel nunciis ipsius, sive alii pro eadem sede quacunque occasione, vel causa, et pro eo quod inobe- dientes eidem sedi, vel legatis ipsius, sive nunciis extiterunt. A poenis quoque quibuslibet eis pro praemissis, vel aliquo praemissorum debitis, vel quibus sunt obnoxii occasione Ecclesiae legatorum, et nunciorum praedictorum, et familiarum eorundem, et personarum ecclesiastica- rum juxta formam Ecclesiae absolvas auctoritate nostra, unterdicto in civitate , et in districtu praedictis propter praemissa posita rela- xato. lungens nihilominus eidem communi poenitentiam publicam, ad quam devote accipiendam se obtulit, et humiliter peragendam. Ad haec omnia privilegia praedicto communi a praedecessoribus nostris romanum Pontificibus, aut ab eodem Federico, antequam- in eum esset depositionis sententia promidgata, sive quibuscumque Imperatoribus romanis concessa, etiamsi eorum aliquibus per Ecclesiam eadem oc- casione praemissorum privati fuerint sibi auctoritate nostra confirmes sine juris praejudicio alieni. Contraditores autem, si qui fuerint, vel rebelles, monitione praemissa per censuram ecclesiasticam appellatione remota compescas. Dat. Lateranus Kal. Aprilis, Pontificatus nostri ann. Hi. vv- 462 Contuttocio pisani, veneziani, provenzali e mar- siglicsi navigarono in Oriente. Papa Alessandro rinforzo le sue premure per la pace. Tra i pisani e i genovesi era forte ostacolo alia concordia il castello di santa Zilia nella diocesi di Caglieri in Sardegna, sendoche Funo e l’altro popolo ne pretendeva il dominio. Ed i pisani affor- zavano il loro diritto colle armi, essendo intorno a quella terra ad assedio e gagliardamente battendola. Ora avvenne che il savio pontefice si efficacemcnte adoprasse, che da ambe le parti venne in di lui mano rimesso il giudizio della lite per quel castello. Fu sta- bilito che la S. S. lo tenesse sino all’ aggiustamento della causa. Quindi, il 6 di luglio, Alessandro IV scrisse da Viterbo ai commendatori dei cavalieri Ospitalieri e Templari residenti in Sardegna: pren- dessero, come suoi commissionari e delegate il pos- sesso di santa Zilia, allontanandone i genovesi che la difcndevano, ed i pisani che la battevano. Dicemmo come papa Alessandro assolse i Pisani dalle censure. Una condizione egli appose all’ assolu- zione, e fu che fondassero un vasto ospedale nel corso di cinque anni, con la spesa di diecimila lire. Quest’ anno F arcivescovo Federigo Visconti uni al nuovo ospedale, che fabbricavasi, tutti quanti gli ospedali della citta e della diocesi, tranne quelli che appartcnevano al Capitolo: e papa Alessandro con- fermo la fatta unione il 28 luglio. Il 25 agosto poi concesse che F ospedaliero creato da fra Mansueto delegato pontificio, potesse far tagliare in Garfagnana, nelle terre pertinenti alia Santa Sede, il legname necessario alia fabbrica. E il di 27 con ahre lettere diede autorita all’ ospedaliero ed ai frati del nuovo ospedale di ricevere dai penitenti, a titolo di sovven- zione, cio che avessero con male arti acquistato, ne si sapesse a cui fame restituzione; com’ anche ^) r Xr^. 'A 463 per commutazione cli voti, trannc quello di peregri- nazione a Gerusalemme, fino alia somma di mille marche d’argento. Altri favori ed aiuti, col volger degli anni, largirono al pio stabilimcnto altri pontefici: Urbano IV, Clemente IV, Gregorio X, Giovanni XXI c XXII, Niccolo III e IV, Leone X, Clemente VII e molti altri i quali sentirono che allora si serve alia vera religione, quando si soccorre alia misera umanita. Anno 4259. — Dopo la perdita di Gerusalemme, Tolemaide, o san Giovanni d’ Acri, era la citta reale dei cristiani. Ivi da ogni parte accorrevano; ivi sotto la fede degli infedeli si faceva il piu florido com- mercio delle riechezze d’ India, d’ Etiopia, di Persia e d’ Arabia: i veneziani, i pisani e i genovesi vi aveano contrade, piazze, tribunali e gindici. I geno- vesi e i veneziani teneano comune tra loro la chiesa c il monastero di san Sabba. Chi avrebbe creduto che questa comunanza sarebbe stata seme di discor- die, ne si recherebbero i due popoli a vergogna lo agitare le loro passioni nel seno stesso della casa di Dio? Ciascuno si arrogo il dominio di quel tempio, e ricorsero al pontefice. Egli, commosso nel piu profondo dell’ animo, scrisse pei veneziani al patriarca di Gerusalemme; pei genovesi al prior della chiesa conventuale degli Ospitalieri. I genovesi ebbero primi il rescritto, e si fecero mettere in possesso della chiesa e del monastero, col favore di Filippo Mon- fort, nobile barone francese che possedeva in quel tempo il principato di Tiro : poi monastero e tempio fortificarono a modo di rocca, ed armi e genti rac- colsero per le difcse. Non tardarono i veneziani a menarne lamento presso Monfort: il patriarca gero- solimitano, diversi principi e signori cristiani furon con loro, ma invano : era fatale che 1’ affronto si lavasse col sangue. -rj\& 464 Ritiratisi i veneziani in Tiro, coll’ aiuto dei pisani e con qualche soccorso di Manfredi re di Sicilia ar- marono tredici galere e’ mossero contro Tolemaide. I genovesi aveano chiusa la bocca del porto con una grossa catena: le tredici navi dicdero dcntro di grand’ nrto; la spezzarono, entrarono a forza, e il monastero di san Sabba fu in fiamme. Avresti visto allora da ogni canto armi c pugne crudeli; quegli, accaniti, parea volessero estinguere col loro sangue l’incendio. In breve la terra fu coperta d’uccisi, i piu belli edifizi adeguati al suolo, tra i quali un’an- tica tone dei pisani: cspulsi i genovesi, i veneziani ed i pisani padroni del porto. Diffusasi la fama di queste cose, da Genova venne formidabil rinforzo. 11 23 o 24 giugno la genovese armata veleggiava davanti a san Giovanni d’Acri sfidando i nemici a battaglia, Uscirono i veneziani coi loro collegati, e s’ impegno il piu fiero combat- timcnto: ondeggio per poco incerta la vittoria; in fine, disfatti intieramente, dovettero i genovesi darsi alia fuga, lasciando mille settecento uomini tra feriti c morti, e venticinque galere in mano dei vincitori (1). Non e a dirsi con qual animo papa Alessandro vedesse andar cosi le sorti d’Oriente in totale rovina. Chiamo a se ambasciatori plenipotenziari dei tre popoli marittimi d’ Italia, e v’ andarono : Giovanni da Canale, Filippo Sturlati ed Andrea Zeno, pei vene- ziani; Percivalle d’Oria, Luca Grimaldi, Uberto Passio ed Ugo dal Fiesco, pei genovesi; messer Renato Marzupro pei pisani. Convenuti i quali, Sua Santita aperse loro: la grave offesa onde oltraggiavano Iddio (1) Non e ben prccisa 1’epoca di questo avvenimenlo, segnandolo al- cuni all'anno 12o7, altri al 125S; ai quali forse si uniforma il Tronci, sup- ponendo che qui segua lo stile pisano. 465 lacerandosi in guerre fraterne; il rischio, a cui espo- nevano il cristianesimo, di perder tutto in Soria; il danno, che alle proprie rcpubbliche cagionavano, tagliando o attraversando almeno le vie dell’ orientale commercio. Dichiaro quindi solennemente, chel’ester- minio de’ fedeli in Soria e il trionfo de’ maomettani sarebbero imputati a chi rifiutasse una tregua. E poiche gli arnbasciatori a concordia inclinavano, sta- bili: La colonia genovese tornerd in Acri , ma non le sard lecilo ristorare la torre e i casamenti ab- battuti ; le navi della colonia genovese di Tiro non entreranno per Ire anni nel porto di Acri a ban- diere spiegate; questa pace durerd tre anni almeno; saranno liber ati i prigionieri di quafunque nazio- ne (1). Sventura che al savio ed amoroso provve- dimento opponevansi odii inveterati ed esecrabile gelosia di stato. Intanto avanzava la fabbrica dell’ Ospedale (2). Ferveva 1’ opera, allorche gli anziani e il potesta si videro presentare arnbasciatori del comune di Vol- terra. I quali manifestato avendo che la loro repub- blica trovandosi in estrema penuria di grani, ne avea fatta comprare buona somma nel regno di Napoli e di Sicilia, prcgavano i pisani di non impe- dirne il trasporto per il distretto di Pisa. Gli anziani diedero il pormesso per cinquecento saline o some, a misura del regno, purchc il grano fosse compro fuori della citta e sue pertinenze, non in Corneto, Montalto, contea Ildesca, Grosseto ed altri luoghi sino a Civitavecchia; che recassero un riscontro del rettore o della comunita da cui il grano levavano; (1) Serra, Storia di Genova. (2) Il Tronci dice che quest’ anno fu ultimata; ma il Repetti osscrva che 80 anni, e non soli due, furon necessari per trarla a compimenlo. TOMO I. 59 '^ mora (1); ma anche questo fu nuovo motivo di guerra tra Pisa e Ge- nova.’ Essendoche una galera di Guglielmo da Mare genovesc, dopo il vespro siciliano, pigliando parte in favore del re Carlo alia pugna navale presso Mes- sina contro la flotta di Pietro re d’Aragona, rima- sta vuota di difensori, morti quasi tutti in battaglia, pote a stento scampare con soli diciotto uomini. Era giunta fuggendo presso Y accjue di Baja, allor- che due navigli pisani la sopraggiunsero, la presero e la condussero a Pisa. Con qual animo Genova ne udi la notizia, ciascuno se lo immagina. Ma un altro fatto si aggiunse perche venisse rotta quella guerra che, funestamente per Pisa, vedremo termi- nare alia Meloria. Ci facciamo a narrarlo. Fin dall’anno 4276 il giudice di Cinarca, pro- vincia occidentalc deir isola di Corsica, prese ad usar crudelmentc contro quanti approdavano alle sue spiagge, o che lunghesso i suoi lidi navigavano senza dilesa. Di piii, assicuratosi in una fortezza e fattone un ricovero di ladroni, di la scorreva tutto il paese alfintorno, mettendo a ruba ogni cosa. I Gcnovesi, che aveano della Corsica P alto dominio, non potevano patire si gran vituperio: onde fecero alio sciagurato regolo ammonizioni e minacce che furon vane. Spedirongli allora contro quattro ga- lere con gente da sbarco, la quale unitamente coi soldati del castello di Bonifazio, la fortezza del giu- dice espugnarono; poi, siccome egli ardi venire a battaglia, intieramente lo disfecero, sicchc pote a stento salvarsi fuggendo. Ripard in Aleria; quindi venne a Pisa. L’anno 1280 giurando ai Pisani vas- (1) Vuolsi qai accennare il famoso vespro siciliano. 502 sallaggio e 1 ’ intcro possesso di Corsica, impetro pro- tezione ( 1 ). I Genovesi alia fama di queste cose in- viarono ambasciatori, domandando all’ emula repub- blica che non volesse aiutare un uomo per cui i doveri verso ogni nazione erano stati calpestati. I Pisani risposero quell’ uomo essere ormai loro vas- sallo e cittadino; e quest’ anno ( 1282 ) allestirono una flotta per ricondurlo nell’ isola. Irritati della risoluzione dei pisani, i genovesi armarono ventitre galere e otto panfili, specie di navigli che andavano a quaranta remi, e ne fecero sulle prime ammiraglio Niccolo Spinola; ma poi, pcrche egli rimanesse a governar la citta, ne fu scelto capitano Uberto. Doria. Ai dieci agosto que- st’ armata sciolse dal porto, ed arrivata alia vista dell’ isoletta della Meloria, scorse la flotta pisana composta di trentadue galore e gran numero di bar- che cariche di soldati. Cedendo alia forza del nu- mero, i genovesi tirarono in alto mare ed ivi get- taron le ancore, arrestandosi ad osservare le mosse de’ nemici. I quali misero a terra sano e salvo il giudice, che riprese facilmente Cinarca, perche il presidio genovese, tutto composto di mercenari, erasi sban- dato, scusandosi che non aveva piu paghe. Riuscite cosi favorevolmente le cose, i pisani rifecero vela alia volta della patria. Credeano incontrare la flotta genovese; ma i genovesi per imminenza della ven- demmia s’ erano ritirati, e disarmati avevano e tratti in secco i vascelli. Quindi credendo Pisa dover co- gliere la propizia occasione, con ventidue navi co- mandate da Guinicello Sismondi andarono a Porto- venere e diedero il guasto a tutto quel paese. I genovesi attendevano alle loro bisogne; ma alia vi- (1) Marchese Serra. 503 sta di tante rovine, colla prestezza del lampo arma- rono quante navi poteano ed uscirono per scontrare i nemici. Cio non venne loro fatto; perche il Sismondi, prevedendolo, avea gia messo alia vela per il ri- torno. Lo sdegno del cielo fece la vendetta di Ge- nova; poiche appena i pisani furono sopra Motrone si levo una tempesta cosi crudele, che diciassette galerc irrcparabilmente spinte alle spiagge, ■ vi nip- pero colla perdita di molta gente : tristo preludio di una guerra, che doveva esser tanto fatale alia na- zione (1). Da questo punto in poi in Pisa e in Ge- nova non si die opera ad altro che a grandi pre- parativi. I Genovesi crearono un magistrato di quin- dici savi, chiamato della credenza (2), il quale sta- bilisse gli ordini, ed imponesse i dazii che il pub- blico bene richiedeva. La sostanza de ’ loro provve- dimentij dice il marchese Serra, fu questa: appal - tare le gabelle che ognuno impunemente fraudava; accrescere la pubblica rendita fino a cento quaran- tamila lire ( tre milioni di lire incirca della mo- neta oggi corrente); ripristinare non solo i con - tingenti marittimi , ma descrivere ancora tutti gli uomini idonei al navigare; obbligarli al tiro della balestra ed agli esercizi della tattica militare; non arruolar forestieri; interdire ai privati i pubblici boschi; rivendicar gli usurp ati , e tagliare il le- gname necessario per centoventi galere. Avesse ogni scafo palmi cinquantuno in lunghezza, il settimo al piu in larghezza, ventotto banchi ad ogni lato ; e dove prima vagava un sol uomo per banco, si rad - (1) Fanucci, Storia dei tre celebri popoli marittimi d' Italia, genovesi , veneziani e pisani. (2) Il marchese Serra dice rinnovellarono e non crearono , giacche, se- condo lui, il magistrato della credenza era antico. II Fanucci poi dice questo consiglio della credenza esser chiamato cosi dalla fiducia che si aveva a’suoi component!. 504 doppiassero e triplicassero le file. Fosse sospeso il trajfico marittimo per sei mesi, e il titolo d’ ammi- raglio e lo stendardo di san Giorgio vietato fosse a chi non guidava piu di died galere (1). Cosi tutto in Genova movimento e vigore, e ben si travedeva che quel popolo era per divenire primo sul mare. Con non meno d’ardore si apparecchiava Pisa. Sulle piagge dell’ Arno si costruivano cinquanta grosse galere nuove; i ire signori della Sardegna, rientrati in Pisa, fecero venire in soccorso della pa- tria tutti i loro navigli grossi e sottili. Da un lato poi e dall 1 2 3 altro si mandarono avvisi alle colonie lontane delle cominciate ostilita; che i legni mer- cantili venissero scortati, ed. i corsari reciproci alle bandiere nemiche desser la caccia (2). Sulla fine dell’ anno sette galere pisane ne incon- trarono quattro genovesi, le quali tornavano di Corsica. Volcano dar loro addosso , ma queste col favore d’un vento propizio si salvarono; e le pisane, assalite da fiero temporale, spinte al golfo di Nebbio, urtarono in terra; quattro ne affondarono; le rima- nenti scamparono appena (3). Con questi ferali au- spicii si apersc la carnpagna dell’ anno mille dugento ottanta tre. (1) Quest’ ultima rn sura fu presa perche ognl piu oscuro padron di nave s’intitolava ammiraglio, ed inalberava lo stendardo di san Giorgio: cosa che causava una perniciosa confusione di gradi, e comprimeva 1’emula- zione. (Marchese Serra). (2) In questa occasione avvenne cosa degna di memoria. Solevano Ge- nova e Pisa tenere ciascuna presso l’altra un commissario esploratore per vigilare i moti e le operazioni che potevano interessare il proprio governo, e riferirne: in questa guerra i due commissars furono licenziati. (3) Per non interrompere il filo di questo racconto, riporliamo qui in nola una cosa di lieve momento, passata tra Pisa e Volterra, « Nel mese di luglio, dice il Tronci, di quest’anno fu potesta di Volterra Villano di Jacopo Villani pisano; e, appunto nel mese di giugno antecedente, la Repubblica di Pisa mandd ambascialori a Volterra il cavalier Lanfranchino Lanfranchi, pretendendo che i vollerrani rilasciassero Ceddri alia comunita di Pisa. I 505 5 Anno 1283. — Tre galere genovesi coinandate da Guglielmo Fico Martaro, alle quali se ne congiunsc un’altra di Pagano di Marino, presero una nave pisana di Giovio Mosca, carica di roba; sicche l’cra- rio del comune si arricchi di quindicimila lire: altra nave e molte barche predarono ed arsero verso il porto di santo Stefano; — piceoli preludii a danni maggiori. Ginnta la buona stagione i Pisani spedirono se- dici galere alia volta di Corsica, sotto il comando di Rosso Buzzaccherini. In quell’ isola il giudice di Cinarca avea posto l assedio a Bonifazio, ma avea dovuto levarlo per la costanza de’difcnsori. In quc- sto mentre andavano meglio le cose in Sardegna, ove il giudice d’Arborea erasi irnpadronito d’ Al- ghero, unico presidio chc vi rimanesse ai Genovesi. Cosi tranquilla per questo lato, Pisa pensava ad of- lendere la sua rivale nelP isola di Cirno. Impero alle sedici galere, di sopra rammentate, ne spedi dietro altre nove, con novc barche cariche di soldati: le quali volgendosi contro Capocorso, i vi riportaron ben presto dei forti vantaggi. Ma intanto usciva dal porto di Genova l’ammi- raglio Tommaso Spinola con trentaquattro galere, con le quali navigando prima verso la Capraja, poi verso la Pianosa, ne occupo i borghi e ne disfece le torri. Cola vennegli per avventura in potere un volterrani spedirono ancor essi ambasciatori a Pisa Balzetlo di Gulfagno Barzetti, c Gualfredo di Cacciaconte, a rappresenlare le loro ragioni. Furon rieevuli onoralamente dagli Anziani ; e Andieotto, capo di essi, rispose (he la Repubbliea pisana si contentava si vedesse il punto per giuslizia. Accon- sentirono i detti ambasciatori, mentre pero, fin che non fosse data sentenza, rcstasse in possesso la loro repubbliea Si ha il tutto dalTarchivio della co- munita di Volterra. Pannocchia, dei Conti della Sasselta, fu potesla di Vol- terra , dopo lui Villano di Jacopo Villani, ambedue pisani. 64 506 navicello con lettere indirizzate dal golfo di Caglieri a Pisa, chiedenti scorta per cinque galere, cinque* navi di tre coverte, un galeone ed una tarida ca-l rica di biade e di danaro. Tommaso non mette tempo in mezzo e fa vela per Caglieri. La carovana ne- rnica, avutone sentore, alza 1’ ancore e si sbranca; il galeone investe a terra, e la gente fugge nei bo- schi ; le altre navi si cacciano in alto mare ; inse- guite, assalite, si legano insieme con doppia catena, resistono terribilmente, fin che soccombono, ma prese a forza. Uammiraglio genovese le tragge alia sua patria in trionfo. Alla voce di questi avvenimenti i Pisani non re- spirano che vendetta. Con ernquantaquattro galere muove Andreotto Saracini sulF isola di Sardegna. Non trovatavi F armata genovese, sbarca le genti a terra. In tempo che Tommaso Spinola guastava la Pianosa, Sasseri e Alghero erano tornate a ribel- larsi. II Saracini si da a battere questa citta, e dopo ventotto giorni gli si rendono a discrezione. Intanto un capitano genovese con quattro galere costeggiava la marina di Pisa, e vi ponea tutto a sacco e a fuoco. Una delle galere di lui, inalberando bandiera pisana, entro nel porto nemico; e, trovatavi una barca armata su cui erano due anziani che andavano vi- sitando le fortificazioni, la predo senza trovare im- pedimento, e nave e prigioni condusse a Genova: ove gia era in pronto una flotta di cinquanta- quattro legni comandata da Corrado Doria ; la quale vedendo ogni giorno crescere i prosperi successi, usci d’Agosto tutta speranze. Tirarono sopra Sardegna avvisando trovarvi i pisani; ma Fammiraglio vincitore di Sasseri e di Alghero, risalite le navi, s’ era messo alia volta della patria. Veniva egli a gonfie vele, quando, per im- provvisa traversia di venti, si vide divelte dalF ar- 507 mata quindici galere, e spinte alia costa di Caglieri: colie rimanenti trentanove c costretto a salvarsi verso la costa cli Piombino, nel porto di Falesia, alia bocca del flume Cornia. Informatone Corrado Doria grand 1 allegrezza gli prose udendo cosi vicino il nemico, e trasse alia volta di la. L’ammiraglio pisano, cbe stava alberta, alia notizia che tanta selva di navi veniagli sopra si mise al sicuro dietro la palizzata del porto, l’in- gresso chiudendone con barricate di legno e sassi affondatL Contuttocio il Doria si spinse innanzi pii che pote; con banchi e con remi delle galere, con le piante e coi giunchi del lido fece un ponte; e cosi andava stringendo i pisani, senza che essi lo potessero impedire. Nel tempo di questi lavori, al- cune galere stavan di guardia a certa lontananza. Avvenne che esse tut to ad un tratto scorsero quin- dici vele pisane: — eran le quindici galere spinte dianzi alle rive di Caglieri, e che ora volgevano alia spiaggia toscana. Datone segnale al Doria, egli mando una divi- sione ad inseguirle; le quali cercando scampo a tutta vela e voga arrancata, undici furono salve; ma tre prigioni, e Faltra affondata (1). Dopo questa prcda vedendo il Doria di non po- ter danneggiare i nemici nel porto di Falesia, cosi come s’ crano barricati, si discosto alquanto per dar loro la caccia quando fossero usciti. Ma se gli desto contro tal fortuna di mare, che fu forza abbandonar tutto e riparare a Portovenere. Allora il Saracini, sollecitamente sgombrando la bocca della laguna ove erasi chiuso, ne balzo fuoi i; c, ad onta del mare grosso, guido le trentanove sue galere in salvo a Porto-pisano. (1) II march. Serra dice dieci salve, quattro prigioni ed una affondata. 508 Ad onta delle perdite fatte, non eran sazii i Pi- sani, ma voleano guerra piu fiera: attesero ad ap- parecchiarla. Frattanto un loro capitano, chiamato Bondo Buffaco, corseggiava in Sardegna contro i Genovesi e loro cagionava danni considerevoli. Ge- nova gli sped! contro cinque galere ed un galeone, sotto gli ordini di Filippo Cavaronco; ma questa spedizione fu infruttuosa, perche riusci impossible rinvenire lo scaltro Bondo. Lo perche trassero i ge- novesi verso Barberia, ed in Cizari si rifecero pre- dando una nave pisana carica di merci, da cui Futile di molte migliaja al comune di Genova. All’appressarsi d’ ottobre sessantaquattro galere, montatc da quattordici mila combattenti, erano al- Fordine in Pisa. Se ne diede il comando a Rosso Buzzaccherini de’ Sismondi; ed egli, perche F arro- ganza delle disfide era uso di guerra, scrisse ai ge- novesi che verrebbe sul loro porto, e , lanciandovi da suoi trabocchi una grandine di pietre coperte di scarlatto , ne riempirebbe il molo. I capitani gli fecero rispondere che i trabocchi si adoperavano da Ion - tano; ma che i genovesi verrebbero cosi da vicino, che non ne avrebbe mestieri . Adunque il Buzzaccherini condusse la sua flotta a Portovenere, ed ivi e per tutta quella riviera fece gran guasti. I Genovesi, dal loro canto, non se ne stettero: armarono sessanta galere e ne diedero il comando a Uberto Doria, il quale sollecitamente usci incontro ai nemici. L’ammiraglio pisano crede bene non attenderlo, e se ne torno contento d’ alcuni pri- gionieri, e dello spoglio della ligure costa devastata. Anche il Doria ripatrio; e siccome era in punto la vendemmia e Finverno si approssimava, furono licenziate le turme, e si concesse libera navigazione : molte navi mcrcantili partirono per loro bisogne. Due di queste presero in Sardegna una nave pisana 509 carica di merci cli sornmo valore, pertinente a Guelfo di Pandolfo; un altra, parimente pisana e ricca di mercanzie, fu presa fra Alessandria e Costantinopoli: in somma, cessata per allora la guerra dei due co- muni, si ando continuando minutamente dai legni dei particolari, i quali sernpre e dappcrtutto gareg- giavano in danneggiarsi (!)• Maggiori danni peraltro pati Pisa, ai quali si ag- giunscro delle controversie di giurisdizione coll’ arci- vescovo Ruggeri pei castelli di Nugola, Montanino, Bellora e Lorenzana. Queste furono composte dal papa per mezzo de’ priori di san Frediano di Lucca, di san Bartolomeo in Silice e del pievano di Cascina; ma la lite tra le due emule repubbliche non dovea finire che-1’ anno seguente, con un orribile eccidio. Anno '1284. — Prima d’imprenderne la narrazione ferale, giova levar di mezzo un altro fatto. Aveano i Pisani tolto al volterrano vescovato molti castelli, e la giurisdizione diminuitane d’assai. Quest’ anno Ranieri, vescovo di Yolterra, ricorse all’ autorita ed allc forze dei Fiorentini; e colla cessione di ben ven- tidue castella e rocche e sei villaggi per il tempo di nove anni ed undici mesi, gl’impegno a ricuperar- gli le sue terre dal poter dei pisani, e tutte le altre (l) Non vogliamo tacere chc gli Storici di Genova narrano assai diver- samenle le cose. Oberlo Doria, dice il marchese Serra, guido le sue setlanla galere sul porto pisano, alterro la torre della Veronica; ma poi, qual si fosse la caglone, si riliro. Buzzaccherini non ardi inseguirlo; onde i pisani (come G. Villani assicura) posero in sua vece Natla Grimaldi esule genovese, e Natla venne sopra il porto di Genova e fece saeltare nella cilia quadrella d’ar- gento. Non potendo far altro, tornavano addietro contenli del loro saella- mento; quando un turbine di vento percosse venticinque delle loro galee alle piagge di Viareggio e alia foce del Serchio. E fu pianto in Pisa, credendo d’avere addosso i nemici, allorche videro giungere i miseri avanzi del nau- fragio. Anche nelle cose avvenute tra le navi mercanlili, variano i genovesi le circostanze. Merita d’esser lello il rammentato marchese Serra; ricor* dando peraltro che mal si guarda da partito colui che scrive della propri patria. guardargli e mantenergli. II trattato fu concluso: e spariscono i dubbi riflettendosi die, in esccuzione clelle convenzioni, Grotto Trincia, Gino di Guido, Cino di Tancredi, Erino di Guidingo e Guidetto chiamato Perendola di Guido, conti del castello di Strido in Valdera, giu-rarono fedelta alia Repubblica fiorentina (1). Ed eccoci a descrivere le battaglie tanto crudeli die valsero a Pisa la perdita del dorninio del mare. Durava ancora la rea stagione, quando le due emule repubbliche, Genova e Pisa, si cagionavano gia vi- cendevoli danni nelle marine di Napoli. Una nave genovese di Giovanni Coronato fu presa da due galere di Zone Scornegliano, pisano (2); ma poche settimane dopo fu questi incontrato da cjnque ga- lore nemiche dirette alia volta di levante, ed assa- lito perde le sue. Matteo Palli pisano, uorao di gran valore, anelando di far vendetta di un suo fratello morto nel porto di Falesia, anno due galere ed un galcone, e rnosse ai danni dci genovesi. Venne a Battaglia con due loro galeazzc; fece mirabili prove di forza e di virtu: pure alia fine dovette ritirarsi. In Portovenere i pisani predarono una nave; ma un’altra ne perdettero essi poco dopo in Capocorso. Se non chc questi fatti furono appcna, come i primi tuoni lontani lontani, annunziatori d’ una rovina di ciclo. Cinque cittadini genovesi armarono cinque ga- lere, le quali doveano portare in Oriente ricchissirne merci. I pisani lo seppero; e come quelli die aveano gia patito tanti danni, credettero esser giunto il momento di rifarsene. Apprestatc sollecitamcnte tren- (1) Cio succedeva nel gennajo 1285, (Vedi TAmmirato, De' vescovi di Fie sole e di Volterra'). (2) Vedi monsignor Foglietta. J’W-'tQ 511 taquattro galere, ne diedero il cotnando a Giovanni Gaetani e lo spedirono ad intercettare il genovese convoglio. Ando il Gaetani, e formo una crociera all’uopo; ma siaehe si stancasse di attendere, siache, giusta r asserzione di alcuni storici, prestasse fede a ialso delatore, pel cui mezzo i genovesi faceangli sa- pere che il convoglio era partito a ponente verso la Spagna, fece vela sulla Corsica ed assedio il ca- stello di Calvi. Intanto la neraica carovana passo libe- ramente. A questo tenne dietro nn fatto assai pin rilevante. I pisani mandavano il conte Fazio di Dono- ratico in Sardegna per assoldar truppe : F ammiraglio Guido Jacia lo scortava con ventiquattro vascelli (1). Accadde che il vascello su cui era il conte Fazio, separatosi dagli altri per un colpo di vento, fu scon- trato da una flotta genovese sotto gli ordini di Enrico dei Mari. Accortasi Farmata pisana dell’al- lontanamento della nave del conte, e prevedendone il pericolo, si diede a ricercarla : la vide presa ed arsa dai nemici. Allora forza di vele per raggiungerli, e il primo di maggio si appicco feroce battaglia. Uguali presso a poco erano le forze; uguali per lungo tempo furon le perdite da ambe le parti. Fi- nalmcnte sommerso un vascello pisano, e tre altri danneggiati cosi, che ritiratisi dalla pugna perirono in aperto mare, la vittoria si dichiaro pei genovesi. I quali condussero a Genova otto galere c mille cin- quecento prigionieri: nel porto di Pisa rientrarono con molto stento dodici galere (2). In un altro po- (1) Sismondi, Storia delle Repubbliche Italiane , cap. 23. Il marchese Serra dice che 1’ ammiraglio che scortava il conte Fazio era Simone Zavi, e e che questi aveva seco trenlaquattro galere. (2) II Tronci non racconta cosi questo fatto ; ma dice che « i genovesi « avuta contezza dell’ assedio di Calvi impresa dal Gaetani, spedirono a quella « volta Arrigo da Mare con venlieinque galere benissimo armate, e dietro a « quelle mandaron allre quindici, che servissero per soccorso. 11 Gaetani ebbe polo questa disfatta avrebbe torse posto lo scuora- mento; nol popolo pisano non altro fece che accen- dere smaniosa sete di vendetta. Impazienti di farla, elessero a loro potesta Al- berto Morosini veneziano. Uomo di grande autorita nei consigli di sua patria, nipote del Doge, e delle cose di mare espertissirno, gli diedero illimitato po- tere; tanto piu che pel favore di lui si ripromette- vano il favor di Venezia. Ad esso aggiunsero, siccome capitani della flotta, il conte Ugolino della Gherar- desca ed Andreotto Saraceni. I genovesi appena seppero che il Morosini aveva accettata Foffertagii carica ed aveva ordinato che si apprestassero venti galere, volendo fare qualche buon colpo prima che Pisa rifosse in arrni terribile, misero in ordine trenta vascelli per via di polizzc, ossia promettendo a quanti si trovassero nelb armata una parte delle future prede; e ne fecero ammira- glio Benedetto Zacchcria. Questi se ne venne a Porto-pisano ; ne assedio la bocca, attendendo che qualcuno uscisse a pugna; « relazione che quest 1 armata, che veniva verso hr, era di soli ventidue legni: « rinforzate ventiquallro delle sue galere, le spedi, solto il governo di Pietro « Verchiotiesi, ad inconlrarla; giudicando esser bene il fermarsi egli con l’al- « Ire in quel porto, per non dar tempo a quei di Calvi di provvedersi e for- « tificarsi. II Verchionesi, che si credeva esser superiore di forze, ando ani- « mosamente all’affronlo, e appicco una fiera battaglia che duro gran pezzo; « ma sopravvenute le quindici galere di soccorso, sebbene i pisani si viddero « a mal termine, e valorosamente combatterono, non poteron contuttocio re- « sistere, e su la sera furorio necessitati a pigliar la fuga, e perderono nove « dei loro legni lasciando la vittoria agl’ inimici, sanguinosa pero per la morte « di molti. II Gaelani alia dolorosa nuova che ebbe, si levo dall’assedio e si « riliro in Sardegna, dov’erano le a I Ire quindici galere scampate dal conflitto, « e poco dopo se ne venne sfortuualo a Pisa ». Checche sia di questo fatto, noi ci atteniamo al Sismondi, il quale si ap- poggja a Guido dc Corvaria, Fruqm. Ilist % Pisanae , lib. XXIV, pag. G91. Marangoni, Cronacct di Pisa p. 563. G. Villani, lib. VII, cap. XL, p. 29S. Uberto Foglietta, Genuens. Hist , lib. V, p. 387. CalTari, Ann. Gcnuens. lib. X, p. 586. * 513 ma poiche niuno comparvc, oncle non pcrdere il tempo, egli tiro verso Sardegna per batterc a tutta possa la citta di Sasseri (1). Frattanto in Pisa fer- veva il pid animato apparecchio di guerra. Dopo tanti armamenti 1’ erario della Repubblica era esausto ; ma quanti aveano sostanze fecero a gara nelF offerirne un sacrifizio alF onor della patria. Nel mese di luglio una selva di cento trc galere fece vela verso il mar di Liguria, poderosa d’ ogni sorta di macchine e d’armi, superba di frecce d’ar- gento c di palle copertc di scarlatto : il conte Ugo- lino, il Saracini c il potesta Morosini la conduce- vano; il fiore della nobile e cittadina gioventu, ed il nerbo migliore delle milizic dello stato pisano la rcndevano formidabile. Lungo il cammino predarono molte navi da ca- rico; saccheggiaron Rapallo, grossa terra diciotto miglia a lcvantc di Genova; poi giunti senza con- trasto nel di lei porto, vi dieder fondo c i nemici provocarono ad uscirc a combatterli, saettando nella citta palle e frecce, quali sopra dicemmo. Yecchia braveria tra due emuli popoli, e stolida pompa di ricchezze e prodigalita (2). Ma dal canto di Genova non si scaglio pure un sassolino; nessuna nave si mossc fuorche, alia tine, un battello con bandiera bianca, sul quale veniva un araldo magnificamente vestito. Si accosto egli alia galera del potesta Morosini ; e. Signore, gli disse, il popolo genovese vi sa/uta e v 9 invita a riflettere : non esser valore l’ assediare il porto nemico men - tre let maggior parte dell 9 armata e lungi , l 9 ultra (1) Qaesto fallo non e al coperlo di attacchi, essertdo taciulo anche dai p u accred tali scriltori di Genova, (2) Vedi Sismondi. Altri popoli, meno genlili, solevano balestrare nelle nemiche citta degli asini od altri animali. tomo I. 65 71 OxDC ^ 514 ^ non peranco apprestata; il venir sopra ad una cittd ^ aW improvviso e combatterla sfornita affatto di genti non esser dicevole, e la vittoria, non gloria , ma in- famia. Se pero > aggiunse, voleano schivare ogni taccia tornassero in Toscana ; dessero campo ai genovesi di mettersi in ordine ; che ben presto li vedrebbero a provar loro coll’ ar mi, qual delle due nazioni prevalesse in guerra. A queste parole ognimpeto dei pisani fu rintuz- zato. II Morosini e gli altri capi avvisaron dover cor- rispondcre all’ ambasciata cavalleresca con un’ azione piu nobile e gencrosa, e si ritirarono. I Genovesi non misero tempo di mezzo. Era un chiamar navi da tutte le parti, un trarne in acqua, spalmarne ed armarne indefesso; un accorrere di gente da ogni riva. In pochi di furon pronte cento trenta galere, e sotto il comando di Uberto Doria sciolsero per render la visita ai pisani. Stavano questi conferendo col potesta Morosini, quando si vedono prcsentare il noto araldo genovese a denunziar loro: che i suoi, memori della data pa - •rola, eran venuti, e gli attendevano a battaglia. I Pisani non aspettavano si presto il nemico: quindi, lungi dal tcnersi in ordine, le galere piu grosse avean dato fondo nel porto, le piu sottili eran salite per bocca d’ Arno aH’arsenale. Con tutto cio accet- tarono la sfida, come se fossero invitati, non a un cimento, ma ad una festa. A grida a furore dalle colline e dalF aperta pianura accorsero le genti d’arme e rimontaron le navi con tale sollecitudine, con tanto giubilo, che pareano presagio di vittoria. Il potesta Morosini alzd il gran gonfalone della Re* pubblica sul maggiore dei navigli che fossero nel flume. In mezzo al suo clcro, ed in tutto 1’ apparato della religionc si reco l’Arcivescovo sul ponte vec- bencdire la flotta. Genuflcssi erano 515 banchi dcllc galee marinari e soldati, granite di po- polo le due sponclc dell 1 * * * * * * * Arno. II vcncrando gran sacerdotc leva la mano e prega il favore del cielo. AH' armi, all 9 armi, intuonano fieramentc i gucr- rieri ; viva i difensori della patria, acclamano lieta- mente gli spettatori. Di grida di canti di suoni rim- bombano il flume, la citta cd i colli vicini, e la flotta s’ avvia (1). Intanto chc vanno, stimiamo nostro debito ren- dere il dovuto onore alle principal! famiglie che, in si fiero periglio, la causa della Repubblica siccome capitani abbracciarono. Eranvi adunque dei Sismondi: Nino Sismondi, Giovanni Magati, Jacopo Buzzacche- rini ; dei Gaetani: Andreotto Gaetani, Jacopo Fossi, Filippo Sciarra, Simone Bocchetta, Guido Scamati, e Stefano Mattajoni; degli Alberti: Jacopo Alberti, Jacopo Frecia, e Nino Cortevecchi; cle’Lci: Giovanni del Tuccliio, Masino Buttari, Gaddo Galli, Simone Lancia, Andrea Vcrnagalli, e Jacopo Lei; degli Or- landi: Jacopo Orlandi, Pino della Sassetta, Gregorio del Nicchio, e Lapo Gatti; de’ Griffi: Pietro e Bor- gogno Griffi, Filippo Caprona, Carlo Duodi, e Ra- (1) II Tronci racconta che mentre 1’arcivescovo dava la sua bericdizione all’arinata avvenne un caso di pronoslico infauslo. « Era, dice egli, la prin- cipal inseana del Comune sopra la capilana, sostennla da uri’asta massiccia di ferro, che aveva in punta uri Crocifisso d’argenlo; queslo cadde in Arno, lo che genero gran terrore negli animi di tutli, come che dimostrasse Sua Divina Maesia con queslo segno, di non voler essere i'avorevole. Pure eslralto che fu dall’acque, e rimesso sopra I’ insegna si rasserenaron alquanlo: rice- vula la benedizione del prelalo, con nijovi segni d’ allcgrezza si ritirarono al mare, e accoslaronsi alio scoglio della Meloria, luogo dove gli anni addietro, ad isligazione dell’ imperatore Federigo, fecero prlgioni i cardinali e vescovi che andavano a Boma al concilio ». II Serra racconla anch’egli queslo falto, dicendo perallro che cadde non il Crocifisso dell’ insegna del Comune, ma il pomo della croce arcivesco- vile, ed aggiunge che cio non lece allora alcuna impressione. Noi osserviamo che quesli faltarelli di pronoslici sono piu spesso invenzioni posteriori, che veri avvenimenli. -A/nX 516 nieri Conte ; degli Upezzinghi : Tiglio Upczzinghi, Francesco Bordonesi, Cione Maraffi, Betto Patto- s nieri, e Bindo Schittovoli; de’ Gualandi: Obizzo Gua- landi, Niccolo Taccucci, Benedetto Maccajoni, Lupo Rusignuoli, Bettino di Parrana, e Jacopo Puglia; dei Visconti : Checco Visconti , Guido Montcfossi c Puccio Barattola; dei Masca: Guido Masca e Cino Ramondini ; de’ Casapieri : Piero Casapieri, Raniero Baccoti e Gano della Stadera; de’ Lanfran- chi: Jacopo Lanfranchi, Pandolfo Pandolfi, Benedetto di Gio. Maleppa, Ranieri Gualterotti, Duccio Passa- glia, Ranieri Fava, Francesco Nazari, Gano Chivoli, Guido del Pellajo, Giovanni Rossi, Simone Pistelli, Gio. Broccia, Andrea Stuffi, o Truffi, Gante da Ce- sano, Ulivieri da Scorno, Nanni Scaccieri, Niccolajo Assopardi, Lorenzo Lampanti, Chiaro Squarcialupi, Simone Lacci, Niccolo Lanfrcducci, Lemmo da Ri- pafratta, Dinoglia de’Nobili di Burriano, Guastamonte della Sala, Filippo del Cherico, Benedetto Favola, Gano Conte di Segalari, Lapo Visconti di Fucccchio, Bartolomeo Pecci, Andrea Erici, Guelfo Roncione e Andrea Nerucci (1). Superba di questi nobili personaggi Farmata pi- sana si accosta alio scoglio della Meloria, piccola isola la quale colla Gorgona, isola piu grande c piu orientale, difende da un mar procelloso la bassa e molle riviera ov’ era gia Porto-pisano, ed ove po- che spanne di sotto primeggia ora Livorno. (l) E agevole i! credere inesalti alcuni di questi nomi. II Tronci stesso ne professo de’ dubbi con queste parole: «Ho veduto, in allri manoscrilli, variali alcuni di questi nomi e cognorni. Se in quel tempo fussi stalo pre- sente, non polrei reslare ingannato. Pero non potendo io dare ne lorre ad alcuno quello si compete nel referirmi al vero, non polro con ragione esser lacciato, perche in quanto a me vorrei giustamente porre e la citta e i cit- ladini di Pisa in sublime eminenza, correndo ormai avanti il sccondo secolo che la mia casa ha avuto questa buona forluna d’ essere slala ascrilla alia cilladinanza pisana ». 517 Quelli che sogliono investigare le vie dell’ Eterno dissero che Dio trasse ivi i pisani per far loro pa- gare, ncl luogo dove lo aveano cornmesso, il delitto di avere, sotto 1’ imperator Fcderigo II, fatti prigioni i vescovi e i cardinali che andavano a Roma al concilio. Checche ne fosse, appena le due schiere si videro, apprestaronsi tosto Tuna e l’altra ad una pugna, la quale dovea decidere della grandczza di una delle due repubbliche, e del dominio del mare inferiore. Ubcrto Doria divise la sua flotta in tre squadre, comandate da lui, da Corrado Spinola e da Zaccheria, il quale con trenta navi di rinforzo si tenne nascoso dietro 1* isoletta, per dar nell’ oste quando piu fervesse il combattimcnto, e dove piu facesse bisogno. In tre squadre si partirono pur essi i pisani: a dcstra il conte Ugolino, a sinistra il Saracini, i! potesta Alberto Morosini nel centro. Am- bedue gli ammiragli esortarono i suoi a valorosa- mente combattere per i figli, per le mogli, per i congiunti, per gli amici, per le proprie sostanze, per le proprie vite, per la liberta, per 1’ onore : sarebbo stata quella 1’ ultima rovina de’nemici. Si fece un momento di silenzio; poscia un se- gnale, e dieder dentro con urto terribile. Non c pos- sible descrivere la crudelta della zuffa. In prima, piogge di sassi; poi lance, frecce e spade; poi le galere p,er tal modo insiemc strette e intrecciate, che sembrava si pugnasse in terra. Navi da un la to e dal Paltro sfasciate; centinaja d’ estinti, in mille guise; cadcnti in mare semivivi; altri balzativi illesi o lievemente feriti, nuotanti attorno alle navi, e do- mandanti l’aiuto e la pieta de’ loro nemici come de’ loro concittadini: ed a quanto loro veniva alle mani appigliavansi, e si afferravano ai remi ; e per- ciocche in tal guisa impedivano il remeggio, veni- vano respinti e risommersi nell’ onde : vermiglio il 518 mare di sangue; per tntto all’ intorno scudi, lance, clmi, frecce e cadaveri. Non per questo veniva manco il coraggio de’guerrieri. I capitani non cessavano di rammentar loro che quello era un decisivo ci- mento; ed essi, lanciando grida furibonde, battaglia- vano siccome tanti leoni. Cosi andarono per lungo tempo, senza vantaggio d’ alcuna parte, le cose; qnando dall’ opposta riva della Meloria mossero i trenta vascelli di Benedetto Zaccaria, c si cacciarono dove la pugna era piu ficra. La capitana del Zaccaria si spinse addosso all’ am- miraglia pisana, la quale era alle prese con la nave di Obcrto Doria. — Dopo lunga resistenza la galera del Morosini fu presa; lo stendardo della Repub- blica squarciato in cento brani, ed allora la vittoria decisa. II conte Ugolino , dice Sismondo Sismondi, secondo che assicurano gli storici pisani, colse que- sto istante per dare il segno della fuga , non per viltd , ma per indebolire la sua patria, onde ridurla piu facilmente in servitu. Egli reco a Pisa la nuova che T armata era stata rotta e pienamente sconfitta; e la disfatta fu invero compiuta. Yentotto galere prese, sette calate a fondo; cinquemila morti, undi- cimila prigionieri (1), tra’ quali il potesta ed il Sara- cini (2). Cosi Pisa perde quasi tutta la sua nobilta e i suoi piu prodi soldati; e suono pur troppo vero il proverbio: Chi vuol veder Pisa , vada a vederla prigioniera a Genova. (1) Non lulti gli storici concordano sulla perdita falta dai pisani. Noi abbiamo seguito il Sismondi. 11 Tronci dice ventotto galere prese, mol Le co- late a fondo; altri quarantanove prese ed anche molte piu. I prigionieri poi chi dice diecimila, chi quindicimila, ed i morti piu di cinquemila. Il fatto sta che la perdita fu grandissima; tale che decise della sorte di una delle piu potenti citla. (2) Cosi dice il Tronci; altri storici peraltro sostengono che il Saracini si salvasse. Vedi Fanned. I pianti c i lamcnti che farono in Pisa sorpassano non che la forza di scrivere, quella pur anco d’ im- maginare. Da ogni canto si vcdeano uomini e donne affrettarsi a richiedere di certe nuove i pochi che tornarono; poi urla dispcrate; e lacrimare chi il fra- tello, chi i figli, chi il padre: e niuna casa vi ebbe che non versasse lacrime. Guido del Pcllajo, uno dei capitani di cui facermno menzione, scampato al macello nelP orribil conflitto ed alia prigionia, dono tutto il suo al nuovo Ospedale, perche ne avea fatto voto in mezzo ai perigli della infernale battaglia. Intanto i Genovesi che aveano avuto vittoria, non peraltro tanto allegra perche spaventosamente sanguinosa di loro sangue, iacevan vela verso la pa- tria. Quando furon. vicini a Portovenere vennero as- saliti da si crudele fortuna, che molte navi da ca- lico andarono a traverso ncl lido toscano, e tutta la flotta rischio di perdersi. Giunti finalmcnte a Ge- nova, la citta c tutte le tcrrc circostanti stivarono il porto, c fu un giorno di gioja. E poiche la vit- toria erasi ottenuta il di 6 agosto, giorno di san Sisto, si dccreto di portare annualmente, nella chiesa a questo santo consacrata, un pallio di broccato d’oro, e di offerirlo all’ altare della Santa Yergine. Si venne quindi a deliberare sui prigioni nemici. Alcuni senatori proponevano di carnbiarli col forte di Castro in Sardegna; altri preferivano una taglia in danaro. Alla fine prevalse il crudele disegno di tenerli per sernpre prigioni ; affinche, rimanendo in tal guisa deserto il talamo delle loro mogli, Pisa venisse a mancare di nuova popolazione (t). Era questo un operare poco generoso. Ma che 519 (1) Il potesla Morosinl perallro fa rimandalo libero e senza taglia, essendo stato richiesto dal doge della Repubblica di Venezia, cui i genovesi volevansi in quella occasione tenere arnica. w "8 — 520 diremo de’ Guelfi toscani ? Prevalendosi della sven- tura di Pisa, determinarono unirsi per spiantarla dalle radici. Due mesi dopo la fatale giornata della Mc- loria si strinsc unalega: Prato, Pistoja, Samininiato, Colle, Volterra, Siena, Lucca, e soprattutto Firenze, giurarono di non cessare dall’armi finch e Pisa non fosse intieramente distrutta: le opcrazioni militari comincerebbero alia nuova primavera: i Genovesi dalla parte del mare; la Lega toscana piomberebbe sulla nemica repubblica dal lato di terra. Intanto il dieci novembre tutti i florentini che aveano stanza a Pisa 1’ abbandonarono, giusta Fordine ricevuto dalla loro patria; e, a preludio della futura guerra, sei- cento cavalieri al soldo di Firenze entrarono per la strada di Volterra nel territorio pisano, guastandolo e facendo ribellare molte terre. Dopo uno spaventoso naufragio, lo aver sul capo un’altra procella minac- ciosa d 1 ultimo esterminio era cosa che voleva sol- lecito provvedimento. Che far doveano i Pisani ? I migliori, o estinti od in Genova tra i ferri ; i pochi che rimanevano di senno e d’ animo amico vera- mente alia patria, troppo al di sotto della potenza di Ugolino. II quale affettando mestizia del patito infortunio e tutti i mezzi impiegando per giungere a satisfare la sua ambizione, trasse sopra di sc F at- tenzione del popolo. Ingegnoso ed accorto, ghibel- lino di nascita, e guelfo per contratte parentele, parve egli il solo che potesse tenere il freno delle cose in quelle angustie. Come adunque i Romani in difficili circostanze nominarono un dittatore, cosi i Pisani nominarono il conte Ugolino a capitano ge- nerate di Pisa per dieci anni. La priina cura affida- tagli, fu che la Lega toscana si disciogliesse. Aveva egli avuto Goi tiorentini strette corrispon- denze; con molti aveva strettissima amicizia. Ugo- lino voleva combinarc le sorti di Pisa con lc pro- 521 prie vedutc di dominio. Si adopro pertanto in prirno iuogo ondc avere autorita illirniiata per le trattative di pace. Congrego il Consiglio generate nella chicsa maggiore, ed ivi tenne una scaltra orazione, nella quale magnified i pericoli in cui la Repubblica si trovava, la utilita di riconciliarsi specialmente coi fiorentini, dimostrando coi fatti quanto alia Repub- blica era avvenuto di sinistro dal giorno die s’ era da essi staccata, rammentando gli aiuti die n’ avea ritratti contro i saraceni e contro altre genti stra- nierc: soggiunsc die facea d’uopo prevenire nuove ostilita; concluse che sperava di ridurli ad accon- ciarsi con lei, purclie egli avesse libera e piena au- torita su questo proposito; che fatti amici i fioren- tini, gli altri confederati avrebbero messo giu lo sdegno e forgoglio; ma se anche avessero seguitato neir ira, coif appoggio di Firenze i pisani poteano ben rintuzzarla. Ad un uomo che tanto sembrava zelare il bene comune, non csito il generate consi- glio a concedere tutto il poter che voleva. Egli al- lora comincio a trattare coi fiorentini suoi aderenti; fece proporrc ai priori delle arti di negoziare con lui, e, per meglio persuaderli, mando loro un regalo di vini, il quale vuolsi maggior presente che non pareva; pretendendosi che alcuni fiaschi fossero pieni di fiorini d’ oro, invece che di vin greco o d’ altri vini preziosi. In questa guisa molti gli furon bcnevoli, e dissero d’ aver ottenuto senza adoprar Y armi il trionfo del partito guelfo (unico scopo che la Lega toscana si proponeva), ora che a capo della pisana Repubblica era il conte Ugolino, guelfo dichiarato, com’ essi dicevano. Il popolo fiorentino null’ ostante non volea condiscendere senza un qualche vantaggio del comune. Lo pcrclie Ugolino si trasferi a Firenze; e come quegli che non il vantaggio del suo popolo TOMO I. 66 ck_/\yv 522 cercava, ma il proprio soltanto, for mo Paccordo siccome vollero i fiorentini, acconsentondo di con- scgnar loro moltc castella del pisano dominio, pro- mettendo di cacciar da Pisa tuti i ghibellini, c la citta ridurre a parte guelfa. La maggior parte dei popoli della lega confermarono quesli patti ; Genova e Lucca non furon ricercate del loro assenso. Lieto di questo successo i! conte torno a Pisa, e, cominciando a farla da signore assoluto, si diede tutto a stabilir pace tra il pisano Conume c la po- tentc famiglia degli Up’ezzinghi; e vi riusci, siccome abbiamo dalF infrascritto instrumento. IN NOMINE PATRIS, ET FILII, ET SPIRITUS SANCTI. Amen. Cum inter Commie pisanum, et nobiles de domo, sive de do - mibus Opetingorum , et Cadulingorum hue usque discordiae, et dis- sensiones quam plurimae fuerint causa, et occasione infrascriptarum iurisdictionum terrarum, et locorum , et iurium, et propter hoc prae- dicti nobiles videantur discessisse, et demansisse a fide, et amove ser- vitutis, et devotionis, et propter praesentes conditiones, et statum pi- sani comunis occurrentem praedictae discordiae videantur sint, et esse possint multum damnosae, et praeiudiciales comuni pisano , eius- que district ualibus. Ideo nos Ugulinus comes de Donoratico, dominus sextae partis regni Calaritani, Pisanorum Dei gratia potestas, potesta- rio nomine, et Homita Argentarius index antianorum, Villanus Fol- larius, Bartolomeus Parassonis, Leo Tabernarius, Paulus Bonamici, Ciolus Guami, Sigerius Cionetti index, Gerardus Dandi, Gerardus Ormentinus, Henricus Lagius , Lencius Casinus, et Landus Vicarius, antiani populi pisani antianatus nomine pro bono, et pacifico statu, et pro utilitate, et salute pisani comunis, et populi eiusque districtus. Volentes praesentes nobiles ad devotion&m, et amorem, atque servitia perpetua pisani comunis, et populi reducere, et revocare, et praedi- ctas discordias, et omnem aliam materiam quaestionis, kt scandali, quae est, vel esse posset inter comune pisanum, et praefatos nobiles sedare, et radicibus extirpare, ex talia, et potestate, et auctoritate nobis data, credita, et concessa a consilio senatoi'um credentiae, et ad eorum ordinem pisani Comunis celebrato Dominicae Incarnatio- nis anno 1285. Indit. 13. 13. kal. Mart. Ipsorum consiliorum, et XaxO'. -AA^& 523 cuiuscumque eorum sequentes pro comane , et populo pisano, et vice, et nomine pisani comunis, et populi, ex certa scientia, et non per errorem damus, tradimus , concedimus, mandamus, atque restituimus vobis domini Ciano Burdonensi, et Cerio quondam domino Ruberti de Calcinaria nobilibus de dicta domo Opetingorum, et Cadulingorum agentibus, et recipientibus pro vobis ipsis, et pro omnibus, et singulis aliis nobilibus praedictae dom,us Opetingorum, et Cadulingorum, et vestp'is et eorum, et cuiuscumque eorum, et castrorum haeredibus, et pro haeredibus in perpetuum omnia iura, omnesque actiones, ratio- nes, et nomina tarn utiles, quam directas, reales, personates, et mi- xtas, nobis pro comuni pisano, et populo pisano, et ipsi comuni, et populo competentia, atque competitura quocumque modo, vel iure, in infrascriptis terris , et locis, quae terrae, et loca sunt haec V. Curtis de Marticum cappella , et castello Sancti Martini, quae curtis est in loco, quae dicitur Scalzavacca, usque ad locum, qui dicitur Tre- brium, sicut rivus Cerreti trahit , et a dicto Trebrio usque ad valient ramistae , et usque ad fontem Citernae, et a dicto fonte usque ad Arnum , et sicut ArnUs currit usque ad fontem Pertecchij, et per dictum locum Scalzavacca, ut habetis, et tenetis vos et dicti nobiles, et vestri , et eorum antecessores habuerunt , et tenuerunt, a loco, qui dicitur Memiato, usque ad Vallianum, et usque ad pedem Monti- celli, et sicut vallis de Gello trahit usque ad Campatorium, usque ad Arnum, et sicut Arnus currit ad dictum Campatorio usque ad fontem rivi Rinonicchi, et sicut ipse rivus currit usque ad locum, ubi olim posita Crux Gallensis , et a praedicto loco Crucis usque ad memoretum. Hi autem sunt fines ex una parte Ami, infra hos con- fines extant Volea , Appianum, Petriolum, Pinocchium, aliud Pinoc- chium, Ripava , Rixanum , Silve, Gellu, Schittouli, Castellare , Mallia- num, Burgonialum, Longorum, Cisanum cum cur te sua,et cum omnibus ecclesiis, et pertinentiis ad praenominata pertinentibus , et quicque habetis, et tenetis vos, et dicti nobiles vestri, eorumque antecessores habuerunt, sive in terris, sive in aquis, seu in hominibus, sive vllo alio iure, et villa de Calcinaria, et inter ipso s confines istarum t err arum, et locorum omnium superius nominatorum omnia pedagia, et ripas ubicumque habetis, et habuistis vos, et dicti nobiles , et vestri, et eorum antecessores, dum tamen castrum Calcinariae cum eius perti- nentiis, et confinibus, et homines ipsius castri intelligantur in prae- dictis. PA ex alia parte Ami castrum Cintoriae , et ecclesia JS. Ste- pliani, S. Laurentii, et S. Martini cum tota curte sua, quae est in loco, qui dicitur Petra Lata, sicut via publica tendit usque ad viam 524 quae est sub ecclesia S. Cassiani, et sicut ipsa via tendit usque ad locum. , in quo fuit Salix Benciae, et a dicto loco usque ad foveam Maltraversi, et sicut ipsa, fovea currit usque ad classum de domo Damiani, et sicut ipsa sua, quae est ultra foveam Loctari recta linea a domo Damiani, sicut ilia via tendit usque ad callem foveae Uguc- cionis, et usque in Cilechium tetus, et sicut Cilecliium currit in fo- veam Archiepiscopi, et sicut ilia fovea currit usque ad locum de colli, et a dicto loco usque ad portum de Cilio, et sicut via publica iuxta paludem tendit usque ad callerw Opetingorum, et Cadulingorum , in qyio est cadria usque ad Silvam de Pesuli, et sicut ilia via tendit usque ad rivum de Satis, et sicut ille rivus usque ad fagum compu- tentur, et serram, quae est inter rivum, et dictas Salas, quae tendit usque ad locum, qui dicitur Carinetum, et usque in Bigombulo, et us- que ad rivum Bientinae, et sicut Bigombulo currit, ex parte Ami, quae est ex latere Yici, et Cintoriae, omnia pedagia, et ripas, quae , et quas vos, et alii 7iobiles habuistis, et vestri, et eorum antecessores habuerunt, et Dior am cum tota curte sua, et Arnum mortuum inter Calcinariam, et Cisanum, usque ad Cafagium, quod est curte Cinto- riae, et in hominibus, et personis statarum, terrarum, et locorum, et in iurisdictione, et de iurisdictione praedictorum hominum ex forma contractus rogati ab Henrico notario de Vico cancellario tunc pi- sani comunis una cum Burgundio notario tunc scriba publico ean-_ cellarium pisani comunis, et scripti in actis dictae cancellariae ab ipso Burgundio sub anno Domini 1284 . Indict. 12 . 6 . kal. Martii prima die bisestili, et alterius contractus subsequentis in ipsis actis a dicto Burgundio notario rogati anno, indictione et die, et alterius contractus scripti in dictis actis a S. Henrico notario, et cancellario anno 1285 . Indict. 12 . pridie kal. Aprili§, et alterius contractus in dictis actis , eodem anno, et indict. 6. Id. Iunii, et alterius contractus scripti in dictis actis cancellariae eodem, anno, et indict. 5 . kal. Iulii, in quibus contractibus continetur, qualiter dom. Gualterius , et castellanus Gemini quondam dom. Periccioli de Calcinaia , et alii nobiles de dicta domo Opetingorum, et Cadulingorum in praesentia antianorum populi pisani tunc temporis recipientium, et stipulantium pro comune pisano , et vice et nomine pisani comunis, et populi eorum spontanea voluntate ex certa scientia, et non per errorem dixerunt, et confessi fuerunt, quam supradictae terrae, et loca, et homines , et personae ipsarum terrarum, et locorum erant, et fuer ant de iurisdictione, et potestate, et comitatu pisani comunis, et omnia iura, nomina, et actiones , et rationes eisdem nobUibus competentes, et 525 competentia praedicti antiambus, et recipientibus pro comune j )l ~ sano, et vice , et nomine pisani comunis, dederunt, et concesserunt, et insuper ipsis antianis recipientibus pro comune pisano fecerunt fi- nem, et refutationem, et generalein transactionem, et remissionem in totum de omni iurisdictionem et qiotestate, et imperio mero, et mi- xto dicti nobilibus competenti , et compeiituro in praedictis, et de praedictis, earn, et occasions praedictorum , et omnem iurisdictionem, et piotestatem, et omne imperium merum, et mixtum, quod hide dictis nobilibus competebat in dictos antianos pro comune pisano transtu- lerunt , et cetera in dicti contractibus comprehensa , confitendo et affirmando, nos Ugidinus comes pisanus potestas, et antiani pro co- mune et populo pisano ex certa scientia, et non per err or cm, quod praedicta confessio, iurium, et nominum cessio, finis, et refutatio, et iurisdict. traslatio, et cetera compraehensa in praedictis contractibus, quia facta fuerunt a dicti nobilibus praedictis antianis pro comune et populo pisano facta fuerunt contra ius, et iustitiam, et sine causa, sive indebite, et non vista causa, ut hiis omnibus, et singulis praedicti domini Cianus, et Cerius, pro vobis, et aliis praedictis de do mo Gpe- tingorum et Cadulingorum, et iuri, et eorum haeredes, et ipsi utiliter, el directe agere, experiri et excipere possitis, et valeatis, et possint, contra comuni pisano et contra omnem personam, et locum , insuper praecipimus, et scientiam , et potestatem damus, et concedimus vobis do- mini Ciano, et Cerio agen. et recipien. praed. M. ut dictum est finem habere, et refutationem, et generalem transactionem, et remissionem in toturh, et pactum de non petendo, et non imbrigando, vel mole- stando, sive inquietando, agendo, vel defendendo, vel aliquo modo de caetero , de omni, et toto eo, et iis omnibus, et singulis quae de prae- dictis, vel pro praedictis nominibus, et iuribus cessis, datis, et con- cessis a dicti nobilibus St. antianis pisani populi recipient pro co- mune et populo pisano quod in contractibus rogatis, et scriptis a dicti Henrico, et Burgundio notariis continentur petere , vel exigere , contra vos, et alios nobiles praedictos, aut vestros, et eorum haeredes, et bona usque liodie poteramus, et in antea possemus, aut comune pisano poterat, aut posset, et per solemnem stipulat. Nos supradicti pisani potestas, et antiani populi pisani convenimus, et promitiimus vobis ipsis dicti Ciano, et Cerio recipientibus pro omnibus statuti ut dictum est, quod istam dationem, cessionem , finem, et refutationem, remissionem, et pactum, et omnia, et singula supradictae, et quod libet supradictorum et singulorum omnium semper, et omni tempore, habebimus, et tenebimus comuni et populus pisani habebit, et tene- 526 bit firma, et rata , et contra ea vel aliquid eorum non faciemus, vel veniemus, nec comune aut populo pisano veniet , velfaciet ullo moclo, vel iure, seu aliqua occasione, vel causa, nullo unquam tempore, et quando de praedictis, vel pro praedictis hominibus , et iuribus seu causa, et occasione statuto nos, vel comune aut populo pisano per se, vel per alium nullo modo , vel ingenio de eetero in perpetuum non imbrigabimus, vel molestabimus , neque per placitum , vel alio modo fatigabimus, de iure , vel de facto vos antedictus nobiles , vel aliquem vestrum, seu eorum, aut vestros haeredes , seu bona, nec quae- stionem, vel querelam aliquam iuris, vel facti movebimus , vel facie- mus, awt moveri, vel fieri faciemus, sive permittemus contra vos, et eos, vel aliquem vestrum, et eorum , sed auctores, et defensor es eri- mus, pro comuni et populo pisano vobis , et eis ab omni imbrigante persona , et loco de rato, et facto pisano comune tamen, et quod praedictam dationem, cessionem, et remissionem, vel aliquod prae- dictorum , sive hunc contractum de iure, vel de facto, vel ex qua- curnque alia causa, quae excogitari posset per vos comune et po- pulo pisanum, sive per alium non revocabimus, vel retractabimus, nec revocari, aut rescindi patiemus , vel faciemus, seu permittemus, nec aliquam restitutionem in integrum contra praedicta, vel aliquod p>raedictorum postulabimus , vel impetrabimus ullo modo, alioquin poenam Mavarum mille optimi auri, et poenam dupli totius eius, de quo ageretur et contra fieret, et damnum, et dispendium totum , quod postea haberetur et fieret vobis ipsis dicti Ciano, et Cerio recipienti- bus pro vobis , et aliis supradictis nobilibus ut dictum est , q>er so- lemnem stipulationem per comune et populo pisano componere, et dare convenimus et permittimus, quae poena totiens pro singulis ca- pitulis non servatis, et praeteritis , quotiens commissa fuerunt, et se- mel , et pluries commissa, et praeterita, nichilominus fiaec omnia, et capitula, et hie contractus in suo robore, et firmitate persistant , obli- gando se pro nomine comune et populo pisano et omnes nostros suc- cessores, comune et populo pisanorum et eius bona vobis supradictis domini Ciano, et Cerio recipientibus pro vobis , et aliis statutis ve- sti'is, et eorum haeredibus, renunciando omni iuri nobis pro comune et populo pisano et ipsi comune et populo competenti, et competituro cum praedicta. Praeterea praedictos contractus rogatos, et scriptos a praedictis Burgundio, et Ilenrico notariis in Mis omnibus , et sin- gulis , quae sunt contra vos , et nobiles praedictos, et vestros, et hae- redes eorum cassamus, et irritamus , et cassa, et irrita, et nullius va- loris, et momenti vocamus, et esse dicimus, et volumus, et cassari, et yw- 527 irritari proecipimus , salvo, et intellecto in praedictis ex pacto inter nos contrahentes supradicto modo, ut dictum est, specialiter habito , et apposito, quod vos, et dicii nobiles per vos, et alium ullo unquam tempore, quoquo modo, vel iure , non possitis , vel debeatis petere, vel exigere adversus , et contra comuni pisanum , vel aliquam aliam personam pro comune pisani aliquid permittendo, seu damnum, vel interesse , aut iniuriis, vel quacumque alia causa, quae did, vel ex - cogitari possit, pro eo quod dicto comune pisano per se, vel per alium hucu&que tenuit, et possedit aliquid de praedictis, vel iurisdictionem civilem, aid criminalem per se, aut per alium ibi exercuit, seu pro eo, quod per se, vel per alium, in antea habuit, et percepit, seu exe- git, aid habere, et percipere, seu exigere potuit, vel debuit , et salvis, et jirmis, et ratis, manentibus omnibus pactis, habitis , et factis hue usque a comuni pisani cum quibuscumque personis, et locis , et omni- bus immunitatibus , et franchigiis a comuni jAsani concessis quibus- cumque personis, et locis, et omnibus etiam venditionibus factis usque hodie a comuni pisani quibuscumque personis, et locis de introitibus, dirictibus et redditibus dohanae salis, et aliis, et de dohana ferri de Ilba, et gabellarum pisani comuni et modii , et passag'd pecudum, et salvis etiam omnibus pertinentiis in pjraedictis, et de praedictis, et quolibet praedictorum contra praedictos, et aliquem praedictorum c assandi, et irritandi, cassari, et irritari faciendi, et cassas, et ir- ritas, et nullius momenti vocandi, sicut , et eo modo nobis, ut dictum est, videbitur. Ita quod totum, et quicquid, e# omnia, et singula, quae in praedictis, et de praedictis, et circa praedicta, et quodlibet praedictorum, et eorum occasions, et causa, facta, provisa , statuta, et ordinata fuerint , valeant, et teneantur firma , et rata sint, et executioni mandentur, et mandari debeant, auctoritate vestri consilii, vestra parabula, et consilio, vel quid inde vobis placet, et sit facien- dum consulite, salvo, et iritellecto in praedictis, quod per hoc con- silium de Castro, et liominibus Pontisherae, vel pertinentiis, et iuri- bus, et iurisdictionibus dicti castri, et ad ipsum castrum , et comuni pisanum pro ipso castro pertinentibus, nullum pactum., aut pro- missio, vel obligatio, concjssio, vel datio aliqua fieri possit , vel de- beat ullo modo. Summa istius Consilii celebrati Pisis in palatio pisani Co- munis ubi fuit consilia, partito inde facto ab ipso D. Potestate, et sedendum , et levandum, ut rnoris est , et super toto dicto titulo, ut in ipsos titulo per omnia, et singula continetur, Dominica Incarna- tionis Anno MCCLXXX V. Indict, xiii. xiii. leal. Martii. 528 C. Ego Thadeus quondam Gerardi notarii de Ponte Serchii. Imperat. auctorit. notarius praedicta omnia, ut in actis antianorum populi pisani invent, ita scripsi, et in publicam formam redegi. C. Ego Guido filius Ugulini Glierbassi Imperat. aulae nota- rius nunc scr'iba publicus antianorum pisani populi praedicto con- silio interfui, ipsumque in actis praedictorum antianorum scripsi, et redegi, et ad omnem evidentiam, et certitudinem, hie subscripsi, et meum signum apposui. ' Exemplar apud. DD. de Upezzingliis asservatur. I genovesi e i lucchesi bollendo di rabbia pel trattato concluso dai fiorentini senza loro saputa, uscirono in armi contro Pisa. I lucchesi presero pa- recchie castella (4), tra F altre i castelli di Quosa c eTAvane (2). I genovesi vennero a Porto-pisano, lo presero, lo guastarono, e simpadronirono d 1 2 al- cune navi. II conte Ugolino incomincio delle trat- tativc di pace con ciascuna di queste due repubbli- che: con Genova perche lo voleva il voto pubblico di riaverc i prigionieri; ma il Conte, raentre mostrava di desidcrare il loro ritorno, segretamente lo at- traversava, considerando die ove tanti prodi aves- sero riguadagnata la patria, era finita per la sua arnbizione; sendoche que’generosi avrebbero sdegnata pur Fombra della tirannide. Ed in questo favoriro- no a suoi disegni anco gl’illustri prigioni. I quali sentendo die il loro cornune avrebbe dato per il loro riscatto il castello di Castro in Sardegna, fe- cero intendere alia propria repubblica che si mor- rebbero le mille volte volentieri, piuttosto che per- mettere il funestissimo cambio: e die se mai si fosse conchiuso F accordo, eglino, resi al suolo nativo, sarebbero i pi u Fieri ncmici di chi lermato Favesse. Per queste ragioni fu tronca ogni pratica di con- ciliazione. (1) Muralori, Annali d' Italia. (2) Troncj, 529 In quanto a lucchesi, pretendevano la cessione delie castella di Asciano, Avane, Ripafratta e Via- reggio* Era impossibile chc i pisani lo consentissero. Quindi il conte, che voleva Y appoggio di Lucca per la sua famiglia, pattuiva segretamente che lascerebbe sorprenderc le domandate castella dalle armi luc- chesi ; mentre altrc ne dava ai fiorentini : talche piu non restarono a Pisa che Motrone, Yicopisano e Piombino (1). Accadde in quel mezzo chc molte navi genovesi, siciliane e catalane, procedenti da Costantinopoli, assalite da un temporale fierissimo, venncro a rom- pere in terra non lungi da Livorno. Avutane con- tezza, i pisani vi trassero con mol ta gente a piedi e a cavallo: i siciliani e i catalani lasciaron liberi ; i genovesi preser prigioni, e le cose loro predarono, valutate cinquantamila fiorini d’oro (2). Dolenti di tanta sciagura, i genovesi tornarono nuovamente a danneggiare i lidi pisani ; ma ormai essi erano soli contro Pisa. Anno i*286. — Satollati i nemici esterni colla ces- sione di cio che aveano chiesto, come il ladro che acqueta il vigile cane gittando del pasto nelle bra- mose sue canne, il eonte Ugolino si teneva sicuro del suo dominio. Ma quando e da dove meno se gli attendeva, gli sorsero contro terribili avversari. Nino Visconti giudice di Gallura, uomo potente ed animoso, benche fosse nepote al capitano generate, vedendo che questi volea farsi tiranno, comincio a sollevarc gli animi dei cittadini e dei fuorusciti, e procuro che Andreotti- Scaccieri andasse in Sarde- gna, per persuadere il giudice d’ Arborea ad entrare (1) Sismondo Sismondi, cap. XXIII. (2) Villarii Giovanni, Malespini, Serra ec. TOMO I. /\/\ — 530 nella congiura. — Sc per amor di patria, oppure agisse egli per ambizione, nol so. II conte vedendo cosiffatti andamenti, ne colse sospetto. Per accrescersi amici costitui pro-vicario Gugliclmo Alberti bolognese, lusingandosi di guada- gnarsi cosi il favore di quel popolo. Confortato del cibo di questa speranza, ardi cose maggiori ; rioc- cupo il palazzo de’ Signori, quasi fosse assoluto pa- drone della citta. Nino con piu animo seguito 1c sue macchina- zioni, e colF aiuto di sua famiglia e de’ suoi partigiani fece venire i fuorusciti ghibellini di Firenze, e die loro modo di entrare in Pontedera, sicche quel ca- stello si reggesse per la sua parte; fece ad un tempo suscitare discordie ncl castello di Buti, ove si venne spessissimo all’ armi, essendosi quel popolo diviso in fazioni, sulPesempio della citta, la quale ogni giorno era testimone di rissc e di tumulti. Avvenne un giorno che un figlio naturale del conte, in compagnia d’alcuni suoi seguaci, uccise Simi Arno Gano Scornigiani, uno di quelli del giudice di Gallura. Questo caso feri i nemici di Ugolino nel piu profondo dell’ animo, e giurarono di fame ven- detta. Chiamarono a parte di loro causa la plebe, gridando per le pubbliche vie: Morte a tutti i nemici della pace con Genova; ma la plebe, quasi sempre miscro strumento alle mire de’ privati, questa volta fu sorda: cio era pel conte una vittoria. Allora il giudice si appiglio ad alfcro partito, e comincio a disseminare nel popolo, essere un onta per la Re- pubblica che Ugolino tenesse il palazzo della Signo- ria; e chi non scorgere in cio ch’ e’ voleva vivere senza dipendenza, anzi farsi schiavi tutti i cittadini? Queste parole avrebbero sicuramente fatto insorgere una sollevazione, ove non si fossero opposti alcuni savi uomini ed autorevoli. I quali volendo aggiustare V 531 le cose senza disordini, con somraa destrezza propo- sero che la difficolta fosse rimessa al senno dei consoli di mare e degli uffiziali delle sette arti; ed il consiglio fu accolto. In questa guisa non vi fu via di mezzo per il conte; o assoggettarsi al giudb zio, o dispiacere a tutta la citta: egli si attenne al primo passo. Prima di tutto i consoli e i capi delle sette arti persuascro al conte di lasciare il palazzo dei Signori, c ritirarsi alia sua casa : quindi si accinsero all’ ufficio loro commesso. Intanto che queste cose agitavansi, il giudice, inorgoglito perche s’ era fatto a suo modo, spinse oltre il piede; e da una mira nn’altra pullulando nel di lui spirito, si diede a studiare come cacciar il conte dal potere. Di qui miovi disturbi giornalieri, specialmente nel castello di Buti, ove di continue stavasi in armi. Gli aderenti del capitano generale e del giudice mandarono a Pisa per soccorso, onde avere superiority. Nino spedi di piu a Lucca, pre- gando certi amici, partigiani e congiunti che vi aveva, che volessero giovarlo del maggiore soccorso. Ed eglino non frapposero indugio; ma incontanente inviarono un capitano con fanti e cavalii, i quali prima che Ugolino potesse mandar truppe a impedirli scacciarono da Buti i nemici, molti anche ne uc- cisero, e del vecchio castello s’ impossessarono in nome della repubblica di Pisa. Per tal modo rimescolandosi piu sempre le cose, andava Pisa a manifcsta estrema rovina. Lo perche i pochi che si scaldavano ancora ai raggi dell’ amor della patria si argomentarono indurre il conte, il giudice e i partigiani d’ ambedue ad un poco di quiete. Si venne ad una tregua tra le parti. In questo mentre i consoli ed i loro colleghi portaron giudizio che Ugolino non dovesse abitare few. 532 il palazzo dei Signori, ma starscne nella sua casa; e tecer bando ad un tratto, die gravissime pene colpirebbero chiunquc ardisse portar armi. Avvisaron cosi provvedere die la in Felice citta non venisse con- taminata di sangue civile. Ma die giovan le leggi la dove il potente a sua possa le infrange? Dolente Ugolino delle cose pei consoli statuite, si ostino piu che mai onde giungere a palleggiar quella verga, troppo tuttora vacillante nel suo pugno; e, piu che prima, adunava e si teneva attorno le sue genti. Occorse che Coccio di Guido Spezzalaste, co- gnato del conte, fu sorpreso in arrni ad onta del fatto bando, e per ordine del potesta tradotto in carcere. Ugolino, immaginando cio fatto in oltraggio suo, mando al potesta dicendo che il prigioniero libe- rasse; e quel magistrato, siaclie fosse del giusto te- nace, siaclie non volesse addirnostrarsi per alcuno parziale, si stette saldo nella ripulsa. Ugolino non obbcdito si ruppe a grandissima ira, nelF impeto della quale al giungere della notte mando de’ suoi armati al palazzo, fe’ spezzare le porte, ed il cognato suo sciogliere a forza. Quindi il pote- sta spoglio della carica, e gf ingiunse di sgornbrar la domane al mattino. Come assoluto signore entro egli in palazzo, c fe’porre alle fmestre le proprie inse- gne; quindi, lasciata buona mano d’ uomini a custo- dia, torno dove risicdcva come capitano di popolo. Anno 1287. — Supponea cosi piu libera la strada dei suoi disegni, eppur non l’era: che anzi, a mag- giormente attraversarlo, nacque un terzo partito di cui era capo rarcivescovo Ruggiero Ubaldini, e prin- cipali fautori i Lanfranchi, i Gualandi e i Sismondi. Cosi Pisa fu divisa in tre fazioni. Il conte spiego ogni diligenza e destrezza, ed ogni altro mezzo per farsi amico T arcivescovo. Gli venne fatto di coglierlo -haJG$& 533 alle sue reti; quindi concertarono insieme cli rovi- nare il giudice cli Gallura. Congiurarono; e poi sta- bilirono un cli, nel quale Nino dovca cacler prigione 0 morto, e tutti i seguaci cli lui dovcano esser cac- ciati dalla citta. Lieto di questa tram'a, Ugolino si parti cli Pisa e si ritiro a Settimo, onde il caso avvenisse lui as- sente, per avere in ogni incontro la scusa d’ essersi stato lungi. Sapea peraltro che non avrebbe fallito il disegno, appoggiato a Ruggieri eel ai principal! cittadini, tra i quali Bacciomeo di Bonifazio Gua- landi, Buonaccorso da Ripafratta, Guido del Pellajo, Buonaccorso Lanfranchi pievano di Cascina c cano- nico della primaziale, Chiccoli canonico della prima- ziale e pievano di Savigliano, Guido Zacci priore di Nicosia, Neri di Yanni, Bacciomeo e Baccio da Caprona. I quali e molti altri aelerenti fecero se- gretamente venire dalle colline di Yal di Serchio e degli altri contorni molta gente, oncle mettere a termine il grave divisamento. Si accorse Nino Yisconti della nuvola che se gli addensava sul capo; e, misurate le proprie forze e sentitele di gran lunga inferiori al bisogno, raccolse 1 suoi piii fidi, e con essi riparo spontaneamente al vicino castello di Calcinaja. Allora Tarcivescovo, in- sieme ai principal! partigiani del conte, si reco al palazzo del comune; lo prese, e, mandatine fuori quanti v’ erano a guardia, lo chiuse, e quindi si porto con seco le chiavi. E qui grandi difficolta su chi clovesse torne il possesso. I piu intrinseci d’ Ugolino pregavano Guelfo, a lui nipote, lo prendesse egli, ed ei non era alicno; ma Brigata, figlio del conte, se gli oppose dicendo non esser dicevole il non attendere il padre, e lo clicea di buon senno ; sendoche istigato esso a far cio che a Gueifo sconvenivasi, e che d’ altra parte 534 poteva tornare al padre utilissimo, e chiuder la via alle possibili novita, non voile mai acconsentire. Come suole accadere se n cbbe godimento un terzo, 1’ ar- civescovo; il quale si mostro per un poco schivo: voile sembrar di ccdere a calde preghiere; ma in- flne entro nel palazzo della Signoria, e s’ ingolfo nelle brighe del secolo, da cui tanto dovrebbero starsi lungi i ministri del cielo. Qua! fu la sorpresa del conte al suo ritorno da Settimo! Egli niiiralt.ro sapeva che la cacciata del Visconti. Yisto r arcivescovo in palazzo, si turbo gra- vemente; che voleva esser solo al governo delle sorti di Pisa. Preghiere perche scendesse ad accettar compagno Ruggieri amicissimo suo; proposte di unir- gli uno di fazione ghibellina a sua scelta, e nomi- natamente, per sua satisfazione maggiore, il conte di Santa Fiora, marito ad una sua nipote; tutto fu soverchio: Ugolino arrogavasi tutto, comecche gli sembrava d’essere ormai in tal punto che niuno valesse a fargli contrasto. ColF usata destrezza si mise attorno all’ arcive- scovo e lo ridusse ai suoi desiderii, cioe di lasciargli il palazzo e libera la signoria. Toccata questa meta egli si credo felice, lie at- tese ad altro che ad imparentarsi coi piu potenti e piu nobili cittadini onde consolidare il proprio stato. Impalmo dunque ad un suo nepote una figlia di M. Guido da Caprona, uomo in cui la prudenza andava dal pari colla sorama stima presso il popolo. Nel di delle nozze imbandi solenne banchetto al quale con- vito tutti i piu grandi de’ suoi amici, tra cui un suo parente Lambardo. Comecche seco lui usava volen- tierissimo a conversare, nella gioja del prandio fe- stoso, prese a parlargli delle proprie ricchezze e della propria possanza; e che omai mi manca, o Lambar- do? gli disse. A cui: la grazia del cielo , Lambardo 535 rispose; — e ben presto si parve, che il cielo non c amico ai tiranni. II desiderio di rappacificarsi con Genova per la liberazione dei pi igionieri s 1 era fatto sempre pin vivo: e Genova non era altrimenti tanto dura nelle condizioni, essendoche non altro voleva che il pa- ganiento di una somma di denaro. Il conte Ugolino non poteva fame a meno : aper- taniente si mostrava impegnato di venire a conclu- sionc; ma occultamente operava per lo contrario, facendo nascere di continuo nuovi ostacoli. Istigo certi corsari pisani, che si trovavano in Sardegna, a danneggiare i genovesi ; ed eglino si lo compiac- quero; poiche scorrendo con due galere c con un galeone que’ mari, predarono una nave genovese nel porto d’ Aleria in Corsica, un’ altra poco dopo vi- cina a sant’ Erasrno, ed alcuni bertoni di mercanti misero a sacco. Alla lama di queste ostilita si turbo Genova for- temente, e mando a Pisa Niccolo Petrazzo dicendo: qual era modo d’ agire lo ingiuriare i genovesi in - tantoche si domandava loro , e seco loro si trattava la pace ? V ambasciatore conchiuse chiedendo d’es- sere ristorati dei danni sofferti. Al quale fu risposto: niuna colpa avere i pisani nelle fatte aggressioni . Ed egli ripatrio, congedato con molte sense e buone parole. Da quel punto furono in Genova annate tre galere per guardia delle mercanzie, con ordine al capitano di non toccare ie cose de’ pisani, ma sol- tanto difendere le cose dei genovesi. Intanto i maneggi d’Ugolino non potettero re- stare pin ascosi. Chi siede in alto ha troppi sguardi che ne spiano gli andamenti. Chiarito nemico alia concordia, la fiamma del- l’odio ardente contro di lui divenne incendio. Ed egli avvisando che gi’incendi morali potessero, come 536 i materiali incendi, estinguersi colle rovine; fatto tiranno, col favore dell’ arcivescovo e de’suoi parent), caccio dalla citta quei cho gli davan pid ombra; ed il conte Anselmo di Capraja, al popolo dilettissimo, fece vilmente assassinare. Cosi lusingavasi procacciar qaiete all’ animo suo; ma Ben provvide il cielo CK uom per delitti mai lieto non sia. A c-agione di grande asportazione di grani successe forte carcstia. La plebe, muta sotto altri flagelli, non sa tacere sotto il flagello della pallida fame: levo dunquc i piu fieri lamenti. Li sent! nell’ animo mess. Guido da Caprona, egli che ardeva di verace carita patria; e, mosso da buono zelo, disse alia figlia di fare che suo mar i to desse opera presso il conte suo zio, onde alia pubblica penuria fosse provvisto. Non esito la figlia a compiere il volere del padre; ed il marito fattosi ad Ugolino, gli esposc quanto sapea piu dolcemente i clamori del popolo: lo esorto a met- tervi riparo; e, come gli consigliava sincero affetto, gli suggeri di sospendere per qualche tempo le ga- belle, sicche venissero piu abbondanti vettovaglie; e quindi d’ aprire piu canove a comodita di chi abbi- sognasse di pane. Non gli lascio finire il conte queste parole ; ma, prcso da collera bestiale, ed insospettito che il nipote fosse spinto da brame di farsi benevolo il popolo: ah! tu pure, dunque, cospiri a tormi il dominio? disse; e, cacciata la mano al pugnale, come un demonio si scaglio sul giovane; passogli un braccio; e lo avrebbe finito, ove alcuni prescnti all’infelice non si fossero fatti scudo. Al rumore di questo fatto accorse un nipote dell’ arcivescovo, coetaneo ed amicissimo al ferito. L’affetto gli fc’ dimenticare ogni rischio; onde si scaglio contro il conte ne’ piu forti rimproveri. Ed Ugolino afferrando una ronca, troncogli d’un colpo 5 pyv 2>s/V^ J*L ) /j ^ ^nd A^{ 537 la voce e la vita. Non c a dire se per questi avveni- menti la citta fa commossa. II cadavere del giovane portaron dinanzi all’arcivescovo, ed apertogli il tra- gico caso: Ecco, gli dissero rimprocciandolo, ecco la j mercede che renie il tiranno ai vostri favor i, ai vo- stri aiuli. A tal vista, a queste parole resto sulle prime attonito e quasi di se tratto Ruggieri; poi, j ientrato in se, a niuno secondo in dissimulare: Toglielemi , disse, dacjli occhi questo misero estinto : non e mio nepote, no; non posso ne vo’ credere che Ugolino , amicissimo mio , abbia voluto squarciarmi il cuore con uno strale si crado: niuno me ne faccia parola. Ed a mostrare che veramente credeva cosi, usci per la citta ridendo c scherzevolmente intertenendosi con quelli che lo accompagnavano. Ma un guardo che sapesse passare in quell’animo, lo avrebbe visto bollente del pensier di vendetta. Anno 1288. — Ed infatti comincio FUbaldini a chiarnare a se i primi degli amici, nel cui seno sa- pea poter deporre i suoi sensi. A questi racconto gli omicidii e tutte le crudelta dal conte commesse; lo pinse ingrato, sleale: conchiuse che facea mestieri troncargli la via a maggior grandezza, o piuttosto provvedere per sempre alia salvezza della repubblica, purgandola da un mostro in odio a Dio come agli uomini. Questc parole dell’ arc-ivescovo eran verc pur troppo; laonde misero nell’animo di tutti profonde radici, c tutti si riunirono nel giuramento di ester- minare Ugolino, per rendere alia patria la primaria liberta. Nullostantc compressero il dolorc e l’ira, at- tendendo un occasione propizia. Il primo di luglio si aduno il Consiglio generale nella chiesa di sun Bastiano per trattare della pace coi Genovesi: quel giorno pane adattato alle mire dell’ arc-ivescovo. TOMO I. 538 Si vennc a deliberare. I Ghibellini fecero caldis- sime istanze perche i prigiooieri risalutassero una volta il sole del loco nativo: Ugolino, al solito, si oppose, e 1’ adunanza si sciolse senza aver nulla con- chiuso. AH’ uscire di chiesa 1’ arcivescovo fu avvisato che Nino, detto il Brigcita, nipote al conte, raunava battelli per andare in traccia de’Guelfi ed intro- durli nuovamente in citta: gliene avea dato ordine lo zio, giustamente dubitando di se per la consape- volezza delle proprie scelleraggini. A questa notizia Ruggieri ruppe ogni indugio: riuni i congiurati; gli esorto con brevi, ma efficaci parole ad usare del tempo, e levare il popolo a tu- multo; e cosi fu fatto. Si grido all’armi: i Gualandi, i Sismondi, i Lanfranchi con buona mano degli Or- landi, dei Ripafratta e d’ altre nobili famiglie ghibel- line, si raccolsero attorno all’ arcivescovo, si comincio l’assalto dando a stormo nelle campane Che per Dio ringraziar fur poste in alto , ed urlando per le affollate vie: Viva il popolo , e Muoia il conte traditore della patria . Ugolino con due suoi figli, due nepoti, e coi suoi seguaci, tra cui distinguevansi i Gaetani e gli Upezzinghi, si accinse alia difesa. Crudeli combatti- menti avvennero in vari luoghi infino a sera; quando la parte del conte mancando, e quella dell’ arcive- scovo crescendo per essersi fatto dalla sua tutto il popolo, Ugolino si ritrasse in casa fortificandovisi come potea meglio. L’ arcivescovo, che non un ministro del Dio di pace, ma pareva Satanno, quando, rammentando di essere stato espulso dal cielo, disfoga la rabbia stra- ziando le creature di chi lo caecio, con le sue genii si diede a battere furiosamente il palazzo del nemico; ma quei di dentro faceano valorosa difesa. Allora: al fuoco , gridarono tra gli assalitori; c millc faci 539 faron lanciate contro le mura, intanto che con tutte l’armi che il furor somministra si squassavan le porte. Dopo una disperata difesa fu forza arrendersi. Alcani potettero scampare, e per involarsi ad ogni pericolo fuggirono dalla citta. Ma il conte Gaddo cd Uguccione suoi figli, il Brigata ed Anselmuccio suoi nipoti, con alcuni di casa Upezzinghi, rimasero prigioni. L’ arcivescovo e gli altri capi fecero allora, quale bastasse alia piu spietata vendetta, la torre Gualandi, chiamata anche delle sette vie , dal numero delle vie che mettevano sulla piazza ov’ ella sorgea spaventosa. Ivi Ugolino co’ due figli e co’ nepoti fu chiuso. Ivi geinettero qualche tempo, incerti di loro sorte; quando lo snaturato Ruggieri stabili di farveli mo- rire di fame. Egli non sapeva, che solo ai dannati esser puo noto, qual sarebbe tormento ad un padre ad un avo morire nei nepoti e nei figli sorseggian- done la inortc; e qual morte! A questo punto parli Ugolino stesso per la bocca di Dante (1). (1) Divina Commcdia. Inferno, Cant. XXXlIf. Ci permettiamo inserirne questo brano di veraniente ispirala poesia onde diffonderla sempre piii tra il popolo, a cui per avventura son destinatl gli Annali. In essa il sommo Alighieri dipinse la crudelta della morte d’ Ugolino. E noi menlre non spre- giamo lo zelo del cavaliere Dal Borgo in .lentare di scusar la barbarie della pena, prolesliamo di non dividere atTatto il suo giudizio. La nota falta su questo proposilo dal celebre Sismondi merila d’ esser trascrilta. « Il frequente mutar di parlito del conte Ugolino ha resa alquanto con- fusa la sua sloria;onde non deve recar meraviglia che sia tanto oscura, a fronle della celebrita del suo nome e deU’estrema sua sciagura. Questa slo- ria peraltro fu l’argomenlo d’ampie numerose dissertazioni. Quelle del cav. Flaminio Dal Borgo, che formarono un volume in 4. 0 , non hanno allro scopo che di purgare i pisani dal rimprovero di crudella, loro fatto da Dante e ripe- tuto da tutti coloro che leggono il suo divino poema. Il cav. Dal Borgo prese per epigrafe questo verso: Exoritur tandem nostro de sanguine vindex , e crede d’aver giustificala la sua palria, dimostrando che i quatlro g ovarii chiusi in carcere con Ugolino, essendo slati presi colie armi alia mano, non 510 Breve pertugio dentro dalla mmla, La qual per me ha ’1 titol della fame, E ’ll che conviene ancor ch’ altri si cliiuda, M’ avea mostrato per Io suo forame Piii lune gia, quaiid’ i' feci il mal sonno Che del futuro mi squarcio 1 velame. 1’ ora s’ appressava Che ’1 cibo ne soleva essere addotto, E per suo sogno ciascun dubitava: Quando sentii chiavar 1’ uscio di sotto All’ orribile torre: oud’io guardai Nel viso a’ miei figliuoi senza far motto. 1’ non piangeva, si dentro impietrai: Piangevan elli; ed Aaselmuccio mio Disse: Tu guardi si, padre, che hai? Pero non lagrimai, ne rispos’ io Tutto quel giorno, ne la notte appresso, Infin che 1’ altro sol nel mondo uscio. Come un poco di raggio si fu messo Nel doloroso carccre, ed io scorsi Per quattro visi il mio aspetto stesso. erano meno di Iui colpevoli; sicche Dante non poteva dire di loro con ve* rita: Innocenti facea Veld novella ec. A noi forse, pill che al car. Dal Borgo, importa immedialamcnte i! giustificare Pisa e le famiglie ghibeliine da cosi grande crudella: pure non sappiamo immaginare qual vi possa essere cosi grave delitto che renda legittimo il supplizio d’ Ugolino e de’suoi figli. Non vediamo che Dante Ii supponga nella prima fanciullezza ; anzi li rappresenta come giovani pronli a sacrificarsi pel loro padre; e questo zelo gerieroso ne fa supporre naturalmenle che a\ranno pure combatluto al suo fianco: ma non pertanto erano essi troppo giovani per aver partecipalo al tradimenlo che, quattro anni prima, fece perdere la Battaglia della Meloria, o a quello che diede ai lucehesi Ripafrat'a, Viareggio ed altre caslella. II conle poteva averli avuli compagni nelle battaglie mollo prima d’iniziaili ne’misleri della malvagia sua politica. Se alcuna cosa puo scusare i pisani, ella e la sofferta fame, la quale attribuivano alia politica del conle, e non credettero con cio far altro che renderlo viltima di quel supplicio ch’essi sperimenlavano per sua colpa ». La critica del cav, Flaminio intorno agli slorici di quest’ avvenimento e parziale e appassionata ; quindi, approfittandoci del suo lavoro, non vi ci siamo interamente attenuli Abbiamo specialmenle appoggialo il nostro rac- conto sopra un frammento della storia pisana scrilta da un contcmporaneo 5 - v Ambe le mani per dolor mi morsi: E quei, pensando ch’ io ’1 fessi per voglia Di manicar, di subito levorsi E disser: Padre, assai ci fia men doglia Se til mangi di noi: tu ne vestisti Queste misere carni, e tu le spoglia. Quetami allor per non farli piii tristi: Quel di e 1’ altro stemmo tutti muti : Alii dura terra! perche non t’apristi? Posciaclie fiirnmo al quarto di venuti, Gaddo mi si gitto disteso a 1 piedi Dicendo: Padre mio, che non m’ aiuti? Quivi mori; e, come tu mi vedi, Vid’ io cascar li tre ad uno ad uno Tra ’1 quinto di e ’1 sesto: ond’io mi diedi, Gia cieco, a brancolar sovra ciascuno, E tre di li cliiamai poi cli’ e’ fur morti: Poscia piu die ’1 dolor pote ’1 digiuno. Questa e la fine dei destini di Ugolino: ainmae- stramento terribile ai tiranni, di non stancare la sof- in dialetlo pisano, ed impresso nella raccolta Script. Rer. Ital. tom. XXIV , pag , 6S9-655. Gi spiace dover dire che questo framrnenlo da a credere che il supphcio del conle fosse una specie di lortura per forzarlo a pagare un’ammenda di cinquemila fiorini, cui era slato condannalo. Abbiamo pure approfillato assai della cronaca di Pisa scritta del 1536 ( Script . Etruriac , tom. /, pag. 557 584). La ciliamo talvolta solto il oome di falso Marangonf, perche ci pare che il cavalier Flaminio abbia dimoslralo non esser dessa al- Irimenti opera di Bernardo Marangoni cui viene altribuila. Siccome non cade dubbio inlorno alia data ed alia aulenticda, il nome non imporla gran fallo. Ma non son quesie le noslre sole aulorila: noi le abbiamo sempre confronlale col racconto assai circostanzialo di Gio. Villani, lib. VII. cap. CXXe CXXVII , pag. 320 321; colla cronaca pisana scritta ne’ primi anni del XV secolo Scr. Ital. tcm XV, pag. 979, e coi commenli falti a Dante da Benvenuto da Imola, Ann. Ital, tom. I pag. 1140. Per ultimo abbiamo pur lello il framrnenlo di storia pisana di Guido di Corvaria, conlemporaneo, tom. XXI V, pag , 694. Doria continuatore di Caffaro, Ann. Genucns, lib. X. pag. L 93 595. — Leon. Aret. Istor , Fior. fine del lerzo libro. — Cronica di Paolin di Pietro fioren- lino, conlemporaneo. Script. Etruriae tom II, pag. 42 — Ubert. Foglh*“'* 1j: " t Gcnuens. lib , V. pag. 396 — Marchione di Coppo de’ Stefani, pure poraneo, sconosciuto ai cavaiiere Flaminio. Delizie degli erudilx tom - tom. VIII. lib. Ill, rub. 164, pag. 33. 542 ferenza de’ popoli, i quali se alia fine sorgono a ven- detta divengono una belva, ne piu distinguono nel macello innocenti o rei. I parenti del conte fur on tutti cacciati dalla citta; il di lui palazzo lungo l’Arno, nella parrocchia di san Sepolcro, rovinato dalle fon- damenta; e fa fatto decreto che, per volger di eta, niuno, di qualsiasi condizione si fosse, potesse riedi- licarlo. Fece di piu il disiimano arcivescovo un pubblico bando: che, sotto pena della vita, chiunque sapesse ove parenti, amici, o fautori del conte si tenesser nascosti, dovessero manifestarli (1). Cosi i Ghibellini si avvantaggiarono, e i Guelfi furono in Pisa depressi: ma tutta Toscana fa con- (1) Avvenne in quesla occasione che un bambinelio del conte fu con amorosa induslria salvato. Queslo falto, attenente piu alia famiglia Gherar- desca che alia sloria pisana, lo trascriviamo in nota colie parole istesse del Tronci: « Riferiscono, egli dice, i manoscrilti antichi, che v’era un putlino nipote di lui, tenuto dalla sua nutrice, e da lei amato lenerissimamente, e che venutoli a notizia il detlo bando, trasporlata dall’ amore che li portava, non altrimenli voile palesarlo; ma lo tcnne occulto, per cavarlo fuori della citta con prirna occasione le si porgesse. In questo tempo doveva parlirsi di Pisa la moglie del conte, per comandamento faltole, e ritornarsene a casa di suo padre conte di Monte JGemoli, in quel di Siena. La detta nutrice si ri- solse di tentare la fortuna, e andarsene con detta signora; e messasi la mat- tina in capo una caneslra di panni sporchi, ed in essi inviluppato il putto, fingendo d’uscir fuori a lavargli, I’estrasse con detta astuzia; e condollolo a salvamenlo a casa della nonna, ivi fu allevato. Aggiungono altri mano- scritti, che allevato, ch’ egli fu all’ eta di vent’anni, bene spesso dai suoi coe- tanei amici li fusse rinfacciato il tradimento dei suoi antenati, e che accer* talo del successo e del modo col quale aveano Anita la vita e del suo scampo, come che per nalura malinconico, si pigliasse tanto cordoglio, che, senza pensare al pericolo al quale s’ esponeva, se ne venne a Pisa; e comparso in consiglio, narrando che il vivere gli era una continua morle, si delte spon- taneamente nelle mani degli anziani per esser privato di vita, come i suoi parenti. Fu lungamente discusso qual risoluzione dovesse prendersi in que- sto caso; e non oslante che molli inclinassero a farlo morire, 1’innocenza, la semplicita, per non dir pazzia, di lui opero, che gli fu condonata la vita, e re- sto solamente condannato a perpetua carcere, dalla quale fu poi liberato per intercessione d’ Arrigo VII imperatore (quando si Irovd in Pisa l’anno 1310), bandilo peraltro dallo Stato ». jTr, 543 tro lei. Nino Visconti con gli altri guclfi fuoruscitq confortati all’ armi clai fiorentini e dai lucchesi, an- darono ad assalire il castello d’ Asciano, a tre miglia da Pisa. II quale ben presto si rese loro a patti, non essendo stato soccorso, perche gli anziani che temevano di qualchc no vita nelf in ter no, lasciarono i guelfi campeggiare a loro talento. I guelfi pigliando animo dalla prima prospera impresa, scacciarono i ghibellini da Calcinaja, da Lari e da Peccioli ; e non e da maravigliare, poiche lo facevano col fa- vore di Fiorenza che allora aveva tutta Yal d’ Era, e coll’ aiuto della potente casata degli Upezzinghi. In questo stato di cose, gli anziani cercarono d’ aggiustarsi ; ma i fiorentini attraversarono il trat- tato, e mandarono cavalli e fanti al giudice di Gal- lura, ed ambasciatori ai guelfi di Pisa, dicendo loro: che gV intendeano compresi in quella lega toscana , la quale avea di Pisa giuralo /’ ultimo eccidio . Gli ambasciatori avean condotto seco buona mano di fanti. Con quest! c colie forze di Nino si ando ad oste contro la torre di Caprona. Presala in pochi giorni si trasse in Yal d’ Arno, c molte case di ghi- bellini vi furono ridotte in cenere. Come metter argine a questo torrente allagatore? L’arcivescovo Ruggieri, che avea potuto cangiare il pastorale in bastone di ferro per comandare empieta, non poteva cangiarlo in ispada; prodc a versar san- gue tra le patric case, ma non in campo. Oltre di che minacciato dal fulmine del V 7 aticano, dovea dal potere dimettersi per non essere annientato. Tra gli altri cittadini, nessuno adatto al freno delle cose presenti. Yolsero dunque gli anziani lo sguardo al di fuori, cercando un signore. Eravi rilegato in Piemonte, nella citta d’Asti, il conte Guido di Montefeltro, che erasi acquistata fama di grande guerriero nella difesa di Forli contro il 544 conte d’Appia. Questi Pisa elesse a suo capitano e P generate, e gli specli subito gente a significargli la > elezione, eel a pregarlo d 1 accettarla. Intanto che attcndevano la i isposta, i Pisani tol- sero a soldo il conte d’Elci di Maremma, con due- cento fanti. Si maneggio scgretamente cjuesto trat- tato; non pcro tanto che non ne pervcnisse la noti- zia al giudice di Gallura, che trovavasi in Sammi- niato. II quale dando a Guelfo Cavalcanti e a Ber- nardo d’Arieti Contestabili trecento fanti dei fiorentini che aveva seco, li sped! a tagliare la -via alle genti dai pisani assoldate. Vennero adunque a Calcinaja, dove, fatti piu forti per essersi loro uniti gli Upez- zinghi, tirarono alia volta di Colie Salvetti. Poco ando che incontratisi col conte d’Elci lo assalirono, lo ruppero, e de* suoi dugento la maggior parte fe- cero a pezzi o prigione. A questa sventura ne tenne dietro un’altra. In Buti si facevano trattati in favor della Lega, coi soldati lucchesi che tenevano il Castel Yecchio. I pisani vi cavalcarono prestamente; del castello e di tutti i lucchesi che v’ eran dentro s'im- padronirono; ma poi scorrendo a Vico e per le valli dei contorni alia preda dei ne'mici, si fecero nuovo argomento della instabilita della vittoria. Poiche i lucchesi mandarono nuovi soldati, i quali ritiratisi all’ erta del monte a spiare quel che seguiva, c visto che i pisani s’ erano sparpagliati, a basso, a basso , gridarono ad una voce; e sui pisani piombando, in un momento gli misero in fuga. I vinti si andavano ritirando verso Bicntina, quando anche la gente bientinese levandosi loro contro, rimasero chiusi in mezzo; uccisi o fatti prigioni moltissimi, pochi rivi- dero le rive di Pisa : trai morti vi furono Btio- naccorso Gambetta da Ripafratta, vicario dell’ arci- > vescovo neir armi, Gaddo di Caprona, Nino Strambi h anziano, e Gaddo Berci. 545 Anno 1289. — Cosi le cose andavano semprepiu decadendo, onde rneglio si conoscesse poi la robu- stezza del conte Guido ncl far loro puntello. Udita egli F arubasciata della Repubblica pisana che lo invitava alia carica di capitano generale, ac- cetto di buon aniiiio purche se gli dcsse per tre anni F iinpero, diecimila fiorini all’ anno, cinquanta uomini d’ arme e trecento cavalli. Fcrmati i patti, ei se ne venne a Pisa per la via di Genova, e vi giunse il 13 maggio. Fu ricevuto con ogni onorificenza, e prese il bastone del potere. Dalla morte d’Ugolino in poi lo avean maneg- giato Farcivescovo Ruggieri per quattro mesi circa; quindi per un anno Ildino di Romagna, e final- mente per sei mesi Gualtieri di Brunforte. Peraltro nella clestra di niuno di coloro era stato terribile. Quest’ onore era riserbato al conte Guido. Ma diffusa appena la fama del nuovo capitan generale della pisana Repubblica, Niccolo IV, che correggeva allora F ovile di Pietro, sottopose alF in- tcrdetto la citta di Pisa, ed il conte scomunico se dentro un mese non abbandonava il preso governor pcna che parrebbe strana ai di nostri, poiche si trat- tava di una citta libera, e per temporali bisogne ai pontefici non soggetta (1). (l) Muratori. A testimonianza della scomunica fulminata contro Pisa, il Tronci riporfa anche il fatto seguenle: « Benedetto Orlandi e Jacopo da Ripafralta il di 12 di luglio, come ambasciatori della Repubblica di Pisa, arrivati a Rieti dove si ritrovava il papa, che appunto era in concistoro coi cardinali, fecero istanza ai portiere di voler parlarc a Sua Santila; e negando lui di fare I’ ambasciata dicendo che non era tempo che loro potessero entrare all’udienza, si protestarono avanti notajo e teslimoni, quali furono Tedui priore di san Sisto di Pisa, e Bacciano monaco di san Paolo a Ripa d’ Arno dell’ordine di Vall’Ombrosa, che erano andati a posta per esporre la causa della loro repubblica avanti Sua Beatiludine ed i cardinali, per conto del processo pubblicato contro di essi il di del giovedi santo. TOMO I. 69 546 Con tutto cio il conte Guido limase, c si diede a migliorare lo stato del comunc affidatogli. Era difficile aver soldati poiche la citta era estenuata; pure gli venne fatto mettere insieme cinquecento uomini a cavallo, tutti ghibellini : e per dare alia soldatesca stipendio impose un nuovo dazio, come voleva estrema necessity, essendo il pubblico erario affatto esausto. Ma i fuoruseiti guelfi, coll’aiuto dci fioren- tini, senesi, volterrani, lucchesi ed altri, formarono un esercito di ottomila fanti e ottocento cavalli: vennero tutti ai danni di Pisa; ne devastarono il contado, specialmente nella valle di Buti e di Calci; poi mossero sulla citta. Non potendo farvi cosa al- cuna di buono, il giorno di san Regolo corsero il palio attorno le mura, sperando con quest’ ingiuria trar fuori il capitan generate; ma egli se ne stette, imitando Fabio Massimo, il quale dalF alto dei monti osservava le mosse d’ Annibale, per piombar giu, quasi nube tempestosa, appena il nemico glienc of- frisse opportunity. Ricominciando i Pisani a confidare in sc stessi, sospesero la consegna del castello di Castro in Sar- degna per il cambio dei prigionieri, promettendo ai Genovesi che F avrebbero consegnato tra un anno; alia qual epoca della consegna avrebbero loro dato anche altre fortezze dell’ isola, la torre di Porto-pi- sano, e il castello di Gorgono: intanto offerivano a pegno del trattato cinquanta ostaggi di soprappiu. I Genovesi ne domandaron dugento. Pisa, com’ era naturale, non voile andarne d’ accordo, e cio fu ca- gione che le liguri navi tornarono F anno seguentc nel mar toscano (i). (1) II Tronci aggiunge solto quesl’anno: « Passo ali’eterna vita il beato Pietro Pellinajo, del terz’ordine di s. Francesco, nel comune di Campi in Chianti, luogo sette miglia vicino a Siena: uomo gran dispregialore delle -A/\/S 547 Anno 1290. — Intanto il conte Guido addestrava infatieabilmente i suoi. Giunta la stagionc propizia usci fuori, e colla prestezza del lampo marciando e contromarciando riprese i castelli di Lari, Sojana, santo Pietro, Montefoscoli, Montecchio e molti altri di quei contorni ; poi nella valle di Calci riconquisto la terra di Caprona con Castelmaggiore. Allora mando a Castiglione della Pcscaja Arrigo suo capitano, col conte Neri da Camogliano e Bacciomeo Gualandi. Questi prodi guerrieri fatti armare i castiglionesi, li condussero, insieme con la gente che seco aveano tratta da Pisa, contro i nemici die presso Grosseto s’ erano fortiflcati in un palazzo chiarnato stacci in occhio. Presero a batterlo gagliardamente, e quei di dentro fecero yalorosa difesa; ma vedendo poi che da Grosseto non giungeva alcun soccorso, chiesero di rendersi a patti, salve le persone c cose. Arrigo non voile dare ascolto, e cio fu imprudente consi- glio; che da Grosseto vennero poco dopo duemila pedoni e dugento cavalli, e si accamparono in un luogo detto Tombulo, in vicinanza dell’ assediato palazzo, spiando gli andamenti dei pisani. II capitano Arrigo, tolta seco una mano dei piu prodi, ando ad assaltare i nemici ; attacco un’ acca- nita battaglia; ma cadde fortissimamente pugnando: molti suoi compagni divisero con lui 1’ ultima sorte; gli altri si misero in rotta. Incoraggiti da questo successo i grossetani si fecero oltre, ed approssima- tisi a Castiglione uccisero non pochi di quei di Pisa: lo perche Giulio della Penna, uno dei pisani capi- tani, sapendo bene quanto terrore la morte del con- cose del mondo e di se stesso, pieno di carita verso Dio ed il prossimo, e favorito da S D. M. di grazie singolari, Leggi !a sua Vila appresso il P. Razzi, nella prima parle dei Sarili toscani; il quale racconta the questo grart servo di Dio fu piu volte a Pisa per la fesla dell’ Ascensione di N. S. onde recarsi ad acquistar P indulgenza di san Pietro in Grado ». 548 dottiero caccia in cuore agli eserciti, oso spingersi addentro all’oste, attacco il capitano della cavalleria grossetana, chiamato Cione, per abbatterlo, e in pochi colpi T cbbe di fatti spacciato. A1 cader del quale costernati i suoi cavalli, in un momento si sparpagliarono ; ed i pisani piombando con maggior coraggio sul rcsto delle nerniche schiere, le respin- sero per ben cinque miglia, piu di mille ne taglia- rono a pezzi , e quattrocento circa ne menaron prigioni. Altra impresa medito allora il conte Guido so- pra il castello di Ponte d’ Era. I fiorentini tenendosi carissimo questo castello, vi avevano lasciato a guar- dia Guido Borgherelli de’ Bossi e Nerino de’ Tizzoni con centocinquanta fanti. Ma questi sciaurati, fidando nel largo fosso e nelle forti mura del castello, ri- dussero a soli cinquanta gli armati per impinguarsi essi colle paghe degli altri cento. Avvenne anche che con poca diligenza vegliassero alia custodia, quasi che nulla avessero da dubitare. Il conte Guido, che non dormiva, fatto consape- vole della trascuratezza dei due castelli, con solle- citudine, di notte tempo, cavalco con le sue genti a quella volta ; e nell’ ora che il sonno e piu pro- fondo e le tenebre piu fitte, per mezzo di scale di funi fece salir sopra le mura del castello alcuni sol- dati, i quali aprirono la via agli altrib ed il castello in breve fu preso. Nerino de’Tizzoni, Guido de’ Rossi ed un suo nipote rimasero prigioni; parecchi uccisi. In questa medesima occasione il conte Guido fece ribellare ai samminiatesi, confederati dei fio- rentini, il castello di Vignale in Camperone; quindi tornossene alia citta, lieto a buon dritto di cosi prosperi avvenimenti. Ma i genovesi, collegati coi lucchesi, per or dine del magistrate della credenza, intantoche Lucca 549 avesse in pronto le sue genti andarono sopra l’isola dell’ Elba e la presero (1). Quindi nel mese di set- tembre con quaranta galere vennero su Porto-pi- sano: i lucchesi vi si trovavano dal lato di terra. Di qua e di la si diedero a tcmpestarlo furiosamente, e le torri e il fanale e le case ne disfecero, con morte della maggior parte dei soldati che vi stavano alia difesa. Con egual rabbia il poco distante Li- vorno guastarono; ne si partirono che allorquando la stagione, la imminenza del verno, ve li costrinse, dopo avere peraltro affondate delle navi cariche di pietre in bocca d’ Arno, per chiuder Fadito ai grossi bastimenti. Anno 4291. — Alla nuova primavera i Fiorentini, non potendo sopportare la recuperazione di Ponte d’ Era e la ribellione del castello di Yignale, man- daron incontanente fuori le genti loro. Le quali po- sero campo a Yignale e lo strinsero di maniera, che que’di dentro, sentendo non poter essere dai pisani soccorsi, ne colle sole forze proprie valere a difendersi, si determinarono ad abbandonare il ca- stello. Ma come uscire, se chiusi da ogni parte dai nemici ? Giunse una notte oscura oscura, senza una stella, e spaventosa per vento impetuoso. In questa si misero in via; passarono di mezzo all’oste senza ricevere alcuna ofiesa. La domane i fiorentini presero il castello, ma vuoto d’ abitatori; e qui l’ira piu che mai in loro s’ accese, e piu accanita che mai deli- beraron la guerra. Con gagliardo apparato si con- dussero fino a Castel del Bosco, col consiglio di ve- (1) Secondo gli Armali Genovesi del Caflaro, lib. X, tom. IV. Rerum Italicarum , la presa dell’ Elba e segnata all’anno precedente : in questo si aggiunge che i pisani passarono all’ Elba da Piombino, si applicarono alio assedio di quel castello; e quanlunque vi accorresse Giorgio Doria per farli sloggiare, furono cosi destri, che riusci loro di rimetlersi in possesso di quella terra. 550 nire su Pisa. Sennonche per otto giorni cadde una continua pioggia., quasi fossero aperte le cateratte del cielo; e furono eostretti a ritornarsene pieni di dolore e di dispetto. II conte Guido voile profittare di questo favore della fortuna imprendendo ad assoggettar Calcinaja, allora in mano de’ fiorentini, ove s’ era fortificato con molti parenti ed amici Gualtieri Upezzinghi. A’suoi disegni s’ offerse strumento un abitante di quel castello; il quale, traditore, si esibi di fare die il Montefeltro potesse accostarsi co’suoi senza che que’di dentro se ne accorgessero. A1 qual uopo comincio a mandare, di notte tempo, attorno attorno alle mura molti paperi, e li faceva strepitare onde que’di dentro al rumore si assuefacessero; adopran- dosi ad un tempo per trarre altri dalla sua. Rag- giunta la meta propostasi, fermo col conte la notte in cui porre ad esecuzione il conceputo ed ordinato divisamento. 11 Montefeltro die comando al popolo di stare all’ erta ad ogni cenno ; lascio Pisa alia con- sueta guardia; co’suoi uomini d’arme e con alcuni usciti di Calcinaja e di Buti si approssimo alia so- spirata terra; tese agguati in vari luoghi, e nel fitto della notte fece salire molti, prima che Gualtieri Upezzinghi ed i suoi se ne accorgessero. Inaspettato un grido scosse i castellani immersi nel sonno ; sor- sero alia difesa, ma era tardi: il conte Guido gia entrava con tutto il suo esercito. Mentre Gualtieri Upezzinghi accingevasi a valida resistenza fu trafitto d’ una lancia e steso spento al suolo. Il conte Guelfo si mise in fuga: dal che a tutti gli altri un tale sconforto, che in breve tratto o furon morti o pri- gioni, trai quali alcuni degli Upezzinghi, cinquanta del conte Guelfo, e gli uffiziali dei fiorentini. Non piccola la fatta preda, ed ottimo ne fu 1’ uso, es- sendo stata messa in comune a sollievo della patria. 551 I prigionieri parte furono chiusi nella torre della fame, lo perche Dante fe’ dire ad Ugolino In che conviene ancor cK cdtri si chiuda, e parte in altro carcere vicino al Duomo. Nondimeno la vittoria non riusci intieramentc allegra, dovendo il contc Guido punire un infame tradimento. Nello spogliare il cadaverc di Gualtieri Upezzin- glii i soldati gli trovarono una lettera tuttora sug- gellata, nella quale se gli dava contezza delict notte e del come il conte divisava sorprendere Calcinaja: stesse impero alberta, mutassc le guardie e si pre- parassc alia difesa. Voile la fortuna della repubblica che Gualtieri, quando gli pervenne questo foglio, profondamente intendesse al giuoco degli scacchi : laonde prese il foglio, lo ripose, ne piu gli venne alia mente (1). Non parve al conte Guido da passarsi sopra a questo fatto, pel quale era chiaro che qualcheduno tradiva la patria; e questi nel numero stesso degli anziani, i quali soli cran partecipi dell’ eseguito di- segno- Tenzonarono a lungo nel suo anirno i modi onde giungere a capo di scuoprire il colpevole. Final- mcnte scrisse una lettera ; e fingendo necessario che ogni anziano la sottoscrivesse, s’ ebbe il carattere di tutti: quindi per via di confronto gli fu aperto chi alPUpezzinghi avea scritto, ed in pieno consesso lo accuso traditore. Nego dapprima lo sciaurato ; ma poiche troppo parlavano da se stesse le cose, te- mendo esser posto al tormento, confesso poi P er- rore, e prego i magistrati di perdono. Ebbe tronca la testa, perche non aveano i pisani scordato ancora (1) Anche la storia delle Crociafe parla d’ inconvenienfi seguifi per questo giuoco, che piu degli aitri disvia tutt’ altro pensiero, narrandosi in essa che an arciprele, mentre dagli scacchi era occupato, fu sorpreso dai turchi nella sua lenda e n’ebbe mozzo il capo 552 1’ insegnamento de’ romani, die un cittadino d&n- noso deve esscr punito con maggiori supplizi che il piu flcro nemico (1). Poco dopo si scoperse un privato cittadino, il quale delle mosse del conte avvertiva i fiorentini e i pisani fuorusciti: lo che faceva mettendo ad una finestra della sua altissima casa un lenzuolo, se il capitan generate usciva di giorno, un lume se usciva di nottp. Anch’ egli adunque lascio sul palco i suoi delitti. E cosi vadano tutti i traditori della patria. Anno {292. — Ma i Fiorentini si accinsero a piu imponente campagna contro di Pisa. Condussero a lor capitano generate FOrsini, nobile romano, ai guelfl affezionatissimo e valoroso guerriero. Venne egli con duecento cavalieri romani. Nel mese di giugno i fiorentini, usciti co’ lucchesi ed aiutati dalle altre loro amista, si trovarono un esercito di duemila e cin- quecento cavalli, e di ottomila pedoni: con queste forze se ne vennero alia volta di Pisa, e da Ca- scina in giu guastarono ed arsero ogni cosa. Posero il campo a un miglio e mezzo dalla citta, atten- dendo se quei di dentro facessero qualche movimento. Ma tutto nelFinterno era nei suoi termini; che il conte Guido, centuplicandosi quasi nei perigli, se non avea forze bastanti per uscire a fiaccare la ostile baldanza, sapea tcner la citta su tutto vegliando, tutto vedendo, a tutto pigliando provvedimento. Per la qual cosa i fiorentini si tennero contend di far correre de’ palii attorno le mura per la festa di san Giovanni; di mettere sossopra il contado; e final- mente dovettero ritirarsi recando seco i medesimi desiderii co’ quali eran venuti. Rimasti cosi liberi, i Pisani volsero Fanimo a ri- parare i patiti guasti. Nel che si accese tra tutti i (l) Cicerone, nella orazione eonlro Calilina. it ! M 553 cittaclini nobile gara. Gli ecclesiastici stessi vollero far chiaro al mondo che sentivano anch’essi cosa sia patria, componendosi a mantenere a loro spese set- tanta cavalli e buona mano di fanti. Intorno a che abbiamo il seguentc istrumento. IN NOMINE DOMINI, Amen. Impositio facta septuaginta equorum pro anno futuro ecclesiis civitatis, et dioecesis pisanorum : ordinatio facta , et imposita a decern sapientibus, et discretis civibus domin. Cacciaguerra , Raineiro de Viterbio pisani canonicis electis a pisano Capitulo, et DD. Abbatib. S. Pauli Rlpae Arm , Sancti Ze- nonis electis pro exemptis civitatis, et dioecesis pisanorum et DD. Guidone priore Sancti Augustini de Rethano, Petro prior e S. Mar- tini in Guatalongo, electis pro prioribus civitatis, et dioecesis pisan., et DD. Iacobo Bergi plebano plebis de Pico, et Iacobo plebano plebis S. loannis de Vena electis a plebanis civitati, et dioecesis pisan. et praesbiteris Ubaldo rectore S. Philippi, Iohanne rectore Ss. Cosmae et Damiani electis pro praesbiteris, et cappellanis civitatis pisanae, confirmata coram me notario, et testibus infrascriptis, sine aliqua renovatione, et contradictione omnes unanimiter et concorditer, id infrascriptum est per omnium sententiam. Et in primis Capitulo pisanae majoris ecclesiae cum pleberio suo, et hospitali equi quinque eq. 5; Monasterio S. Savini eq. 8; Monasterio S. Pauli Rlpae Ami cum hospitali suo eq. 4; Monaste- rio S. Michaelis de Bur go cum hospitali suo eq. 3, pedites 2, et dimid .; Monasterio S. Yiti cum hospitali suo eq. 2 , ped. 2; Monaste- rio S. Michaelis de Verruca cum hospitali suo eq. 2, ped. 2; Mo- nasterio S. Michaelis de Verruca cum S. Nicolai eq. 2; Monasterio S. Michaelis Discalceatorum eq. 2, ped. 1; Monasterio Ss. Frigdiani eq. 2; Monasterio S. Zenonis eq. 3, ped. 3; Monasterio de Quiesa ped. 2; Monasterio de Cintorio eq. 1; Monasterio Ss. Apostolorum ped. 2- Monasterio S. Salvatoris de Collinis ped. 1, et dim . 5 Mona- sterio S. Luxoris, et Torpetis eq. 2\ Monasterio S. Martini ped. 1 ; Monasterio S. Matthei Pis. ped. 1; Monasterio S. Stephani ped. 1; Monasterio S. Iacobi de Polio ped. 1; Prioratui S. Augustini de Rehano eq. 1, ped. 3; Prioratui S. Martini de Guatalongo ped. 6, et dim Prioratui S. Silvestri ped. 2; Prioratui S. Iacobi de Orti- caria ped. 3; Prioratui tomo I. S- Petri in Vincula cum suo hospitali 70 554 ped. 2 et dim.; Prioratui 8. Pauli ad Ilortum ped. 3; Prioratui 8. Xixti ped. 1, Prioratui 8. Mamiliani de Lupeto ped. 1; Prioratui 8. Martini de Vectula ped dim.; Prioratui de Migliarino cum hospitali 8. Mariae Virginis pro quarta parte ped. 1; Ileremitorio 8. Salvatoris de Vico ped. 1. Ileremitorio de Aquaviva ped. 1 ; Ile- remitorio de Caprolecchio ped. 1; Hospitali Novo Misericordiae eq. 1; Hospitali 8. Frigdiani eq. 2; Hospitali de Casinulia eq. 1. Ho- spitali 8. Martini Rae. ped. 1; Hospitali de Stagno ped. 3; Hospi- tali di Altopasso ped. 2; Hospitali 8. Leonardi in Pratu ped. 1; Plebi de Pugnano cum cappellis suis , ita tamen, ut plebs solvat pro tertia parte tantum ped. 2 ; Plebi de Riguli cum cappellis suis, ita tamen, quod plebs solvans per tertia parte tantum ped. 2 ; Plebi de Calci ped. 3; Cappellis de Plebi ped. 2 ; Plebi de Caprona cum cappellis suis equi 1; Plebi 8. Io. de Vena cum cappellanis suis ped. 1. et dim.; Plebi de Vico cum cappellanis suis ped. 2; Plebi de Calcinaria cum cappellanis suis, et ecclesia Pontis Ilerae ped. 3; Plebi de Cascina ped. 2, et dim.\ Ecclesiae de Rinonicho ped. 1; Ec- clesiae de Lugnano ped. 1; Aliis cappellis de plebis de Cascina ped. 1, et dim.; Plebi 8- Cassiani ped. 2; Ecclesiae 8. Frigdiani in Gonfo cum aliis cappellis de plebatus 8. Cassiani , cum ecclesiae S. Mariae ad Trebbium ped. 2; Plebi S- Laurentii de Curtibus ped. 1; Cappellis de Plebis ped. 2; Plebis 8. Laurentii in Platea cum cappellis suis ped. 1, et dim.; Plebi de Scotriano cum cappel- lis suis ped. 1; Plebi 8. Luce cum cappellis suis ped. 1; Plebi de Camaiano cum cappellis suis ped. 1 ; Plebi de Pomaria cum cap- pellis suis hoc tantum, quod cappella solvat per duas partes ped. i; Plebi de Rosignano cum cappellis ped. 2; Plebi de Limona ped. 1; Plebi de Lardenza sive cappellis 8. Felicis quia nihil habet ped. 1; Ecclesiae 8. Martini Salviano eiusdem plebatus ped dimid.; Plebi de Liburno ped. 2; Cappellanis civitatis Pisarum equi 3; Ecclesiae 8. Sepulchri ped. 6 ; Ecclesiae 8. Sophiae equi 1; Ecclesiae 8. Lazari ped. 1 ; Ecclesiae 8. Laurentii de 8asso ped. . . . dimid.; Ecclesiae 8. Andreae, et 8. Luciae ped. 2; Operae 8. Mariae Maiori eq. 1. Haec omnia singula supradicta ED. Impositorii pro statuto Clero dati coram me notario, et testibus inrevocabiliter aestimaverunt, et approbaverunt rogantes me notarium, ut hide conficiam publicum instrumentum. Actum Pisis in Refectorio pisani Capituli praesenti- bus omnibus supradictis impositoribus , et consentientibus in praesen- tia D. Ventrigli praepositi de Peccioli, et Bacciomeo Bellioto cle- rico pisani Capituli , et aliis testibus ad haec vacatis MCCLXXXXII. 555 Ind. v. 2. Non. Februarii. Post rogitum supradicti instrumenti ii. d. impositarii eodem die , et loco, et coram eis dicti testibus attentius consider antes, denuo sic ordinaverunt, Capitido Pisano imposuerunt onus equi 5; Monasterio 8. Savini equi 8 ; Monasterio 8. Pauli Ei- pae Ami cum prior atu de Migliarino equi 5, ped. 1; Monasterio 8. Michaelis de Bur go cum monasterio de Quiesa equi 4, ped. 2; Monasterio 8. Viti cum Abb. 88. Apostolorum equi 3, ped. 2; Monasterio S. Michaelis de Verruca equi 2; Monasterio 8. Michaelis Discalceatorum equi 2; Prioratui S. Augustini de Eethano cum ec- clesia 8. Lazari equi 2, ped. 1; Prioratui 8. Martini in Guatalongo cum prioratu 8. Mammilli et cum ecclesia 8. Laurentii de Basso equi 2, ped. 1. et dim.; Prioratui /S'. Silvestri cum Plebis de Calci equi 1, ped. 2; Prioratui /S'. lacobi de Orticaria cum monasterio /S'. lacobi de Podio equi 1, ped. 1; Prioratui /S. Pauli ad Ortum cum plebe de Scutriano, et cappellis suis equi 1, ped. 1; Monasterio /S'. Frigdiani cum prioratu 8. Sixti equi 3, ped. 1; Monasterio /S'. Ste- phani , et Monasterio 8. Matthei ped. 2; Monasterio /S'. Zenonis cum plebe de S. Luce, et cappellis suis equi 4, ped. 1; Monasterio /S. Lu- xoris, et Torpetis equi 2; Ecclesia /S'. Sepulchri cum plebe de Vico, et cappellis suis equi 2, ped. 2; Ecclesiae S. Sophiae equi 1 ; Eccle- siae S. Andreae et /S'. Luciae cum plebe de Camaiano et cappellis cum plebe de Limona equi 1, ped. 2; Operae Sanctae Mariae Maio- ris equi 1; Cappellanis civitates pisarum equi 3; Hospitali novo Mlsericordiae equi 1; Hospitali S. Frigdiani, et Ilospit. de Cas in villa equi 2, et 1; Hospitali S. Martini /S'. Luciae, cum plebe /S'. Lau- rentii in platea , et cappellis equi 1, ped. 1 et dim.; Ecclesiae S. Salvatoris de Collina ped. 1. et dim.; Hospitali 8. Leonardi de Sta- gno cum ecclesia de Acquaviva equi 1, ped. 1; Hospitali de Altopa- scio cum plebe 8. Io. de Vena, et cappell. ped. 1 et dim; et Eccl. 8. Martini de Vettula equi 1, ped. . . . dim.; Plebi de Eiguli cum cappellis suis, et Plebe de Pugnano cum cappellis suis arnbo simul equi 1; Plebi de Calci cum plebe S. Laurentii de Curtibus equi 1, ped. 1; Plebi de Caprona cum cappellis suis equi 1; Plebi de Cal- cinaria cum cappellis suis, cum ecclesia Pontis Herae, et cum Plebe de Pomaria equi 1, ped. 1; Plebi de Cascina ped. unus, et dim.; ecclesiae de Einonichi ped. 1, cum aliis cappellis dictae ple- bis excepta ecclesia de Lugnano, ped. 1. et dimidium; et predictae plebi cum dictis cappellis insimul equi 1 , ped. 2. et dimidr, Plebi 8. Cassiani cum suis cappellis, excepta ecclesiae 8. Frigdiani in Gonfo equi 1 ; Plebi de Lardenza cum plebe de Liburno, et ec- .@v Ifc.jQKsV'. 556 clesia 8. Martini de Salviano, et heremitorio de Caprolecchio equi 1 , ped. 3; Ecclesiae de Lugnano cum pleberio 8. Laurentii de Curti- bus equi 1, ped 2; Heremitorio 8. Salvatoris de Vico ped. 1; Ec- clesiae 8. Erigdiani in Gonfo equus unus, cum hospitale 8. Leo- nardo in Portassello ped. unus, et Monasterio de Mortetto ped. 1, et Plebi de Rosignano pedes duo, ita tarnen quod ecclesia prae dicta nihil solvat de pede sibi imposito equi 1, ped. 4; Prioratui 8. Petri ad Vincula cum plebe de Vada, et cappella pes unus, et Hospitali 8. Marci lib. 7. den. pis., et ecclesiae 8. Michaelis de Travalda lib. 5. f den. pis. caput unius equi 1. Praedicti impositores, et quilibet eorum unanhniter, et concor- diter suprascripta omnia et singula, ut superius continetur, appro- baverunt, imposuerunt, et firmaverunt, rogant me notarium etc. Actum in supradicto loco praesentibus supradictis testibus suprascriptis die , mense, anno, et indictione. Post praedicta Cleris Pisanus videlicet DD. Abbates , Priores, Plebani, et Cappellani civitatis, et dioecesis congregati in sala ar- chiepiscopatus coram reverendissimus Vicario Archiepiscopali dederunt baliam, et plenam potestatem DD. impositoribus imponendi pecu- niam ecclesiis, et locis non habentibus equos, vel partem aliquam in equis, pro subiunctione eorum, qui equi habent. Item quod si ali- qui , ex equis impositis dejicerent, durante tempore impositionis, te- neatur ad emendam totus Clerus pro rata unicuique tangente, ut scilicet qui habet unum equum, solvat pro parte unius , qui duos pro parte duorum. Et ulterius dedit potestatem DD. impositionibus excomunicandi non solventes, et interdicendi ecclesias. De omnibus supradictis apparent publica instrumenta rogata a 8er Manfredino notario Capituli Pisani, pro ut apparet in ar- chivio dicti capituli in Lib. sig. num. 2. in fine. Intanto die si pigliavano tutti i provvedimenti per le future campagne, si attendeva anche ai pre- parativi per celebrare magnificamente rAssunzione della Yergine. Non sara fuor di proposito inostrar lo splendore di questa festa; poiche n emergera da cio, convenirsi anche ai pisani Y elogio che Sallu- stio faceva degli antichi romani, e che l’Alfieri voltava in italiano cosi: parchi in casa, nel culto divino pomposi . & gw Un mesc prima pertanto del giorno memorabilc solcano gli anziani far pubblico bando di tutto che in quella ricorrenza avrebbe avuto luogo. A tale uopo, su venti cavalli riccamente coperti di panno scarlatto, ove le armi del eomune erano impronte, uscivano fuori venti giovanetti. I primi due porta- vano, uno la bandiera del comune, 1’ altro quella del popolo; due altri portavano due aste d’ argento con adornamenti d’ oro, sopra le- quali grandeggia- vano le aquilc imperial]; e due aquile coronate d 5 oro portavano altri due giovanetti in pugno: tutti gli altri giovani venivano dietro questi a corteggio in magnifici vestimenti; c dopo loro i trombetti della comunita, con tromba d’ argento ed altri istrumenti di varia materia e di varia foggia, e proclamavano i palii che doveano aver luogo in terra e in acqua, ed i premii che vi sarebbero guadagnati. Per le garc di corsa in terra il maggior premio era velluto rosso foderato di vaj, con una grand 5 aquila di pia- stra d’ argento; e Y otteneva il corridore che primo toccasse la meta. A1 secondo si dava un drappo di seta ascendente al prezzo di trenta fiorini d’ oro; al terzo si davan, per baja, una resta d’ agli ed un pajo d’ oche. Per acqua si correva con piccole ga- lere e brigantini. Il legno che giungeva primo al segno riportava in premio un toro coperto di scar- latto e cinquanta scudi: il secondo ed il terzo avea- no lo stesso che i vincitori in terra. Il prin^p d’ agosto salutavano il raggio del gior- no innumerevoli bandiere, sventolandone tre sopra ogni torre, sopra la fronte, sui canti e sulla cupola del Duomo, sul san Giovanni, sul camposanto, sul campanile; e qui non solo alia sommita, ma anche a tutti i giri dei colonnati: a tutte le chiese, a tutte le corti, cioe al palazzo pubblico, a quello del po- testa, del capitano, del conservatore, del pacifico 558 stato, del consolato di marc, dci mercanti e delle sette arti ; perfino nel contado, alle potesterie, ai vi- cariati, sulf eseinpio della citta, si vedcvano ondeg- giare in tre vessilli sempre congiunti — mostruoso accozzo! — Impero, Comune e Popolo. E cosi per tutto il mcse, facendosi intanto ogni genere d’ alle- grie e solenni conviti, specialmcnte pei forcstieri. Ai primi vespri della festa gli anziani, preceduti dai loro donzelli e dai trombctti, accompagnati dal capitano con le sue truppe, e da tutti gf inferior! magistral, si rccavano maestosamente alia Prima- zialc, c vi giungeano al punto che 1’ arcivescovo, gia vestito a pontilicale, dava principio al sacro ser- vigio. Quindi un giovanetto tessea con una orazione le lodi della Vergine gloriosissima : poi si tornava al canto recitando il matutino; finito il quale s’inca- minava veneranda processione attorno alia cbiesa, coif intervento de’regolari e delle compagnic. Quc- ste andavano prirna, dietro loro per ordine il clero minore, poi i canonici e Y arcivescovo, in fine gli anziani, il potesta, il capitano^ gli altri magistral, i rappresentanti delle arti, ed il popolo su quella im- mensa piazza mareggiante, e tutti portavano cerei lumi, sicche all’ appressar della notte ivi sembrava un oceano di luce. A stento sapea la gente staccarsi da quella scena d’ incanto; sebbene per ogni via della citta tutto era faci, fuochi e mille manier.e di gioja. In questa guisa passava quella notte; seppure poteva esser detta notte quella che non menava ne tencbre ne sonno. La domane, nel mattino, si faceva pubblica of- ferta di gran copia di ceri all’altare della Madre di Dio. Li portavano giovanetti di preziose vcsti splen- denti, ai quali venivan di il capitano, gli altri mag e il popolo e soldati a clopo tutte le arti, portando ciascuna grossi ceri stupcndamente lavorati a vari colori, ed accompa- gnate da tanti istrumenti per cui risuonava all’ in- torno fcstosa armonia; sicche poteano a buon dritto tenzonare nel giorno tra loro, gli occhi e gli or oc- elli, quale di due fosse pid pago. Compiuta questa offerta, si portae a fuori sopra una carretta una cintura d’ argento, a simbolo della zona chc dicesi stringesse Nostra Signora; e, in mezzo a suoni e canti religiosi, appiccandola a ccrti arpion- cini infissi appositamente, si tirava attorno attorno alia muraglia cstcriorc del Duomo fino a circondarla tutta: tanta era la ricchezza e grandiosita dei no- stri maggiori! (1) Dopo di questo assistevano tutti all 1 ostia di pace, offerta solennemente dalF arcive- scovo. Nel rcsto del giorno corse di varie guise e giuochi ed altre allegrie, e tutto il contado e gente d’ ogni parte d’ Europa era in Pisa. Anno 4293. — Ma torniamo alia storia. I Geno- vesi, per mantenerc la guerra chc da tanto facevano ai Pisani, imposero nuovi balzelli nclla citta c nel suo distretto. Non cosi ostile fu verso Pisa quest’ anno 1’ animo della Lega toscana; anzi inchinarono a pace c la concliisero, merce il terrore incusso ai nemici dalla rapidita delle mosse, e dai prosperi successi delle armi del conte Guido di Montefeltro; ma piii ancora per interni torbidi della citta di Firenze. (l) Era quesla cintura di tal valore e si bella, che ne correva voce per tutto il mondo, e da molte citta traevano a vederla come una rneraviglia. AI tempo del Tronci non ne esisteva piu che una piccolissima parte, es- sendo stata distrulta per bisogni della citta, dicesi, sott’ il governo de’ Gam- bacorti, dei quali parleremo a suo luogo. Frattanto affermasi che la cintura intiera era rnille sessantasei braccia, fatta a Iamine d’ argento confitte in- sieme da chiodelti del medesimo metallo. Terminava da un lato con una gran fibbia, ed opportuno puntale lungo un brsccio e mezzo, Dicono che i soli chiodelti ascendevano alia valuta di 400 fiorini d’oro; il resto e piu facile immaginarlo chc calcolarlo. 559 or 560 Era in questa citta giunta al colmo 1’ insolenza dei nobili; — antica peste delle antiche repubbliche. Sempre ad insulti e combat tiaienti tra loro, ordini e leggi sprezzavano; collegati ad un tempo noil’ op- primer la plcbe, non vi avea violenza che contro lei non tentassero; e restava impunita, perche i ma- gistrati erano o troppo deboli, o corrotti. Sent! alia perfine il popolo i suoi diritti; fe’prova di sua forza, illuminato da Giano della Bella; ed il patrizio orgoglio dove piegare sotto gli Ordinamenti della Giustizia. In questo stato di cose fu libera la via a trat- tative di pace. Si elessero ambasciatori da Pisa, da Firenze, c da tutte le citta della Lega; e la pace fu fermata il 12 luglio in Fucecchio (I). Della quale furono queste le condizioni: Clie i Pisani licenziassero il conte Guido con tutte le sue genti dal loro servizio. Che fossero ri- messi in Pisa il giudice di Gallura e tutti gli altri guelfi,. e restituiti loro i beni, e il diritto di cuoprire (0 Nell’archivio della comunita di Vollerra, il Tronci lesse un islru- mento rogato da ser Leopardo d’Orlando da Morrona sotto di 4 di luglio 1293, nel quale si legge « che il Consiglio del Senato di Credenza/il capilano delle miiizie, gli anziani del popolo pisano, il loro Consiglio maggiore, cioe XV per quartiere, XU della parte, i consoli del popolo maggiore de’mercanti dell’ arte della lana, i capi e i priori delle selte arti, i consoli e capi delle porte di Sardegna, gli avvocati e capitani del 1 1 giudici e notari, di cinquanta savii, i gonfalonieri delle compagnie del popolo, e mille del popolo danno faculia al conte Guido di Montefellro podesta di Pisa, e capitan generale di guerra, che insieme con gli anziani, e savii possa eleggere ambasciatori, e f. rmar palti a nome della Repubblica pisana; per Io che il detto conte con li X anziani, e i XII savii elessero Gio. di Paolo Tolomei sindaeo, e amba- sciatore a far pace con le comuniia di Lucca, Vollerra, Firenze cd altri collegati, con il giudice di Gallura, ed altri fuoruscili pisani, e far fine dei guasti, ruberie falte e ricevute, liberare i prigioni, lassare alia comunita di Lucca il castello di Ripafratta con le terre che ha di fuori, ed il castello di Bientina, allenenti gia alia repubblica di Pisa, e coneedere ai lucchesi, vol- terrani e fiorentmi immunita e franchigie neila cilia di Pisa e suo distre!to». 561 \ ullicii e magistrature come gli altri cittadini. Che si disfacessero le mura di Pontedera, e le torri fatte dal contc Guido. Che i mercanti fiorentini godessero in Pisa tutte le franchigie e tutti i privilegi che gia godevano. Che i pisani per due anni non potessero eleggere a rettore della giustizia se non uno delle citta e terre collegate nella passata guerra coi fio- rentini, purche non fosse fuoruscito. Che i fiorentini dovessero restituire ai pisani il castello di Peccioli ; e che i pisani terrebbero gli altri dalf armi loro con- quistati, senza alcuna molestia. Che finalmente in questa pace eran compresi non solo i fiorentini, ma i lucchesi, i pistqjesi, i pratesi, i sangeminianesi, i colligiani, i sammiriiatesi, i volterrani e tutte l’altre citta guelfe. Ai lucchesi rimasero il castello di Ri- pafratta con i dintorni, ed il castello di Bientina. 11 conte Guido, poiche seppe la condizione del suo licenziamento, se ne commosse dal piu profon- do del cuore. Richiesto con tanta istanza, colpito dalla inimicizia del papa e perfino dalle ecclesiastiche censure per servire ai pisani... e vedersi poi rimune- rato cosi. — Dicesi che ragunato il Consiglio, alia pre- senza degli Anziani tenesse questo breve discorso: Quando io venni a servirvi, tanto pregato da voi , ben lo sapete in quale stato trovai la citta . Come ho esercitato la mia carica ne siete testimonii , e lo stato delle vostre cose attualmente ve lo dimostra. Io mi credeva averla da fare con un popolo ricorde- vole del beneficii; m’ ingannai. Voi avete convenuto coi fiorentini , coi vostri nemici, di licenziarmi, con molto pregiudizio della mia reputazione. E questo il guiderdone d ’ aver ridotto il cornune vostro in si buono stato , racquistati i vostri castelli e dativi in mcinc i vostri persecutori? Potrei vendicarmi del TOMO I. 'W- torto che ricevo, ma non vo’ farlo. Io me ne vaclo e vi lascio : verra tempo che vi pentirete. E qui gli storici non combinan tra loro. Dicono alcuni che il conte, ricevuto il resto delle sue prov- ision!, se ne parti incontanente; altri che si trat- tenne qualche settimana ancora, onde rimettere la tranquillita turbata per -aver Leo Franchi ucciso Bindo Triglia Lanfreducci. Secondo quest’ ultimi, il conte Guido ridusse le famiglie dell 1 ucciso e dcll’uc- cisore a mettcr giu V ire; e quindi, colmo di regali dal comune, se ne parti accompagnato per molte miglia da buon numero de’piu savii cittadini, e si ritiro in un chiostro di frati a dimenticarvi la sco- noscenza degli uomini. E i Pisani, non volendo stare senza rettore e capo di guerra, elessero a questa carica il conte Ga- leazzo Salviano da Colle (1), conformandosi alia con- dizione stabilita dai Fiorentini. Alla pace tra i comuni tenne dietro lo accon- ciarnento di private amista. Tra Y altre Orlando Sal- moncelli da Lucca, potesta di Voltcrra, unitamcnte al suo consiglio, deputo Buta figlio di Barone d’Or- mannetto voltcrrano, a far pace con Benincasa di (1) « Se si domandasse Galeazzo, osserva il Tronci, non Io dicendo « Leandro Aretino, non ardiro d’ affermarlo ; come ne anco approvo quello « dice il Taioli, che prima fosse podesla di Pisa il conle Galeazzo, e dopo « lui il conle da Colle, perche non e verosimiie che i pisani avessero aileralo «« i capiloli della p ice fa'lti con i fiorentini, che restavano superiori, e che « se la fossero passata, e che gli storici di Firenze non avessero detto qualche « cosa; e per la medesirna ragione rigetto quello dice il medesimo Taioli, al « cap. 14, della crudella del detto Galeazzo contro alcuni nobili pisani, e « molte altre cose, che vi si contcngono, come poco verisimili. Vuole il Ta- « ioli che la pace in Pistoja non fosse ben fermata, ma conclusa tregua per « un anno, e che passato I’ anno fosse giurata la pace di Fucecchio per la « parte dei pisani da Bartolomeo di Bonifazio Gualandi, da Gherardo di « Lamberlo, Ranieri Lampanti, e ser Paolo. Ben pud credersi quello dice dei « lucchesi, che enlrassero nella pace, con condizione di ritenersi i castelli « che avevano tolto ai pisani in val di Serchio ». Bartolomeo, deputato al medesimo oggetto dal conte Guido di Bona di Bettra, visconte delle terre del- 1’ arcivescovato di Pisa. La questione aggiravasi sui castelli di Montevaso, Riparbella, Santa Luce, Strido, Lorenzana e Nugola. Si abboccarono i predetti de- putati nel palazzo del conte di Yolterra, e furono ben presto appianate tutte le difficolta. Si condona- rono tutti i danni cagionatisi vicendcvolmente, ed in special modo dai volterrani, in Monte vaso; conven- nero che questo castello sarebbe restituito dentro tre giorni al pisano arcivescovato, e la pace fu giurata dalP una e dalP altra parte. Anno 1294. — In questa tranquillita di cose ven- nero ad abitare in Pisa i padri Eremitani di sant’Ago- stino, come lo attestano queste parole incise in marmo sopra il portone interno del loro chiostro di sail Niccola. Anno Dominicae Incarnat. 3 1CCVC. die I III. mensis maij. F retires Ordinis Eremit. s. Augustini inlraverunt primi ad possidendam ecclesiam, et lo- cum s. Nicolai de Pisis (4). Prima del loro stabilirsi in citta aveano qiiattro conventi nel dominio di essa: cioe quello di Rupe Cava, cbiamato volgarmente Lupo Cavo , nel monte sopra Ripafratta e Pugnano; il romitorio di sant’ Ja- copo d’Acquaviva nel piano di Livorno, vicino al mare; il romitorio di san Salvatore a Yico Pisano; e il romitorio di san Bernardo alle coste dell’ acqua del comune di Calci. Fin dalfanno 126C i frati Agostiniani aveano contrattato col capitolo e coi canonici di Pisa per uno stajolo di terra vicino a sant’Agnese, coll’ ob- bligo di edificarvi una chiesa in onore di sant’ Ago- n^)Qksv. 564 stino; ma le condizioni crano ai canonici vantaggio- sissime, svantaggiosissime agli altri; pero gli Agosti- niani si adoprarono invece coll abate di sail Michele di Verruca, dell' ordine Cistercense, e seco lui si ag- giustarono in modo die egli, col consenso de’ mo- nad suoi e del visitatorc, 1’ anno 1292 cesse agli Agostiniani la chiesa di san Niccola con tutti gli an- nessi, pigliando in ricambio la chiesa e V oratorio di santa Maria di Caprolecchio. S’erano da otto mesi stabiliti gli Agostiniani in Pisa, quando Celcstino Y, santo erernita quanto inctto pontefice, depose la pe- sante tiara, cui dieci giorni dopo cinse il cardinale Benedetto Caictano d’Anagni, Bonifazio Ottavo. Anno 1293. — Coronato solennemente il 16 gen- naio, s’ ingolfo nolle cose del secolo. Promosso alia sede pontificalc pei maneggi di Carlo II, si diede ad adoprarsi in favore di lui, onde i Francesi, espulsi di Sicilia dalla casa d’Aragona e piu date odio dei siciliani, potessero riaverne il possesso. Fece pertanto in modo che don Giacomo, il quale succedeva quest’ anno al suo fratello Alfonso ncl regno arago- nese, togliesse per moglie la figliuola del re Carlo, e rifiutasse il suo diritto alia signoria di Sicilia a favore della casa Angioina. Ma di cui fosse la colpa , dice G. Villani, o del Papa o di don Giacomo , il re Carlo si trovd ingannato ; che dove il re Carlo si credette riaver V isola di CAcilia a queto, parti - tosene don Giacomo , Federigo seguente fratello suo vi rimase signore (1). (1) II Tronci dice che quesl’ anno, in questo primo traltato Ira Boni- fazio e don Giacomo, fu quesli creato gonfaloniere di Santa Chiesa, ed inve- slito della signoria di Sardegna, aulorizzandolo il papa a torla dalle mani de’pisani. A noi e paruto meglio seguitare il Villani, che narra questa inve- slitura all’ anno seguente: non mancano slorici che la trasferiscono a piu tardi. (Vedi Repetli). In quanto alle cose che il Tronci narra fino al 1299, le trascriviamo in nota essendo alcune mal certe, alire mal collocate; come, per esempio, il Anno i%96 . — Si scusd don Giacomo della im- presa che don Federigo fratello suo avea fatta della signoria di Cicilia , come non era essuta (stata) di sua saputa ne di suo consentimento , giurando in mano del papa che , a richiesta del re Carlo , c 9 sa~ rebbe personalmente con sua genie a forza cohtro a don Federigo. Per la qnal cosa il papa fece il \ Breve, nel quale Bonifazio VIII raccomnnda ai volterrani I’ unica figlia del giudice di Gall lira Non v’era luogo alia raccomandazione, menlre il giudice di Gallura non moil che Panno 1300. « 1 Pisani allesero a godere la quiete, a ristorarsi dei danni passati, e meltere in sesto le cose della cilia e del dislretlo. « E per mezzo di BenedelLo Orlandi, Caccia da Vico, Tommaso da Tri- pallc, e Benedetto Buonconli di nuovo si paciflcarono con la famiglia degli Upezzinghi. « Nell’archivio di Vol'erra si conserva un Breve di papa Bonifaz o VfU, nel quale raccomanda a quella repubblica I’unica figlia del giudice di Gallura. « Mori in Viterbo, ed ivi fu sepolto Ruggero Ubaldini arcivescovo di Pisa secondo di questo nome, e nell’ cpilafTio del suo sepolcro e nominalo Ruggero Duraldo. Eccoli P iscrizi ne, che si vede nella chiesa di santa Maria in Grado dei padri Domenicani: H1C REQUIESCIT VENERAB PATER DOM, RUGGERIUS DURALDUS ARCHlEPiSCOPUS PISARUM. « In luogo del defuuto Ruggero fu eletto arcivescovo di Pisa Teodorico, ne ho poluto rinvenire di qual palria e famiglia egli fosse: tro'o bene in cerli manoscritli anlichi, che lui fa commemorazione del papa, ed in alcuni slru- menti, che si conservano nell’ archivio archiepiscopale, si nouiina il nolaro elello di Pisa, e non allrimenti. NelP/faba Sacra mandata fuori dal padre abate Ferdinarido Ughelli fiorentino, quando tralta dei vescovi Prenestini, vedi che questo Teodorico fu della famiglia dei Ranieri da Orvielo, e che essendo elello arcivescovo di Pisa fu creato cardinale da papa Bonifazio VIII F anno 1298, e poi nelP anno 1299 fatto vescovo Prenestino, e che mori legato del palrimonio nel 1308 il di 7 dicembre. Fu potesla di Pisa messer Conte da Colie, « I Pisani mandarono ambasciatori a papa Bonifazio Andrea Bocci, e Bello Gaetani in occasione che il suddcllo s’ era iniermesso fra le discordie del Marchese da Este, e i Bolbgncsi per pacificarli. « Mandarono ancora coll’ istesso tilolo Giovanni della Croce alia Repub blica fiorentina, ma per che conto non apparisce. Ser Chiaro Bu maccorsi Floren- tine, prigione in Pisa, fu rilasciato libero ad istanza d’ Alberto della Scala, e Burdellone capitano dei Manlovani,ma con dargii bando da Pisa e dal contado, a lui e suoi discendenti ». detto re Giacomo ammiraglio e gonfalonier e della Chiesa in mare , e privilegiollo del reame dell ’ isola di Sardegna , conquistandolo sopra i pisani o chi v' avesse signoria. Questo vergognoso contratto passo con somrna segretezza senza die i Pisani ne avesscro il minimo sentore. I quali elessero quest’ anno a potcsta e go- vernatore della loro citta lo stesso Bonifazio papa, assegnandogli per annuo onorario quattromila fioi ini d’ oro (1). Accetto benignamente il pontefice questo impiego; e, sciolti i Pisani dalP interdetto e dalle scomuniehe in cui erano avvolti, mando a gover- narli un suo vicario, Elia conte di Yal d’ Elsa (2). Anno 1297. — Intanto Nino Visconti, da Genova ov erasi recato allontanandosi di nuovo dalla patria, ed ove era stato bene accolto e fatto cittadino, uni- ! tosi ad altri amici navigo in Sardegna, ove lo ve- dremo ben presto ad agitarsi nelle ambiziose sue mire. 1298. — In Pisa tutto era tranquillo, e nulla trova di memorando la storia; se non chc 1’ arci- vescovo Teodorico, successo a Ruggeri, fu da Boni- fazio VIII creato cardinale. 1299. — Fatto poi vescovo Prenestino, lascio la I sede arcivescovile a fra Giovanni Provincial pisano, chiamato anche Giovanni di Polo (3). Ed eccoci pervenuti all’ anno in cui finalmentc si aggiustarono le cose tra Pisa e Genova. Occupata la Liguria in orribile guerra contro i Veneziani, la pisana Repubblica era stata al coperto d’ ogni molestia. Ma decisa la sorte dell’ armi nella famosa battaglia di Curzola, nulla poteva stornar (1) Cosi dice Bainald. in Annul, Eccles. Altri Irasportano questa elezione all’ anno 1301: altri la meltono inollo in dubbio. (2) Vedi Muratori, Annali d’ Italia. (3) Vedi P. Razzij Deyli uomini illustri della reliyione di s. Domenico. piu la tempesta. I Pisani adunque, siccome i Yene* ziani mandarono chiedendo pace (1), e i Gcnovesi raccordarono dettando le seguenti condizioni. Per venticinque anni i Pisani non navigheranno con legni arrnati . Restringer anno il dominio loro fra la foce del Serchio a ponente, e Castiglione della Pescaja a levante. Lasceranno V isola della Pianosa deserta ed incolta per seinpre . Sbandiranno in perpetuo il Giudice di Cinarca , suoi figliuoli e seguaci. Rinunzieranno alle loro pretension! sopra il regno di Corsica. Cederanno in perpetuo la cittd di Torres e di Sasseri in Sardegna co' lor territorii a" Genovesi. Franchi li render anno da qualunque diritto di appulso e d’ ancoraggio ne porti di Pisa , dell' Elba, e della Sardegna. E pagheranno loro un' ammenda di centosessantamila lire di Genovme (2). Finche pagata non sia, navigar non potranno verso levante piu oltre della Sardegna, ne per ponente piu oltre d Acque-morte in Provenza. La gravezza di questc condizioni alleggerivasi nclla speranza di riabbracciare gran numero di quegF infelici rimasti prigione nella malaugurata bat- taglia della Meloria. Ma, ohime! di tante migliaja solo la decima parte sopravvivevano, e questi tor- narono finiti o dalla grave eta, o da malattie, o dagli stenti e dai tanti desiderii dell’ esiglio, sicche inabili crano all’armi. Nullostante furono licevuti con una tcnerezza indicibile. Ma questa pace dispiacque ai fuorusciti. Nino Visconti cogli altri suoi aderenti prese a sovvertire i giudici di Sardegna per indurli a ribellarsi alia pa- tria. Prcstarono essi orecchia ai pravi consigli : onde (1) II Tronci osserva che 1’ ambasciatore spedito a Genova fu forse Banduccio Buonconti. (2) Una lira Genovina valeva allora un seslo circa dell’oncia d’oro. 568 per la loro infedelta furon poi citati a Pisa; e non essendo comparso che il regolo d' Arborea, furon gli altri, siccome contumaci, privi del giudicato, e lc loro terre disfatte. Anno /c WO. — II nuovo secolo s’aperse con nuove discordie fraterne. Quasi la povera Italia non fosse divisa e lacerata assai ! Da qualche tempo era Pistoja travagliata dalla nobilta — vaso di Pandora non linto per le repub- bliche. — I Cancellieri colla divisa de’guelfi; i Pan- ciatici con quella de’ghibellini, piu potenti e piu riveriti che non i capi del governo, mettean tutto sossopra: quindi il popolo, da due nobili casatc pas- sando a tutto 1’ online della nobilta, lo escluse dalle magistrature; e da quel giorno, 1’ esser rcgistrato ncl ruolo dei nobili divennc una pena con cui si col- pivano quelle famiglie per le quali le cose pubbli- che venivan turbate (1), Nullostante queste rigide leggi i partiti insolentirono sempre piu, finche insi- nuandosi la divisione nella famiglia medesima dei Cancellieri, i Bianchi ed i Neri (2) divennero uno dei mali piu grandi, prima per Pistoja, poi a poco a poco per Toscana e per Italia intiera. Nell’anno di cui adesso teniamo proposito il co- mune pistojese, minacciato di estrcma rovina, non trovo altro rimedio a’suoi mali, che quello d’assog- gettarsi ai florentini. I fiorentini accettarono la balia di Pistoja, e cio fu una sventura per Firenze: poi- che avendo i nuovi magistrati sbandeggiato i capi delle fazioni Bianca e Nera, ed assegnato loro Fi- (1) Sismoridi, cop XXIV. (2) m famiglia dei Cancellieri era distinla in due rami, qualificati coi soprannomi di bianchi e di Ncri , loccati loro anticamente da che i’ anle* nato comune da due dorme aveva avulo prole, l 1 2 una delle quali, che aveva nome Bianca, diede il nome di Bianchi ai suoi figliuoli, e di Neri ai suoi P allra che chiamavasi Nera. (Vedi Sismondi). 569 renze per stanza, fecero a questa non quieta citta infausto clono di semi di discordie: ne tardarono ad erompere al sangue ed ai delitti. Da Firenze il funesto contagio appiccossi a Lucca, e vi si annunzid, al solito, con un cumulo di scelle- raggini. I ghibellini presero, come altrove, il sopran- nome di Bianchi, di Neri i guelfi. Avvenne die gf Intelminelli, che erano di parte bianca , vennero in pensiero di cacciare dalla citta i Neri. A cio fare chiamarono in loro aiuto i ghi- bellini di Pisa, prorncttendo dividerc seco loro la signoria, ove il disegno non andasse fallito. I pisani accorsero, ma non con forze proporzionate alFuopo. Levatisi un giorno a romore, uccisero Obizo degli Obizi capo della parte nera. Allora la citta fu tutta in armi; e poiche i Neri prevalevano di forze, i Bianchi furon rotti, e, dopo grande mortality, ce- dendo, si partiron di Lucca. GF Intelminelli vennero ad abitarc a Pisa(l):le loro case di Lucca furono eguagliate al suolo dai Neri vincitori. Mentre si consumavano questi fatti crudeli, av- venuta la morte di Nino Visconti giudice di Gallura, la sua moglie Beatrice, sorella di Azzo VIII mar- chese d’ Estc e signore di Ferrara Modena e PtCg- gio, era tornata alia propria famiglia con la figliuola sua Giovanna. Nella festa di san Giovan Battista, 24 giugno, clla si uni in altre nozze con Galeazzo primogenito di Matteo Visconti, signore di Milano. Le quali nozze, a testimonianza di tutti gli scrittori, furon celebrate con straordinaria magnificenza : si grandi furono gli apparati, i conviti, le giostre, gli (l) Della famiglia degl’ Intelminelli si trovano rammentali nelle carte di quei tempi un Roberto ed un Lodovico: e della famiglia medesima esiste un marmo neU’urbano Camposanlo. Non vogliamo omeltere che alcuni scril- tori trasferiscono il fatto qui narralo all’ anno seguenle. (V. Muratori). TOMO I. 72 • spettacoli ; si grande il coneorso dcgli ambasciatori e de’ nobili da tutte le citta della Lombardia e della Marc-a d’ Ancona, che non v’ era memoria di feste somiglianti, nc per Italia, ne pei regni vicini. Era potesta di Pisa, secondo alcuni, Simone de- gl’ Inghilfredi da Padova; secondo altri, Pocaterra da Cesena: capitano del popolo era Anselmino da Padova. Anno 1301. — Papa Bonifazio VIII frattanto me- ditava dettar legge a tutti i principi della cristianita. Penso fare un bel colpo facendo venire Carlo di Valois, fratello del re di Francia, chiamato da alcuni senza terra , da altri Carlo il guercio . Colla speranza d’ esser fatto re dei Romani, c con altri bei sogni, calo questi in Italia; bacio il piede al papa in Anagni, e, santo di quel bacio, venne a straziare la misera Firenze. I Neri sbandeg- giati si disseminarono per ogni dove. Felice il padre Bartolomeo Malagrue pisano, del- l’ordine de’ Conventuali di san Francesco, che, ino- rendo quest’ anno nella pace de’ giusti, si tolse a tante vergogne ed a tante desolazioni delle belle contradc. Era egli vescovo d’Ampuries in Sardegna, cd alia mitra avea dato vera luce collo splendorc della sua dottrina c della sua santita. Stanco di quel carico che sant’ Agostino dice formidabile agli An- geli stessi, si ritiro nel claustro del suo ordine in Pisa ove incontro la morte e v’ ebbe onorata se- poltura, siccome rilevasi da queste parole che si leggono nella storia serafica: Beatus Bartolomeus Malagrue pisanus sub Boni- facio P . VIII creatus episcopus Emporiensis in Sar- dinia anno 1301 VI Idus Maji fuit Magister pari- siensis ; qui sanctitate et doctrina suo aevo clams, obiit Pisis in ecclesia sui ordinis divo Francisco sacra , tumulatus in pavimento ejusdem ecclesiae. few 571 Intanto che I’arcivescovo fra Giovanni Provin- cial! registrava il nome di questo illustre cittadino nci religiosi fasti di Pisa, mandava prete Giovanni, parroco della cfaiesa cli san Michele d’ Oratojo, a cappellano della chiesa che i Pisani avevano in Tu- nisia sotto il titolo di Santa Maria. Anno 4302. — Il vicario del mcdcsimo arcive- scovo Provinciali cito un vescovo di Sardegna; e perche non comparve, lo scomunico, come abbiamo qui sotto: IN AETERNI DEI NOMINE, Amen. Cum nos Tancredus de Monte Rainaldi vicarius venerabilis patris domini Iohannis pisani archiepiscopi, citari fecimus, et moneri per nostras litteras speciales venerabilem patrem Dominicum episcopum Galtelliensem insulae Sar- dinae , ut certo termino sibi a nobis pro primo, secundo, et tertio peremptorio assignato, Pisis coram nobis , per se, vel legitimum re- sponsalem comparere deberet et respondere de iure spontivo clerico familiari bonae memoriae domini Kogerij olim pisani archiepiscopi conquerenti coram nobis de ipso domino episcopo de quadam pecu- niae summa , quam ab eo recipere debere asserebat , qui domino epi- scopus dicto termino non venit, nec misit legitimum responsalem , sed contumax existit dicto spontivo comparente, et domini episcopi contumaciam accusante, et petente contra eum procedi prout postulat ordo iuris. Mac igitur contumacia dicto domini episcopi exigente, ipsum domino episcopum reputamus omnino contumacem, et ne de sua contumacia glorietur, ipsum, dominum episcopum excomuni- camus, in ipsis his scriptis, et a gremio Sanctae Ecclesiae separamus. Lata, et data est dicta sententia Pisis praesentibus Bindo, et lohannem quatenus notariis , et scrip, publicis supradictae Curiae anno 1302. hid. xv. die pr. Februarii. % Originate asservatur in archivio arcliiepiscopali. 4303 . — Un’altra pena ecclesiastica, cioe la pri- vazione de’benefizi, la inflissero i canonici pisani ad un beneficato della pisana chiesa, perche era andato in Sicilia ed aveva aderito al re Fcderigo. Sc taluno dimandasse perche questa adesione fosse un delitto appo gli ccclesiastici, non potra rispondersi se non 572 pensando che Federigo era in odio al Papa, perche opposto alle mondane mire di lui. Con questo ri- flesso si giudichi quindi della giustizia del decreto seguente, pronunziato il 18 maggio: In Lib. actorum Pis. Capit. signat. n. vii. car. 82. Capitulum Pisanum idest discretus vir dominus lacobus de Gualandis, pisanae ecclesiae archipresbiter praesentia , et consensu di- ctorum virorum Iacobi de Porta de Sabiliano, Rainerii de Viterbio y Galgani, Bonaventurae, et Guidonis canonicorum ecclesiae, et ipsi sibi canonici una cum dicto domino archipraesbitero coadunati simul in Capitulo more solito, audito quod magister Franciscus de Flo- rentia clericus beneficiatus in supradicta ecclesia pisana init in Sici- liam, et habuit familiaritatem cum rebellibus ecclesiae, qui sunt in insula Siciliae, et fecit ambasciatas Friderici, qui se dicit regem dictae insulae ignorantibus dictis canonicis, et contra eorum conscien- tiam, et voluntatem, statim omni beneficio , quod in dicta pisana ec- clesia obtinebat, privaverunt , sine spe restitutions, et a dicta pi- sana ecclesia cum penitus removerunt. Actum Pisis in Capitulo claustri dictae ecclesiae praesentibus Vita de Pistorio clerico dicti Capituli, et Vanne clerico filio Bacciomei de domus testibus ad haec vocatis Dom. Incarnationis Anno MCCCIII. Ind. xv. die kal. Iunii. II 29 di giugno convennero insiemc gli amba- sciatori di Pisa, Lucca, Yolterra, Firenze, Colic, san Gemignano, Prato, san Miniato; e fermarono tra loro arnicizia, concordando che niuno di questi comuni per qualsiasi causa si levasse contro Faltro. I Yolterrani peraltro diedero il sacco al castello d’ Orciatico : lo perche i Pisani mandarono amba- sciatoro alia volterrana comunita Tancredi di Ver- naccio. Gabbriello Piccolomini da Siena, che era allora potesta di Yolterra, fu pronto a rend ere la dovuta giustizia, e le cose rimasero tranquille. Anno 1304. — Pisa profitto di questa quiete onde fabbricare il fanale di Livorno c la torre di san Vin- cenzo in Maremma, al qual ultimo edificio soprain- tescro Londo Eroli c Jacopo da Peccioli. Spedi du- y\yv v 573 $ gento cinquanta soldati in aiuto degli Aretini; sta- bili una schiera di cavalleria di quattrocento cavalli; invio ambasciatori in parti segrete Pupo Ammannati; a Genova ser Novo da Cerreto, il quale a nome della citta fece regalo di 64 fiorini al vicario del potesta di quella repubblica: piu tardi mandovvi Si- mone da Camugliano; Sigerio Marignani a Roma, e messer Merse da Vico a Bologna. Del resto i Pi- sani se ne stettero tranquilli, difesi da Filippo di Levello capitano del popolo, sotto gli ordini del po- testa Alberto della porta Laurense da Pavia, per porzione dell’ anno, e pel rimanente sotto quelli di Brancaleone degli Andalo bolognese. Anno 1305. — A lui successe Baldo di messer Castellano di Borgo San Sepolcro. 1306. — Ed a questi Tile di Ranicri Filippeschi da Orvieto, il quale fu fuor di modo amato per la sua integrita e per la sua diligente premura in satisfare a tutti i cittadini. 1307. — Ma se da qualche anno tutto procedeva pacificamente in Pisa, non era andato cosi al di 1‘uori. Morto 1’anno 4 303 il papa Bonifazio YRI; morto di velcno ncl 4 luglio 1304 l’ottimo suo successore dopo un interregno di dieci mesi e ventotto giorni; fu eletto papa Bertrando Gotti arcivescovo di Bor- deos, il quale prese il nome di Clemente Y. Filippo il hello per avere agio migliore di rego- larlo a talento, gli fe’ trasferire la sede pontificia in Avignone, dimenticando che Roma Fu stabilita per Jo loco santo. Di la usci il decreto d’inquisire i Templari (1) accu- ^ (1) L’ ordine de’ Cavaliori del Tempio di Gerusalemme fu fondato qT°\ nell’anno 1128 da 9 cavalieii francesi, che avevano accompagnato Buglione nella prima crociata. ,374 sati cli tale depravazione di costumi, da esser giant! per fl no a rinnegar la fede di Gesu Gristo. Gli arci- vescovi di Pisa e di Ravenna furono incaricati di pigliare informazioni di questi cavalicri per la Ita- lia (1). Non sappiamo come i due prelati ne riferis- | sero. Sappiamo bcnsi che gfinfelici furono tutti tra- scinati in carccre e sottoposti ai piu crudeli supplizi, che mcttono spavento leggendoli nolle pagine della storia (2). Altro fatto di Clemente V, che interessa i Pisani, si e la conferma del decreto con cui Bonifazio VIII avea donato 1’ isola di Sardegna a Giacomo d’ Ar- ragona. Sapea peraltro F Aragonese che Pisa avea fatto 1’acquisto dell’ isola coll’armi in pugno, ed a prezzo di molto sangue; che con l’armi e con fiumi di sangue Favea difesa contro i genovesi e contro quanti avean tcntato occuparla; e che, dopo tanti sacrifizi, non avrebbe lasciato di fare ogni prova prima di cederla ad im regnante, il quale altro di- ritto non portava in campo che il dispotico arbitrio di un papa. Per questi riflessi il re Giacomo penso avvalorare con forte armata la concessione pontificia, 1 e mise tutto in mofco il suo regno per approntarla. Intanto incomincio la guerra concitando di nuovo contro i Pisani la rivalita de’Lucchesi e de’Fioren- tini, e di tutta la taglia di Toscana. Alla minaccia di tanto rovescio si aduno il generale Consiglio, per deliberare che cosa dovea farsi in urgenza si grande. Alcuni opinavano che si allestisse una flotta e si useisse a mostrare al ncmico che Pisa sapeva an- cora combattere: altri, facendo senno delle circo- (1) Vedi Rossi, Storia di Ravenna. (2) Fin da' suoi tempi cosi ne scriveva Gio. Villani: « Si accuso e di- « nunzio al Papa per sodducimento de’ suoi uifiziali e per cupidigia di gua- «< dagnare sopra loro, il maestro del tcmpio c la magione ec, » exr>of 575 stanze, furono di contrario parere, e proposero die si mandassero al re ambasciatori i quali procuras- sero fargli metter giu F ostile disegno colF offerta di molto oro. Fu accolto questo consiglio; parendo me- glio perder danaro, che avventurarsi agli esiti sempre incerti dclle battaglie. Anno 1308. cero vela all’Arragona, ed il re Giacomo si rimase dall’impresa, contentandosi disfamarsi con non poche migliaja di fiorini : F armi della lega guelfa si volsero Trc galere con rnolta moneta fe- altrove. Circa due mesi dopo consumavasi in Germania un assassinio che dovea influire moltissimo suite cose d’ Italia. Alberto d’ Austria riteneva la eredita di suo ncpote Giovanni, unico figliuolo di suo fratello Ro- dolfo. Quando il giovane fu giunto alia maggiorita, chicse alio zio il possesso di cio che gli apparteneva; ma non ottenne che ripulse, e pungenti ed ingiuriosi motteggi. Allora Giovanni giuro vendicarsi: ed in- fatti il primo di maggio recandosi Alberto da Stein a Baden, poiche fu giunto a pie del castello d’ As- burgo, il nipote gF immerse nella gola la sua lancia gridando: ricevi il jprezzo della tua ingiustizia (I). Ma F assassino era nuovo nella via del delitto come a quella del dominio; onde straziato dai rimorsi fuggi a nasconderli tra le montagne; ne riuscendogli per- dere di vista la imagine del trucidato congiunto, cerco terre scaldate d' altro sole : venne in Italia, e seppelli in Pisa la sua scelleraggine in un convento d’Agostiniani (2). (1) V. Sismondi, (2) I! Craiio nella sua Vandalia , lib. VIII , racconta che il delto Gio- vanni penlito del suo gravissimo peccato, se ne ando al papa per otlenere il perdono, e sua santila lo mando poi all 1 2 imperatore Arrigo, il quale esage- randogli 1’ errore da lui commesso cosi alroce, gli comando, che deposfe le armi si veslisse frate di s. Agostino, per far ivi penilenza tutio il tempo Filippo il bello volea far succedere ad Alberto Carlo di Valois; ma il 25 secondo alcuni, o il 27 di novembre secondo altri, successegli il conte En- rico cli Lucemburgo principe d’animo nobile, gene- roso e leale. Anno 1309 . — Approvata senza ritardo la sua elezione dal papa, fu egli incoronato il giorno della Epifania in Aquisgrana, Enrico VII di questo nome trai re di Germania, e VI tra gl’ imperatori. La fama di queste cose gianse ai Pisani mcntre erano sommamente inqnieti delle sorti loro. Concios- siache il re d’ Arragona era tomato nel pensiero di conquistar la Sardegna e forse 1’ Elba e Pisa istessa, s egli e da credere al Rinaldi (1), il quale ne assi- cura di questa segreta convenzione passata tra don Giacomo e Clemente V: convenzione vei gognosa, o, meglio, infame traffico degli altrui possessi e dell’al- trui liberta. La cosa era tanto piu grave, in quanto die i fuorusciti guelfi offerivano all’ Aragonese di servirlo nella impresa. Non restando ai Pisani altra via che quella cal- cata altra volta, presero la risoluzione di mandare di sua vila. Egli obbedi con molta sua lode,* mori in Pisa, e fu sepolto in san Michele nella cappella de’Taccoli appresso all’ altar maggiore, in cornu epistolae. Qual cappella fu poi adornala regiarnenle dall’arciduchessa d’ Au- stria Maria Maddalena, moglie del granduca Cosimo II, Eccoti 1’ iscrizione posta al sepolcro di fra Giovanni: Mille trecennis x. . , cvm tribus annis Defecit juvenis Duels Austri vita Joannis , Idus Decembris obiit } hie Pisis tumulatus, Integer animo , virtutibus quoque probalus , Stirpis regalis fuil ab utroque parenle Nunc immortalis dotalus ab omnipotente. Pater Salamanca patritius Burgen Ser. Ferd. regis Ungariae arcidux Austriae ad Clementem VII pont. max. orator, hoc epitapkiurn situ et pulvere oblileratum restaurare fecit A. ill, D XXVIII, (l) Raynaldus, Ann , Eccles , ad huno annum 24. 577 ambasciatori offerendo a Don Giacomo cT csser ca- pitano generate della citta. Raggiunse infatti questo consiglio il suo scopo; poiche il re d’Arragona ac- cetto senza molte parole T offcrta della carica, e scelse un suo vicario per prendcrne la investitura in suo nome. Ma Filippo da Caprona, valoroso cittadino e chc 1’amordi patria veraccmente nutriva, avuto sentorc della cosa, dal castello di Castro in Sardegna sopra una galera se ne venne a Pisa; e tali e tante ragioni espose al generate Consiglio, die disvio la presa determinazione. Ne qui ristettc; ma vantando la riuova elezione dello imperatore, getto ne’suoi con- cittadini i semi dclle piu liete speranze. Per le quali rivivendo ncl cuore di Pisa la me- moria delle cose passate, e ricliiamandosi i favori e gli aiuti ottenuti dagl’ imperatori, parve ben fatto preoccuparc T animo di Arrigo VII mandandogli pubblici inviti a seco lui congratularsi, e sollccitarlo a scendere al piu presto in Italia. Yi andarono quattro nobili cittadini, cioe: Gian- fre Lanfranchi, Pietro Gualandi, Leonardo Gusmari e Pietro Buonconti, a cui si diedero opportune istru- zioni ed autorita di venire ai patti cd alle condi- zioni che stimassero convcnicnti, fino- a prometterc forte somma di danaro. Non molto dopo giunse in Pisa un messo d 1 Ar- rigo, che troppo aveva Sua Maesta interesse di man- tenersi amorevoli i suoi devoti. Presentossi agli An- ziani; gli esorto a star fermi nel loro attaccamento alia corona imperiale senza temere di chicchessia, poiche ben presto il nuovo imperatore sarebbe sceso in Italia cd avrebbe fiaccato Torgoglio dc’ riemici loro, ch’eran pur suoi. TOMO I. 73 578 Aprirono i Pisani il cuore alle piu liete speranze, e si pentirono d’ aver offerto al re Giacomo la ca- rica di capitano gencrale della citta. Ma il luogotenente di questo rnonarca era gia in via, e quando meno aspettavasi sopraggiunse. Cosi si trovarono i Pisani tra due scogli. Prescelsero tenere le promesse ad Arrigo; e, come poteano me- glio, licenziarono il vicario aragonese : la cosa riusci pacificamente. Frattanto alcuni di Bolgberi erano stati clerubati e spogliati alle Moje di Yolterra. Ond’essere rifatti di questi danni ed ingiurie si risentirono presso il comune pisano; e gli Anziani commisero a Chele di Yitale della parrocchia di san Barnaba, ed a Ristoro della parrocchia di santa Viviana, ambascia- tori pisani residenti in Yolterra, che facessero istanza a quella comunita pel dovuto riparo ai danneggiati ed ingiuriati popolani di Bolgheri. Non mancarono gli ambasciatori al loro ufficio; ma Volterra non risposc alia chiestale satisfazione. Allora Simone d’Alberigo da Spoleti, e Massimo de’ Rebij di Cam- pagna, successivamente potesta di Pisa, e il capitano del popolo, Pcpo degli Ugurgeri da Siena, con de- creto del 17 giugno, rogato da ser Giovanni di Lupo da Casanuova, concesscro rappresaglia contro i volterrani (1). Anno 1310. — Se non che fatti piu rilevanti ci richiamano ad Arrigo VII. Invitato da Clemente V a rccarsi a P^oma ond’esservi coronato in Vaticano, nell 1 estate si avanzo a Losanna, ove preparavasi a scendcre ncl bel paese. Capi di fazioni, esuli guelfi e ghibellini, e gli ambasciatori di quasi tutta Italia vennero a lui. I Pisani, tutto ripromettendosi ora che vedeano Y im- (l) Cosi dai fogli del Comune di Volterra. 579 > peratore disposto del venire, alia poverta d’Arrigo soceorsero con sessantainila fiorini d’ oro, e lo spro- narono a passar subito in Toscana, colla promessa d’ altri sessantamila liorini appena ci fosse giunto a Pisa. Sul finire di settembre Arrigo di Lucemburgo at- traverso le alpi della Savoja; il 10 d’ottobre entro festeggiato in Asti; il 23 dicembre in Milano. I Pi- sani si diedero allora a far magnifici preparativi per ricevere condegnamente rimperatore. Era loro po- testa e capitano generale il conte Federigo di Monte- feltro, il quale tenne la signoria anche Fanno futuro. Durante il suo comando fu spedito ambasciatore al Papa, per ragioni sconosciute, il buon Jacopo Ca- valca da Yico; mori la beata Cristina di Santa Croce di Yal d’Arno, contado di Pisa; fiori in santita il beato Antonio Tegrini pisano, dell’ ordine di san Francesco. Anno 1311. — Passo di questa vita terrena il beato Giordano da Rivalto. Nacque egli, secondo cbe dicono, Fanno 1260. Educato in Pisa, poi in Perugia, e finalniente nella dotta Bologna, ei pose grandissimo amore nella virtu c nel sapere. Ascritto all’ ordine dei Bomenicani, cuopri tra’suoi confratelli luminosissime cariche. Mi- nistro della parola del Dio di pace, egli se ne servi per smorzare le tante faci di discordia cbe faceano ardere a’ suoi tempi tutta quanta Europa. Fondo in Pisa F oratorio del Salvatore, detto anche del Cro- cione. Nel recarsi a Parigi, per prendere in quella famosissima Universita la corona dottorale, infermo a Piacenza, e passo a ricevere da Dio quella corona di gloria cbe sola e incorruttibile. Il suo nome vive immortale ne’suoi scritti, ovc si mostra gentile, po- gagliardo oratore; i Pisani fecero portare corpo da Piacenza a Pisa, e in mezzo a 580 sincere lacrime lo composero nella chiesa di Caterina, con questo distico: Hie sita Jordani Fratris sunt ossa , bearunt Quern vitae integritas , rcligioque virum. II conte Federigo fece rcstaurare i Bagni di Montc- pisano, come apparisce da questa iscrizione: Annis -millenis trecentis et duodenis In dicto anno Julium dum perderet aestas Arbitrio pleno capitaneus atque potestas , Ur bis realis Pisanae cum generalis Esset magni ficus comes , et fortis Federicus Feretris month venis erumpere portis, Balnea tam cava sunt month haec reparata , Praeceptore fero fatio comitis bavatero, Cui dat nota plebatus de Galeata, , Tot sanat morbos simuh undas vix habet orbis . Intanto Y imperatore Arrigo, coronato re in sant’Ambrogio di Milano per mano dell 1 arcivescovo milanese Gastone della Torre, seguitava la propo- stasi missione di rendere la pace alle belle contrade. Se non che molte citta, ad istigazione specialmente di Roberto re di Napoli, successo a Carlo II suo padre, attraversarono i di lui disegni. Lodi, Cremona, Brescia, Bologna, Perugia, Lucca, Firenze ed altre citta della Lega toscana si levarono in armi per impedirgli il passo a Roma. Contuttocio i genovesi, gli aretini e i pisani gli rimasero fedeli. Anno i312. — In braccio alia fede di questi ul- timi voile passare l 1 imperatore il nuovo inverno. Da Genova infatti imbarcatosi il d 6 febbrajo con sedici galere, allestite dai genovesi e dai pisani per lui c per la sua cortc e gente, fece vela alia volta di Pisa. Il mare grosso lo costrinse a fermarsi parecchi giorni in Porto venere; ma finalmente il 6 marzo egli sbarco a Porto-pisano. Nobilissima ambasceria di parecchi 581 cittadini lo accolse e lo riveri in nome del Comune, e lo condusse con somma magnificenza alia citta. Alla porta per cui entro erasi fatto un bellissimo arco trionfale, ed ivi 1’ attendea 1’Arcivescovo in ammanto pontificate e tutto il clero. Smontato da cavallo, inginoccliiossi Arrigo; bacio la croce por- tagli dal maggior sacerdote ; quindi levatosi, accetto e tosto restitui con amorevoli parole le chiavi della citta, presentategli in un bacino d’ oro dagli anziani Ugolino da Oliveto, Enrico di Monte Lupo, Pc- ricciuolo degli Occhi, e dagli altri magistrati. Dopo queste cerimonie risalito a cavallo, fu accompagnato alia Primaziale, conforme al consueto, sotto un bal- dacchino di broecato bello dell’ armi dell’ impero e della citta, portato dai piu nobili e piu avvenenti giovani che vi fossero, vestiti tutti superbamcnte e ad un medcsimo colore. Le strade eran preziose di apparati, c sorgeano in diversi canti colonne ed archi coll’ imprese del- l’imperio. Poiche cbbe curvata la fronte dinanzi a colui che e il Re dei re, venne Arrigo YII al pa- lazzo degli Anziani, preparato come all’ augusto per- sonaggio addicevasi. Si trattcnne in Pisa anche tutto il mese d’ aprile, nel qual tempo concorsero a lui tutti i ghibellini fuorusciti di Toscana e di Ro- magna. Prima di muoversi attendcva un rinforzo di gente che gli dovea venire di Romagna. Finche gli giungesse, voile che il suo maresciallo scorresse so- pra il territorio di Lucca e di Samminiato, Obbedi infatti il maliscalco suo Arrigo di Fiandra; e mos- sosi con ottocento cavalieri ed ottomila pedoni , senza mai fermar campo in alcun luogo, reco ai ne- mici grandissimi danni, e conquisto pei pisani il castello e la valle di Buti occupati dai lucchesi. Nel tempo delle quali spedizioni 1’ imperatore^ valendosi dei consigli e della pcnna de’ suoi giureconsulti, di- chiaro nemico pubblico, traditore ed usurpatore del romano impero Roberto di Napoli; lo dichiaro sca- duto dal regno, da ogni onore e da ogni privilegio, e proferi contro di lui sentenza di morte. Altri pro- cessi e terribili condanne fcce contro Gibcrto da Correggio signore di Parma, Filippone da Lungasco signore di Pavia, e contro le citta di Firenze, Bre- scia, Cremona, c Padova; F ultima dellc quali multo a diecimila lire, perche F anno decorso avea ricevuto a suo governatore un vicario imperiale, ed ora s’ era partita dalla sua obbedienza. II 22 aprile final- mente seguito il suo viaggio alia volta di Roma, alia testa di duemila cavalli, per la via di Piombino e della Maremma. II re Roberto di Napoli avea mandato Giovanni suo fratello con una piccola ar- mata per impedire lo incoronamento. Nullostante Fimperatore entro a forza il 7 di maggio ; e poiche il Vaticano era occupato dall’armi di Roberto, il 29 di giugno, festa de’santi apostoli Pietro e Paolo, si fcce consacrare in sail Giovanni di Laterano, di cui egli era il padrone. Ma Fambita ed ottenuta corona non miglioro punto la sua posizione. Meta di Roma apertamente contro di lui; le schiere del re di Napoli da un mo- mento all 1 altro poteano esser soccorse ; le sue diffi- cilmente, perche lontani gli amici suoi di Germania; quelli della Lombardia ritenuti dalla guerra inossa lor contro dai guelfi. In tali angustie la repubblica di Pisa accorse in di lui aiuto. Aveva essa allestite sci galere per mandargli dei soldati; ma queste scontrate all’infausta Meloria da una squadra di Ro- berto di Napoli, dopo prove memorabili di valore aveano dovqto cederc. Allora la Repubblica fece a fretta partire per terra seicento arcieri, i quali feli- cemente raggiunsero F imperatore a Tivoli e gli re- carono un’ altra somma di danaro. ( 583 Si rallegro molto Arrigo VII cli questo soccorso, e sulla fmc d’agosto, da Tivoli, ov’erasi ritirato per potervisi meglio difendere dai suoi potenti nemici e per fuggirc il clima pestilenziale di Roma, si mossc per rccarsi in Toscana ove i ghibellini sostenere, e degl’ implacabili guelfi far luminosa vendetta. Gua- stando le terre dci nemici ed ingrossando il suo csercito di reelute che volontariamente accorsero sotto le sue bandiere in Todi, Spoleto, Narni e Cor- tona, giunse finalmente presso Arezzo, ove con en- tusiasmo fu accolto. Di la corse il 19 settembre sopra Firenze, ab- bruciando case e ville a misura che avanzava: la citta fu picna di terrore e di costernazionc : pure non venne fatto ad Arrigo alcun buon colpo. Re- stato li tre giorni presso le mura ed afforzato di parte dell’ armata che egli avea lasciato passando in Todi e nel Val d’ Arno di Sopra, e raggiunto da molti rinforzi dci ghibellini e dei -Bianchi di Tosca- na o della Marca, passo V Arno senza che i fioren- tini osassero impedirlo, e ando devastando le cam- pagne presso san Casciano, ove pose il nuovo ge- nerale accampamento. Era morto in Pisa da nove mesi circa Y arcivc- seovo Giovanni Provinciali. In suo luogo fu eletto fra Oddone della Sala pisano, chiamato dalla sede veseovile di Arborea in Sardegna, ove era stato trasferito dal vescovato di Pola in Istria. Egli non duro molto neppure nella sede arcivescovile pisana; poiche avendo fatto un processo crirainale contro i Pisani, questi gli si levarono nemici e lo bandi- rono; ed egli per campare la vita si ritiro a Firenze, Un anno dopo questo fatto fu creato patriarca di Costantinopoli ; negli ultimi anni di sua vita fu eletto amministratore della chiesa di Monte Casino, ed ivi mori. 584 Esiste di lui la seguente dichiarazione, cli’egli fece una volta infermatosi in Napoli (1). IN NOMINE DOMINI, Amen. Anno Dominicae Incarnationis 1325. die 3. mensis lulu oct. Indict. Actum in civitate Neapolitana in loco sive domibus monasterii Sancti Petri de Magella in presentia reverendi in Xpto patris domini Francisci Gentilis Dei gratia epi - scopi ephesini, Fratis Guidonis de Perusia , Fratis Francisci de Ur- beveteri ordinis Predicatorum , Cappellanorum , et familiarium in- frascr. D. Patriarchae testium ad haec presentium, rogatorum, et vocatorum, et mei Angeli Notarii infrascr. Reverendus in Xpto pater, et dominus D. Oddo divina providentia S. Sedis Alexandriae, pa- triarcha, et administrator ecclesiae Cassinensis per sedem Apostolicam deputatus, injirmus corpora, sanus tamen mente, et intellectu, sponte, et ex C2rta scientia assignavit, confessus fuit, dixit, et asseruit infrascripta bona, justa et actiones, segue teneri ad solutionem, et restitutionem in- frascriptarum quantitatum infrascriptae personis, pro ut inferius expri- metur, et in primis dixit, haec sunt bona, quae habet idem dominus pa.triarcha, quae spectant ad eum, et nullum alium, primo paramenta, sicut jacent in duobus confinis, et libri, sicut manent in duobus aliis conjinis, et una mitria argenti in composita, unus calix, et unum flaschettum pro aqua, vino, et hostiis, duo annuli pontificates, duae cruces pectorales, existentes in ipsis confinis depositatis penes merca- tores de Acciajolis Neapolis commorantes, pro octoginta tribus unciis in argento, pro quibus, ut dixit est obligata pecunia sacre, sibi de- dita, et promissa per vassallos ecclesiae Cassinensis, vitutiores sint. Item panni lani, et Uni, et alias res , existentes in camera , in qua tunc jacebat. Item sacra seu subiunctio eidem debita, et promissa per vassallos ecclesia Cassinensis, quae capit, et est in summa, ut dixit , sexcentarum unciarum florentinarum in auro, et centum sexaginta un- ciarum florentinarum in argento. Item fructus redditus ecclesiae pi- sanae , tunc sui Archiepiscopatus , ab anno 1321 et 22 usque ad diem translationis suae ad ecclesiam Alexandrinam, quo tempore Magna- maccus fuit recollector deputatus pro Comune Pisanum deductis inde septingentis florenis, vel modicum plus, quod dictus Magnamaccus restituit ipsi Domino, ut apparet. Item resta plurium decenniorum quod donavit eidem papa, ut apparet per ejus litteras, quales hie habere dixit. Item bona patrimonialia, quae mater sua reliquit, sicut (l) Qucsta scrittura facial Tronci donata alKarchivio dei canonici. 585 apparet per test amentum, seu codicillos scriptus manu Betti de Mu- sigliano de Comune Pisanum notarii, sicut dixit. Item quatuor cop- pas de argento. Item unum confinum in domo Celloli de Perusio. Item unam cassam penes D. Georgium de Iporega. Item alia cassa depositata in domo D. Cardinalis divae Lucae de Flisco, in qua sunt ultra septem Uncias balsami. Item nonigentos nonaginta fiorenos de auro quos dixit sibi deberi pro condemnatione haddubti de Pisis. Item quadrigentos fiorenos de auro, quos dixit sibi deberi pro con- demnatione Bandini Bonconti de Pisis. Item totum, et quicquid con- demnabitur Capitulum maioris ecclesiae pisanae in quaestione, quam habet cum eodem quod iam credit esse condemnatum, de quibus omnibus, ut dixit , et asseruit debent deduci ultra ceram, quatordecim fiorenos de auro, et quatuor in quinque de argento, quos dixit se de- bere Galeotto Bozano de Vicecomitibus de Pisis, ex causa praestan- tiae. Item, etc. (E non segue piu la). Ego Angelinus quondam Raynaldi Domini Clorii de Tuderto imperiali auctoritate Notarius publicus, et iuratus, et scriba seu ojfi- cialis D. Patriarchae praedicti predictis omnibus interfui , ea quae de mandato, et voluntate d. D. Fratris Oddonis patriarchae, et administrators supradicti scripsi, et publicavi. Nell’ anno cli cui parliamo mori anche fra Gu- glielmo Pisano, converso dell’ ordine dei Predica- tori, uomo celebre egualmenie per santita di vita c per maestria di scultura: egli fu discepolo del fa- mosissimo Niccola da Pisa (1). E qui ne sia permesso brevemente discorrere di quest’ ultimo, perciocche n’emergera una delle piu belle glorie pisane. (1) Narra il Tronci che « trovandosi fra Guglielmo in Bologna in occa* « sione che s’ aperse il sepolcro di sail Domenico, non con altro motivo, che « di devozione, nascostamente prese una delie sue cosie e la porto a Pisa-, e, « senza palesarla ad alcuno, se la ripose solto la mensa dell’ altare di sanla « Maria Maddaleria, avanli al quale faceva conlinuamente orazione; e sebbene « vislo molte volte dai padri, non per questo potevano penelrare quello che « teneva celalo con lanta segretezza. Venne poi a morte, e con molte lagrime « paleso il tutto, Fu cercato il luogo: e, trovala la costa, si pose in una cuslodia « per esporsi ai suoi tempi alia pubblica venerazione del popolo: e lui, pieno « di mcrili, da questa vita mortale se ne ando a godere l’eterna in paradiso ». TOMO I. 74 iH •w 586 Dinanzi alle barbarie erano itc esulando le arti belle, c per varii secoli stettero lungi da questa Italia, che natura ha destinato a loro tempio. Final- mente la notte dello abbrutiinento passo, e l’amore deirarchitettura annunzio al mondo il risorgimento degli onesti studi. Le repubbliche gareggiarono nel- F offerire alia Divinita edificii degni di lei: — e sia questo suggello che sganni coloro i quali avvisano, la religione fiorire sotto il dispotismo e non sotto libero governo. Mentre Venezia ergea san Marco, strana mesco- lanza di barbarie e di grandiosita, Pisa inalzava il suo Duomo, primo modello del genere toscano; e nello spazio di circa un secolo facea vedere al mondo le maraviglie del suo Battistero e della sua Torre pendente. Qucsti capi d’ opera, i mar mi che i Pisan i por- tavano dal Levante per abbellire gli edificii della loro patria, i monumenti che nei loro viaggi aveano opportunity d’ ammirare, fecero rivivere in Pisa il gusto del bello e del grande, clT essa poi diffuse in tutta la Toscana. I migliori architetti del tredice- simo secolo o furono pisani, o tra le pisane mura cresciuti. Niccola di Pietro Pisano opro il primo portento dell’ arte in quei tempi, inalzando, come as- sicura il Vasari, il tempio di san Francesco in As- sisi. Da quel punto in poi il valente architetto e l’egregio scultore riempi delle sue opere Y Italia. In Bologna fece la chiesa e il bellissimo sepolcro di san Domenico, e gran parte del convento dei Dome- nicani, allora nascenti; in Firenze la chiesuola della Misericordia, la chiesa di Santa Trinita, e fuori di Firenze la badia di Scttimo; in Pistoja disegno la chiesa di sant’ Jacopo; in Padova la chiesa di san- t’ Antonio; in Venezia quella della dei Frati Minori; in Arezzo la chiesa e il convento di san Domenico; in Cortona la chiesa cli santa Margherita; in Viterbo la chiesa e il convento dei Padri Predicatori; a Napoli la chiesa di san Lorenzo; nci piani di Ta- gliacozzo una gran chiesa e badia per ordine di Carlo I, in memoria della disfatta di Corradino; in Lucca il Cristo deposto di croce, che e sulla porta mindre a mano manca entrando in san Martino; in Siena il pulpito del Duorno; in Orvieto le due storie dell’ inferno e del paradiso; in Pisa il pulpito del san Giovanni, la facciata di san Michele in Borgo, il campanile di san Niccola, il palazzo degli Anziani sulla piazza dclle sette vie , oggi do’ Cavalieri ; e di tanti altri lavori arricchi Parte sua, che impossible quasi sarebbe ridirli tutti. Il nostro Niccola finiva i suoi giorni sul decli- nare del tredicesimo secolo; ilia resto immortale nelle sue opere, studiate piu volte, a testimonianza del padre Guglielmo della Valle, da Michelangelo e da Luca Signorelli; resto immortale nella sua Scuola, la quale diede, fra gli altri, Arnolfo e Lapo; resto immortale in Giovanni suo figlio, il quale calcando lc vestigia del padre, non solo giunse ad cmularlo, ma in qualche cosa a superarlo. Ragion vuole die di questi si vada alcun poco discorrendo. Pertanto egli fece in Pisa, coll’ aiuto de’ suoi giovani, gli ornamenti dell’ oratorio della Spina; in Arezzo la tavola dell’ altar maggiore ncl Duomo; la Vcrgine in mezzo a due Angeli sopra nna porta di santa Maria del Fiore; il Battesimo in san Gio- vanni; la tavola in marmo nella chiesa di san Do- menico di Bologna, ornata della Vergine con altre otto fiigure; il bellissimo pergamo (1) di sant’ Andrea (1) Ullimamenle il rinoraato prof. Pietro Contrucci illuslrava le scul- ture di cui Giovanni fregio questo pergamo. Merita esscr lelto il suo bellis- simo discorso, dalo in luce dal la tipografia Cino l’anno 1842, 588 e la pila per Tacqua santa sorretta da tre figure nella chiesa di san Giovanni Evangelista in Pistoja; in Perugia il sepolcro di papa Benedetto nella chiesa vecchia di san Domenico, e nella nuova il sepolcro del Guidolotti, vescovo di Recanati; nel Duomo di Pisa un pergamo grande con parte del quale fu poi fatto il pulpito, da cui dispensare il pane della di- vina parola. In quanto poi alle fabbriche fatte col disegno del nostro Giovanni, meritano particolare menzione : il Camposanto di Pisa, ov’ egli disegno la parte verso il Duomo; il Castelnuovo di Napoli; la facciata del Duomo di Siena; il campanile di sant’ Jacopo di Pistoja; la cappella della Cintola in Prato. A questa digressione ne piace dar compimento con le belle parole dell’iHustre professor Contrucci: Le opere che Niccola e Giovanni produssero stupen - cle anco all 9 eta nostra che mena vanto di perfezione , ebbero potenza di svegliare al bello le menti assopite , e d’ingenerare nella universa Italia quell* amove e diletto che precedono accompagnano e conseguono lo studio e la cultura delle belle arti. Anno iSIS . — Torniamo ora alia storia. L’impe- ratore Arrigo VII vedendo che con un lungo sog- giorno a san Casciano nulla avrebbe avvantaggiato, tanto piu che le malattie cominciavano a fare strage nel suo esercito, il di 6 gennajo levo il campo; e, prendendo Barberino, san Donato ed altri luoghi, ando a porsi a Poggibonsi sulla strada di Siena. Gli abitanti lo accolsero con sommo favore; c, rammentata alFimperatore la loro devozione e servitu verso rimpero, Arrigo, onde attestare al popolo 1’ augusta sua gratitudine, voile che quel castello posto anticamente sul colle, e poi col volger degli anni tirato verso il piano, si tornasse a riporlo sul- T alto, e d’ allora in poi si chiamasse Poggio Im- periale. 589 Ivi si trattenne due mesi; ma vedendo che l’eser- cito s’ andava distruggendo per le malattie prodotte dalle fatiche e dalle penurie, e dall’aere cli Pog- gibonsi e dalla stagione fatte piu gravi, il 6 di marzo prese la strada di Pisa. Quivi, eretto il tribunale imperiale, chiamo in giudizio tutte le citta che avcano osato resistergli, pretendendo sottomettere colle sen- tenze quei nemici che non aveva potuto vincere colle armi (1). I primi ad essere condannati furono i Fiorentini. V imperatore li dichiaro ribclli, li privo d’ogni giurisdizione e d’ogni onore, tolse loro il diritto di batter moneta, il quale accordo collo stesso conio titolo e valore ad Ubizzino Spinola di Genova, ed al marchese di Monferrato (2). I particolari che aveano di Firenze il govcrno danno nella persona e nell’avere, e quel comune tasso in centomila fiorini. Sentenza piu ardita tenne dietro a questa; voglio dire la sentenza pronunziata contro Roberto re di Napoli, dichiarandolo dccaduto dal trono perche col- pevole di lesa maesta, e sciogliendo in pari tempo i Napoletani dal giuramento di fedelta, e vietando loro d’obbedire quind'innanzi al proprio re (3). Quali impressioni doveano fare queste condanne, c agevole immaginarlo; c Y imperatore egli stesso lo sentiva, poiche cerco farsi piu formidabile con nuove genti. Mando ordine in Germania di raccozzare un altro esercito; e spedi il suo fratello arcivescovo di Treveri che sollecitamente gliel conducesse; strinse alleanza con Federigo di Sicilia; die ordine alle rq- pubbliche di Pisa e di Genova d’ allestire potente armata: la procella dovea rovesciarsi sul capo del- (1) Vedi Sismondi, cap. XXVU, (2) V. Gio. Villani, lib. IX cap LVIII. (3) Cosi dice il Sismondi, sull’autorila di Alberto Mussato Hist. Ans lib. XIII. R. 5. i/\r< 590 I’odiato Roberto, primo del partito guelfo e nemico piu d’ogni altro pericoloso. Finche tutto fosse in pronto Arrigo rimase sotto la protezione della repubblica di Pisa, facendo guerra ai lucchesi per conto di questa citta. II maresciallo imperiale giunse ad impadronirsi della ricca terra di Pietrasanta (i), intanto che i marchesi Malaspina toglievano a Lucca Sarzana. Si riporto pure qualche altro vantaggio; ma troppo at di sotto (telle immense ■ spese onde erano munti i pisani per la presenza del- rimperatore e dei suoi alernanni. Se non che Federigo di Sicilia, forte di cinquanta galere, ben presto s’impadroni di Reggio in Cala- bria. Settanta galere genovesi fecero vela, sotto il comando di Lamba Doria, verso le coste di Napoli; i Pisani allestirono un numero minore di navi, per- clie esausti di forze in sovvenire rimperatore per terra; potenti rinforzi arrivavano dalfAlemagna e dair Italia. II 5 agosto adunque Arrigo lascio Pisa per andar contro Napoli con duemila cinquecento cavalieri d’oltre monte, millecinquecento italiani, ed un proporzionato numero di pedoni. Prese la strada di Samminiato e di Castel Fiorentino; passo tra Colic e Poggibonsi e venne ad accamparsi nel fa- moso piano di Tagliacozzo, cmpiendo di terrore la citta di Siena. Nessuna forza sembrava potere arre- stare i passi d’ Enrico; ma egli portava dentro se i germi di mortal malattia, contratti forse nel maligno acre di Roma. Da qualche tempo eransi manifestati per un carbonchio sotto un ginocchio; ma niuno avvedevasi del di lui pericolo, poiche continuava (1) Pietrasanta, oggi citta, fu fondata dopo la meta del secolo tredice- simo da Guiscardo nobile milanese della famiglia Pietrasanta, allora potesta di Lucca, il quale la nomino dal suo cognome. (Vedi Gio, Cermenate e Tolo- meo da Lucca). Alcuni, senza perallro alcun fondamenlo, dicono che Pielra- sanla fosse fabbricata da Desiderio re dei Longobardi. ,*v egli a mostrarsi operoso siccome sempre. Un bagno l intempestivamente preso fece scoppiare il male in prima compressor e finfelice Arrigo costretto a fer- rnarsi a Buonconvento, dodici miglia al di la di Siena, vi trovo la morte il 24 d’ agosto. Vogliono molti scrittori che gli fosse dato il veleno dal suo confessore, frate delF ordine de’ Predicatori, nella comunione. Ferrato Vicentino, Giovanni da Cerme- nate e Tolomeo da Lucca, autori contemporanei, dicono ch’ ei mori di febbre oppur.e di peste. Ed a quest’ ultimi vogliamo aderire, quantunque sappiamo essersi, nei corsi secoli, fatte talora dai ministri del santuario istrumento di delitto e di morte le cose piu sacrosante della religionc. Il fatto sta che appena si diffuse la notizia della morte di Arrigo VII, i Guelfi nc gioirono della piu viva gioja, e si dolsero i Ghibellini del profondo dolore. I Pisani, fra gli altri, si abbandonarono alia disperazione. Aveano spesi immensi tesori per soste- nere gl’impegni di qucsto imperatore; aveano con- cepute le piu belle speranze d’alzare pel di lui brac- cio la testa sopra le altre citta della Toscana, ed ora in un momento tanti sacrifizi erano riusciti in- utili, tante speranze andate al vento! A mettere il colmo alia devozione verso questo principe ne fe- cero trasportare il cadavere per la strada di Ma- remma, e colla pompa piu solenne lo composero nella chiesa primaziale entro la cappella di san Bar- tolomeo, la quale si nomo allora dell ’ Imperatore , e fugli apposta la seguente iscrizione: Hoc in sarcophago non quidem spernenclo Henrici olim: Lucemburgensis Comitis , et post haec septimi hujus Nominis Romanorum Imperatoris, ossa continentur , Quae secundo post ejus fatum, anno 1315. XXV. Sextilis Pisas translata summo cum honore, et favore Hoc in fano ad hunc usque diem collocata permansere. 592 t gcmiti e gli urli e le lacrime farono un compas- sionevole spettacolo della umana miseria (1). Ben 6 vero peraltro che Arrigo YII era degno di tanto corrotto; poiche anche i nemici guelfl riconobbero in lui un complesso di tante virtu e di si belle doti, che pote paragonarsi ai piu gloriosi principi che ab- (1) II Tronci rileva da quests iscrizione « che non subito dopo la morte « di Arrigo imperalore fu portato il suo cadavere a Pisa, come lutli gli scrit- « tori asseriscono; ma due anni dopo le sue ossa; ne suffraga in conto alcuno, « che i pisani nel computo degli anni di nostra salute s’ avanzino sempre per « nove mesi avanti la Chiesa Romana, perche dicendo la della iscrizione che « la delta traslazione segui due anni dopo la sua morte, e concordano tulti gli « scrittori che successe nelP anno 1513, cade anco alio slil romano nel 1315. « Potrebbe dirsi, che trovandosi in alcuni manoscritti, che il sepolcro di que- « sto imperatore fu fatto dai pisani di metallo, di lutto e mezzo rilievo, a pro- « porzione, e che poi fu disfatto da Pietro Gambacorti per batlere quattrini, « e che in suo cambio facesse riporre le sue ossa in quello che ora si vede di « marmo collocato vicino alia porta, che guarda il campanile, e che allora si « fosse preso errore in quegli anni. Questa risposla non mi soddisfa, ne punto « mi acquieta, perch6 mi pare un voler trattare i pisani di quel tempo poco « avveduli, per non dire ignoranti; eppure ve n’erano tanti insigni in ogni pro- « fessione di scienze. Pero dopo avere io pensato e ripensato sopra di queslo « particolare, per salvare la detta iscrizione e rnantenerla vera, non trovo « ailro modo che tener per fermo, che quando i pisani ebbero portato il ca- ff davere nel loro stalo, lo depositassero in qualche chiesa di quei castelli della « Maremma, e poi venuti a Pisa ordinassero il sepolcro, quale avanti fosse « finitoj forse poco sollecilato, scorsero i due anni; in capo ai quali restatovi di «que! corpo le ossa solamente, lo portassero a Pisa, ed allora facessero I’ ese- « quie solenni. Ne contradirei a chi volesse tenere, che il deposito non fosse « seguito in chiesa della Maremma, ma in altre delle di fuori e vicine a Pisa, « poiche cosi saremmo d’accordo con quelli scrittori, che vogliono che Fe- « derigo redi Sicilia, trovandosi con sua armata in mare per I’impresa, che si «« doveva fare contro il re Roberto, desideroso di vedere quel gran principe « con il quale s’ era confederato, almeno morlo, poiche vivo non aveva potuto « vederlo, venisse per il detto eflelto a Pisa e restasse soddisfatto. Sopra a « queslo particolare ne faccia quel giudizio che piu gli piace il prudente let* « tore. Cerlo e che 1’ ossa di questo imperalore sono sepolte in Pisa nella « gia detta chiesa primaziale, in memoria del quale, dal di della sua deposi- « zione fino ad ora, il giorno della festa di s. Bartolomeo, dopo il vespro, i ca- « nonici vanno con tutti i cappellani e chierici a cantare i responsorii dei « morti alia sua sepollura, e il giorno seguente cantano una messa solenne di « requiem per 1’ anima sua, e cosi si continuera in perpetuo ». 593 biano retto il romano impero. Ne vuol esser dimen- ticato Telogio die di lui fece Gio. Yillani: giammai V avversita lo turbo, ne prosperity lo fece prosun - tuoso o troppo lieto. Lo perche e da dire che se mai per alcuno poteano sanarsi le tante piaghe d’ Ita- lia, al solo Arrigo VII potea essere riserbato qucsto alto destino. Frattanto l’esercito imperiale si sbando; ed i Pi- sani, conoscendo il pericolo in cui si trovavano, pen- sarono a provvedere come meglio poteano alle loro cose. I lucchcsi da un lato, i fiorentini dall’altro li minacciavano: si venne a trattative di pace: ai Ba- gni di Monte-pisano (san Giuliano) cogli ambascia- tori dei nemici comuni si trovaron per Pisa Pelagio Lugnasti, Gherardo Fagiuoli, Domenico Bonconti, e Jacopo da Calci notajo; rna nulla si concluse. Allora i Pisani assoldarono mille cavalieri di quelli dell’ imperatore, e volsero l’animo ad eleg- gersi un potente capitano. Venuto a Pisa Federigo re di Sicilia per vedere in che stato rimaneano le cose e per concertare i mezzi di sostenere i Ghibellini, i Pisani offerirono ad esso la signoria della citta; ma egli la ricuso, stretto dalla necessity di difendere il proprio stato dal re Roberto di Napoli, e spaventato dalla situa- zione delle cose ghibelline. Si offrono in secondo luogo i Pisani al conte di Savoja, ed egli non voile accettarli ; lo stesso fece Arrigo di Fiandra, il quale ripatriando trasse seco molta gente dell’esercito del- r imperatore, cui i pisani tentavano ritenere a loro soldo. In questa ruina di cose i Pisani ricorsero final- mente ad Uguccione della Faggiola, allora potesta di Genova, uomo di rara atti vita e di finissima ac- cortezza. 75 'yv- ( r^rJZ 594 Gli anziani mandarono a lui un cittaclino espo- nendogli il voto della Repubblica, ed invitandolo e pregandolo a farlo pago. Ei, che vedeva finito in Genova il suo potere, e desiava aprirsi col valore una via alia gloria ed al dominio, acconsenti di buon aniino. Il 22 settembre giunse a Pisa, e il 23 prese possesso della signoria con molta pompa e solennita. No mise tempo di mezzo; ma trovandosi attorno cavalieri e fanti esperimentati alia guerra, ando su- bito ad oste sopra i Lucchesi, e prima che i Guelfi si fossero apparecchiati a difesa, occupo Buti; die il sacco a Santa Maria del Giudice, ed insulto i luc- chesi fin sotto le mura della citta. I Pisani vedendo si belle prove, conferirono ad Uguccione assoluta potesta ed autorita sopra la guerra: e ne aveano ben donde; poiche egli incusse tale terrore ai ne- mici, che i lucchesi inchinarono essi i primi a cose di pace. Usando della prospera fortuna ei domando che i lucchesi restituissero ai pisani i castelli tolti nelle guerre passate, e rimettessero in patria i ghi- bellini: questo ardimento veniva in Uguccione spe- cialmente perche Lucca era in quei tempi divisa tra due sette, d’ una delle quali era capo messer Leti degli Obizzi, e dell’ altra messer Arrigo Bernarducci. Gli Obizzi da piu d’ un secolo governavano a loro posta la repubblica; ma il popolo alia fine si stanco della loro potenza: mostro dolore delle famiglie dei Bianchi, e particolarmente degF Interminelli, esiliate, e gli Obizzi non potettero piu sostenersi. A capo della plebe era Arrigo Bernarducci, il quale deplo- rando i danni della guerra coi pisani, costrinse i magistral a proporre nel maggior consiglio la pace. I voti furono unanimi, e si nominarono imman- tinente dei sindaci. Dai Pisani furono eletti Banduc- cio Bonconti, Gherardo Fagiuoli ed Jacopo da Fau- glia. Convennero questi ambasciatori, secondo alcuni in Quosa, secondo altri in Ripafratta; ed i Pisani si lasciarono intendere che ana delle condizioni per la concordia era la restituzione dei castelli, d’Asciano specialinente e di Ripafratta. Bonturo Dati, uno degli ambasciatori lucchesi, si levo arditamente di- cendo: dei paesi non si trattasse, e sopra a tutto d’Asciano a cui le matrone lucchesi tanto affetto portavano, nel desiderio die le donne pisane si mi- rassero in certi spegli che a dileggio erano stati po- sti in cima alia torre di quel castello, allorchc i lucchesi l’ebbero su i pisani conquistato. II Bonconti fe’ mostra di non avere inteso lo scherno, e seguito nella sua domanda; ma poiche il Dati non cessava da quella beffa: Ebbene, gli disse Banduccio, entro otto giorni vedrete che le nostre dame hanno soverchio di spegli: e tomato coi suoi com- pagni a Pisa, espose fedelmente Faccaduto ad Uguc- cione cd agli anziani. Non e possibile descriverc di qual dispetto bolliron gli aninii di ciascuno. Adunato il Consiglio, fu fermo ad una voce d’usc-ire ai danni dei lucchesi, e per la ingiuria degli spccchi render loro datteri per ficlii. Col consiglio del Bonconti fe- cero fabbricare due spegli grandissimi. Quindi Uguc- cione, radunato con incredibile prestezza tutto Feser- cito, prese la via di Monte-pisano, e sul lucchese piombo ratto ed inaspettato per modo, che gli as- sail ti non ebbero tempo di mottersi alle difese. Gua- stando i villaggi, predando il bestiame e facendo non pochi prigioni^ scorse fino alle porte di Lucca; e fatte ivi piantare due altissimc antenne, vi accon- cio i due specchi, di cui sopra abbiamo accennato, con queste parole, a lettere che si potessero veder da lontano: Specchiatij Bonturo Dati, Con i Lucchesi mal consigliati . 596 Ne questo basto ai soldati pisani; ma trassero an- che nella citta molte frecce, con piccole cartelle piene cli rimproveri. In questa guisa sfogati in parte, devastando il comune di Massa Macinaja e di Santa Maria del Giudice, se ne tornarono a Pisa carichi di bottino, e con molte bandiere delli spogliati vil- laggi, le quali, a monumento di vittoria, Uguccione fece attaccare colla punta volta in gid alle pareti del Duomo. Ma difficile e che Fanimo umano traFauradei trionfi non insolentisca. Uguccione, Fiero di tanti prosperi eventi, prese ad ambire il supremo domi- nio; ed a prepararsi la via alia tirannide chiese di avere dodici cittadini a suoi consiglieri, coi quali le cose della guerra trattare; e che le decisioni di que- sto parzial consiglio, di cui egli sarebbe capo, avesse la medesima autorita del Consiglio generate. Fu fatto a suo modo; poiche i cittadini non videro quanto concedevano mettendo i propri diritti in mano di pochi, che Uguccione potrebbe facilmentc a sua posta aggirare. Ed egli, lieto di questa prima meta raggiunta, a mostrarsi ardente nel pubblico bene usci di nuovo su quel di Lucca; scorse per la valle di Compito, di Yorno e di Massa ponendo tutto a ruba, ed a Ponte Maggiore facendo circa duecento prigionieri: cosi giunse fino a Gattajola, e si fermo a Pontetetto. I Lucchcsi vedendo tante rovine nel loro stato, misero sollecitamente in ordine quante piu genti poteano, e risolverono andare incontro al nemico, fidando di batterlo col seguente strattagemma. Or- dinarono ai loro cavalieri che, scoperto Fesercito pisano, fingessero una fnga; e indietreggiassero per- seguitati, com’ era naturale, alia coda, fino ad un luogo prefisso, ove sarebbero genti di rinforzo: ivi voltassero faccia e attaccassero la mischia; che il .^§M 597 nemico al colpo impensato troverebbesi a mal ter- mine. La cosa peraltro ando fuori del loro avviso; essendoche giunti i lacchesi a Pontetetto non po- terono schivare la battaglia, e furon rotti, iugati e ricacciati fmo all’ antiporta di Lucca. Cola i vinci- tori fecero delle solite millanterie in uso a quci giorni; poi passando a san Pietro lo incendiarono, e se ne portaron alcune figure di marmo ed altre ricchezze (1). A queste imprese tenne dietro Facquisto del ca- stello d’Avane pei lucchesi posseduto. Accadde che una mano d’ uoinini di Yal di Serchio uscissero in campagna, ed azzuffatisi con la gente del rammen- tato castello, prenclessero dodici prigioni. Inteso da questi che dentro si penuriava di vettovaglie, ne re- sero consapevolc Uguccione. Egli die online incon- tanente d’ andare sopra Avane e mettervi Fasse- dio, recandovisi egli stesso. Dopo molti giorni di disagi, il castello si rese. Uguccione vi lascio pre- sidio bastante ad assicurarlo alia repubblica, e fu un altra volta a tempestare, ora qua ora la, sulle terre dei nemici. Anno 1314. — Lucca non potendo per alcun modo farsi schermo contro la volonta della lega guclfa toscana, chiese pace ai Pisani, i quali Faccor- darono colle condizioni che altrove abbiamo notate. Per tal modo i pisani riebbero Ripafratta e gli al- tri loro castelli; e gFInterminelli e gli altri ghibel- lini furono in patria ristabiliti. Tra gF Interminelli si distingueva Castruccio Ca- stracani. Esule da dieci anni dalla patria, aveva vi- (t) Fra gli altri oggetti portaron via una mazza ferrala di Grandonio da Pisloja, valorosissirno capilano stato al soldo de’ pisani, e trovatosi con essi al conquislo delle Baleari, ed ucciso finalmente dai lucchesi. Questa mazza mandarono i pisani in dono al Comune di Pisloja, e fu posta, a memoria del segnalato cittadino, nel palazzo dei Priori. 598 sitato T Inghilterra, le Fiandre e le citta ghibelline della Lombardia, ed appreso il mestiere delle armi sotto i piu esperti capitani. Reso ora al suolo na- tivo, voile avvantaggiare le cose sue e quelle del partito ghibellino. Incomincio dunque a domandare ai Guelfi, che se gli aveano appropriati, i beni suoi e degli altri di sua parte: i Guelfi non gli voleano rendere. Allora, scrive Giovanni Yillani, per Uguc- cione fu ordinato tradimento. in Lucca per il di 14 giugno. Quel giorno Castruccio co’suoi ando a stabilirsi ed afforzarsi alia porta di san Frediano per esser pronto ad aprirla ad Uguccione, che dovea ben pre- sto presentarsi. La citta si mise a romore: trai guelfi e ghibellini si attacco sacrilega mischia; ed intanto che il Castracani si difendeva nelle case degli Onesti e dei Fatinelli, il capitano di Pisa sovraggiunse con tutta la sua cavalleria; entro senza contrasto; e, scacciati tutti i guelfi, abbandono la citta a crudele saccheggio. Otto giorni continui duro Finumano spoglio; i templi eguahnente che le case furono de- predati, ed in san Frediano specialmentc si disfama- rono i vincitori, poiche vi trovarono deposto il te- soro che il papa, per mezzo del cardinale di Mon- tefiore, avea fatto venire da Roma, onde traspor- tarlo in Francia tostoche le strade fossero state piu sicure. Dopo questa importante conquista (1), Uguccione lascio suo figlio Francesco governatore di Lucca, e se ne torno a Pisa. (1) Il Tronci riporla un’ iscri/ione esislerite nella facciata del Duomo di Caglieri in Sardegna, secondo ch’eragli stale riferilo. Qualunque ella sia la trascriviamo, notandovi peraltro non piccoli sbagli d’ epoca: *4nno Domini MCCCVl die IV. mensis Iunii Divina gratia praecedente Pisana civitas versus civitatem Lucanam sua victricia vexilla erexit ipsamque civitatem Lucanam viriliter pugnando expugnavit. Hunc lapidem sic sculptum de palatio civitatis 599 I Guelfi lucchesi espulsi dalla loro patria si riti- rarono e si fortificarono in alcune castella cli Val- dinievole, e chiesero aiuto ai fiorentini. I quali cruc- ciosi e scommossi, non potendo fare cosa. alcuna per Lucca, presero le castella di Yaldarno che ancora si tcneano a parte guelfa; e furono Fucecchio, Santa Maria a Monte, Montecalvoli, Santa Croce, Castel- franco, Montopoli, Montecatini cli Yal di Nievole, e Monsummano : quindi spedirono al re Roberto, pre- gandolo a mandar loro uno de’ suoi fratelli con la gente che piu potesse. II re, senza indugio, mando mcsser Piero suo fratello minore, giovane molto grazioso e savio e bello, con trecento uomini a cavallo, e con savio consiglio de’suoi baroni. Giunse il duca Piero in Firenze il 18 settembrc; vi fu rice- vuto a grande onore, e datogli del tutto la signoria della citta. Ma Uguccione nel caldo di tante vittorie non lasciava riposo ai guelfi. Cavalco sopra lo stato di Pistoja, vi guasto ogni cosa lino a Carmignano ; poi sopra i volterrani, e tutta Maremrna; quindi sopra i samminiatesi, ed ebbe per assedio il castello di Ci- goli e piu altre loro castella, e molto gli afflisse. Anno 1315. — Pucondusse fmalmente l’esercito in Yal di Nievole e pose F assedio a Montecatini, la sola fortezza che rimanesse in mano dei guelfi tra Lucca e Pistoja. Dopo la perdita di Lucca il ca- stcllo era tenuto dai fiorentini, ed era assai forte; ma gli assediati ebbero presto gran clifetto di vet- tovaglie. Spediron dunque per soccorso a Firenze. Il Comune, considerando che di somma importanza Lucanae fecit Pisana civitas levari , et ad castellum Castri destinari , tempore D. By Merisis de Vico Jurisperiti. et Bonavitue Romani pisan. civium, caslel- lanorum praefati castri pro comuni Pisano fuit cum gaudio hie infixus , ut aspi- centihus memoria praehatur , ac etiam amicorum pisani Communis semper cre- scat audacia , et inimicorum ipsorum perpetuo compescalur. 600 era mantenersi quel panto, decise fare ogni sforzo per difenderlo. Richiese d’aiuto tutte le arnista; e mando al re Roberto di Napoli pregandolo d’ in- viare un altro de’suoi fratelli, Filippo principe di Taranto. Questi giunse a Firenze 1’ undici luglio col suo flgliaolo Carlo, e con cinquecento cavalieri presi a soldo dai fiorentini. Giunsero pure ben presto i rinforzi di Bologna, Perugia, Agobbio, Citta di Ga- stello, di tutta Romagna; di Siena, Pistoja, Volterra, Prato, e di tutte le terre guelfe ed amiche di To- scana. I quali uniti al grande sforzo di gente che i Fiorentini approntarono, sotto il comando del principe di Taranto mossero da Firenze il 6 agosto per far levare Tassedio di Montecatini. Dali’ altro canto Uguccione non se n’ era stato; ma ordinando gente in Pisa e in Lucca, e chia- mando al suo carnpo gli alleati ghibellini, cogli aiuti di tutti questi, e nominatamente del Vescovo d’ Arez- zo, dei Conti di Santa Fiora e di Matteo Visconti, coi fuorusciti fiorentini, coi lucchesi e pisani suoi, fu egli pure poderoso. Ben presto i due eserciti si tro- varono a fronte sulle rive opposte della Nievole; forte quel d’ Uguccione di venticinque centinaja e piu di cavalieri, e grandissimo popolo; quello del principe di Taranto forte di trentadue centinaia di cavalieri, e gente a pie grandissima (1). Piu giorni stettero inoperosi senza die ne l’uno ne V altro osasse gua- dare il piccolo flume che li dividcva. Il principe Filippo, uomo piu di testa che savio, come osserva il buon Villani, avea il nemico per niente: Uguc- cione, al contrario, facea grande guardia e savia condotta. Vigile sempre ed a tutto, intese che i guelfi circonvicini, pigliando coraggio per la vici- nanza della potcnte oste fiorentina, erano corsi alle 0) Vedi Giovanni Villani, cap, LXX1. 601 & | armi nci castelli c nolle terre, alle spalle de 1 pisani ; e, preso Borgo a Buggiano, chiudeano il passo alle vettovaglic. Allora tolse per consiglio di levarsi dal- l’assedio. Nella notte dei 28 ai 29 d’ agosto arse gli alloggiamcnti; c, dato il segno della ritirata, mosse colie sue schiere alia spianata verso Fucecchio, colla intenzione, dice il Villani, di valicare e andarsene a Pisa, sc il principc e sua oste non si dilungasse; e se il volessero contrastare, d 1 avere Y avvantaggio del campo, e prendere la ventura della battaglia. Suo voto era quest 1 ultimo; egli fu pago: poiche, come sul fare del giorno i Fiorentini videro l’eser- cito d’Uguccione ritirarsi, levarono da campo ed istendarono loro padiglioni e arnesi , e 7 principe con poca provvidenza non tenendo ordine di schiere per to subito'ed improvviso levamento di campo , diede ordine d’ inseguire i nernici credendogli avere in volta. Uguccione fcce far testa a' suoi; ed esortatili brevemente, incomincio la battaglia comandando al figlio suo Francesco ed a Giovanni Giacotto Male- spini, rubello di Firenze e capitano col pennone im- periale, di assalire con centocinquanta cavalieri circa le prime guardie nemiche, chc erano senesi e colli- giani. Questi senza contrasto ruppero e trascorsero infino alia schiera di messer Pietro, ch 1 era colla cavallcria de 1 fiorentini. Ivi quella mano di prodi pi- sani trovo duro intoppo; non pero diedero volta; ma valorosamente pugnando finch 1 cb.bero spirito, caddero su mucchi di cadaveri nernici, quasi tutti tagliati e morti. Aveano peraltro aperta colle loro spade ampia via, per la quale i cavalieri tedeschi e quattrocento balestrieri pisani diedero dentro come feroci leoni. Uguccione intesa la morte del liglio, gridava per le file de 1 suoi : Coraggio , soldati , la vit- toria e nostra; e nessun prigione ; ma tagliate a 76 TOMO I. >5w 602 pezzi . Gli ausiliarii fiorentini furono i primi a inettersi in volta; la schiera di messer Pietro cluca di Gravina si sostenne assai; finalmente fu ella pure sconfitta. Questo fatto accaddc il 29 agosto; e se non puo compararsi alia battaglia di Canne, siccome fecero taluni scrittori, e certamente uno dei piu memora- bili de’ tempi di cui ora scriviamo, per la quantita degli uccisi e per la ricchezza del bottino. Dissero alcuni che il rio della Nievole, pieno di cadaveri, corse tutto sangue: dal lato dei fiorentini vi peri- rono, narra Giovanni Villani, messer Pietro fratello del re Roberto, e non si ritrovo mai il corpo suo; messer Carlo figliuolo del principe (1), e il conte Carlo da Battifolle, e messer Carroccio e messer Brasco d’Alagone, conestabili dei fiorentini, uomini di gran valore; e de’ fiorentini vi rimaserd quasi di tutte le grandi case, e di grandi popolari, in numero di centoquattordici tra morti e presi cavalieri; e di Siena e di Perugia e di Romagna pur dei migliori: furono di tutte genti morti, tra uomini a cavallo e a piedi, da duemila, e presi da millecinquecento. Il principe Filippo con tutta f altra gente si fuggi, chi verso Pistoja, chi verso Fucecchio, e chi per la Cer- baja, onde molti, capitando a’ pantani della Gusciana, scnza colpi annegarono assai. Dal lato dei pisani, oltre il figlio di Uguccionc ed il Malespina, vi morirono il conte di Caporasac- (1) II Tronci trovo in alcuni manoscritti che il cadavere di queslo gio- vanelto fu portalo a Pisa e seppel li to con molto onore nella primaziale. Ri- porta quindi piu solto che Ranieri conte di Donoralico, figlio a quel conte Gherardo a cui Carlo di Valois avea fatlo tagliare la testa, fu fatto cavalcare sul corpo del giovine figlio del principe di Taranto; e l’annalista si atTorza dell’autorita d’ Albertino Mussato, il quale nella sua storia Augusta dice: ISerius traction et campestri caede Caroli adolescentis culcatum corpus illusive stans ipse pedibus pressit , dum ense cinctus nanciscitur sub ejus ludibrii honore militiam. Cosi stando le cose nel Tronci, ne pare dilficilinente conciliabile 1’ onore e Tinsulto, la vendetta e il perdono. 603 chi, Stefano nepote del cardinale di Prato, sei dei piu prodi cavalieri tedeschi, e molta gente di minore stima: feriti poi, fra tanti, vi furono Luchino figlio di Matteo Visconti, e Castruccio Castracani, il quale fece, quel giorno, prove mirabili di valore. Subito dopo la vittoria si arresero al Faggiola Montecatini e Monsummano. Lietamente ne prese egli possesso; in luogo dell’ estinto Francesco suo primogenito pose al governo di Lucca Neri, altro suo figliuolo; poi torno a Pisa e vi fu ricevuto in trionfo. Poco dopo i signori d’Aghiano ribellarono dal comune di Firenze il loro castello di Vinci, e Bal- dinuccio degli Adimari fe’ribellare Cerreto Guidi; e i Ghibellini seguitarono ad inquietar sepza posa la citta florfcntina, credendo averla vinta, fatta la scon- fitta di Montecatini: ma s ingannarono. Essendoche i Fiorentini non isbigottirono punto; ma vigorosa- mente la loro citta riformarono e d’ ordini e cli forza, di gente d’arme e di moneta; e poiche il principe di Taranto era partito, cercando forse di obliare in altro terreno i funesti effetti della sua imprudenza, mandarono al re Roberto per un nuovo capitano di guerra. Il re spedi senza indugio il conte d’An- dria e di Montescaglioso, detto Conte Novello della casa del Balzo, con dugento cavalieri : e cosi stet- tero al riparo della fortuna d’Uguccione. Questi, avvisando che ormai la sua spada e il suo coraggio gli avessero appianata una sicura via all’assoluto potere, prese a farla da tiranno in Pisa ed in Lucca. Anno 1316. — Ma in Lucca eravi tale che potca dargli grand’ ombra, Castruccio Castracani ; il quale erasi scgnalato ormai per tante prove di coraggio, che era tenuto pel primo cittadino dai lucchesi. Ed Uguccione, senza mai affidargli alcun comando. 604 ■V*.X£ ogni cortese ufficio gli usava, attondendo uiv occa- sione per togliersi qaesto impaccio. Accadde che Castruccio uccidesse alcuni conta- dini di Camajore, i quali aveano tentato di levargli la vita a tradimento. Per questo motivo, o per certe ruberie ed omicidii fatti in Lunigiana, come dice il Villani, o per aver dato rifugio e difeso l’assassino di Pietro Agnolo Micheli, come vuole il Macchiavelli, Castruccio fu incarcerato dal jfiglio d’ Uguccione. Frattanto, inviati dal re Roberto di Napoli, fra Giovanni Cinquini delF ordine de’ Predicatori e Nic- colo di Tanuccio Gualandi, ambedue di fazione guelfa, contro i Faggiola da qualche tempo mac- chinavano, persuadendo ai Pisani di far pace con quel re. A quest’ uopo si ordi una congiura di cui si posero a capo Banduccio Buonc-onti e Pietro suo figliuolo, ch’ era gonfaloniere : si cominciarono col re Roberto le trattative, e ser Jacopo Cavalca ne richiedeva le condizioni. Roberto propose: Che i Pisani non potessero da- re aiuto ne favore a’suoi ribelli ed a chiunque con- tro lui si levasse. Che ogni qual volta egli uscisse in armi gli dovessero dare cinque ben fornite ga- lore c quattromila fiorini. Che si pacificassero con tutta Toscana. Che ad ogni stato rendessero quanto gli aveano tolto. Che finalmente i fiorentini e i luc- chesi potessero trarre di Pisa le mercanzie che vo- lessero, pagando solo il terzo delle gabelle.ed essendo franchi del resto. Sembravano questi patti, quali erano, assai duri; e lungamente negarono i Pisani d 1 acconsentirvi : pure alia fine venivano accolti con gran dispiacere di molti, grandissimo di Uguccione. Il quale dubi- tando che questo fosse il primo passo per dar poi la citta al re Roberto, raccolse le sue masnade, e: Muoiano i guelfi e tulti i perturbatori del pacifico — A 605 stalo di Pisa , ando tra esse gridando. A questo ru- more si opposcro i Buonconti; ed Uguccione, im- pedito ne 1 saoi disegni, torno a palazzo; col suo pri- vate consiglio ordi de’ Buonconti la rovina, e man- datili il giorno dopo a chiamare, e venuti essi senza sospetto alcuno, li fece trarre in catene. Poi accu- sati traditori della patria cui, diceva, volcano dare al re di Napoli, coinpro giudici e testimoni ed infame sentenza di morte. E fu eseguita incontanente ; ma la maggior parte dei cittadini giurarono nel loro animo vendetta di que’ due infelici, ch’ altro non aveano delitto se non quello di amar troppo la pa- tria c la liberta. Ben si accorse il tiranno della pubblica indigna- zione; e per fare di calmarla, adunato il Consiglio generate nel Duomo, prese a parlare cosi: Signori, lungi da voi il pensiero che per capric - do o per vendicare qualche privata offesa, io abbia puniti di morte i Buonconti : era necessario per cam- parvi da grandissima imminente rovina. Piu volte, voi lo sapete, Roberto re di Napoli ha tentato insi- gnorirsi della vostra cittd, e venue il fatto meno al suo desiderio. Ma ora lo avrebbe raggiunto; poiche molte lettere segrete addimostrano che i Buonconti ed altri nobiii che tengono il magistrate , volcano vendervi a quell ’ odiato guelfo. E questi n’ erano i patti : grazie, favori, cariche , tutto ai patrizii ; la plebe esclusa da tutto: in alto i guelfi, i ghibellini nel fango. Scoperte queste cose tentai ogni mezzo per vedere se al male poteva mettersi mite riparo. Ho dovuto alia per fine conoscere indispensabile troncare le membra piu guaste ; e la disgrazia dei Buon- conti vi salva dal precipizio in cui stavate per cadere. Signori , voleano farvi credere ch 9 io penso farmi tiranno: non capi mai nel mio animo cotesta idea ; al contrario , io penso e voglio conservarvi dai ne- I ^>55 606 mid interni quella libertd, che dagli ester ni nemici vostri difesi. Vegliate voi pure con me e non la- sciate ingannarvi. A questo discorso aggiunse cosa piu grata, il co- mando che non potesse essere ammesso al supremo magistrato degli Anziani chi non esercitasse qualcuna delle sette arti (1). Cosi non pochi dimenticarono il caso dei Buonconti; ma i nobili e molti popolari 10 tcnncro vivo nel cuore; e il vedremo ben tosto. Neri figliuolo d’ Uguccione, governatore di Luc- ca, dovea far morire Castmccio Castracani. Ma tale era Castruccio che di per se stesso ne Jmponeva; era poi formidable per la benevolenza onde i con- cittadini lo proseguivano : lo perche il governatore non ardi mai dar compimento al comando del padre. Allora Uguccione con parte di sua cavalleria si mise alia volta di Lucca, per eseguire la bramata giustizia: era il 10 d’ aprile. Quelli che forte s’erano gravati della signoria di questo hero capitano, aveano prelisso quel giorno per muovere a ribellione e Pisa e Lucca. Essendo dunque venuta bene la occasioned la colsero e la usarono. I congiurati si armarono tutti di corte armi, che dai mantelli rest a van copcrte. Coscetto dal Colle, uomo popolare ed ardito, li conducea. Per radunare 11 popolo e non dar sospetto di tumulto, legarono un toro alia porta di san Marco in Chinsica; poi lo sciolsero, quando credettero opportune, e si cac- ciaron dietro al furibondo animate per le vie piu frequentate, gridando: al toro , al toro: ferma, ferrria , ferma! Il luogotenente d’ Uguccione si credo fosse (1) « Qaeste sette arti, dice il Tronci, erano del Caciojolo , Taverniers , « Vinajolo , Fabbro , Calzolajo , Pellicciajo e Fornajo. Per tal modo restavano « esclusi dalla magistratura suprema i nobili, perche pochi di essi facevano « tali arti: sebbene trovarono poi modo di goderne e farsi chiamar arlieri senza 1’ esercizio ». L^' 607 il toro fuggito dal macello, nc fe’movimento: erode cosi anche il popolo, ma si accalco da ogni parte. Come i congiurati si videro in mezzo a nume- roso concorso gittarono i mantelli, ed impugnate le spade: popolo e liberta, gridarono ferocemente; muoja il tiranno Uguccione . Quesio grido corse come corrente d’ elettrico ; fu ripetuto all’istante da un canto all’altro della citta; i cittadini presero l’armi, ed unitisi ai congiurati, attaccarono il palazzo d’ Uguccione; ed avendone ovunque fugati i satelliti, li cacciarono fuori. Potea ben egii far argine a questa fiumana Mariano di Caprona, ove le avesse opposto i trecento cavalieri di cui era capitano ; ma gli parve meglio restarsi in pace, non volcndo, sulFesempio del tebano Epami- nonda, per alcun modo lordarsi di sangue cittadino, come sarebbe stato necessario gittandosi o alFuno o all’ altro partito. Non attraversata cosi ncl suo furore, la plebe rubo ed uccise tutta la famiglia di Uguccione; dopo di che &li Anziani riceverono il gmramento di fe- delta dalle masnade, e rimutarono stato nella terra facendo loro signore il conte Gaddo della Gherar- desca, uomo savio e di gran potere. Nel medesimo giorno, siccome era concertato, si levarono in armi i lucchesi : se prima che tra loro giungesse Uguccione; se mentre meno se Faspettava, seduto in Lucca a mensa; o se dopo che n’ era uscito per volare a reprimere la sedizione di Pisa, non e ben chiaro. Certo che i sollevati chiesero ad alte grida la liberta di Castruccio. Neri il governatore non oso rigettar la domanda e fece rilasciare il prigione, il quale fu consegnato ai ribelli colie mani e coi piedi ancora in catene. Alla vista delle quali inferocito il popolo, se ne fece quasi nuova maniera di stendardo; ne ccsso clal fu- 608 rore finche non ebbe cacciato il governatore con tutti i suoi seguaci, per ricuperare quella liberta che da due anni avevan perduta. Dopo inutili prove di ristabilire la loro fortuna i Faggiola piegarono il capo al loro fato, e se ne andaron prima al mar- chese Spinetta Malespina; il 25 d’ aprile a Modena; e finalmente si ricovrarono prcsso Cane della Scala, ove trovarono un altro piu illustre fuoruscito, Dante Alighieri, ed appresero seco lui siccome sa di sale Lo pane altrui; e come e duro calle Lo scendere e salir per V altrui scale . In Pisa fli fatto potesta Franceschino della Mi- randola, e gli Anziani e i Consoli di Mare posti di nuovo in tutti i diritti loro. In Lucca fu acclamato signore, per un anno, Castruccio: bcllo argomento pel quale si appalesa che la fortuna cangia talvolta in funerali i superbi trionfi, siccome diceva Orazio, e cangia tal’altra in trionfi i funerali. Dopo tante procelle di guerra, il conte Gaddo voile far gustare ai Pisani la pace. Primieramente tratto e eoncluse una tregua per due anni con il comune di Yolterra, e i patti furono gf infrasci itti : I. Che si desista da ogni ostilitd fra detti comuni , e particolarmente verso Montescudajo, ed altri Ino- ghi circonvicini , ne si possa domandare la preda fatta dalla rnasnada di Santo Slcfano , ne si faccia danno ad alcuna terra acquistata , o da acquistarsi per il comune di Pisa. Che la terra della Sassetta, e tutte r altre terre delV arcivescovato di Pisa reste- ranno di far guerra alia cittd di Volterra e suo distretto e terrilorio, e particolarmente alle terre del vescovato di Volterra . E similmente il comune di Volterra promette d’operare , che le terre del vesco- vato di Volterra non faranno danno, ne guerra alia citta di Pisa e suo distretto, siccome promessero, che non la farebbe il comune di Volterra nei luoghi a s loro sottoposti. II. Che vicino ai confini in qualsivoglia caslello sia posto un capitano con died soldati per far pri- gioni i malfattori , e controf acenti ai presenti capi- toli. Che quelli del territorio di Pisa possano per - seguitare quelli che facessero scorrerie per quel ter- ritorio , e presi ridurgli in suo potere; e non gli potendo far prigioni, per esser fuggiti in altre giu- risdizioni , allora il comune di Volterra sia tenuto pagarc il danno. III. Che movendo altro comune guerra alia citta di Pisa , e passando quell ’ esercito per il terri- torio di Volterra , il Comune di Volterra non sia tenuto a danno alcuno, ancorche non gli abbia irn- pedito il passo, mentre pero non V abbia volontaria- mente acconsentito , ne V abbia dato ricetto in terre murate; ma sia lecito al Comune di Pisa persegui- tare detto esercito per il territorio di Volterra , pur - che non entri in castelli , o terre murate: che il Co- mune di Volterra debba avvisare ai Pisani , quanto piu presto potra, la venuta di detta gente ed eser- cito, e vicendevolmente i Pisani osservino il medesimo patto ec. IV. Che se alcun cittadino volterrano, o fora- stiero, fard ingiuria o danno ad alcun pisano nel distretto di Volterra , si punisca nel medesimo modo, che se avesse offeso un altro cittadino volterrano . V. Non si possa bandire alcana persona di detti comuni f se prima non sard citato al suo domicilio . VI. Non si possa dare ajuto J segreto o palese, dalle persone d’ un comune agV inimici dell’ altro. VII. S’ assicuri la strada da Pisa a Volterra , e si restituisca la comunicazione e commercio fra una 77 TOMO I. 610 citta e V altra, non ostante qualsivoglia cosa fin ora fatta. Non s’intendano pero abilitati gli originarii pisani banditi di Pisa, di poter praticare nel di- stretto pisano , e viceversa i ribelli e banditi dei vol- terrani nel volterrano, con che durante la presente tregua non siano impediti nelle loro entrate, e per loro procuratori possano comparire, ed esperimen- tare le loro ragioni. VIII. S' intendano sospese tutte le rappresaglie, e bandi concessi liinc incle durante delta tregua ec. IX. Si restituiscano tutti i prigioni fra quindici giorni senza alcun pagamento di taglia o riscatto, eccettuati pero quei volterrani presi questo presente anno nel mese d’ agosto a Montecatino di Val di Nievole, nella vittoria de ’ Pisani contro i Guelfi di Toscana . X. Che il Comune di Volterra debba demolire tutte le fortificazioni fatte nel tempo della tregua passata, ed in specie al castello di Miemo e di Gab - breto, e ridurre il tutto in pristinum fra trenta giorni. XI. Che il Comune di Volterra debba pagare al Commune di Pistoja a mezzo giugno prossirno, per aver rotta la tregua passata, quella pena e quan- titd di denari, che dichiarera il conte Gherardo da Donoratico. XII. Che per i danni fatti dal giorno che fu stipulata la presente tregua , si stia alia disposizione di ragione; e di quelli che potessero esser fatti per P av venire, s’ attenda solo alia presente capilolazione, e r attore seguiti il foro del reo: e di tutto giura- rono /’ osservanza alia pena di cinquecento marche d' argento. Fu rogata in Pisa nel palazzo degli An- ziani per ser Tuner edi di Giovacchino da Volterra: testimoni Bernardo di Guitto, Bindo Agliata, ser Jacopo Galli da Calci, e Bardo di messer Giovan - 611 nelli Picchianti da Volterra, e Giovan di Giovannino Giovannini di delta cilia , il 2 maggio iSi6 (1). Anno i3i7. — Quindi si fermo concordia tra il re Roberto di Napoli e i Pisani alle condizioni dette piu sopra, aggiuntavi quella ehe i Pisani fabbricassero uno spedale, e accanto ad esso una chiesuola ove pregar riposo alle anime di coloro che eran morti alia battaglia di Montecatini (2). Il re fece poi far pace ai fiorentini, senesi, pistojesi ed a tutta la lega di parte guelfa toscana. Non senza difficolta peral- tro: poiche i fiorentini ardevano di desiderio di ven- dicare 1’ ultima sconfitta; trovavano nel tempietto da Roberto ai pisani ordinato, un monumento della propria loro vergogna; ed accusavano il re di vilta, mentre dimenticavasi tosto la morte del fratello e del nepote suo. I pisani d’ altra parte non voleano per alcun modo far franchi i fiorentini in Pisa, pa- rendo loro d’essere al di sopra della guerra. E que- sto dovettero alia fine riconoscere i fiorentini istessi: laonde non solo non attraversarono piu la pace, ma ad ottenerla adoprarono una sottile maestria di guerra. La quale ci sembra bello narrare colie parole cli Giovanni Villani, che era in quei tempi uno dei priori del Comune di Firenze. « Elessero quattordici buoni « uomini popolari, e rinchiusergli nelP opera di san « Giovanni, e commisero loro che facessero nuove « gabelle, e delle vecchie raddoppiassero, sicche il « Comune avesse d’entrata cinquecento migliaja di « fiorini d’ oro, o piu ; e di quest’ ordine si cliede (1) L’ originale si conserva nell’archivio segreto della Comunita di Vollerra, (2) Questa chiesuola si chiamo san Giorgio de' Tedeschi , per eternar la memoria del valore che i tedeschi cavalieri mostrarono nella famosa batta- glia. Fu poi incorporata nel 1441 alio Spedale dei Trovatelli, unitamente alio Spedale della Pace. 612 vocc per la cittade, e di mandarc in Francia per uno dei reali, figliuolo o nepote del re, per capi- tano, con mille cavalieri francesi. E questa prov- videnza fa commessa per lo conte da Battifotle e per tutto rufficio de’ priori in Alberto del Giudice, uomo di grande autoritade, con Donato Acciajuoli, e con noi, che tutti e tre eravamo di quello col- legio, e funne dato il suggello del Comune, e piena autorita con giurata credenza. Incontanente per gli detti furono fatte fare lettere da parte del Co- rnune al re di Francia e a messer Carlo suo fra- tello pregandogli per bene e stato di santa Chiesa e di parte guelfa, e per riparare la venuta di nuovo imperio, ci mandassero uno de’loro figliuoli con mille cavalieri a nostro soldo; e ordinossi colie compagnie di Firenze che aveano a fare in Francia che facessero lettere di pagamcnto di sessantamila fiorini d’oro, per dare per arra, e fare la promessa de’gaggi a Carlo ; e scrissesi al Papa e a’piu dei suoi Cardinali amici del nostro Comune, ch 7 eglino scrivessero e confortassero lo Re e messer Carlo di questa impresa. Fatte le dette lettere, ebbero un fidato corriere francese, e ordinarono che an- dasse a Parigi per la via d’Avignone, ov’era il Papa, in quindici di per lo cammino di Pisa, e disparte s’ordind segretamente per quegli ch’ era sopra le spie, ch’una spia fidata gli facesse com- pagnia a condurlo a Pisa. E come furono in Pisa, com’ era tempcrato, la detta spia scoperse al Conte ed agli Anziani del detto corriere, il quale fccero prigione colle dette lettere e quelle aperte e lettc s’ ammirarono forte della ardita impresa, si grande per il nostro comune, e tanta cntrata di gabella. Consigliarono che per loro non facea di mantenere la guerra, potendo avere pace; e credendoci avere ingannati per la prcsa dellc dette lettere, rimasero ' /v X| 613 « ingannati: e di presente mandarono al nostro co- « mune, che rimandassero i loro trattatori della pace « a Montopoli, e i loro verrebbero a Marti; e cosi « fa fatto. E innanzi si partissero si die compimento « alia pace ». I Fiorentini restarono liberi dalle ga- bclle; ritennero i castclli che aveano dei Fisani, e furon loro restituiti tutti i prigioni fatti alia batta- glia di Montecatino, i quali tornarono in Firenze i! di 29 di maggio. Poco piu di dae mesi dopo, cioe nel mese d’agosto, Uguccione della Faggiola, con l’aiuto di messer Cane da Verona, venne subitamente con gente a cavallo ed a pie infino in Lunigiana, colla forza e per lettere del marchese Spinetta Malaspina. Di la proponevasi passare a Lucca ed a Pisa, dove fatte avea delle pratiche. Ma qucsti andamenti fu- rono scoperti ; e Coscetto dal Colle, fattosi capo del popolo, col consiglio del conte Gaddo lo trasse a furore a casa Lanfranchi che col Faggiola s’inten- deano: uccise quattro de’ maggiori della casa, cioe Gano, Guido del Pellajo, Jacopo pievano di Savi- gliano, e Puccio suo nepote, e piu di loro e di loro seguito mandarono ai confini. Cio inteso, se ne torno Uguccione a Verona; ma non basto ai Pisani, che unitisi a Castruccio andarono ad oste sopra il mar- chese Spinetta; gli tolsero il fortissimo castello di Fosdinuovo e Verruca e Buosi, e di tutte le sue terre lo desertarono, costringendolo per ultimo a riparare egli pure a messer Cane della Scala. Anno 1318. — Se non che Castruccio istesso di- veniva di giorno in giorno formidabile agli occhi di Pisa, quantunque ad essa confederato. Prode di braccio sopra quanti esisteano, grande d’animo, ed avidissimo di estendere il suo dominio, non potea non destare sospetti, mentre si andava facendo in Pisa molti amici, e se li teneva stretti con ogni 614 modo di cortesia. II conte Gaddo comincio dunque a sorvegliare lui e i di lui confidenti: le cose, che a suo luogo andercmo narrando, giustiflcheranno questa condotta del conte. Non ininore inquietudine cagionava ai Pisani la citta di Genova. Retta dai guelfi, i fuorusciti ghi- bellini Y assediavano con un possente esercito fatto venire di Lombardia sotto gli ordini di Marco Vi- sconti. Dopo due mesi preso il borgo di Pre e quel di sant’Agnesc, ridussero gli assediati alle strette. I quali, senza altre prove tentare, spedirono allora al re Roberto di Napoli per opera ed industria del quale la terra era venuta a parte guelfa, esponendo- gli cio che loro avveniva per avere aderito alle di lui insinuazioni, ed offerendogli la signoria della citta, perche in tanto bisogno recasse loro soccorso. Ro- berto non si volea di meglio. Messa insieme una flotta di ventisette galere e di quaranta grosse navi da trasporto ed altri legni, fornita di seimila fanti, mille dugento uornini d’arrne, ed alcune centinaja di cavalieri (1), la guido egli stesso in persona, e gitto F ancora nel porto di Genova il 20 di luglio, e vi fece la sua solenne entrata il di seguente (2). Il 27 del medesimo mese fugli data la signoria as- soluta di Genova per dieci anni (3). Signoria ch’ egli voile dividere col pontefice Giovanni XXII, successo (t) V- Marchese Serra lib V, cap. II. (2) Non tutti gli storici vanno d’ accordo su questo punto. Gio. Villani dice che Roberto parti di Napoli il di 10 di luglio, ed entro in Genova il 21, come abbiamo notato nel teslo. II marchese Serra, al contrario, dice che Ro- berto entro in Genova il di 6 agosto. E’ mi pare che quest’ ultima opinione sia la piu ragionata, non potendosi supporre che, avuta la notizia della neces- sity dei Genovesi, alia fine di luglio il re Roberto potesse con lanta sollecitu- dine apprcstare la flolta e venire a soccorso. (3) Cosi dice il Muratori sull’ aulorita, fra gli altri, di Giovanni Villani. II Tronci dice che Roberto ebbe la signoria per due anni, altri dicono per sei: ma questo non rileva gran fatto. 615 dopo mille intrighi e mille abominii a Clemente Y. In questa guisa la tiara si uni alia corona, a sgo- mento dci ghibellini, ed a rovina della guelfa citta. A tal panto ridotte le cose non sapeano i Pisani a qual partito appigliarsi. Li stimolava da un lato Castruccio Castracani ad unirsi agli altri ghibellini, ai quali era poderoso sostegno Matteo Visconti ed i figii di lui; dall’altro non volcano romper la pace coi guelfi, da poco fermata. Ondeggiarono gran tempo, inviando, per illuminarsi su quello che loro piu si addicesse, frequenti ambascerie: Bacciomeo con Arduino in parti segrete; inesser Bonagiunta da Vico Giudice, Vanni Tegrini, Ranieri Zacci, Gio- vanni del Turchio, Mense da Vico, Ranieri Zampa- relli, e Giovanni Zadi a Lucca. Dopo lungo vegliare e deliberare, i Pisani risolsero aiutare i ghibellini, ma segretamente, affine di pigliar partito aperto dalle circostanze. Mandarono ambasciatori anchc al re d’ Arago- na, e furono Puccio Casacci e Giovanni di Bindo Bindi da Vico: oggetto della loro missione era pro- babilmente la Sardegna. A quest’ isola furono nel me- desimo tempo spediti Guido Armati e Ranieri Lacci; ed in questa occasionc Benedetto Saragoni ando in Corsica per riscattare Balduccio Macigni e Guido da Gastello che la si trovavan prigioni. Tutto questo successe mentre era potesta, secondo alcuni, Muccio di Giovanni d’Ascoli; secondo altri, Guido de’Bandi dal Borgo san Sepolcro: e capitano delle masnade Cecco Chiaravalle da Todi, poi Gornello dal Pog- gio di Ghea. Anno 1314. — A potesta di Pisa fu quindi eletto Arcito da Legoli. Sotto del quale i Pisani ebbero segretamente parte alle tante vicende che la storia genovese racconta accadute tra i Ghibellini e i Guelfi presso le mura di quella citta, e nel din- G16 torno: ora vincitori, ora vinti, e sempre sacrileghi ed infelici. Anno 1320. — Dopo varii successi, la cui nar- razione empirebbe molte pagine, Castruccio degf In- terminelli sentendo che i fiorentini insieme coi se- nesi e bolognesi, a richiesta del re Roberto e della Chiesa aveano mandato mille cavalieri in favore dei gcnovesi, ruppe pace coi fiorentini, e colle masnade di Pisa usci sulle terre loro, che di nulla sospetta- vano per la concordia giurata e stabilita. Prese il castello di Cappiano, il ponte sopra il flume Guisciana e Monte Falcone ; quindi passato il flume corse pre- dando guastando e ardendo i paesi di Fucecchio, di Vinci, di Cerreto e d’Empoli, ed entro nel contado di Firenze, ove fece grandissimi danni; e nel tor- nare indietro assedio Santa Maria in Monte, e Y ebbe per tradimento de’ terrazzani. Cosi andavano le cose, quando il conte Ghe- rardo della Gherardesca, signore di Pisa, passo al- Faltra vita il di primo di maggio, avvelenato forse dal suo zio Ranieri; ma portando seco Y amore di tutto il suo popolo. Tutte le genti d’ armi ed i cit- tadini f accompagnarono alia chiesa di san France- sco, ed ivi in marmoreo sepolcro il composero con la seguente iscrizione: Florida qui miro tenuerunt culmina cursu Fletibus aspicite mente doloris opus. Gloria fulgentis urbis protensa pisanae Clauditur in tumulo stirps generosa nimis. Hie genitor Fatius , genitus jacet hie quoque Gaddus Quos Donoratico protulit alta domus. Kalare sublimis Comitatus sede nitebant Ft Gaddus placide praefuit ipse Pisis , Quo claudente sua dum fuerat lumina curam, Plorat adhuc tanto Plebs viduata viro . Ed cravi piu sotto: Hie jacent DD. Comites Bonifatius, ct D. Gherardus Comites de Donoratico, Domini sexta partis Regni Kalaritani, quorum p. obiit anno D . 1313. die 29 Novembris , secundus vero A. D . 1321 . die prim. Maij. 617 Radunati quindi gli Anziani, col parere di tutto il Consiglio clcssero a nuovo capitano Ranicri della Gherardesca, zio del defunto Gaddo; e si conforta- rono della buona speranza ch’egli calcherebbe 1c retto vie del nepote, e forse le farebbe piu luminose pcrche d’ eta maggiore; ma la virtu e individuale c non dclle famiglie, cd il senno non e sempre vero chc venga cogli anni. Il fatto sta che il nuovo capitano, preso appena il possesso della sua carica, comincio subito a mu- tarne lo Stato; e mentre il conte Gaddo favoriva coloro chc aveano amata la liberta cacciando Uguc- cione, agli amici de' Faggiola egli volse tutto il suo affetto, ed in citta richiamolli, e d’ogni onore li colmo, spogliandone a talento suo gli altri del con- trario partito. In questi arbitrii gli fu d’ appoggio Castruccio Castracani, col quale ei fece strettissima lega: csscndo potesta di Pisa, prima Federigo da Monte della Casa, poi Sacco dal Borgo (1). (l) II Tronci racconta di un bando conlro il vescovo di Volterra. Ecco le parole di lui: « Nell’ archivio della Comunita di Volterra si conserva una « scrittura di qneslo medesimo anno del di 14 di decembre, nella quale il detlo « Federigo podesta ad istanza delle Comunita di Volterra, che rnando a Pisa « ambasciatori a posta, commetle, che sia mandato bando in Pisa, e datone « copia al medesimo ambasciatore, cheavendo P imperatore Arrigo VII, per suo « edittodato in Genova, comandato a tutli gli arcivescovi, abati, capitoli, priori, « ed altri, che avessero feudi imperiali in Toscana, che fra un mese doves- « sero comparire alia sua presenza a prestare obbedienza, e rimuovere i giu- « ramenti : non avendo obbedito il vescovo di Volterra fu dichiarato decaduto « dai feudi, e privato d’ ogni onore e privilegio imperiale ». TOMO I. 78 7!£^5)r\/v- 618 Anno 4321. — Due potesta vi furono pure nel nuovo anno, cioe Nino di Sinio Carocci da Todi, e Corrado da Rocca Contrada: capitano del popolo fu Gcmcllo da Poggio di Ghea. Sotto i quali magistrati andarono parecchic ambascerie in diversi luoghi. Maggiano da Montefoscoli e Simone Stefani a Lucca; Leopoldo di Lando da Morrona a Serrazzana; Collo da Orticaja a Passerino Buonaccorsi signore di Man- tova; Buonagiunta Scarsi e Puccio da Settimo ai capitani delle galere di Genova. II motivo di questc missioni giace entro il silenzio delle remote eta: vi suona pcraltro un grido d’ indignazione contro il conte Ranieri che, fattosi ogni di piu crudele, era ormai un piccolo ma feroce tiranno. Figlio delle di lui ingiustizic ed inumanita, crescea contro di lui l’odio comune, e non attendeva che propizia occa- sione per levarsi gigante. 1322. — Cortino Lanfranchi, uno de’ favoriti del conte, uccise Guido de’ Capronesi, dilettissimo al po- polo per la sua prudenza. La citta commossa a tanto misfatto, si mise a romore; e, preso Cortino ed un suo fratello, ebbero ambedue mozza la testa. Turbato oltre ogni credere il conte, fe’ armare i suoi tedeschi ; e, coi Gualandi Sismondi e Lanfran- chi per le vie e per le piazze scorrendo, fe’ trucidare tre dei primi del popolo. Allora si che il popolo infurio. Da un canto all’ altro della citta udivasi gri- dare ad alta voce : Vogliamo giustizici, e non esser tiranneggiati dal conte e dai grandi. Questo furore non ebbe conseguenza che la perdita di altri quin- dici cittadini, le cui vite mostro il conte sacrificare all’ ira popolare; ma non erano in sostanza che quin- dici ostacoli di meno al proprio dispotismo. Al quale cadde vittima anche il generoso ed in- felice Coscetto dal Colle. Non sordo mai ai bisogni della patria, appena udi del tirannico governo del 619 contc Ranieri, si approssimo a Pisa una sera, e si reco presso d’un contadino per passarvi la notte, ed entrar poi la domane, travestito, sul far del giorno in citta. Un vile, di cui la storia non ha segnato il nome, riporto tutto al conte. Era nel suo piu cupo silenzio la notte, quando la casa, ovc Coscetto dor- iniva, fu stretta da una parte delle masnade, ed egli, fatto prigione, fu condotto in Pisa. Scadde al popolo il cuore allorche seppe preso il piu caldo so- stenitore do’suoi diritti; e quclla matta plebc che pochi giorni prima volca feroccmcnte giustizia, senza mandare una parola, vide Finfelice Coscetto trasci- nato per la citta; poi messo in brani, e gittato nel- F Arno. Durante questi turnulti Castruccio, superbo delle felici sue imprese contro Pistoja, cui aveva costretta a seco lui unirsi e pagargli ogni anno tremila fio- rini d’ oro, venne piu volte al monte di san Giuliano per assistcre all’uopo al conte Ranieri; forsanche per cogliere qualchc occasione se gli si fosse presen- tata destra. Ma in Pisa i turnulti ccssarono: molti del popolo ed al popolo amici, cacciati in esiglio; gli altri acquetaronsi sospirando un momcnto oppor- tuno per la vendetta. Intanto il cielo diede non dubbii segni delFira sua: affondo una galera nel porto; per terrcmoto molti edificii ruinarono; cadde una imagine della Vergine posta nella facciata del Duomo, e regna- rono venti terribili, cagione di continui gravissimi danni (1). I montopolesi andarono su quello di Marti e vi fecero gravi guasti. Siccome questa terra apparte- (1) Quest’ anno fu canonizzato san Tommaso d’ Aquino. I Pisani ne fecero gran dimostrazione di gioja, in memoria delia sorted’averloavuto molto tempo tra loro. 620 neva ai pisani, eglino, per vendicarla, richiesero d’ aiuto Castruccio. Esso non mise tempo di mezzo; ma inviando immantinente trecento cavalli, rovind tutto intorno a Montopoli, Castel Franco e Santa- croce, cio ch’ era rimasto intatto nelle antecedenti scorrerie; e quantunque i fiorentini fossero in armi nel Val d’Arno, non ardiron difendere questi castelli loro amici. II Castracani peraltro non agiva senza ambiziose mire; anzi aveva adesso non piccola speranza di riuscirvi. Essendoche la famiglia Lanfranchi nobile, potente e numerosa, che finora abbiamo veduta a favorire il conte, siache temesse irritare i cittadini, siache del dominio del conte alia perfine si stancasse, comincio anch’ essa a pensar d’ atterrarlo ; e Betto Maleppa, uno di quella casata, congiuro col Castra- cani di dargli la citta; ed, oltre non pochi Lanfranchi, ebbe complici quattro capitani delle masnade tedc- sche. Doveano, come si offrisse loro il destro, tru- cidare il conte; quindi scorrere la citta in nome di Castruccio, il quale sarebbe ben presto sopraggiunto con le sue genti a prenderne possesso. E fidavano non fallire al loro disegno perclie, amici familiari al conte, non poteano dargli alcun sospetto. Ma cer- cando aumentare il numero de’ congiurati, la cosa giunse all’orecchio di due fiorentini, Bonifazio dei Cerchi ed uno di casa Guidi, dichiarati ribelli della loro patria, i quali per mantenersi la grazia del conte, svelarono tutto. Cosi il Lanfranchi ed i quattro ca- pitani furono posti in carcere, e poi, col consenso degli Anziani e del Consiglio, decapitati : molti dichia- rati ribelli, i due fiorentini premiati largamente. E Castruccio omai scoperto nella sua ambizione, fu messo al bando del pisano dominio, e fu posta una taglia di diecimila fiorini d’ oro per chi F uccidesse; e di piu promisero di rimettere in patria Y uccisore. 621 se fuoruscito, o dargli il bando di una persona a sua scelta. Di qui Castruccio tolse a fare ai Pisani il peggio ehe potca. Guadagno Maccajone di casa Gualandi, c con esso ordi un tradimento per impadronirsi del castcllo di Yico. Infatti il Gualandi se la intese con alcuni di quclli del castcllo, e fermo d’ andarvi con genti di Castruccio. Al tempo prefisso vi comparve con centocinquanta cavalli — era un mattino per tempissirno — e si diede a correr la terra in nome del Castracani, il quale se ne stava ad Altopascio, pronto pel soccorso. Ma il presidio pisano e buon numero di terraz- zani levatisi all’ inaspettato romore si cacciarono contro gli assalitori con tanto impeto, che in breve gli ebbero ributtati; e, serrate le portc del castello, 0 fecer prigioni o tagliarono a pczzi cinquanta dei nernici che non aveano potuto sgombrare. L’ aiuto di Castruccio torno inutile; perche quantunque egli scendesse sollecito, trovo ben custodite le porte: quanti colpevoli del tradimento caddero in mano de’ pisani, pagarono col capo il loro delitto. Fu potesta di Pisa Giosue dal Borgo Sansepol- cro, poi Nello dal Monte della Casa: e capitano Riguccio da Fabriano. Sotto i quali furono armate trenta galere contro 1 catalani; ed incontratili in mare, predarono alcuni legni carichi di mercanzie e di frumento, di cui ebbe parte anche Balduino Grimaldi genovese, il quale aveva imprestata una galera. Un’altra fortuna per Pisa fu 1’ essere stato eletto, quest’ anno, ad ar- civescovo il Domcnicano fra Simone Saltarclli fio- rentino, prima vescovo di Parma, che tanto amore prese al suo popolo da esser veramente quel buon pastore che darebbe per la sua greggia 1’ anima sua. Ma gravi nubi si sollevarono nclla Sardegna. 622 Anno 4323. — II re d’Aragona non avea punto dimesse le sue mire su quell’ isola; s’ era racquie- tato mordendo il pasto, intendendo e pugnando, sic- come il cane descritto da Dante, a divorarlo: ces- sato Foro tornava piu rabbiosa la fame. All’avarizia del re Giacomo, indebolito dall’eta, dava sprone il flglio di lui don Alfonso bollente di tutta Fambizione giovanile, il quale predicava tutto di ed al padre ed alia nazione: facile la conquista, perche Pisa avea da qualche tempo perduto V im - perio del mare , e Genova era assediata da 1 * 3 suoi stessi cittadini. D 3 altra parte , qual pin utile impre- sa? fertile il suolo dell 3 isola, ben situati ed eccel - lend i porti; e questi parlari infiammarono non solo il re Giacomo, ma tutta la nazione ; sicche, piccoli e grandi, tutti contribuirono volentieri alia intrapresa. Un’ armata poderosa di sessanta navi da guerra, venti palandre per la cavalleria e trecento navi da carico fu raccolta a Portfangos, e don Alfonso n’ebbe il comando. Aggiungasi a questo che il giudice di Arborea (1), il quale, oltre il tenere la citta d’Ore- stano era signore di quasi una terza parte della Sardegna, lamentando d’ esser mal trattato da’ pisani, e temendone sempre piu pesante il giogo se gli ara- gonesi non vincevano, offeriva a don Alfonso tutte le sue milizie e il proprio braccio, e quello del suo confederato ed amico Brancadoria. Al romore di queste cose i Pisani si diedero a provvedere per la difesa. Imposero un nuovo dazio a cui sottoposero anche i fiorcntini; spedirono set- tecento cavalieri con numero corrispondente di fan- (1) Questo giudice era Ugo Bossi de’ Visconti. Pcrche egli era bastardo di quella illustre famiglia, la pisana Repubblica aveva acconsentito a stenlo ad investirlo del feudo, e gli avea falto pagare per la investilura dieciraila fiorini d’ oro. tcria onde rinforzare le guarnigioni; c fecero sal- pare molte galore per soccorrere i castelli dalla parte di mare. Nullostante arrivato don Alfonso felicemente, fa accolto con somrao favore dal giudice d’Arborea al Capo di san Marco. Trovo lc terrc d’Arborea senza alcun pisano; poiche, quando seppe pronta la flotta aragonese, I’ll aprile 1323 il regolo traditore fece trucidare tutti i soldati e mcrcanti. Riconosciuto signore di quel giudicato, a poco a poco se gli ar- resero tutte le altre terre e citta dell’isola, tranne Caglieri, Castro, Citta di Chiesa, Terra Nuova, Ac- qua Fredda e Gioiosa-Guardia, che patirono stret- tissimo assedio durante Testate di quest’ anno, e in- verno dell’ anno seguente. I Pisani vollero soccorrerlo con trentadue galere; ma furono ributtati in modo che due delle terre ri- maste fin allora fedeli non valendo piu a sostenersi, si resero a patti, ed ai pisani non restarono. che la Villa di Chiesa e Caglieri col sovrastante castello di Castro. Don Alfonso assedio prima la citta di Chiesa. I Pisani vi si difesero valorosamente per otto mesi; nei quali T eccessivo calore, le acque e T acre cor- rotti cagionarono tra gli assediati terribili malattie, per cui diccirnila di essi furono tratti a morte. Anno i324. — Finalmente la citta capitolo il 7 febbrajo, e la guarnigione usci cogli onori di guerra e si uni alia guarnigione di Caglieri. Diciotto giorni dopo, cioe il 25 febbrajo, giunsero da Pisa cinquantadue galere con valenti soldati ita- liani, tedeschi, e balestrieri *di Pisa, comandate da Manfredi della Gherardesca figlio del conte Ranieri. Gli Aragonesi s’ erano tutti rivolti contro Caglieri. Udito l’arrivo delle forze pisane, Alfonso levo il suo campo e mosse loro contro fino a Luco Cisterna. 624 Ivi, il 28 febbrajo, si vcnnc alio mani. Lunga ostinata fa la battaglia; ma gli Aragonesi, superiori di forza, restaron vincitori. Manfredi, -sebbene ferito, pote en- trarc in Castro con circa cinquecento soldati: il rimancnte del suo esercito disperso; le navi da ca- rico della saa flotta caddero in potere di Aragona; quelle da guerra partirono e tornarono a Pisa, per tema di venticinque galere sottili die il re Giacomo aveva mandate in aiuto al suo figliuolo; el’assedio di Caglieri ricomincio con piu vigore, Manfredi appena guarito delle sue ferite presc il comando degli assediati. Tento con una vigorosa sortita sturbare le operazioni degli assedianti : sorpre- sone infatti il campo, vi sparse il disordine; ma le veccliie bandc catalane non tardarono a circondare ed incalzare d’ogni parte gli assalitori, e ne fecero orribile carneflcina. Trecento cavalli di Manfredi perirono sul campo; ferito egli stesso mortalmente ricondusse duecento cavalli, resto delle truppe cui comandava in Castro, e fra pochi giorni mori. Per- duta cosi ogni spcranza, gli assediati chiesero di arrendersi; ed Alfonso, die avea di gia perdut'i quin- dicimila uomini, e che volea consolidar colla pace la sua conquista, accordo onoratissime condizioni. Castro di Caglieri dovea rimanere alia Repubblica pisana a titolo di feudo dipendente dal re ; le pri- vate possessioni godute dai Pisani nelfisola doveano rimanere in picna loro proprieta; ma la Ptepubblica dovea riconoscere Alfonso come re di Sardegna. Questi patti furono accolti: e don Alfonso, con- forme alia seconda condizione, infeudo il regno di Caglieri ai conti di Donoratico, come rilevasi in un istrumento conservato nell’ archivio della pia Casa della Misericordia di Pisa, le cui cose principali sono le segucnti. L 9 infante Alfonso cVAragona trovandosi i\ degna con esercito contro i Pisani, e venuto a a stabilimento di pace ; fra /’ alive condizioni che egli desse in feudo il regno Callaritano per la meld a Raniero conte di Donoratico e per l’ ultra metd al conte Bonifazio, con che perb pagassero per recognizione un censo annuale di mille fiorini d 9 oro per la Nativitd di Nostro Signore ; ed essendo poi rnorto il detto conte Raniero , egli rinvesti per la sua metd il conte Bonifazio, e per V ultra i nobili Tommaso, Gherardo , e Barnaba, figli del defunto conte Raniero , ritenutosi perd il castello di Savoja Languardia, e le mile di Massargia e di Conesia con tutte le loro ragioni; e ridusse il censo di mille fiorini a ducati cento V anno con ultri patli , come in detto instrument, al quale non voile che s inten- desse niente derogato al nuovo instrument in Bar - cellona stipulato con gli ambasciatori pisani. Ordinate le cose delle diverse private signorie, don Alfonso fece fortilicare alPingresso del porto di Caglieri nn castello, ch’ egli chiamo Arragonetta, il quale signoreggiava talmente Fingresso di Castro, che senza il beneplacito degli aragonesi non poteano pervenire ai pisani no navi, ne vettovaglie, ne mer- canzie. Quindi il 16 di luglio don Alfonso se ne torno in Catalogna, lasciando ben fornita la fortezza del- F isola. Era in Pisa capitano del popolo Branca di Gen- tile da Carticeto; e potesta Filippo Brancaleoni del Monte della Casa, che per la saviezza del suo go- verno rimase in carica anche Fanno seguente: ma troppo debole puntello era la saviezza d’ un uomo solo ad una patria, che quasi non avea piu cittadini. A-T UNIVERSITY OF "Iffif I 3 0112 049730481